LA CITTA’ DELLA MUSICA
Una risorsa per Milano
Una ricerca dell’Associazione MeglioMilano
Dicembre 2008
Ringraziamenti
Questa ricerca non sarebbe stata possibile senza la disponibilità e la collaborazione di numerose
persone e organizzazioni operanti nel sistema musica milanese.
Il nostro riconoscimento va, in primo luogo, a ciascuno dei 41 “testimoni” che hanno gentilmente
accettato di essere intervistati dai ricercatori di MeglioMilano. I loro nomi e riferimenti sono
riportati all’inizio della seconda parte del Rapporto.
Ringraziamo inoltre:
- Stefano Losurdo, segretario regionale dell’Agis Lombarda, per i suoi utilissimi consigli e
suggerimenti operativi;
- Gian Franco Greco, responsabile del Coordinamento Statistico Attuariale dell’ENPALS, per aver
messo a disposizione i dati sulle attività dello spettacolo e del settore musicale in particolare relativi
all’area milanese;
- Gianfranco Vicinelli, amico di MeglioMilano, che ha collaborato alla raccolta delle informazioni.
“La città della musica. Una risorsa per Milano” è il frutto dell’impegno di:
Sandro Lecca
Segretario Generale di MeglioMilano, responsabile e coordinatore del
progetto, che ha curato altresì la redazione dei cap 1, 2, 3, 4, 6 e 9 del
Rapporto finale di ricerca.
Alessandra Micalizzi
Dottore in Comunicazione e Nuove Tecnologie, ricercatrice esterna di
MeglioMilano per la ricerca in oggetto, che ha collaborato alla
realizzazione delle interviste e ha curato la redazione dei cap. 5, 7 e 8
del Rapporto finale di ricerca.
Monica Bergamasco
Collaboratrice di MeglioMilano, che ha collaborato alla rilevazione ed
elaborazione dei dati.
Alessandro Sivieri
Stagista di MeglioMilano, che ha curato la redazione delle mappe
inerenti la distribuzione spaziale delle diverse attività musicali.
Carla de Jong
Segretaria di MeglioMilano, che ha curato l’editing del Rapporto.
Ellida Massone
Responsabile delle Relazioni Esterne di MeglioMilano, che ha
collaborato alla preparazione del convegno di presentazione del
Rapporto finale di ricerca.
4
Indice
Presentazione
Parte prima – Il sistema musica milanese
1.
13
15
17
18
25
27
28
Le imprese
I lavoratori
31
33
Domanda e offerta di musica dal vivo
3.1
3.2
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Un primo “censimento”
La musica registrata
Gli strumenti musicali
La musica dal vivo
La musica insegnata
La musica conservata
La musica comunicata
Imprese e lavori della musica
2.1
2.2
3.
11
Un quadro d’insieme
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
1.6
1.7
2.
7
La domanda
L’offerta: eventi, festival e luoghi
37
41
Mappe
49
Parte seconda – La città della musica si racconta
57
Milano città della musica?
Tra tradizione e innovazione
Spazi e luoghi
Educare alla musica
Reti e non reti
Verso Expo 2015
109
Sintesi e considerazioni conclusive
115
59
65
83
91
99
5
6
Presentazione: motivazioni, fonti e metodi della ricerca
Il perché di una ricerca
La presenza di grandi e prestigiose istituzioni storiche (dal Teatro alla Scala, al Conservatorio, alle
Scuole Civiche), un forte tessuto di associazioni musicali, una vasta e articolata offerta di spettacoli
di musica dal vivo, la più grande piazza del mercato musicale in Italia e nel bacino mediterraneo:
tutto questo, e altro ancora, fa di Milano una città della musica.
Eppure questa antica e straordinaria risorsa di Milano è ancora poco conosciuta e appare in qualche
misura messa in ombra da altre eccellenze cittadine, come ad esempio il sistema moda-design.
Obiettivo primario della ricerca è quindi quello di contribuire a migliorare la conoscenza di questa
complessa e vitale città della musica che è in Milano, città di città. Essa è parte essenziale e
costituente di quella più vasta società della conoscenza e della cultura, che si pone come l’orizzonte
strategico del futuro di una città sempre più aperta al mondo e ormai entrata nella fase avanzata del
suo sviluppo post-industriale.
Abbiamo elaborato statistiche originali, disegnato mappe, ascoltato i racconti dei protagonisti diretti
con l’intento di fornire una rappresentazione della città colta nelle sue articolazioni e soggettività.
Abbiamo messo le musiche cosiddette “colte” sullo stesso piano di quelle della cosiddetta popular
music, termini e distinzioni oggi inadatti a cogliere gli intrecci e le contaminazioni che sempre più
contrassegnano l’evoluzione del campo musicale e dei suoi rapporti con le altre arti. Abbiamo
messo i teatri accanto alle chiese accanto ai circoli accanto alle strade accanto ai luoghi più
disparati. Abbiamo insomma cercato di osservare questa città orizzontale e proteiforme che fa la
musica.
Attraverso le testimonianze raccolte ci siamo proposti di evidenziare i punti di forza e quelli di
debolezza della città della musica con l’obiettivo di fornire materiali di riflessione per
l’individuazione di possibili percorsi futuri. Perché la città della musica è qualcosa che c’è e che
nello stesso tempo non c’è ancora. Esiste, ma appare non ben “dispiegata” nelle sue risorse e
potenzialità.
La ricerca si propone quindi come un contributo di conoscenza al divenire di Milano città della
musica.
Lo spazio di riferimento
La città è Milano, dentro i suoi confini comunali, ossia la città della musica per così dire a portata di
mano, quella che vediamo e sentiamo all’opera ogni giorno. Una scelta dettata più da ragioni
pratiche – si tratta di una piccola quanto faticosa ricerca fatta in casa, autoprodotta da MeglioMilano
- che teoriche. Perché lo “spazio” della città della musica va ben oltre i confini del Comune; è
banalmente, come minimo, il contesto metropolitano – disseminato di filiere, sottosistemi, luoghi,
eventi – ma poi anche quello regionale e sovraregionale, punteggiato da altre città della musica.
Ma la vera dimensione in cui andrebbe colta e indagata la città della musica è forse quella dello
“spazio regionale globale”, ossia di quel sistema di scambi e connessioni che accomuna le città
della musica del mondo. Per dire, Londra con Parigi con Barcellona con New York con Tokio, ecc.
7
E’ di certo, questo, lo spazio “reticolare” di Milano moda-design. Ma è anche – o può diventarlo e
per cosa – lo spazio di Milano musica? In parte lo è già, se si pensa a Bruce Springstein allo Stadio
Meazza, cioè a Milano solo come una piazza del mercato dove tutti devono “passare”, prima o poi.
Ma nei network in uscita o in quelli di altre musiche meno business oriented cosa succede? La
ricostruzione e l’analisi delle interconnessioni internazionali appare di fondamentale importanza per
la migliore comprensione di una città della musica come Milano, per altri versi già proiettata nella
sua identità di nodo della rete globale. 1
Ecco un altro perché della ricerca: aprire l’orizzonte di altre ricerche e comparazioni.
La ricerca è articolata in due sezioni distinte. La prima, di carattere prevalentemente quantitativo, è
basata sull’elaborazione di una serie di dati, diversi dei quali raccolti direttamente da
MeglioMilano, che nel loro insieme concorrono a fornire una prima rappresentazione del sistema
musica milanese. La seconda sezione, di carattere esclusivamente qualitativo, presenta i principali
risultati di una indagine sul campo condotta tramite interviste somministrate a rappresentanti
qualificati del mondo della musica.
L’analisi quantitativa
La città della musica non gode di molte fonti conoscitive, mentre non figura nel novero delle tante
ricerche dedicate a Milano.2 Del resto, anche a livello nazionale manca ancora una vera e propria
analisi empirica o di quadro del sistema musica, colto nelle sue diverse filiere e osservato nelle sue
caratteristiche strutturali, sociali, attoriali e relazionali. Ciò sembra fare parte di un ritardo più
generale dell’analisi dei fenomeni culturali in termini anche territoriali, urbani e distrettuali.
Il primo e più importante obiettivo della parte quantitativa della ricerca è stato quello di ricostruire
l’universo del sistema musica milanese. Tale risultato è stato conseguito attraverso un impegnativo
lavoro di “spoglio” di una serie di fonti puntuali o nominative (elenchi, annuari, siti web, ecc.)
contenenti le informazioni di base (denominazione, attività, localizzazione) di tutte le
organizzazioni individuate riconducibili al sistema musica (case discografiche, case editrici
musicali, sale prove e studi di registrazione, strumenti musicali, scuole, associazioni, promoter,
negozi, biblioteche e archivi, mass media). Là dove prima non c’era nulla ora c’è almeno una
“directory” di quasi mille organizzazioni, che vale il tempo che vale data anche una certa loro
“volatilità”.
Per ciascun “sottosistema” abbiamo delineato un breve profilo, citando esperienze e organizzazioni
che ci sono apparse, da persone esterne al mondo della musica, comunque significative e sapendo di
trascurarne altre egualmente importanti. Si tratta peraltro di una prima e superficiale ricognizione
della città della musica, condotta proprio “a volo d’uccello”, a cui ci si auspica possano seguire i
necessari approfondimenti.
La rappresentazione del sistema musicale milanese è infine ampliata facendo ricorso ai dati di fonte
ENPALS (l’istituto previdenziale dei lavoratori dello spettacolo), utili soprattutto per l’analisi del
lavoro e delle professioni, mentre una rilevazione degli eventi condotta sui quotidiani ha consentito
di arricchire l’analisi dell’offerta degli spettacoli di musica dal vivo (basata sui dati ufficiali SIAE)
e di elaborare la geografia dei luoghi musicali della città.
1
Mauro Magatti (a cura di), Milano, nodo della rete globale, Bruno Mondatori, Milano, 2005.
Fa parziale eccezione lo studio recente: Centro Ask-Bocconi, L’impatto del Festival MITO Settembre Musica a
Milano, Skira-Egea, Milano, 2008.
2
8
L’analisi qualitativa
L’analisi qualitativa si basa sulla restituzione e sulla “lettura” delle testimonianze raccolte nel
periodo aprile-luglio 2008 – tramite intervista semistrutturata – presso un “campione” (privo
ovviamente di qualsiasi rappresentatività statistica) di 41 soggetti a vario titolo operanti nel sistema
musica (etichette discografiche, edizioni musicali, studi di registrazione, istituzioni orchestrali,
associazioni, enti di formazione, singoli artisti ed esperti). I nominativi delle persone intervistate
sono riportati all’inizio della seconda parte del Rapporto.
Utilizzando una “traccia” d’intervista articolata su una serie di temi, ma non rigida, l’indagine sul
campo ha inteso raccogliere le percezioni e le valutazioni dei testimoni sulla città della musica
partendo da due interrogativi di fondo: Milano è una città della musica? Quali i suoi punti di forza e
quali i suoi punti di debolezza?
Ne sono scaturiti racconti diversi, a volte convergenti a volte no, che mostrano il profilo di una città
della musica estremamente complessa, eterogenea, vivace, ricca di risorse, ma soprattutto assai
stimolante per le questioni che pone e i bisogni che esprime.
Di ogni singolo racconto abbiamo riportato i brani o i “frammenti” ritenuti esemplificativi,
mettendo a confronto punti di vista diversi. Abbiamo inoltre cercato di conservarne per quanto
possibile il loro carattere “orale”, apportando soltanto, laddove necessario, gli aggiustamenti
indispensabili alla loro migliore comprensione.
Verso un Osservatorio della città dello spettacolo?
Non rientrava tra gli obiettivi della ricerca la verifica d’interesse, e tanto meno di fattibilità, per la
realizzazione a Milano di un possibile Osservatorio permanente della città della musica, ma – a
ricerca conclusa – la domanda, come si suol dire, nasce spontanea.
Un Osservatorio, in realtà, non della sola musica ma esteso alle altre forme di spettacolo dal vivo
(teatro, danza, performing arts) con le quali, tra l’altro, la musica intrattiene un rapporto sempre più
stretto, diventando così l’Osservatorio permanente della città dello spettacolo.
Il suo compito dovrebbe consistere in primo luogo nel raccogliere e organizzare, in un sistema di
osservazione coerente, informazioni e conoscenze disperse in una pluralità di centri di raccolta
(Stato, Enti locali, centri di ricerca, organizzazioni professionali, ecc.) per renderle facilmente
disponibili ai cittadini. Esso potrebbe quindi diventare, in particolare, il punto di riferimento della
comunità degli artisti e degli operatori, costituendo altresì una leva efficace del marketing urbano.
Tale Osservatorio potrebbe articolarsi – tenendo conto anche dell’esperienza maturata nella nostra
ricerca - su cinque principali aree di monitoraggio: le attività, gli attori, i pubblici, i finanziamenti,
le infrastrutture.
Ci sembra quindi che uno strumento del genere potrebbe utilmente contribuire a sviluppare una
maggiore consapevolezza di Milano città della cultura e orientare in modo più incisivo la stessa
azione pubblica.
9
10
Parte prima – Il sistema musica milanese
11
12
1. Un quadro d’insieme
Non è semplice descrivere una città della musica come Milano. Anche se osservata nel campo
ristretto dei confini comunali, essa sembra “non finire mai”, talmente numerose e diverse sono le
parti che la compongono. Un territorio concentrato, ma nello stesso tempo vastissimo, perché denso
di attività, soggetti, eventi, relazioni, luoghi. Un grande e complesso sistema culturale, fatto di tanti
sottosistemi, in cui operano organizzazioni in genere di piccole dimensioni e spesso polifunzionali.
Questo capitolo introduttivo parte da un piccolo numero, che è stato faticoso comporre: 973
organizzazioni individuate, che strutturano il sistema musica milanese.
1.1. Un primo “censimento”
L’oggetto di prioritario interesse della presente ricerca è costituito dal sistema della musica dal vivo
nella città di Milano. Un sistema certamente oggi più dinamico di quello della “musica registrata”,
il cui mercato risulta, nel corso degli ultimi anni, in netta e continua flessione. Ad essere in crisi,
specie dopo l’avvento e lo sviluppo delle nuove tecnologie digitali, è più un “canale” di consumo
della musica che non la musica in sé.
La musica dal vivo fa parte di un “sistema musica” più ampio, con il quale intrattiene relazioni più
o meno intense e funzionali. Non è poi raro il caso di realtà produttive o promozionali che agiscono
su entrambi i fronti della musica registrata e dal vivo (o su altri ancora).
Ci è sembrato quindi utile iniziare il Rapporto di ricerca con una rappresentazione quantitativa del
sistema musica milanese colto nelle sue principali componenti. Attraverso un lavoro puntuale
condotto su un serie di fonti “anagrafiche” (annuari, siti internet, elenchi vari, opuscoli, ecc.) siamo
riusciti a ricostruire la fotografia, ossia l’”universo”, del sistema musicale milanese.
Cosa intendiamo qui – nel contesto e nei limiti della nostra ricerca - per “sistema musica”?
Intendiamo l’insieme di una serie di attività organizzate che concorrono, a vario titolo, alla
produzione e diffusione della musica e della cultura musicale e, più precisamente, l’insieme dei
“sottosistemi”:
- della musica registrata (case discografiche, edizioni musicali, sale di registrazione, negozi
specializzati);
- degli strumenti musicali (produzione e distribuzione);
- della musica dal vivo (associazioni, organizzatori di eventi, locali);
- della formazione musicale (scuole e conservatori);
- della comunicazione (radio-tv, carta stampata).
A tali sottosistemi organizzati va aggiunto quello della musica conservata, ossia delle strutture
(archivi, biblioteche, musei) preposte alla conservazione di documenti e oggetti intesi come beni
musicali e operanti spesso all’interno delle organizzazioni censite o in altri casi di istituzioni (come
ad esempio le chiese e le biblioteche) le cui attività non sono specificatamente orientate ai contenuti
musicali.
Per quanto riguarda il sistema professionale (autori, compositori, interpreti) – che di fatto sta alla
base dell’intero sistema-musica – rinviamo la sua trattazione al capitolo successivo.
13
Sono invece escluse dalla rilevazione e dall’analisi altre componenti del sistema musica, che seppure numericamente contenute – svolgono un ruolo di assoluto rilievo, ossia gli enti di
regolazione e programmazione (la SIAE; il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con il suo
Fondo Unico per lo Spettacolo; l’ENPALS, l’ente di previdenza e assistenza dei lavoratori dello
spettacolo) e gli Enti Locali.
Una precisazione va fatta con riguardo ai “luoghi” della musica dal vivo, ossia agli spazi fisici nei
quali la musica, attraverso i suoi esecutori, incontra il pubblico. La geografia della fruizione della
musica eseguita dal vivo presenta una varietà così ampia e crescente di luoghi (canonici o meno che
siano) tale da costituire un aspetto fortemente connotativo dell’intera scena urbana. Può quindi
apparire riduttivo considerare nel nostro censimento soltanto il segmento dei locali commerciali più
o meno “live”, che si aggiunge peraltro a quello di molte associazioni-circoli sedi di musica dal
vivo. Ma sulla tematica degli spazi e dei luoghi della musica a Milano avremo modo di tornare
ampiamente.
Tenendo conto di queste puntualizzazioni e sulla base della mappatura effettuata nel corso della
primavera del 2008, il sistema musica milanese risulta costituito da quasi 1000 organizzazioni
distinte secondo le tipologie di attività di cui al prospetto seguente.
Attività
Numero
Case ed etichette discografiche
Case editrici musicali
68
81
Sale prove e studi di registrazione
Negozi di musica
Associazioni e Fondazioni
Locali
87
84
203
126
Promoter
Strumenti musicali
Scuole di musica
Mass media
68
84
98
74
Totale
973
Il sistema musica milanese appare ben strutturato e solido in tutte le sue componenti. Colpisce in
particolare l’elevato numero delle associazioni - che come vedremo possono svolgere una pluralità
di funzioni - e delle scuole di musica (per lo più private). Ciò mette in rilievo l’esistenza, a Milano,
di una domanda e un’offerta di spettacoli di musica dal vivo e di cultura musicale che ha
probabilmente, almeno sul piano quantitativo, pochi riscontri nel resto d’Italia.
Una breve descrizione delle singole componenti del sistema musicale di Milano è contenuta nei
paragrafi che seguono.
14
1.2. La musica registrata
Case discografiche, case editrici musicali e studi di registrazione rivestono un ruolo di fondamentale
importanza nel sistema musica in quanto è attraverso l’attività di queste organizzazioni che le opere
degli autori diventano dei prodotti "industriali" fruibili dal vasto pubblico.
Per certi aspetti le case editrici - nate storicamente molto prima delle case di produzione rappresentano il vero fulcro dell'industria discografica moderna, dal momento che dove c'è un’opera
musicale non solo c'è sempre un autore (compositore, paroliere, arrangiatore) ma anche (quasi
sempre) un editore. Ogni casa discografica tende inoltre ad avere una propria divisione dedicata al
publishing e organizzata a volte, come nel caso di tutte le majors, in forma di società autonoma.
Seppure non sempre facilmente distinguibili nella pratica, case editrici e case discografiche non
vanno tra loro confuse. L'editore svolge in buona sostanza le funzioni di "manager" dell'autore con
cui ha stipulato un apposito contratto di edizione o di cessione dei diritti, assumendo il rischio
imprenditoriale connesso alla gestione economica e artistica delle opere affidategli (produzione e
diffusione degli spartiti, rapporti con le case discografiche, con gli interpreti e gli arrangiatori,
utilizzo delle opere in ambiti diversi da quelli strettamente musicali, ecc.). La casa discografica
provvede invece, principalmente, a pubblicare le opere musicali su supporto sonoro, a curarne la
diffusione presso i diversi canali distributivi e mediali e a promuovere l'immagine pubblica dei
propri artisti.
Secondo la nostra ricognizione risultano oggi localizzate a Milano 236 imprese operanti
complessivamente nella filiera della musica registrata. E’ un numero sorprendentemente alto, e
forse anche un po' "sospetto", se si pensa alla situazione di profonda crisi che attanaglia da diversi
anni il mercato discografico nazionale e internazionale.
Le case discografiche
A Milano hanno stabilito la loro sede italiana le quattro "grandi sorelle" del business musicale
mondiale, ossia Emi/Capitol, Sony/BMG, Universal e Warner Music, che da sole concentrano quasi
il 75% del mercato nazionale. In città operano inoltre altre imprese globali, come ad esempio la
Edel Italia (filiale del gruppo tedesco Edel Music AG), che svolge soprattutto un'importante attività
di distribuzione per conto di diverse etichette indipendenti.
Secondo i dati di uno studio della Fondazione Rosselli, Milano, con il 35% delle imprese, genera
ben l'85% del fatturato prodotto dall'intera industria discografica a livello nazionale (seguita a lunga
distanza da Roma). Milano si pone quindi, in Italia, come la capitale indiscussa dell’"economia
della musica" e primo nodo d'interconnessione con il sistema mondo. Una capitale, peraltro,
collocata in un contesto nazionale piuttosto asfittico, se si considera che il fatturato realizzato nel
2005 dall'intera industria discografica italiana è inferiore a quello di una sola impresa come
Lavazza.3
Largamente concentrato per il peso schiacciante occupato dalle major, il sistema discografico
appare nello stesso tempo fortemente disperso in una pletora di etichette indipendenti, che si
ripartiscono il restante 25% del mercato.
Solo a Milano città se ne contano oltre sessanta. Si va dalla Sugar (la "piccola major" italiana diretta
da Caterina Caselli), a etichette medie, piccole e soprattutto piccolissime costituite per lo più da
imprese individuali, che producono 1-2 dischi all'anno (e a volte, negli ultimi anni, nessuno). Tra i
tanti possibili esempi ci piace citare qui la indie non profit Canebagnato, che con sette dischi in
catalogo si autodefinisce, nel proprio sito, come "una etichetta orgogliosamente fatta in casa".
3
IEM-Fondazione Rosselli, L’industria della musica registrata in Italia: esiste un ruolo per la piccola e media
impresa?, tavola rotonda al Quinto Summit sull’industria della comunicazione, Roma 12.12.2007, in
www.fondazionerosselli.it.
15
Animato da questo spirito artigianale e un po' antimercantile, rivolto soprattutto ai giovani artisti
emergenti e particolarmente aperto alla sperimentazione, il vivace mondo delle piccole etichette
indipendenti - per lo più circoscritto alla musica pop-rock e in cui sono presenti anche realtà
consolidatesi nel tempo - svolge un'importante funzione "di rottura" e di "brokeraggio", lanciando
nuove tendenze e scoprendo nuovi talenti, che non raramente entrano poi nel giro delle major. Ma
c'è anche chi vive riproponendo i vecchi e intramontabili successi del passato oppure realizzando,
insieme a qualche album, jingle pubblicitari o contenuti mobile per gli operatori delle
telecomunicazioni.
Le case editrici musicali
La Casa Ricordi, il più antico e importante editore musicale italiano, nasce a Milano, fondata da
Giovanni Ricordi, nel 1808 (lo stesso anno in cui viene inaugurato il Conservatorio), ponendo le
basi di quello che diventerà poi il "diritto d'autore". Grande esempio dello spirito d'iniziativa della
società milanese, la Casa Ricordi - che oggi fa parte del gruppo multinazionale Universal - detiene
(tra catalogo e archivio storico) un patrimonio immenso, nel quale è contenuta gran parte della
storia musicale d'Italia degli ultimi 200 anni: da Verdi, a Rossini, a Donizetti, a Bellini, e così via,
sino ad autori più "contemporanei" come Casella, Malipiero, Busotti, Nono, Maderna, Donatoni.
Non solo musica "colta", ma anche "popolare", attraverso la Dischi Ricordi, la casa discografica
fondata nel 1958 e acquisita nel 1994 dalla multinazionale BMG, nel cui catalogo figurano
praticamente tutti i grandi nomi della musica pop italiana degli anni '60 e '70 del Novecento.
Oltre alla Ricordi, a Milano sono ancora attive altre due case editrici musicali storiche: la Casa
Musicale Sonzogno (fondata da Edoardo Sonzogno nel 1874 e oggi particolarmente attenta alla
musica contemporanea) e le Edizioni Curci (fondata a Napoli nel 1860 dalla famiglia Curci, ma poi
trasferitasi nel capoluogo lombardo, il cui catalogo odierno, dedicato in prevalenza alla musica
leggera, conta più di 40 mila titoli). In questo contesto si possono citare ancora la Casa Musicale
Lombardo, editrice dell'operetta italiana, fondata nel 1918 (con sede legale a Milano) dal
compositore napoletano Carlo Lombardo, nonché la Allione Edizioni Musicali, che nasce a Torino
nel 1919 per spostarsi nella città meneghina agli inizi degli anni '30. Insomma, la "grande" storia
dell' editoria musicale italiana è passata tutta da Milano, città dell'impresa e della cultura.
Finiti i tempi d'oro della "musica stampata" - costituendo oggi la vendita e il noleggio di spartiti
musicali un business ormai secondario se non marginale - le case editrici musicali continuano di
certo a operare per la tutela dei diritti degli autori, ma hanno visto sostanzialmente venire meno il
mercato "di massa" dei musicisti dilettanti per il quale costituivano nel passato il riferimento
pressochè esclusivo.4 Un'eco di questa importante funzione di divulgatori musicali si può
rintracciare nell'attività di alcuni editori odierni (come ad esempio Rugginenti), che operano
principalmente nel campo della didattica musicale.
Partiture digitali interattive, servizi di "library" per l'utilizzo di brani musicali a scopi commerciali,
compilations, colonne sonore, eventi, editoria libraria, edizioni musicali e discografiche: queste
sono le voci maggiormente ricorrenti che compongono il menù delle attività delle odierne case
editrici musicali, non molto diverso, a dire il vero, da quello delle case discografiche.
Le sale prove e gli studi di registrazione
Sale prove e studi di registrazione - che nascono spesso per iniziativa di singoli musicisti,
compositori o ingegneri del suono - sono i luoghi della progressiva messa a punto del progetto
musicale sino al suo missaggio e "mastering" definitivo. Si tratta di servizi diffusi non solo in città
4
C. Balestra, A. Malaguti (a cura di), Organizzare musica, Franco Angeli, Milano, 2003.
16
ma anche nei comuni dell'hinterland - verso cui sempre più si decentra la filiera produttiva
discografica -, che assolvono funzioni non meramente tecniche. "Lo studio di registrazione" - si
legge nella "home" del milanese Bob Studio - "è, per un musicista, ciò che il laboratorio rappresenta
per lo scienziato: un luogo di ricerca e sperimentazione, di incontro tra colleghi e tra differenti
esperienze".
Sale prove e studi convivono per lo più, anche se non sempre, in un' unica struttura le cui
dimensioni e caratteristiche possono variare notevolmente: dalle piccole sale con piastra di
registrazione sufficienti per fare i "demo", in genere gestite da un solo addetto, ai grandi "studios"
ipertecnologici e polifunzionali (come può essere ad esempio a Milano il Massive Arts Studio).
Ancora una volta si tende a sconfinare nelle attività tipiche di altri attori: diverse sale e studi hanno
infatti delle proprie scuole di musica, noleggiano strumenti musicali, a volte sono sede di etichette
discografiche.
Nella città dei tanti gruppi musicali giovanili le sale prove rivestono un ruolo di particolare
importanza. E' in queste "stanze" da 25 metri quadrati che il gruppo trascorre la maggior parte del
suo tempo, sviluppa le proprie idee e la propria creatività, cresce musicalmente e professionalmente,
mette insomma alla prova se stesso lasciandosi alle spalle la mitica quanto rumorosa "cantina"
odiata dai vicini. Si tratta quindi di un'esperienza importante, per certi versi decisiva, che precede
l'altra prova fondamentale, quella dell'esibizione davanti a un pubblico, quando viene meno la "rete
di protezione" della sala-studio e contano soltanto le emozioni dal vivo.
Tuttavia, non sempre le sale prove di buona qualità sono accessibili ai gruppi musicali giovanili,
che hanno tanta passione ma pochi soldi. Le tariffe orarie praticate dalle sale prove private milanesi
variano (più o meno) da 9 a 15 euro, prezzi forse in assoluto non proibitivi, ma capaci di generare
dei costi globali (da diverse centinaia a qualche migliaio di euro all'anno a seconda dell'intensità
d'uso) tutt’altro che insignificanti per le tasche dei nostri giovani musicisti.
Sale prove che costituiscono anche dei centri di aggregazione giovanile e luoghi di animazione
territoriale. Non a caso si presentano a volte come uno spazio gestito dalle associazioni culturali e
sono oggetto dell'intervento delle amministrazioni comunali (tipicamente dei loro "assessorati ai
giovani", come è successo negli anni passati anche a Milano).
Per tutte queste ragioni, una rete di sale prove dotate di adeguati standard tecnici e facilmente
fruibili dai gruppi amatoriali rappresenta una condizione cruciale per valorizzare la creatività
giovanile e favorire la nascita di nuovi talenti artistici, contribuendo a disegnare il volto di una città
vitale e aperta all'innovazione.
1.3. Gli strumenti musicali
Sin dall'epoca rinascimentale, l'Italia è il paese dei "liutai", artisti-artigiani che hanno creato oggetti
musicali di grandissimo valore entrati nella storia e nell'immaginario culturale di tutto il mondo
(basti solo pensare al violino Stradivari). Una tradizione di creatività e qualità che oggi continua e si
rinnova, in particolare, nel distretto lombardo della liuteria di Cremona. L'Italia è anche il paese dei
produttori di fisarmoniche, organetti e bandeneòn - strumenti largamente presenti nella musica
tradizionale italiana - che trova nel distretto marchigiano di Castelfidardo il suo centro più
importante.
Strumenti a corda e a mantice costituiscono le produzioni distrettuali di un made in Italy di notorietà
internazionale, dove la persistenza di un artigianato di eccellenza si combina con lo sviluppo della
moderna industria degli strumenti musicali, nella quale trovano impiego tecnologie innovative
sempre più sofisticate. Un'industria che nonostante abbia visto ridursi negli ultimi anni la propria
17
quota di mercato mondiale, a causa soprattutto dei prodotti a basso costo provenienti dalla Cina,
appare nel complesso in buona salute economica.5
Nel contesto nazionale, Milano svolge soprattutto un ruolo di piattaforma distributiva e, attraverso
la presenza delle aziende importatrici, di connessione con il mercato globale. Seppure l'attività di
commercializzazione prevalga su quella produttiva, non mancano in città botteghe e laboratori a
carattere artigiano impegnati nella costruzione, nel restauro e nella riparazione di strumenti musicali
(in particolare di quelli ad arco). Alcuni liutai realizzano copie di strumenti antichi, rinascimentali e
barocchi, altri si specializzano nella chitarra classica o nella ricerca di strumenti rari e pregiati,
dando luogo anche a collezioni private di grande valore storico, altri ancora negli strumenti vintage.
Negozi nati tra le due guerre mondiali (come Mitarotonda, per i pianoforti) o subito dopo la seconda
(come Milanfisa, per le fisarmoniche) e attraverso i quali sono passate intere generazioni di
musicisti, professionisti e amatori costituiscono dei veri e propri beni storici e culturali della città. A
Milano è inoltre attiva la Civica Scuola di Liuteria - sorta nel 1978 e frequentata da studenti sia
italiani che stranieri - per la formazione di operatori esperti nel campo della creazione e del restauro
di strumenti ad arco e a pizzico. Nella capitale dell'innovazione i saperi e le abilità di un antico
mestiere come quello del liutaio trovano quindi ancora un loro posto importante.
Un negozio di strumenti musicali è qualcosa di più di un negozio che semplicemente vende (o
noleggia) violini, pianoforti, chitarre, percussioni, ecc., e accessori vari (nuovi e usati) e magari
anche spartiti. Esso è un punto di riferimento di soggetti un po' speciali come i musicisti, affermati o
emergenti, gli insegnanti e gli studenti di musica, i diversi professionisti del mondo musicale, per i
quali, non raramente, diventa un vero e proprio luogo d'incontro. A volte, poi, presso il negozio si
svolgono corsi di musica, seminari, eventi culturali, quando non anche (è il caso ad esempio di
Sound Metak) dei "live shows".
Dalla bottega del liutaio al punto vendita delle strumentazioni elettroniche di ultima generazione, i
negozi degli strumenti musicali non sono luoghi secondari o meramente tecnici della città della
musica, costituendone semmai una indispensabile nervatura culturale, attraverso cui circolano non
solo oggetti, ma anche conoscenze, pratiche, relazioni e apprendimenti, alimentando
trasversalmente i circuiti della musica registrata come quelli della musica dal vivo e della musica
insegnata.
1.4. La musica dal vivo
La partecipazione dei cittadini italiani agli spettacoli musicali è inferiore a quella che si registra
mediamente negli altri paesi europei.6 Nonostante ciò, la musica dal vivo riveste un ruolo di
primaria importanza nello sviluppo del capitale culturale e sociale del nostro Paese, sebbene in
realtà tale ruolo sia ancora poco riconosciuto e valorizzato.
Anche in termini economici il contributo del settore della musica è senz’altro apprezzabile. Il suo
"volume di affari" (misurato principalmente dalla spesa degli spettatori) ha raggiunto, nel 2007, un
valore di oltre 481 milioni di euro in Italia (+14% rispetto al 2006) e di 98 milioni nella sola
provincia di Milano (+8%), dove si concentra quindi più del 20% dell'intero mercato nazionale. La
componente musicale aumenta inoltre il suo peso (dal 7,3% all'8,5% in Italia e dall' 11,3% al 13,5%
a Milano) sul volume d'affari complessivo prodotto da tutta l'industria dello spettacolo, che nel suo
insieme risulta in contrazione (-1,8% in Italia e -9,3% a Milano).7 In un contesto contraddistinto
dalla crisi del mercato discografico e dalla più generale stagnazione dei consumi la domanda di
5
Università Bocconi-Ask, Economia della musica in Italia. Rapporto 2007, Università Bocconi, Milano, 2008.
Vedi il cap. 3 del presente Rapporto.
7
SIAE, Annuario dello Spettacolo 2007.
6
18
musica dal vivo sembra quindi conoscere un nuovo e forse imprevisto slancio. Le persone che
frequentano, più o meno abitualmente, i diversi eventi musicali non saranno tantissime, ma di certo
testimoniano come la musica dal vivo continui a occupare una posizione di primo piano nella vita
culturale delle nostre società e nelle aspettative dei cittadini.
La musica dal vivo mobilita una pluralità vasta di attori e luoghi che sono poi quelli che "fanno" la
città della musica. Si tratta di un sistema piuttosto eterogeneo, all'interno del quale si possono
distinguere tre grandi categorie di soggetti:
- le associazioni e fondazioni, che sono i principali protagonisti della vita musicale cittadina e hanno
la forma di organizzazioni non profit;
- i promoter, che producono e organizzano gli eventi musicali e sono per lo più delle imprese profit;
- i locali commerciali, profit per definizione, che combinano l'ascolto della musica (non sempre
live) con altre attività di intrattenimento.
Il vero discrimine tra le organizzazioni appartenenti alle diverse categorie non è tanto la funzione
svolta quanto la forma giuridica adottata (profit/non profit). Un'associazione culturale può essere
contemporaneamente un locale, un organizzatore di eventi e altre cose ancora. Nei punti che
seguono presentiamo un breve profilo descrittivo di ciascuna tipologia, iniziando dalle associazioni.
1.4.1. Associazioni e fondazioni
Sono 203 le organizzazioni non profit (16 Fondazioni e 187 Associazioni) che a Milano si occupano
a vario titolo di musica, operando, nella stragrande maggioranza dei casi, nel settore della musica
dal vivo.8 Soltanto una rilevazione puntuale potrebbe quantificare il numero di persone - tra
dipendenti, volontari e associati - gravitanti intorno a tali organizzazioni, ma di certo si tratta di
diverse migliaia. Un capitale umano e culturale la cui importanza peraltro va molto al di là del puro
dato quantitativo.
Al di là delle maggiori istituzioni concertistico-orchestrali che agiscono sotto il cappello giuridico
della Fondazione (La Scala, La Verdi, I Pomeriggi Musicali), il tessuto musicale cittadino è in
grandissima parte composto da piccole e piccolissime associazioni senza le quali una parte rilevante
dell'offerta di musica dal vivo semplicemente non esisterebbe.
Alimentando reti, valorizzando risorse artistiche e professionali, intrattenendo un rapporto di
prossimità con le domande degli utenti, contribuiscono allo stesso sviluppo del lavoro musicale,
nonché al miglioramento della qualità della vita dei contesti territoriali in cui sono radicate. Esse
tendono a caratterizzarsi quindi, in molti casi, come delle vere e proprie imprese culturali.
Per queste ragioni le strutture associative costituiscono (o dovrebbero costituire) un riferimento
essenziale delle istituzioni pubbliche, per le quali rappresentano, sotto diversi aspetti, dei partner
ideali e non soltanto dei soggetti che coprono più o meno efficacemente i deficit dell'azione
pubblica.
Abbiamo suddiviso le 203 organizzazioni sulla base dell'attività prevalente (o meglio che è
sembrata tale) svolta da ciascuna di esse ottenendo la "tassonomia" di cui al prospetto seguente.
8
Non vengono considerate qui, anche per evitare duplicazioni, le associazioni (comunque di numero limitato) che
svolgono attività prevalentemente formative e quelle (assai rare) che gestiscono delle etichette discografiche. Al fine di
non frammentare troppo la rappresentazione del mondo associativo si è preferito invece conteggiare le organizzazioni
(numericamente contenute) con interessi musicali ma non impegnate nel campo della musica dal vivo.
19
Organizzazione
Numero
Con attività orchestrale o piccole formazioni musicali
33
Con attività coristica
44
Promozionale
79
Circolo, centro culturale e sociale
27
Rappresentanza
13
Ricerca e sviluppo
7
Totale
203
Non si tratta ovviamente di tipologie "pure". Un'associazione (o una fondazione) che gestisce o
sostiene un'orchestra piuttosto che un piccolo gruppo può svolgere anche compiti di carattere
promozionale o formativo. Un circolo o un centro sociale non si occupa soltanto di musica, anche se
questa ha uno spazio importante nell'ambito dell'attività più complessiva. Diverse associazioni
organizzano inoltre corsi di musica.
Associazioni orchestrali e piccole formazioni musicali
La formula associativa ricorre spesso tra le orchestre e gli ensemble stabili operanti nel campo della
musica "colta" (costituendo un po' la regola prevalente). La stessa Filarmonica della Scala (con un
organico di 120 elementi) è un'associazione (convenzionata con la Fondazione La Scala), così come
sono associazioni le formazioni orchestrali intermedie (l'Orchestra dell'Università degli Studi di
Milano, l'Accademia delle Opere, l'Accademia Litta, l'Orchestra dell'Assunta in Vigentino), quelle
"minori" (come l'Orchestra da Camera Milano Classica, nata dell'estinta e gloriosa Orchestra
Sinfonica dell'Angelicum, dove esordì come direttore Claudio Abbado) e infine i diversi e piccoli
ensemble dai nomi suggestivi (come Sentieri Selvaggi e Divertimento Ensemble, particolarmente
attivi nell’impervio campo della musica contemporanea, e quindi Bachesis, Il Setticlavo, Musica
Rara, Amadeus, Repertorio Zero, LaRis e altri ancora).
Operano invece all'interno delle rispettive fondazioni l'Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico
Giuseppe Verdi (con l'orchestra Sinfonica Junior e il Coro di Voci Bianche), i Pomeriggi Musicali
(con l'Orchestra i Piccoli Pomeriggi Musicali), l'Orchestra Ueco e l'Accademia d'Arcadia.
Si tratta nel complesso di 23 organizzazioni senza fini di lucro che di fatto rappresentano la quasi
totalità delle formazioni strumentali attive a Milano nelle musiche antica e barocca, classica e
contemporanea.9
A parte le tre "grandi" (La Filarmonica, La Verdi, I Pomeriggi), tali organizzazioni gestiscono
solitamente repertori abbastanza limitati e a volte di nicchia, ma tutte concorrono ad arricchire e
diversificare le stagioni musicali milanesi. Un tessuto artistico e associativo, quindi, prezioso, dove
la dimensione del volontariato (che caratterizza in particolare alcune di esse ) convive o si combina
con quella professionale e nel cui ambito si affermano spesso esperienze eccellenti di prestigio
nazionale e internazionale. Un patrimonio di talenti, di passioni, di giovani ardimentosi, di
conoscenze e di relazioni di vitale importanza per la crescita culturale della città.
9
Ad esse si possono aggiungere poche altre formazioni stabili, che formalmente non appaiono essere delle associazioni,
come ad esempio l'ensemble barocco Silete Venti!, gli ensemble espressione del Teatro alla Scala (il Quartetto d'Archi,
i Solisti, l'Ensemble dell'Accademia) e alcune realtà nate all'interno delle scuole di musica (come l'Orchestra
Esagramma dell'omonima cooperativa sociale e l'ensemble L'Accademia dei Contrari nata di recente nell'ambito
dell'Accademia Internazionale della musica delle Scuole Civiche di Milano).
20
I gruppi di musica popular - molto più diffusi di quelli di musica non popular - assai raramente
assumono le vesti di una associazione, trattandosi quasi sempre di aggregazioni informali (e spesso
cangianti, quando non di durata effimera) di singoli artisti. Pochi gruppi-associazioni, quindi, attivi
per lo più nelle musiche tradizionali (come il Barabàn, storico e raro gruppo di musica popolare
italiana operante a Milano, che pure negli anni '60 fu la capitale della ricerca etnomusicologica in
Italia, con Roberto Leydi, i Dischi del Sole, l'Istituto Ernesto De Martino fondato da Gianni Bosio,
ecc.) o nelle musiche etniche (come la neonata Orchestra di Via Padova, composta da musicisti
italiani e stranieri, che parte dalla realtà del quartiere, analogamente a quanto è successo prima a
Roma con l'ormai famosa Orchestra di Piazza Vittorio e poi anche a Genova con l'Orchestra di
Piazza Caricamento).
E poi la Banda d'Affori, nata nel 1853, un'altra associazione, un'altra rarità milanese.10 Perchè è
davvero inconsueto assistere a Milano ad un concerto bandistico all'aperto, contrariamente a quanto
accade nelle altre città europee. E' che le bande oggi sono a rischio di estinzione, come i panda.
"Tremila complessi sono in crisi e senza soldi, è un delittto culturale", ha detto di recente il maestro
Riccado Muti, lanciando un appello accorato per il loro salvataggio.11 Spesso, nei centri minori
come nei quartieri delle grandi grandi città, o c'è la banda a fare intrattenimento popolare ed
educazione musicale dei giovani o non c'è altro. Per questo salvare le bande musicali è un atto
dovuto di democrazia culturale.
Non si può non ricordare qui, nell’ambito della musica jazz, la Civica Jazz Band, nata nel 1996 in
seno ai Civici Corsi di Jazz e diretta da Enrico Intra, protagonista della stagione Jazz al Piccolo Orchestra Senza Confini.
Associazioni coristiche
Ancor più delle bande, e assai più diffuse, le formazioni corali rappresentano il luogo della
"socializzazione primaria" del fare musica attraverso l'uso del primo "strumento musicale"
dell'uomo, che è la voce. E' con la pratica corale che la musica diventa - o può diventare - un bene
culturale comune: esperito direttamente e non solo fruito in modo più o meno attivo. Da qui la sua
straordinaria importanza non solo per lo sviluppo dell'educazione musicale ma anche per la
formazione umana complessiva, dal momento che nel cantare assieme si fa comunità ed esperienza
dell'altro, conoscendo meglio se stessi.
Il coro ha insomma una forte valenza ermeneutica. E dalla notte dei tempi, quando non esisteva
ancora la musica strumentale, e la voce, insieme alla poesia, era la musica.12 Non è perciò un caso
che la più antica istituzione culturale di Milano sia un coro: la Cappella Musicale del Duomo, con
sei secoli di storia alle spalle.
Quarantaquattro le associazioni corali milanesi da noi censite, ma i cori attivi in città sono molti di
più, essendo numerosi i gruppi informali che operano all'interno delle parrocchie o che nascono
nell'ambito delle istituzioni formative (anche se qui siamo lontani dalla ricetta ideale di "una scuola
un coro"). Si tratta di migliaia di persone, di ogni età e condizione professionale (dalla casalinga al
professore universitario), che esprimono una domanda di musica attiva e di partecipazione culturale.
Ed è forse un po' strano constatare che questo accada in una città dal volto apparentemente così
poco "canterino" come Milano, anche se in realtà il "cantare assieme" è diffuso soprattutto nelle
10
Insieme alla Banda dei Martinitt e, soprattutto, alla Civica Orchestra dei Fiati, nata nel 1869 come Corpo Musicale
della Guardia Nazionale e poi divenuta Banda Municipale, che purtroppo ha conosciuto nel tempo una progressiva
riduzione dell'organico, uno smagrimento del "corpo" appunto, passato dagli oltre 40 elementi stabili di un tempo ai 22
attuali.
11
Il Corriere della sera del 27.03.08.
12
Enrico Fubini, Estetica della musica, Il Mulino, Bologna, 2003.
21
regioni urbane e industriali del Nord (e in particolare del Nord-Est).13
Una parte significativa delle associazioni corali è specializzata nella polifonia sacra e profana
rinascimentale, barocca e romantica, e a volte nella musica liturgica (Coro Bach, Coro Haendel,
Corale Polifonica Nazariana, Schola Gregoriana Mediolanensi, Cappella musicale San Marco,
Uncoropermilano, gruppo vocale Chanson d'Aube, e altri ancora), ma in genere prevale la tendenza
ad eseguire repertori misti, che possono comprendere, oltre la polifonia sacra e profana, il gospel, la
lirica, il jazz, i canti di Natale, il canto popolare e, in alcuni casi, il canto politico (dall'Ensemble
Vocale Ambrosiana, al Coro Ensemble, al complesso vocale Syntagma, al Coro HispanoAmericano, al Coroincontrotempo, al Coro Orlando di Lasso, al Cantosospeso, sino al Coro ebraico
Hakolott di musica yiddish, solo per citarne alcuni). Tutte le Università milanesi hanno i loro cori,
non necessariamente costituiti come associazione, mentre esistono anche alcuni cori "alpini" o di
canti della montagna e altri formati da soli ragazzi e bambini (come I Piccoli Cantori di Milano).
Oltre a svolgere attività concertistica, i gruppi corali promuovono rassegne, incontri, corsi di
formazione, sviluppano iniziative solidaristiche in collaborazione con le associazioni di
volontariato, partecipano a concorsi, intrattengono relazioni con altri cori nazionali ed esteri.
Cori di dilettanti, di "amatori", per lo più, ma non per questo meno capaci e professionali, che
coltivano tradizioni e memorie, mantengono in vita musiche rare, introducono innovazioni. Ma al di
là degli aspetti qualitativi, il gruppo corale rappresenta l'unica vera istituzione musicale diffusa,
perchè quando nasce un coro sono mediamene dalle 30 alle 40 persone in più che fanno musica
attiva. E quando invece muore è un "lutto culturale", un po' come si è detto per la banda.
Associazioni promozionali
In questo gruppo, il più numeroso, rientrano le associazioni (in qualche caso fondazioni) che
svolgono attività definibili in senso lato come "promozionali": organizzazione e promozione di
concerti, festival, rassegne e concorsi, diffusione della cultura e della pratica musicale,
valorizzazione delle opere di un singolo autore, e così via, impegnandosi magari anche sul terreno
della didattica, dell'editoria, della ricerca e della solidarietà.
Si tratta di un tessuto associativo che presenta esperienze assai diverse tra loro in termini di
funzioni, dimensioni e generi musicali, riconducibili in sostanza a tre segmenti.
In primo luogo le associazioni-agenzia, che promuovono attività concertistiche più o meno
impegnative (stagioni, rassegne, cicli, festival) e che in diversi casi si caratterizzano come dei veri e
propri promoter.
Esse operano prevalentemente nel campo della musica colta, come per esempio la storica e
prestigiosa Società del Quartetto di Milano; la Società dei Concerti ( che è una fondazione); Milano
Musica (che organizza da 17 anni un importante festival di musica contemporanea); l'Associazione
per il Festival Internazionale di Milano (presieduta dallo stesso Sindaco e responsabile di MITO
SettembreMusica); l’Associazione Amici di Musica/Realtà (con la sua particolare attenzione ai
compositori contemporanei); la Cappella Musicale (con i suoi "Vespri d'organo"); l'AsLiCo (con il
suo prezioso progetto educativo "Opera Domani" rivolto agli alunni delle scuole medie); la
Fondazione Fodella (con i suoi cicli di concerti alla Basilica di San Marco). Particolarmente vivaci
sono poi alcune associazioni (come gli Amici della Musica, Secondo Maggio, U.E.C.A., Felix
Company), che promuovono repertori misti tra musica classica, lirica, jazz, musical e operetta. Un
riferimento particolare merita qui l’Associazione Musica Oggi, Ambrogino d’oro del Comune di
Milano, che promuove le rassegne Jazz al Piccolo, Break in Jazz e dirige i Civici Corsi di Jazz,
13
I cori associati alla Feniarco (Federazione Nazionale Associazioni Regionali Corali) sono attualmente 2.309 (di cui
346 in Lombardia, 324 in Veneto, 295 nel Friuli Venezia Giulia, 193 nel Trentino-Alto Adige, 185 nel Piemonte, 165 in
Emilia Romagna. Cfr. www.feniarco.it).
22
collaborando sia con Secondo Maggio sia con l’attivissima Associazione delle Arti e delle Corti,
promotrice di Ritmo della Città (che apre nuovi spazi alla musica nella periferia urbana) e di
Maurizio Franco Incontra il Jazz. Si devono infine almeno citare altre associazioni importanti attive
nel settore della popular music (quali Sana Records, "agenzia" legata all'Arci; Rockit,
organizzatrice di Mi Ami, uno dei più importanti festival di musica indipendente italiani; Collettivo
Jam, con il suo Ah-Um Jazz Festival; Jumpin'Jazz, con un nutrito programma di concerti svolti
nella propria sede; Music Priority, nata di recente con lo scopo di promuovere la musica elettronica
italiana).
Un secondo segmento è costituito dalle associazioni amiche di, che svolgono per lo più una
funzione di sostegno alle attività di specifiche istituzioni musicali (Amici della Scala, Amici del
Loggione del Teatro alla Scala, Amici di Milano Classica, Amici del Conservatorio G. Verdi, Amici
della Musica dell'Università Cattolica, ecc.).
Una terza modalità di fare promozione e divulgazione musicale è quella seguita dalle associazioni
specializzate nella valorizzazione, ottenuta in vari modi, delle opere di singoli autori o compositori
(come Aldo Finzi Diacronia, Mozart Italia, Vittorio Gnecchi Ruscone, Giovanni Carissimi, Museo
Enrico Caruso, Wagneriana di Milano, Club Abbadiani Itineranti, Fondazione Giorgio Gaber,
Fondazione De Andrè) o di specifici generi musicali (come Novurgìa, nel campo della musica
contemporanea, piuttosto che l'associazione Punto Flamenco in quello della musica popolare).
Da sottolineare infine la presenza di associazioni solidaristiche (come AB Harmoniae, De Musica,
l'associazione musicale Franceschi) impegnate, in modo particolare, nel portare la musica nei luoghi
(case di riposo, carceri, ospedali, comunità di recupero) dove vivono persone in situazione di
isolamento.
Circoli culturali e centri sociali
Abbiamo voluto tenere distinti i circoli e i centri culturali-sociali dalle altre associazioni di
promozione musicale - rispetto alle quali condividono, per certi versi, le finalità promozionali,
essendo però maggiormente caratterizzati come luoghi di eventi - dal momento che la musica
occupa, nelle loro attività, un ruolo importante anche se non esclusivo. Attraverso di essi la musica
arriva spesso nelle zone periferiche della città, combinandosi all'azione culturale complessiva svolta
sul territorio.
Il radicamento nelle realtà di quartiere costituisce forse l'unico elemento unificante di queste
organizzazioni, che per il resto si differenziano più o meno nettamente sul piano delle pratiche
associative e dei riferimenti culturali e ideologici. Si va insomma dal centro culturale legato alla
parrocchia, al circolo Arci, al centro sociale militante. Luoghi quindi molto diversi tra loro dove
risuonano musiche altrettanto diverse (dal reggae, al metal, all'elettronica, al jazz, alla world music,
alla taranta, alla lirica, alla classica, all'operetta, ecc., dal dj-set, al live, alla performance) che
rispondono a motivazioni e bisogni diversi. E che si rivolgono anche a pubblici, in certa misura,
anagraficamente diversi.
Si tratta di un tessuto associativo che svolge un ruolo importantissimo di democratizzazione della
vita culturale della città, facilitando l'accesso ai beni musicali e artistici da parte di categorie a
ridotto potere di acquisto come sono generalmente i giovani, e non raramente gli stessi anziani, che
altrimenti rischierebbero di rimanerne escluse.
Altre associazioni
Un breve cenno merita anche il gruppo residuale delle "altre associazioni", i cui rapporti con la
musica dal vivo sono in genere piuttosto indiretti.
L'insieme più numeroso è quello delle associazioni di rappresentanza (quali FIMI, Federazione
23
dell'industria musicale; FEM, Federazione degli editori musicali; AFI, Associazione dei produttori
fonografici; DISMAMUSICA, Associazione dei produttori e distributori di strumenti musicali;
SIAM, Sindacato dei musicisti; il neonato CTGA, Comitato di tutela dei giovani artistici), che
svolgono essenzialmente funzioni di promozione degli interessi delle diverse categorie
imprenditoriali e professionali dell'articolato mondo della musica. A ciò si aggiungono attività di
studio, consulenza, informazione e dibattito, nonché (come ad esempio nel caso di Dismamusica) lo
svolgimento di iniziative rivolte allo sviluppo dell'educazione musicale (Scuola Musica Festival) e
all'organizzazione di manifestazioni fieristiche di settore.
Esiste infine un nucleo di associazioni di studio e ricerca, tra le quali spiccano - per il particolare
impegno rivolto allo sviluppo della sperimentazione musicale e dell'utilizzo delle nuove tecnologie
nel settore della musica - il centro AGON, Acustica Informatica e Musica e la fondazione MM&T,
Musica Musicisti & Tecnologie (che tra le altre cose promuove la rassegna annuale Electronika).
Altri centri importanti sono, in questo ambito, l'IRMus, Istituto di Ricerca Musicale, operante
all'interno dell'Accademia Internazionale della Musica (Fondazione Scuole Civiche di Milano) e il
Laboratorio d'Informatica Musicale dell'Università Statale.
Si tratta quindi di organizzazioni numericamente limitate, ma che ricoprono funzioni e svolgono
attività di grande rilievo per il rafforzamento e l'innovazione del sistema musica nelle sue diverse
componenti, nonché per la crescita della cultura musicale nel nostro paese.
1.4.2. I promoter
Nel sistema della musica dal vivo le agenzie musicali, o promoter, svolgono sostanzialmente una
funzione di intermediari tra gli artisti e il grande pubblico. La crisi del mercato discografico e la
tenuta dell'industria della musica dal vivo, contribuiscono oggi, in un mondo musicale sempre più
globale, a enfatizzare il ruolo delle agenzie. Una delle loro attività peculiari risiede infatti nella
gestione e nello sviluppo delle carriere internazionali degli artisti per i quali lavorano. Esse, in
genere, agiscono non solo in ambito musicale (attraverso l'organizzazione di concerti, festival, tour
di singoli musicisti, booking) ma anche in altri settori dello spettacolo e della comunicazione
(teatro, televisione, cabaret, eventi aziendali, new media, ecc.), intrattenendo quindi rapporti con
una serie di soggetti (major, etichette indipendenti, istituzioni pubbliche, imprese, organi di
informazione, locali e discoteche, tour operator, professionisti vari, e così via). Si tratta quindi di
organizzazioni che presentano un certo livello di complessità organizzativa (a volte decisamente
elevato).
A Milano, già capitale dell'industria discografica, sono localizzati i principali promoter attivi in
Italia, che operano per lo più nel campo della musica rock e pop (Live Nation Italia, filiale
nazionale di Live Nation, la più grande società di musica dal vivo del mondo con sede a Los
Angeles; Barley Arts, la maggiore agenzia italiana "indipendente" di musica rock; Friends &
Partners, specializzata nella promozione dei cantanti italiani). Le altre agenzie si rivolgono
prevalentemente ai mercati regionali o locali (come Milano Spettacoli, promoter di concerti live per
il Nord-Italia), mentre non mancano quelle specializzate nel settore della musica classica e lirica
(Alliopera, Music Center e altre).
24
1.4.3. I locali
Non sono pochi 130 locali nelle notti di Milano, dove si ascolta musica, si sorseggia, si beve, si
mangia, si chiacchiera, si balla, si canta, si fa spettacolo di sé. Un pub un club una discoteca un
ristorante un cafè una piscina una terrazza un capannone dismesso un vecchio battello sul naviglio o
tutte queste cose messe assieme con pretese più o meno modaiole. Per una serata magari di "dj set
trash pop a cura di Barbarella" oppure "dark, gothic, met, wave, EBM, electric pop con concerti e dj
set".14 In questi luoghi di musica e divertimento non mancano i concerti live, a volte anche con il
nome di richiamo. Il vero protagonista della club culture è però il dj, grande giocoliere di suoni, che
"mixa" non solo musiche, ma anche emozioni, desideri, appartenenze, incontri, vibrazioni, come
una sorta di moderno sciamano.15
Lo sviluppo dei locali commerciali è forse responsabile, almeno in parte, della crisi dei vecchi e
amati cafè-concert di parigina memoria. E' il caso, per esempio, del glorioso Capolinea Jazz Club.
Sul web si può ancora leggere il comunicato del 2 ottobre 1999 che ne annuncia la morte: "Con
oggi il Capolinea non esiste più, almeno presso il loco a cui voi tutti eravate affezionati: il terreno è
stato acquistato dai gestori di un locale adiacente, che oltre ad averci sbattuto fuori, intende
continuare l'attività sfruttando non solo gli sforzi da noi fatti in 30 anni di attività, ma addirittura il
nostro nome".16 Un posto dove hanno suonato artisti come Chet Baker, Dizzie Gillespie, Art
Blakey, Gerry Mulligan, Horace Silver, Enrico Rava...., cioè il meglio del jazz mondiale. Oggi c'è il
Blue Note (e anche l'Osteria del jazz, l'Ittolitos, il Jump'n Jazz Ballroom, il Nordest Cafè), ma non è
la stessa cosa. Perchè il jazz è cambiato, perché è cambiata Milano, perchè è cambiato il mondo.
Tantissimi locali commerciali di varo tipo, quindi, anche se poi quelli che offrono esclusivamente o
prevalentemente musica dal vivo non sono più di una ventina (oltre ai già citati jazz club, si possono
qui ricordare locali più o meno noti come Rolling Stone, Alcatraz, Al Pulentin, Salumeria della
Musica, Scimmie, Magazzini Generali, Music Drome, Cafè Doria, Blues House, Nibada Theatre,
Le Trottoir, e pochi altri), ai quali si aggiungono le decine di circoli e centri sociali, con le loro
specifiche proposte musicali, di cui si è già detto.
Milano dispone perciò di un buon tessuto di locali dove praticamente ogni sera si fa e si ascolta
della buona popular music. Eppure, come vedremo meglio nella seconda parte della ricerca, è
diffusa l'idea che in città manchino gli spazi o che questi si siano ridotti notevolmente. Al di là di
specifiche carenze (come quella relativa agli spazi intermedi) e dei diversi problemi che i locali
incontrano nella loro via quotidiana (dall'impatto acustico, alle normative, alle entrate economiche),
questa sensazione d'impoverimento sembra più dovuta a ragioni di ordine culturale. Il problema
allora diventa capire se i locali devono semplicemente adattarsi alle trasformazioni degli stili di vita,
lanciando al massimo delle nuove mode, o svolgere un ruolo di rielaborazione della vita culturale
complessiva della città, essere cioè luoghi dell'innovazione artistica e sociale.
1.5. La musica insegnata
In Italia, come è ben noto, l'insegnamento della musica occupa un posto assai modesto nei percorsi
formativi dei cittadini, al punto che il nostro paese soffre di una vera e propria forma di
"analfabetismo musicale" e più propriamente di un "analfabetismo di ritorno", dato che con
14
Giusto per citare soltanto due esempi di presentazione di locali ripresi da "Milano Zero", il piccolo e utilissimo
quindicinale di informazioni di musica, cultura e notte che sta in una tasca.
15
Claudio Coccoluto & Pierfrancesco Pacoda, IO, DJ, Einaudi, Torino, 2007.
16
www.geocities,com/BourbonStreet/Delta/1538.
25
l'ingresso nella scuola media superiore (ossia a 14 anni) s'interrompono per sempre i "primi passi"
fatti (quando sono stati fatti) nella scuola elementare e media. Una cesura a cui consegue un deficit
particolarmente grave se si considera il ruolo che l'apprendimento della musica in giovane età gioca
nella crescita umana, culturale e civile degli individui.
In questo contesto nazionale arretrato, può destare una certa sorpresa che a Milano si contino quasi
100 organizzazioni formative che, in vario modo e a diversi livelli, operano nel campo della musica.
Ad esse si devono aggiungere i corsi spesso attivati da altri organismi musicali (associazioni, sale
prove e studi di registrazione, negozi di strumenti musicali), nonché quelli di alfabetizzazione o di
cultura musicale che vengono svolti da diverse istituzioni operanti nel campo della formazione degli
adulti e per il tempo libero (come ad esempio le Università della terza età).
Si tratta quindi di un'offerta, in grandissima parte privata, piuttosto consistente, che lascia
intravedere l'esistenza di una domanda di educazione musicale molto più ampia di quella che viene
soddisfatta dalla scuola pubblica, costituendo le scuole "statali" a indirizzo musicale una esigua
minoranza del sistema formativo milanese (sono circa una quindicina comprendendo anche i centri
di educazione musicale delle Scuole Civiche).
Nel campo musicale Milano emerge come un polo formativo di eccellenza. Istituzioni quali il
Conservatorio G. Verdi (il secondo in Italia per numero di iscritti, dopo quello di Bari, e presso il
quale è attivato anche un Master di perfezionamento), L'Accademia Internazionale della Musica
della Fondazione Scuole Civiche di Milano (con l'Istituto di Musica Classica, l'Istituto di Musica
Antica, l'IRMus, Istituto di Ricerca Musicale, i Civici Corsi di Jazz) e l'Accademia Teatro alla
Scala, costituiscono nel loro insieme un milieu culturale e professionale di primaria grandezza, il cui
valore è conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. Il sistema della musica è inoltre entrato
nell'insegnamento universitario, come dimostrano il corso di laurea in Scienze e Tecnologie della
Comunicazione Musicale dell'Università Statale e il Master di Comunicazione Musicale
dell'Università Cattolica.
Tali istituzioni contribuiscono a rafforzare la vocazione cosmopolita della città. Al solo
Conservatorio, nell'anno accademico 2006/2007 risultavano iscritti, secondo i dati del MIUR, 114
studenti stranieri (di cui 32 provenienti dalla sola Corea del Nord), corrispondenti al 7% del totale,
un valore che fa del Conservatorio l'università milanese con il più elevato tasso di attrazione
internazionale.
Tra le numerose scuole di musica attive a Milano è doveroso citare qui - senza far torto a tutte le
altre - almeno due istituzioni di riconosciuto prestigio, come il CPM-Centro Professione Musica,
fondato da Franco Massida e rivolto alla musica popolare contemporanea, e la storica Scuola
Musicale di Milano, nata nel 1891, che presenta un'offerta formativa prevalentemente classica
simile a quella del Conservatorio.
Le scuole private di musica - che dispongono a volte anche di sale prove e studi di registrazione,
promuovono spesso le più svariate iniziative (concerti, cori, spettacoli, laboratori, editoria, progetti
per le altre scuole, ecc. ) e che in alcuni casi presentano una struttura a rete (locale, nazionale e
magari internazionale) - rappresentano nel loro insieme una realtà culturale importante in una città
come Milano. Ad esse si rivolgono ogni anno - più o meno indirizzati dalle loro famiglie - diverse
migliaia di bambini, di ragazzi e di giovani per ricevere quell'educazione musicale che
generalmente non ricevono nella scuola pubblica. Il che significa che la grande maggioranza delle
giovani generazioni di milanesi non fanno, se non in modo estemporaneo, una esperienza diretta
della pratica musicale come pratica formativa, con i suoi positivi riflessi in campo non solo
cognitivo ma, un domani, anche professionale.
E' una forma di polarizzazione o di disuguaglianza culturale che una città della musica degna di
questo nome dovrebbe fare di tutto per cercare di ridurre. Certo, quello dell'educazione musicale
nelle scuole pubbliche rappresenta un problema di tutto il Paese, discusso da molti anni attraverso
26
decine di convegni, gruppi di lavoro, commissioni varie e proposte di legge, ma ancora ben lontano
dall'essere risolto. Ciò non toglie che Milano - città ricca di risorse e di eccellenze, e che vuol dirsi
città della musica - possa sperimentare e sviluppare localmente azioni volte a favorire un più largo
accesso, soprattutto da parte dei suoi giovani cittadini, a un bene pubblico di straordinaria valenza
culturale e civile come l' istruzione musicale.
1.6. La musica conservata
A differenza di tutte le altre espressioni artistiche, l'opera musicale non ha una sua consistenza
oggettiva diretta - come può essere un dipinto, una scultura, un testo letterario, e così via - ma lascia
"tracce" che a quell'opera si collegano: uno spartito, una partitura, un manoscritto liturgico, un
libretto teatrale, un carteggio, uno stampato, una registrazione sonora o video-sonora. E anche, in
modo ancora più indiretto, uno strumento musicale, un metronomo, un leggio, un apparecchio di
riproduzione, un documento iconografico, uno studio fonologico. Queste tracce-oggetti si trovano
sparse in innumerevoli istituzioni e luoghi preposti in qualche modo alla loro tutela e
conservazione: biblioteche e archivi, ordini religiosi, chiese, monasteri, musei, associazioni, scuole,
accademie, istituzioni concertistiche, teatri, e così via, ai quali sono da aggiungere i "fondi" privati
detenuti dai singoli cittadini. Un patrimonio enorme di "beni musicali", poco conosciuto e spesso
mal conservato e gestito.
La categoria di "bene musicale" ha, nell'ordinamento italiano, uno statuto incerto, trattandosi anche
di beni particolari bisognosi, per la loro tutela e valorizzazione, di conoscenze e competenze
specifiche.17 I beni musicali meritevoli di conservazione sono costituiti non solo dalle tracce delle
musiche del passato ma anche da quelle delle musiche del presente: dalla musica contemporanea,
alla popular music, al jazz, alla musica elettronica. Siamo quindi davanti a un bene culturale di
ricchezza non comune, così come multiforme e in continua evoluzione è l'arte della musica.
Con più di 500 mila unità bibliografiche, la Biblioteca del Conservatorio G. Verdi di Milano
rappresenta la più grande biblioteca musicale d'Europa, dove oltre a una serie di rare collezioni preottocentesche, che attraggono l'interesse degli studiosi di tutto il mondo, si conservano, per diritto di
stampa, tutte le opere musicali editate a Milano dal 1808 ad oggi. La Biblioteca del Conservatorio è
quindi una fonte preziosa anche per la storia della musica moderna e attuale, compresa la storia
della musica leggera o della canzone.
Al polo del Conservatorio si affiancano diverse altre strutture bibliotecarie e archivistiche, che
gestiscono importanti patrimoni musicali. E' doveroso citare almeno: la Biblioteca Nazionale
Braidense (dalla quale dipende l'Ufficio Ricerca Fondi Musicali, operante presso il Conservatorio),
la Biblioteca Livia Simoni e l'Archivio musicale del Teatro alla Scala, la Biblioteca Sormani (con la
sua fonoteca), l'Archivio Casa Ricordi (al quale si possono aggiungere gli archivi delle altre due
"case musicali" storiche di Milano, ossia Sonzogno e Lombardo), la Mediateca dell'Accademia
Internazionale della Musica delle Scuole Civiche, la Biblioteca della Scuola Musicale, la Libreria
Musicale Gallini.
Un contributo rilevante alla conservazione dei beni musicali proviene dalla rete delle istituzioni
religiose, specializzate per lo più nel campo della musica sacra e liturgica, quali ad esempio
l'Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo, la Biblioteca del Pontificio Istituto Ambrosiano di
Musica Sacra, la Biblioteca e l'Archivio del Capitolo Metropolitano, la Biblioteca del Centro
Culturale Protestante, senza contare le "tracce" disperse in numerose chiese o parrocchie della città.
Infine i luoghi degli strumenti musicali e dei loro annessi: dal Museo Teatrale della Scala, alla Casa
17
Annalisa Gualdani, Il bene musicale: una categoria in cerca di definizione, Il Saggiatore Musicale, in
www.saggiatoremusicale.it/documenti/beniculturali.php.
27
Verdi, agli antichi organi di chiese e abbazie, alle botteghe storiche come Milanfisa, alla Civica
Scuola di Liuteria, al Museo della Scienza e della Tecnologia (con la Collezione Suono), per
concludere con il Museo degli Strumenti Musicali del Castello Sforzesco. Proprio in quest'ultimo è
stata allestita di recente una nuova sala che ospita il vecchio Studio di Fonologia della Rai di
Milano, istituito nel 1955 e attivo sino al 1983, dove hanno lavorato grandi compositori
dell'avanguardia musicale come Luciano Berio, Bruno Maderna, John Cage, Pierre Boulez. Un
bell'esempio dinamico di come la memoria culturale della città possa rinnovarsi e arricchirsi
attingendo ai materiali della sua storia recente.
Milano dispone quindi di un vasto e ricco "giacimento" di beni musicali, articolato in una pluralità
di luoghi, a volte anche impensabili e segreti, che possiamo chiamare i luoghi della "memoria
musicale", dove le "tracce" del passato remoto convivono con quelle del passato prossimo. Ma
anche del presente e forse del futuro, perchè la musica produce continuamente eventi e innovazioni,
spesso di straordinario valore, che costituiscono un patrimonio da custodire in una sorta di memoria
in progress, di memoria della contemporaneità proiettata appunto nel futuro. Si pensi, banalmente,
al valore della conoscenza che si sedimenta negli "archivi" di un certo Festival musicale, anche nato
da poco, le cui edizioni si succedono nel tempo.18
Eppure, se volessimo percorrere gli itinerari della memoria della città della musica non sapremmo
bene come fare, perchè ci mancano persino le mappe e i quadri che aiutino a metterci in cammino e
a orizzontarci. Dovremmo procedere un po' a caso, privi di una guida certa, per finire magari in
luoghi chiusi e inaccessibili.
Custodita in tante "case", piccole e grandi, che ne ospitano i beni e le tracce, la memoria musicale
necessita di cure e cuciture, di valorizzazioni e connessioni, per emergere a protagonista della vita
cittadina. Il bene musicale è forse meno appariscente e redditizio di altri beni culturali, ma ignorarlo
sarebbe come non dare ascolto alle tanti voci che hanno contribuito e contribuiscono a fare la storia
della città e che sono poi le voci della sua "archeologia spirituale".
1.7. La musica comunicata
Per "musica comunicata" intendiamo qui la musica che a vario titolo viene fatta oggetto di
informazione e rappresentazione da parte dei media ad esclusivo o prevalente contenuto musicale.
Ovviamente, la musica occupa inoltre uno spazio più o meno rilevante nella stampa quotidiana, sia
nazionale che locale.
A Milano, capitale della musica e della comunicazione, si contano, escludendo i quotidiani, 74
"testate" musicali più o meno specializzate (34 riviste periodiche, 30 emittenti radio e 10 emittenti
TV), alle quali andrebbero aggiunte le realtà che operano esclusivamente nello spazio virtuale del
web (portali, fanzine, blog, ecc.), di certo numerose nel contesto milanese, ma di difficile se non
impossibile localizzazione geografica (partendo almeno dai loro siti).
Non è compito di questa breve nota tracciare un profilo dell'articolato sistema dei media musicali e
tanto meno di entrare nel merito dei complessi rapporti che esso intrattiene con il sistema musica.19
Qui basterà accennare al fatto che l'industria della comunicazione musicale italiana è in larga parte
concentrata a Milano e nei comuni contermini, dove hanno sede tutte le principali piattaforme
televisive (All Music, Mtv, Sky, ecc.) e radiofoniche commerciali (Circuito Marconi, Radio 102.5,
Radio Montecarlo, Radio Deejay, ecc. ), oltre che diverse e importanti riviste di settore (Rolling
Stones, Amadeus, Metal Hammer Italia, Rock Sound, Strumenti Musicali, ecc.).
Fino a che punto e in che modo questa ampia e diversificata rete di media comunica la città della
musica? Solo un' indagine ad hoc potrebbe fornire una risposta argomentata alla domanda, ma la
18
19
AAVV, Tememos. I luoghi della musica, Auditorium Edizioni, Milano, 2002.
Vedi in proposito Gianni Sibilla, L'industria musicale, Carocci, Roma, 2006.
28
sensazione - da semplici lettori di giornali e riviste, spettatori televisivi e ascoltatori radiofonici - è
che l'interesse dei media sia in generale rivolto alla dimensione spettacolare degli eventi e dei
personaggi più o meno famosi, con un approccio per così dire "individualizzante" e dagli esiti in
genere piuttosto banali e ripetitivi. Assai più raro - con la parziale eccezione delle pubblicazioni
specializzate, spesso però troppo di nicchia, e di qualche trasmissione radiofonica - è che essi
raccontino la città della musica nelle sue pratiche diffuse, nella sua molteplicità culturale, nei suoi
pubblici, nei suoi artisti meno noti, nei suoi luoghi, nei suoi problemi, partendo da una visione
globale.
La musica non può essere ridotta a solo fatto di costume, quando non a puro "gossip", essendo per
di più confinata in uno spazio residuale dell'informazione dedicata alla cosiddetta "industria dello
spettacolo", come emerge chiaramente soprattutto dalla lettura della stampa generalista. Senza
contare le TV, divise tra il rumore dei video-clip promozionali e l'enfasi giovanilistica dei canali
commerciali e il sostanziale silenzio di quelli pubblici.
Milano città della musica, circondata da media di tutti i tipi, merita attenzioni e descrizioni meno
superficiali e cronachistiche. Ma questo significa anche che la città della musica comunichi meglio
se stessa, attraverso i propri attori e le proprie istituzioni.
29
30
2. Imprese e lavori della musica
I dati ENPALS (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo)
costituiscono oggi l’unica fonte d’informazione statistica sulle imprese e sui lavoratori dello
spettacolo. Essi consentono di tracciare un profilo del sistema musica milanese colto nella sua
dimensione di “settore economico”. E’ bene precisare subito che tali dati, a causa di problemi
elaborativi, si riferiscono non alla città di Milano ma all’intera provincia.
2.1. Le imprese
Ai fini Enpals sono considerate “imprese” – o meglio “attività”20 - quei soggetti che ricorrono alle
prestazioni lavorative di categorie professionali dello spettacolo indicate dalla legge e che sono
quindi tenute a versare i relativi contributi previdenziali. Per quanto riguarda il settore musicale tali
“datori di lavoro” comprendono: le edizioni musicali e le incisioni discografiche; gli enti autonomi
lirico-sinfonici; le imprese liriche; le imprese concertistiche; le imprese di spettacolo di balletto; le
imprese di spettacolo di operetta; i complessi orchestrali di musica leggera; i complessi bandistici.
Le attività musicali localizzate in provincia di Milano crescono: erano 385 nel 2001 e sono
diventate 537 nel 2005, registrando un tasso di sviluppo (39,5%) superiore a quello medio nazionale
(15,3%) e dell’intero sistema dello spettacolo (28,6%). La crescita del settore musicale appare
ancora più sostenuta a livello di regione Lombardia (53,4%).
Tab. 1 - Attività delle imprese dello spettacolo per settore in Provincia di Milano, Lombardia e
Italia - Anni 2001 e 2005
Settore
Milano
Lombardia
Italia
Var. % 2001-2005
2001 2005 2001 2005
2001
2005 Milano Lombardia Italia
Cinema
411
468
510
558 3.260 3.241
13,9
9,4
-0,6
Musica
385
537
905 1.388 5.476 6.312
39,5
53,4
15,3
Teatro
175
227
272
350 1.715 2.066
29,7
28,7
20,0
Radio-TV
88
94
183
192 1.473 1.425
6,8
4,9
-3,3
T.V.S.P*
155
244
467
995 3.995 6.086
57,4
113,1
52,3
Impianti sportivi
217
227
486
550 2.760 3.044
4,6
13,2
10,3
Varie
29
80
38
223
873 1.386
175,9
486,8
58,8
Totale
1.460 1.877 2.861 4.256 19.552 23.560
28,6
52,4
20,5
Fonte: ENPALS e Ns. elaborazioni
* Trattenimenti vari e spettacoli polivalenti
20
I dati Enplas non si riferiscono all’impresa ma all’attività, essendo quindi una singola impresa imputabile di diverse
attività (anche appartenenti a settori diversi). L’uso del termine “impresa” appare quindi improprio, anche se - nella
maggioranza dei casi – impresa e attività tendono a coincidere (come sembra del resto indicare la stessa tipologia
individuata dall’Enpals laddove si riferisce alle “imprese” liriche, concertistiche, ecc.).
31
La musica rappresenta il primo comparto del sistema dello spettacolo, superando ampiamente il
cinema e il teatro. L’area milanese detiene una chiara posizione di leadership nazionale se si
considera che le attività musicali ad essa imputate risultano essere più numerose di quelle relative a
intere regioni come il Lazio, il Piemonte e il Veneto (ciascuna delle quali corrisponde, a sua volta, a
circa un terzo della realtà lombarda).
Le attività musicali risultano fortemente concentrate (a Milano più che nel resto d’Italia) nel
segmento dei complessi orchestrali di musica leggera, che presenta anche la dinamica di crescita più
spinta (+59,4% tra il 2001 e il 2005, contro il +12,4% nazionale). In modesto aumento, nell’area
milanese, le imprese concertistiche (che crescono di più a livello nazionale), stabili quelle di balletto
e le edizioni musicali.
Tab. 2 - Attività musicali per categoria in Provincia di Milano e Italia - Anni 2001 e 2005
Categoria
Milano
Italia
2001
2005
2001
2005
Edizioni musicali
20
21
79
84
Enti lirici e sinfonici
2
2
26
31
Imprese liriche
5
4
103
91
Imprese concertistiche
81
88
1.486
1.799
Imprese di spettacolo di balletto
22
22
274
341
Imprese di spettacolo di operette
3
1
6
10
Complessi orchestr. Musica leggera
249
397
3.463
3.891
Complessi bandistici
3
2
39
65
Totale
385
537
5.476
6.312
Fonte: ENPALS
Osservando i dati contenuti nella tabella 2 colpisce il netto scostamento tra il numero delle attività
afferenti alle edizioni musicali e incisioni discografiche e quello da noi rilevato (oltre 80
organizzazioni nella sola città di Milano e per le sole case editrici musicali).21
Sostanzialmente due sono le cause che possono spiegare questa forte divergenza. In primo luogo
l’Enpals, come si è già precisato, non rileva le imprese ma le attività, per cui può essere che un certo
numero (elevato) di case musicali o discografiche, pur esistendo, non abbia svolto, nel 2001 e nel
2005, nessuna attività di tipo musicale, ovvero non abbia dato lavoro a nessun lavoratore della
musica. Se così fosse, vuol dire che esiste una vasta area di imprese musicali editrici-discografiche
inattive o per meglio dire “dormienti”. Oppure che il 2001 e il 2005 siano da considerasi due anni
particolarmente “sfigati”.
Una seconda possibile ragione risiede nel mancato versamento dei contributi previdenziali da parte
di queste imprese. In tal caso, più che imprese inattive avremmo imprese “evasive”, che si
avvalgono cioè di prestazioni lavorative in “nero” o in “grigio”. Eventualità queste tutt’altro che
rare in un mercato della musica polverizzato e notoriamente attraversato dalle pratiche tipiche
dell’economia sommersa (quando non illegale).
Al di là dei sempre possibili errori “amministrativi” connessi all’imputazione e/o alla
classificazione delle attività, ci sembra del tutto probabile che lo scarto eccessivo tra la nostra
“sovrarappresentazione” e la “sottorappresentazione” Enpals sia da imputarsi al combinarsi dei
fenomeni sopra indicati. E’ da ritenersi peraltro – anche sulla base di alcuni segnali colti sul campo
- che i dati Enpals siano in qualche modo più “realistici” (anche se non più “reali”) di quelli da noi
rilevati, considerando quelle caratteristiche di accessorietà e intermittenza che assumono spesso le
attività musicali (sul fronte delle imprese come su quello dei lavoratori).
21
Vedi capitolo 1.
32
2.2. I lavoratori
Tra artisti, tecnici, maestranze e personale amministrativo nel 2005 hanno operato nella “piazza”
milanese oltre 6 mila lavoratori della musica iscritti all’Enpals e appartenenti a una delle categorie
professionali previste dalla Legge. La crescita rispetto al 2001 (+9% circa) è più contenuta di quella
registrata in ambito nazionale (+29%) e, soprattutto, lombardo (+51%). Occorre peraltro segnalare
che tra il 2004 e il 2005 si verifica, a livello nazionale, un’apprezzabile flessione dei lavoratori della
musica (-6%), mentre aumentano quelli del cinema (+6,2%), del sistema radio-televisivo (+7%) e,
seppure di poco, del teatro (+0,5%). Ciò sembra evidenziare l’esistenza di uno stato di crisi
occupazionale del comparto della musica (che non appare mettendo a confronto soltanto gli anni
2005 e 2001).
Milano si caratterizza inoltre per il minor peso detenuto dai lavoratori della musica sul totale dei
lavoratori dello spettacolo (17,7% rispetto al 24,7% lombardo e al 26,7% nazionale). Sotto il profilo
del lavoro Milano appare una città della musica meno dinamica e di dimensione relativamente più
contenuta di quanto emerga invece in termini di attività d’impresa.
Tab. 3 - Lavoratori - contribuenti dello spettacolo per settore di attività in provincia di Milano,
Lombardia e Italia - Anni 2000 e 2005
Settore
Milano
Lombardia
Italia
Variazione %
2001 2005 2001 2005
2001
2005
Milano Lombardia Italia
Cinema
17.323 17.797 17.828 19.048 72.617 74.617
2,7
6,8 2,8
Musica
5.657 6.162 8.086 12.201 53.588 69.133
8,9
50,9 29,0
Teatro
1.657 2.159 2.304 3.053 17.897 21.181
30,3
32,5 18,3
Radio-TV
1.538 3.366 2.045 4.098 23.115 28.980
118,8
100,4 25,4
T.V.S.P.*
2.673 2.509 5.036 6.193 28.411 35.106
-6,1
23,0 23,6
Impianti sportivi 1.501 1.712 2.868 3.252 16.271 17.456
14,0
13,4 7,3
Varie
593 1.026
654 1.474
6.320 12.269
73,0
115,4 94,1
Totale
30.942 34.731 38.821 49.319 218.219 258.742
12,3
27,0 18,6
Fonte: ENPALS e Ns. Elaborazioni
* Trattenimenti vari e spettacoli polivalenti
Anche nel caso dei lavoratori è necessario fare una precisazione. Essi infatti non vengono imputati
dall’Enpals ai loro luoghi di residenza ma a quelli in cui sono localizzate le imprese per le quali
lavorano. Si tratta quindi di statistiche di flusso, che tuttavia – non rilevando il luogo di residenza
dei lavoratori – non consentono di determinare il grado di attrazione musicale di una certa area
geografica.
Data la spiccata mobilità (anche internazionale) che caratterizza il mondo delle professioni musicali
si può immaginare (e solo immaginare) che una parte forse non trascurabile dei 6.000 e più
lavoratori a vario titolo impiegati nel 2005 dalle imprese musicali milanesi provenga dal resto
d’Italia. Allo stesso modo si può immaginare che una certa quota dei quasi 70.000 lavoratori della
musica italiana sia milanese. Ma non possiamo assolutamente sapere se Milano abbia una maggiore
propensione a “esportare” o a “importare” lavoratori della musica.
Se si considerano soltanto le professioni a contenuto artistico (escludendo quindi quelle tecnicoamministrative), i lavoratori che hanno prestano la loro opera ai “datori” milanesi nel 2005
ammontano a 4.174 unità. In questo caso la crescita rispetto al 2001 appare maggiore (+14,9%) ma
sempre nettamente inferiore alla dinamica nazionale (+34,7%).
Il gruppo professionale più nutrito è quello degli “orchestrali” (anche di musica leggera) che,
analogamente alle attività d’impresa, registra un elevatissimo tasso di sviluppo (+65,6%). Ancora
33
più spiccato è l’aumento dei “cantanti di musica leggera”, il cui numero, tra 2001 e il 2005, si è più
che raddoppiato. In declino più o meno accentuato le altre professioni maggiormente diffuse e in
gran parte relative al mondo della musica classica (cantanti lirici, coristi, concertisti, professori
d’orchestra). Il comparto della musica leggera sembra pertanto offrire oggi le maggiori opportunità
occupazionali ai lavoratori della musica.
Tab. 4 - Lavoratori della musica per gruppo e categoria professionale in Provincia di Milano e
Italia - Anni 2001 e 2005
Gruppo/categoria professionale
Milano
Italia
Var. % 2005-2001
2001 2005 2001
2005 Milano
Italia
GRUPPO CANTO
895
917 7.179 8.204
2,5
14,3
Artisti lirici
211
169 1.801 1.715
-19,9
-4,8
Cantanti di musica leggera
155
339 1.743 2.681
118,7
53,8
Coristi e vocalisti
500
385 3.512 3.693
-23,0
5,1
Maestri del coro
29
24
123
115
-17,2
-6,5
GRUPPO DIRETT. E MAESTRI D'ORCHESTRA
Direttori d'orchestra
Sostituti direttori d'orchestra
Maestri collaboratori
Maestri di banda
GRUPPO CONCERTISTI E ORCHESTRALI
Concertisti e solisti
Professori d'orchestra
Orchestrali (anche di musica leggera)
Bandisti
Totale generale
62
43
19
-
82
49
31
2
725
451
125
130
19
708
417
122
141
28
32,3
13,9
63,1
-
-2,3
-7,5
-2,4
8,5
47,4
2.676
1.140
449
1.087
3.633
3.175
1.049
328
1.798
4.174
29.729
10.653
5.566
13.201
309
37.633
41.790
11.824
5.782
23.816
368
50.702
18,6
-8,0
-26,9
66,0
14,9
40,60
11,0
3,9
80,4
19,1
34,7
Fonte: ENPALS e Ns. elaborazioni
La distribuzione delle professioni musicali per settore di attività dell’impresa conferma le
dinamiche già osservate, evidenziando in particolare la netta crisi degli enti lirici e sinfonici e la
flessione delle imprese concertistiche (in sviluppo nel resto d’Italia), le cui perdite vengono
comunque più che compensate dal forte incremento dei complessi orchestrali di musica leggera, che
da soli assorbono quasi la metà (il 44%, per la precisione) dei lavoratori artistici della musica
impiegati dalle imprese milanesi.
Tab. 5 - Lavoratori della musica per settore di attività dell'impresa in Provincia di Milano e
Italia - Anni 2001 e 2005
Settore attività
Milano
Italia
Var. % 2005-2001
2001 2005
2001
2005
Milano
Italia
Edizioni musicali
138
75
218
223
-45,6
2,3
Enti lirici e sinfonici
515 406
4.601
4.492
-21,2
-2,4
Imprese liriche
110 111
1.513
1.639
0,9
8,3
Imprese concertistiche
1.704 1.684 17.068 21.591
-1,2
26,5
Imprese di spettacolo di balletto
21
15
217
228
-20,6
5,1
Imprese di spettacolo operette
28
15
53
54
-46,4
1,9
Complessi orchestrali musica leggera
1.053 1.850 13.572 21.938
75,7
61,6
Complessi bandistici
64
10
391
537
-84,4
37,3
Totale
3.633 4.166 37.633 50.702
14,9
34,7
Fonte: ENPALS e Ns. Elaborazioni
34
I dati a disposizione non permettono di approfondire più di tanto la conoscenza delle caratteristiche
strutturali, sociali e culturali del complesso e variegato mondo del lavoro musicale e, soprattutto,
delle diverse problematiche che lo riguardano, a iniziare da quelle previdenziali-assicurative-fiscali
e dall’elevata incidenza del lavoro irregolare (stimata per l’intero Paese intorno al 50-60%), che
generano uno stato di “insicurezza sociale” diffusa. Ci limitiamo perciò ad evidenziare qui due nodi
di fondo, che in qualche misura emergono anche dalla stessa analisi qualitativa (avente obiettivi di
ricerca più generali).
La prima questione riguarda lo squilibrio tra la domanda e l’offerta di professioni musicali, che
sembra riguardare più da vicino il settore della musica classica e manifestarsi a Milano in misura
forse maggiore di quanto accada sul piano nazionale. Al proliferare dell’offerta formativa e quindi
professionale – che si combina a una contestuale contrazione (o mancata crescita) delle istituzioni
orchestrali (basti pensare alla chiusura dell’Orchestra Rai di Milano avvenuta nell’ormai lontano
1994 e “sostituita” dall’Orchestra Verdi perennemente in difficoltà) - non corrispondono adeguate
opportunità lavorative. Da questa situazione conseguono almeno due rischi, entrambi sottolineati da
alcuni dei testimoni intervistati: lo scadimento qualitativo della stessa offerta formativa e
l’emigrazione dei giovani “talenti” verso altri paesi musicalmente più evoluti del nostro.
La seconda considerazione parte dal fatto che nella musica, come in qualsiasi altra attività artistica,
il lavoro coincide con l’opera, con il prodotto, essendo la sua oggettivazione unicamente
intermediata dalle tecnologie utilizzate. Ovviamente il lavoro musicale è influenzato da numerosi
fattori di contesto (in particolare dalle capacità ricettive del pubblico) ma è indubbio che la qualità e
la propensione all’innovazione del sistema musica dipendono in buona parte dall’apporto dei
lavoratori-musicisti. Per questo motivo investire nel sistema musica significa in primo luogo
investire sulle risorse professionali e artistiche messe al lavoro, che di questo sistema costituiscono
poi la stessa base fondativa.
35
36
3. Domanda e offerta di musica dal vivo
In questo capitolo viene offerto un quadro descrittivo della domanda e dell’offerta di spettacoli
musicali dal vivo che si basa soprattutto sull’utilizzo dei dati SIAE. Questi coprono abbastanza bene
il lato dell’offerta – la cui analisi è arricchita da una rilevazione diretta condotta da MeglioMilano -,
ma non quello della domanda, che consentono di misurare solo in modo indiretto ossia come
riflesso dell’offerta.
Di fatto, la città della musica – ma il discorso vale per l’intero Paese - non dispone di strumenti
adeguati di monitoraggio e analisi della domanda (musicale e culturale in genere), che
risulterebbero di grande utilità per le istituzioni e soprattutto per gli operatori. Si tratta di un vuoto
che andrebbe in qualche modo colmato.
3.1. La domanda
L’ascolto di musica dal vivo è ancora poco diffuso in Italia. Nel 2005 soltanto l’8,9% degli italiani
di 6 anni e più ha assistito, negli ultimi dodici mesi, a un concerto di musica classica e il 19,6% a
uno di musica leggera. Si tratta di pesi che registrano modeste oscillazioni tra il 2000 e il 2005, a
testimoniare come la fruizione della musica sia circoscritta a uno “zoccolo duro” di pubblico
sostanzialmente immutabile nel tempo. Sotto questo profilo l’Italia appare in forte ritardo rispetto al
resto d’Europa, dove l’incidenza media dei cittadini che almeno una volta all’anno ascoltano
concerti di musica dal vivo è del 37%.22.
Non disponiamo di dati per la città di Milano, ma possiamo ragionevolmente ritenere che essi non
siano molto diversi da quelli relativi ai comuni centrali delle aree metropolitane: 11,6% per la
musica classica e 18,4% per la musica leggera, il primo superiore e il secondo inferiore alla media
nazionale.
Tab. 6 - Persone di 6 anni e più che hanno ascoltato almeno un concerto di musica classica e
non classica nei 12 mesi precedenti l’intervista - Anni 2000-2005
(a) (per 100 persone con le stesse caratteristiche).
Anni
2000
2001
2002
2003
2005
Italia
8,5
9,1
9,0
8,8
8,9
Musica Classica
Comune, centro
dell'area metropolitana
10,5
10,6
11,0
10,1
11,6
Italia
18,3
19,0
19,4
20,5
19,8
Musica non classica
Comune, centro
dell'area metropolitana
16,3
17,4
17,7
17,9
18,4
Fonte: ISTAT, Statistiche culturali - Anno 2005
(a) Dati non disponibili per il 2004.
22
Commissione Europea, Eurobarometr. European Cultural Values, settembre 2007. Secondo l’indagine
Eurobarometro il 31% degli italiani ha assistito nel 2006 a un concerto dal vivo, un peso che colloca l’Italia al 24° posto
tra i 29 paesi considerati (davanti a Bulgaria, Cipro, Grecia, Polonia e Portogallo) e a grande distanza da quelli
musicalmente più evoluti (Estonia 62%, Danimarca 58%, Svezia 53%, Germania 42%, Gran Bretagna 40%), essendo
superata anche dalla Spagna (34%) e dalla Francia (35%).
37
I dati pubblicati ogni anno dalla SIAE rappresentano una fonte interessante per l’analisi della
domanda (e come vedremo anche dell’offerta) di spettacoli dal vivo in Italia e nelle sue diverse
circoscrizioni territoriali. Gli indicatori utilizzabili come “proxy” della domanda sono
sostanzialmente due: il numero degli ingressi e l’ammontare della spesa. Per non appesantire
eccessivamente il testo faremo ricorso al solo indicatore ingressi (tra l’altro maggiormente
significativo nei confronti territoriali in quanto la spesa è determinata non solo dagli ingressi ma
anche dal costo dei biglietti venduti, il quale varia, anche in modo significativo, da zona a zona oltre
che in base alla tipologia degli eventi). Nella lettura dei dati occorre naturalmente tener presente che
a una singola persona possono corrispondere (come in genere accade) più ingressi: essi non ci
dicono quindi quanti sono gli individui che hanno partecipato, in un certo anno, agli spettacoli dal
vivo, limitandosi a fornire una valutazione delle dimensioni complessive della domanda.
I dati annuali contenuti nella tabella 7 sono relativi, per il 2000-2004, ai comuni capoluogo di
provincia maggiormente significativi sotto il profilo delle attività musicali, mentre, per il 2006 e
2007, si è preferito utilizzare i dati provinciali (pubblicati di recente dalla SIAE) dal momento che
quelli disponibili per le città si riferiscono soltanto al primo semestre dell’anno. Ciò rende impropri
i confronti tra i due periodi, anche se la domanda (come l’offerta) di spettacoli tende a concentrarsi
notevolmente nelle città capoluogo.
Nel periodo 2000-2007 la domanda di musica dal vivo mostra – al di là dell’andamento variabile, in
più o meno, registrato nei singoli anni - un trend complessivo di crescita, in Italia come nelle aree
urbane considerate (con la parziale eccezione di Bologna). Milano e Roma si pongono come i
grandi poli musicali del Paese (esprimendo insieme il 30% dell’intera domanda nazionale), seguite
a grande distanza da Torino, terza città della musica in Italia.
Da sottolineare il forte balzo compiuto tra il 2006 e il 2007 dall’area milanese, che raggiunge e
supera quella romana. Del resto i cittadini milanesi sembrano essere caratterizzati da una più elevata
propensione a consumare eventi musicali, come dimostra il rapporto tra il numero degli ingressi e la
popolazione residente, che – per limitarci a un solo anno – raggiunge nel 2004, a Milano, il valore
di 1,49 (contro lo 0,98 di Roma e lo 0,87 di Torino).
Tab. 7 - Numero di ingressi per spettacoli musicali - Anni 2000-2007 (1)
Bologna
Firenze
Milano
Napoli
Roma
Torino
Totale Italia
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
277.901
257.374
140.151
155.709
234.074
434.058
401.191
527.072
332.595
543.732
804.989
636.516
532.771
656.486
1.508.736 1.259.179 1.236.182 1.692.805 1.891.438
2.065.356 2.747.014
251.419
264.439
391.015
381.553
549.925
524.110
594.702
1.852.168 1.710.080 1.723.276 1.686.708 2.498.426
2.401.115 2.655.828
510.997
635.646
633.417
513.288
751.682
854.362 1.114.512
14.109.771 13.590.302 14.702.197 14.267.274 16.347.592 15.908.802 15.125.867 17.757.315
Fonte: SIAE e Ns. elaborazioni
(1) Dati comunali per il periodo 2000-2004 e provinciali per gli anni 2006 e 2007.
I dati annuali relativi al 2005 non sono disponibili a livello di Comune o di Provincia.
La domanda di musica dal vivo fa parte della più vasta domanda di spettacoli (dal vivo e no), con la
quale spesso si interseca. E’ sembrato quindi utile valutare la sua incidenza sia sulla domanda
complessiva di spettacoli dal vivo in senso stretto (comprendente, oltre la musica, soprattutto il
teatro e, in minor misura, i burattini e le marionette, l’arte varia e il circo) che su quella globale
rivolta all’intero sistema dello spettacolo (spettacoli dal vivo, cinema, manifestazioni sportive,
ballo, mostre ed esposizioni).
I dati contenuti nella tab. 8 evidenziano alcune tendenze interessanti.
La domanda di spettacoli musicali detiene un peso maggioritario sulla domanda complessiva di
spettacoli dal vivo - superando ampiamente la domanda di teatro (che rappresenta, dopo la musica,
la seconda forma prevalente di spettacolo dal vivo) - e tutt’altro che trascurabile in rapporto alla
domanda relativa a tutto il sistema dello spettacolo. Essa presenta inoltre un tasso di crescita (tra il
38
2006 e il 2007) nettamente superiore a quelli dei due macroaggregati (totale spettacoli dal vivo e
totale spettacolo).
Milano e Torino si presentano come le province caratterizzate nel complesso da una domanda di
spettacoli musicali maggiormente “pervasiva” e in crescita. Anche a Roma - e in minor misura a
Firenze - la musica occupa un posto di rilievo nella domanda generale di spettacolo, mentre Napoli
sembra essere più una “città del teatro” e Bologna, come evidenziavano anche i dati precedenti, una
città in crisi un po’ su tutti i fronti.
Tab. 8 - Ingressi per spettacoli musicali, totale spettacoli dal vivo e totale spettacoli in alcune
province e in Italia - Incidenze % anno 2007 e variazioni % 2007-2006
Peso % spett. musicali
Variazione % 2007/2006
sul tot. spett. dal
spett.
vivo
sul tot. spett.
musicali
tot. spett. dal vivo totale spett.
Bologna
42,2
6,7
-7,6
-3,3
-1,2
Firenze
51,6
8,2
23,2
8,4
9,8
Milano
56,1
10,6
33,0
24,8
13,1
Napoli
37,8
5,6
13,5
8,5
12,4
Roma
50,0
9,6
10,6
8,3
7,8
Torino
61,0
9,3
30,4
15,4
8,6
Totale Italia
49,5
7,2
17,4
10,6
10,2
Fonte: SIAE – Ns. Elaborazioni
La composizione della domanda di musica per generi dei milanesi non si discosta molto da quella
relativa alla media degli italiani: le differenze più pronunciate riguardano il balletto (che un po’ a
sorpresa ha un’incidenza maggiore a livello nazionale) e i concerti classici (relativamente più
richiesti a Milano) (Tab. 9).
Nel confronto tra le città emergono alcune differenze significative. In termini relativi, fiorentini e
romani sembrano preferire di più la musica leggera, i napoletani la rivista musicale, i torinesi il
balletto e la lirica (apprezzata anche dai fiorentini). I milanesi esprimono un certo maggior
gradimento per la musica jazz, che occupa peraltro un peso assi contenuto nel sistema delle
preferenze di tutti gli italiani. E’ interessante notare come la domanda di concerti di musica classica
occupi, con la sola esclusione di Napoli, un’incidenza simile in tutte le città considerate (con una
leggera preminenza di Milano), che come lascia intuire la stessa media nazionale appare
caratterizzare maggiormente le aree del Centro-Nord (dove spicca il profilo un po’ più “serioso” di
Torino).
Tab. 9 - Ingressi per tipologia di spettacolo musicale nei principali comuni e in Italia –
I° semestre 2007 - Composizione %
Spettacolo
Bologna Firenze Milano Napoli Roma Torino
Italia
Balletto
17,4
10,2
10,7
9,6
5,4
19,5
14,9
Concerto classico
24,1
25,4
27,5
16,3 26,1
24,0
21,3
Concerto jazz
1,2
0,3
3,4
0,8
2,6
0,2
2,8
Concerto musica leggera
38,9
41,8
37,9
13,7 41,6
28,6
36,7
Lirica
9,3
16,6
9,3
12,3
7,2
18,2
11,5
Rivista e commedia
musicale
9,1
5,7
11,2
47,3 17,1
9,5
12,8
Totale Italia
100,0
100,0 100,0 100,0 100,0
100,0 100,0
Fonte: SIAE e Ns. elaborazioni
Nella tabella 10 abbiamo infine messo a confronto, con riferimento agli anni 2006 e 2007 e alla sola
provincia di Milano, i dati della domanda di musica dal vivo con quelli dell’offerta (misurata dal
numero degli spettacoli), al fine di cogliere l’esistenza di eventuali “gap”.
39
Sotto il profilo della composizione per generi, la musica classica presenta il maggior grado di
convergenza tra domanda e offerta (che detengono pesi sostanzialmente equivalenti), mentre la
forbice più netta si evidenza nel jazz (dove l’incidenza degli spettacoli supera di gran lunga quella
degli ingressi). Un relativo eccesso di offerta caratterizza anche gli spettacoli di balletto, mentre
lirica, rivista musicale e concerti di musica leggera presentano, al contrario, un eccesso di domanda
più o meno accentuato. Ovviamente tali confronti vanno “presi con le pinze” dal momento che ai
diversi generi musicali corrispondono logiche culturali, operative e organizzative tra loro assai
differenziate, mentre, sul lato della domanda, sono soggetti alla continua variabilità delle preferenze
(che può risultare anche notevole da un anno all’altro). Nel 2007 il numero di ingressi per singolo
spettacolo raggiunge il valore massimo nella musica lirica (1061), seguita dal musical (772) e dal
concerto di musica leggera (755).
Il raffronto tra la domanda e l’offerta di musica dal vivo appare forse più interessante se osservato
in termini dinamici. Per tutti i generi considerati, con l’unica eccezione negativa della lirica, la
domanda registra (tra il 2006 e il 2007) un tasso di crescita nettamente superiore a quello
dell’offerta (che in un solo caso, il jazz, diminuisce). Colpisce l’esplosione della domanda di musica
leggera (a fronte di un aumento contenuto dell’offerta) da imputarsi probabilmente al successo dei
grandi eventi da “stadio” o di alcuni festival rock, che richiamano spesso folle ingenti di pubblico
giovanile. Da evidenziare altresì il crescente gradimento degli spettacoli di musical.
Tab. 10 - Spettacoli musicali e relativi ingressi per tipologia di spettacolo in Provincia di Milano.
Anni 2006 e 2007
Variaz. %
Spettacolo
N. spettacoli
N. ingressi
Comp. % 2007
2007/2006
2006 2007
2006
2007 Spett. Ingressi Spett. Ingressi
Balletto
758
759
269.691 328.367 15,9
11,9
0,1
21,8
Concerto classico
1.016 1.088
522.439 601.472 22,8
21,9
7,1
15,1
Concerto jazz
791
747
81.566
99.050 15,6
3,6 -5,6
21,4
Concerto e musica leggera
1.367 1.494
714.817 1.128.433 31,3
41,1
9,3
57,9
Lirica
204
215
231.950 228.104
4,5
8,3
5,4
-1,7
Riviste e commedie
471
245.093 363.588
9,9
13,2 37,3
48,3
musicali
343
Totale
4.479 4.774 2.065.356 2.747.014 100,0
100,0
6,6
33,0
Fonte: SIAE e Ns. elaborazioni
Nel 2007 sembra emergere, nel complesso, una certa carenza di offerta di spettacoli di musica dal
vivo a fronte di una domanda “esuberante”. Ma in questo campo la domanda è talmente mutevole e
così eterogenea da non potersi escludere un ribaltamento di tendenza nel 2008. Essa interagisce poi
con le altre domande “concorrenti” del variegato sistema del tempo libero, che possono influenzare
la composizione del “paniere” dei consumi culturali degli individui, determinando variazioni, anche
repentine (in aumento o in diminuzione), ora in una voce ora in un altra, compresa ovviamente la
voce musica.
Come si è precisato all’inizio, i dati SIAE quantificano il volume della domanda ma non la
numerosità dei soggetti, che (dai dati Istat) appare sostanzialmente stabile nel tempo. L’aumento
degli ingressi 2007 – particolarmente elevato a Milano – potrebbe essere imputato al manifestarsi di
una domanda nuova aggiuntiva, ma anche (come sembra più probabile) alla maggiore reattività o
“performance”, magari temporanea, della domanda esistente.
In realtà, l’ampiezza della domanda di spettacoli musicali (ossia “ in quanti” vanno ai concerti) non
sta tanto in relazione con le caratteristiche (compresi i costi) dell’offerta quanto con una serie di
altre determinanti strutturali – quali, in primo luogo, il livello di istruzione generale e di cultura
musicale diffusa - che nella situazione italiana giocano un ruolo decisamente frenante.
40
3. 2. L’offerta: eventi, festival e luoghi
Nel paragrafo precedente abbiamo già avuto modo di esaminare i dati dell’offerta relativi agli anni
2006 e 2007. L’andamento di più lungo periodo (2000-2004) evidenza una crescita costante, priva
delle più spiccate oscillazioni della domanda e che - dopo il forte aumento del 2001 - tende
sostanzialmente a stabilizzarsi.
Tab. 11 - Numero di spettacoli musicali nel Comune di Milano e in Italia - Anni
2000-2004
2000
2001
2002
2003
2004
MILANO
N. spett. musicali
4.183 4.966 5.461 5.961 6.057
Inc. % su totale spett. dal vivo
39,8
43,0
44,6
46,5
47,3
ITALIA
N. spett. musicali
Inc. % su totale spett. dal vivo
45.673 60.155 79.548 91.185 99.179
36,6
40,3
46,9
49,3
51,8
Fonte: SIAE e Ns. elaborazioni
Con lo scopo di arricchire la conoscenza dell’offerta milanese di spettacoli musicali, MeglioMilano
ha condotto una propria mappatura sulla programmazione cittadina le cui risultanze vengono
presentate al punto successivo.
3.2.1. I risultati di una rilevazione diretta
Nei mesi di Febbraio e Giugno del 2008 abbiamo “monitorato” giorno per giorno tutti gli eventi
musicali milanesi (indifferentemente se a pagamento o gratuiti) segnalati nella cronaca locale di
alcuni quotidiani.23 Da questa ricognizione puntuale emerge un quadro dell’offerta che – seppure
limitatamente a soli due mesi – si può ritenere più preciso di quello contenuto nei rapporti della
SIAE (che considera per lo più i soli spettacoli a pagamento e per i quali c’è comunque un
biglietto).
Osservando i dati della tabella 12, colpisce, in primo luogo, l’elevato numero di eventi musicali
svoltisi nei due mesi considerati: ben 682 a Febbraio e 560 a Giugno (che risente in particolare della
chiusura estiva del “cartellone” del musical, oltre che di altre contrazioni stagionali), per una media
giornaliera rispettivamente di 23,5 e 18,7 spettacoli. Se si sommano i due mesi si ottiene un valore
pari al 54% di quello rilevato dalla SIAE per l’intero primo semestre del 2007 (e addirittura
superiore considerando la sola musica leggera), il che significa che l’offerta da noi rilevata è
teoricamente quasi doppia rispetto a quella SIAE. Confronto non certo corretto sul piano
metodologico, ma utile a dare un’idea dell’ampiezza dell’offerta reale, che viene solo in parte
intercettata dalle statistiche ufficiali (specie con riguardo alla musica pop). E alla quale corrisponde
ovviamente una domanda aggiuntiva, che però non siamo in grado di quantificare.
La seconda sorpresa è che, appunto, Febbraio (con un giorno in meno) è un mese molto più
“musicale” di Giugno, forse perchè con l’arrivo dell’estate la città inizia a svuotarsi e anche la
musica tende ad andare in vacanza. La bella stagione non sembra nemmeno invogliare i concerti
rock (il cui numero anzi diminuisce, ma forse qui il conteggio di Giugno è stato in parte penalizzato
dalla presenza di alcuni festival-contenitori).
23
Il Corriere della Sera (compreso il supplemento settimanale Vivimilano), La Repubblica, Il Manifesto.
41
Tab.12 - Spettacoli musicali per tipologia rilevati nel Comune di Milano nei
mesi di Febbraio e Giugno 2008 - Valori assoluti e incidenza %
Febbraio
Giugno
N.
%
N.
%
Balletti classico
10
1,5
Barocco/antico
27
4,0
26
4,6
Classica
102 15,0
84 15,0
Contemporanea
14
2,1
16
2,9
Lirica
31
4,5
17
3,0
Jazz
75 11,0
73 13,0
Multigenere*
23
3,4
33
5,9
Musical
88 12,9
7
1,3
Pop/rock
260 38,1
242 43,2
Tradizionale**
39
5,7
35
6,3
Altre
13
1,9
27
4,8
Totale
682 100,0
560 100,0
Fonte: rilevazione MeglioMilano
* spettacoli dove la musica si unisce ad altra espressioni artistiche (teatro, danza,
poesia, immagini)
** comprende: blues, country, etnica, folk
Nel passaggio fra i due mesi la composizione dell’offerta – al di là degli effetti indotti dai cali
stagionali fisiologici (classica, lirica e soprattutto musical) - rimane sostanzialmente immutata
nell’ambito della musiche “colte”, mentre registra alcune differenze significative per gli altri generi
(jazz, musica “tradizionale” e “multigenere” vedono crescere il loro peso nell’offerta di giugno).
Spiccano in ogni caso (a febbraio) i quasi 90 spettacoli di musical, un genere (terzo dopo pop e
classica) che registra peraltro, come si è visto analizzando la domanda, l’apprezzamento crescente
da parte del pubblico milanese.
Non sorprende invece la scarsa offerta di concerti di musica contemporanea, da sempre considerata
una musica di nicchia. La contemporaneità e la sperimentazione sono peraltro in buona parte
presenti in quelle che abbiamo chiamato “musiche multigenere”, alcune delle quali derivano
dall’ibridazione della musica con altre discipline artistiche (il teatro, la danza, le arti marziali, la
poesia, a volte l’immagine). Due esempi per tutti: lo spettacolo “I La Galigo” per la regia di Robert
Wilson (rappresentato in febbraio al Teatro degli Arcimboldi) e la rassegna “La Giostra
dell’Apocalisse” (svoltasi nel mese di giugno), che ha visto tra gli altri anche il coinvolgimento
dell’ensemble milanese di musica contemporanea Sentieri Selvaggi. Se queste “performance”
rappresentano la “frontiera” dell’odierna innovazione musicale (o artistico-musicale), Milano
sembra dare qualche segnale incoraggiante.
Poca musica contemporanea a fronte di una musica classica che privilegia nettamente i compositori
più “amati” dal pubblico. A titolo di mera curiosità, nel corto mese di febbraio Mozart è stato
eseguito 32 volte, Beethoven 23, Bach 20, Brahms, Schuman e Chopin 15 a testa e via via, sempre
più nettamente distaccati, tutti gli altri (in verità non moltissimi) sino ai “poveri” Sibellius, Britten e
Schoemberg con una sola esecuzione. Sembra affacciarsi qui, anche nel caso della musica colta,
quel meccanismo di ascolto abitudinario che Adorno considerava una caratteristica della musica
popular o di massa, in base al quale è “sufficiente ripetere qualcosa sino a che questo diventi
riconoscibile per farlo accettare”. 24
Un’amante della musica pop rock può scegliere a Milano tra una decina di eventi giornalieri di
vario tipo e genere, che si raddoppiano durante i fine settimana. E’ la città musicale diffusa dei
locali notturni, dei pub, dei circoli, dei centri sociali, dei parchi cittadini e delle cascine in
24
Theodor W. Adorno, Sulla Popular music, Roma, Armando, 2004, p. 95.
42
primavera-estate, qualche volta - per i nomi “di grido” – dei teatri e dei Palasharp. Una città dei
giovani che raramente si mescola a quella degli adulti e anziani, spettatori pressoché esclusivi dei
concerti di musica classica. Una città amata-odiata da una miriade di gruppi amatoriali e di band
emergenti alla ricerca continua di luoghi in cui esibirsi e trovare un pubblico che presti loro
attenzione. Una città di ascolti e non ascolti, di sussurri e grida, una sorta di grande ed eterogeneo
“sound system” urbano. E’ la Milano capitale del rock, che fa città della musica esattamente come
(se non di più) la fanno il Teatro alla Scala e le altre grandi istituzioni musicali cittadine.
Chi invece ama il jazz trova a Milano un’offerta attenta e spesso di qualità, anche se sembra
mancare qualcosa capace di condensare questa offerta (la più ampia in Italia, insieme a Roma) in
una immagine “forte” di città del jazz.
Un’ultima notazione riguarda la musica cosiddetta “tradizionale” (un insieme eterogeneo di blues,
gospel, country, folk, world music) nel cui ambito occupano uno spazio ancora modesto le
espressioni musicali discendenti dalla società multietnica e multiculturale: l’Orchestra di Via
Padova, la Banda del Villaggio Solidale (il gruppo rom nato alla Casa della Carità), qualcosa a
Cascina Monluè, ed è praticamente tutto. La Milano delle oltre cento etnie diverse dovrebbe aprirsi
di più alle “musiche del mondo”.
3.2.2. I festival
Richard Wagner definiva il festival come “un momento particolare dove è possibile assistere a
qualcosa di eccezionale”.25 Forse adesso non è più così, data la proliferazione degli eventi
festivalieri e non costituendo più i festival le uniche occasioni in cui può accadere “qualcosa di
eccezionale”. Ma Wagner aveva comunque ragione, perchè un “grande” festival continua a essere,
ancora oggi, quello in cui si respira un certo clima culturale e si ha la sensazione di vivere
un’esperienza unica.
I festival giocano un ruolo essenziale nella vita degli artisti, ponendoli a contatto diretto con il
pubblico e rappresentando spesso (in particolare per le formazioni non permanenti) la fonte
determinate dei loro guadagni professionali. Essi assolvono a diverse altre e importanti funzioni:
favoriscono l’emergere di nuovi talenti e nuovi pubblici, sono un laboratorio per l’innovazione
(specie nel caso dei piccoli festival specializzati o di nicchia), coinvolgono e valorizzano i luoghi in
cui si svolgono, generano significativi indotti economici nel territorio.
Esistono quindi molteplici ragioni affinché i festival – che quasi sempre devono fare i conti con la
carenza delle risorse disponibili – costituiscano l’oggetto di specifiche attenzioni delle politiche di
sviluppo locali.
Durante il 2008 si sono svolti a Milano, secondo i nostri conteggi, 29 festival musicali. Si tratta per
lo più di festival “tematici”, che possono durare uno o due giorni (essendo magari alla prima
edizione) come snodarsi nell’arco di più mesi (è il caso di Milano Musica). Osservando la semplice
lista dei festival musicali milanesi (per ciascuno dei quali viene riportato il genere, il numero di
edizione e il periodo di svolgimento) emergono alcune evidenze. A incominciare dai vuoti e dai
pieni.
25
Citazione ripresa dal sito www.italiafestival.it.
43
Denominazione
Genere
N° ediz.
Cinque giornate per la nuova musica
Bad Boy Rock Festival
Polisuona Festival
Cantiere Rebel Street Fest
Rotten City Punk Festival
Freego! Festival
Mi Ami
San Vittore Sing Sing
Cultura Popolare Festival
Festival Latino Americano
Sud Sud
Bloom Live Festival
Milano Festival Barocco
Pop Circus Festival
Milano Flamenco Festival
Milano Jazzin’ Festival
La Notte di San Lorenzo
Evolution Festival
Festival degli anni ’60
East is West
Reggae Radio Station Festival
Mito Settembre Musica
Live Across (Progetto Music Across)
Rock of Age Fest
Trock! Festival
Festival Milano Musica
Milano Guitar Festival
Ah-Um Jazz Festival
Sabaoth Music Festival
Contemporanea
4
Rock
1
Rock
10
Rock
1
Rock
1
Rock
1
Rock
4
Rock
4
Tradizionale
2
Latinoamericana
18
Tradizionale
6
Rock
4
Classica
3
Rock
1
Tradizionale
1
Jazz/rock/blues
7
Worldmusic
21
Rock
4
Rock
1
Rock
4
Rock
1
Classica/Altri gen. 2
Rock
1
Rock
1
Rock
3
Contemporanea
17
Rock
2
Jazz
7
Tradizionale
5
Periodo
18-22 marzo
3 aprile
15-17 aggio
16-18 maggio
17 maggio
23-24 maggio
6-8 giugno
16 e 20 giugno
18-19 giugno
18 giu-18 ago
20-21 giugno
27-28 giugno
30 giu-5 lug
5 luglio
7-9 luglio
7 lug-7 ago
8-12 luglio
11-12 luglio
14 luglio
15-16 luglio
30 agosto
1-25 settembre
12-14 settembre
13 settembre
22-23 settembre
28 sett-8 nov
8-9-11 novembre
13-16 novembre
15 novembre
Ai periodi vuoti (autunno e inverno) si contrappongo quelli pieni: ben 19 festival su 29 si svolgono
tra l’inizio di giugno e la fine di settembre (in pratica, considerando la rarefazione agostiana,
nell’arco di tre mesi). Può essere che in estate i festival surroghino il calo dell’offerta conseguente
all’esaurirsi della programmazione normale (chiusura dei locali per il rock e dei “cartelloni” per la
classica e il musical), ma resta il fatto che a Milano tra dicembre e febbraio non si tenga nessun
festival e che tra novembre e aprile (cioè in sei mesi) se ne tengano solo cinque (più la coda di
Milano Musica iniziato a settembre), di cui uno a cadenza biennale (il Sabaoth, festival di musica
cristiana organizzato dalla Chiesa Evangelica), per una durata complessiva di una decina di giorni.
Soltanto tre sono i festival che potremmo definire “storici” (La Notte di San Lorenzo, il più longevo
di tutti, il Festival Latinoamericano e il Festival Milano Musica), mentre diversi appaiono in fase di
stabilizzazione o di consolidamento (in particolare il Polisuona, festival delle band studentesche
sorto in ambito Politecnico, unico caso di festival musicale universitario in una città – lo notiamo
tra parentesi – che di università ne conta dieci). La maggior parte dei festival è quindi di recente
costituzione (tra questi lo stesso Mito, che però ha tutta l’aria di essere nato per durare) e in dieci
casi alla prima edizione (alla quale potrebbe non seguire la seconda: evento non certo raro).
Infine i vuoti e i pieni dei diversi generi, dove il “rock“(termine puramente allusivo in quanto da
tempo non identifica più nessun genere musicale) la fa decisamente da padrone, con almeno un
festival di grande seguito e notorietà come quello di MiAmi (nonostante sia soltanto alla quarta
44
edizione), le iniziative di alcuni centri sociali (Torchiera, Leoncavallo, Cantiere), e così via, sino a
un progetto emergente di grande interesse come Live Across (che esplora le nuove tendenze del
panorama musicale europeo rivolgendosi ai talenti giovanili)26. Di particolare significato è il
Festival San Vittore Sing Sing, che porta la musica rock nei luoghi di reclusione (i carceri di San
Vittore e Bollate, l’istituto penale minorile Beccaria) e al quale partecipano anche gruppi nati
all’interno di questi spazi.
La musica “seria” conta quattro festival, ben distribuiti nel tempo, due dei quali dedicati alla musica
contemporanea (che detiene invece una posizione di nicchia nella programmazione normale). Pochi
o tanti che possano sembrare, qui la grande novità è costituita da MITO SettembreMusica – festival
internazionale tra Milano e Torino aperto anche ad altri generi musicali (jazz, rock, tradizionale). Al
di là del successo di pubblico registrato sin dalla sua prima edizione del 2007, l’aspetto forse più
positivo di MITO è quello di aver generato, almeno in certa misura, una domanda “nuova” di
musica, centrando quindi un obiettivo di fondamentale importanza per la vita e la durata di un
festival.27
Musica jazz e musica interculturale o etnica sono invece poco presenti nell’offerta festivaliera
milanese.
Nonostante la sua denominazione, Milano Jazzin’Festival (che si svolge all’Arena Civica) è solo in
parte - anche se si tratta di una parte di alto livello – un festival di musica jazz, mentre Ah - Um
Jazz Festival (organizzato dall’Associazione Collettivo-Jam e attento soprattutto alla realtà del jazz
italiano) costituisce di certo una rassegna dagli elevati contenuti culturali e musicali, ma che conta
un numero di concerti relativamente limitato. Per un città che voglia tornare ad annoverarsi tra le
capitali europee della musica jazz – come Milano è stata un tempo – sembra necessario fare
qualcosa di più, ossia elaborare un progetto, non necessariamente per nuovi festival, che sia
all’altezza di questa ambizione.
Una considerazione analoga può valere anche per le “musiche del mondo”, che trovano alla Cascina
Monluè (in particolare con la “valorosa e resistente” Notte di San Lorenzo) uno dei pochi momenti
di rappresentazione cittadina. Se solo si dà uno sguardo a quello che succede in giro nel mondo (ma
anche nella stessa Italia) si percepisce come a Milano – città interculturale e interreligiosa, dove si
affacciano ormai i giovani musicisti della “generazione 2” figli degli immigrati - la scena delle
musiche meticcie o di quelle derivanti dalle diverse tradizioni religiose sia ancora in parte da
costruire. A quest’ultimo proposito si pensi all’enorme significato che potrebbe avere per Milano in coerenza con la sua storia antica e presente e andando al di là di alcune pur pregevoli iniziative28
- l’organizzazione di un grande festival dedicato, un po’ come succede a Fés da 14 anni, alle
“musiche sacre del mondo”. Ah come sarebbe bello ed emozionante poter ascoltare, in qualche
luogo della città (magari in una chiesa), l’ensemble Al Kindi che esegue il “Stabat Mater Dolorosa”,
omaggio cristiano e musulmano a Maria, insieme alla musica sufi di Faiz Ali Faiz, ai canti sefarditi
dell’ensemble belga La Roza Enflorese29. Come succede appunto a Fés.
26
Live Across è all’interno del progetto interdisciplinare Music Across, promosso dalla Regione Lombardia, che si
presenta come un progetto nato per “favorire la produzione e distribuzione di nuove opere musicali al di là delle barriere
di genere tra musica colta e musica popolare, attraverso lo scambio e la contaminazione con l’arte figurativa, il cinema,
la narrativa”.
27
Cfr. Centro di Ricerca ASK Università Bocconi, L’impatto del Festival MITO SettembreMusica a Milano, SkiraEgea, 2008.
28
Come ad esempio la rassegna “La Musica dei cieli – Voci e musiche delle religioni del mondo” promossa dalla
Provincia , che peraltro interessa marginalmente Milano città.
29
In questa direzione sembra andare anche un’idea coltivata da Riccardo Chailly: “Per esempio, ho pensato a un festival
di musica sacra ecumenica, un festival in grado di abbracciare attraverso la musica tutte le religioni” (ripreso dalla
rivista Dialoghi Internazionali – Città del mondo, n. 4, Bruno Mondatori, 2007, p. 68).
45
Oltre ai Festival a Milano si svolgono numerose rassegne (e non sempre è chiara la differenza tra
una rassegna e un festival). La musica entra in rassegne interdisciplinari prestigiose (Suoni e
Visioni, La Milanesiana), va per abbazie, basiliche e chiese (Le Voci della città, Milano Arte
Musica, Musica per le Abbazie, Musica e Poesia a San Maurizio), risuona nei parchi (Il Ritmo della
città, Idroscalo in Festa), nelle ville (Notturni in villa), nei cortili (I Concerti di Palazzo Marino),
scorre lungo i Navigli (Classica e Lirica tra i Navigli), sale sul bus con le band giovanili (a bordo di
Ecobus Life Gate, talenti per natura), fa festa il 21 giugno per la Festa europea della Musica.
Forse ancora più rassegne che festival, alla fine. Forse anche troppo di troppo, che delimita dei
pieni, e poco di poco, che delimita delle assenze (magari importanti). Chissà se a Milano si è mai
ragionato pubblicamente del ruolo, delle caratteristiche e dei cambiamenti del “sistema festival”,
ossia intorno a fatti collettivi che costituiscono un aspetto rilevante della politica culturale,
richiedono e assorbono risorse economiche pubbliche e private in certi casi ingenti, dispiegano
energie intellettuali e organizzative, pongono problemi di valutazione, impattano in vario modo
sulla vita della città e nei suoi spazi. E che sembrano oggi evolvere verso nuove forme e nuovi
significati. Eventi pubblici in cerca di un’agenda pubblica? Forse no se si pensa che Milano, con la
sua offerta ricca e diversificata, sia tutto un festival dall’inizio alla fine dell’anno. Ma allora perché
farli, i festival?
3.2.3. I luoghi della musica
Nei due mesi di Febbraio e Giugno del 2008 si sono svolti complessivamente a Milano 1.242 eventi
musicali che hanno interessato 240 luoghi diversi. Una “marea” di musica in una apparente “marea”
di luoghi. Apparente perché il 61% dell’intera offerta si concentra in soli 32 luoghi con 10 e più
eventi musicali nei due mesi. Se si considerano gli 11 luoghi (il 5% del totale) a più elevata
intensità musicale – con 30 e più eventi, di cui si riporta qui di seguito, a titolo di curiosità, la
relativa “graduatoria” – il tasso di concentrazione si riduce al 33%, rimanendo comunque
elevatissimo.
Luogo
Teatro alla Scala
Conservatorio
Scimmie
Blue Note
Le Trottoir
Auditorium
Magnolia
Teatro Ventaglio/Smeraldo
Nidaba Theatre
Salumeria della musica
Forum Assago
Numero Eventi
52
45
41
39
36
35
34
33
32
31
30
La polarizzazione spaziale dell’offerta risulta ancora più evidente osservando i dati della tabella 13:
i luoghi con un solo evento rappresentano quasi il 41% ma assorbono appena l’8% del totale degli
eventi relativi ai due mesi considerati, mentre quelli con più di 20 eventi sono soltanto il 7,5% ma
concentrano ben il 45% dell’offerta complessiva.
46
Tab. 13 - Eventi musicali svoltisi a Milano per i mesi di Febbraio e Giugno
2008 in base alla classe di eventi - Valori assoluti e %.
Classe di eventi
1 evento
2 - 4 eventi
5 -10 eventi
11 - 20 eventi
oltre 20 eventi
Totale
Valori assoluti
Valori %
N. luoghi N. eventi N. luoghi N. eventi
98
98
40,8
7,9
86
234
35,8
18,8
28
199
11,7
16,0
10
151
4,2
12,2
18
560
7,5
45,1
240
1242
100,0
100,0
Fonte: rilevazione MeglioMilano
Se diamo un “volto” ai luoghi della musica, vediamo come teatri, auditorium e conservatorio, club e
locali, associazioni e centri sociali costituiscano gli spazi di gran lunga privilegiati dall’offerta di
spettacoli musicali (essi rappresentano nel loro insieme il 60% di tutti i luoghi e concentrano il 74%
di tutti gli eventi). Università e Musei si pongono in assoluto come i luoghi meno utilizzati, mentre
quelli religiosi accolgono una quantità significativa di eventi, più delle ville e dei palazzi “laici”. Gli
spazi pubblici all’aperto (piazze, strade, parchi e giardini) appaiono relativamente sottoutilizzati.
Tab. 14 - Eventi musicali svoltisi a Milano nei mesi di Febbraio e Giugno 2008
per tipologia di luogo - Valori assoluti e %
Tipologia luogo
Teatri
Auditorium e Conservatorio
Club e locali
Circoli, ass., centri sociali
Grandi spazi (stadio, Palasharp, ecc)
Ville, palazzi
Chiese e basiliche
Università
Musei
Piazze, gallerie, strade
Parchi, cascine, giardini
Altri (librerie, radio, ist. assistenziali)
Totale
Valori assoluti
Valori %
N. luoghi N. eventi N. luoghi N. eventi
29
239
12,1
19,3
2
80
0,8
6,5
55
371
22,9
29,9
56
230
23,3
18,6
5
67
2,1
5,4
11
40
4,6
3,2
21
53
8,8
4,3
7
13
2,9
1,0
3
4
1,2
0,3
19
60
7,9
4,8
15
50
6,3
4,0
17
33
7,1
2,7
240
1242
100
100
Fonte: rilevazione MeglioMilano
A Milano gli spettacoli di musica dal vivo tendono sì ad uscire dai luoghi deputati, ma fino ad un
certo punto. Alcuni spazi-simbolo della cultura cittadina – come il sistema universitario e quello
museale – appaiono piuttosto refrattari ad ospitare eventi musicali. Nella città della musica e della
cultura questo è un fatto in qualche modo sorprendente.
Al di là della sua fibrillazione policentrica, la musica vive per lo più nei suoi spazi “storici”, quelli
che conosce e frequenta da sempre, e dai quali ogni tanto “scappa”. E magari è giusto che sia così.
Ad ogni tipologia di spazio corrisponde poi, solitamente, un solo genere musicale, essendo poco
frequenti i casi di “contaminazione”: il jazz si suona sempre negli stessi luoghi, così la classica, così
47
il pop, così la lirica, così i musical. Come se ogni luogo avesse il suo “target” e solo quello. Ci sono
delle eccezioni, ma la regola è questa.
Forse la città della musica dovrebbe provare a mescolare un po’ di più le molte carte musicali che
può giocare. Non solo generi con generi, ma anche luoghi con generi e quindi luoghi con luoghi. In
fondo un bel concerto rock alla Scala non farebbe male a nessuno. E una bella “sonata” del
Quartetto d’Archi della Scala al Leoncavallo ancora di meno. Sarebbero due belle partite – a
giocarle.
48
Mappe
49
50
Mappa 1 – Case discografiche, etichette, edizioni musicali, sale prova e studi di
registrazione
Case discografiche ed etichette
Edizioni musicali
Sale prova e studi di registrazione
51
Mappa 2 – Imprese di produzione e distribuzione di strumenti musicali
Imprese
52
Mappa 3 – Associazioni e fondazioni attive nel settore musicale
Associazioni
Fondazioni
53
Mappa 4 – Scuole e istituzioni di formazione musicale
Scuole e istituzioni
54
Mappa 5 – Locali di musica dal vivo
Locali
55
Mappa 6 – Luoghi degli eventi musicali svoltisi a Milano nel febbraio e giugno
2008
Classi di evento
1 evento
Da 2 a 4 eventi
Da 5 a 10 eventi
Da 11 a 20 eventi
Più di 20 eventi
56
Parte seconda –La città della musica si racconta
57
Hanno raccontato la città della musica: Davide Anzaghi, compositore, presidente di Novurgìa;
Gianni Bombaci, presidente Associazione Secondo Maggio; Alfio Bosatra, direttore Orchestra
dell’Università degli Studi di Milano; Daniele Bubboli, direttore artistico della stagione di opera e
operetta del Centro Culturale Artistico Rosetum; Eugenia Buzzetti, Accademia Internazionale della
Musica; Alfredo Cappello, label manager Ammonia Records; Centro Sociale Barrio’s; Aurelio
Citelli, musicista e fondatore del gruppo Barabàn; Francesca Colombo, segretario generale di
MITO SettembreMusica; Luigi Corbani, direttore generale Fondazione Orchestra Sinfonica e Coro
Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi; Franco D’Andrea, musicista; Maurizio Deho’, musicista,
fondatore di Rapsodjia Trio; Filippo Del Corno, compositore, coordinatore artistico di Sentieri
Selvaggi; Maria Rosa Diaferia, docente Conservatorio G. Verdi di Milano; Franco Fabbri, docente
universitario, saggista; Davide Facchini, giornalista musicale di Radio Popolare; Leonardo Fiori,
architetto, presidente INU Lombardia; Claudio Formisano, vice presidente DISMAMUSICA;
Maurizio Franco, Musica Oggi – Civici Corsi di Jazz; Matteo Galli, direttore artistico della
rassegna “Le Voci della città”; Luca Garlaschelli, musicista, coordinatore della sezione lombarda
del SIAM; Nicoletta Geron, responsabile Ufficio Stampa Quartetto per Milano; Luigi Grazioli,
direttore artistico La Bottega Discantica; Jumpin’Jazz; Agostina Laterza, ex-responsabile della
Biblioteca del Conservatorio di Milano; Massimo Latronico, direttore Orchestra di Via Padova; Tito
Mangialajo, direttore artistico di Nord Est Cafè; Newmastering Studio; Emanuele Patti, presidente
di Arci Milano; Carlo Peruchetti, direttore produzione artistica Fondazione I Pomeriggi Musicali;
Marco Piccardi, curatore della rassegna “Suoni e Visioni”; Fiorano Rancati, direttore artistico del
festival “La Notte di San Lorenzo”; Rugginenti Editore; Federico Sacchi, A&R e project manager
Edizioni Curci; Lucia Sacco, insegnante di musica; Sana Records; Gianni Sibilla, docente
universitario, giornalista musicale; Società dei Concerti; Luisa Vinci, direttore generale Accademia
della Scala. A queste persone e organizzazioni si aggiungono un artista e un responsabile di
un’associazione culturale di Milano che hanno richiesto il completo anonimato.
A tutti va il riconoscimento di MeglioMilano.
58
4. Milano città della musica?
Una città della musica è - in prima approssimazione - una città caratterizzata da quattro aspetti
salienti di fondo: un' offerta di eventi, un tessuto di attori, un insieme di luoghi e di pubblici. Come
abbiamo visto diffusamente nella prima parte della ricerca, Milano presenta, ad un livello elevato,
tutte queste condizioni, potendo quindi essere detta "città della musica".
Quando però abbiamo chiesto ai nostri testimoni privilegiati, di solito all'inizio dell'intervista, se
Milano può essere definita o considerata una città della musica (e senza precisare che cosa
intendessimo con questa espressione), le risposte sono state diverse: "Sì, assolutamente"; "no,
assolutamente"; "sì, però". Ecco perchè il titolo di questo capitolo introduttivo alla “città
raccontata” ha un punto interrogativo.
Forse queste diverse percezioni rimandano ad una diversità di punti di vista sulla città in generale,
di cui la città della musica è parte. Perchè non stiamo parlando di Salisburgo o di Vienna, città per
così dire specializzate nella musica, ma di una "città di città" come Milano, dove la città della
musica convive con le altre città (della moda-design, della scienza e dell'innovazione, dell'arte),
tenendosi magari un po' defilata o essendo messa in ombra dal maggior "glamour" di sistemi più
riconosciuti (come appunto quello della moda-design).
La vera questione, in fondo, non è tanto se Milano sia o non sia una città della musica, ma se la
cultura in senso lato costituisca (o possa costituire), in una realtà ormai ampiamente postindustriale, l'elemento cardine per la costruzione di un nuovo modello di sviluppo della città stessa.
E dove il sistema musica - con tutta la sua particolare e costitutiva molteplicità di attori, di generi, di
culture, di conoscenze, di luoghi, di connessioni, di memorie e di passioni - può giocare una
funzione di "levatrice" della città della cultura.
I "sì" e i "no" decisi, come i "sì, però" dubbiosi, sembrano quindi rinviare ad una più vasta domanda
di città, oltre che di maggiore protagonismo della musica (come mostra con chiarezza lo stesso caso
di MITO). Lo vedremo meglio affrontando le singole questioni, dove la città è costantemente
implicata.
Un'ultima riflessione prima di passare alle testimonianze dirette rilasciate dagli intervistati. Oggi
Milano sembra attraversare un momento se non di rinascita almeno di "risveglio" musicale.
Nonostante la crisi dei consumi e i difficili bilanci delle famiglie in tempi di avanzante recessione
economica, la domanda di musica dal vivo tiene. Un grande e ancor giovane evento internazionale
come MITO SettembreMusica ha portato nuova linfa. Seppure in un quadro di risorse scarse gli
spazi di sperimentazione resistono o addirittura crescono. E dal 2009 Milano potrà di nuovo contare
su un luogo storico della sua vita culturale e sociale: il Teatro Lirico, oggi dedicato alla memoria di
Giorgio Gaber e attualmente in fase di restauro. Mentre la prospettiva Expo 2015 potrà stimolare e
alimentare nuove progettualità.
Ci sono quindi molte buone ragioni per prendere sul serio la città della musica, partendo dalle voci
che la raccontano.
Tra luci e ombre
Francesca Colombo: “Milano ha veramente molto da offrire. Le istituzioni musicali presenti sono realtà
attivissime, basti solo vedere il lavoro di coproduzioni internazionali fatto con la Scala, ma così le altre
realtà, come i Pomeriggi Musicali, il dal Verme, la Società del Quartetto: insomma tutte le realtà istituzionali
59
che hanno una grande storia e un grande prestigio. Ci sono poi tantissime realtà, magari più piccole, a partire
dalla musica antica sino alla musica contemporanea, che sono molto attive, molto curiose, che hanno
contenuti”.
Maurizio Franco: “I cittadini di Milano sono degli ottimi frequentatori di musica, di tutti i generi di musica.
Non credo che si possa dire, anche se molti glielo diranno: ‘ah, qui nessuno fa niente, la città è fredda e poco
accogliente’, ma non è affatto vero. Milano è una città ricettiva, ci sono rassegne stabili, il Comune sostiene
sia la parte della produzione, sia quella della formazione musicale e organizza anche cose in proprio... È però
una città discreta, dove non sbandieriamo le nostre realtà. Ce le teniamo per noi”.
Alfio Bosatra: “Secondo me Milano è la città della musica in Italia, non c’è nessun dubbio sotto questo
aspetto. Lo è non tanto però perché questo le sia riconosciuto istituzionalmente, o perché ci sia una
percezione collettiva, non dico nazionale ma neppure milanese. Lo è di fatto, perché a Milano c’è una
presenza e una ricchezza di soggetti musicali che producono o organizzano musica, che neppure Roma –
diciamolo pure perché poi il riferimento è quello, senza volere nulla togliere ad altri – che neppure Roma
ha”.
Gianni Sibilla: “Sicuramente la musica è una delle offerte culturali principali della città, ma a me sembra che
a livello di riconoscimento istituzionale, a livello di visibilità, non sia forse la principale. Milano, secondo
me, non tributa alla musica tutto quello che potrebbe tributare. La musica porta molta gente a Milano, porta
concerti, porta eventi importanti di diversa natura però non credo che da parte delle istituzioni non
strettamente musicali, delle istituzioni politiche, ci sia questo grandissimo riconoscimento”.
Milano è dunque una città ricca di musica, potendo contare sulla presenza non solo di grandi e
prestigiose istituzioni ma anche di una molteplicità di soggetti, spesso di piccola “taglia”, capaci di
generare un’offerta musicale assai variegata e di qualità, nonché su di un pubblico attento e
ricettivo.
Eppure Milano – nelle sue istituzioni come nei suoi cittadini – non sembra avere una
consapevolezza adeguata di questo suo patrimonio diffuso e di valore inestimabile che è la musica.
Come se Milano faticasse a “riconoscersi”, sul piano della coscienza collettiva, città della musica in
senso forte.
Questa percezione ambivalente è forse riconducibile ad alcune “ombre” che sembrano gravare sulla
città della musica: l’ombra di un passato recente giudicato più vivo, l’ombra globale del sistema
moda e l’ombra “antica” della Scala.
Tito Mangialajo: “Negli anni ‘50 e ‘60 Milano era molto attiva musicalmente su più fronti: sia sul fronte
della musica classica, per la presenza della Scala, che sul fronte della musica più moderna, perché c’erano
artisti come Bruno Maderna e la cerchia dei suoi pupilli. C’era un centro della Rai, c’era la musica leggera; il
grande jazz era a Milano perché c’era il Lirico, c’erano locali come il Santa Tecla, il Capolinea, la Caverna
Messicana e tutti i grandi musicisti internazionali passavano di qua… Secondo me è cambiato – premetto che
sono un po’ prevenuto nei riguardi del fenomeno moda – ma il fenomeno moda ha preso il sopravvento su
tutto il resto”.
Carlo Peruchetti: “A Milano si fa tanta musica. Il dramma di Milano è la sopravvalutazione della Scala, non
perchè la Scala non meriti di essere valutata come una struttura fondamentale, ma perchè l'attenzione della
politica e quindi dei media è spostata in maniera esagerata sulla Scala. Questo porta le istituzioni a occuparsi
soprattutto di questa struttura, dimenticando magari che tutto quello che ci sta intorno può essere utile anche
alla buona riuscita dei programmi che fa la Scala”.
Filippo Del Corno: “Attualmente Milano non è una città della musica, non è una città della musica per molte
ragioni non ultima una ragione storica. Cioè a Milano esiste quello che è considerato il più grande teatro
lirico d’Italia che è la Scala, nel contempo questa preminenza delle attività della Scala ha fatto sì che non
nascesse attorno un autentico tessuto musicale nella città. Questa grande istituzione rischia di fare un’ombra
60
troppo ampia e troppo distruttiva rispetto al tessuto musicale di una città che dovrebbe essere appunto una
città della musica”.
Federico Sacchi: “Ormai a Milano è rimasta soltanto la presenza di grandi eventi, che però non fanno di
Milano una città musicale perché sono cose importate da fuori e quindi restano fine a se stesse, non creano
un sistema, un contesto di aggregazione attorno alla musica. Sotto questo punto di vista finora le
amministrazioni non hanno aiutato perché i fondi sono stati utilizzati per lo sviluppo della moda, alla musica
è stato dedicato veramente poco”.
Milano città riconosciuta della moda e del design ma non della musica, se non per la Scala, anzi a
causa della presenza troppo ingombrante della Scala, secondo un giudizio che accomuna diverse
testimonianze e non solo quelle qui riportate. Ovviamente, il problema non è la Scala, ma lo
sguardo “scalacentrico” della città quando si parla di musica.
Certo, la Scala è un grande “brand” internazionale di Milano e un’istituzione simbolo agli occhi
degli stessi milanesi e non solo (basti pensare all’intramontabile rito della “prima” che si ripete ogni
anno), ma per fortuna la città della musica non è solo la Scala (e neanche soltanto un brand).
L’altra ombra che si allunga sulla città della musica è quella della città della moda-design, che già
sul finire del Novecento “scacciò” la prima dall’area Garibaldi-Repubblica, dove adesso si è
insediata, un’area a quel tempo ambita, appunto, anche dalla città della musica. Di nuovo un
marchio internazionale di Milano e uno sguardo centrico, in questo caso “modacentrico”, a
spiazzare la città della musica.
Anche il passato sembra proiettare un cono d’ombra sul presente. Il cosmopolitismo, la ricchezza e
la vivacità della scena musicale milanese nei “gloriosi ‘60” vengono di frequente ricordati nelle
interviste. Una sorta di “età dell’oro” della vita culturale della città, vissuta un po’ come una perdita
venata di nostalgia.
Guardare oltre la moda, oltre la Scala, oltre il passato. Oltre le ombre. Guardare cioè al tessuto
musicale che nella città esiste e opera alla luce del sole, ogni giorno, ma che stenta a porsi come un
tratto riconosciuto e propulsivo dell’identità moderna e proteiforme di Milano. Semmai a fare
problema è l’ombra che non c’è, quella debole e impalpabile prodotta da un tessuto a maglie troppo
larghe.
Franco Fabbri: “A Milano c’è un grosso mercato della musica dal vivo e ci sono altri aspetti importanti, che
riguardano per esempio la formazione - c’è il Conservatorio, ci sono comunque corsi universitari, c’è la
Scuola Civica, ci sono molte scuole private, che riguardano sia la formazione musicale in senso stretto che la
formazione di tecnici: dalla Scuola della Scala al CPM ad altre cose. Quindi, c’è molto movimento, da
questo punto di vista. La mia personale impressione è che però tutto questo sia molto poco connesso, che sia
un sistema molto “lasco”, diciamo così; per usare un’espressione molto di moda è un sistema che non fa
sistema, che non è incoraggiato a fare sistema”.
Ma avremo modo di tornare più diffusamente sulla questione del sistema musica milanese che non
fa sistema, perché essa ricorre in gran parte delle interviste, confermando il detto in base al quale
“la lingua batte dove il dente duole”.
Raffronti internazionali
I nostri protagonisti sono spesso in giro per il mondo, a far concerti, incidere dischi, tenere seminari
o altre cose. E’ stato quindi per loro un fatto pressoché spontaneo confrontare, sulla base dell’
esperienza diretta, la situazione di Milano con quella di altre città europee. Vediamo qualche
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esempio, iniziando da una piccola storia raccontataci da Filippo Del Corno, che fa un po’ sorridere,
ma piuttosto istruttiva.
“Io cito sempre un aneddoto che a me ha stupito, ma che risulta indicativo. Noi abbiamo un contratto
discografico con una casa produttrice americana che ha sede a New York e che si chiama Cantaloupe.
All’uscita del nostro primo disco da Cantaloupe mi mandano il comunicato stampa che diceva ‘a un
centinaio di chilometri da Torino, la città della musica, c’è Milano, città della moda, ma è strano notare come
anche nella città della moda ci siano fermenti musicali interessanti come Sentieri Selvaggi’. Al che io ho
chiamato l’addetto stampa del Cantaloupe e ho detto ‘guardate che avete un po’ esagerato, è vero che Torino
è una grande città dal punto di vista musicale ma definire Milano solo come la città che sta a 100 chilometri
da Torino mi sembra un po’ riduttivo’. Così lui mi ha detto ‘sì, forse hai ragione, ma sai noi non siamo
italiani, noi abbiamo fatto un esperimento: abbiamo digitato sui siti delle case editrici di musica
contemporanea dove sono avvenute le prime assolute o le prime italiane dei nostri principali artisti di musica
contemporanea, quindi dove sono state le prime internazionali di Steve Reich, Torino, dove sono state le
prime di Louise Andriessen, Torino, Philippe Glass, Torino, il numero di risposte Torino era talmente
sovrabbondante rispetto alle altre città che da questo c’è venuta l’intenzione di scrivere quella cosa là’.
Quindi Milano è vissuta internazionalmente come città della Scala. Ma è un po’ poco, perché la musica non
si esprime soltanto con l’opera lirica”.
Ancora una volta il Teatro alla Scala e il sistema moda a “egemonizzare” l’immagine internazionale
di Milano. Eppure, anche per la musica lirica e l’opera, ci sono nel mondo città che sembrano fare
le cose davvero in grande. Come Seul.
Daniele Ruboli: “Tutti hanno avuto dei pittori, poeti, scultori, architetti, musicisti di musica strumentale, ma
soltanto l'Italia ha inventato questo ‘recitar cantando’, che poi diventa il melodramma e l'opera. Quindi è
l'unica arte originale italiana. E l'Italia è uno dei paesi che la trascura maggiormente. Perchè, voglio dire, se
noi riceviamo della gente che viene a studiare o a perfezionarsi in Italia da Seul vuol dire che a Seul fanno
l'opera. E infatti a Seul hanno creato per l'opera un teatro che è il doppio della Scala, perchè tiene 5.000
posti. Io ho un amico, che è anche uno dei miei collaboratori, direttore di orchestra, eccetera, che quattro
volte all'anno va a dirigere a Seul e lui è entusiasta, e dell'accoglienza e di come questa gente lavora”.
Luisa Vinci: “Sicuramente siamo la città che ha il primo teatro d’opera al mondo ma non credo che all’estero
ci vedano come la città della musica perché non abbiamo un’orchestra sinfonica stabile cittadina. La Verdi
nasce come orchestra giovanile e grava in grossi problemi suoi, mentre l’orchestra del teatro non è
un’orchestra sinfonica e comunque fa solo 9 concerti all’anno. Orchestra sinfonica stabile è quella di Torino,
che fa 30 programmi all’anno moltiplicati per 2 sere sono almeno 60 concerti all’anno. Altri problemi che
non fanno di Milano la città della musica a livello internazionale sono la carenza, a parte qualche episodio
isolato, di una programmazione originale e dedicata al nuovo”.
Lucia Sacco: “Ad Amsterdam, per esempio, ci sono, in tutte le università, orchestre di studenti universitari.
A Milano c'è per caso l'orchestra Alessandro Crudele... Ma potrei citare anche la Spagna, un paese che
sembrava dietro di noi, ma che in realtà dal punto di vista musicale è sempre stato più avanti, perchè anche ai
tempi di Franco facevano musica sin dall'asilo, avevano comunque istituzioni musicali di prestigio. Adesso
hanno orchestre - perchè hanno puntato molto sul turismo di qualità e sulla cultura - e ci sono tanti italiani
che vanno a suonare in Spagna, vanno a fare delle audizioni e si fanno assumere da orchestre spagnole. Con
tutto il rispetto per gli spagnoli, però è veramente triste...”.
Una pur grande, e se vogliamo magnifica, “infrastruttura” come il Teatro alla Scala non costituisce
una dotazione sufficiente a fare di Milano una città internazionale della Musica. La carenza di
orchestre sinfoniche stabili – evidenziata anche da altri intervistati – non consente di approntare e
realizzare una programmazione di musica colta paragonabile, per intensità e ampiezza, a quella che
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si riscontra in altre capitali europee. Milano non costituisce quindi un’eccezione in un paese, come
l’Italia, dove le “grandi” orchestre stabili sinfoniche si contano a stento sulle dita di una mano.
In questo deficit sembra ancora avvertirsi il vuoto lasciato dalla chiusura dell’Orchestra Rai di
Milano, sciolta nel 1994, e non del tutto colmato da un’Orchestra come La Verdi in perenne
difficoltà. Inoltre, in quegli stessi anni, chiudeva i battenti un’altra orchestra stabile storica di
Milano, l’Orchestra dell’Angelicum, dalla quale è nata, per iniziativa di alcuni suoi musicisti
“fuoriusciti”, l’Orchestra Milano Classica, che di fatto rappresenta l’unico complesso stabile da
camera presente in città. La Milano “sinfonica” di quindici anni or sono appariva quindi meglio
attrezzata di quanto lo sia oggi.
La stessa capacità di attrarre orchestre di valore internazionale non appare particolarmente elevata,
sebbene con MITO le cose sembrino migliorare.
Alfio Bosatra: “A Milano ci sono buone orchestre, anche il pubblico meriterebbe di ascoltare dal vivo
qualcuna delle grandi orchestre a livello internazionale, non solo europeo, per esempio quelle del Nord
America”.
Il quadro tracciato dai nostri interlocutori appare assai diverso da quello emerso nella prima parte
della ricerca dove avevamo individuato, tra orchestre e ensemble, oltre 20 formazioni di musica
strumentale stabilmente attive a Milano. Ma questo tessuto locale sarebbe forse ancora più ricco se
potesse contare su una più forte presenza delle grandi orchestre sinfoniche, le uniche in grado di
garantire repertori ampi e diversificati.
Non si tratta peraltro solo di un problema di quantità, perché un altro limite internazionale di
Milano segnalato dagli intervistati è la sua scarsa propensione al nuovo, all’innovazione. Milano è
conosciuta nel mondo per la moda ma non per la musica contemporanea, al punto che la presenza in
città di un ensemble come Sentieri Selvaggi desta lo stupore degli americani. Strano che sia così per
la “capitale mondiale” del design. Ma si tratta di un aspetto importante che vedremo meglio in
seguito.
Lo “status” di Milano città internazionale della musica – o meglio di una città paragonata ad altre
città sul piano delle attività musicali - non si eleva di molto anche sul fronte della cosiddetta
popular music.
Gianni Sibilla: “Credo che comunque Milano stia abbastanza al passo delle principali città europee. Non è al
livello di Londra, ma dopo Londra Milano sta lì. Penso ad esempio ai grandi gruppi musicali americani che
quando vengono a fare la promozione in Europa vanno a Londra e poi a Milano. Le principali città di
promozione in Europa sono Londra, Milano e Parigi, alla fin fine, anche se poi in realtà il mercato della
musica italiano è molto più debole di quello francese o tedesco. Diciamo: Londra, Parigi, Berlino e poi
Milano, comunque siamo lì”.
Franco Fabbri: “Io vado spesso in Inghilterra - a Liverpool, a Newcastle. Ad esempio, a Newcastle c’è un
meraviglioso auditorium progettato da Norman Foster e costruito da tre o quattro anni, che ha un programma
molto ricco e vario. Ma al di là di questo, lo spazio è stato costruito mettendogli dentro un grande numero di
piccole e grandi sale prova, che vengono utilizzate dagli studenti delle università e del conservatorio per fare
qualsiasi musica. C’è ad esempio una scuola di musica folk dell’Inghilterra del nord, dove studiano le
cornamuse e queste cose, che si trovano lì, e magari nello stesso giorno c’è nella sala grande l’orchestra
sinfonica che sta provando Brahms”.
Emanuele Patti: “In Inghilterra si può suonare ovunque. A Londra vai in un pub e in sette metri quadrati c’è
un concerto e lo stesso avviene a Berlino. La musica non viene vista come un fastidio, come un rumore, ma
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come un piacere. C’è proprio una cultura diversa. A Barcellona, in Andalusia e anche nella stessa Francia, in
costa Azzurra. Un po’ di mesi fa sono stato a Nizza, c’era un festival dislocato su cento piazze”.
Fiorano Rancati: “Se io penso a una manifestazione come quella di Musiche Urbane di Barcellona, che per
scelta opera tutto l'anno, è fatta di interscambi tra la Spagna, la Germania, l'Inghilterra, ecc., frequentatissima
dal pubblico giovanile che vuole fare musica e vedi invece quanto succede a Milano, vedi come sia possibile
poi all'interno delle periferie di Barcellona che nascano gruppi musicali fortissimi e come qua invece non ci
sia un equivalente. Allora, o gli spagnoli sono più intelligenti di noi o il contesto è un po' diverso”.
Vista “tornando dall’estero”, la Milano della popular music appare quasi come una piccola città di
provincia. E non tanto o non solo per la carenza degli spazi, ma sopratutto per quello che in questi
spazi accade o non accade. Perché per fare e ascoltare buona musica può essere sufficiente anche un
piccolissimo pub di sette metri quadrati.
Certo, tutti (o quasi) i “tour” delle grandi star internazionali della musica rock fanno tappa (spesso
unica per l’Italia) a Milano, che da questo punto di vista non appare molto diversa da Parigi, Londra
o Berlino. E non c’è cantante italiano di una qualche fama che, all’uscita del suo nuovo album, non
venga prima a presentarlo a Milano, cioè nella città del mercato.
Si diceva spazi, che a Milano – tra locali, circoli, associazioni e strutture varie - non sembrerebbero
mancare, dando forma a volte a delle vere e proprie “street” musicali (come succede esattamente
nelle grandi città del mondo). In realtà, più che gli spazi sembrano mancare o essere deboli le
relazioni intorno agli spazi e tra gli spazi.
A Milano (come abbiamo visto nella prima sezione di questo Rapporto) ci sono molte sale prova,
ma diverse sale prove messe in un contesto polifunzionale e attrattore come l’auditorium di
Newcastle (e magari oggi anche di Roma) generano un effetto sociale, relazionale e culturale molto
diverso e certamente più ricco e stimolante rispetto alla loro semplice localizzazione “atomistica”
nel grande spazio della “città infinita”, dove al massimo possono enuclearsi dei “cluster” più o
meno casuali.
A Milano vivono duecentomila studenti universitari, ma le dieci università cittadine non
funzionano, al di fuori di alcune rare occasioni, come spazi musicali a disposizione dei giovani
(cosa invece abbastanza abituale nelle altre città universitarie europee). E oltre centomila immigrati,
portatori di culture musicali altre, ma poi è solo un miracolo della Casa della Carità se si riesce a
fare la banda di musicisti rom del Villaggio Solidale.
Solo pochi esempi per dire come la questione degli spazi della musica sia in realtà più un problema
di relazioni e interconnessioni, ossia una questione culturale o meglio ancora di politica culturale.
Questa prima serie di testimonianze ha messo in evidenza alcuni punti di forza (forse non molti, ma
che comunque esistono nella percezione diffusa) e altri di debolezza (di cui in realtà è sempre più
facile parlare) sui quali avremo modo di ascoltare nuovi racconti e riflettere ulteriormente (toccando
anche altri aspetti) nei paragrafi successivi.
Tali racconti sembrano comunque dirci, nel loro insieme, una cosa di fondo: che una città è della
musica nella misura in cui la musica è della città. Questo potrebbe dirsi anche delle diverse città che
convivono a Milano (della moda-design, della conoscenza, dell’innovazione, dell’arte). Ma nessuna
di queste ha il volto pervasivo della città della musica, che è ovunque, ogni giorno, e forse in misura
persino eccessiva. E’ qui sembra stare la contraddizione: che la musica è nella città, ma non
(ancora) della città. O, detto diversamente, che una città della musica è qualcosa di più di una città
dove semplicemente si fa della musica.
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5. Tra tradizione e innovazione
In questo capitolo affronteremo il delicato aspetto dell’offerta musicale.
Cercheremo di presentare, attraverso le parole dei nostri intervistati, le principali caratteristiche del
“sistema musicale” milanese, evidenziandone i punti di forza come gli elementi ritenuti di maggiore
criticità. Avendo condotto il nostro studio con esponenti di vari generi musicali - artisti,
organizzatori d’eventi, promotori, responsabili di locali e strutture dedicate alla musica, formatori –
desideriamo soffermarci, laddove possibile, anche sugli aspetti che contraddistinguono una
particolare area musicale, in modo da evidenziare casi di eccellenza che possono essere ritenuti
motivo di esempio per altri ambiti o situazioni più critiche.
Proseguiremo il nostro discorso sull’offerta musicale con una riflessione sullo spazio dedicato alla
sperimentazione e all’innovazione in questo ambito, nonché al mondo della musica etnica, intesa
nella sua doppia accezione di musica popolare italiana e musica proveniente da culture estere.
Infine, nel tentativo di restituire un quadro completo della realtà della musica a Milano, desideriamo
concludere proponendo le riflessioni sull’aspetto speculare all’offerta musicale: la domanda, e
quindi il pubblico, inteso nella sua accezione più ampia e generica, con attenzione alle particolari
tipologie di audience.
L’offerta musicale oggi
Riguardo al mondo dell’offerta musicale sul territorio di Milano, è stato nostro interesse indagare
sia gli aspetti qualitativi che quelli quantitativi, con l’obiettivo di cogliere tanto il valore
riconosciuto e attribuito all’offerta musicale in termini di qualità, quanto la sua ricchezza e varietà.
Abbiamo quindi posto ai nostri intervistati la questione attraverso delle domande aperte lasciando
loro la possibilità di dare una valutazione libera di entrambi gli aspetti e di soffermarsi sulle
dimensioni che ritenevano più significative.
Ne è emerso quasi all’unanimità che Milano possiede un’ampia e ricca offerta musicale entro la
quale spaziano molti generi, per non dire tutti.
Alfredo Cappello:“ Milano è assolutamente multigenere nel senso che c’è di tutto. È multietnica e
multigenere. Anche perché l’offerta della musica dal vivo è di tutti i generi, soprattutto a livello
internazionale”.
Questa notevole quantità di offerta musicale presenta tre aspetti salienti. È in primo luogo
“concentrata” su particolari tipi di prodotti musicali o è proposta da artisti molto noti, senza lasciare
spazio per proposte alternative, nuove, sia in termini di contenuti che di professionisti coinvolti aspetto interessante che riguarda soprattutto la visibilità dell’offerta.
In secondo luogo – e avremo modo di approfondirlo nel capitolo 8 – la ricchezza dell’offerta incide
significativamente sulla capacità di potere comunicare gli eventi, sulla gestione degli spazi, in
generale sulla pianificazione dell’informazione inerente il mondo della musica a Milano, tanto da
indurre alcuni intervistati a supporre che i cittadini milanesi siano spesso poco informati e non
partecipino agli eventi per l’impossibilità di potere seguire più performance contemporaneamente.
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Maria Rosa Diaferia: “L'offerta musicale milanese non è molto coordinata, ogni istituzione ha il suo
calendario e va un po' per la sua strada. Il livello è mediamente alto, con dei picchi altissimi. Quello che
secondo me è il difetto fondamentale di questa attività è la possibilità di fruirne”.
Infine, l’offerta musicale è “poco organizzata”. La comunicazione, infatti, è strettamente legata al
terzo aspetto, quello della pianificazione degli eventi stessi e della loro eventuale sovrapposizione.
L’assenza di un vero e proprio sistema della musica, di un piano di coordinamento dell’offerta,
incide sulla gestione del tempo e, come dicevamo, sulla partecipazione del pubblico.
Filippo Del Corno: “Dal punto di vista quantitativo l’offerta è a volte sovradimensionata rispetto alla
domanda. Ci sono troppe occasioni di musica rispetto all’effettiva domanda del pubblico. Ma non è tanto un
problema del settore musicale ma del comparto culturale della città. Milano è una città che vive di una
ribollente attività creativa che si esprime nel teatro, nell’arte, nella musica, nella moda, nel design, nell’arte
visiva, nella letteratura e questo fa sì che si verifichi una sorta di moltiplicazione di tante proposte, troppe per
essere poi estremamente dispersive – nel mondo della musica manca clamorosamente il sistema nelle altre
arti forse un po’ meno – e alla fine in un certo senso l’offerta si disperde in mille rivoli… Ci capita il più
delle volte di trovarci a parlare con delle persone che hanno un alto livello di consumi culturali e c’è una
prima parte della serata in cui circola la litania ‘ah, Milano è una città culturalmente morta, perché non c’è
niente a Milano’; e una seconda parte in cui scopri che è impossibile accordarsi per fare qualcosa insieme
perché se stai dietro a tutto ciò che offre la città diventa complicato incontrarsi”.
Il giudizio sulla qualità dell’offerta è quasi unanime e globalmente positivo. La maggior parte degli
intervistati ritiene che l’offerta di musica dal vivo sul territorio milanese non sia solo ampia, ma
anche di notevole valore qualitativo. Entrando poi nel merito di ciascuna realtà musicale, dunque di
ciascun genere, sono emerse alcune differenze.
La qualità dell’offerta è attribuibile all’indiscutibile talento dei musicisti che si formano e che si
esibiscono a Milano. Come avremo modo di approfondire meglio nel capitolo dedicato al rapporto
tra musica e formazione, la città può infatti vantare una tradizione molto consolidata di scuole e
conservatori di altissimo livello che si distinguono tanto in Italia quanto nel mondo. Non mancano
presenze internazionali sia all’interno dei corsi, che nella rosa di artisti che desiderano esibirsi nei
nostri teatri cittadini, primo fra tutti il Teatro alla Scala.
Se questo discorso sulla formazione dei musicisti è particolarmente calzante per alcuni generi –
come la musica classica, la contemporanea e il jazz – diverso è il giudizio espresso per la musica
rock e altri generi minori, per i quali spesso la mancanza di spazi adeguati per le prove e le basse
retribuzioni riservate a chi si esibisce dal vivo nei locali, impediscono di puntare in alto nella
qualità. Questo incide sulla qualità del prodotto offerto al pubblico e di conseguenza sul livello di
chi può permettersi di esibirsi, in genere amatori della musica che la praticano come seconda attività
o come hobby.
Luca Garlaschelli: “Aveva detto il mio maestro una volta e sottoscrivo: ‘questo paese è da anni che sta
cercando di uccidere questo tipo di lavoro’. E ci sta riuscendo. Tanto è vero che ormai la maggior parte dei
ragazzi, delle persone che dicono di fare questo lavoro si riducono ad essere dei dopolavoristi. Fanno un altro
mestiere, compreso l'insegnamento. La verità è che se tu vuoi eccellere in un campo come quello della
musica devi studiare sempre. E se tu la mattina fai il panettiere e la sera vai a suonare, potrai fare dei
repertori semplici ma nulla di più. Anche in questo diventeremo il fanalino di coda dell'Europa”.
La qualità è legata anche ai luoghi in cui si fa musica. Rimandando al capitolo successivo una
trattazione più mirata e approfondita, possiamo dire che gli spazi a disposizione, tanto per la musica
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definita di alta cultura, quanto per la musica più popolare, sono spesso acusticamente inadeguati,
talvolta troppo ampi, altre volte troppo piccoli, in alcuni casi poco accoglienti e scomodi per
“ascolti” che richiedono anche comfort e “immedesimazione”, come pure la qualità delle
attrezzature messe a disposizione per la resa del suono, elementi che compromettono il risultato
finale dell’esibizione.
Nicoletta Geron: “Mancano delle sedi dove fare musica, perché le sedi sono ormai sproporzionate al
pubblico: abbiamo un Conservatorio da 1600 posti, il Teatro alla Scala, ma mancano in realtà le piccole sedi.
Hai presente i grandi cinema? Ormai sono diventati multi sala, nel senso che hai la necessità di avere film
d’essay in una sala da 200 posti, la sala per il filmone, ecco un po’ lo stesso succede per i mondo della
musica. A Milano manca la sede per concerti alternativi al Conservatorio. Questo vuol dire molto e influisce
moltissimo sul pubblico, in realtà, e sulla proposta musicale che puoi fare perché è chiaro che una certa
proposta musicale va adeguata alla sala in cui si svolge. C’è un rapporto strettissimo tra la sala, pubblico e
offerta musicale, sono assolutamente collegati fra di loro”.
Possiamo dunque dire che sia a livello qualitativo che a livello quantitativo Milano ha grandi
potenzialità: andrebbero meglio coordinate al fine di valorizzare l’offerta musicale, adeguatamente
supportate da azioni di intervento come la riqualificazione degli spazi e la valorizzazione delle
risorse umane presenti sul territorio.
Nelle prossime pagine entreremo nel merito di aspetti più mirati che permettono di completare il
quadro generale dell’offerta musicale nella città.
Circuiti e festival
Abbiamo già sottolineato in altri punti l’assenza a Milano di un piano della musica, di un progetto
di coordinamento che comprenda e gestisca la ricca offerta musicale milanese.
Per restare in tema desideriamo soffermarci su due aspetti che hanno a che fare con
l’organizzazione.
Il primo riguarda l’assenza, o meglio, la sporadica presenza di un circuito musicale che spesso in
realtà viene sgretolato in mini circuiti di genere.
Filippo Del Corno: “A Milano manca in maniera spaventosa, direi quasi patologica, un sistema della musica:
ognuno va per conto suo, tranne la sfera della musica contemporanea che ha piccole istituzioni come noi o
Divertimento Ensemble, o istituzioni più grosse come Milano Musica, dove il più delle volte si riescono a
realizzare collaborazioni comuni. Il mondo della musica classica invece va per conto suo, in una direzione
propria, ostinata a contraria rispetto alle altre, determinando una totale assenza di sistema che si riverbera in
scelte assolutamente deliranti”.
Un esempio positivo è invece il circuito del jazz, che ha nell’Associazione Musica Oggi il suo
principale centro nevralgico, attorno al quale ruota una parte importante della pianificazione
dell’offerta di musica di questo genere sul territorio milanese.
Maurizio Franco: “Noi, intendo Franco Cerri, Enrico Intra e il sottoscritto, abbiamo un’associazione, Musica
Oggi, che è Ambrogino d’oro, e poiché si occupa di jazz il fatto è rilevante. La nostra è un’attività
complessa, in cui abbiamo un ruolo nella didattica con la fondazione e la gestione, da 21 anni, dei Civici
Corsi di Jazz; poi nella pubblicistica e naturalmente nell’ambito concertistico, con la produzione di eventi
entrati nel tessuto culturale milanese, oltre a realizzare sinergie con altre associazioni. Il nostro obiettivo
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primario è quello di fare ciò che non viene fatto da altri. Questa è la nostra linea in tutti gli ambiti e quindi
realizziamo molte produzioni originali”.
Proseguendo una riflessione per generi, possiamo dire che anche la musica rock segue logiche
organizzative e promozionali autonome rispetto a un ipotetico sistema musicale più ampio. Nel rock
e nel punk ad esempio
“Ci sono dei link privilegiati dove comunichi con una struttura piuttosto che con un’altra però è anche vero
che Milano ti offre più possibilità per cui tu puoi sempre scegliere e sfruttare la concorrenza a tuo vantaggio.
Non ci sono però dei legami fissi, non so come dirti”.30
Diversa è la situazione della musica classica, dove la presenza del Teatro alla Scala costituisce un
forte catalizzatore dell’offerta musicale che, da un lato genera un indotto economico e produttivo
notevole, dall’altro è ritenuto responsabile di un elevato assorbimento delle risorse economiche
investite nel settore, a discapito di realtà più piccole. È un sistema molto concorrenziale in cui
prevale la logica dei “compartimenti stagni”, delle attività isolate, senza punti di connessione, come
afferma il direttore della casa editrice musicale Rugginenti.
“Dal mio punto di vista – sto parlando adesso della musica seria, di quella classica e operistica – ci sono dei
compartimenti stagni: non so, la Scala fa le cose sue, il Conservatorio fa le cose sue… e si cerca ogni tanto di
integrare”.
Lentamente, ma con una certa incisività, si muove l’ambito della musica contemporanea, nel quale
alcune esperienze definite unanimemente d’eccellenza, come Sentieri Selvaggi, sono in grado di
offrire prestazioni di altissimo livello, con un efficiente coordinamento nella programmazione.
Filippo Del Corno: “Non è un sistema strutturato, è basato sul fatto che non c’è belligeranza ma anzi volontà
di collaborare: le cose che facciamo sono semplici, perchè cerchiamo di non sovrapporre mai le date, se ad
esempio il festival Milano Musica ha un’attività in un certo mese, noi ci concentriamo su un altro, o magari
cerchiamo di non affrontare lo stesso argomento o lo stesso autore. Cerchiamo una minima cooperazione,
che manca nel mondo della musica classica perché c’è molta concorrenza, molta rivalità e soprattutto non c’è
voglia di collaborare. Noi riusciamo a collaborare perché la musica contemporanea costituisce
sostanzialmente una nicchia del settore della musica classica formata da appassionati, curiosi, non c’è una
vera e propria realtà di mercato”.
Un altro nodo critico è rappresentato dall’esperienza dei festival a Milano. Su questo aspetto i
giudizi sono discrepanti. Parte degli intervistati considera eccessiva e, per l’appunto, non
adeguatamente pianificata l’offerta di iniziative, definite, secondo alcuni impropriamente,
“festival”, che spesso non fanno che aumentare le sovrapposizioni, proporre tematiche di scarso
interesse o eccessivamente settoriali. In altre testimonianze, invece, l’offerta milanese di festival
viene giudicata insufficiente e poco distribuita nei luoghi della città.
30
Alfredo Cappello.
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Aurelio Citelli: “Negli ultimi anni secondo me non è molto utilizzato lo strumento del festival o forse lo è
solo per certi tipi di musica: ad esempio non esiste ormai da anni un festival legato alla musica altre.
Paradossalmente continua ad esserci questa attenzione più allo spettacolo che alla musica come esperienza
culturale, al grande evento più che al contenuto… cosa che c’era invece in passato”.
Emanuele Patti: “Secondo me i festival a Milano non sono tanti. In altre città c’è molto di più. Quello che
manca a Milano è la capacità di non fare festival tutti localizzati su un unico punto. Ho visto che nelle altre
città europee, ma anche italiane, c’è la tendenza a distribuire gli eventi musicali in più luoghi. Una cosa
simile la fa a Milano il Festival Cinque Giornate, di musica contemporanea, per il quale abbiamo messo a
disposizione i nostri circoli… Bisognerebbe prendere lo spunto da quello che succede con il Salone del
Mobile, durante il quale ci sono una serie di eventi distribuiti in tutta la città, per cui la città viene come
mappata”.
Nella città dei festival – poco o tanti che siano – diverse, e spesso di alta qualità, sono le iniziative
consolidatesi nel tempo, che offrono eventi musicali concentrati in pochi giorni e distribuiti magari
in diversi luoghi della città, contribuendo quindi alla loro valorizzazione. Come ad esempio la
rassegna “Musiche dai cieli”, conosciuta forse come una rassegna musicale breve, che viene
proposta ogni anno nel periodo natalizio.
Aurelio Citelli: “La Provincia organizza Musiche dai cieli, dall’anno scorso anche col Comune di Milano: è
una rassegna legata alla musica sacra, diciamo di tipo natalizio, o comunque si svolge nel periodo natalizio…
Si tiene in chiesa ma non solo, a Milano e in provincia, nel periodo di dicembre e gennaio”.
Nicoletta Geron: “Adesso c’è questo piccolo festival barocco che in una settimana raggruppa tutti gli eventi
in programma. E’ alla terza edizione, inizia il 30 giugno e finisce il 5 luglio, quindi proprio piccolo: una
settimana di programmazione, si è chiamato festival, da quest’anno ‘Milano festival barocco’, in realtà solo
perché è concentrato. Propone musica barocca a San Simpliciano, presenta anche un libro, ci sono delle
visite guidate, c’è il coinvolgimento di queste meravigliose pietre di san Simpliciano, dei chiostri
quattrocenteschi”.
Non mancano anche i casi di ottime iniziative che, a causa della carenza di fondi o per l’eccessivo
sforzo richiesto al singolo organizzatore, rischiano di scomparire. Il superamento delle difficoltà
attraverso lo sforzo personale non può che mettere ulteriormente in evidenza la passione che lega
artisti e professionisti al mondo della musica e ciò è ben espresso dalle parole di un nostro
intervistato, non strettamente riferite all’esperienza dei festival, ma sicuramente esemplari di molte
situazioni associative musicali sul territorio milanese.
Davide Anzaghi: “Noi esistiamo grazie ad un'azione volontaristica, non riceviamo una lira, casomai ce ne
mettiamo, ma siamo felici di farlo, noi consideriamo un privilegio occuparci di queste cose, ma siamo tristi
per gli altri. Che non sanno che ci sono cose belle, cose meritevoli di attenzione”.
Altre iniziative sono costrette a ridimensionarsi, come il famoso Festival di San Lorenzo, che era in
precedenza rivolto prevalentemente alla musica etnica e che ha cambiato il suo impianto artistico,
perdendo in parte il potere comunicativo e la sua stessa natura di musica multiculturale, mentre la
“Festa della musica”, che si celebra ogni anno, il 21 di giugno, in tutte le città d’Europa sembra
svolgersi a Milano, con il trascorrere del tempo, in tono minore.
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Maurizio Franco: “Il festival Le notti di San Lorenzo all’inizio era un meraviglioso festival di musiche dal
mondo e adesso mi pare una manifestazione che non ha più l’impatto di un tempo, anche se continua a
proporre concerti di qualità organizzati da persone competenti”.
Aurelio Citelli: “Un tempo si faceva la festa della musica a Milano che era un grande momento collegato alle
altre città europee, dove ancora fanno una festa della musica: non so se è la stessa cosa, ma è comunque
molto ridotta rispetto a prima”.
Il festival è dunque una risorsa se spesa opportunamente come strumento promozionale dell’offerta
del territorio e come occasione di coinvolgimento dei cittadini. Come alcuni hanno sostenuto,
Festival significa innanzitutto “festa”, ossia incontro, partecipazione, condivisione di una ricchezza
culturale che è il patrimonio artistico e musicale di Milano.
MITO SettembreMusica: un festival speciale
Merita una trattazione a sé il caso del Festival Internazionale MITO SettembreMusica, che
quest’anno è alla sua seconda edizione e che probabilmente diventerà un appuntamento fisso.
Questo festival nasce dal coinvolgimento della città di Milano all’interno di una iniziativa già
consolidata del Comune di Torino – Festival Settembre Musica – che coinvolge artisti di fama
internazionale, musicisti appartenenti a diversi generi, con una programmazione che abbraccia tutto
il mese di settembre proponendo concerti gratuiti o comunque a prezzi contenuti.
L’esperienza di MITO ha diviso in due il mondo della musica, una spaccatura emersa anche dalle
nostre testimonianze. Vi è chi la considera un’iniziativa non solo lodevole e di alta qualità, ma
soprattutto qualcosa di indispensabile, in grado di dimostrare come si possa fare circuito all’interno
del mondo della musica e del tessuto milanese.
Per entrare maggiormente nello specifico, possiamo individuare diverse motivazioni forti che fanno
propendere verso una valutazione positiva di MITO.
In primo luogo, come già sottolineato, è soprattutto l’occasione di sperimentare una forma di
coordinamento del sistema musica a Milano, un sistema che non riguardi esclusivamente un genere
particolare ma che sia in grado di comprendere e coinvolgere artisti e talenti provenienti da diversi
ambiti.
Franco D’Andrea: “Bellissima iniziativa, io l’ho trovata bellissima proprio come concetto. Perché comunque
si sono messe insieme delle cose, si è fatto sistema, non in maniera perfetta ma è stato almeno un inizio. E
poi si sono realizzate cose interessanti, con risultati molto potenti, soprattutto sotto l’aspetto della
partecipazione della gente e della promozione dell’evento. Gli eventi hanno avuto una promozione adeguata,
sono stati conosciuti bene, la comunicazione è arrivata bene, sono stati organizzati con una certa
distribuzione del tempo e nei luoghi in modo che non si sovrapponessero tra di loro. Insomma questo è un
evento con una potenzialità enorme. Ben vengano iniziative di questo genere”.
MITO è, inoltre, l’occasione per “aprire” le porte della città a un’offerta internazionale di altissimo
livello che diversamente, soprattutto per ragioni economiche, risulterebbe difficile ospitare e che, in
ogni caso, rappresenta un elemento di forte innovazione per la città.
Maurizio Franco:“MITO è una scommessa molto importante, che dà rilievo nazionale e internazionale a
Milano, che viene identificata come città della musica e non solo come la città del Teatro alla Scala”.
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Un’offerta così ricca e varia, libera o a prezzi contenuti, è ritenuta da diversi intervistati l’occasione
per offrire un’educazione musicale trasversale a determinate fasce di pubblico che, per mancanza di
tempo, di risorse o di competenze, non seguono determinati generi musicali e non partecipano ad
eventi di musica dal vivo. Questo processo di apertura a generi meno popolari rappresenta un
tentativo di democratizzazione poco “coltivato” nella normale programmazione musicale della città.
Alfio Bosatra: “Essendo un festival, io ritengo che dovrebbe rappresentare, almeno per la parte milanese, un
elemento anche di sintesi di tutto ciò che accade nell’arco dell’anno nel campo della musica classica.
Occorre dire che uno dei pregi del festival MITO è quello di trattare linguaggi differenti. Il programma di
quest’anno opportunamente presenta il festival in sezioni e questo oltre ad essere di importanza per il
pubblico fa emergere con evidenza il fatto che il festival propone musica di tanti linguaggi differenti. Non è
compito del festival MITO creare questa rete, però credo che il Comune, in particolare, debba farsene carico
assolutamente”.
Ancora, il coinvolgimento di due grandi città - da sempre legate, magari in un rapporto di rivalità,
da un punto di vista storico e culturale -, costituisce un interessante esempio di un superamento di
quei confini geografici, che ben si addice a una città cosmopolita e aperta come Milano.
Eugenia Buzzetti: “Credo sia stata un’esperienza molto interessante perché ha unito le due città, Milano e
Torino, che culturalmente hanno sempre rappresentato le due grandi rivali del nord. Io credo che l’unione
faccia la forza, e questo vale ancora di più per il mondo della musica. Le contaminazioni culturali sono
fondamentali per questo tipo di arte”.
Non mancano le considerazioni sui risvolti positivi in termini di “potere comunicativo” dell’evento,
come abbiamo visto da alcuni stralci già riportati. Da un lato, l’ampiezza delle risorse stanziate
permette di dare molta visibilità; dall’altro, la stessa comunicazione su MITO diventa un modo per
parlare e far parlare di musica a Milano. Questo festival rappresenta quindi un’importante risorsa
non solo per chi a vario titolo ne è direttamente coinvolto, ma anche per tutti quei soggetti che
ruotano attorno al mondo della musica che, nel mese di settembre, diventa la protagonista della città
.
MITO è un festival non vincolato a un luogo preciso e ciò rappresenta un elemento di innovazione
particolarmente importante e significativo per la città di Milano. La maggior parte degli eventi si
svolge in teatri della città e anche in “spazi urbani” – pubblici e privati, al chiuso o all’aperto – che
per l’occasione diventano “spazi musicali”. Il festival diventa l’occasione per distribuire la musica
sul territorio, per avvicinare l’esperienza dell’ascolto alla cittadinanza, portandola in posti
solitamente “vissuti” per altri scopi. Sia nella precedente edizione che in quella di settembre 2008,
sono state interessate da questo progetto di “coinvolgimento urbano” anche le periferie,
caratterizzando MITO come occasione di valorizzazione tanto della musica quanto del territorio.
Tra le opinioni positive possiamo includere anche le considerazioni ottimistiche sui possibili
sviluppi futuri. MITO è un’iniziativa particolarmente giovane, che sarà certamente migliorata e
implementata, facendo tesoro dell’esperienza e dei suggerimenti della cittadinanza. E già tra la
prima e la seconda edizione è stato possibile notare degli elementi di novità, come l’apertura ad altri
generi musicali, non presenti nell’edizione precedente. Partendo dal presupposto che MITO
rappresenti un’occasione importante per Milano, non si può che auspicarne l’ulteriore
rafforzamento in termini organizzativi e di quantità e qualità degli appuntamenti proposti.
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Se quelle proposte sino ad ora sono le considerazioni positive attraverso le voci autorevoli dei nostri
intervistati, non mancano le riflessioni più critiche31 – sia pure molto limitate – di alcuni di loro che,
pur riconoscendo il valore e la qualità di un evento come MITO, manifestano alcune perplessità.
La prima considerazione riflette sulla ricchezza dell’offerta in un periodo di tempo relativamente
contenuto. Secondo alcuni intervistati, la varietà dei temi musicali proposti e la programmazione di
appuntamenti quasi quotidiani, in alcuni casi in parallelo, non ha un effetto valorizzante.
Fiorano Rancati: “La scelta dell'anno scorso di fare un festival ricchissimo come MITO secondo me non sta
pagando. Prima di tutto perché le scelte non sono fatte da operatori milanesi (ma questo detto non in termini
di campanilismo), poi perché si pensa di esaurire la proposta musicale della città in un mese, non
perseguendo all'interno dell'anno tutta una serie di collocazioni che potrebbero essere importanti. Se tu ti
esaurisci dentro una realtà autarchica poi è anche difficile per le realtà produttive locali crescere perché non
hanno terreni di confronto”.
Nonostante l’acronimo del festival riporti per prime le iniziali di Milano, essendo questo un evento
ereditato dall’esperienza torinese risente molto degli effetti esterni e ciò, a detta di alcuni
intervistati, costituisce un aspetto che rende la città meno protagonista di quanto potrebbe.
Luigi Corbani: “Ha senso a Torino, ma la stessa cosa fatta a Milano non ha la stesso impatto. Tanto è vero
che a Torino già la scorsa edizione ha avuto più successo che a Milano, pur essendo Milano il doppio di
Torino in termini di abitanti. Questo testimonia che mettendo tanti soldi non è che la cosa funziona per
forza”.
Nicoletta Geron: “Torino ha assunto un ruolo di vicinanza anche ingombrante con Milano, però si è data un
modello musicale, riuscendo in qualche maniera a fare sistema, almeno apparentemente a fare sistema. Cioè
ad avere un ruolo di dialogo tra le istituzioni che fanno musica. A Milano questo si stenta a fare molto”.
Altri intervistati si sono soffermati sulla qualità degli eventi proposti, suggerendo che si potrebbe
osare molto di più in termini di innovazione e sperimentazione, non solo rispetto ai soggetti
coinvolti, e dunque magari lasciando lo spazio a nomi meno noti, ma anche rispetto ai contenuti
proposti, evitando i repertori già consolidati L’elemento caratterizzante per un festival, qualcuno
suggerisce, è proprio il proporre cose nuove, create per quella particolare occasione, che in questo
modo diventa “evento”:
Luigi Corbani: “Una rassegna in cui metti dentro di tutto di più è come la fiera degli obei obei. I grandi
festival sono dei festival di produzione, come per esempio il Rossini Festival, che è il fiore all’occhiello
italiano, è un festival di produzione attorno alla figura di Rossini, il Salisburgo Festival, il Lucerna Festival.
Tutti festival che commissionano operazioni ex novo, non limitandosi semplicemente ad ospitare delle
orchestre che sono in tournée in quel periodo e che portano lo stesso programma a Milano come in un’altra
città”.
31
Le osservazioni critiche che proponiamo sono da considerare come parti di un discorso più ampio. Nell’ambito più
generale di un evento riconosciuto unanimemente come importante e significativo, sono stati individuati dei nodi critici
che vanno letti come aspetti complementari e non sostitutivi delle osservazioni proposte poco sopra. Ricordiamo inoltre
che gli stralci individuati sono esemplificativi di più osservazioni raccolte e non della singola opinione di un
professionista.
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Tito Mangialajo: “Sinceramente l’ho trovato un’occasione mancata. Come al solito si propongono gli stessi
nomi, i soliti noti, nessuno rischia niente: questo è il problema della musica in Italia, in generale. Si propone
quello che si sa che funziona e un po’ è così è stato…”.
Non mancano infine critiche legate ai costi gestionali dell’evento, critica del resto intuitiva,
considerate le scarse risorse economiche a disposizione di chi “fa” musica.
Lascia non poche perplessità, infatti, il fatto che il budget a disposizione di MITO sia notevolmente
superiore, in proporzione, alle risorse stanziate per la copertura dell’intero anno di programmazione
musicale.
Ciò influisce tanto sul pubblico, quanto sui musicisti ospiti dell’evento, soprattutto quelli
internazionali. Secondo alcuni intervistati, la possibilità di vedere offerti gratuitamente determinati
eventi musicali riduce nello spettatore medio la possibilità di partecipare, pagando, ad altri
appuntamenti nel corso dell’anno.
Nicoletta Geron: “Siamo tutti molto preoccupati da questo tzunami che ci travolge in settembre: noi che
cominciamo la nostra stagione in ottobre, come molte altre società, abbiamo la sensazione che dopo questa
totale immersione nella musica di tutti i tipi e molto spesso anche molto accessibile dal punto di vista del
costo, il pubblico, di fronte a una rassegna che ti costa tanto, che devi fare anche pagare, visto che non ci
sono sovvenzioni, 35- 40 euro, forse fa un passo indietro, dice ‘aspetto un po’, vedo, scelgo’…”.
Nonostante i giudizi meno positivi che abbiamo proposto in questa ultima parte del paragrafo,
possiamo dire che il festival MITO è considerato unanimemente come un’opportunità per la città di
Milano, che va potenziata, ben sfruttata e ben armonizzata tanto con il tessuto cittadino quanto con
le esigenze del mondo della musica che “vive” nella e della partecipazione della città.
L’innovazione difficile
Abbiamo già accennato al tema dell’innovazione nell’offerta musicale, descrivendo questo
elemento come determinante nella valutazione della proposta di eventi artistico-musicali della città.
Abbiamo parlato di concentrazione dell’offerta su specifici generi musicali e da parte di soggetti
che operano in un’ottica settoriale, orientata in base alle richieste del proprio pubblico o della
propria “tradizione”.
Naturalmente, la focalizzazione, sia in termini di genere che di produzioni e proposte, condiziona
molto il livello di innovazione percepita dagli operatori del settore.
Il principale elemento di condizionamento dell’apertura al nuovo sembra dunque essere
conseguenza di un orientamento al consolidato per “assecondare” un pubblico forse ritenuto più
ingenuo di quanto effettivamente non sia.
La paura più grande che emerge con forza dalle nostre interviste sembra proprio essere legata al
timore di intaccare il proprio zoccolo duro di pubblico.
Davide Anzaghi: “Nel caso della musica, mi sembra che la profezia di un filosofo quale fu Theodor Adorno,
che diceva che il pubblico vuole più riconoscere che non conoscere - quindi risentire per l'ennesima volta una
sonata di Beethoven piuttosto che confrontarsi con una musica sconosciuta - si sia avverata e che non ci
siano segni consistenti di cambiamento”.
Franco Fabbri: “Milano manca di una forte spinta nell’innovazione musicale. Che vuol dire molte cose, ma
che certamente anche in senso stretto vuol dire che Milano non è un luogo dove il pubblico è molto
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incoraggiato ad ascoltare cose nuove e dove i musicisti sono incoraggiati a fare cose nuove. Non che non ci
siano musicisti a Milano che sperimentano, che innovano, ecc., ma in genere vanno a fare queste cose
altrove. E poi magari quando sono diventati famosi ritornano a Milano e ripresentano queste cose… Nè a
livello del piccolo circuito dei locali, nè soprattutto a livello dei grandi teatri (auditorium, ecc.), c’è una
consuetudine al nuovo. E questo si sente molto, perchè quando capita che qualcuno corra il rischio, a Milano,
di portare qualcosa di nuovo incontra molti più problemi di quanti non ne incontrerebbe in altre città
italiane”.
Se dunque da un lato la limitazione verso il nuovo appare come una scelta – il legame e la fedeltà al
proprio repertorio di proposte - dall’altro è più il risultato di una politica conservativa volta più a
“mantenere” che ad aprirsi a nuovi generi e soprattutto a nuove tipologie di pubblico.
Un simile atteggiamento da qualche osservatore privilegiato è stato interpretato come una
svalutazione delle competenze musicali del pubblico, non ritenuto all’altezza di un’offerta di
avanguardia.
Fiorano Rancati: “Il teatro internazionale e un certo tipo di musica sperimentale non passano più di qua. Con
uno sbaglio che è stato fatto essenzialmente sul piano politico e che è un atteggiamento di sottovalutazione
del pubblico milanese. E' che da un certo momento in poi il dato fondamentale per un politico nell'ambito
dell'organizzazione culturale è diventata la visibilità di sé. E il pensare - per avere questa visibilità - di andare
incontro ai gusti del pubblico, non preoccupandosi più dello sviluppo del nuovo e del livello di ricerca, di cui
invece una città come Milano ha bisogno”.
Uno sguardo un po’ più ampio mette in evidenza come lo scarso spazio lasciato all’innovazione nel
mondo della musica sia alla base di un circolo vizioso in cui la mancanza di una proposta
alternativa diventa la motivazione principale di una scarsa predisposizione all’ascolto del nuovo da
parte del pubblico. È come se si generasse un “effetto assuefazione” in cui, non nutrendo la
curiosità dei destinatari delle stagioni musicali attraverso proposte alternative, non investendo in
una intervento alla predisposizione all’ascolto, non si “educa” il pubblico alla ricezione del nuovo e
alla sperimentazione.
Nel mondo della musica, innovazione però non significa esclusivamente “qualcosa di nuovo”, che
non c’era prima. La sperimentazione in ambito musicale può riguardare anche la contaminazione tra
generi, l’apertura verso musiche contemporanee ma dalle origini geografiche e culturali “lontane” o
ancora la riscoperta di vecchi stili musicali – nelle versioni tradizionali o riarrangiate secondo le
grammatiche più moderne.
Dunque il tema dell’innovazione ci porta ad affrontare anche alcuni aspetti che riguardano quella
che oggi viene definita musica etnica.
Questa etichetta, che arricchisce la tassonomia dell’offerta musicale contemporanea, assume una
doppia accezione. Con essa, infatti, siamo soliti indicare tanto la musica popolare legata alla
tradizione italiana, quanto i generi e i prodotto musicali che fanno parte del patrimonio di altre
culture.
Secondo l’opinione dei nostri intervistati, e soprattutto di quelli che vivono da “dentro” il settore
della musica etnica, Milano, nella sua programmazione musicale, non riserva un adeguato spazio a
questi generi. Nel caso della musica etnica d’oltralpe, l’offerta al momento è limitata a piccoli
ambiti, spesso connessi a luoghi specifici come i circoli Arci, in cui questo genere viene “sposato”
come filo conduttore della propria programmazione. È ovvio che simili logiche e simili
contestualizzazioni ristrette non fanno che rendere questo tipo di proposta un’offerta di nicchia.
Davide Facchini: “Secondo me c'è poca organizzazione. Da questo punto di vista siamo ancora prima del
microcircuito di cui parlavo per generi musicali che ovviamente sono molto più consolidati. Ogni tanto
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capita di trovare il cantautore senegalese, un po' francofono, che riprende un po' la tradizione d’autore
francese, voce e chitarra acustica... Qualcosa trovi in giro, ogni tanto qualcuno al quartiere Isola, al Biko, la
serata al Leoncavallo, anche qua a Radio Popolare, ma è ancora poco organizzata, tre o quattro passi
precedenti a un'organizzazione di microcircuito... Probabilmente tanti ragazzi che potrebbero proporre
musica purtroppo hanno tante altre cose a cui pensare che vengono prima: non abbiamo a Milano
un'integrazione di seconde o terze generazioni come quella francese, che… Di G2 s'incomincia a parlare solo
adesso, a Milano, e il primo a farlo è proprio Radio Popolare. C'è una trasmissione che si chiama Toubab,
che insegna a conoscere e guardare il nostro vicino di casa italiano con gli occhi dello straniero, e dj Toubab,
che è la costola serale musicale, in cui un ragazzo di seconda generazione viene e analizza il suo impatto con
la realtà italiana anche dal punto di vista musica, porta i suoi dischi…”.
Il riscontro di eventi ed iniziative di questo genere sembra prospettare ampi margini di diffusione
grazie alla sensibilità mostrata da parte del pubblico.
Ma vi è un elemento ancora più significativo e potenziante per la musica multietnica o multi
culturale, ovvero il fatto che questo genere musicale ben si commistiona con altri ambiti ricreativi e
culturali – come la danza, la cucina, ecc. - sempre più di moda anche a Milano.
Ad esempio, è possibile trovare stagioni musicali o singoli festival tematici che utilizzano la musica
multietnica come strumento per la conoscenza di “culture altre”, non solo attraverso la stessa
proposta musicale, ma anche abbinando esperienze complementari come la degustazione di cibi
tipici, corsi di danza etnica, spettacoli in qualche modo connessi alle origini di quella particolare
civiltà straniera.
Il genere maggiormente rappresentato – a Milano come in altre parti d’Italia – attraverso festival,
spettacoli e stage di danza è indubbiamente la musica latina, ma comincia a farsi sempre più
presente anche la musica tzigana. Ciò dipende in parte dai fatti di cronaca recentissimi che hanno
portato alla ribalta questa cultura e hanno stimolato in questo modo la “necessità” di conoscere
meglio le sue origini e le sue tradizioni. Ma possiamo ritenere altrettanto importante l’opera di
alcuni artisti del tessuto milanese – in primis Moni Ovadia - da sempre sostenitori e promotori di
musiche di questo genere.
Rappresenta un interessante esempio anche l’orchestra di via Padova, risultato della volontà del
maestro Latronico e di un gruppo di musicisti che intendevano sperimentare la commistione non
solo di generi ma anche di artisti provenienti da tradizioni culturali differenti:
Massimo Latronico: “L’Orchestra di via Padova è un’orchestra che raccoglie nove differenti nazionalità
anche se poi nazionalità non è un termine che mi piace molto utilizzare: sono anche mondi completamente
differenti da un punto di vista musicale, oltre che culturale e di linguaggio”.
La musica etnica italiana, invece, trova uno spazio più contenuto tanto nell’offerta quanto nella
produzione. In modo particolare, quella proveniente dalla regioni del sud è maggiormente fruita e
proposta di quella strettamente lombarda e milanese.
Lo stesso processo di contaminazione tra arti, per esempio, può avvenire anche nel caso di musiche
etniche e popolari della tradizione italiana. Nel caso del tessuto milanese sembra particolarmente
presenta la cultura salentina che, con i ritmi incalzanti della pizzica, riesce a coinvolgere i più
giovani e intrecciare la musica con la danza e la gastronomia.
Davide Facchini: “Rispetto agli anni '60-70 come musica popolare del nord Italia o di tradizione milanese
evidentemente c'è meno visibilità, meno offerta. Però c'è molta più musica popolare che arriva dalla
globalizzazione. Negli anni '60 quanti ragazzi andavano a fare i due mesi in Salento: campeggio, reggae e
cannoni, tammurriate, pizzichi, ecc. C'è un feed-back degli ultimi 15 anni su questo tipo di musica. Secondo
me d'inverno trovi più manifestazioni di musica popolare salentina a Milano che nel resto d'Italia... Quindici
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anni fa avresti mai detto che a Milano ci sarebbe stato per cinque sei sette anni di seguito un festival di
quattro giorni di Capoeira? Io lo trovo affascinante e stupendo”.
Chi si occupa di musica popolare lombarda lamenta un crescente disinteressamento tanto da parte
del pubblico che da parte delle istituzioni per questo tipo di offerta culturale che avrebbe ancora
molto da offrire alla città. Interessante a questo proposito la testimonianza del gruppo musicale
Barabàn, che oltre a portare sul palco – preservandole e contribuendo alla loro conoscenza – le
canzoni tradizionali della cultura milanese e in generale lombarda, ormai da diversi decenni si
occupa di reperire, archiviare e catalogare repertori tradizionali della musica popolare della nostra
regione.
Aurelio Citelli: “Questo gruppo, che è anche un’associazione culturale, è un gruppo musicale nato negli anni
80 iniziando a fare ricerca sulla musica popolare legata al territorio lombardo; era il momento in cu si
lavorava soprattutto sulla propria regione o il proprio territorio. Baradàn è un gruppo che ha quindi alle
spalle 25 anni di attività e si occupa prettamente di musica popolare, che poi è stata definita in tanti modi
negli ultimi anni, musica etnica o musica della tradizione orale o comunque facendo riferimento a questo
grande patrimonio culturale che il nord Italia. Abbiamo iniziato facendo ricerca in questo campo sulla base di
quello che è stato fatto da grandi raccoglitori come Roberto Leydi, Umberto Piana, negli anni 60- 70, Italo
Sordi e molti altri…”
E anche in questo caso vengono sollevate considerazioni critiche sulla possibilità degli spazi lasciati
alla musica etnica
Aurelio Citelli: “Negli ultimi anni non ci sono più spazi, è impossibile fare concerti, per una serie di motivi: e
è diventato più difficile e complicato organizzare concerti dal punto di vista normativo e finanziario e
dell’organizzazione di un evento… Sono venute a mancare delle piccole situazioni. E’ una musica molto di
nicchia questa, non è musica da grandi platee, come si fa all’estero: è musica che si fa nel folk club o in
piccole situazioni di festa. Negli anni 80 c’erano ancora dei posti e delle situazioni dove si poteva esprimere
questa musica e anche tutta una serie di corsi e di seminari di approfondimento, che sono poi corsi di musica,
di strumento, di danza, di canto. Purtroppo ci sono ancora poche realtà che hanno conservato e tenuto in vita
queste attività e sono soprattutto legate a delle piccole realtà… C’è davvero poca attenzione per la memoria,
che non è chiaramente soltanto la memoria della città di Milano, ma di tutte le culture che si mescolano
tantissimo”.
La musica, soprattutto quella legata alle proprie tradizioni, è un elemento collante e rafforzativo di
un’identità culturale, sempre meno presente in una città metropolitana come Milano.
“E’ un cambiamento del costume, della città, una riduzione degli spazi di socialità che erano una volta più
numerosi. La cultura popolare è sempre stata poco protetta, poco sovvenzionata e per nulla considerata
cultura… Tutta la cultura non scritta non è stata mai considerata cultura vera e propria e quindi di fatto non
sono mai stati erogati grossi finanziamenti o organizzati grossi eventi legati alla cultura popolare”.
La maggiore cura da parte delle istituzioni e una maggiore attenzione da parte del pubblico per
questo genere di musica potrebbero, quindi, rappresentare una risorsa fondamentale in grado di
intervenire su due fronti particolarmente significativi per la città: l’integrazione culturale e la
costruzione di una identità territoriale e cittadina più forte.
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Attraverso la musica sarebbe possibile portare avanti e sostenere un piano integrato di intervento sul
tessuto cittadino, capace di far scaturire una maggiore apertura verso le nuove culture e una
riscoperta delle origini della propria.
L’offerta allo specchio: considerazioni sul pubblico
Una valutazione generale dell’offerta musicale non può prescindere da una riflessione sul pubblico
o meglio sui pubblici che popolano le platee milanesi.
Abbiamo quindi chiesto ai nostri testimoni di raccontarci il loro punto di vista sul “pubblico della
musica dal vivo” a Milano. Le opinioni raccolte sono particolarmente ricche, legate soprattutto al
genere musicale di cui di volta in volta l’intervistato era competente.
Una prima considerazione è che esistono diverse tipologie di pubblico che possono essere suddivise
in base ai generi: il pubblico della musica classica, il pubblico di quella contemporanea, gli
appassionati di jazz, chi segue i concerti di musica rock, e così via.
In generale emerge una connotazione comune alle diverse tipologie, che riguarda essenzialmente il
livello di attenzione rivolto alla musica e la capacità selettiva rispetto alla qualità dell’offerta.
Eugenia Buzzetti: “Basta con il luogo comune che il pubblico non ne capisce niente di musica. Anzi. Quando
viene interpellato sa dare un giudizio e lo fa con criterio. Chi si occupa di musica lo fa solamente per non
sforzarsi di fare una programmazione intelligente”.
Riguardo al primo punto, l’opinione di molti intervistati è che il pubblico risulti in linea di massima
particolarmente sensibile e attento alla proposta musicale della città.
Franco Fabbri: “Credo che il punto di forza sia l’esistenza di un grosso mercato, dato dalla disponibilità
delle persone di andare a sentire musica dal vivo, che è molto cresciuta rispetto al passato: è un dato
nazionale ma a Milano è particolarmente significativo” .
Gli eventi di un certo livello – oltre a quelli strettamente popolari come i grandi concerti – sono in
grado di avere un certo ritorno di pubblico nonostante le sovrapposizioni di eventi, i costi del
biglietto o altri fattori esterni a volte condizionanti.
Attenzione verso la proposta, dunque, che si traduce anche in partecipazione.
Ovviamente non mancano le differenze sostanziali, come dicevamo, tra i grandi numeri di eventi
“popolari” o commerciali e le proposte più originali o sperimentali di associazioni musicali, che
registrano sicuramente una minore partecipazione da parte del pubblico.
Questo aspetto ci permette di introdurre il secondo elemento che caratterizza in generale i milanesi
che “ascoltano musica dal vivo”: una certa ingenuità nella formazione musicale.
La scarsa adesione ad aventi particolarmente innovativi sembra attribuibile a una certa tendenza a
ricercare ciò che è già noto e popolare. Secondo gli intervistati, in alcuni generi come la musica
contemporanea e la classica, questo è attribuibile alla tendenza ad uniformarsi a un’offerta di
repertorio, che prevede sempre i grandi autori, lasciando poco spazio a compositori più originali ed
esecutori meno noti.
Nicoletta Geron: “Il grande nome è sempre quello più richiesto, perché ci sono molti ignoranti o con pochi
strumenti e delle istituzioni musicali che si allineano al proprio pubblico. Si ha anche poca curiosità, la
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curiosità poggia sulla conoscenza, sulla voglia di vedere un po’ oltre. E’ anche vero che non si può proporre
sapendo di avere poco pubblico”.
Il discorso è estendibile al caso della musica popolare: il pubblico appare più disposto a pagare cifre
consistenti per i grandi concerti, sia di musica italiana che straniera, piuttosto che distribuire la
spesa e investire nell’ascolto di proposte nuove di gruppi emergenti.
Marco Piccardi: “La sensazione che noi abbiamo, oggi come oggi, è che la gente abbia stabilito quali siano i
grossi nomi che non si deve perdere, non risparmia sul costo del biglietto del concerto, ma questa grande
disponibilità e curiosità nei confronti di prodotti meno certi e meno conosciuti in realtà fa fatica ad
emergere”.
Una grossa responsabilità di questo fenomeno è attribuibile alla copertura mediale – soprattutto di
particolari canali televisivi e radiofonici – dell’offerta musicale mondiale che promuove i grandi
autori o le band più famose, dedicando piccoli margini ai gruppi emergenti o ai generi meno
conosciuti.
Tito Mangialajo: “Il problema è che il jazz è davvero un ambito particolare perché è una musica che non ha
molto spazio sui media tradizionali per cui se non fai mai sentire il jazz è difficile che i giovani vengono ad
ascoltarlo”.
È pur vero che la Rete, spesso criticata come la principale causa della pirateria discografica, offre
potenzialmente e gratuitamente spazi di visibilità e di condivisione anche a gruppi musicali con
pochissime risorse economiche. Questa nuova modalità di condivisione e scambio di musica ha il
vantaggio di “democratizzare” in un certo senso l’accesso all’interno del circuito.
Tito Mangialajo: “Con la globalizzazione – termine terrificante - e con Internet ormai i circuiti della musica
te li crei dove vuoi, ti connetti a Myspace e ti crei un circuito con musicisti che stanno dall’altra parte del
mondo, questo probabilmente fa sì che non ci sia sul territorio un circuito vero della musica”.
Dall’altro lato, però, riduce la selezione a discapito della qualità. Non di rado capita di assistere ad
esibizioni di qualità medio bassa proprio perché realizzati da “amatori” più che veri professionisti
della musica.
Gianni Sibilla: “La musica pop è tradizionalmente un settore abbastanza conservatore, nel senso che le case
discografiche tendono a lavorare su trend consolidati, quando si scopre un trend tendono a inseguirlo. Per cui
l'offerta di musica dal vivo non è particolarmente innovativa. E' vero che c'è un circuito di musica
indipendente e sperimentale: è meno visibile, è più sotto traccia, ma esiste... La logica è che se un cantante
ha una buon successo in classifica e una buona esposizione mediale solitamente viene portato in concerto.
Poi ci sono i grandi nomi e quelli vengono a prescindere dall'esposizione mediale”.
Possiamo dunque dire che il pubblico della cosiddetta musica pop è più sensibile verso le proposte
di matrice commerciale, nazionale e soprattutto internazionale, lo è meno nei confronti di gruppi o
cantanti nuovi.
L’atteggiamento sembra essere diverso fra chi segue e apprezza altri generi musicali ritenuti più
“colti” come la musica classica e la musica contemporanea.
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In questi casi anche in presenza di una maggiore sensibilità o educazione musicale, resta di fondo
un certo scetticismo nel lanciarsi in proposte realmente innovative. In alcuni casi, come per la
Società dei Concerti, ciò è motivato come una scelta costitutiva della stessa associazione musicale:
“Il nostro è un buon pubblico. Una volta, quando ancora i quotidiani seguivano in parte la vita della musica
classica, uno dei critici di uno dei due quotidiani su cui c’era la pagina dedicata alla musica, diceva che noi
facevamo dei programmi nazional-popolari. Per lui era una critica, io la ritengo un complimento. Noi
cerchiamo di proporre cose di qualità, magari le cose più note accanto ad altre meno note, ma nei nostri
programmi ci sono sempre cose note, perché vogliamo arrivare alla fascia più ampia possibile di pubblico. Ci
viene data colpa di non fare mai musica contemporanea. La musica contemporanea, al di là di quelli che
possono essere i gusti personali, è una musica molto complessa e affermare che è nostro dovere acculturare il
pubblico secondo me va oltre le nostre competenze. Già ampliare la fascia di pubblico che segue la musica
classica è una forma di acculturamento, perché porta a seguire un tipo di musica che viene definita da tutti
musica colta. E’ certamente una forma di cultura”.
In altri, come per la Società del Quartetto, la proposta innovativa viene imbastita all’interno di una
programmazione più legata alla tradizione cercando di equilibrare vecchio e nuovo in una proposta
che viene seguita da un pubblico consolidato e assiduo.
Nicoletta Geron: “Qualche cosa di nuovo c’è sempre, in ogni stagione. Nelle stagioni di tutte le associazioni
vedo spostamenti lievi, ma all’interno di una stagione sono due i concerti diversi, che esulano dal nostro
repertorio e che per la verità hanno riscosso sempre un certo successo”.
Tra le rare eccezioni, presenti soprattutto nell’ambito della musica contemporanea, occorre citare il
caso di Sentieri Selvaggi, associazione musicale che ha fatto della sperimentazione,
dell’innovazione, talvolta anche estrema e provocatoria verso il suo pubblico, l’elemento portante
delle sue stagioni musicali, riscuotendo un ampio successo.
Filippo Del Corno: “Il problema è che noi non ci adattiamo mai, piuttosto chiediamo agli altri di adattarsi a
noi. Non è una questione di presunzione ma di convinzione. Noi abbiamo fondato Sentieri Selvaggi sapendo
che era uno sforzo difficile, soprattutto volevamo far conoscere la musica che per noi è importante che sia
conosciuta. Il nostro pubblico è un pubblico che ci segue, fidandosi. Nel corso di questi sentieri, che sono
spesso impervi, molto fitti, c’è un costante ricambio e questa è una cosa che ci fa soffrire da una parte ma
dall’altra ci fa piacere. Ci fa soffrire perché vorremmo creare uno zoccolo più duro e consistente di pubblico,
dall’altra il continuo ricambio fa sì che ci possiamo confrontare con persone nuove che rispondono in
maniera molto fresca, forte e vivace alle nostre iniziative e proposte. Frequentemente vengono spiazzati”.
Anche la musica jazz, che possiamo annoverare fra i generi che presentano uno dei circuiti più
consolidati all’interno di Milano, forse per sua stessa tradizione costitutiva, è molto aperta alle
contaminazioni, alla sperimentazione, a una proposta volta meno a “assecondare” il pubblico, che
spesso “conquista” attraverso elementi di sorpresa, novità e originalità.
Il pubblico della musica jazz, come forse quello dei generi più consolidati, è caratterizzato da uno
“zoccolo duro” di appassionati attorno a cui si stringono gli amatori saltuari in attesa di essere
definitivamente conquistati.
La realtà del jazz a Milano è molto presente dato che sono gli stessi professionisti coinvolti a
sottolineare come Milano sia la prima città italiana in cui questo genere, importato dal Nuovo
Continente, è riuscito a prendere piede, a trovare un suo spazio non solo nei locali ma anche nella
formazione.
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Franco D’Andrea: “Milano ha avuto un’importante stagione – parlo soprattutto per quello che mi compete e
quindi il jazz. Per il jazz sicuramente ancora dall’immediato dopo guerra c’è stato sempre qualche cosa che
succedeva in questo campo. Prima erano persone come Enrico Intra, Franco Cerri, Gianni Basso, che
vivacizzavano la scena e i locali, tipo il Santa Tecla negli anni 40. E poi, mano mano che si andava avanti,
anche altri locali, dove venivano ad esibirsi musicisti di fama internazionale. Tutti i più grandi jazzisti sono
venuti a Milano”.
Oggi la situazione è molto cambiata, condizionata soprattutto dalla chiusura di diversi locali dove
era possibile esibirsi con proposte musicali legate al jazz.
Tito Mangialajo: “Mi ricordo che quando ho cominciato a suonare jazz, avevo circa 18 anni, quindi siamo
alla fine degli anni ‘80, il Comune finanziava molto le rassegne di jazz. C’è stata, ad esempio, quella del
Ciack, importantissima. A guardare adesso i programmi del Ciack tra gli anni ‘70 e ‘80 piange il cuore,
perché non c’è più niente di quel livello. Il Comune interveniva addirittura per finanziare concerti in un
locale storico come il Capolinea”.
Ma questi aspetti legati soprattutto agli spazi dove fare musica saranno approfonditi nel capitolo 6.
In questa sede ci interessa sottolineare come la riduzione dei locali dove fare musica dal vivo, nel
jazz come in altri generi, connessa a delle politiche gestionali (specie sul fronte dei prezzi)
particolarmente delicate, abbia influito molto sulle caratteristiche del pubblico e sul problema del
cosiddetto “ricambio generazionale”.
Tito Mangialajo: “Il gestore del locale, che ha chiuso circa una decina di anni fa, mi raccontava che aveva
notato un mancato ricambio generazionale tra il pubblico di ascoltatori. Lui mi diceva questo 10 anni fa:
‘vedi quelli che adesso hanno quarant’anni, vent’anni fa venivano qua perché erano giovani, adesso sono
padri di famiglia e la sera non escono, non ne hanno voglia.’Non c’erano più giovani che venivano ad
ascoltare musica dal vivo, non c’era stato un ricambio generazionale”.
Oltre al gusto e all’educazione all’ascolto, per seguire le stagioni musicali a Milano occorre anche
disporre di somme di denaro elevate che permettano l’acquisto degli abbonamenti o di biglietti di
ingresso dai costi impegnativi, soprattutto per i più giovani.
Cosa succede dunque? Che il pubblico degli appassionati che seguono le proposte musicali, jazz o
di musica classica e contemporanea, è composto in prevalenza da adulti. che investono nella musica
parte delle risorse per il tempo libero.
La situazione era differente in passato, quando esistevano politiche di prezzo agevolate per i più
giovani e spesso, soprattutto nel caso del jazz, era possibile assistere a concerti di altissimo valore
artistico anche a costi molto contenuti. La naturale conseguenza di questa situazione è un costante
invecchiamento del pubblico più assiduo e la mancanza di un ricambio generazionale.
Anche se si sta cercando di proporre iniziative mirate all’ampliamento del target della musica alle
fasce più giovani, attraverso appositi abbonamenti annuali, i risultati di investimenti di questo tipo,
comunque molto contenuti, stentano ancora a manifestarsi. Interessanti e pregevoli iniziative
vengono anche rivolte ai bambini per educarli e fargli scoprire la musica colta attraverso
“pomeriggi musicali” da trascorrere insieme.
In generale, dunque, non bastano le politiche di prezzo per agevolare la “prossimità” di un pubblico
più giovane. Occorre fare i conti, da un lato, con un naturale percorso di avvicinamento verso certi
generi – che può avvenire inevitabilmente solo con la maturità e l’esperienza – e dall’altro, e questo
lo vedremo meglio nel prossimo capitolo, anche con la necessità di fornire percorsi educativi di
crescita e di accostamento alla musica colta.
80
Nicoletta Geron: “Alla musica da camera non si arriva prima dei 40 anni. È difficile che ci si arrivi prima.
Certamente i conservatori hanno una grandissima responsabilità nel non spingere i ragazzi ad ascoltare
questo tipo di musica. Abbiamo dei dati disastrosi e inquietanti su quanti pochi ragazzi vengono da noi.
Facciamo entrare i ragazzi a 5 euro, cioè per niente. Al di sotto dei 26 anni si può entrare veramente con
niente. In realtà vengono altri ragazzi ma non quelli che potrebbero avere l’ingresso gratuito. Non vengono!
Quindi credo che la scuola abbia le sue responsabilità”.
Per ricapitolare e concludere questo paragrafo, possiamo sinteticamente riproporre in tre punti gli
elementi che influiscono su una domanda musicale limitata, ingenua anche se in un certo senso
partecipe e coinvolta nella vita musicale della città:
- la ricchezza dell’offerta, paradossalmente, condiziona la partecipazione da parte del pubblico: le
sovrapposizioni di eventi e la mancanza di coordinamento si traducono in frammentarietà e
discontinuità;
- la relativa “immaturità” del pubblico, che pur nella sua ampia sensibilità e partecipazione verso gli
eventi musicali non sempre dispone di strumenti adeguati per accedere, in tutte le sue sfaccettature,
ad un bene culturale come la musica, spesso esigente e impegnativo. In questo quadro si pone poi il
problema del maggior avvicinamento delle giovani generazioni alla cosiddetta musica colta;
- il contraccolpo della crisi economica, che incide pesantemente sulla gestione delle risorse familiari
e dei budget di spesa da dedicare alla musica, penalizzando i generi meno consolidati e conosciuti.
Domanda e offerta: osservazioni conclusive
Abbiamo più volte sottolineato come la musica rappresenti un patrimonio culturale e artistico, una
risorsa che andrebbe certamente valorizzata di più all’interno del sistema cittadino.
In questo capitolo ci siamo soffermati soprattutto sugli aspetti che riguardano l’offerta musicale, che
dalle parole dei nostri intervistati emerge come ricca e di qualità, quasi in tutti gli ambiti e generi. I
nodi critici che emergono riguardano sostanzialmente i problemi organizzativi e di coordinamento
di circuiti indipendenti e settoriali che stentano a fare “rete”, condizionando sfavorevolmente il
valore dell’offerta musicale della città.
All’interno di questi circuiti emergono grandi potenzialità, non solo in termini di risorse umane, ma
anche di proposte artistiche e musicali, che tuttavia sono condizionate dalla difficoltà di gestire gli
spazi, da intendersi sia come disponibilità di luoghi della e per la musica sia come opportunità di
visibilità rispetto alla più generale proposta cittadina.
Riprendendo la metafora della rete per descrivere i circuiti dell’offerta, possiamo dire che emergono
dei nodi che oltre a risultare più visibili rispetto ad altri sul piano comunicativo, diventano
catalizzatori di risorse e di proposte a discapito di realtà più piccole.
Un’offerta dunque che appare a prima vista ricca, di qualità, ma certamente frammentata in micro
circuitazioni individuali.
Stentano ad emergere generi e prodotti più sperimentali e innovativi così come quelli più legati alla
tradizione e alla memoria.
Dall’altra parte abbiamo un pubblico disponibile all’ascolto, interessato, potenzialmente partecipe
ma, suo malgrado, forse un po’ ingenuo e più orientato al “già noto” che agli impervi sentieri
dell’ignoto.
Anche i festival, inclusa la nuova e positiva esperienza di MITO, sono prova da un lato delle
potenzialità della città di Milano, dall’altro della sensibilità del pubblico e del suo desiderio di
essere coinvolto e di essere partecipe.
81
Ci sono dunque tutti gli ingredienti per fare di Milano una città che sia in grado di sottolineare il
valore della sua offerta musicale e culturale. Occorre adesso sapere cogliere la sfida da parte di tutti
i soggetti coinvolti, ipotizzando azioni di intervento per il rafforzamento e il miglior sviluppo della
città delle musica. Tra esse occupano un posto importante quelle rivolte alla crescita delle cultura
musicale. Ma di questo parleremo in seguito, affrontando un tema di rilevanza strategica come
quello dell’educazione musicale.
82
6. Spazi e luoghi
Spazio e musica intrattengono un rapporto indissolubile. La musica si diffonde sempre in un spazio,
privato o pubblico che sia, eccetto che nell’ascolto simbiotico del walkman o dell’i-pod, quando lo
spazio acustico coincide con lo “spazio nella testa”. 32 La musica dal vivo, poi, ha sempre bisogno
di uno spazio-luogo per poter essere fruita, ma anche per poter essere “provata” e quindi registrata
su di un supporto.
Spazi e luoghi della musica disegnano il volto della città, costituendo una parte rilevante del suo
patrimonio storico, culturale e architettonico. La fenomenologia è amplissima: dai venti metri
quadrati di una sala prove o di un piccolo club, ai teatri, alle sale concerto, agli stadi, ai parchi, alle
cascine, alle chiese, alle scuole, alle piazze, alle aree dismesse, alle stazioni ferroviarie. Non c’è
luogo della città che sia precluso alla musica dal vivo, compresi i luoghi “altri”, come quelli di
detenzione e di sofferenza, mentre ad essere esclusi sono soltanto gli spazi dominati dal rumore,
dove la musica semplicemente non può “avere luogo”.
L’analisi del “paesaggio sonoro” di una città come Milano meriterebbe ben altri sforzi di ricerca e
l’attivazione di ben altre competenze interdisciplinari. La domanda di spazi emerge in ogni caso
come una questione di cruciale importanza, se non strategica, per la crescita della città della musica.
Specie quando gli spazi sembrano mancare.
La domanda di spazi
Eugenia Buzzetti: “A Milano ci sono tanti musicisti, è un mercato inflazionato, ma poi non ci sono gli spazi
dove esibirsi. Ad esempio, secondo me, l’Arcimboldi, nato per sostituire la Scala durante le ristrutturazioni,
avrebbe dovuto continuare a fare programmazione di musica classica. Un solo teatro non basta a una città
come Milano”.
Franco Fabbri: “Io sento dire da persone che si occupano di organizzazione di eventi musicali che uno dei
problemi di Milano è l’inesistenza di un grande auditorio adatto ai concerti di canzone d’autore, jazz, rock di
qualità, delle dimensioni dei tre-quattro mila posti, che non sia un palazzo dello sport adattato… Poi secondo
me si sente molto la mancanza del Teatro Lirico, perchè era un luogo centrale dove potevano svolgersi cose
musicali e musicali-teatrali importanti proprio per dare un segno della vita culturale e musicale milanese”.
Nicoletta Geron: “La demolizione della Piccola Scala è stata un dolore per noi appassionati nel senso che era
un piccolo gioiello che permetteva di fare un repertorio particolare - le operine del 700, che richiedono uno
strumentale e una piccola compagnia, e la musica contemporanea, per esempio, perché è difficile che tu
riempia 1600 posti. Il Dal Verme, sul quale molti di noi puntavano e speravano, è in realtà una sala con una
pessima acustica e poi è enorme… Gli spazi piccoli non ci sono o sono del tutto inadeguati”.
Dai tre brani di intervista riportati emerge in particolare un’inadeguatezza dell’offerta rispetto alla
domanda di tipo, per così dire, puntuale: grandi contenitori prevalentemente destinati ad usi extramusicali e dalla pessima acustica per la popular music, spazi troppo grandi per i piccoli ensemble di
32
R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, Unicopli-Ricordi, Milano, 1995, p.170.
83
musica da camera (classica e contemporanea) e in generale di musica non amplificata. E magari,
aggiungiamo noi, troppo grandi o troppo piccoli per le band giovanili emergenti.
Non sempre, quindi, gli spazi disponibili appaiono coerenti ai bisogni e alle caratteristiche delle
musiche che ospitano. Quasi che l’appropriatezza (dimensionale, acustica, logistica, relazionale)
dello spazio non condizionasse più di tanto la qualità degli ascolti, costituendo in fondo una
variabile secondaria del rapporto triangolare tra luogo, musica e pubblico. Una triangolazione che in
molti casi ha bisogno, per potersi esprimere, di quegli spazi intermedi, o comunque un po’ più
intimi e raccolti, di cui Milano sembra soffrire la carenza. E’ un’esigenza che in realtà oggi
avvertono le stesse “star” della musica pop abituate alle folle degli stadi e desiderose di instaurare,
almeno in certi momenti, un rapporto più diretto e personale con il pubblico.
La città della musica richiede non solo spazi puntuali e non eccessivamente polarizzati, ma anche
spazi “polivalenti” e flessibili, capaci cioè di fare addensamento e cultura del luogo intrecciando
funzioni e attività diverse. Come la Citè de la Musique di Parigi, la Casa da Musica di Porto, il
complesso Le Corum di Montpellier, il Sage Gateshead di Newcastle, e tanti altri luoghi della
musica analoghi in Europa, sino all’Auditorium Parco della Musica di Roma, che Milano non ha.
Filippo Del Corno: “Basterebbe andare in città come Londra, Berlino, Madrid, o anche in città più piccole.
Penso ad esempio al centro di Montpellier – Le Corum - che è fantastico da questo punto di vista perché ha
un grandissimo auditorium, ma anche una sala più piccola per la musica da camera, un bar, una caffetteria,
una mediateca. Quest’idea che lo spazio possa essere vissuto oltre al fatto di avere staccato un biglietto e
sedersi su una poltrona a sentire un concerto, manca completamente a Milano. E la dimostrazione che questa
è la scommessa vincente per quanto riguarda i consumi culturali del futuro è testimoniata dall’auditorium di
Roma”.
Gianni Sibilla: “Gli spazi ci sono, ma in realtà non ce n'è uno paragonabile all'auditorium di Roma, che è uno
spazio polifunzionale con diverse tipologie di sale e che permette di fare cose diverse, anche se dicono che
l'acustica non sia delle migliori. Ma a parte questo, è vero che l’auditorium a Roma ha dato un grosso
impulso: ci sono rassegne, iniziative culturali, eccetera. A Milano uno spazio paragonabile a quello manca,
anche se è vero che ci tanti locali di diverso tipo. Persino troppi, per certi versi”.
Agostina Laterza: “Il parco della musica è una delle cose più belle che sono state realizzate a Roma negli
ultimi anni. L'auditorium di Roma da un punto di vista architettonico è uno spettacolo, perchè è riuscito a
integrare benissimo delle rovine romane trovate durante gli scavi con tutto il resto. Qualcosa di simile, con
tutte queste sale di varia grandezza, ce l'ha soltanto la Opera House di Sidney, dove c'è anche tutta la parte
dell'Accademia e dove hanno anche trasferito la biblioteca”.
Roma “più” città della musica di Milano? Le statistiche dicono di no e poi ogni città ha i suoi
percorsi, la sua storia, le sue specificità.
L’assenza a Milano di un auditorium polifunzionale (di una “casa della musica” o come lo si voglia
chiamare) rappresenta forse una delle occasioni mancate della città. Alla fine degli anni ’90 del
secolo scorso un gruppo di professionisti e intellettuali milanesi elaborò, ispirandosi al modello
parigino della Cité de la musique, una proposta per realizzare, nell’area Garibaldi-Repubblica, “La
Città della Musica”, un complesso architettonico-musicale di oltre 20 mila metri quadrati dotato “di
sale da concerti per musica colta, jazz, etnica, rock, un museo degli strumenti musicali, una struttura
formativa e una informativa”.33 Ma alla città della musica venne poi preferita, come è ben noto,
quella della moda.
33
Comitato Promotore, Milano – La città della Musica, 1999. Insieme ai componenti del Comitato – Achille Cutrera,
Leonardo Fiori, Renato Minetto e Gianni Verga – sottoscrivevano la proposta, tra gli altri, Natalìa Aspesi, Fedele
Gonfalonieri, Luciano Berio, Francesco Micheli, Emilio Tadini.
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Ha ancora senso oggi - dieci anni dopo, in un contesto notevolmente mutato - riproporre a Milano
l'idea di un polo urbano integrato della musica? Esso andrebbe comunque pensato come funzione
della Grande Milano, ossia di una città-territorio di 7 milioni di abitanti, se non di uno spazio ancora
più vasto, come afferma l’architetto Leonardo Fiori, uno dei promotori del progetto.
“Milano manca di un sistema musicale di peso europeo e mondiale. Naturalmente un sistema musicale che
appartenga alla Grande Milano, che avendo questa geometria variabile potrà avere un sistema musicale che
non interesserà solo i teatri o le sale di Milano, ma potrà anche interessare quelli di tutta la Lombardia se non
di tutta la padania. Evidentemente questa cosa è tutta da reinventare anche proprio da un punto di vista
territoriale”.
La Milano musicale, come si vedrà meglio in seguito, ha certo il problema di fare rete, di creare
sinergie e contaminazioni. Ma non è detto che questo debba necessariamente avvenire attraverso
l’edificazione di una nuova struttura. Senza anticipare troppo le conclusioni della nostra ricerca,
quello di cui sembra aver prioritariamente bisogno Milano è casomai l’elaborazione di una
dimensione autoriflessiva di grande città della cultura, capace innanzitutto di raccogliere le sue tante
pratiche e le sue molteplici risorse in un pensiero, in una visione strategica, convogliandone in una
strada di innovazione e di comunicazione. Poi i contenitori funzionali maggiormente adeguati
seguono, più che precedere. Compreso magari la “Città della Musica”, luogo di eccellenza
interdisciplinare della città della cultura.
Ma - dopo questo ricordo di uno spazio mai nato - ritorniamo a quelli che già esistono. Come le
decine di locali dedicati alla musica dal vivo (pub, club, circoli, cafè, centri sociali), nonché di sale
prove: luoghi di socialità, oltre che di musica. Ma non sembrano essercene abbastanza – e con la
qualità dovuta.
Federico Sacchi: “Prima c’era tutta la zona dei Navigli che era piena di locali dove potevi fare musica.
Oggi è rimasto solo le Scimmie. Il Blue Note è un locale di stampo più internazionale, richiama però artisti
già affermati e non crea nuovi artisti. Un artista che parte si trova ad affrontare il problema del costo elevato
delle sale di registrazione e la bassa qualità delle sale prove. La strumentazione non è all’altezza e poi
soprattutto non c’è uno sbocco, manca la possibilità di potersi esibire”.
Davide Facchini: “Un tipo di locali ha magari un'acustica e un'offerta palco spettatori ottimi ma è gestito da
gente che ha un'offerta culturale pari a zero. E magari i buttafuori hanno la svastica tatuata sulla mano. E sto
descrivendo un locale che a Milano c'è, di cui non ti dico il nome. Quando vado a un concerto lì io dico a me
stesso ‘bello, questa sera sento un concerto suonato bene’. Vado poi in un centro sociale, benissimo, è la mia
idea di proposta culturale, variegata, perchè ho il baretto reggae, la manifestazione culturale, la cucina a
prezzi popolari, il concerto del gruppo americano anche abbastanza bravo nel salone grosso. Pago poco, ho il
progetto culturale, ma l'acustica è pessima ”.
Sale prove e locali costituiscono, da sempre, l’”ossessione” dei giovani musicisti che intendono
proporsi nell’eterogenea scena musicale della città. Si tratta perciò di spazi di fondamentale
importanza per la crescita dei nuovi talenti musicali.
Una sala prove di bassa qualità inquina gli stessi processi di apprendimento delle abilità tecnicomusicali di soggetti che sono ancora in una fase di formazione. Un locale dalla pessima acustica
riduce la musica a rumore, compromettendo il rapporto tra l’artista e il pubblico. Sarebbe un po’
come proiettare un film su di uno schermo difettoso o appendere quadri storti ai muri di una galleria
d’arte.
Strano destino (pressoché unico tra le arti) quello della musica di essere spesso bistrattata (in Italia)
dai luoghi deputati ad ospitarla. Certo, la musica può sempre adattarsi al luogo, ma in una sala
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prove fasulla o in un locale “sbagliato” c’è poco da fare: viene fuori quello che può venire fuori.
Probabilmente le tecnologie di ingegnerizzazione del suono consentono oggi di adattare le musiche
a qualsiasi luogo. Resta il fatto che tanti luoghi suonano e risuonano male, deturpando gli ascolti.
Una città della musica dovrebbe quindi prendersi cura della qualità degli spazi nei quali le nuove
generazioni di musicisti – e ovviamente non solo loro, come si è visto prima - suonano (per provare
o per esibirsi), rendendoli nello stesso tempo maggiormente accessibili (perché poi una sala prove
costa, mentre un locale ha i suoi problemi “burocratici” e di “business”). In questo senso era molto
apprezzabile un’iniziativa come Pagella Rock – sostenuta qualche anno fa dal Comune ma poi
esauritasi - con la quale una serie di sale prove della città venivano messe a disposizione dei gruppi
musicali amatoriali o emergenti.
Si tratterebbe in sostanza di creare – attraverso la cooperazione tra soggetti privati e pubblici – una
“rete sociale ” di spazi (sale prove e locali) caratterizzati da idonei standard qualitativi, nonchè
disponibili a incontrare i progetti e i bisogni dei giovani aspiranti musicisti. Coltivare talenti
significa insomma coltivare spazi e relazioni.
Questa capacità di mettere i luoghi nelle relazioni e le relazioni nei luoghi appare maggiormente
sviluppata in altre città europee.
Luca Garlaschelli: “Non esiste una scena internazionale a Milano. Io in novembre dello scorso anno ho
suonato a Istanbul - che è considerata ancora Turchia, non è Europa voglio dire - ed è frequentatissima da
musicisti internazionali. Nel senso che tu vai a suonare in un club e ti può capitare di suonare insieme a
Winton Marsalis. C'è una grande vivacità. Sono posti dove le università aprono al jazz, alla musica rock,
dove arrivano musicisti da tutto il mondo, per fermarsi lì magari”.
Centro Sociale Barrio’s: “I locali fanno venire un gruppo e poi pagano il gruppo in funzione del numero di
persone che porta quella serata. E questo di certo non è apprezzato dai ragazzi”.
Fiorano Rancati “A Parigi, per esempio, c'è il Cabaret Sauvage, intorno al quale ruota tutta una serie di
musicisti, c'è lo spazio, c'è la possibilità, un po' come erano i vecchi caveaux del jazz o come certe cose
newyorkesi. A Milano questo manca”.
Newmastering Studio: “I gestori dei locali stessi hanno grossissime difficoltà , vuoi per gli spazi che sono
estremamente costosi, vuoi perché non hanno nessun aiuto dal Comune o dalla Provincia. Devono fare tutto
da sé, spesso dovendosi scontrare con problemi di rumore con i condomini vicini, le tasse sono molto
elevate, la SIAE, tutta una serie di impedimenti e quindi di costi molto elevati per cui chi si cimenta nella
conduzione di un locale di musica per giovani ha delle grandi difficoltà”.
In effetti un Winton Marsalis che capita in un jazz club di Milano e si mette magari a suonare con “i
ragazzi” è una cosa che poteva forse succedere ai tempi del Capolinea, mentre oggi costituirebbe un
evento raro. Il problema non è la quantità dei locali, di cui in fondo Milano è ricca, ma quello che in
questi locali accade, ossia la loro propensione a essere spazi di accoglienza e rappresentazione della
scena musicale. Ma anche il locale più “lungimirante” deve poi fare i conti con in versamenti
“esosi” alla SIAE - cosa che rende complicato fare persino un semplice happy hour con musica dal
vivo - oltre che con gli elevati costi di gestione (che fanno alzare il prezzo dei biglietti di ingresso), i
vicini che protestano per il rumore (ma i lavori per l’isolamento acustico possono costare diverse
centinaia di migliaia di euro).
I locali soffrono perciò di una serie di problemi e limitazioni, che ne rendono spesso la vita difficile
(fino alla chiusura stessa, come è successo anche di recente con il circolo Arci Bitte).
Se nel confronto con altre città europee la “movida” musicale milanese appare meno effervescente e
aperta ai musicisti delle giovani generazioni la ragione risiede probabilmente nel mondo in cui
viene costruito e vissuto il rapporto tra locali e città. Quando la città tende a essere un problema per
i locali e i locali un problema per la città, il rischio è quello di un avvitamento che finisce per
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rendere gli spazi “al chiuso” degli spazi “chiusi”. Un rischio, peraltro, che riguarda anche la sfera
degli spazi “all’aperto”.
Maurizio Dehò: “Io parlo sempre di questo Micika, un clarinettista rumeno che ha una preparazione pazzesca
sotto tutti i punti di vista, però lui non ha documenti ed è costretto a suonare in metropolitana
sostanzialmente, il suo uditorio è quello, poche volte gli è stato assegnato qualcosa di più adeguato alla sua
preparazione. Per questi artisti non è facile esibirsi a Milano. Ci sono dei controlli, a volte gli sequestrano gli
strumenti. Eppure abbelliscono Milano, stanno facendo una cosa artistica. Invece sono considerati soltanto
degli accattoni”.
Qui, in questione, è il rapporto con le musiche “altre”, che cercano spazi “altri” (la metropolitana, la
strada, la piazza) per potersi esibire e sopravvivere. Non si tratta di poveri che suonano per chiedere
l’elemosina, ma di veri musicisti, magari diplomatisi nei conservatori dei loro paesi di origine,
ridotti al rango di anonimi immigrati. E’ la musica “clandestina”, che nella Milano multietnica, a
differenza di quanto accade in tante altre città del mondo, quasi non si sente più. A Parigi, a Londra,
ad Amsterdam, le autorità locali rilasciano tesserini o licenze, che consentono in qualche modo ai
suonatori di strada di potersi esibire in metropolitana o in altri luoghi pubblici senza incorrere in
sanzioni. 34
E’ però anche un problema più generale, perché negli spazi all’aperto della “città in concerto”35,
eterofonica e rumorosa, l’ascolto del suono musicale, così quello del silenzio di cui in realtà ha
bisogno, è esperienza rara e, quando accade, ha del miracoloso. E’ quello che è successo a
Emanuele Patti, presidente di Arci Milano.
“Un giorno il negozio di musica sotto casa mia, che si chiama Jamaica, vende roba reggae, sono famosi a
Milano, è un buco, sono dei ragazzi giovani, … era una bella giornata di sole e hanno alzato il volume di un
brano reggae. Ti assicuro che non soltanto io ma tutta la gente che si trovava in strada era contenta di sentire
quella musica. Quel sabato sembrava di non essere nella stessa città, nella stessa via di tutti i giorni… Però,
qualcuno, poi, gli ha fatto abbassare il volume”.
La musica fatica a farsi “colonna sonora” della città e la strada o la piazza metafora dello spazio
pubblico e interculturale. Eppure, diversi anni fa, come racconta ancora Emanuele Patti, Milano
aveva provato, e con successo di pubblico, a portare la musica nelle sue peraltro non numerose
piazze – piazza Reale, piazza Affari, piazzetta San Fedele – con una manifestazione che oggi non si
fa più.
Emanuele Patti. “Era molto bella e funzionava molto bene. Aveva questa capacità di mettere insieme la
musica tradizionale con quella elettronica. Era una manifestazione che costituiva anche un tentativo per far
riscoprire alla città il valore della piazza”.
In una città dall’elevato livello di inquinamento acustico36, la musica – lungi dal creare spazi e isole
di ascolto nelle vie e nelle piazze - rischia in ogni momento di essere percepita essa stessa come un
rumore, generando magari la protesta di gruppi di cittadini (come è successo più volte anche
quest’anno per i concerti allo stadio Meazza, alla Cascina Monluè, all’Arena Civica). Minoranze
34
Federico Del Sordo, Sociologia della musica urbana, Meltermi, Roma, 2005.
Silvia Zambrini, La città in concerto, Auditorium Edizioni, Milano, 2004.
36
Secondo i dati del Treno verde-Legambiente 2007/2008, Milano (con un rumore diurno di 73,5 decibel e uno notturno
di 71,4) risulta essere, dopo Napoli, la seconda città più rumorosa d’Italia.
35
87
che mettono in discussione i diritti di maggioranze e portatrici a loro volta di diritti (al silenzio o
alla salute, anche se poi il rumore notturno in città è ben al di sopra della soglia di attenzione) che
chiedono di essere rispettati. Diritti che potrebbero facilmente convivere, invece di interdirsi
reciprocamente, se Milano avesse gli spazi giusti nei luoghi giusti per ospitare i grandi concerti rock
(che perdurando questi conflitti rischia prima o poi di perdere, con un danno alla città anche di tipo
economico oltre che culturale). Mentre in altri casi (come a Cascina Monluè) sarebbero
probabilmente sufficienti interventi di adeguamento delle infrastrutture. Quando si tratta invece
degli spazi diffusi di “prossimità musicale” sembrerebbe essere più appropriato lo sviluppo di una
strategia di concertazione volta a favorire il dialogo tra i diversi attori in causa (amministrazione
pubblica, associazioni di via e culturali, rappresentanti di categoria e dei lavoratori della musica).
La domanda di spazi interessa altri luoghi del sistema musica cittadino, come ad esempio quelli
della formazione. A incominciare dal Conservatorio.
Maria Rosa Diaferia: “Noi abbiamo un grandissimo problema di spazi. Noi stiamo scoppiando. Adesso è
arrivato anche il decreto ministeriale per il quale stiamo attivando un biennio abilitante per gli insegnanti di
musica della scuola media e non sappiamo dove metterli. Devono partire 50 corsi e poi in ore particolari,
perchè sono quasi tutti studenti lavoratori”.
Davide Anzaghi: “Il Conservatorio fu istituito da un editto del vice Re d'Italia, il figlioccio di Napoleone,
Eugenio di Beauharnier, nel 1808. C'erano pochissime classi. Ora ci sono tra i 1.500 e i 2.000 studenti. Non è
però possibile fare una lezione di musica strumentale o di composizione con 200 allievi. La legge precedente
la riforma sanciva che il rapporto tra docente e discente fosse di uno a dieci, massimo, perchè il modello - e
non poteva essere diversamente - era la bottega rinascimentale. Non si insegna a dipingere facendo un
seminario a 200 persone, al massimo si parla della pittura. Ma l'insegnamento è un insegnamento di tipo
diverso, artigianale: ti faccio vedere, faccio e tu fai insieme a me. E' una trasmissione diversa. Ma con 1.500,
2.000 allievi, con 250 colleghi, dove si va? Mancano gli spazi”.
Il Conservatorio di Milano - secondo d’Italia per numero di iscritti (il primo è quello di Bari) e
considerato tra le dieci più importanti Accademie musicali del mondo - soffre, forse da sempre, di
una carenza strutturale di spazi, che finisce per condizionare negativamente la qualità stessa
dell’insegnamento.
All’espansione delle attività e alla crescita degli numero degli allievi non ha corrisposto un
adeguamento complessivo degli spazi. Questi, sotto la pressione delle necessità, sono stati via via
recuperati in altezza, ricavando due piani, come è accaduto per la Biblioteca, là dove ce n’era uno
solo (le finestre sono infatti tagliate a metà). Non è da oggi che il Conservatorio di Milano “sogna”
una nuova sede, aggiuntiva a quella storica esistente, per la quale furono a suo tempo anche
elaborati dei progetti rimasti poi, purtroppo, solo sulla carta.
E mancano anche gli spazi di accoglienza per gli studenti fuori sede (provenienti dalle diverse
regioni d’Italia e dall’estero), perché non c’è una casa degli studenti del Conservatorio (alcuni dei
quali vengono ospitati presso la Casa Verdi). E’ un problema avvertito del resto un po’ da tutta la
“città universitaria”37 e da altri luoghi di eccellenza formativa in campo musicale, come
l’Accademia della Scala (che conta 700 allievi).
Silvia Vinci: “ Gli spazi non sono sufficientemente adeguati, rispetto innanzitutto al livello di eccellenza
dell’offerta di questa scuola, che ha al suo interno tantissime persone che vengono anche da fuori Milano…
37
Cfr. MeglioMilano, Studiare e vivere a Milano, MeglioMilano, 2004. L’Associazione è impegnata da alcuni anni nel
progetto “Prendi in casa uno studente”, che favorisce l’incontro fra la domanda di accoglienza degli studenti universitari
fuori sede e l’offerta di abitazioni da parte soprattutto dei soggetti anziani.
88
Oltre a non avere una sede fisica per le prove della nostra orchestra - siamo costretti ad andare alla Banella
in via Padova - non abbiamo un luogo dove ospitare i nostri ragazzi. Abbiamo un convitto per i bambini di
13 posti letto , una cosa ridicola rispetto alle esigenze”.
Il senso dei luoghi
Sin qui abbiamo parlato di “spazi” e di “luoghi” come se i significati di queste due parole siano tra
loro perfettamente intercambiabili. In realtà non è proprio così. Il termine “spazio” designa una
dimensione più geometrica e astratta (un’ estensione, una distanza, un intervallo), mentre il termine
“luogo” allude maggiormente al valore esperienziale, affettivo e simbolico dello spazio (o degli
spazi) che racchiude e rappresenta. Sacri sono i luoghi, più che gli spazi, anche se “sacro” può dirsi
di entrambi. Ma la dimensione antropologica appare in qualche modo essere più propria del
concetto di luogo (tant’è che perdendo di senso esso diventa un “non luogo”, mentre l‘espressione
“non spazio” apparirebbe incongruente).38
Abbiamo già visto qualche esempio in cui la musica sprigiona la sua “magia” di fare senso o
valorizzazione del luogo. Vi sono altri casi in cui essa trasforma il non luogo in luogo, migliorando
la qualità della vita di pezzi della città.
Tito Mangialajo: “Questa era una zona malfamata di Milano. Quando il vecchio gestore aprì qui c’era un bar
con spaccio di stupefacenti, bisca clandestina, un locale malfamatissimo; lui, che ha un grande fiuto per gli
affari, lo aprì e lo ha fatto diventare quello che è oggi. Pian piano tutta l’Isola è diventato un posto più ambito
e poi ha aperto il Blue Note. Io credo che l’apertura del Blue Note abbia solo giovato al Nord Est Cafè”.
Del resto sono ormai molte a Milano le esperienze di spazi fisici (magari in abbandono o degradati)
divenuti luoghi attraverso l’insediamento di attività culturali o del tempo libero. Protagoniste di
queste “rigenerazioni” urbane sono spesso le associazioni della società civile, che promuovono nel
territorio la nascita di nuovi luoghi di aggregazione, riempiono di contenuti e relazioni i “vuoti” –
materiali come esistenziali - determinati dai processi di trasformazione post-industriale della città,
danno forma a pratiche di cittadinanza attiva. La musica, l’arte, i saperi, costituiscono perciò le
risorse oggi di fondamentale importanza per fare della città che viene una città di luoghi ricchi di
relazioni intersoggetive e non solo di spazi più o meno funzionali.
La forza aprente e valorizzante della musica si manifesta anche nei luoghi più antichi e sacri della
città: le chiese, le abbazie, le basiliche. Qui risuonano gli antichi organi, i madrigali e gli archi degli
ensemble barocchi, i canti gregoriani e le polifonie: tutto un rifiorire di musiche di un lontano
passato, che riempiono le nostre chiese. Sono le “Voci della Città”, per riprendere il titolo di una
bella rassegna di musica per antichi organi curata da Matteo Galli, un percorso musicale-culturale
che coinvolge diverse chiese cittadine e che nel 2007, per 18 concerti complessivi, ha registrato 10
mila presenze. Si tratta di luoghi a volte un po’ remoti, discosti, poco conosciuti dagli stessi
milanesi, come ad esempio la Certosa di Garegnano, definita dagli studiosi la “cappella sistina” di
Milano perché ha l’interno completamente decorato di affreschi di straordinario valore, o la Chiesa
dei Santi Pietro e Paolo ai Tre Ronchetti, in fondo alla città, ormai a Rozzano.
Matteo Galli: “Per me presentare un concerto in un luogo significa riuscire a creare una consapevolezza di
questo luogo, al di là dello strumento musicale: proprio del luogo. Ma addirittura del quartiere. Noi siamo
stati presenti più volte a Quarto Oggiaro, dove c'è un bellissimo organo del 1904. Noi andiamo lì certamente
per via di questo strumento, ma ogni volta cerchiamo di parlare un po' di questo quartiere, di creare una
38
Marc Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano, 1993.
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consapevolezza della potenzialità culturale di questo quartiere, che va a finire sulle pagine del giornale
soltanto per una retata o cose del genere, spacciandolo poi come se fosse uno dei quartieri più criminali della
città. Mi sembra un modo un po' troppo superficiale di leggere la nostra città, a me non piace”.
Milano “città degli organi”, più di Parigi e di Londra, un grande patrimonio culturale ancora in parte
da conoscere e di cui è il corso il censimento. La musica ha questa straordinaria facoltà di rimetterci
in sintonia e in ascolto con i luoghi, di ridestarne la “meraviglia” al nostro orecchio e al nostro
sguardo. Non solo, ma la musica è capace anche di prendersi cura dei luoghi, di risanarne le ferite,
di fare ospitalità. La musica che suona nei luoghi e con i luoghi è una sorta di “musicoterapia”
urbana.
Si pensi alle enormi ricadute che lo sviluppo di questi intrecci tra musiche e luoghi potrebbe avere
non solo nel migliorare la qualità della vita dei cittadini residenti, ma nel generare e attrarre flussi di
turismo culturale e consapevole. Si pensi a tutti quei contenitori musicalmente “altri” - dalle aree
industriali dismesse, alle stazioni ferroviarie, agli aeroporti – che potrebbero arricchire la trama dei
luoghi delle musiche, stimolare nuove idee e nuovi pubblici.
La musica fa memoria e racconto del luogo, mentre vi sono luoghi – le biblioteche, gli archivi, i
musei - che conservano la memoria musicale facendo racconto della storia della città. Memorie dei
luoghi e luoghi delle memorie danno forma a un patrimonio culturale di immenso valore che la città
della musica deve poter tutelare e valorizzare nella misura in cui ne va un po’ della sua stessa anima
e del suo futuro.
Il rapporto che la città intrattiene con gli spazi e con i luoghi della musica si svolge su una
molteplicità di piani e solleva problematiche assai diverse tra loro: dall’accessibilità, idoneità e
qualità degli spazi al senso e alla valorizzazione dei luoghi e dei patrimoni. Si può ben dire che
spazi e luoghi costituiscano una dimensione trasversale della città della musica e un asse strategico
del suo sviluppo. Promuovere la diffusione delle culture e delle pratiche musicali significa per tanti
versi fare infrastrutturazione e qualità del territorio. In fondo è nella cura degli spazi e dei luoghi
che si creano le condizioni primarie della città della musica: quelle che la fanno essere una città
dell’ascolto.
90
7. Educare alla musica
Nel corso di questo capitolo presenteremo le considerazioni emerse riguardo il sistema della
formazione musicale.
Avendo coinvolto professionisti che si occupano a vario titolo di musica, parte delle interviste sono
state condotte anche con educatori, con esperti che pianificano e organizzano percorsi di formazione
legati a questo mondo.
Sebbene riflessioni sul tema dell’educazione musicale siano emerse anche in altri colloqui, nel
corso del capitolo faremo principalmente riferimento alle voci autorevoli di chi vive da vicino la
realtà della formazione musicale.
L’analfabetismo musicale: una questione tutta italiana
Nei precedenti capitoli abbiamo sottolineato come un fattore determinante per la domanda di
musica dal vivo sia il livello di conoscenza musicale - a Milano, come nel resto d’Italia. Riportiamo
un esempio emblematico citato da un intervistato, il direttore artistico della Società dei Concerti,
che a nostro avviso fotografa perfettamente la situazione italiana.
“Parlavo con un amico violinista russo che vive in Italia da ormai quasi vent’anni e mi ha detto che è tornato
in Russia un paio di anni fa, ha fatto un paio di concerti, tutto esaurito, 2000 persone ad ascoltarlo e mi ha
detto ‘ho capito qual è la differenza. Il tassista che mi ha portato dall’hotel alla sala da concerto aveva
studiato 8 anni violino’…”.
Nonostante una ricca tradizione che vede nomi di grandi compositori riconosciuti unanimemente
come le voci più autorevoli della musica classica, l’Italia oggi non sembra più in grado di
mantenere una fama internazionale per ciò che concerne la produzione e la composizione di testi
musicali. E questo, nell’opinione dei nostri intervistati, dipende essenzialmente da alcuni problemi
strutturali dell’educazione musicale italiana:
una pianificazione del percorso formativo che parte dalle scuole medie e non prima, come
invece accade in altri paesi;
uno scarso sostegno a iniziative scolastiche che siano occasione di aggregazione ma anche di
formazione professionale per giovani talenti musicali, parte integrante di un percorso di
specializzazione;
una scelta normativa di regolamentazione dei conservatori che ha – per lo meno in questa prima
fase – penalizzato la formazione musicale di primo livello.
Proviamo a riprendere ciascun punto per andare maggiormente in profondità attraverso le
testimonianze dirette di chi lavora nell’ambito della formazione.
Il percorso educativo che riguarda l’acquisizione dei rudimenti di musica – banalmente le sette note
e il pentagramma – avviene solo a partire dalle scuole primarie e non dalla prima infanzia,
impedendo che si instauri un “legame” formativo ed affettivo con la disciplina.
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Lucia Sacco: “Nella scuola media si accolgono bambini analfabeti musicali, perché fanno poco alle
elementari, e quindi il lavoro dell’insegnane di musica è davvero stressante, per cui si deve partire da zero”.
La percezione comune è che l’educazione musicale sia ridotta a materia ancillare, associata a un
momento ricreativo più che formativo, limitata a un incontro di due ore per settimana.
È evidente che una simile situazione penalizza la predisposizione verso la musica, non solo
all’interno di un percorso formativo/educativo, ma anche rispetto alla vita quotidiana dei giovani.
Davide Anzaghi: “Bisogna dire che la situazione italiana è davvero disastrosa. Mediamente, un cittadino
italiano non ha alcuna remora a comunicare che è musicalmente analfabeta. Ebbene, in alcune nazioni
europee la dichiarazione di analfabetismo musicale è quasi paragonabile alla comunicazione
dell'analfabetismo verbale e della scrittura. Cioè, mentre lei mi guarderebbe con sospetto se dichiarassi di
non saper leggere o scrivere, tutti accettiamo come fatto comune che non si sappia leggere la musica”.
L’accostamento del bambino alla musica avviene solo dopo gli undici anni e spesso si limita ai due
anni successivi. Alcuni istituti prevedono dei percorsi mirati che rappresentano però sporadiche
iniziative portate avanti dalla volontà di singoli dirigenti scolastici.
Dunque, il bambino ha una possibilità veramente limitata di familiarizzare con il linguaggio della
musica, con uno strumento, con l’ascolto, con tutto ciò che concerne la storia e la tradizione della
musica italiana e straniera.
Luca Garlaschelli: “I nostri legislatori non hanno mai posto le basi per la crescita della cultura musicale
degli italiani, al contrario di quello che è successo negli altri paesi. Noi abbiamo ragazzi in balìa della musica
commerciale. Il problema è che questi non hanno mai ascoltato Bach e nessuno gli ha mai spiegato chi sono
Bach o Louis Armstrong. Io ho insegnato per tanti anni e posso assicurare che i ragazzi quando vengono a
contatto con i generi musicali che vanno al di là del genere superficiale e becero, si interessano. Devono
quindi avere soltanto qualcuno che li guidi”.
Abbiamo detto che spesso le iniziative riguardanti la musica sono il risultato della volontà di
singoli, siano essi dirigenti scolastici o insegnanti volenterosi, e si tratta in quasi tutti i casi di
attività extra scolastiche dispendiose a carico dei bilanci della scuola.
Questo fa sì che tali proposte siano quasi del tutto assenti in molte realtà scolastiche e la situazione
è ancora più drastica mano a mano che ci si approssima ai livelli più alti di istruzione. La
valorizzazione della musica, come attività formativa, infatti, passa anche attraverso la costituzione
di momenti di aggregazione che abbiano al centro la musica. Ne sono un esempio le orchestre
giovanili universitarie, esperienze consolidate all’interno di molti atenei internazionali,
praticamente assenti nel caso dell’Italia. Dunque, la musica è trascurata tanto nelle scuole
dell’obbligo quanto nelle università, come ci ricorda, portandoci ad esempio la sua diretta
esperienza, Alfio Bosatra, direttore dell’Orchestra dell’Università degli Studi di Milano,
un’orchestra giovanile universitaria che rappresenta un caso unico nella realtà non solo milanese ma
anche italiana.
“Nelle università italiane non esiste una tradizione di orchestre universitarie o di struttura dell’insegnamento
della musica, non esiste una tradizione di pratica della musica nelle università. La tradizione italiana è che
nelle università si studia la musica, storia della musica, critica musicale, filologia musicale, ma
l’insegnamento della pratica musicale è affidato ai conservatori. Quindi una consuetudine formativa che
registra l’assenza non totale ma significativa di “pratica” all’interno delle università italiane, diversamente da
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quanto accade nelle università tedesche o in quelle del nord America. In questi paesi è diffusissima
l’esistenza di un gruppo musicale all’interno dell’ateneo, che coinvolge gli studenti e i docenti, così come è
normale la presenza di attività sportive che rappresentano gli atenei – in Italia non esiste una tradizione di
questo genere”.
Più volte il nostro intervistato ha sottolineato la profonda “distanza” culturale e politica dell’Italia
rispetto ad altri paesi europei, dove è del tutto normale stimolare i giovani a partecipare ad orchestre
musicali sin dalla formazione primaria, per seguirli fino all’università. Il valore della musica è tale
per cui sono in palio premi di studio nelle scuole e negli atenei per sostenere gli studenti talentuosi
nel proseguimento tanto del loro percorso formativo accademico quanto di quello musicale. Una
realtà impensabile per l’Italia, oggi addirittura resa impossibile dalla riforma.
“E’ accaduto che tre quattro anni fa la riforma universitaria ha cambiato lo scenario rispetto al nostro tipo di
attività in maniera sostanziale: i conservatori sono stati elevati a status di università e quindi sono usciti da
quell’angolo in cui per decenni sono rimasti, una specie di realtà parallela dal punto di vista degli studi
dell’alta formazione in Italia. Inoltre, in Italia, c’è sempre stata una cesura tra gli studi musicali nel senso
della pratica e dall’altra parte gli studi diciamo scientifici, che erano affidati all’università. Quattro anni fa la
riforma ha cambiato completamente scenario, i conservatori così come le accademie di belle arti sono
diventati università. Questo ha creato una serie di problemi al conservatorio… ma non mi soffermo. Quello
che ci interessa è che con questo atto normativo ci siamo trovati nella situazione di non potere più
beneficiare, diciamo così, di questo duplice ruolo degli studenti perché si è delineata l’incompatibilità, per
cui uno studente non può essere contemporaneamente iscritto a un conservatorio e a una università. In questa
maniera noi potremmo dire che c’è stato tolto il terreno sotto i piedi, perché quello che è stato lo scenario che
ha consentito la nascita di questa orchestra con particolari peculiarità musicali a quel punto era
completamente cambiato”.
E arriviamo dunque all’ultimo punto. La nuova legge in materia di formazione musicale ha
introdotto alcuni cambiamenti sostanziali che hanno influenzato il modo di pensare e programmare
lo studio della musica.
In primo luogo i conservatori sono stati equiparati alle università e ciò significa che seguire un
percorso formativo musicale all’interno del conservatorio è oggi incompatibile con l’iscrizione ad
altro percorso universitario. Ovviamente questa riforma ha “complicato” la posizione di molti
studenti che praticavano in parallelo entrambi i percorsi di studi. E soprattutto ha reso
definitivamente irrealizzabile il progetto dell’Università degli Studi di Milano per la costituzione di
un’orchestra giovanile universitaria. Oggi questa orchestra ha mantenuto il proprio nome ma ha
perso la sua connotazione accademica, essendo costretta ad accogliere giovani non necessariamente
iscritti all’università e sicuramente non iscritti a entrambi i percorsi formativi – accademico e di
conservatorio.
Ma questo cambiamento ha richiesto anche un rapido adeguamento da parte degli stessi
conservatori.
Eugenia Buzzetti: “Bisognerebbe parlare dei conservatori e della loro riforma. Riforma molto attesa che si
caldeggiava da parecchio tempo che però è stata fatta troppo frettolosamente. Per cui il risultato non è dei
migliori. Praticamente con la riforma Moratti i conservatori da istituti professionali sono stati parificati alle
università. Il problema è che in Italia ci sono oggi 76 conservatori quindi 76 università, 76 atenei di musica.
Si può immaginare l’impatto della riforma… Si è fatto uno studio a livello numerico e ci si è resi conto che il
conservatorio – ad esempio quello di Milano – avrebbe perso buona parte dei suoi allievi”.
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Questo stravolgimento della situazione in ambito di formazione musicale ha avuto le sue
ripercussioni nei processi organizzativi delle scuole e soprattutto ha generato un altro grande
paradosso. Se da un lato, infatti, ha riqualificato la formazione musicale elevandola a percorso
universitario, al pari di altri corsi di studio, dall’altro ha generato un “buco formativo” per chi
iniziava il conservatorio in tenera età e seguiva parallelamente un altro percorso di studi.
Ciò che si è verificato è stato un definitivo abbandono di quella fascia di giovanissimi che, dopo le
medie, avevano la possibilità di coltivare la passione per uno strumento.
Da un punto di vista strettamente normativo, questo aspetto è stato colmato dall’istituzione dei
cosiddetti licei musicali, che rappresentano oggi il primo percorso formativo in Italia in cui la
musica è presente come disciplina al pari di altre materie ritenute fondamentali per la cultura
generale dello studente.
Ma anche l’introduzione di questo elemento innovativo per la storia della scuola in Italia ha
presentato delle difficoltà gestionali e operative da dover affrontare. Come nel caso dei percorsi
universitari, anche per quelli relativi alla scuola secondaria superiore si è dovuto fare fronte alla
difficoltà di gestire questo cambiamento, in termini di personale docente, spazi, programmazione
dei percorsi formativi.
Chi si occupa da vicino di educazione musicale mostra quindi un atteggiamento ambivalente verso
la riforma, che ha segnato un cambiamento epocale del sistema scolastico musicale in Italia. Da un
lato, si riconosce l’importanza di una legge che ha innescato un cambiamento non indifferente, da
molto tempo atteso soprattutto dai professionisti del mondo della musica che desideravano vedere
riconosciuto e legittimato un percorso di studi spesso faticoso e sicuramente molto impegnativo
come lo studio di uno strumento. Dall’altro lato però, emergono delle malcelate perplessità sulla
gestione pragmatica del cambiamento, che ha stravolto più che coinvolto istituzioni importanti e
storiche, impostate su altri tipi di programmazione o gestione dei percorsi.
Eccellenze milanesi
Quello che abbiamo raccontato nel precedente paragrafo è una realtà che riguarda tutto il territorio
nazionale e che dunque coinvolge Milano, città giuridicamente e geograficamente all’interno del
territorio italiano.
A questa situazione formativa e legislativa poco chiara e ancora in procinto di essere definita e
declinata poi nei suoi aspetti pratici, si accosta la risposta della città, questa volta sì connotata sul
piano territoriale.
Lucia Sacco: “A Milano c'è tanto, è una delle città più ricche dal punto di vista di scuole di orientamento
musicale, ci sono le Civiche, il Conservatorio, che sono di ottimo livello. Il Conservatorio fa anche dei corsi
di perfezionamento, perchè si è reso conto che l’attuale ordinamento didattico dei conservatori è obsoleto
rispetto alla richiesta attuale. Questo c'è. Ci sono anche concorsi, validi, mi viene in mente non so
l'Umanitaria di Via Daverio, che fa una serie di concerti con i ragazzi”.
Milano presenta, come già detto, una ricca tradizione musicale legata non soltanto agli spazi della
musica – come il Teatro alla Scala, o ad eventi particolari, come i grandi concerti internazionali di
ogni genere musicale – ma anche alla proposizione di talenti e di professionisti di elevatissime
qualità.
Claudio Formisano: “Noi in Italia abbiamo musicisti sempre migliori, perchè la volontà di crescere da
questo punto di vista assolutamente c'è. Io giro il mondo tutto l'anno, ho anche un'attività di importatore e
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distributore di strumenti musicali e quindi partecipo alle maggiori fiere internazionali alla ricerca di prodotti
nuovi da inserire nel mio catalogo e sul mercato italiano. Ho occasione di vedere e sentire tantissimi artisti,
in tutto il mondo. Devo dire che l'Italia non ha, da questo punto di vista, nulla da invidiare agli altri paesi.
Abbiamo fior di artisti, i nostri ragazzi sono molto seri, quelli che studiano proprio per scegliere questo tipo
di attività lo fanno in maniera assolutamente intensa e professionale. Anzi, spesso in altri paesi non
conoscono la qualità dei nostri artisti e si meravigliano quando hanno l'occasione di vederli e ascoltarli”.
Dal Conservatorio, come da altri poli milanesi d’eccellenza, sono uscite personalità di spicco che
oggi si distinguono tanto nel panorama internazionale quanto in quello italiano.
Accanto al Conservatorio vi sono le Scuole Civiche di Milano, anch’esse espressione di un grande
fermento musicale della città e di una sensibilità storica di Milano verso la musica, che propongono
percorsi formativi universitari di secondo livello, master ed altre iniziative, che sono il risultato di
ricerche e studi occupazionali per rispondere alle esigenze del mercato.
Eugenia Buzzetti: “I nostri studenti ci richiedono una formazione sempre più specializzata e di qualità. Noi
facciamo spesso delle ricerche di mercato per capire quali aree del mercato professionale sono “vuote”, o
scoperte dal punto di vista professionale. Vogliamo formare i professionisti del futuro”.
Oltre ai percorsi più tradizionali, a iniziative musicali e spettacoli studiati per i propri studenti, le
Scuole Civiche danno spazio da anni anche a strumenti e generi musicali meno legati alla tradizione
musicale classica. Ne è un esempio il dipartimento di musica Jazz.
Maurizio Franco:“Milano non è il Teatro alla Scala, anzi. Milano è tante cose. Per esempio una grande
struttura, unica credo al mondo, una struttura comunale che è legata alla fondazione delle Scuole Civiche,
legata alla musica. A Milano i Civici Corsi di jazz sono un dipartimento, una realtà che nasce dalla Civica
Scuola di Musica che addirittura è di quasi 150 anni fa”.
Anche la Scala accosta alle attività di mise en scene della musica in dei percorsi di formazione
mirati per chi intende intraprendere la carriera di artista o di professionista del mondo dello
spettacolo.
Luisa Vinci: “L’Accademia nasce come fondazione nel 2001, distinta dal Teatro: originariamente questa
parte formativa era all’interno del Teatro come direzione formazione scuola. In questi anni l’Accademia si è
ingrandita fino a diventare una realtà unica a livello europeo con quattro dipartimenti che sono Musica,
Danza, Palcoscenico e Management; quest’ultimo si occupa prevalentemente della ricerca di nuove figure
professionali legate al mondo dello spettacolo – alla realtà del palcoscenico appunto’.
Noi siamo l’esempio di una cultura quasi artigianale che rischia di perdersi… che si tramanda oralmente
perché non esistono realtà come i laboratori Ansaldo dove si costruiscono le parrucche storiche o le
utilenserie – spade e coltelli. Decorazioni e costumi sono un patrimonio unico che non troverà mai a New
York. Noi come Accademia cerchiamo di tutelare e proteggere questo patrimonio, nel momento in cui
creiamo certi corsi con una selezione rigorosa; oltretutto il numero delle classi è limitato sia perché non
vogliamo creare disoccupati sia perché sul palco più di otto studenti non si possono muovere… vogliamo
anche che sia garantita l’occupazione che ne segue e la qualità della preparazione dei nostri ragazzi in giro
per il mondo”.
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Infine, proprio perché la musica è parte della produzione culturale del paese e proprio perché muove
un’industria culturale non indifferente, una risposta interessante alle esigenze del mercato musicale
viene dal Master proposto dall’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Gianni Sibilla: “Il Master in Comunicazione Musicale esiste da 8 anni e nasce da un doppio tentativo. Uno è
portare la musica pop nelle Università, perchè delle culture popolari l'Università si è sempre occupata poco,
solo negli ultimi anni ha affrontato la televisione, il cinema, ma la musica è rimasta lì in un angolo. Quindi
l'idea era quella di studiare la musica in Università. E l'altra idea era quella di spezzare un circolo vizioso,
quello per cui chi lavora in determinati settori della musica lo fa o per conoscenze o per ereditarietà. Quindi
creare un luogo di formazione, sia culturale che professionale, che permetta a nuove forze di entrare nel
sistema musica”.
Nonostante questa breve carrellata di alcune proposte formative più interessanti della città, che a
nostro avviso confermano il suo essere al centro dello scenario italiano e internazionale per ciò che
concerne l’educazione musicale, non mancano le note critiche.
Oltre alle difficoltà connesse all’attuazione della riforma, vi sono alcuni aspetti pratico/operativi che
riguardano strettamente la città di Milano. Primo fra tutti, l’allocazione delle risorse economiche per
la formazione musicale.
Quasi tutti gli intervistati lamentano una costante riduzione dei budget di spesa per le scuole che si
occupano di educazione musicale, a fronte di una richiesta che rimane comunque presente e
notevole.
Luisa Vinci: “Giudico il sostegno delle istituzioni inadeguato rispetto innanzitutto al livello di eccellenza
dell’offerta di questa scuola, rispetto a quello che siamo in grado di offrire ai nostri giovani che sono il
patrimonio di domani…Non elevate rispetto a quella che dovrebbe essere l’addobbo – il corollario necessario logistico e tecnologico di una scuola di questo livello…e proprio perché ha al suo interno
tantissime persone che vengono anche da fuori Milano dovrebbe cercare di avere dalle istituzioni
quell’aiutino necessario per garantire l’ospitalità per queste persone”.
Uno sguardo verso il futuro: essere un musicista domani
Strettamente connesso al problema della formazione e della professionalizzazione di certe figure
connesse al mondo dello spettacolo – e dunque alla musica – vi è l’effettiva spendibilità dei titoli
nel mondo del lavoro.
Il settore della musica, da alcuni intervistati definito come “inflazionato”, non lascia molto spazio ai
giovani talenti che desiderano fare dello strumento la loro attività principale. E questo ovviamente è
un aspetto da considerare.
Abbiamo citato prima il caso delle Scuole Civiche e di altre realtà che si impegnano in studi di
settore mirati per proporre percorsi finalizzati a una professionalizzazione effettivamente richiesta e
spendibile nel mondo del lavoro. Ma questo spesso non basta: la scarsità di posti, infatti, aumenta i
livelli di concorrenza tanto nazionali quanto internazionali.
Maria Rosa Diaferia: “Assistiamo a un altro fenomeno: l'esterofilia accentuata, per cui il musicista
"russeggiante" viene accolto...anche perché i musicisti dei paesi dell'est vengono generalmente per delle cifre
assolutamente irrisorie. Giovani musicisti che pur di venire a suonare in Italia si accontentano di poco più
della sussistenza. Questo danneggia un po' i nostri”.
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Mancano le opportunità, dunque, e quando si concretizzano sono spesso situazioni precarie, non
adeguatamente remunerate, non in grado di offrire garanzie per il futuro.
E allora cosa significa oggi studiare musica per un domani? Purtroppo il panorama non è
particolarmente confortante e le considerazioni che ci giungono da chi si occupa da vicino di
formazione musicale mettono in evidenza soprattutto la passione nel mantenere vivi anche percorsi
di studio artistici – oggi in parte penalizzati e penalizzanti – e l’importanza del talento, che sembra
essere l’ingrediente più importante per crederci e riuscire.
Meno presente è invece la certezza – oggi soprattutto travestita da speranza – di potere assicurare un
futuro a chi intraprende percorsi di questo tipo. Concludiamo, dunque con una citazione, forse non
particolarmente ottimistica che però a nostro avviso può servire da monito e provocazione verso
quegli ambienti che potrebbero essere in grado di intervenire.
Maria Rosa Diaferia: “Bisogna essere fortunati. Da parte di una giovane di talento bisogna che concorrano
una serie di eventi fortunati perché poi venga effettivamente valorizzato come si deve. Trovare il docente
giusto, vincere il concorso giusto in quel momento e non sempre chi vince un concorso trova la strada aperta
per inserirsi nell'attività concertistica. Purtroppo hanno chiuso tante orchestre, altre come sappiamo e
leggiamo sui quotidiani milanesi hanno vita difficile, come la Verdi, per cui è molto difficile inserirsi…E i
nostri giovani cervelli musicali sono costretti a fuggire all’estero. Un giovane che cerca di inserirsi, non dico
con un lavoro stabile ma che dia almeno qualche garanzia, difficilmente in Italia trova lo spazio necessario”.
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8. Reti e non reti
Questo capitolo è dedicato a uno dei temi più delicati emersi nel corso delle nostre interviste e a cui
si è fatto cenno sin all’inizio di questa seconda parte del Rapporto: l’esistenza o meno di un vero e
proprio “sistema della musica” a Milano. Esso riprende aspetti in parte già trattati nel capitolo 5, nel
quale è emerso, in particolare, un rilevante problema di coordinamento dell’offerta di spettacoli
musicali dal vivo.
Le nostre riflessioni, dunque, partiranno dalle osservazioni raccolte sulla realtà del mondo della
musica milanese, inteso come circuito in grado di fornire una rete di contatti e di scambi fra vari
soggetti e artisti che si occupano di “farla” e produrla.
Proveremo inoltre a riflettere sul senso e sul valore delle contaminazioni tra settori artistici e non,
per coglierne il carattere culturale e le potenzialità di possibili sviluppi futuri.
Infine, affronteremo il gravoso problema, già accennato in altre parti del nostro lavoro, dei
finanziamenti offerti dalle istituzioni alla musica, che sono in parte la prova del valore culturale
riconosciuto a questa risorsa italiana e soprattutto, dal nostro punto di vista, cittadina.
Concluderemo il capitolo con una riflessione generale sulla comunicazione intesa come attività
strategica necessaria per la promozione di questo settore artistico, ed anche come potere stesso della
musica, codice universale, linguaggio trasversale tra cultura e popoli.
Il Sistema Musica: una rete a maglie troppo larghe
Una delle metafore maggiormente utilizzate oggi nei più svariati campi e settori – e soprattutto
all’interno del mondo della comunicazione di cui la musica può esserne considerata una parte – è il
concetto di network. La produttività, lo scambio e la circolazione del sapere sono interamente
affidati a contatti sinaptici tra nodi, più o meno grandi, che costituiscono la maglia di un sistema
sociale/culturale globale, entro cui ciascun settore, ciascuna realtà geografica, ritaglia il suo piccolo
mondo di contatti e di relazioni.
La logica delle reti – che trova la sua massima espressione in Internet – risulta essere molto
efficiente per la circolazione e lo scambio di conoscenza e per il potenziamento delle relazioni.
Ci siamo dunque chiesti se anche dietro la fittissima offerta musicale di Milano vi fosse
un’organizzazione reticolare, quanto questa fosse strutturata in modo efficiente e “consapevole”,
ovvero realizzata secondo una precisa pianificazione “creativo/artistica”.
È opinione condivisa da professionisti e operatori del mondo della musica che a Milano non esista
alcun tipo di circuito tra i diversi soggetti, né tanto meno tra generi o tra professionisti. Iniziamo
riportando la valutazione del Centro Sociale Barrio’s.
“Diciamo che la rete sarebbe possibile ma non è esplicitata, esistono altre realtà come la nostra, ad esempio il
centro Progetto Musica, che è gestito dal maestro Mussidda, ci sono altre realtà che sviluppano incroci tra
sociale, privato e Comune. Ci sono le potenzialità. Il fatto che non ci sia una rete capillare che dia vita a un
progetto vero e proprio mi fa dire che non c’è un vero e proprio circuito della musica”.
Possiamo dunque dire che non esiste un vero e proprio “Sistema della Musica” cittadino, che sia
trasversale alle realtà connesse a questa forma d’arte.
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Sebbene Milano si sia sempre distinta per la qualità della produzione musicale – nel passato come
oggi – e sebbene, come abbiamo più volte sottolineato nel Rapporto, non manchino gli esempi di
iniziative di successo in termini di audience, purtroppo c’è ancora molto da fare sul fronte delle
relazioni tra soggetti, del coordinamento tra singole realtà, in generale sulla costituzione di un
network che catalizzi la ricchissima offerta per renderla veramente una programmazione “pensata”
e “progettata” in forma condivisa, che diventi espressione di qualità e di distinzione per il tessuto
urbano.
Franco Fabbri: “Credo che i problemi della Scala siano stati abbastanza importanti. Quando la Scala ha
problemi di soldi, di finanziamenti, ovviamente tenta di drenare tutte le risorse possibili e questo va a scapito
delle altre istituzioni, per cui è difficile che possa esserci una vera collaborazione. Nel teatro - nonostante la
presenza del Piccolo, che è paragonabile alla funzione che la Scala svolge nel sistema musicale - le
istituzioni milanesi sono riuscite a promuovere degli accordi, come ad esempio ha fatto la Provincia con gli
abbonamenti multiteatrali... Nella musica queste cose sono esistite negli anni settanta-ottanta. Ad esempio,
“Musica nel nostro tempo” era stata un’occasione molto importante: è un po’ diciamo la storia che è partita
da lì e che poi si è trasferita a Torino con “Settembre Musica”, che è poi ritornata attraverso MITO. Quindi
l’idea che ci sia una manifestazione promossa da tante istituzioni tutte insieme, che collaborano e
incoraggiano la nascita di un pubblico che cresce e che poi le frequenta tutte. Questo allora era stato possibile
perchè c’era una grande concordia tra le istituzioni, era l’epoca in cui alla Scala c’era Abbado, c’era un forte
interesse per la musica contemporanea e quindi lanciare una manifestazione di quel tipo con la
collaborazione della Scala, del Conservatorio, dell’Angelicum, dei Pomeriggi Musicali, cioè di tutti i
principali enti musicali milanesi, aveva formato un pubblico che circolava tra tutte queste istituzioni. Questa
cosa si è poi spezzata e non si è più ricomposta”.
Filippo Del Corno: “L’Orchestra Verdi, Pomeriggi Musicali, Milano Classica, Società del Quartetto,
insomma sono le istituzioni musicali più importanti della città quelle che dovrebbero costituire questo
famoso tessuto connettivo che secondo me manca… non c’è capacità propositiva di altre istituzioni, di una
visione viva e innovativa della vita musicale che possa sostanziare per Milano l’epiteto di vera città della
musica”.
Carlo Peruchetti: “Manca completamente un coordinamento. Non si riesce nemmeno a fare delle riunioni
per coordinare i programmi. E anche perchè gli enti locali questo lavoro non l'hanno mai fatto... e
probabilmente non lo vogliono fare. Credo che questo porterebbe a un'economia di scala e forse anche a una
riduzione dei costi. Io mi ricordo un anno che la stessa sinfonia di Mendelssohn che abbiamo fatto qui (al
Teatro dal Verme) è stata fatta alla Verdi. Nessuno dice cosa fa, anzi cerca di nascondere come se fossero
delle cose da tener nascoste, non lo so… C'è un altro problema. Essendo tutte istituzioni che hanno una
programmazione annuale si punta soprattutto sugli abbonati, sulla fidelizzazione degli abbonati e quindi c'è
un travaso da una istituzione all'altra di pubblico che è assolutamente minimo. Chi viene a sentire i concerti
qui è difficile che vada a sentirne altri da un'altra parte. Ognuno ha il suo campicello. Invece potrebbero
esserci delle sinergie, si potrebbero fare degli abbonamenti misti; che poi funzionino non lo so, però ci si
prova almeno. Questa cosa a Torino la si fa”.
Alcuni esempi dimostrano e hanno dimostrato che la presenza di connessioni e di relazioni tra
soggetti e ambiti della musica può risultare molto proficua. Ci riferiamo al caso già citato e
ampiamente affrontato del festival MITO, e anche ad altre iniziative come quelle promosse dalla
“rete jazz” che ruota attorno al nucleo centrale costituito dall’associazione Musica Oggi.
Se si va in profondità nella realtà di ciascun professionista si possono tuttavia scorgere delle proto
formazioni reticolari che partono dalle iniziative del singolo e che pongono al centro, non tanto la
reale professionalità di ciascuno, quanto piuttosto la sua reputazione. E’ quanto mette in evidenza
un rappresentante dell’associazionismo culturale milanese.
100
“Esiste un tessuto che purtroppo dal mio punto di vista è molto, molto a fibre larghe, sì il tessuto c’è... io
conosco più o meno tutti quelli che hanno un locale a Milano, magari uno lo conosco personalmente, uno di
vista, uno per sentito dire – conosco un sacco di fonici , un sacco di direttori di produzione”.
Possiamo dunque dire che la costituzione di un sistema della musica cittadina rappresenta
sicuramente una necessità per un tessuto urbano così intensamente coinvolto da attività musicali
come Milano, necessità che emerge a gran voce dalle riflessioni dei nostri intervistati.
Luigi Corbani: “La collaborazione non annulla l’individualità delle singole istituzioni, io più che di
coordinamento parlo di collaborazione per progetti, per iniziative, per programmazioni, che non può nascere
dall’esterno perché diventa una cosa coatta. Una cosa imposta non è mai bella. Deve maturare una volontà
delle istituzioni di collaborare di più. Noi per esempio dopo tanti anni abbiamo stabilito una collaborazione
con il Teatro alla Scala, dopo anni di guerra, assolutamente priva di senso, quando invece si potrebbe, tra
istituzioni musicali di vario genere, realizzare molte più cose nell’interesse della collettività”.
Necessità che trova i suoi primi riscontri in questi tentativi individuali di consolidare contatti
privilegiati, raffinare affinità elettive tra soggetti e professionisti del settore e che, nei casi in cui ciò
si rende possibile, danno prova della sicura efficacia di un sistema strutturato.
Dalle descrizioni raccolte, emerge piuttosto la visione di un mondo musicale milanese diffuso a
macchia di leopardo, in cui spiccano grandi realtà di produzione ed espressione artistica, che
fungono da poli attrattivi sotto molti punti di vista: di pubblico, di talenti, di risorse, di eventi.
Ne è un esempio il teatro più famoso d’Italia, quello della Scala, oggetto di critiche quanto di
lusinghe e riconoscimenti.
Strutture come i grandi teatri o altri contesti, per usare un termine più generico possibile, possono
diventare, oltre che poli di attrazione, anche “buchi neri”, ovvero vortici viziosi verso cui vengono
canalizzati, non sempre a ragione, risorse e poteri a danno di soggetti più piccoli e meno visibili.
“Musica e…”, le contaminazioni possibili
Oltre alla metafora delle reti – e forse come sua diretta conseguenza – è molto frequente sentire
parlare di “contaminazioni” di generi e produzioni.
Anche il mondo della musica si apre a nuove forme espressive in cui il codice sonoro si integra con
altri linguaggi, artistici e non, offrendo come risultato prodotti culturali di ultima generazione.
Il focus del nostro lavoro rimane anche in questo caso la città di Milano. Ciò che emerge come
elemento comune tra i nostri intervistati è l’assenza di vere e proprie contaminazioni virtuose,
nonostante le potenzialità della città, dipinta sotto molti fronti come città della creatività39.
Anche in questo caso possiamo considerare le contaminazioni tra generi musicali – interne al
particolare linguaggio artistico oggetto del nostro studio – e quelle tra codici creativi differenti.
La fusione tra generi musicali non è al centro della nostra riflessione perché la musica vi si presta
per definizione, indipendentemente dal contesto geografico, già contribuendo, nel corso della storia,
alla nascita di nuove forme ed espressioni, col tempo definite anch’essi generi musicali.
Ciò nonostante alcuni artisti che vengono proprio dal genere più “contaminato”, il jazz, riconoscono
a Milano le potenzialità per essere culla di un altro grande cambiamento epocale della musica.
39
Basti pensare all’ampio spazio che oggi hanno a Milano l’industria della moda e quella del design. Milano è anche la
città delle grandi case editrici e delle case discografiche, a Milano risiedono artisti e scrittori di fama internazionale. La
città ospita importanti mostre artistiche ed eventi di rilevanza internazionale in ambito culturale.
101
Franco D’Andrea: “Il jazz deriva da tre culture, in particolare dalla cultura africana occidentale: gli schiavi
venivano portati da quella parte là nelle Americhe, e dalla cultura europea perché comunque il grosso dei
coloni che andavano nell’America del Nord venivano dall’Inghilterra, dalla Scozia, dalla Germania,
dall’Italia... un sacco di gente che veniva dall’Europa… questo avveniva in terra americana... quindi anche la
cultura americana portava un contributo nuovo e fresco: ecco le tre progenitrici del jazz. La cultura
americana scompaginava tutto perché non era riconducibile né alla cultura africana né a quella europea. Qui
potrebbe accadere qualcosa di simile… Io posso solo procedere per induzione perché non sono un tuttologo
ma sono andato molto in profondità per quello che riguarda la mia parte, ho fatto e faccio tantissime cose e
posso dire, senza avere paura di smentita, che abbiamo delle ricchezze enormi, soprattutto per quanto
riguarda il patrimonio africano. Abbiamo degli artisti molto validi che sono emigrati, sono venuti qui,
costituiscono una realtà che bisognerebbe valorizzare di più. Poi naturalmente ci sono altre realtà, altre
musiche… io però sono un jazzista e ho un occhio di riguardo per questo genere, perché poi li riconosco
meglio e ne avverto la qualità... è molto interessante. E poi la gente … vedo una luce, non è una proiezione
mia, li vedo danzare, questa cosa che accompagna la musica alla danza è una cosa molto importante per la
cultura africana. Vedo soprattutto la contrapposizione con la nostra staticità e la nostra difficoltà a mettere in
connessione la musica con lo spirito e con tutto il resto... per carità, ci sono altre culture che coniugano questi
aspetti... però anche la cultura africana lo fa e noi europei per non estinguerci abbiamo bisogno di
riappropriarci di questo rapporto tra corpo e anima”.
La presenza di diverse etnie e dunque di diverse culture che trovano nella musica uno dei possibili
codici espressivi, fa sì che la città possa divenire luogo fecondo per la nascita di nuovi generi, frutto
appunto della contaminazione tra codici musicali differenti.
L’esperienza già citata dell’Orchestra di via Padova ne costituisce solo un esempio. Ma molte altre
potrebbero essere le collaborazioni tra artisti e dunque le commistioni di genere tra musicisti, codici
e luoghi della musica.
Per ciò che concerne i punti di contatto tra musica e altre forme artistiche possiamo dire che sono
rarissime le occasioni in cui questo accade: a parte il caso del cinema, che riteniamo però
decontestualizzato dalla realtà territoriale di Milano, la maggior parte degli intervistati fa fatica a
ricordare o immaginare ambiti entro cui si è potuto raggiungere un contatto creativo tra musica e
altri codici espressivi.
Alcuni intervistati hanno citato il caso della moda, altri si sono soffermati su un piano, se vogliamo,
più aulico come può essere il rapporto tra musica e arte. Ne è un esempio l’iniziativa di qualche
tempo fa sviluppata dall’associazione “Norvugìa” e di cui racconta il suo presidente, Davide
Anzaghi.
“Novurgìa è nata nel '94. Anche in seguito a una disponibilità favorevole delle istituzioni, perchè già dal
primo anno noi abbiamo avuto il sostegno dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, poi della
Regione e della Provincia e infine anche del Ministero. La formula adottata da Novurgìa negli anni in cui ha
beneficiato di contributi pubblici era quella di un'attività interdisciplinare, che concretamente consisteva nel
proporre, intorno alle 20,30-21, un concerto seguito poi da una cena offerta nello studio di un pittore, di uno
scultore, oppure in uno studio di video-art. Nel corso di questa cena, abbastanza informale, l'artista parlava
della propria opera. Abbiamo visitato tutti gli studi milanesi più importanti, e non soltanto milanesi. Allora
non era così diffusa questa contaminazione di più arti”.
In altri casi descritti dai nostri testimoni la musica sembra relegata a ruolo ancillare, di supporto e
accompagnamento di eventi che si focalizzano su altre forme espressive. È come se la musica, nel
caso di commistioni con altri linguaggi artistici, non fosse in grado di ritagliarsi quel ruolo
importante e di primo piano che le compete e che riveste in molte esperienze di partecipazione e di
fruizione di eventi culturali. Il caso più comune nella città che viene definita della Moda è la
commistione tra musica e sfilate o eventi mondani legati a questo settore.
102
Come suggerisce uno dei nostri intervistati, potremmo attribuire lo stesso potere evocativo a una
scena di un film se questa non avesse un accompagnamento musicale?
A questo proposito occorre citare un’iniziativa portata avanti ormai da anni a Milano e supportata
da un ente territoriale come la Provincia di Milano: la rassegna Suoni e Visioni.
Attraverso una programmazione distribuita sul territorio metropolitano, l’iniziativa si propone di
coniugare l’esperienza uditiva a quella visiva, in un connubio che mette sullo stesso piano il potere
evocativo e artistico dei due sensi.
Marco Piccardi: “Suoni e Visioni è nata per l’appunto 18 anni fa - stiamo parlando del 1990 - la Provincia di
Milano per lunghi anni aveva sostenuto una manifestazione più legata alla musica contemporanea che si
chiamava “Musica del nostro tempo”, che poi per vari motivi storici ha chiuso. Ha pensato però ad una
alternativa forse meno legata alla musica colta, anche se c’è qualche riferimento alla musica contemporanea,
non intesa nel senso accademico, con maggiori contaminazioni con musica popolare, quindi il rock, il jazz, la
musica etnica.: Ha una sua identità, perché si cerca sempre di dare delle testimonianze di musica legata alle
immagini, il che significa musica per il cinema: sono stati frequenti i concerti di artisti che compongono
colonne sonore per il cinema o, viceversa, di spettacoli multimediali dove all’aspetto prettamente musicale
viene affiancata la proiezione di video o altro”.
Per concludere, possiamo dire che il sentiero di punti di contatto tra generi musicali e tra musica e
altre forme d’arte o d’espressione è ancora da percorrere e definire, per certi versi appare ancora
inesplorato. Certamente Milano ha tutte le caratteristiche per diventare laboratorio sperimentale di
esperienze di contatto tra culture, linguaggi e generi grazie alla ricchezza di talenti, al fermento
culturale – sottolineato da diversi intervistati – a quel proto-cosmopolitismo che tuttavia la
caratterizza oggi ancora in maniera confusa e poco integrata.
Le istituzioni e la sensibilità musicale
Non abbiamo lo spazio né le competenze per affrontare questo tema in maniera analitica. Quello
che proporremo nelle prossime parti del paragrafo è più che altro una ricostruzione percettiva della
realtà dei finanziamenti legati al mondo della musica e dunque del ruolo delle istituzioni come
garanti dell’industria culturale cittadina, che ovviamente include anche la produzione e l’offerta
musicale.
Gli enti territoriali sono considerati poco attenti alla realtà del settore musica a Milano.
Davide Anzaghi: “Non considerare la musica da parte della classe dirigente come un'occasione di crescita
culturale mi sembra un gravissimo errore, che si spiega soltanto con una enorme ignoranza e analfabetismo.
Altrove si investe, sapendo di investire in un bene comune”.
In alcuni casi si parla di un’attenzione selettiva, rivolta solo ai poli culturali riconosciuti come di
rilevante importanza per il territorio. È il caso ancora una volta della più volte citata Scala di Milano
e di pochi altri contesti, seppur con una ricca tradizione alle spalle.
Luca Garlaschelli: “Il problema è che finchè le poche risorse che esistono a livello nazionale vengono spese
soltanto per tenere in piedi dei grossissimi baracconi, chiaramente non c'è spazio per gli altri. Stiamo quindi
lottando per avere una legge sulla musica che dia a tutti le stesse possibilità. Questo vuol dire che gli
organizzatori, indipendentemente dal genere di musica che fanno, hanno il diritto di attingere e di essere
103
aiutati. Chiaramente questo scardinerebbe il sistema di privilegi, che è estremamente negativo anche per loro
stessi, perchè poi la verità è che se tu sei privilegiato non cresci perchè intanto hai tutto. Se ci fosse una
distribuzione della spesa fatta con criteri di ragionevolezza e di rendimento, basata sul rapporto qualità/
prezzo, tutti i generi musicali, anche il jazz o la musica etnica, il folk, il rock non commerciale, potrebbero
crescere e avere spazio. Se abbiamo 100 e 98 viene speso per la lirica otteniamo delle brutture, che sono ad
esempio il fatto che i nostri direttori di orchestra in Italia guadagnano dieci volte di più di quello che
guadagnano all'estero, perchè esiste un mercato drogato. Questa è la verità”.
Le principali critiche sul sistema dei finanziamenti riguardano essenzialmente alcuni aspetti, in
primo luogo, la loro distribuzione “a pioggia”: quasi tutti gli intervistati convengono sul fatto che la
distribuzione delle risorse economiche avviene secondo un criterio di finta equità distributiva, che
concede “fette” più consistenti a pochi soggetti e ripartizioni di egual misura tra i rimanenti.
Davide Anzaghi: “Io credo innanzitutto che una distribuzione più razionale dei pochi contributi pubblici
sarebbe opportuna… A parer nostro, visto che non è toccato solo a noi e quindi non è un'attitudine paranoide,
sono stati tagliati i contributi a tutte le piccole associazioni, quelle che facevano promozione di cose non
note”.
In secondo luogo, la mancanza di un’effettiva verifica sulla qualità di proposte musicali in grado di
orientare finanziamenti per l’anno o gli anni successivi; strettamente collegata al criterio precedente
vi è quindi l’assenza di adeguati controlli sul reale impiego dei fondi stanziati. Le società e
associazioni più piccole lamentano soprattutto la difficoltà di dimostrare il valore artistico della
propria programmazione musicale, al fine di ottenere maggiore spazio – e dunque maggiore
opportunità in termini economici – per le proprie iniziative.
Gianni Bombaci: “Da parte istituzionale c’è un prevalere dei finanziamenti un po’ a pioggia e io considero
questo un grosso errore… cioè quel poco che resta dalla Scala, il resto per evitare di avere insoddisfazioni, la
scelta che si fa è quella di dare un po’ a tutti. Dopodichè le risorse sono limitate, specialmente nella
situazione di crisi economica che attraversiamo, e questi soldi prescindono dalla qualità, dalla novità, dalla
ricerca… ovviamente un’associazione che ha in primo luogo la ricerca musicale ha delle difficoltà”.
Una delle proposte possibili per risolvere questo empasse potrebbe risiedere proprio in un’attenta
verifica dei risultati raggiunti, del potere partecipativo degli eventi proposti, dell’effettiva qualità
delle stagioni “messe in scena”. Tutto ciò oggi manca.
Maurizio Franco: “Perché nessuno viene mai a controllare cosa succede nelle rassegne? È giusto dare a tutti
la possibilità di lavorare, ma in Francia i funzionari ministeriali o comunali vanno a vedere cosa succede, se
un concerto è organizzato bene, se produce realmente cultura. In questo modo, l’anno successivo si possono
ridurre o aumentare i contributi alle iniziative, premiando chi lavora bene. Queste sono cose che sarebbe
logico fare e per questo da anni aspetto che qualcuno venga a controllare quello che facciamo perché so che
comunque vada vedrà un’iniziativa ben organizzata”.
Viene inoltre evidenziata, in generale, la ristrettezza dei contributi riservati all’arte, in modo
particolare alla musica: pur coscienti della situazione economica in cui versa il paese, gli operatori
del settore musicale notano una specifica tendenza a ridurre gli investimenti sulla cultura, in special
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modo sulle proposte musicali, a discapito dell’offerta artistica delle città. Questo viene spesso
considerato come prova della scarsa sensibilità delle istituzioni nei confronti delle forme d’arte.
Si sottolinea infine la forte burocratizzazione del sistema musica, a Milano come nel resto d’Italia, e
la scarsa capacità delle istituzioni locali di snellire la regolamentazione nel tessuto cittadino: i
professionisti della musica manifestano il disagio nei confronti di una situazione normativa obsoleta
e pedante, che non riguarda solo la forte penalizzazione economica dei compensi – determinata da
un aggravio fiscale non indifferente – ma che interviene pesantemente sulla gestione delle
performance dal vivo. I costi da sostenere per un concerto – inteso come esibizione dal vivo – sono
elevati, tanto per il gestore del locale che ospita, quanto per il professionista: questo ovviamente
disincentiva molto. Non mancano in merito le proposte che alcuni artisti troverebbero utili grazie a
un intervento delle istituzioni.
Tito Mangialajo: “Per chi organizza, dare più spazio a tutti, non sempre ai soliti noti e magari a livello
politico: suggerirei ai politici milanesi di cominciare a fare pressione affinchè si defiscalizzino certe realtà
per dare maggiore spazio alla musica dal vivo, per esempio eliminando l’obbligatorietà della SIAE in posti
come il nostro, perché alla fine quei soldi non vanno all’artista che suona, quei soldi vanno alla SIAE, vanno
in un calderone generale”.
La piccola panoramica delle controverse relazioni tra musica ed istituzioni è prova di una situazione
ambivalente in cui le istituzioni sono in grado di essere protagoniste, a fianco e a sostegno del
mondo della musica per particolari iniziative, ad esempio la rassegna Suoni e Visioni, MITO o
Musiche dal cielo. Rassegne seguite dal pubblico ed entrate – o destinate a farlo – negli
appuntamenti tradizionali della città.
D’altro canto, si percepisce una scarsa attenzione verso la distribuzione delle risorse, il sostegno
all’innovazione, il supporto a iniziative originali o, come nel caso dell’Associazione Barabàn, legate
alla tradizione culturale e alla storia della città e del territorio.
Abbiamo già detto che i nostri intervistati sono stati spesso propositori di idee anche interessanti per
una “riconciliazione” a 360 gradi tra la Musica – con la M maiuscola - e la Città, e fra queste ha
trovato un certo consenso l’ipotesi di creare un confronto, di instaurare un canale di dialogo da
attivare per lo scambio e il reciproco ascolto.
Gianni Sibilla: “Una delle costanti del sistema musica è sempre stata l'incapacità di darsi una regia. E l'altra
costante è l'incapacità di fare lobby. Il sistema musica non è mai stato capace di fare lobby presso le
istituzioni, non è capace di farsi ascoltare - o meglio, si fa ascoltare ma poi non ottiene nulla. Quindi la
mancanza di una regia istituzionale strettamente correlata all'incapacità del sistema musica di auto
promuoversi”.
Comunicare la città della musica
Abbiamo detto che la musica a Milano è presente soprattutto attraverso eventi che abbracciano
diversi generi musicali e che diventano la principale forma di “fare musica” in città.
Per questo motivo il discorso fin qui sviluppato – sull’esistenza o meno del sistema musicacittadino – si intreccia con una riflessione più trasversale, connessa al rapporto tra musica e
comunicazione.
Attraverso le osservazioni raccolte tra gli intervistati abbiamo individuato alcuni nodi critici di
questo complesso rapporto tra mondo della musica e mondo della comunicazione, che possiamo
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raggruppare in due sotto-temi: la promozione degli eventi musicali in senso stretto e lo spazio
riservato alla musica nei media, vecchi e nuovi.
Riguardo la promozione musicale cittadina, i professionisti che hanno presto parte alla nostra
ricerca lamentano soprattutto l’assenza di una promozione programmata dell’offerta musicale nel
suo complesso.
Nicoletta Geron: “Non sono sicura che ci sia un posto come a Parigi o a Londra dove sai perfettamente
dove e cosa andare a vedere…e dove rivolgerti… Forse il Comune dovrebbe essere più attento a divulgare
materiale sulle proprie iniziative e comunque su tutta l’offerta musicale a Milano”.
Il problema è strettamente connesso a quello dell’organizzazione dei contatti e delle sinergie interne
al sistema musica, la cui assenza sicuramente non favorisce l’immagine di Milano intesa come
metropoli in grado di offrire lo stesso tipo di proposta artistica e culturale di altre città europee.
Il confronto con alcune delle grandi capitali della cultura e dunque anche della musica, come Parigi,
Londra o Barcellona vede purtroppo Milano debole e in seconda linea.
Manca dunque un “cartello unitario della musica”, che sia in grado di dare visibilità e il giusto peso
alla varietà e alla qualità dell’offerta milanese, rendendola quindi maggiormente accessibile. In
questo quadro, inevitabilmente, avranno più spazio le proposte più note e meno visibilità le piccole
realtà che hanno minori budget di spesa da investire sulla comunicazione.
Filippo Del Corno: “Un problema è la mancanza di strumenti promozionali, ognuno fa ciò che riesce con le
proprie risorse: da un lato con 50 devi sempre riservare 20 alla promozione, quindi 30 diventa poco per
produrre quanto si tenta di promuovere creando un forte impatto; allora si può usare 40 per produrre e rimane
solo 10 per promuovere, ma è troppo poco rispetto a quanto si sta effettivamente producendo – questo tra
produzione e promozione è un elastico che non riesce a stare in equilibrio, specialmente nelle piccole realtà
come la nostra. Questo è il più grosso problema che abbiamo incontrato”.
È evidente dunque che il tema della comunicazione della musica tocca, oltre al già citato problema
della mancanza di un coordinamento reale e pensato, anche quello discusso nel precedente paragrafo
delle risorse economiche, della gestione delle stesse e della capacità di utilizzarle per ritagliarsi
adeguati “spazi di visibilità”.
Questa riflessione, quindi, ci introduce al secondo aspetto che riguarda il rapporto tra comunicazione
e musica e che riguarda il più ampio aspetto della presenza della cultura e in modo particolare della
musica sui media sia territoriali che nazionali.
In generale, gli intervistati ritengono che la stampa riservi poco spazio alla cultura e agli eventi
musicali. Sia la free press che la stampa quotidiana tendono a dedicare poche pagine alle notizie di
cultura e spettacolo; se lo fanno ritagliano particolari spazi in determinati periodi della settimana e
con ampi margini riservati alle iniziative culturali e mondane più rilevanti, più che agli aventi
musicali. E’ questo il quadro che emerge dalla testimonianza di un operatore del mondo
dell’associazionismo culturale.
“Non c’è abbastanza informazione sull’offerta musicale. Basta aprire la Repubblica o il Corriere della Sera
in un giorno qualsiasi e vedi che la pagina degli spettacoli è due facciate e in mezzo a questa pagina c’è una
fotografia, in alto hai uno spazio dedicato ai concerti interessanti che è di quattro, su tutta Milano e
provincia; giri la pagina e vedi la pagina dei cinema, e vedi una pagina di pubblicità, una di programmazione
in tutta Milano, e poi giri ancora e ci sono due pagine di programmazione in provincia di Milano... è un
abisso… il quotidiano è l’esempio più facile perché è alla portata di tutti”.
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Laddove poi l’evento musicale fa notizia – o potrebbe farla – si possono verificare quelle
sovrapposizioni su cui ci siamo già soffermati, riducendo drasticamente le possibilità delle realtà
più piccole.
Alfio Bosatra: “Il problema della comunicazione si pone anche – e questo è un elemento, lo dico
apertamente, di critica – da parte di coloro che sono professionalmente preposti a informare e cioè i
giornalisti, i quali a mio pare mancano di coraggio: e io non so fino a che punto questo dipende dai
giornalisti o dai capiredattori, diciamo dalla linea editoriale dei quotidiani. Ma i giornalisti hanno una scarsa
predisposizione a parlare di qualcosa che non siano i soliti grandi artisti, i soliti grandi teatri... io credo che
loro sotto questo aspetto dovrebbero avere un atteggiamento più aperto, da un punto di vista professionale…
Alcuni intervistati, sono poi particolarmente critici sul potere di fare notizia di quegli eventi che
riguardano la città.
Maurizio Franco: “Un altro aspetto di grande negatività di Milano, ma non solo di Milano, è la difficoltà
della stampa, soprattutto cittadina, di sostenere meglio le iniziative che non rientrano nella logica perversa
del cosiddetto ‘grande evento’ e di non comprendere gli elementi di originalità che ci sono nella
programmazione milanese. Questo avviene più per mancanza di competenza delle redazioni che non dei
giornalisti specializzati; e poi occorre che qualcuno scriva più spesso sulle pagine nazionali intorno a quello
che succede a Milano. Non è concepibile che se la nostra città ospita la prima di una tournée importante
l’articolo compaia solo sulla pagina milanese, mentre se il giorno successivo l’evento tocca Roma ne parla il
telegiornale: una cosa delirante, per cui sembra che a Roma nasca chissà cosa e poi invece è un prodotto di
riporto. Il problema di Milano è quello di riuscire ad avere le prime pagine di giornali e telegiornali nazionali
come le ha Roma o altre città. Avere il coraggio insomma di portare la nostra esperienza fuori, riuscire a far
capire che qui di cose se fanno tantissime e che è un grande laboratorio, tra l’altro molto accogliente
contrariamente ad altri. Perché è molto difficile per i musicisti italiani e anche milanesi andare a suonare
nella altre città, Roma inclusa”.
Milano viene quindi percepita dal mondo dei media come una città dove si dà poco spazio ad eventi
culturali e musicali, soprattutto se confrontata con la capitale o con altre realtà cittadine che di fatto
non hanno lo stessa capacità ricettiva di Milano ma sono notoriamente riconosciute come poli della
musica. Questa riflessione vale tanto per la stampa quanto per la televisione. E questa diversa
percezione della città di Milano – come di tutte le realtà che non sono riconosciute come Poli
nazionali della cultura - a livello locale/regionale o nazionale è evidente proprio dal peso che viene
dato alle notizie che riguardano la cultura e la musica da emittenti o giornali locali e da quelli
nazionali.
C’è anche chi ipotizza una possibile spiegazione.
Maurizio Franco: “Quasi tutti i giornali nazionali sono romani a parte il Corriere. In questo senso è chiaro
che sono portati a interessarsi di più a quello che gli sta intorno, è anche molto più comodo, chiunque farebbe
così”.
Un discorso a parte è ovviamente offerto dalla Rete. Lo abbiamo già detto in altre parti del nostro
lavoro: Internet oggi può rappresentare un’opportunità interessante per chi si occupa di musica a
vario titolo. E questo vale anche per la promozione.
In generale, però, i nostri intervistati risultano essere poco “informati” sull’uso e sulla realtà degli
ambienti digitali per la promozione musicale, a parte per i canali più istituzionali come ticket one.
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Non si tratta di un ritardo da parte dei professionisti della musica, quanto del pubblico, soprattutto
per particolari generi musicali.
Se ovviamente il rock, il pop e i relativi locali e contesti dove questo tipo di musica viene proposto
sono già presenti on-line e ne sfruttano tutto il potere comunicativo, altri generi come la musica
classica e quella contemporanea hanno in genere un pubblico più maturo che ancora oggi preferisce
informarsi ed essere informato attraverso canali più tradizionali.
Nicoletta Geron: “Credo che le cose stiano anche cambiando perché in fondo Internet e i siti danno una certa
possibilità di azione (promozionale) - ancora in maniera molto caotica – e credo che arriverà a puntualizzare
e focalizzare molto più l’attenzione”.
La Rete apre uno spiraglio di visibilità attraverso le logiche democratiche che la governano e
soprattutto anche grazie ai contenuti ridotti della promozione digitale – che talvolta può essere
condotta anche in forma quasi del tutto gratuita40.
Un discorso a parte meriterebbe il modo di comunicare la musica: è una risorsa territoriale culturale
oppure ha margini di interessi e di business anche all’interno di altri settori?
Detto in altre parole, la musica potrebbe costituire, se opportunamente valorizzata, anche una
risorsa per la promozione turistica della città?
In altri parti d’Europa – basti pensare alla non lontana Francia – esistono circuiti turistici basati su
proposte costruite attorno a eventi musicali a cui abbinare la visita della città ospitante.
Pensando dunque alla musica come risorsa territoriale, possiamo immaginare –e questo fa parte dei
suggerimenti proposti dai nostri intervistati – che essa possa costituire non solo un momento
ricreativo artistico ma anche un elemento attrattivo turistico.
Al momento questo vale soprattutto per una realtà dall’immagine forte e consolidata, in Italia come
all’estero, come la Scala, ma potrebbe presto estendersi ad altri ambiti, se opportunamente
promossi.
Tutto questo è ovviamente possibile a fronte di un’adeguata comunicazione – locale, nazionale e
internazionale – delle proposte musicali e, ancora di più, di un consolidamento – o meglio
costituzione – di circuitazioni chiare e strutturate all’interno di un macro sistema chiamato “Mondo
della musica” a Milano.
Mettendo da parte queste interessanti proposte di sviluppo che meritano di essere valorizzate,
vorremmo concludere questo paragrafo con una considerazione più ampia sul complesso rapporto
tra musica e comunicazione.
I contributi preziosi dei nostri intervistati mettono in evidenza che la comunicazione costituisce
un’interessante ambito di intervento non solo per il sistema della musica in senso stretto – ovvero
per la sua promozione e per una sua maggiore penetrazione nel tessuto cittadino – quanto più che
altro come contesto di sperimentazione dell’efficacia e dell’efficienza di un ipotetico circuito della
musica che, attraverso la sincronizzazione, l’organizzazione della comunicazione sugli eventi, può
sperimentare canali, relazioni, rapporti e sinergie tra soggetti.
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Si pensi alle risorse di ultima generazione come i social network e tutte le logiche che caratterizzano il social media
marketing che mettono al centro la relazione, lo scambio di informazioni per “contagio” o passaparola.
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9. Verso Expo 2015
Sin dalla prima Esposizione Universale di Londra del 1851, la musica ha sempre svolto un ruolo di
primo piano nelle scenografie "mirabolanti" di questi grandi eventi mondiali della scienza, della
tecnica, delle industrie, del lavoro e dei commerci. Ciò è accaduto anche nelle Esposizioni
Nazionali, come quella di Milano del 1881, celebrativa del tunnel del San Gottardo, quando la Scala
allestì il Ballo Excelsior, "un vero e proprio tripudio di colori e di danze per celebrare le grandi
imprese del mondo industrializzato, vittorioso contro l'oscurantismo e la barbarie". 41 E presso il
Conservatorio si trova ancora oggi una raccolta di strumenti musicali "esotici" donati dagli
espositori di tutti i paesi che parteciparono a quella Esposizione. Erano gli anni in cui Milano si
affermava nel mondo come centro dell'editoria musicale, specie attraverso l'impulso dato da quello
straordinario imprenditore che fu Giovanni Ricordi.
Maurizio Dehò: “Nel 1906 c'è stata la prima Expo a Milano, non è la prima quella che faremo nel 2015.
Sembra che tra i vari padiglioni - allora non si facevano le costruzioni di oggi, c'erano dei tendoni, dalle parti
dell'Arena - quello più visitato e con più grande successo fosse il padiglione ungherese, dove c'erano dei
gitani che si esibivano, musicisti straordinari. Quindi questa musica gitana è nella nostre orecchie già da più
di 100 anni”.
Con l'Expo 2015 di certo si riverserà a Milano - nella fase preparatoria come nei sei mesi di durata
dell'evento - tanta musica, proveniente da ogni angolo della terra. E non sarebbe forse male se
queste musiche delle diverse tradizionali culturali del mondo fossero orientate a un'idea, a un
progetto, a un percorso. Ma poi, finita la festa, cosa resterà alla città della musica? Tra le persone
intervistate è diffuso il desiderio che l'Expo si traduca in un lascito duraturo e di alto valore
simbolico.
Agostina Laterza: "Il nuovo Expo dovrebbe secondo me recuperare quello spirito. La parte musicale era una
delle parti culturali più importanti in un ambito che era di agricoltura e industria. La musica era
fondamentale. Oggi, dal punto di vista industriale, sarebbe probabilmente più importante la parte della
musica leggera. Ma guardi che i confini tra musica seria e musica leggera si stanno eliminando. Potrebbe
essere l'occasione per fare qualcosa che in cinquant'anni non si è riusciti a fare, per creare delle strutture che
restino come dei simboli della città".
Leonardo Fiori: "Adesso qui dicono cretinamente che il segno simbolico è un grattacielo di duecento metri,
ma sono segni simboli di un secolo e mezzo fa, che non ci interessano più. Il segno simbolico potrebbe
essere proprio questo: città o palazzo della musica, che rimarrebbe nella città... Come è successo con
l'Acquario Civico. Nel 1906 noi abbiamo avuto l'Expo mondiale e l'Acquario è l'unico edificio rimasto, oggi
è un simbolo liberty di grande qualità rimasto come edificio simbolico di quel periodo. Quindi un palazzo
della musica potrebbe essere l'edificio simbolico di Milano che questo Expo lascia, insieme ad altri simboli
come il Museo del design".
41
Guido Salvetti, Suoni in Expo, in Classic Voice, n. 108, anno 2008, p. 29.
109
Il dopo dell'Expo, ossia il cosa rimane alla città, dipende strettamente dal prima dell'Expo, ossia da
cosa la città progetta sin d'ora per essere destinato a rimanere. E' una questione di approcci, di scelte
e di processi, oltre che ovviamente di risorse. Ma occorre soprattutto un disegno - che attualmente
ancora non si vede - per evitare il rischio che ciascuno corra da sè, come paventa il direttore
artistico della Fondazione I Pomeriggi Musicali.
Carlo Peruchetti: "Non c'è nessun disegno, nessun intervento. Succederà come al solito che tutti vanno a
cercare qualche cosa per loro stessi e quindi non verrà fuori nulla".
Speriamo di no. Speriamo che la città della musica - nei suoi diversi attori pubblici e privati - sappia
e voglia cogliere l'occasione dell'Expo per uscire dalla frammentazione che la caratterizza e fare
sistema. Possibilmente intorno a un'idea forte, a qualcosa di non effimero, come spesso è successo e
succede con i "grandi eventi", ma che s'incardini nel tessuto musicale cittadino, valorizzandone la
creatività diffusa e rafforzandone la capacità di creare nuove offerte culturali. Una Expo insomma
che non si limiti ad essere una "vetrina" musicale, per quanto ricca e interessante possa essere. E'
una possibilità, non è detto che accada.
Al di là delle opportunità "teoriche" legate all'Expo, anche negli altri suggerimenti raccolti in sede
di intervista si ripropongono in buona sostanza i temi d'interesse già emersi nei paragrafi precedenti
e che qui ci limitiamo in parte a riprendere sinteticamente.
Le diverse componenti del sistema musica - dalle associazioni, alle case editrici, alle istituzioni
musicali, ai singoli artisti - chiedono in primo luogo di avere maggiore attenzione da parte delle
istituzioni pubbliche e di essere riconosciute per l'impegno e la qualità del lavoro che già svolgono,
contando il più delle volte unicamente sulle proprie forze. E’ un valore che rivendica, ad esempio, il
direttore dell’Orchestra dell’Università degli Studi di Milano.
Alfio Bosatra:“La nostra orchestra non è nata da una operazione a tavolino da qualcuno che dice ho un po’ di
soldi da investire e vediamo. Noi siamo nati da zero, non abbiamo chiesto a nessuno, siamo stati sostenuti
dall’università principalmente e dalla Fondazione Cariplo, dico io per fortuna altrimenti avremmo già chiuso
l’attività… Noi diciamo: quest’orchestra è una risorsa per la città, la città si trova un’orchestra come questa
senza avere fatto alcuna fatica, noi chiediamo che le istituzioni riconoscano questo fatto, mettendo del loro
perché altrimenti le orchestre ci mettono poco a morire”.
Riconoscimento di un ruolo, di un impegno profuso negli anni, ma anche necessità di un sostegno
tangibile da parte delle istituzioni pubbliche. E’ il problema dei finanziamenti pubblici, senza i quali
la gran parte delle attività musicali meno remunerative sul piano del mercato - dalla musica colta a
quella tradizionale – finirebbero semplicemente di vivere.
Si sente spesso affermare, anche da parte dei politici, che la cultura costituisce un ambito strategico
per lo sviluppo complessivo del nostro paese. Una nobile dichiarazione di intenti alla quale
corrispondono comportamenti reali che vanno nella direzione opposta. Dal 2001 ad oggi i
finanziamenti statali destinati all’ormai tristemente famoso FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo)
sono diminuiti del 40%, mentre la riduzione dei trasferimenti agli enti locali – ancora più importanti
del FUS per la sopravvivenza delle iniziative radicate nel territorio – ha fatto il resto, con il risultato
che diversi organismi musicali hanno cessato o contratto le loro attività.42 Tagli e sacrifici
“dolorosi”, che nessuno in realtà vorrebbe fare, almeno a parole, ma che lo stato dei conti pubblici
rende ineluttabili.
42
CIDIM, Il futuro senza musica, atti del convegno tenutosi all’Auditorium di Milano il 20.02.2006.
110
In questo quadro “luttuoso” di risorse pubbliche sempre più scarse diventa ancora più importante
operare con maggiore trasparenza e tempestività, orientando i finanziamenti verso i progetti e le
produzioni di maggiore qualità e riducendo i tempi burocratici connessi alle loro erogazioni. Ed
evitando di favorire i “soliti noti”.
Aurelio Citelli: “Il fatto è che si presta sempre attenzione ai soliti enti e quindi ai soliti tipi di musica che
sono francamente diventati una cosa secondo me assurda. Perché se è giusto dare alla Scala quello che la
Scala merita, però poi bisogna considerare che ci sono una serie di altre realtà che non hanno mai visto
nulla… che non hanno sedi, che non hanno spazi, finanziamenti, che non hanno l’opportunità di essere
considerate, di essere visibili”.
Oltre che a migliorare e razionalizzare la distribuzione delle poche risorse esistenti, si potrebbe dar
vita – come caldeggiano alcuni intervistati – ad un sistema di incentivi e agevolazioni volti
soprattutto a favorire un maggiore accesso dei giovani agli spettacoli musicali dal vivo e alla
formazione musicale, a sostenere la crescita dei nuovi talenti, a promuovere la diffusione delle
pratiche amatoriali, a stimolare la qualità dell’offerta musicale dei locali.
Ma occorre anche ricercare il maggior coinvolgimento dei privati – il cui “mecenatismo” musicale
appare ancora tiepido -, ossia pensare ad un sistema di risorse fondato sul mix pubblico-privato, il
che implica la capacità di fare rete tra i diversi soggetti (istituzioni pubbliche, fondazioni, privati,
associazioni). All’operatore pubblico viene quindi richiesto di svolgere un ruolo di interfaccia
“intelligente”, attivando le competenze necessarie.
Gianni Bombaci: “Io penso a una specie di forum. Sarebbe interessantissimo se si riuscisse a fare per
esempio gli stati generali della musica a Milano. Non però con retorica, non una processione di intenti o per
fare vedere le cose belle che uno fa, ma una cosa seria, fatta bene, senza trascurare i settori piccoli”.
Franco D’Andrea: “Vorrei aggiungere anche un’altra cosa. Vorrei dire che ci vuole anche un minimo di
competenza, cioè ci vorrebbe che nelle commissioni che si occupano di queste cose qua ci fossero persone
che sappiano, che siano esperti del mondo della musica, indipendentemente dal fattore politico”.
Un altro tema che raccoglie diversi spunti propositivi riguarda il rafforzamento e il miglioramento
dell’offerta di musica, facendo in modo che questa coinvolga tutti gli ambiti di vita della città,
promuovendo sinergie, lanciando nuovi festival in una città che in fondo non ne ha molti, ibridando
la musica con le altre espressioni artistiche.
Luigi Corbani: “Bisogna creare altre città musicali in questa città, su tutto il mondo della musica. Una
maggiore offerta musicale, una maggiore attenzione verso le iniziative che devono investire tutti i luoghi
della vita cittadina, dalle università, alle scuole, ai teatri”.
Tito Mangialajo: “Per esempio sono stato a Londra e a Londra si fa musica anche in posti che non sarebbero
deputati alla musica, come i foyer dei teatri, o al museo, e ti trovi ad esempio il quartetto d’archi che ti fa
della musica dal vivo di pomeriggio. Cercare di incentivare queste cose perché la musica sia un po’
ovunque”.
Fiorano Rancati “La proposta sarebbe prima di tutto di fare una programmazione di un certo tipo all'interno
degli spazi cittadini. Dei momenti di raccordo, che possono essere anche festivalieri, che siano momenti di
scelta di cose nuove capaci di confrontarsi con quanto avviene. Non so, il modello se vuoi, in piccolo, è il
festival Uovo che si occupa di teatro-danza e che fa lo sforzo di portare - per quello che può, perchè poi i
mezzi sono limitati - una serie di sperimentazioni, gruppi scelti, che si inseriscono nella città e hanno ormai
111
un loro pubblico consolidato, ma nello stesso tempo sono anche un momento di interscambio tra operatori”.
Claudio Formisano: “A Milano una volta, durante la Fiera di Milano, c'era una bellissima manifestazione
che si chiamava Viva i Giovani, che era nata nel periodo in cui i gruppi musicali erano molto di moda.
Secondo me rilanciare un Viva i Giovani - inteso come viviamo la musica bene, in modo positivo - sarebbe
un'iniziativa che avrebbe successo”.
Un’offerta maggiormente qualificata deve poi poter incontrare una domanda musicalmente più
preparata. In un paese come l’Italia di “analfabeti musicali” – un’espressione ricorrente nei racconti
degli intervistati – l’educazione musicale delle giovani generazioni rappresenta, insieme al
problema dei finanziamenti, il nodo strategico più importante per il futuro della musica.
La grande e annosa questione dell’educazione musicale nelle scuole primarie, ma anche secondarie,
ha ovviamente una portata nazionale e chiama direttamente in causa l’azione del Governo, seppure
in essa le autonomie locali giocano, e sempre più giocheranno, un ruolo di crescente importanza. E
in effetti, negli ultimi anni, diverse iniziative promosse dagli enti locali e rivolte a favorire una
migliore diffusione della cultura musicale nelle scuole hanno preso piede a Milano e in Lombardia.
Ma occorre fare di più.
Filippo Del Corno: “Facendo tesoro di alcune esperienze interessanti del nostro territorio come ad esempio
le medie sperimentali a indirizzo musicale del territorio dell’interland oppure le scuole di musica per bambini
presenti qui a Milano, alcune fatte molto bene, sarebbe interessante sviluppare il più possibile progetti
musicali che siano in grado da un lato di insegnare ai bambini ad avere un rapporto con la musica che sia
fattivo, concreto, imparare a cantare a suonare, a farlo insieme, a conoscere gli strumenti. E accanto a questo
strumento più concreto uno strumento di apertura alla conoscenza dei repertori musicali, che non siano
esclusivamente quelli passati attraverso i canali commerciali”.
E’ emerso infine un aspetto di vitale importanza per lo sviluppo futuro della città della musica: la
capacità di fare accoglienza e di svolgere un ruolo attivo nei circuiti internazionali.
Milano deve diventare sempre più attrattiva e ospitale per i musicisti italiani e stranieri, affidando
loro – tramite magari lo sviluppo delle “residenze artistiche” – la realizzazione di nuove opere
musicali da eseguire poi in prima assoluta negli spazi cittadini. Allo stesso modo è necessario
migliorare l’accoglienza per i giovani che da tutto il mondo vedono in Milano un polo di eccellenza
della formazione musicale.
L’internazionalizzazione di Milano città della musica implica il rafforzamento delle reti di relazioni
e delle partnership con le altre città della musica sparse in Europa e nel mondo. Un po’ come
succede per il sistema moda-design, esse danno luogo ad una sorta di “regione globale” della
musica al cui interno Milano deve e può giocare un ruolo dinamico. Sotto questo profilo occorre
capitalizzare il network di relazioni internazionali in cui la città è già inserita e nello stesso tempo
ampliarlo verso nuove opportunità e direzioni.
Francesca Colombo: ”Per fare un esempio, io proprio domani ho un incontro con il direttore generale del
Proms di Londra, che è un festival di musica che ha 113 anni, con l'idea di creare dei progetti verso il 2015.
Stiamo facendo lo stesso con la Germania, e anche a livello nazionale, con l'Accademia Santa Cecilia di
Roma. Stiamo facendo un progetto di collaborazione molto importante con la Russia, con l'Inghilterra.
Insomma, abbiamo seminato e continuiamo a seminare per rendere sempre più internazionale MITO.
Quest'anno, nella seconda edizione, coinvolgiamo 33 paesi, ma già l'anno scorso erano stati 23. Mito nasce
quindi con una forte apertura internazionale, che andrà rafforzata ulteriormente nei prossimi anni. Un fatto
molto importante anche nella prospettiva dell'Expo”.
112
Fiorano Rancati: “Uno dei vantaggi del festival di San Lorenzo è di avere delle connessioni notevoli, siamo
in una rete europea che comprende il Teatro de La Ville di Parigi, la Villette, la Maison des cultures du
monde, le Palais des Beaux Arts, che sono tutte strutture che ci hanno dato una grossa mano quando il
festival durava quindici giorni… Per cui abbiamo queste relazioni. Da lì bisognerebbe cercare di costruire un
rapporto con la città un po' più saldo. Perchè l'interesse ci sarebbe”.
Il responsabile del festival di world music Le Colonne di San Lorenzo aggiunge poi un’idea che
sembra quasi pensata per Expo:
“Ti rivelo una cosa che forse non avverrà, che però ha suscitato entusiasmo e quindi forse si farà, al Piccolo
Teatro: sono gli Inni a Maria della tradizione cristiana e musulmana fatti dal coro ortodosso di Atene e dalle
voci della Moschea di Omayaden. Una cosa meravigliosa”.
Sulle strade di Expo passeranno tante culture, tante contaminazioni e innovazioni portate da una
molteplicità di “carovane” in cammino da tutte le parti del mondo. Come nell’Esposizione del 1906,
nei padiglioni risuoneranno ancora le splendide musiche tzigane verso le quali la città non sempre
ha un orecchio attento. Expo è una straordinaria occasione per affermare la nuova identità
multiculturale di Milano, città delle culture e delle musiche del mondo.
113
114
Sintesi e considerazioni conclusive
Il sistema musica costituisce senza dubbio una componente rilevante del più ampio sistema
culturale di una grande città come Milano, rappresentandone forse l’"industria" più
importante.
L'insieme dei dati e dei giudizi raccolti lungo il percorso di ricerca ci porta a dire che Milano
può essere considerata - insieme a Roma e Torino - come uno dei principali poli musicali
d'Italia se non, per diversi aspetti, come la "capitale musicale" del nostro Paese. Del resto
l'industria nazionale della musica - con la figura di un imprenditore eccelso e innovateur
come Giovanni Ricordi - è nata storicamente a Milano.
L'importanza e il ruolo di Milano come città della musica non si esauriscono quindi nella sola
dimensione locale. Milano può dare un contributo determinante alla crescita della cultura
musicale dell'intero Paese, mettendo a disposizione e valorizzando le non indifferenti risorse
di cui dispone, soprattutto in termini di capitale culturale e relazionale. Milano può essere
insomma una città-laboratorio per tutto il sistema musica italiano, come spesso è stata anche
nel passato recente.
La musica è nelle passioni, nell'habitat e nell'economia della città. E' nel tessuto diffuso di
oltre duecento associazioni che se ne prendono cura, facendola suonare ogni giorno, magari
imprecando per i pochi e incerti finanziamenti pubblici su cui possono contare. E' nei talenti
formati nelle sue scuole di eccellenza. E' nella memoria conservata negli archivi e nei luoghi
che valorizza. E' nella buona vita che genera tra i cittadini. E' negli incontri delle culture,
nelle contaminazioni che favorisce. E' nella società della conoscenza e nella qualità civile che
alimenta. La città della musica è tante cose insieme, tutte importanti.
Milano città della musica va ben oltre il Teatro alla Scala, da sempre suo fiore all'occhiello
internazionale, ma anche, in qualche modo, una presenza-simbolo un po' troppo sotto i
riflettori, troppo illuminata, e che per questo rischia di mettere in ombra tutto il resto. E a cui
si aggiunge un altro oscuramento, ossia quello prodotto dalla città della moda. Ma in questo
secondo caso la musica sembra anche pagare una sua sostanziale debolezza in termini di
spinta innovativa e creativa, che invece è stata ed è alla base dello sviluppo e del successo del
sistema moda-design milanese.
Stretta un po' tra questi due potenti brand internazionali - uno interno e l'altro esterno – il
sistema musica stenta ad avere una visibilità propria in quanto sistema, ad emergere sul piano
della consapevolezza collettiva come un elemento forte dell’identità plurima di Milano.
La città della musica ha quindi bisogno, in primo luogo, di essere riconosciuta nella sua
globalità e nella sua molteplicità costituiva: di soggetti, di generi, di funzioni, di luoghi. Ha
bisogno di una visione unitaria o "sistemica", capace cioè di stimolare connessioni e indurre
lo sviluppo di nuove progettualità.
La città della musica appare insomma come una città per certi versi ancora da fare, un
obiettivo verso cui tendere.
Lo sviluppo della città della musica pone diverse questioni puntuali, solleva domande e
genera aspettative diffuse. Se c’è un settore “ricco” di problemi – e quindi anche di
opportunità – è quello della musica.
Alcuni di questi problemi (dall’educazione musicale, ai finanziamenti statali, alla mancanza
115
di una legge quadro sulla musica, agli aspetti fiscali e regolativi) chiamano direttamente in
causa la politica nazionale e, pur impattando notevolmente nei contesti territoriali, superano
in buona misura le possibilità di intervento dei localismi.
Esistono però altri problemi, altrettanto importanti, la cui soluzione è invece sostanzialmente
nelle mani degli attori locali. A questi dedichiamo quindi le nostre riflessioni conclusive,
focalizzando l’attenzione sui nodi che ci sembrano di maggiore valenza strategica per il
futuro di Milano città della musica. Nel fare questo teniamo soprattutto presenti i giudizi, i
bisogni e i suggerimenti espressi dai protagonisti del sistema musicale milanese incontrati
durante la ricerca.
Si tratta in buona sostanza di riflettere e lavorare per “ricomporre” la città della musica
attorno a quattro direttrici di fondo.
Coordinare e riequilibrare l’offerta
Lo abbiamo detto e ascoltato più volte: a Milano l’offerta di spettacoli musicali dal vivo è
ampia, multigenere e molecolare, spesso di buona o elevata qualità, espressione di un tessuto
istituzionale, associativo e artistico vivace e ben preparato. Un’offerta in alcuni casi giudicata
sovrabbondante rispetto alle stesse capacità di “assorbimento” della domanda.
Il problema maggiormente avvertito è qui la carenza di coordinamento tra i soggetti
dell’offerta al fine di evitare il rischio di sovrapposizione temporale dei repertori e di
consentire agli spettatori una migliore e più flessibile allocazione delle loro scelte (spesso
poste davanti a perentori aut aut).
Occorre superare la tendenza all’autoreferenzialità e al monadismo degli organismi
dell’offerta, fare circuito almeno all’interno dei generi e, possibilmente, tra i diversi generi,
rappresentando e agendo la città della musica come “circuito di circuiti”. Si tratta insomma di
"fare sistema", di superare l'attuale frammentazione sviluppando approcci cooperativi.
Lo ha fatto in parte Torino con la creazione, nell’ambito della musica classica,
dell’associazione Sistema Musica, alla quale partecipano le principali istituzioni musicali e
culturali della città, lo può forse fare anche Milano. Sarebbe certamente un gioco a
sommatoria positiva per tutte le componenti della città della musica.
Un seconda questione - posta dal mondo della musica classica e che ha notevoli ricadute sul
piano dell’offerta e non solo – riguarda l’insufficiente dotazione di orchestre sinfoniche
stabili della città, un deficit che caratterizza peraltro l’intero sistema sinfonico nazionale.
Sotto questo profilo Milano si presenta come una città relativamente impoverita rispetto
anche al suo recente passato e distante dalle altre capitali musicali europee.
L'offerta di eventi musicali è molto ricca ma nello stesso tempo presenta dei vuoti e degli
squilibri. La città della musica sembra infatti richiedere più festival tematici - scarsamente
presenti a Milano e comunque troppo concentrati in pochi mesi dell'anno - e una maggiore
attenzione a generi che hanno una ridotta visibilità, come la musica etnica, ancora poco
valorizzata come una risorsa della città multietnica e multiculturale.
L'offerta musicale milanese è oggi ulteriormente arricchita dal neonato festival internazionale
MITO SettembreMusica, che per alcuni rappresenta un'occasione mancata, per altri una
scelta discutibile, in quanto privilegia la logica del grande evento a scapito della dimensione
quotidiana, per altri ancora un fatto decisamente positivo, che potrebbe tra l' altro costituire,
se opportunamente orientato, quell'elemento di sintesi della vita musicale milanese di cui si
avverte la mancanza.
116
Puntare di più sull'innovazione
Nella città dell'innovazione e delle "imprese creative", l'offerta musicale prevalente appare
decisamente orientata alla tradizione, ossia a tipi di proposte che si suppone meglio
rispondenti ai gusti consolidati - vecchi e nuovi - dei diversi pubblici (della musica colta
come di quella popular). Il noto prevale sull'ignoto, il sicuro sul rischioso, la routine sulla
sperimentazione.
Eppure quando le musiche nuove o intrecciate alle cosiddette performing arts (il teatro, la
danza, la poesia, il visuale) o quelle che nascono dall’incontro delle diverse tradizioni
culturali e religiose del mondo arrivano nei giusti modi, i pubblici apprezzano e partecipano,
mostrando un grado di apertura e di intelligenza che l'offerta "normale", spesso, non
intercetta o fatica a coltivare. Forse musiche e pubblici di nicchia, ma indispensabili per la
diffusione di idee nuove che si muovono nella contemporaneità, nelle forme culturali
molteplici indotte dai processi di globalizzazione.
Esiste quindi un significativo spazio di crescita dell'innovazione che la città della musica
deve poter fertilizzare e proporre come un segno culturale importante della sua modernità. E
qui che possono nascere nuovi circuiti, nuove produzioni ed esplorazioni, nuovi talenti. Lo
hanno fatto e lo fanno la moda e il design, lo può fare, con la sua straordinaria carica creativa
e globale, la musica.
Nuovi e spazi e nuovi luoghi
La musica contribuisce a "fare la città" e la città, con i suoi spazi e luoghi, a "fare la musica".
Un rapporto di interdipendenza che oggi si fa sempre più stringente, generando nuove
domande e nuove possibilità.
Dalle testimonianze raccolte emerge di frequente una vera e propria "questione spaziale", che
riguarda trasversalmente la città della musica, toccandola in diversi punti. Essa designa
l'esistenza di un rapporto tra musica e città non sempre facile e non sempre dispiegato.
Per quanto riguarda la domanda di spazi funzionali si pongono principalmente le seguenti
esigenze puntuali:
- adeguare le dimensioni e la qualità degli spazi musicali alle caratteristiche delle diverse
tipologie di offerta, rendendo quindi più virtuoso e coerente il rapporto tra la natura della
proposta musicale, le condizioni del suo ascolto e i bisogni del pubblico. Sotto questo profilo
la città della musica registra una carenza sia di spazi piccoli che di spazi intermedi;
- affrontare e risolvere il problema dell'impatto acustico delle musiche amplificate, che pone
spesso in conflitto il diritto al silenzio, rivendicato per lo più da minoranze di cittadini, con il
diritto alla musica delle maggioranze, evidenziando in particolare la necessità di migliorare la
infrastrutturazione della città della musica in termini di grandi spazi destinati ad ospitare i
grandi eventi;
- facilitare l'accesso dei gruppi musicali emergenti o amatoriali a sale prova dotate di idonei
standard tecnici;
- rendere maggiormente ospitale la città della musica aumentando e migliorando gli spazi di
accoglienza rivolti in particolare ai giovani musicisti di tutto il mondo, che vedono in Milano
un polo di eccellenza formativa;
- dotare la città della musica, analogamente a quanto è successo in altre capitali europee, di
un nuovo grande spazio polifunzionale concepito come un luogo a elevato valore simbolico
della vita musicale e culturale di Milano.
La città della musica non chiede soltanto nuovi spazi ma anche nuovi luoghi in cui potersi
esprimere. Più propriamente qui entra in gioco il rapporto di valorizzazione reciproca tra il
senso dei luoghi e il senso delle musiche o degli ascolti, ossia il senso dell'esperienza. La
117
musica - quando non è musica puramente accessoria - è ascolto del luogo e il luogo è ascolto
della musica, come in una sorta di relazione empatica.
La musica oggi tende a diffondersi al di fuori dei luoghi tradizionali ad essa deputati e a
"consacrarne" di nuovi, diventando una componente pregnante dello spazio urbano. La
musica aiuta a riscoprire la città, a guardarla con occhi nuovi, ad ascoltarla diversamente, a
creare socialità e a fare magari nuovo "turismo". Non raramente la musica contribuisce a
riqualificare i luoghi, a risanarne o alleviarne le ferite, togliendoli dall'abbandono e
dall'isolamento. Vi sono poi altri luoghi – come gli archivi, le biblioteche, i musei - che
conservano la memoria musicale della città, uno straordinario patrimonio che merita di
essere meglio conosciuto e valorizzato.
Per tutti questi bisogni e per tutte queste ragioni una politica della città musica è anche, se
non forse soprattutto, una politica degli spazi e dei luoghi.
Comunicare meglio la città della musica
Il complesso e non facile rapporto tra musica e comunicazione si snoda attraverso due vie: la
musica come soggetto della propria autorappresentazione e come oggetto della
rappresentazione altrui, ovvero del sistema dei media.
Sul primo versante, la città della musica sembra soffrire di una carenza di comunicazione
integrata promossa dai suoi stessi attori al fine di rendere partecipe il pubblico della
ricchezza e varietà dell'offerta musicale milanese. Manca insomma il "cartellone" unitario
della città della musica rappresentata nelle sue diverse componenti, ossia quel coordinamento
tra le istituzioni musicali a cui si è già fatto cenno.
La comunicazione istituzionale rappresenta inoltre un fattore critico di grande importanza
per la vita delle singole organizzazioni, che hanno il problema di rendersi visibili in un
panorama culturale cittadino molto eterogeneo e affollato.
Un secondo limite viene individuato nell' appiattimento dei media sui grandi eventi, il che
conduce a una rappresentazione parziale se non distorta della città della musica, della quale si
parla solo nella misura in cui "fa notizia". Milano sembra poi essere vittima particolare
dell'"oscuramento" di una narrazione mediatica, che racconta poco e male la città della
musica e della cultura.
Rafforzare il tessuto musicale facendo sistema e cooperazione tra gli attori; incoraggiare
l'innovazione e le contaminazioni culturali; rendere appropriati e moltiplicare gli spazi e i
luoghi degli ascolti, anche in un ottica polifunzionale e multidisciplinare; rappresentare e
comunicare la città della musica attraverso una visione unitaria e valorizzante. Queste
emergono, dai racconti dei protagonisti, come le quattro principali sfide strategiche per una
Milano che voglia diventare una vera città europea della musica.
Tali sfide implicano la messa a punto di un impegno collettivo volto in buona sostanza a
favorire processi di ricomposizione e qualificazione di un'offerta di per sè già ricca e
variegata, ma ancora scarsamente sorretta e alimentata da circuiti virtuosi e da ibridazioni
progettuali e innovative, in una città della musica dove ciascuno, fondamentalmente, "corre
da solo". Superare questa condizione di "solitudine degli attori" appare come la premessa più
importante.
Il discorso, a questo punto, non può che cadere sul ruolo delle istituzioni pubbliche e sul
problema dei finanziamenti. Alle prime viene richiesto di svolgere una funzione di
accompagnamento e di facilitatore dei processi, nonchè di allocare le proprie risorse in modo
trasparente e secondo criteri che privilegiano il valore e la qualità dei progetti. In un quadro
di risorse pubbliche sempre più scarse (si pensi solo ai continui tagli operati negli ultimi anni
118
sul Fondo Unico dello Spettacolo e alla contrazione degli stessi trasferimenti agli enti locali),
occorre peraltro ricercare e promuovere forme di coinvolgimento dei soggetti privati, ossia di
collaborazione pubblico-privato, che risultano oggi del tutto indispensabili per conferire un
respiro strategico allo sviluppo futuro della città della musica.
Un'azione coordinata sull'offerta, di qualità e orientata a obiettivi ambiziosi, ha effetti positivi
sulla domanda, generando in particolare la nascita di nuovi pubblici e di nuove modalità di
fruizione dei fatti musicali. Ma la leva più importante rimane qui quella dell'educazione
musicale delle giovani generazioni. E' un problema nazionale, la cui soluzione, come si è
accennato, sopravanza di fatto la sfera d'azione delle istituzioni locali, anche se a queste
vengono attribuite crescenti competenze.
La città della musica milanese può contare in ogni caso sulla presenza di alcuni poli di
eccellenza formativa e di un ricco tessuto di scuole di musica (in gran parte private, essendo
pochissime quelle pubbliche). Essa detiene quindi risorse per favorire il più largo accesso a
un bene pubblico e di "cittadinanza" come l'educazione musicale, che riveste un ruolo
cruciale non solo nello sviluppo della città della musica ma anche, e in primo luogo, nella
crescita complessiva - culturale, umana e civile - dei cittadini.
Vogliamo concludere le nostre considerazioni facendo riferimento a un aspetto di rilevante
importanza, ma che nella ricerca non ha potuto trovare uno spazio adeguato, essendo quindi
meritevole di ulteriori approfondimenti: l' internazionalizzazione della città della musica.
Un tema che la prospettiva di Expo 2015 rende ancora più strategico.
Nella valutazione diffusa degli intervistati Milano non viene considerata "una città
internazionale della musica", se non per un unico "nodo": il Teatro alla Scala. Ma un solo
nodo non fa sistema, non fa città, specie se passa sopra la sua testa, come sorvolandola. Nei
loro racconti di viaggiatori globali, l'effervescenza della scena musicale milanese appare
piuttosto dimessa se paragonata a quella di città come Berlino, Londra, Amsterdam,
Barcellona.
Questo non significa assolutamente che Milano attragga pochi artisti internazionali. E' che
nelle altre capitali europee la musica dal vivo sembra animare e mobilitare maggiormente gli
spazi della città. Avere più spazi e più spazi diversi.
Ma la domanda vera è: come si posiziona Milano nei circuiti internazionali della musica? In
che misura costituisce un punto di riferimento importante per produzioni musicali fondate su
scambi e partnership internazionali?
La città del futuro sarà sempre più una città della cultura e quindi la valorizzazione e la
promozione del suo capitale culturale – o meglio del suo global culturale - costituiranno una
leva decisiva per poter competere con successo nello scenario internazionale. Milano ha
certamente culture, competenze, giacimenti e connessioni per poter giocare un ruolo attivo
nell’epoca della globalizzazione culturale.
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