LA CITTA’ DELLA MUSICA Una risorsa per Milano Una ricerca dell’Associazione MeglioMilano Dicembre 2008 Ringraziamenti Questa ricerca non sarebbe stata possibile senza la disponibilità e la collaborazione di numerose persone e organizzazioni operanti nel sistema musica milanese. Il nostro riconoscimento va, in primo luogo, a ciascuno dei 41 “testimoni” che hanno gentilmente accettato di essere intervistati dai ricercatori di MeglioMilano. I loro nomi e riferimenti sono riportati all’inizio della seconda parte del Rapporto. Ringraziamo inoltre: - Stefano Losurdo, segretario regionale dell’Agis Lombarda, per i suoi utilissimi consigli e suggerimenti operativi; - Gian Franco Greco, responsabile del Coordinamento Statistico Attuariale dell’ENPALS, per aver messo a disposizione i dati sulle attività dello spettacolo e del settore musicale in particolare relativi all’area milanese; - Gianfranco Vicinelli, amico di MeglioMilano, che ha collaborato alla raccolta delle informazioni. “La città della musica. Una risorsa per Milano” è il frutto dell’impegno di: Sandro Lecca Segretario Generale di MeglioMilano, responsabile e coordinatore del progetto, che ha curato altresì la redazione dei cap 1, 2, 3, 4, 6 e 9 del Rapporto finale di ricerca. Alessandra Micalizzi Dottore in Comunicazione e Nuove Tecnologie, ricercatrice esterna di MeglioMilano per la ricerca in oggetto, che ha collaborato alla realizzazione delle interviste e ha curato la redazione dei cap. 5, 7 e 8 del Rapporto finale di ricerca. Monica Bergamasco Collaboratrice di MeglioMilano, che ha collaborato alla rilevazione ed elaborazione dei dati. Alessandro Sivieri Stagista di MeglioMilano, che ha curato la redazione delle mappe inerenti la distribuzione spaziale delle diverse attività musicali. Carla de Jong Segretaria di MeglioMilano, che ha curato l’editing del Rapporto. Ellida Massone Responsabile delle Relazioni Esterne di MeglioMilano, che ha collaborato alla preparazione del convegno di presentazione del Rapporto finale di ricerca. 4 Indice Presentazione Parte prima – Il sistema musica milanese 1. 13 15 17 18 25 27 28 Le imprese I lavoratori 31 33 Domanda e offerta di musica dal vivo 3.1 3.2 4. 5. 6. 7. 8. 9. Un primo “censimento” La musica registrata Gli strumenti musicali La musica dal vivo La musica insegnata La musica conservata La musica comunicata Imprese e lavori della musica 2.1 2.2 3. 11 Un quadro d’insieme 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 2. 7 La domanda L’offerta: eventi, festival e luoghi 37 41 Mappe 49 Parte seconda – La città della musica si racconta 57 Milano città della musica? Tra tradizione e innovazione Spazi e luoghi Educare alla musica Reti e non reti Verso Expo 2015 109 Sintesi e considerazioni conclusive 115 59 65 83 91 99 5 6 Presentazione: motivazioni, fonti e metodi della ricerca Il perché di una ricerca La presenza di grandi e prestigiose istituzioni storiche (dal Teatro alla Scala, al Conservatorio, alle Scuole Civiche), un forte tessuto di associazioni musicali, una vasta e articolata offerta di spettacoli di musica dal vivo, la più grande piazza del mercato musicale in Italia e nel bacino mediterraneo: tutto questo, e altro ancora, fa di Milano una città della musica. Eppure questa antica e straordinaria risorsa di Milano è ancora poco conosciuta e appare in qualche misura messa in ombra da altre eccellenze cittadine, come ad esempio il sistema moda-design. Obiettivo primario della ricerca è quindi quello di contribuire a migliorare la conoscenza di questa complessa e vitale città della musica che è in Milano, città di città. Essa è parte essenziale e costituente di quella più vasta società della conoscenza e della cultura, che si pone come l’orizzonte strategico del futuro di una città sempre più aperta al mondo e ormai entrata nella fase avanzata del suo sviluppo post-industriale. Abbiamo elaborato statistiche originali, disegnato mappe, ascoltato i racconti dei protagonisti diretti con l’intento di fornire una rappresentazione della città colta nelle sue articolazioni e soggettività. Abbiamo messo le musiche cosiddette “colte” sullo stesso piano di quelle della cosiddetta popular music, termini e distinzioni oggi inadatti a cogliere gli intrecci e le contaminazioni che sempre più contrassegnano l’evoluzione del campo musicale e dei suoi rapporti con le altre arti. Abbiamo messo i teatri accanto alle chiese accanto ai circoli accanto alle strade accanto ai luoghi più disparati. Abbiamo insomma cercato di osservare questa città orizzontale e proteiforme che fa la musica. Attraverso le testimonianze raccolte ci siamo proposti di evidenziare i punti di forza e quelli di debolezza della città della musica con l’obiettivo di fornire materiali di riflessione per l’individuazione di possibili percorsi futuri. Perché la città della musica è qualcosa che c’è e che nello stesso tempo non c’è ancora. Esiste, ma appare non ben “dispiegata” nelle sue risorse e potenzialità. La ricerca si propone quindi come un contributo di conoscenza al divenire di Milano città della musica. Lo spazio di riferimento La città è Milano, dentro i suoi confini comunali, ossia la città della musica per così dire a portata di mano, quella che vediamo e sentiamo all’opera ogni giorno. Una scelta dettata più da ragioni pratiche – si tratta di una piccola quanto faticosa ricerca fatta in casa, autoprodotta da MeglioMilano - che teoriche. Perché lo “spazio” della città della musica va ben oltre i confini del Comune; è banalmente, come minimo, il contesto metropolitano – disseminato di filiere, sottosistemi, luoghi, eventi – ma poi anche quello regionale e sovraregionale, punteggiato da altre città della musica. Ma la vera dimensione in cui andrebbe colta e indagata la città della musica è forse quella dello “spazio regionale globale”, ossia di quel sistema di scambi e connessioni che accomuna le città della musica del mondo. Per dire, Londra con Parigi con Barcellona con New York con Tokio, ecc. 7 E’ di certo, questo, lo spazio “reticolare” di Milano moda-design. Ma è anche – o può diventarlo e per cosa – lo spazio di Milano musica? In parte lo è già, se si pensa a Bruce Springstein allo Stadio Meazza, cioè a Milano solo come una piazza del mercato dove tutti devono “passare”, prima o poi. Ma nei network in uscita o in quelli di altre musiche meno business oriented cosa succede? La ricostruzione e l’analisi delle interconnessioni internazionali appare di fondamentale importanza per la migliore comprensione di una città della musica come Milano, per altri versi già proiettata nella sua identità di nodo della rete globale. 1 Ecco un altro perché della ricerca: aprire l’orizzonte di altre ricerche e comparazioni. La ricerca è articolata in due sezioni distinte. La prima, di carattere prevalentemente quantitativo, è basata sull’elaborazione di una serie di dati, diversi dei quali raccolti direttamente da MeglioMilano, che nel loro insieme concorrono a fornire una prima rappresentazione del sistema musica milanese. La seconda sezione, di carattere esclusivamente qualitativo, presenta i principali risultati di una indagine sul campo condotta tramite interviste somministrate a rappresentanti qualificati del mondo della musica. L’analisi quantitativa La città della musica non gode di molte fonti conoscitive, mentre non figura nel novero delle tante ricerche dedicate a Milano.2 Del resto, anche a livello nazionale manca ancora una vera e propria analisi empirica o di quadro del sistema musica, colto nelle sue diverse filiere e osservato nelle sue caratteristiche strutturali, sociali, attoriali e relazionali. Ciò sembra fare parte di un ritardo più generale dell’analisi dei fenomeni culturali in termini anche territoriali, urbani e distrettuali. Il primo e più importante obiettivo della parte quantitativa della ricerca è stato quello di ricostruire l’universo del sistema musica milanese. Tale risultato è stato conseguito attraverso un impegnativo lavoro di “spoglio” di una serie di fonti puntuali o nominative (elenchi, annuari, siti web, ecc.) contenenti le informazioni di base (denominazione, attività, localizzazione) di tutte le organizzazioni individuate riconducibili al sistema musica (case discografiche, case editrici musicali, sale prove e studi di registrazione, strumenti musicali, scuole, associazioni, promoter, negozi, biblioteche e archivi, mass media). Là dove prima non c’era nulla ora c’è almeno una “directory” di quasi mille organizzazioni, che vale il tempo che vale data anche una certa loro “volatilità”. Per ciascun “sottosistema” abbiamo delineato un breve profilo, citando esperienze e organizzazioni che ci sono apparse, da persone esterne al mondo della musica, comunque significative e sapendo di trascurarne altre egualmente importanti. Si tratta peraltro di una prima e superficiale ricognizione della città della musica, condotta proprio “a volo d’uccello”, a cui ci si auspica possano seguire i necessari approfondimenti. La rappresentazione del sistema musicale milanese è infine ampliata facendo ricorso ai dati di fonte ENPALS (l’istituto previdenziale dei lavoratori dello spettacolo), utili soprattutto per l’analisi del lavoro e delle professioni, mentre una rilevazione degli eventi condotta sui quotidiani ha consentito di arricchire l’analisi dell’offerta degli spettacoli di musica dal vivo (basata sui dati ufficiali SIAE) e di elaborare la geografia dei luoghi musicali della città. 1 Mauro Magatti (a cura di), Milano, nodo della rete globale, Bruno Mondatori, Milano, 2005. Fa parziale eccezione lo studio recente: Centro Ask-Bocconi, L’impatto del Festival MITO Settembre Musica a Milano, Skira-Egea, Milano, 2008. 2 8 L’analisi qualitativa L’analisi qualitativa si basa sulla restituzione e sulla “lettura” delle testimonianze raccolte nel periodo aprile-luglio 2008 – tramite intervista semistrutturata – presso un “campione” (privo ovviamente di qualsiasi rappresentatività statistica) di 41 soggetti a vario titolo operanti nel sistema musica (etichette discografiche, edizioni musicali, studi di registrazione, istituzioni orchestrali, associazioni, enti di formazione, singoli artisti ed esperti). I nominativi delle persone intervistate sono riportati all’inizio della seconda parte del Rapporto. Utilizzando una “traccia” d’intervista articolata su una serie di temi, ma non rigida, l’indagine sul campo ha inteso raccogliere le percezioni e le valutazioni dei testimoni sulla città della musica partendo da due interrogativi di fondo: Milano è una città della musica? Quali i suoi punti di forza e quali i suoi punti di debolezza? Ne sono scaturiti racconti diversi, a volte convergenti a volte no, che mostrano il profilo di una città della musica estremamente complessa, eterogenea, vivace, ricca di risorse, ma soprattutto assai stimolante per le questioni che pone e i bisogni che esprime. Di ogni singolo racconto abbiamo riportato i brani o i “frammenti” ritenuti esemplificativi, mettendo a confronto punti di vista diversi. Abbiamo inoltre cercato di conservarne per quanto possibile il loro carattere “orale”, apportando soltanto, laddove necessario, gli aggiustamenti indispensabili alla loro migliore comprensione. Verso un Osservatorio della città dello spettacolo? Non rientrava tra gli obiettivi della ricerca la verifica d’interesse, e tanto meno di fattibilità, per la realizzazione a Milano di un possibile Osservatorio permanente della città della musica, ma – a ricerca conclusa – la domanda, come si suol dire, nasce spontanea. Un Osservatorio, in realtà, non della sola musica ma esteso alle altre forme di spettacolo dal vivo (teatro, danza, performing arts) con le quali, tra l’altro, la musica intrattiene un rapporto sempre più stretto, diventando così l’Osservatorio permanente della città dello spettacolo. Il suo compito dovrebbe consistere in primo luogo nel raccogliere e organizzare, in un sistema di osservazione coerente, informazioni e conoscenze disperse in una pluralità di centri di raccolta (Stato, Enti locali, centri di ricerca, organizzazioni professionali, ecc.) per renderle facilmente disponibili ai cittadini. Esso potrebbe quindi diventare, in particolare, il punto di riferimento della comunità degli artisti e degli operatori, costituendo altresì una leva efficace del marketing urbano. Tale Osservatorio potrebbe articolarsi – tenendo conto anche dell’esperienza maturata nella nostra ricerca - su cinque principali aree di monitoraggio: le attività, gli attori, i pubblici, i finanziamenti, le infrastrutture. Ci sembra quindi che uno strumento del genere potrebbe utilmente contribuire a sviluppare una maggiore consapevolezza di Milano città della cultura e orientare in modo più incisivo la stessa azione pubblica. 9 10 Parte prima – Il sistema musica milanese 11 12 1. Un quadro d’insieme Non è semplice descrivere una città della musica come Milano. Anche se osservata nel campo ristretto dei confini comunali, essa sembra “non finire mai”, talmente numerose e diverse sono le parti che la compongono. Un territorio concentrato, ma nello stesso tempo vastissimo, perché denso di attività, soggetti, eventi, relazioni, luoghi. Un grande e complesso sistema culturale, fatto di tanti sottosistemi, in cui operano organizzazioni in genere di piccole dimensioni e spesso polifunzionali. Questo capitolo introduttivo parte da un piccolo numero, che è stato faticoso comporre: 973 organizzazioni individuate, che strutturano il sistema musica milanese. 1.1. Un primo “censimento” L’oggetto di prioritario interesse della presente ricerca è costituito dal sistema della musica dal vivo nella città di Milano. Un sistema certamente oggi più dinamico di quello della “musica registrata”, il cui mercato risulta, nel corso degli ultimi anni, in netta e continua flessione. Ad essere in crisi, specie dopo l’avvento e lo sviluppo delle nuove tecnologie digitali, è più un “canale” di consumo della musica che non la musica in sé. La musica dal vivo fa parte di un “sistema musica” più ampio, con il quale intrattiene relazioni più o meno intense e funzionali. Non è poi raro il caso di realtà produttive o promozionali che agiscono su entrambi i fronti della musica registrata e dal vivo (o su altri ancora). Ci è sembrato quindi utile iniziare il Rapporto di ricerca con una rappresentazione quantitativa del sistema musica milanese colto nelle sue principali componenti. Attraverso un lavoro puntuale condotto su un serie di fonti “anagrafiche” (annuari, siti internet, elenchi vari, opuscoli, ecc.) siamo riusciti a ricostruire la fotografia, ossia l’”universo”, del sistema musicale milanese. Cosa intendiamo qui – nel contesto e nei limiti della nostra ricerca - per “sistema musica”? Intendiamo l’insieme di una serie di attività organizzate che concorrono, a vario titolo, alla produzione e diffusione della musica e della cultura musicale e, più precisamente, l’insieme dei “sottosistemi”: - della musica registrata (case discografiche, edizioni musicali, sale di registrazione, negozi specializzati); - degli strumenti musicali (produzione e distribuzione); - della musica dal vivo (associazioni, organizzatori di eventi, locali); - della formazione musicale (scuole e conservatori); - della comunicazione (radio-tv, carta stampata). A tali sottosistemi organizzati va aggiunto quello della musica conservata, ossia delle strutture (archivi, biblioteche, musei) preposte alla conservazione di documenti e oggetti intesi come beni musicali e operanti spesso all’interno delle organizzazioni censite o in altri casi di istituzioni (come ad esempio le chiese e le biblioteche) le cui attività non sono specificatamente orientate ai contenuti musicali. Per quanto riguarda il sistema professionale (autori, compositori, interpreti) – che di fatto sta alla base dell’intero sistema-musica – rinviamo la sua trattazione al capitolo successivo. 13 Sono invece escluse dalla rilevazione e dall’analisi altre componenti del sistema musica, che seppure numericamente contenute – svolgono un ruolo di assoluto rilievo, ossia gli enti di regolazione e programmazione (la SIAE; il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con il suo Fondo Unico per lo Spettacolo; l’ENPALS, l’ente di previdenza e assistenza dei lavoratori dello spettacolo) e gli Enti Locali. Una precisazione va fatta con riguardo ai “luoghi” della musica dal vivo, ossia agli spazi fisici nei quali la musica, attraverso i suoi esecutori, incontra il pubblico. La geografia della fruizione della musica eseguita dal vivo presenta una varietà così ampia e crescente di luoghi (canonici o meno che siano) tale da costituire un aspetto fortemente connotativo dell’intera scena urbana. Può quindi apparire riduttivo considerare nel nostro censimento soltanto il segmento dei locali commerciali più o meno “live”, che si aggiunge peraltro a quello di molte associazioni-circoli sedi di musica dal vivo. Ma sulla tematica degli spazi e dei luoghi della musica a Milano avremo modo di tornare ampiamente. Tenendo conto di queste puntualizzazioni e sulla base della mappatura effettuata nel corso della primavera del 2008, il sistema musica milanese risulta costituito da quasi 1000 organizzazioni distinte secondo le tipologie di attività di cui al prospetto seguente. Attività Numero Case ed etichette discografiche Case editrici musicali 68 81 Sale prove e studi di registrazione Negozi di musica Associazioni e Fondazioni Locali 87 84 203 126 Promoter Strumenti musicali Scuole di musica Mass media 68 84 98 74 Totale 973 Il sistema musica milanese appare ben strutturato e solido in tutte le sue componenti. Colpisce in particolare l’elevato numero delle associazioni - che come vedremo possono svolgere una pluralità di funzioni - e delle scuole di musica (per lo più private). Ciò mette in rilievo l’esistenza, a Milano, di una domanda e un’offerta di spettacoli di musica dal vivo e di cultura musicale che ha probabilmente, almeno sul piano quantitativo, pochi riscontri nel resto d’Italia. Una breve descrizione delle singole componenti del sistema musicale di Milano è contenuta nei paragrafi che seguono. 14 1.2. La musica registrata Case discografiche, case editrici musicali e studi di registrazione rivestono un ruolo di fondamentale importanza nel sistema musica in quanto è attraverso l’attività di queste organizzazioni che le opere degli autori diventano dei prodotti "industriali" fruibili dal vasto pubblico. Per certi aspetti le case editrici - nate storicamente molto prima delle case di produzione rappresentano il vero fulcro dell'industria discografica moderna, dal momento che dove c'è un’opera musicale non solo c'è sempre un autore (compositore, paroliere, arrangiatore) ma anche (quasi sempre) un editore. Ogni casa discografica tende inoltre ad avere una propria divisione dedicata al publishing e organizzata a volte, come nel caso di tutte le majors, in forma di società autonoma. Seppure non sempre facilmente distinguibili nella pratica, case editrici e case discografiche non vanno tra loro confuse. L'editore svolge in buona sostanza le funzioni di "manager" dell'autore con cui ha stipulato un apposito contratto di edizione o di cessione dei diritti, assumendo il rischio imprenditoriale connesso alla gestione economica e artistica delle opere affidategli (produzione e diffusione degli spartiti, rapporti con le case discografiche, con gli interpreti e gli arrangiatori, utilizzo delle opere in ambiti diversi da quelli strettamente musicali, ecc.). La casa discografica provvede invece, principalmente, a pubblicare le opere musicali su supporto sonoro, a curarne la diffusione presso i diversi canali distributivi e mediali e a promuovere l'immagine pubblica dei propri artisti. Secondo la nostra ricognizione risultano oggi localizzate a Milano 236 imprese operanti complessivamente nella filiera della musica registrata. E’ un numero sorprendentemente alto, e forse anche un po' "sospetto", se si pensa alla situazione di profonda crisi che attanaglia da diversi anni il mercato discografico nazionale e internazionale. Le case discografiche A Milano hanno stabilito la loro sede italiana le quattro "grandi sorelle" del business musicale mondiale, ossia Emi/Capitol, Sony/BMG, Universal e Warner Music, che da sole concentrano quasi il 75% del mercato nazionale. In città operano inoltre altre imprese globali, come ad esempio la Edel Italia (filiale del gruppo tedesco Edel Music AG), che svolge soprattutto un'importante attività di distribuzione per conto di diverse etichette indipendenti. Secondo i dati di uno studio della Fondazione Rosselli, Milano, con il 35% delle imprese, genera ben l'85% del fatturato prodotto dall'intera industria discografica a livello nazionale (seguita a lunga distanza da Roma). Milano si pone quindi, in Italia, come la capitale indiscussa dell’"economia della musica" e primo nodo d'interconnessione con il sistema mondo. Una capitale, peraltro, collocata in un contesto nazionale piuttosto asfittico, se si considera che il fatturato realizzato nel 2005 dall'intera industria discografica italiana è inferiore a quello di una sola impresa come Lavazza.3 Largamente concentrato per il peso schiacciante occupato dalle major, il sistema discografico appare nello stesso tempo fortemente disperso in una pletora di etichette indipendenti, che si ripartiscono il restante 25% del mercato. Solo a Milano città se ne contano oltre sessanta. Si va dalla Sugar (la "piccola major" italiana diretta da Caterina Caselli), a etichette medie, piccole e soprattutto piccolissime costituite per lo più da imprese individuali, che producono 1-2 dischi all'anno (e a volte, negli ultimi anni, nessuno). Tra i tanti possibili esempi ci piace citare qui la indie non profit Canebagnato, che con sette dischi in catalogo si autodefinisce, nel proprio sito, come "una etichetta orgogliosamente fatta in casa". 3 IEM-Fondazione Rosselli, L’industria della musica registrata in Italia: esiste un ruolo per la piccola e media impresa?, tavola rotonda al Quinto Summit sull’industria della comunicazione, Roma 12.12.2007, in www.fondazionerosselli.it. 15 Animato da questo spirito artigianale e un po' antimercantile, rivolto soprattutto ai giovani artisti emergenti e particolarmente aperto alla sperimentazione, il vivace mondo delle piccole etichette indipendenti - per lo più circoscritto alla musica pop-rock e in cui sono presenti anche realtà consolidatesi nel tempo - svolge un'importante funzione "di rottura" e di "brokeraggio", lanciando nuove tendenze e scoprendo nuovi talenti, che non raramente entrano poi nel giro delle major. Ma c'è anche chi vive riproponendo i vecchi e intramontabili successi del passato oppure realizzando, insieme a qualche album, jingle pubblicitari o contenuti mobile per gli operatori delle telecomunicazioni. Le case editrici musicali La Casa Ricordi, il più antico e importante editore musicale italiano, nasce a Milano, fondata da Giovanni Ricordi, nel 1808 (lo stesso anno in cui viene inaugurato il Conservatorio), ponendo le basi di quello che diventerà poi il "diritto d'autore". Grande esempio dello spirito d'iniziativa della società milanese, la Casa Ricordi - che oggi fa parte del gruppo multinazionale Universal - detiene (tra catalogo e archivio storico) un patrimonio immenso, nel quale è contenuta gran parte della storia musicale d'Italia degli ultimi 200 anni: da Verdi, a Rossini, a Donizetti, a Bellini, e così via, sino ad autori più "contemporanei" come Casella, Malipiero, Busotti, Nono, Maderna, Donatoni. Non solo musica "colta", ma anche "popolare", attraverso la Dischi Ricordi, la casa discografica fondata nel 1958 e acquisita nel 1994 dalla multinazionale BMG, nel cui catalogo figurano praticamente tutti i grandi nomi della musica pop italiana degli anni '60 e '70 del Novecento. Oltre alla Ricordi, a Milano sono ancora attive altre due case editrici musicali storiche: la Casa Musicale Sonzogno (fondata da Edoardo Sonzogno nel 1874 e oggi particolarmente attenta alla musica contemporanea) e le Edizioni Curci (fondata a Napoli nel 1860 dalla famiglia Curci, ma poi trasferitasi nel capoluogo lombardo, il cui catalogo odierno, dedicato in prevalenza alla musica leggera, conta più di 40 mila titoli). In questo contesto si possono citare ancora la Casa Musicale Lombardo, editrice dell'operetta italiana, fondata nel 1918 (con sede legale a Milano) dal compositore napoletano Carlo Lombardo, nonché la Allione Edizioni Musicali, che nasce a Torino nel 1919 per spostarsi nella città meneghina agli inizi degli anni '30. Insomma, la "grande" storia dell' editoria musicale italiana è passata tutta da Milano, città dell'impresa e della cultura. Finiti i tempi d'oro della "musica stampata" - costituendo oggi la vendita e il noleggio di spartiti musicali un business ormai secondario se non marginale - le case editrici musicali continuano di certo a operare per la tutela dei diritti degli autori, ma hanno visto sostanzialmente venire meno il mercato "di massa" dei musicisti dilettanti per il quale costituivano nel passato il riferimento pressochè esclusivo.4 Un'eco di questa importante funzione di divulgatori musicali si può rintracciare nell'attività di alcuni editori odierni (come ad esempio Rugginenti), che operano principalmente nel campo della didattica musicale. Partiture digitali interattive, servizi di "library" per l'utilizzo di brani musicali a scopi commerciali, compilations, colonne sonore, eventi, editoria libraria, edizioni musicali e discografiche: queste sono le voci maggiormente ricorrenti che compongono il menù delle attività delle odierne case editrici musicali, non molto diverso, a dire il vero, da quello delle case discografiche. Le sale prove e gli studi di registrazione Sale prove e studi di registrazione - che nascono spesso per iniziativa di singoli musicisti, compositori o ingegneri del suono - sono i luoghi della progressiva messa a punto del progetto musicale sino al suo missaggio e "mastering" definitivo. Si tratta di servizi diffusi non solo in città 4 C. Balestra, A. Malaguti (a cura di), Organizzare musica, Franco Angeli, Milano, 2003. 16 ma anche nei comuni dell'hinterland - verso cui sempre più si decentra la filiera produttiva discografica -, che assolvono funzioni non meramente tecniche. "Lo studio di registrazione" - si legge nella "home" del milanese Bob Studio - "è, per un musicista, ciò che il laboratorio rappresenta per lo scienziato: un luogo di ricerca e sperimentazione, di incontro tra colleghi e tra differenti esperienze". Sale prove e studi convivono per lo più, anche se non sempre, in un' unica struttura le cui dimensioni e caratteristiche possono variare notevolmente: dalle piccole sale con piastra di registrazione sufficienti per fare i "demo", in genere gestite da un solo addetto, ai grandi "studios" ipertecnologici e polifunzionali (come può essere ad esempio a Milano il Massive Arts Studio). Ancora una volta si tende a sconfinare nelle attività tipiche di altri attori: diverse sale e studi hanno infatti delle proprie scuole di musica, noleggiano strumenti musicali, a volte sono sede di etichette discografiche. Nella città dei tanti gruppi musicali giovanili le sale prove rivestono un ruolo di particolare importanza. E' in queste "stanze" da 25 metri quadrati che il gruppo trascorre la maggior parte del suo tempo, sviluppa le proprie idee e la propria creatività, cresce musicalmente e professionalmente, mette insomma alla prova se stesso lasciandosi alle spalle la mitica quanto rumorosa "cantina" odiata dai vicini. Si tratta quindi di un'esperienza importante, per certi versi decisiva, che precede l'altra prova fondamentale, quella dell'esibizione davanti a un pubblico, quando viene meno la "rete di protezione" della sala-studio e contano soltanto le emozioni dal vivo. Tuttavia, non sempre le sale prove di buona qualità sono accessibili ai gruppi musicali giovanili, che hanno tanta passione ma pochi soldi. Le tariffe orarie praticate dalle sale prove private milanesi variano (più o meno) da 9 a 15 euro, prezzi forse in assoluto non proibitivi, ma capaci di generare dei costi globali (da diverse centinaia a qualche migliaio di euro all'anno a seconda dell'intensità d'uso) tutt’altro che insignificanti per le tasche dei nostri giovani musicisti. Sale prove che costituiscono anche dei centri di aggregazione giovanile e luoghi di animazione territoriale. Non a caso si presentano a volte come uno spazio gestito dalle associazioni culturali e sono oggetto dell'intervento delle amministrazioni comunali (tipicamente dei loro "assessorati ai giovani", come è successo negli anni passati anche a Milano). Per tutte queste ragioni, una rete di sale prove dotate di adeguati standard tecnici e facilmente fruibili dai gruppi amatoriali rappresenta una condizione cruciale per valorizzare la creatività giovanile e favorire la nascita di nuovi talenti artistici, contribuendo a disegnare il volto di una città vitale e aperta all'innovazione. 1.3. Gli strumenti musicali Sin dall'epoca rinascimentale, l'Italia è il paese dei "liutai", artisti-artigiani che hanno creato oggetti musicali di grandissimo valore entrati nella storia e nell'immaginario culturale di tutto il mondo (basti solo pensare al violino Stradivari). Una tradizione di creatività e qualità che oggi continua e si rinnova, in particolare, nel distretto lombardo della liuteria di Cremona. L'Italia è anche il paese dei produttori di fisarmoniche, organetti e bandeneòn - strumenti largamente presenti nella musica tradizionale italiana - che trova nel distretto marchigiano di Castelfidardo il suo centro più importante. Strumenti a corda e a mantice costituiscono le produzioni distrettuali di un made in Italy di notorietà internazionale, dove la persistenza di un artigianato di eccellenza si combina con lo sviluppo della moderna industria degli strumenti musicali, nella quale trovano impiego tecnologie innovative sempre più sofisticate. Un'industria che nonostante abbia visto ridursi negli ultimi anni la propria 17 quota di mercato mondiale, a causa soprattutto dei prodotti a basso costo provenienti dalla Cina, appare nel complesso in buona salute economica.5 Nel contesto nazionale, Milano svolge soprattutto un ruolo di piattaforma distributiva e, attraverso la presenza delle aziende importatrici, di connessione con il mercato globale. Seppure l'attività di commercializzazione prevalga su quella produttiva, non mancano in città botteghe e laboratori a carattere artigiano impegnati nella costruzione, nel restauro e nella riparazione di strumenti musicali (in particolare di quelli ad arco). Alcuni liutai realizzano copie di strumenti antichi, rinascimentali e barocchi, altri si specializzano nella chitarra classica o nella ricerca di strumenti rari e pregiati, dando luogo anche a collezioni private di grande valore storico, altri ancora negli strumenti vintage. Negozi nati tra le due guerre mondiali (come Mitarotonda, per i pianoforti) o subito dopo la seconda (come Milanfisa, per le fisarmoniche) e attraverso i quali sono passate intere generazioni di musicisti, professionisti e amatori costituiscono dei veri e propri beni storici e culturali della città. A Milano è inoltre attiva la Civica Scuola di Liuteria - sorta nel 1978 e frequentata da studenti sia italiani che stranieri - per la formazione di operatori esperti nel campo della creazione e del restauro di strumenti ad arco e a pizzico. Nella capitale dell'innovazione i saperi e le abilità di un antico mestiere come quello del liutaio trovano quindi ancora un loro posto importante. Un negozio di strumenti musicali è qualcosa di più di un negozio che semplicemente vende (o noleggia) violini, pianoforti, chitarre, percussioni, ecc., e accessori vari (nuovi e usati) e magari anche spartiti. Esso è un punto di riferimento di soggetti un po' speciali come i musicisti, affermati o emergenti, gli insegnanti e gli studenti di musica, i diversi professionisti del mondo musicale, per i quali, non raramente, diventa un vero e proprio luogo d'incontro. A volte, poi, presso il negozio si svolgono corsi di musica, seminari, eventi culturali, quando non anche (è il caso ad esempio di Sound Metak) dei "live shows". Dalla bottega del liutaio al punto vendita delle strumentazioni elettroniche di ultima generazione, i negozi degli strumenti musicali non sono luoghi secondari o meramente tecnici della città della musica, costituendone semmai una indispensabile nervatura culturale, attraverso cui circolano non solo oggetti, ma anche conoscenze, pratiche, relazioni e apprendimenti, alimentando trasversalmente i circuiti della musica registrata come quelli della musica dal vivo e della musica insegnata. 1.4. La musica dal vivo La partecipazione dei cittadini italiani agli spettacoli musicali è inferiore a quella che si registra mediamente negli altri paesi europei.6 Nonostante ciò, la musica dal vivo riveste un ruolo di primaria importanza nello sviluppo del capitale culturale e sociale del nostro Paese, sebbene in realtà tale ruolo sia ancora poco riconosciuto e valorizzato. Anche in termini economici il contributo del settore della musica è senz’altro apprezzabile. Il suo "volume di affari" (misurato principalmente dalla spesa degli spettatori) ha raggiunto, nel 2007, un valore di oltre 481 milioni di euro in Italia (+14% rispetto al 2006) e di 98 milioni nella sola provincia di Milano (+8%), dove si concentra quindi più del 20% dell'intero mercato nazionale. La componente musicale aumenta inoltre il suo peso (dal 7,3% all'8,5% in Italia e dall' 11,3% al 13,5% a Milano) sul volume d'affari complessivo prodotto da tutta l'industria dello spettacolo, che nel suo insieme risulta in contrazione (-1,8% in Italia e -9,3% a Milano).7 In un contesto contraddistinto dalla crisi del mercato discografico e dalla più generale stagnazione dei consumi la domanda di 5 Università Bocconi-Ask, Economia della musica in Italia. Rapporto 2007, Università Bocconi, Milano, 2008. Vedi il cap. 3 del presente Rapporto. 7 SIAE, Annuario dello Spettacolo 2007. 6 18 musica dal vivo sembra quindi conoscere un nuovo e forse imprevisto slancio. Le persone che frequentano, più o meno abitualmente, i diversi eventi musicali non saranno tantissime, ma di certo testimoniano come la musica dal vivo continui a occupare una posizione di primo piano nella vita culturale delle nostre società e nelle aspettative dei cittadini. La musica dal vivo mobilita una pluralità vasta di attori e luoghi che sono poi quelli che "fanno" la città della musica. Si tratta di un sistema piuttosto eterogeneo, all'interno del quale si possono distinguere tre grandi categorie di soggetti: - le associazioni e fondazioni, che sono i principali protagonisti della vita musicale cittadina e hanno la forma di organizzazioni non profit; - i promoter, che producono e organizzano gli eventi musicali e sono per lo più delle imprese profit; - i locali commerciali, profit per definizione, che combinano l'ascolto della musica (non sempre live) con altre attività di intrattenimento. Il vero discrimine tra le organizzazioni appartenenti alle diverse categorie non è tanto la funzione svolta quanto la forma giuridica adottata (profit/non profit). Un'associazione culturale può essere contemporaneamente un locale, un organizzatore di eventi e altre cose ancora. Nei punti che seguono presentiamo un breve profilo descrittivo di ciascuna tipologia, iniziando dalle associazioni. 1.4.1. Associazioni e fondazioni Sono 203 le organizzazioni non profit (16 Fondazioni e 187 Associazioni) che a Milano si occupano a vario titolo di musica, operando, nella stragrande maggioranza dei casi, nel settore della musica dal vivo.8 Soltanto una rilevazione puntuale potrebbe quantificare il numero di persone - tra dipendenti, volontari e associati - gravitanti intorno a tali organizzazioni, ma di certo si tratta di diverse migliaia. Un capitale umano e culturale la cui importanza peraltro va molto al di là del puro dato quantitativo. Al di là delle maggiori istituzioni concertistico-orchestrali che agiscono sotto il cappello giuridico della Fondazione (La Scala, La Verdi, I Pomeriggi Musicali), il tessuto musicale cittadino è in grandissima parte composto da piccole e piccolissime associazioni senza le quali una parte rilevante dell'offerta di musica dal vivo semplicemente non esisterebbe. Alimentando reti, valorizzando risorse artistiche e professionali, intrattenendo un rapporto di prossimità con le domande degli utenti, contribuiscono allo stesso sviluppo del lavoro musicale, nonché al miglioramento della qualità della vita dei contesti territoriali in cui sono radicate. Esse tendono a caratterizzarsi quindi, in molti casi, come delle vere e proprie imprese culturali. Per queste ragioni le strutture associative costituiscono (o dovrebbero costituire) un riferimento essenziale delle istituzioni pubbliche, per le quali rappresentano, sotto diversi aspetti, dei partner ideali e non soltanto dei soggetti che coprono più o meno efficacemente i deficit dell'azione pubblica. Abbiamo suddiviso le 203 organizzazioni sulla base dell'attività prevalente (o meglio che è sembrata tale) svolta da ciascuna di esse ottenendo la "tassonomia" di cui al prospetto seguente. 8 Non vengono considerate qui, anche per evitare duplicazioni, le associazioni (comunque di numero limitato) che svolgono attività prevalentemente formative e quelle (assai rare) che gestiscono delle etichette discografiche. Al fine di non frammentare troppo la rappresentazione del mondo associativo si è preferito invece conteggiare le organizzazioni (numericamente contenute) con interessi musicali ma non impegnate nel campo della musica dal vivo. 19 Organizzazione Numero Con attività orchestrale o piccole formazioni musicali 33 Con attività coristica 44 Promozionale 79 Circolo, centro culturale e sociale 27 Rappresentanza 13 Ricerca e sviluppo 7 Totale 203 Non si tratta ovviamente di tipologie "pure". Un'associazione (o una fondazione) che gestisce o sostiene un'orchestra piuttosto che un piccolo gruppo può svolgere anche compiti di carattere promozionale o formativo. Un circolo o un centro sociale non si occupa soltanto di musica, anche se questa ha uno spazio importante nell'ambito dell'attività più complessiva. Diverse associazioni organizzano inoltre corsi di musica. Associazioni orchestrali e piccole formazioni musicali La formula associativa ricorre spesso tra le orchestre e gli ensemble stabili operanti nel campo della musica "colta" (costituendo un po' la regola prevalente). La stessa Filarmonica della Scala (con un organico di 120 elementi) è un'associazione (convenzionata con la Fondazione La Scala), così come sono associazioni le formazioni orchestrali intermedie (l'Orchestra dell'Università degli Studi di Milano, l'Accademia delle Opere, l'Accademia Litta, l'Orchestra dell'Assunta in Vigentino), quelle "minori" (come l'Orchestra da Camera Milano Classica, nata dell'estinta e gloriosa Orchestra Sinfonica dell'Angelicum, dove esordì come direttore Claudio Abbado) e infine i diversi e piccoli ensemble dai nomi suggestivi (come Sentieri Selvaggi e Divertimento Ensemble, particolarmente attivi nell’impervio campo della musica contemporanea, e quindi Bachesis, Il Setticlavo, Musica Rara, Amadeus, Repertorio Zero, LaRis e altri ancora). Operano invece all'interno delle rispettive fondazioni l'Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico Giuseppe Verdi (con l'orchestra Sinfonica Junior e il Coro di Voci Bianche), i Pomeriggi Musicali (con l'Orchestra i Piccoli Pomeriggi Musicali), l'Orchestra Ueco e l'Accademia d'Arcadia. Si tratta nel complesso di 23 organizzazioni senza fini di lucro che di fatto rappresentano la quasi totalità delle formazioni strumentali attive a Milano nelle musiche antica e barocca, classica e contemporanea.9 A parte le tre "grandi" (La Filarmonica, La Verdi, I Pomeriggi), tali organizzazioni gestiscono solitamente repertori abbastanza limitati e a volte di nicchia, ma tutte concorrono ad arricchire e diversificare le stagioni musicali milanesi. Un tessuto artistico e associativo, quindi, prezioso, dove la dimensione del volontariato (che caratterizza in particolare alcune di esse ) convive o si combina con quella professionale e nel cui ambito si affermano spesso esperienze eccellenti di prestigio nazionale e internazionale. Un patrimonio di talenti, di passioni, di giovani ardimentosi, di conoscenze e di relazioni di vitale importanza per la crescita culturale della città. 9 Ad esse si possono aggiungere poche altre formazioni stabili, che formalmente non appaiono essere delle associazioni, come ad esempio l'ensemble barocco Silete Venti!, gli ensemble espressione del Teatro alla Scala (il Quartetto d'Archi, i Solisti, l'Ensemble dell'Accademia) e alcune realtà nate all'interno delle scuole di musica (come l'Orchestra Esagramma dell'omonima cooperativa sociale e l'ensemble L'Accademia dei Contrari nata di recente nell'ambito dell'Accademia Internazionale della musica delle Scuole Civiche di Milano). 20 I gruppi di musica popular - molto più diffusi di quelli di musica non popular - assai raramente assumono le vesti di una associazione, trattandosi quasi sempre di aggregazioni informali (e spesso cangianti, quando non di durata effimera) di singoli artisti. Pochi gruppi-associazioni, quindi, attivi per lo più nelle musiche tradizionali (come il Barabàn, storico e raro gruppo di musica popolare italiana operante a Milano, che pure negli anni '60 fu la capitale della ricerca etnomusicologica in Italia, con Roberto Leydi, i Dischi del Sole, l'Istituto Ernesto De Martino fondato da Gianni Bosio, ecc.) o nelle musiche etniche (come la neonata Orchestra di Via Padova, composta da musicisti italiani e stranieri, che parte dalla realtà del quartiere, analogamente a quanto è successo prima a Roma con l'ormai famosa Orchestra di Piazza Vittorio e poi anche a Genova con l'Orchestra di Piazza Caricamento). E poi la Banda d'Affori, nata nel 1853, un'altra associazione, un'altra rarità milanese.10 Perchè è davvero inconsueto assistere a Milano ad un concerto bandistico all'aperto, contrariamente a quanto accade nelle altre città europee. E' che le bande oggi sono a rischio di estinzione, come i panda. "Tremila complessi sono in crisi e senza soldi, è un delittto culturale", ha detto di recente il maestro Riccado Muti, lanciando un appello accorato per il loro salvataggio.11 Spesso, nei centri minori come nei quartieri delle grandi grandi città, o c'è la banda a fare intrattenimento popolare ed educazione musicale dei giovani o non c'è altro. Per questo salvare le bande musicali è un atto dovuto di democrazia culturale. Non si può non ricordare qui, nell’ambito della musica jazz, la Civica Jazz Band, nata nel 1996 in seno ai Civici Corsi di Jazz e diretta da Enrico Intra, protagonista della stagione Jazz al Piccolo Orchestra Senza Confini. Associazioni coristiche Ancor più delle bande, e assai più diffuse, le formazioni corali rappresentano il luogo della "socializzazione primaria" del fare musica attraverso l'uso del primo "strumento musicale" dell'uomo, che è la voce. E' con la pratica corale che la musica diventa - o può diventare - un bene culturale comune: esperito direttamente e non solo fruito in modo più o meno attivo. Da qui la sua straordinaria importanza non solo per lo sviluppo dell'educazione musicale ma anche per la formazione umana complessiva, dal momento che nel cantare assieme si fa comunità ed esperienza dell'altro, conoscendo meglio se stessi. Il coro ha insomma una forte valenza ermeneutica. E dalla notte dei tempi, quando non esisteva ancora la musica strumentale, e la voce, insieme alla poesia, era la musica.12 Non è perciò un caso che la più antica istituzione culturale di Milano sia un coro: la Cappella Musicale del Duomo, con sei secoli di storia alle spalle. Quarantaquattro le associazioni corali milanesi da noi censite, ma i cori attivi in città sono molti di più, essendo numerosi i gruppi informali che operano all'interno delle parrocchie o che nascono nell'ambito delle istituzioni formative (anche se qui siamo lontani dalla ricetta ideale di "una scuola un coro"). Si tratta di migliaia di persone, di ogni età e condizione professionale (dalla casalinga al professore universitario), che esprimono una domanda di musica attiva e di partecipazione culturale. Ed è forse un po' strano constatare che questo accada in una città dal volto apparentemente così poco "canterino" come Milano, anche se in realtà il "cantare assieme" è diffuso soprattutto nelle 10 Insieme alla Banda dei Martinitt e, soprattutto, alla Civica Orchestra dei Fiati, nata nel 1869 come Corpo Musicale della Guardia Nazionale e poi divenuta Banda Municipale, che purtroppo ha conosciuto nel tempo una progressiva riduzione dell'organico, uno smagrimento del "corpo" appunto, passato dagli oltre 40 elementi stabili di un tempo ai 22 attuali. 11 Il Corriere della sera del 27.03.08. 12 Enrico Fubini, Estetica della musica, Il Mulino, Bologna, 2003. 21 regioni urbane e industriali del Nord (e in particolare del Nord-Est).13 Una parte significativa delle associazioni corali è specializzata nella polifonia sacra e profana rinascimentale, barocca e romantica, e a volte nella musica liturgica (Coro Bach, Coro Haendel, Corale Polifonica Nazariana, Schola Gregoriana Mediolanensi, Cappella musicale San Marco, Uncoropermilano, gruppo vocale Chanson d'Aube, e altri ancora), ma in genere prevale la tendenza ad eseguire repertori misti, che possono comprendere, oltre la polifonia sacra e profana, il gospel, la lirica, il jazz, i canti di Natale, il canto popolare e, in alcuni casi, il canto politico (dall'Ensemble Vocale Ambrosiana, al Coro Ensemble, al complesso vocale Syntagma, al Coro HispanoAmericano, al Coroincontrotempo, al Coro Orlando di Lasso, al Cantosospeso, sino al Coro ebraico Hakolott di musica yiddish, solo per citarne alcuni). Tutte le Università milanesi hanno i loro cori, non necessariamente costituiti come associazione, mentre esistono anche alcuni cori "alpini" o di canti della montagna e altri formati da soli ragazzi e bambini (come I Piccoli Cantori di Milano). Oltre a svolgere attività concertistica, i gruppi corali promuovono rassegne, incontri, corsi di formazione, sviluppano iniziative solidaristiche in collaborazione con le associazioni di volontariato, partecipano a concorsi, intrattengono relazioni con altri cori nazionali ed esteri. Cori di dilettanti, di "amatori", per lo più, ma non per questo meno capaci e professionali, che coltivano tradizioni e memorie, mantengono in vita musiche rare, introducono innovazioni. Ma al di là degli aspetti qualitativi, il gruppo corale rappresenta l'unica vera istituzione musicale diffusa, perchè quando nasce un coro sono mediamene dalle 30 alle 40 persone in più che fanno musica attiva. E quando invece muore è un "lutto culturale", un po' come si è detto per la banda. Associazioni promozionali In questo gruppo, il più numeroso, rientrano le associazioni (in qualche caso fondazioni) che svolgono attività definibili in senso lato come "promozionali": organizzazione e promozione di concerti, festival, rassegne e concorsi, diffusione della cultura e della pratica musicale, valorizzazione delle opere di un singolo autore, e così via, impegnandosi magari anche sul terreno della didattica, dell'editoria, della ricerca e della solidarietà. Si tratta di un tessuto associativo che presenta esperienze assai diverse tra loro in termini di funzioni, dimensioni e generi musicali, riconducibili in sostanza a tre segmenti. In primo luogo le associazioni-agenzia, che promuovono attività concertistiche più o meno impegnative (stagioni, rassegne, cicli, festival) e che in diversi casi si caratterizzano come dei veri e propri promoter. Esse operano prevalentemente nel campo della musica colta, come per esempio la storica e prestigiosa Società del Quartetto di Milano; la Società dei Concerti ( che è una fondazione); Milano Musica (che organizza da 17 anni un importante festival di musica contemporanea); l'Associazione per il Festival Internazionale di Milano (presieduta dallo stesso Sindaco e responsabile di MITO SettembreMusica); l’Associazione Amici di Musica/Realtà (con la sua particolare attenzione ai compositori contemporanei); la Cappella Musicale (con i suoi "Vespri d'organo"); l'AsLiCo (con il suo prezioso progetto educativo "Opera Domani" rivolto agli alunni delle scuole medie); la Fondazione Fodella (con i suoi cicli di concerti alla Basilica di San Marco). Particolarmente vivaci sono poi alcune associazioni (come gli Amici della Musica, Secondo Maggio, U.E.C.A., Felix Company), che promuovono repertori misti tra musica classica, lirica, jazz, musical e operetta. Un riferimento particolare merita qui l’Associazione Musica Oggi, Ambrogino d’oro del Comune di Milano, che promuove le rassegne Jazz al Piccolo, Break in Jazz e dirige i Civici Corsi di Jazz, 13 I cori associati alla Feniarco (Federazione Nazionale Associazioni Regionali Corali) sono attualmente 2.309 (di cui 346 in Lombardia, 324 in Veneto, 295 nel Friuli Venezia Giulia, 193 nel Trentino-Alto Adige, 185 nel Piemonte, 165 in Emilia Romagna. Cfr. www.feniarco.it). 22 collaborando sia con Secondo Maggio sia con l’attivissima Associazione delle Arti e delle Corti, promotrice di Ritmo della Città (che apre nuovi spazi alla musica nella periferia urbana) e di Maurizio Franco Incontra il Jazz. Si devono infine almeno citare altre associazioni importanti attive nel settore della popular music (quali Sana Records, "agenzia" legata all'Arci; Rockit, organizzatrice di Mi Ami, uno dei più importanti festival di musica indipendente italiani; Collettivo Jam, con il suo Ah-Um Jazz Festival; Jumpin'Jazz, con un nutrito programma di concerti svolti nella propria sede; Music Priority, nata di recente con lo scopo di promuovere la musica elettronica italiana). Un secondo segmento è costituito dalle associazioni amiche di, che svolgono per lo più una funzione di sostegno alle attività di specifiche istituzioni musicali (Amici della Scala, Amici del Loggione del Teatro alla Scala, Amici di Milano Classica, Amici del Conservatorio G. Verdi, Amici della Musica dell'Università Cattolica, ecc.). Una terza modalità di fare promozione e divulgazione musicale è quella seguita dalle associazioni specializzate nella valorizzazione, ottenuta in vari modi, delle opere di singoli autori o compositori (come Aldo Finzi Diacronia, Mozart Italia, Vittorio Gnecchi Ruscone, Giovanni Carissimi, Museo Enrico Caruso, Wagneriana di Milano, Club Abbadiani Itineranti, Fondazione Giorgio Gaber, Fondazione De Andrè) o di specifici generi musicali (come Novurgìa, nel campo della musica contemporanea, piuttosto che l'associazione Punto Flamenco in quello della musica popolare). Da sottolineare infine la presenza di associazioni solidaristiche (come AB Harmoniae, De Musica, l'associazione musicale Franceschi) impegnate, in modo particolare, nel portare la musica nei luoghi (case di riposo, carceri, ospedali, comunità di recupero) dove vivono persone in situazione di isolamento. Circoli culturali e centri sociali Abbiamo voluto tenere distinti i circoli e i centri culturali-sociali dalle altre associazioni di promozione musicale - rispetto alle quali condividono, per certi versi, le finalità promozionali, essendo però maggiormente caratterizzati come luoghi di eventi - dal momento che la musica occupa, nelle loro attività, un ruolo importante anche se non esclusivo. Attraverso di essi la musica arriva spesso nelle zone periferiche della città, combinandosi all'azione culturale complessiva svolta sul territorio. Il radicamento nelle realtà di quartiere costituisce forse l'unico elemento unificante di queste organizzazioni, che per il resto si differenziano più o meno nettamente sul piano delle pratiche associative e dei riferimenti culturali e ideologici. Si va insomma dal centro culturale legato alla parrocchia, al circolo Arci, al centro sociale militante. Luoghi quindi molto diversi tra loro dove risuonano musiche altrettanto diverse (dal reggae, al metal, all'elettronica, al jazz, alla world music, alla taranta, alla lirica, alla classica, all'operetta, ecc., dal dj-set, al live, alla performance) che rispondono a motivazioni e bisogni diversi. E che si rivolgono anche a pubblici, in certa misura, anagraficamente diversi. Si tratta di un tessuto associativo che svolge un ruolo importantissimo di democratizzazione della vita culturale della città, facilitando l'accesso ai beni musicali e artistici da parte di categorie a ridotto potere di acquisto come sono generalmente i giovani, e non raramente gli stessi anziani, che altrimenti rischierebbero di rimanerne escluse. Altre associazioni Un breve cenno merita anche il gruppo residuale delle "altre associazioni", i cui rapporti con la musica dal vivo sono in genere piuttosto indiretti. L'insieme più numeroso è quello delle associazioni di rappresentanza (quali FIMI, Federazione 23 dell'industria musicale; FEM, Federazione degli editori musicali; AFI, Associazione dei produttori fonografici; DISMAMUSICA, Associazione dei produttori e distributori di strumenti musicali; SIAM, Sindacato dei musicisti; il neonato CTGA, Comitato di tutela dei giovani artistici), che svolgono essenzialmente funzioni di promozione degli interessi delle diverse categorie imprenditoriali e professionali dell'articolato mondo della musica. A ciò si aggiungono attività di studio, consulenza, informazione e dibattito, nonché (come ad esempio nel caso di Dismamusica) lo svolgimento di iniziative rivolte allo sviluppo dell'educazione musicale (Scuola Musica Festival) e all'organizzazione di manifestazioni fieristiche di settore. Esiste infine un nucleo di associazioni di studio e ricerca, tra le quali spiccano - per il particolare impegno rivolto allo sviluppo della sperimentazione musicale e dell'utilizzo delle nuove tecnologie nel settore della musica - il centro AGON, Acustica Informatica e Musica e la fondazione MM&T, Musica Musicisti & Tecnologie (che tra le altre cose promuove la rassegna annuale Electronika). Altri centri importanti sono, in questo ambito, l'IRMus, Istituto di Ricerca Musicale, operante all'interno dell'Accademia Internazionale della Musica (Fondazione Scuole Civiche di Milano) e il Laboratorio d'Informatica Musicale dell'Università Statale. Si tratta quindi di organizzazioni numericamente limitate, ma che ricoprono funzioni e svolgono attività di grande rilievo per il rafforzamento e l'innovazione del sistema musica nelle sue diverse componenti, nonché per la crescita della cultura musicale nel nostro paese. 1.4.2. I promoter Nel sistema della musica dal vivo le agenzie musicali, o promoter, svolgono sostanzialmente una funzione di intermediari tra gli artisti e il grande pubblico. La crisi del mercato discografico e la tenuta dell'industria della musica dal vivo, contribuiscono oggi, in un mondo musicale sempre più globale, a enfatizzare il ruolo delle agenzie. Una delle loro attività peculiari risiede infatti nella gestione e nello sviluppo delle carriere internazionali degli artisti per i quali lavorano. Esse, in genere, agiscono non solo in ambito musicale (attraverso l'organizzazione di concerti, festival, tour di singoli musicisti, booking) ma anche in altri settori dello spettacolo e della comunicazione (teatro, televisione, cabaret, eventi aziendali, new media, ecc.), intrattenendo quindi rapporti con una serie di soggetti (major, etichette indipendenti, istituzioni pubbliche, imprese, organi di informazione, locali e discoteche, tour operator, professionisti vari, e così via). Si tratta quindi di organizzazioni che presentano un certo livello di complessità organizzativa (a volte decisamente elevato). A Milano, già capitale dell'industria discografica, sono localizzati i principali promoter attivi in Italia, che operano per lo più nel campo della musica rock e pop (Live Nation Italia, filiale nazionale di Live Nation, la più grande società di musica dal vivo del mondo con sede a Los Angeles; Barley Arts, la maggiore agenzia italiana "indipendente" di musica rock; Friends & Partners, specializzata nella promozione dei cantanti italiani). Le altre agenzie si rivolgono prevalentemente ai mercati regionali o locali (come Milano Spettacoli, promoter di concerti live per il Nord-Italia), mentre non mancano quelle specializzate nel settore della musica classica e lirica (Alliopera, Music Center e altre). 24 1.4.3. I locali Non sono pochi 130 locali nelle notti di Milano, dove si ascolta musica, si sorseggia, si beve, si mangia, si chiacchiera, si balla, si canta, si fa spettacolo di sé. Un pub un club una discoteca un ristorante un cafè una piscina una terrazza un capannone dismesso un vecchio battello sul naviglio o tutte queste cose messe assieme con pretese più o meno modaiole. Per una serata magari di "dj set trash pop a cura di Barbarella" oppure "dark, gothic, met, wave, EBM, electric pop con concerti e dj set".14 In questi luoghi di musica e divertimento non mancano i concerti live, a volte anche con il nome di richiamo. Il vero protagonista della club culture è però il dj, grande giocoliere di suoni, che "mixa" non solo musiche, ma anche emozioni, desideri, appartenenze, incontri, vibrazioni, come una sorta di moderno sciamano.15 Lo sviluppo dei locali commerciali è forse responsabile, almeno in parte, della crisi dei vecchi e amati cafè-concert di parigina memoria. E' il caso, per esempio, del glorioso Capolinea Jazz Club. Sul web si può ancora leggere il comunicato del 2 ottobre 1999 che ne annuncia la morte: "Con oggi il Capolinea non esiste più, almeno presso il loco a cui voi tutti eravate affezionati: il terreno è stato acquistato dai gestori di un locale adiacente, che oltre ad averci sbattuto fuori, intende continuare l'attività sfruttando non solo gli sforzi da noi fatti in 30 anni di attività, ma addirittura il nostro nome".16 Un posto dove hanno suonato artisti come Chet Baker, Dizzie Gillespie, Art Blakey, Gerry Mulligan, Horace Silver, Enrico Rava...., cioè il meglio del jazz mondiale. Oggi c'è il Blue Note (e anche l'Osteria del jazz, l'Ittolitos, il Jump'n Jazz Ballroom, il Nordest Cafè), ma non è la stessa cosa. Perchè il jazz è cambiato, perché è cambiata Milano, perchè è cambiato il mondo. Tantissimi locali commerciali di varo tipo, quindi, anche se poi quelli che offrono esclusivamente o prevalentemente musica dal vivo non sono più di una ventina (oltre ai già citati jazz club, si possono qui ricordare locali più o meno noti come Rolling Stone, Alcatraz, Al Pulentin, Salumeria della Musica, Scimmie, Magazzini Generali, Music Drome, Cafè Doria, Blues House, Nibada Theatre, Le Trottoir, e pochi altri), ai quali si aggiungono le decine di circoli e centri sociali, con le loro specifiche proposte musicali, di cui si è già detto. Milano dispone perciò di un buon tessuto di locali dove praticamente ogni sera si fa e si ascolta della buona popular music. Eppure, come vedremo meglio nella seconda parte della ricerca, è diffusa l'idea che in città manchino gli spazi o che questi si siano ridotti notevolmente. Al di là di specifiche carenze (come quella relativa agli spazi intermedi) e dei diversi problemi che i locali incontrano nella loro via quotidiana (dall'impatto acustico, alle normative, alle entrate economiche), questa sensazione d'impoverimento sembra più dovuta a ragioni di ordine culturale. Il problema allora diventa capire se i locali devono semplicemente adattarsi alle trasformazioni degli stili di vita, lanciando al massimo delle nuove mode, o svolgere un ruolo di rielaborazione della vita culturale complessiva della città, essere cioè luoghi dell'innovazione artistica e sociale. 1.5. La musica insegnata In Italia, come è ben noto, l'insegnamento della musica occupa un posto assai modesto nei percorsi formativi dei cittadini, al punto che il nostro paese soffre di una vera e propria forma di "analfabetismo musicale" e più propriamente di un "analfabetismo di ritorno", dato che con 14 Giusto per citare soltanto due esempi di presentazione di locali ripresi da "Milano Zero", il piccolo e utilissimo quindicinale di informazioni di musica, cultura e notte che sta in una tasca. 15 Claudio Coccoluto & Pierfrancesco Pacoda, IO, DJ, Einaudi, Torino, 2007. 16 www.geocities,com/BourbonStreet/Delta/1538. 25 l'ingresso nella scuola media superiore (ossia a 14 anni) s'interrompono per sempre i "primi passi" fatti (quando sono stati fatti) nella scuola elementare e media. Una cesura a cui consegue un deficit particolarmente grave se si considera il ruolo che l'apprendimento della musica in giovane età gioca nella crescita umana, culturale e civile degli individui. In questo contesto nazionale arretrato, può destare una certa sorpresa che a Milano si contino quasi 100 organizzazioni formative che, in vario modo e a diversi livelli, operano nel campo della musica. Ad esse si devono aggiungere i corsi spesso attivati da altri organismi musicali (associazioni, sale prove e studi di registrazione, negozi di strumenti musicali), nonché quelli di alfabetizzazione o di cultura musicale che vengono svolti da diverse istituzioni operanti nel campo della formazione degli adulti e per il tempo libero (come ad esempio le Università della terza età). Si tratta quindi di un'offerta, in grandissima parte privata, piuttosto consistente, che lascia intravedere l'esistenza di una domanda di educazione musicale molto più ampia di quella che viene soddisfatta dalla scuola pubblica, costituendo le scuole "statali" a indirizzo musicale una esigua minoranza del sistema formativo milanese (sono circa una quindicina comprendendo anche i centri di educazione musicale delle Scuole Civiche). Nel campo musicale Milano emerge come un polo formativo di eccellenza. Istituzioni quali il Conservatorio G. Verdi (il secondo in Italia per numero di iscritti, dopo quello di Bari, e presso il quale è attivato anche un Master di perfezionamento), L'Accademia Internazionale della Musica della Fondazione Scuole Civiche di Milano (con l'Istituto di Musica Classica, l'Istituto di Musica Antica, l'IRMus, Istituto di Ricerca Musicale, i Civici Corsi di Jazz) e l'Accademia Teatro alla Scala, costituiscono nel loro insieme un milieu culturale e professionale di primaria grandezza, il cui valore è conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. Il sistema della musica è inoltre entrato nell'insegnamento universitario, come dimostrano il corso di laurea in Scienze e Tecnologie della Comunicazione Musicale dell'Università Statale e il Master di Comunicazione Musicale dell'Università Cattolica. Tali istituzioni contribuiscono a rafforzare la vocazione cosmopolita della città. Al solo Conservatorio, nell'anno accademico 2006/2007 risultavano iscritti, secondo i dati del MIUR, 114 studenti stranieri (di cui 32 provenienti dalla sola Corea del Nord), corrispondenti al 7% del totale, un valore che fa del Conservatorio l'università milanese con il più elevato tasso di attrazione internazionale. Tra le numerose scuole di musica attive a Milano è doveroso citare qui - senza far torto a tutte le altre - almeno due istituzioni di riconosciuto prestigio, come il CPM-Centro Professione Musica, fondato da Franco Massida e rivolto alla musica popolare contemporanea, e la storica Scuola Musicale di Milano, nata nel 1891, che presenta un'offerta formativa prevalentemente classica simile a quella del Conservatorio. Le scuole private di musica - che dispongono a volte anche di sale prove e studi di registrazione, promuovono spesso le più svariate iniziative (concerti, cori, spettacoli, laboratori, editoria, progetti per le altre scuole, ecc. ) e che in alcuni casi presentano una struttura a rete (locale, nazionale e magari internazionale) - rappresentano nel loro insieme una realtà culturale importante in una città come Milano. Ad esse si rivolgono ogni anno - più o meno indirizzati dalle loro famiglie - diverse migliaia di bambini, di ragazzi e di giovani per ricevere quell'educazione musicale che generalmente non ricevono nella scuola pubblica. Il che significa che la grande maggioranza delle giovani generazioni di milanesi non fanno, se non in modo estemporaneo, una esperienza diretta della pratica musicale come pratica formativa, con i suoi positivi riflessi in campo non solo cognitivo ma, un domani, anche professionale. E' una forma di polarizzazione o di disuguaglianza culturale che una città della musica degna di questo nome dovrebbe fare di tutto per cercare di ridurre. Certo, quello dell'educazione musicale nelle scuole pubbliche rappresenta un problema di tutto il Paese, discusso da molti anni attraverso 26 decine di convegni, gruppi di lavoro, commissioni varie e proposte di legge, ma ancora ben lontano dall'essere risolto. Ciò non toglie che Milano - città ricca di risorse e di eccellenze, e che vuol dirsi città della musica - possa sperimentare e sviluppare localmente azioni volte a favorire un più largo accesso, soprattutto da parte dei suoi giovani cittadini, a un bene pubblico di straordinaria valenza culturale e civile come l' istruzione musicale. 1.6. La musica conservata A differenza di tutte le altre espressioni artistiche, l'opera musicale non ha una sua consistenza oggettiva diretta - come può essere un dipinto, una scultura, un testo letterario, e così via - ma lascia "tracce" che a quell'opera si collegano: uno spartito, una partitura, un manoscritto liturgico, un libretto teatrale, un carteggio, uno stampato, una registrazione sonora o video-sonora. E anche, in modo ancora più indiretto, uno strumento musicale, un metronomo, un leggio, un apparecchio di riproduzione, un documento iconografico, uno studio fonologico. Queste tracce-oggetti si trovano sparse in innumerevoli istituzioni e luoghi preposti in qualche modo alla loro tutela e conservazione: biblioteche e archivi, ordini religiosi, chiese, monasteri, musei, associazioni, scuole, accademie, istituzioni concertistiche, teatri, e così via, ai quali sono da aggiungere i "fondi" privati detenuti dai singoli cittadini. Un patrimonio enorme di "beni musicali", poco conosciuto e spesso mal conservato e gestito. La categoria di "bene musicale" ha, nell'ordinamento italiano, uno statuto incerto, trattandosi anche di beni particolari bisognosi, per la loro tutela e valorizzazione, di conoscenze e competenze specifiche.17 I beni musicali meritevoli di conservazione sono costituiti non solo dalle tracce delle musiche del passato ma anche da quelle delle musiche del presente: dalla musica contemporanea, alla popular music, al jazz, alla musica elettronica. Siamo quindi davanti a un bene culturale di ricchezza non comune, così come multiforme e in continua evoluzione è l'arte della musica. Con più di 500 mila unità bibliografiche, la Biblioteca del Conservatorio G. Verdi di Milano rappresenta la più grande biblioteca musicale d'Europa, dove oltre a una serie di rare collezioni preottocentesche, che attraggono l'interesse degli studiosi di tutto il mondo, si conservano, per diritto di stampa, tutte le opere musicali editate a Milano dal 1808 ad oggi. La Biblioteca del Conservatorio è quindi una fonte preziosa anche per la storia della musica moderna e attuale, compresa la storia della musica leggera o della canzone. Al polo del Conservatorio si affiancano diverse altre strutture bibliotecarie e archivistiche, che gestiscono importanti patrimoni musicali. E' doveroso citare almeno: la Biblioteca Nazionale Braidense (dalla quale dipende l'Ufficio Ricerca Fondi Musicali, operante presso il Conservatorio), la Biblioteca Livia Simoni e l'Archivio musicale del Teatro alla Scala, la Biblioteca Sormani (con la sua fonoteca), l'Archivio Casa Ricordi (al quale si possono aggiungere gli archivi delle altre due "case musicali" storiche di Milano, ossia Sonzogno e Lombardo), la Mediateca dell'Accademia Internazionale della Musica delle Scuole Civiche, la Biblioteca della Scuola Musicale, la Libreria Musicale Gallini. Un contributo rilevante alla conservazione dei beni musicali proviene dalla rete delle istituzioni religiose, specializzate per lo più nel campo della musica sacra e liturgica, quali ad esempio l'Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo, la Biblioteca del Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra, la Biblioteca e l'Archivio del Capitolo Metropolitano, la Biblioteca del Centro Culturale Protestante, senza contare le "tracce" disperse in numerose chiese o parrocchie della città. Infine i luoghi degli strumenti musicali e dei loro annessi: dal Museo Teatrale della Scala, alla Casa 17 Annalisa Gualdani, Il bene musicale: una categoria in cerca di definizione, Il Saggiatore Musicale, in www.saggiatoremusicale.it/documenti/beniculturali.php. 27 Verdi, agli antichi organi di chiese e abbazie, alle botteghe storiche come Milanfisa, alla Civica Scuola di Liuteria, al Museo della Scienza e della Tecnologia (con la Collezione Suono), per concludere con il Museo degli Strumenti Musicali del Castello Sforzesco. Proprio in quest'ultimo è stata allestita di recente una nuova sala che ospita il vecchio Studio di Fonologia della Rai di Milano, istituito nel 1955 e attivo sino al 1983, dove hanno lavorato grandi compositori dell'avanguardia musicale come Luciano Berio, Bruno Maderna, John Cage, Pierre Boulez. Un bell'esempio dinamico di come la memoria culturale della città possa rinnovarsi e arricchirsi attingendo ai materiali della sua storia recente. Milano dispone quindi di un vasto e ricco "giacimento" di beni musicali, articolato in una pluralità di luoghi, a volte anche impensabili e segreti, che possiamo chiamare i luoghi della "memoria musicale", dove le "tracce" del passato remoto convivono con quelle del passato prossimo. Ma anche del presente e forse del futuro, perchè la musica produce continuamente eventi e innovazioni, spesso di straordinario valore, che costituiscono un patrimonio da custodire in una sorta di memoria in progress, di memoria della contemporaneità proiettata appunto nel futuro. Si pensi, banalmente, al valore della conoscenza che si sedimenta negli "archivi" di un certo Festival musicale, anche nato da poco, le cui edizioni si succedono nel tempo.18 Eppure, se volessimo percorrere gli itinerari della memoria della città della musica non sapremmo bene come fare, perchè ci mancano persino le mappe e i quadri che aiutino a metterci in cammino e a orizzontarci. Dovremmo procedere un po' a caso, privi di una guida certa, per finire magari in luoghi chiusi e inaccessibili. Custodita in tante "case", piccole e grandi, che ne ospitano i beni e le tracce, la memoria musicale necessita di cure e cuciture, di valorizzazioni e connessioni, per emergere a protagonista della vita cittadina. Il bene musicale è forse meno appariscente e redditizio di altri beni culturali, ma ignorarlo sarebbe come non dare ascolto alle tanti voci che hanno contribuito e contribuiscono a fare la storia della città e che sono poi le voci della sua "archeologia spirituale". 1.7. La musica comunicata Per "musica comunicata" intendiamo qui la musica che a vario titolo viene fatta oggetto di informazione e rappresentazione da parte dei media ad esclusivo o prevalente contenuto musicale. Ovviamente, la musica occupa inoltre uno spazio più o meno rilevante nella stampa quotidiana, sia nazionale che locale. A Milano, capitale della musica e della comunicazione, si contano, escludendo i quotidiani, 74 "testate" musicali più o meno specializzate (34 riviste periodiche, 30 emittenti radio e 10 emittenti TV), alle quali andrebbero aggiunte le realtà che operano esclusivamente nello spazio virtuale del web (portali, fanzine, blog, ecc.), di certo numerose nel contesto milanese, ma di difficile se non impossibile localizzazione geografica (partendo almeno dai loro siti). Non è compito di questa breve nota tracciare un profilo dell'articolato sistema dei media musicali e tanto meno di entrare nel merito dei complessi rapporti che esso intrattiene con il sistema musica.19 Qui basterà accennare al fatto che l'industria della comunicazione musicale italiana è in larga parte concentrata a Milano e nei comuni contermini, dove hanno sede tutte le principali piattaforme televisive (All Music, Mtv, Sky, ecc.) e radiofoniche commerciali (Circuito Marconi, Radio 102.5, Radio Montecarlo, Radio Deejay, ecc. ), oltre che diverse e importanti riviste di settore (Rolling Stones, Amadeus, Metal Hammer Italia, Rock Sound, Strumenti Musicali, ecc.). Fino a che punto e in che modo questa ampia e diversificata rete di media comunica la città della musica? Solo un' indagine ad hoc potrebbe fornire una risposta argomentata alla domanda, ma la 18 19 AAVV, Tememos. I luoghi della musica, Auditorium Edizioni, Milano, 2002. Vedi in proposito Gianni Sibilla, L'industria musicale, Carocci, Roma, 2006. 28 sensazione - da semplici lettori di giornali e riviste, spettatori televisivi e ascoltatori radiofonici - è che l'interesse dei media sia in generale rivolto alla dimensione spettacolare degli eventi e dei personaggi più o meno famosi, con un approccio per così dire "individualizzante" e dagli esiti in genere piuttosto banali e ripetitivi. Assai più raro - con la parziale eccezione delle pubblicazioni specializzate, spesso però troppo di nicchia, e di qualche trasmissione radiofonica - è che essi raccontino la città della musica nelle sue pratiche diffuse, nella sua molteplicità culturale, nei suoi pubblici, nei suoi artisti meno noti, nei suoi luoghi, nei suoi problemi, partendo da una visione globale. La musica non può essere ridotta a solo fatto di costume, quando non a puro "gossip", essendo per di più confinata in uno spazio residuale dell'informazione dedicata alla cosiddetta "industria dello spettacolo", come emerge chiaramente soprattutto dalla lettura della stampa generalista. Senza contare le TV, divise tra il rumore dei video-clip promozionali e l'enfasi giovanilistica dei canali commerciali e il sostanziale silenzio di quelli pubblici. Milano città della musica, circondata da media di tutti i tipi, merita attenzioni e descrizioni meno superficiali e cronachistiche. Ma questo significa anche che la città della musica comunichi meglio se stessa, attraverso i propri attori e le proprie istituzioni. 29 30 2. Imprese e lavori della musica I dati ENPALS (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo) costituiscono oggi l’unica fonte d’informazione statistica sulle imprese e sui lavoratori dello spettacolo. Essi consentono di tracciare un profilo del sistema musica milanese colto nella sua dimensione di “settore economico”. E’ bene precisare subito che tali dati, a causa di problemi elaborativi, si riferiscono non alla città di Milano ma all’intera provincia. 2.1. Le imprese Ai fini Enpals sono considerate “imprese” – o meglio “attività”20 - quei soggetti che ricorrono alle prestazioni lavorative di categorie professionali dello spettacolo indicate dalla legge e che sono quindi tenute a versare i relativi contributi previdenziali. Per quanto riguarda il settore musicale tali “datori di lavoro” comprendono: le edizioni musicali e le incisioni discografiche; gli enti autonomi lirico-sinfonici; le imprese liriche; le imprese concertistiche; le imprese di spettacolo di balletto; le imprese di spettacolo di operetta; i complessi orchestrali di musica leggera; i complessi bandistici. Le attività musicali localizzate in provincia di Milano crescono: erano 385 nel 2001 e sono diventate 537 nel 2005, registrando un tasso di sviluppo (39,5%) superiore a quello medio nazionale (15,3%) e dell’intero sistema dello spettacolo (28,6%). La crescita del settore musicale appare ancora più sostenuta a livello di regione Lombardia (53,4%). Tab. 1 - Attività delle imprese dello spettacolo per settore in Provincia di Milano, Lombardia e Italia - Anni 2001 e 2005 Settore Milano Lombardia Italia Var. % 2001-2005 2001 2005 2001 2005 2001 2005 Milano Lombardia Italia Cinema 411 468 510 558 3.260 3.241 13,9 9,4 -0,6 Musica 385 537 905 1.388 5.476 6.312 39,5 53,4 15,3 Teatro 175 227 272 350 1.715 2.066 29,7 28,7 20,0 Radio-TV 88 94 183 192 1.473 1.425 6,8 4,9 -3,3 T.V.S.P* 155 244 467 995 3.995 6.086 57,4 113,1 52,3 Impianti sportivi 217 227 486 550 2.760 3.044 4,6 13,2 10,3 Varie 29 80 38 223 873 1.386 175,9 486,8 58,8 Totale 1.460 1.877 2.861 4.256 19.552 23.560 28,6 52,4 20,5 Fonte: ENPALS e Ns. elaborazioni * Trattenimenti vari e spettacoli polivalenti 20 I dati Enplas non si riferiscono all’impresa ma all’attività, essendo quindi una singola impresa imputabile di diverse attività (anche appartenenti a settori diversi). L’uso del termine “impresa” appare quindi improprio, anche se - nella maggioranza dei casi – impresa e attività tendono a coincidere (come sembra del resto indicare la stessa tipologia individuata dall’Enpals laddove si riferisce alle “imprese” liriche, concertistiche, ecc.). 31 La musica rappresenta il primo comparto del sistema dello spettacolo, superando ampiamente il cinema e il teatro. L’area milanese detiene una chiara posizione di leadership nazionale se si considera che le attività musicali ad essa imputate risultano essere più numerose di quelle relative a intere regioni come il Lazio, il Piemonte e il Veneto (ciascuna delle quali corrisponde, a sua volta, a circa un terzo della realtà lombarda). Le attività musicali risultano fortemente concentrate (a Milano più che nel resto d’Italia) nel segmento dei complessi orchestrali di musica leggera, che presenta anche la dinamica di crescita più spinta (+59,4% tra il 2001 e il 2005, contro il +12,4% nazionale). In modesto aumento, nell’area milanese, le imprese concertistiche (che crescono di più a livello nazionale), stabili quelle di balletto e le edizioni musicali. Tab. 2 - Attività musicali per categoria in Provincia di Milano e Italia - Anni 2001 e 2005 Categoria Milano Italia 2001 2005 2001 2005 Edizioni musicali 20 21 79 84 Enti lirici e sinfonici 2 2 26 31 Imprese liriche 5 4 103 91 Imprese concertistiche 81 88 1.486 1.799 Imprese di spettacolo di balletto 22 22 274 341 Imprese di spettacolo di operette 3 1 6 10 Complessi orchestr. Musica leggera 249 397 3.463 3.891 Complessi bandistici 3 2 39 65 Totale 385 537 5.476 6.312 Fonte: ENPALS Osservando i dati contenuti nella tabella 2 colpisce il netto scostamento tra il numero delle attività afferenti alle edizioni musicali e incisioni discografiche e quello da noi rilevato (oltre 80 organizzazioni nella sola città di Milano e per le sole case editrici musicali).21 Sostanzialmente due sono le cause che possono spiegare questa forte divergenza. In primo luogo l’Enpals, come si è già precisato, non rileva le imprese ma le attività, per cui può essere che un certo numero (elevato) di case musicali o discografiche, pur esistendo, non abbia svolto, nel 2001 e nel 2005, nessuna attività di tipo musicale, ovvero non abbia dato lavoro a nessun lavoratore della musica. Se così fosse, vuol dire che esiste una vasta area di imprese musicali editrici-discografiche inattive o per meglio dire “dormienti”. Oppure che il 2001 e il 2005 siano da considerasi due anni particolarmente “sfigati”. Una seconda possibile ragione risiede nel mancato versamento dei contributi previdenziali da parte di queste imprese. In tal caso, più che imprese inattive avremmo imprese “evasive”, che si avvalgono cioè di prestazioni lavorative in “nero” o in “grigio”. Eventualità queste tutt’altro che rare in un mercato della musica polverizzato e notoriamente attraversato dalle pratiche tipiche dell’economia sommersa (quando non illegale). Al di là dei sempre possibili errori “amministrativi” connessi all’imputazione e/o alla classificazione delle attività, ci sembra del tutto probabile che lo scarto eccessivo tra la nostra “sovrarappresentazione” e la “sottorappresentazione” Enpals sia da imputarsi al combinarsi dei fenomeni sopra indicati. E’ da ritenersi peraltro – anche sulla base di alcuni segnali colti sul campo - che i dati Enpals siano in qualche modo più “realistici” (anche se non più “reali”) di quelli da noi rilevati, considerando quelle caratteristiche di accessorietà e intermittenza che assumono spesso le attività musicali (sul fronte delle imprese come su quello dei lavoratori). 21 Vedi capitolo 1. 32 2.2. I lavoratori Tra artisti, tecnici, maestranze e personale amministrativo nel 2005 hanno operato nella “piazza” milanese oltre 6 mila lavoratori della musica iscritti all’Enpals e appartenenti a una delle categorie professionali previste dalla Legge. La crescita rispetto al 2001 (+9% circa) è più contenuta di quella registrata in ambito nazionale (+29%) e, soprattutto, lombardo (+51%). Occorre peraltro segnalare che tra il 2004 e il 2005 si verifica, a livello nazionale, un’apprezzabile flessione dei lavoratori della musica (-6%), mentre aumentano quelli del cinema (+6,2%), del sistema radio-televisivo (+7%) e, seppure di poco, del teatro (+0,5%). Ciò sembra evidenziare l’esistenza di uno stato di crisi occupazionale del comparto della musica (che non appare mettendo a confronto soltanto gli anni 2005 e 2001). Milano si caratterizza inoltre per il minor peso detenuto dai lavoratori della musica sul totale dei lavoratori dello spettacolo (17,7% rispetto al 24,7% lombardo e al 26,7% nazionale). Sotto il profilo del lavoro Milano appare una città della musica meno dinamica e di dimensione relativamente più contenuta di quanto emerga invece in termini di attività d’impresa. Tab. 3 - Lavoratori - contribuenti dello spettacolo per settore di attività in provincia di Milano, Lombardia e Italia - Anni 2000 e 2005 Settore Milano Lombardia Italia Variazione % 2001 2005 2001 2005 2001 2005 Milano Lombardia Italia Cinema 17.323 17.797 17.828 19.048 72.617 74.617 2,7 6,8 2,8 Musica 5.657 6.162 8.086 12.201 53.588 69.133 8,9 50,9 29,0 Teatro 1.657 2.159 2.304 3.053 17.897 21.181 30,3 32,5 18,3 Radio-TV 1.538 3.366 2.045 4.098 23.115 28.980 118,8 100,4 25,4 T.V.S.P.* 2.673 2.509 5.036 6.193 28.411 35.106 -6,1 23,0 23,6 Impianti sportivi 1.501 1.712 2.868 3.252 16.271 17.456 14,0 13,4 7,3 Varie 593 1.026 654 1.474 6.320 12.269 73,0 115,4 94,1 Totale 30.942 34.731 38.821 49.319 218.219 258.742 12,3 27,0 18,6 Fonte: ENPALS e Ns. Elaborazioni * Trattenimenti vari e spettacoli polivalenti Anche nel caso dei lavoratori è necessario fare una precisazione. Essi infatti non vengono imputati dall’Enpals ai loro luoghi di residenza ma a quelli in cui sono localizzate le imprese per le quali lavorano. Si tratta quindi di statistiche di flusso, che tuttavia – non rilevando il luogo di residenza dei lavoratori – non consentono di determinare il grado di attrazione musicale di una certa area geografica. Data la spiccata mobilità (anche internazionale) che caratterizza il mondo delle professioni musicali si può immaginare (e solo immaginare) che una parte forse non trascurabile dei 6.000 e più lavoratori a vario titolo impiegati nel 2005 dalle imprese musicali milanesi provenga dal resto d’Italia. Allo stesso modo si può immaginare che una certa quota dei quasi 70.000 lavoratori della musica italiana sia milanese. Ma non possiamo assolutamente sapere se Milano abbia una maggiore propensione a “esportare” o a “importare” lavoratori della musica. Se si considerano soltanto le professioni a contenuto artistico (escludendo quindi quelle tecnicoamministrative), i lavoratori che hanno prestano la loro opera ai “datori” milanesi nel 2005 ammontano a 4.174 unità. In questo caso la crescita rispetto al 2001 appare maggiore (+14,9%) ma sempre nettamente inferiore alla dinamica nazionale (+34,7%). Il gruppo professionale più nutrito è quello degli “orchestrali” (anche di musica leggera) che, analogamente alle attività d’impresa, registra un elevatissimo tasso di sviluppo (+65,6%). Ancora 33 più spiccato è l’aumento dei “cantanti di musica leggera”, il cui numero, tra 2001 e il 2005, si è più che raddoppiato. In declino più o meno accentuato le altre professioni maggiormente diffuse e in gran parte relative al mondo della musica classica (cantanti lirici, coristi, concertisti, professori d’orchestra). Il comparto della musica leggera sembra pertanto offrire oggi le maggiori opportunità occupazionali ai lavoratori della musica. Tab. 4 - Lavoratori della musica per gruppo e categoria professionale in Provincia di Milano e Italia - Anni 2001 e 2005 Gruppo/categoria professionale Milano Italia Var. % 2005-2001 2001 2005 2001 2005 Milano Italia GRUPPO CANTO 895 917 7.179 8.204 2,5 14,3 Artisti lirici 211 169 1.801 1.715 -19,9 -4,8 Cantanti di musica leggera 155 339 1.743 2.681 118,7 53,8 Coristi e vocalisti 500 385 3.512 3.693 -23,0 5,1 Maestri del coro 29 24 123 115 -17,2 -6,5 GRUPPO DIRETT. E MAESTRI D'ORCHESTRA Direttori d'orchestra Sostituti direttori d'orchestra Maestri collaboratori Maestri di banda GRUPPO CONCERTISTI E ORCHESTRALI Concertisti e solisti Professori d'orchestra Orchestrali (anche di musica leggera) Bandisti Totale generale 62 43 19 - 82 49 31 2 725 451 125 130 19 708 417 122 141 28 32,3 13,9 63,1 - -2,3 -7,5 -2,4 8,5 47,4 2.676 1.140 449 1.087 3.633 3.175 1.049 328 1.798 4.174 29.729 10.653 5.566 13.201 309 37.633 41.790 11.824 5.782 23.816 368 50.702 18,6 -8,0 -26,9 66,0 14,9 40,60 11,0 3,9 80,4 19,1 34,7 Fonte: ENPALS e Ns. elaborazioni La distribuzione delle professioni musicali per settore di attività dell’impresa conferma le dinamiche già osservate, evidenziando in particolare la netta crisi degli enti lirici e sinfonici e la flessione delle imprese concertistiche (in sviluppo nel resto d’Italia), le cui perdite vengono comunque più che compensate dal forte incremento dei complessi orchestrali di musica leggera, che da soli assorbono quasi la metà (il 44%, per la precisione) dei lavoratori artistici della musica impiegati dalle imprese milanesi. Tab. 5 - Lavoratori della musica per settore di attività dell'impresa in Provincia di Milano e Italia - Anni 2001 e 2005 Settore attività Milano Italia Var. % 2005-2001 2001 2005 2001 2005 Milano Italia Edizioni musicali 138 75 218 223 -45,6 2,3 Enti lirici e sinfonici 515 406 4.601 4.492 -21,2 -2,4 Imprese liriche 110 111 1.513 1.639 0,9 8,3 Imprese concertistiche 1.704 1.684 17.068 21.591 -1,2 26,5 Imprese di spettacolo di balletto 21 15 217 228 -20,6 5,1 Imprese di spettacolo operette 28 15 53 54 -46,4 1,9 Complessi orchestrali musica leggera 1.053 1.850 13.572 21.938 75,7 61,6 Complessi bandistici 64 10 391 537 -84,4 37,3 Totale 3.633 4.166 37.633 50.702 14,9 34,7 Fonte: ENPALS e Ns. Elaborazioni 34 I dati a disposizione non permettono di approfondire più di tanto la conoscenza delle caratteristiche strutturali, sociali e culturali del complesso e variegato mondo del lavoro musicale e, soprattutto, delle diverse problematiche che lo riguardano, a iniziare da quelle previdenziali-assicurative-fiscali e dall’elevata incidenza del lavoro irregolare (stimata per l’intero Paese intorno al 50-60%), che generano uno stato di “insicurezza sociale” diffusa. Ci limitiamo perciò ad evidenziare qui due nodi di fondo, che in qualche misura emergono anche dalla stessa analisi qualitativa (avente obiettivi di ricerca più generali). La prima questione riguarda lo squilibrio tra la domanda e l’offerta di professioni musicali, che sembra riguardare più da vicino il settore della musica classica e manifestarsi a Milano in misura forse maggiore di quanto accada sul piano nazionale. Al proliferare dell’offerta formativa e quindi professionale – che si combina a una contestuale contrazione (o mancata crescita) delle istituzioni orchestrali (basti pensare alla chiusura dell’Orchestra Rai di Milano avvenuta nell’ormai lontano 1994 e “sostituita” dall’Orchestra Verdi perennemente in difficoltà) - non corrispondono adeguate opportunità lavorative. Da questa situazione conseguono almeno due rischi, entrambi sottolineati da alcuni dei testimoni intervistati: lo scadimento qualitativo della stessa offerta formativa e l’emigrazione dei giovani “talenti” verso altri paesi musicalmente più evoluti del nostro. La seconda considerazione parte dal fatto che nella musica, come in qualsiasi altra attività artistica, il lavoro coincide con l’opera, con il prodotto, essendo la sua oggettivazione unicamente intermediata dalle tecnologie utilizzate. Ovviamente il lavoro musicale è influenzato da numerosi fattori di contesto (in particolare dalle capacità ricettive del pubblico) ma è indubbio che la qualità e la propensione all’innovazione del sistema musica dipendono in buona parte dall’apporto dei lavoratori-musicisti. Per questo motivo investire nel sistema musica significa in primo luogo investire sulle risorse professionali e artistiche messe al lavoro, che di questo sistema costituiscono poi la stessa base fondativa. 35 36 3. Domanda e offerta di musica dal vivo In questo capitolo viene offerto un quadro descrittivo della domanda e dell’offerta di spettacoli musicali dal vivo che si basa soprattutto sull’utilizzo dei dati SIAE. Questi coprono abbastanza bene il lato dell’offerta – la cui analisi è arricchita da una rilevazione diretta condotta da MeglioMilano -, ma non quello della domanda, che consentono di misurare solo in modo indiretto ossia come riflesso dell’offerta. Di fatto, la città della musica – ma il discorso vale per l’intero Paese - non dispone di strumenti adeguati di monitoraggio e analisi della domanda (musicale e culturale in genere), che risulterebbero di grande utilità per le istituzioni e soprattutto per gli operatori. Si tratta di un vuoto che andrebbe in qualche modo colmato. 3.1. La domanda L’ascolto di musica dal vivo è ancora poco diffuso in Italia. Nel 2005 soltanto l’8,9% degli italiani di 6 anni e più ha assistito, negli ultimi dodici mesi, a un concerto di musica classica e il 19,6% a uno di musica leggera. Si tratta di pesi che registrano modeste oscillazioni tra il 2000 e il 2005, a testimoniare come la fruizione della musica sia circoscritta a uno “zoccolo duro” di pubblico sostanzialmente immutabile nel tempo. Sotto questo profilo l’Italia appare in forte ritardo rispetto al resto d’Europa, dove l’incidenza media dei cittadini che almeno una volta all’anno ascoltano concerti di musica dal vivo è del 37%.22. Non disponiamo di dati per la città di Milano, ma possiamo ragionevolmente ritenere che essi non siano molto diversi da quelli relativi ai comuni centrali delle aree metropolitane: 11,6% per la musica classica e 18,4% per la musica leggera, il primo superiore e il secondo inferiore alla media nazionale. Tab. 6 - Persone di 6 anni e più che hanno ascoltato almeno un concerto di musica classica e non classica nei 12 mesi precedenti l’intervista - Anni 2000-2005 (a) (per 100 persone con le stesse caratteristiche). Anni 2000 2001 2002 2003 2005 Italia 8,5 9,1 9,0 8,8 8,9 Musica Classica Comune, centro dell'area metropolitana 10,5 10,6 11,0 10,1 11,6 Italia 18,3 19,0 19,4 20,5 19,8 Musica non classica Comune, centro dell'area metropolitana 16,3 17,4 17,7 17,9 18,4 Fonte: ISTAT, Statistiche culturali - Anno 2005 (a) Dati non disponibili per il 2004. 22 Commissione Europea, Eurobarometr. European Cultural Values, settembre 2007. Secondo l’indagine Eurobarometro il 31% degli italiani ha assistito nel 2006 a un concerto dal vivo, un peso che colloca l’Italia al 24° posto tra i 29 paesi considerati (davanti a Bulgaria, Cipro, Grecia, Polonia e Portogallo) e a grande distanza da quelli musicalmente più evoluti (Estonia 62%, Danimarca 58%, Svezia 53%, Germania 42%, Gran Bretagna 40%), essendo superata anche dalla Spagna (34%) e dalla Francia (35%). 37 I dati pubblicati ogni anno dalla SIAE rappresentano una fonte interessante per l’analisi della domanda (e come vedremo anche dell’offerta) di spettacoli dal vivo in Italia e nelle sue diverse circoscrizioni territoriali. Gli indicatori utilizzabili come “proxy” della domanda sono sostanzialmente due: il numero degli ingressi e l’ammontare della spesa. Per non appesantire eccessivamente il testo faremo ricorso al solo indicatore ingressi (tra l’altro maggiormente significativo nei confronti territoriali in quanto la spesa è determinata non solo dagli ingressi ma anche dal costo dei biglietti venduti, il quale varia, anche in modo significativo, da zona a zona oltre che in base alla tipologia degli eventi). Nella lettura dei dati occorre naturalmente tener presente che a una singola persona possono corrispondere (come in genere accade) più ingressi: essi non ci dicono quindi quanti sono gli individui che hanno partecipato, in un certo anno, agli spettacoli dal vivo, limitandosi a fornire una valutazione delle dimensioni complessive della domanda. I dati annuali contenuti nella tabella 7 sono relativi, per il 2000-2004, ai comuni capoluogo di provincia maggiormente significativi sotto il profilo delle attività musicali, mentre, per il 2006 e 2007, si è preferito utilizzare i dati provinciali (pubblicati di recente dalla SIAE) dal momento che quelli disponibili per le città si riferiscono soltanto al primo semestre dell’anno. Ciò rende impropri i confronti tra i due periodi, anche se la domanda (come l’offerta) di spettacoli tende a concentrarsi notevolmente nelle città capoluogo. Nel periodo 2000-2007 la domanda di musica dal vivo mostra – al di là dell’andamento variabile, in più o meno, registrato nei singoli anni - un trend complessivo di crescita, in Italia come nelle aree urbane considerate (con la parziale eccezione di Bologna). Milano e Roma si pongono come i grandi poli musicali del Paese (esprimendo insieme il 30% dell’intera domanda nazionale), seguite a grande distanza da Torino, terza città della musica in Italia. Da sottolineare il forte balzo compiuto tra il 2006 e il 2007 dall’area milanese, che raggiunge e supera quella romana. Del resto i cittadini milanesi sembrano essere caratterizzati da una più elevata propensione a consumare eventi musicali, come dimostra il rapporto tra il numero degli ingressi e la popolazione residente, che – per limitarci a un solo anno – raggiunge nel 2004, a Milano, il valore di 1,49 (contro lo 0,98 di Roma e lo 0,87 di Torino). Tab. 7 - Numero di ingressi per spettacoli musicali - Anni 2000-2007 (1) Bologna Firenze Milano Napoli Roma Torino Totale Italia 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 277.901 257.374 140.151 155.709 234.074 434.058 401.191 527.072 332.595 543.732 804.989 636.516 532.771 656.486 1.508.736 1.259.179 1.236.182 1.692.805 1.891.438 2.065.356 2.747.014 251.419 264.439 391.015 381.553 549.925 524.110 594.702 1.852.168 1.710.080 1.723.276 1.686.708 2.498.426 2.401.115 2.655.828 510.997 635.646 633.417 513.288 751.682 854.362 1.114.512 14.109.771 13.590.302 14.702.197 14.267.274 16.347.592 15.908.802 15.125.867 17.757.315 Fonte: SIAE e Ns. elaborazioni (1) Dati comunali per il periodo 2000-2004 e provinciali per gli anni 2006 e 2007. I dati annuali relativi al 2005 non sono disponibili a livello di Comune o di Provincia. La domanda di musica dal vivo fa parte della più vasta domanda di spettacoli (dal vivo e no), con la quale spesso si interseca. E’ sembrato quindi utile valutare la sua incidenza sia sulla domanda complessiva di spettacoli dal vivo in senso stretto (comprendente, oltre la musica, soprattutto il teatro e, in minor misura, i burattini e le marionette, l’arte varia e il circo) che su quella globale rivolta all’intero sistema dello spettacolo (spettacoli dal vivo, cinema, manifestazioni sportive, ballo, mostre ed esposizioni). I dati contenuti nella tab. 8 evidenziano alcune tendenze interessanti. La domanda di spettacoli musicali detiene un peso maggioritario sulla domanda complessiva di spettacoli dal vivo - superando ampiamente la domanda di teatro (che rappresenta, dopo la musica, la seconda forma prevalente di spettacolo dal vivo) - e tutt’altro che trascurabile in rapporto alla domanda relativa a tutto il sistema dello spettacolo. Essa presenta inoltre un tasso di crescita (tra il 38 2006 e il 2007) nettamente superiore a quelli dei due macroaggregati (totale spettacoli dal vivo e totale spettacolo). Milano e Torino si presentano come le province caratterizzate nel complesso da una domanda di spettacoli musicali maggiormente “pervasiva” e in crescita. Anche a Roma - e in minor misura a Firenze - la musica occupa un posto di rilievo nella domanda generale di spettacolo, mentre Napoli sembra essere più una “città del teatro” e Bologna, come evidenziavano anche i dati precedenti, una città in crisi un po’ su tutti i fronti. Tab. 8 - Ingressi per spettacoli musicali, totale spettacoli dal vivo e totale spettacoli in alcune province e in Italia - Incidenze % anno 2007 e variazioni % 2007-2006 Peso % spett. musicali Variazione % 2007/2006 sul tot. spett. dal spett. vivo sul tot. spett. musicali tot. spett. dal vivo totale spett. Bologna 42,2 6,7 -7,6 -3,3 -1,2 Firenze 51,6 8,2 23,2 8,4 9,8 Milano 56,1 10,6 33,0 24,8 13,1 Napoli 37,8 5,6 13,5 8,5 12,4 Roma 50,0 9,6 10,6 8,3 7,8 Torino 61,0 9,3 30,4 15,4 8,6 Totale Italia 49,5 7,2 17,4 10,6 10,2 Fonte: SIAE – Ns. Elaborazioni La composizione della domanda di musica per generi dei milanesi non si discosta molto da quella relativa alla media degli italiani: le differenze più pronunciate riguardano il balletto (che un po’ a sorpresa ha un’incidenza maggiore a livello nazionale) e i concerti classici (relativamente più richiesti a Milano) (Tab. 9). Nel confronto tra le città emergono alcune differenze significative. In termini relativi, fiorentini e romani sembrano preferire di più la musica leggera, i napoletani la rivista musicale, i torinesi il balletto e la lirica (apprezzata anche dai fiorentini). I milanesi esprimono un certo maggior gradimento per la musica jazz, che occupa peraltro un peso assi contenuto nel sistema delle preferenze di tutti gli italiani. E’ interessante notare come la domanda di concerti di musica classica occupi, con la sola esclusione di Napoli, un’incidenza simile in tutte le città considerate (con una leggera preminenza di Milano), che come lascia intuire la stessa media nazionale appare caratterizzare maggiormente le aree del Centro-Nord (dove spicca il profilo un po’ più “serioso” di Torino). Tab. 9 - Ingressi per tipologia di spettacolo musicale nei principali comuni e in Italia – I° semestre 2007 - Composizione % Spettacolo Bologna Firenze Milano Napoli Roma Torino Italia Balletto 17,4 10,2 10,7 9,6 5,4 19,5 14,9 Concerto classico 24,1 25,4 27,5 16,3 26,1 24,0 21,3 Concerto jazz 1,2 0,3 3,4 0,8 2,6 0,2 2,8 Concerto musica leggera 38,9 41,8 37,9 13,7 41,6 28,6 36,7 Lirica 9,3 16,6 9,3 12,3 7,2 18,2 11,5 Rivista e commedia musicale 9,1 5,7 11,2 47,3 17,1 9,5 12,8 Totale Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: SIAE e Ns. elaborazioni Nella tabella 10 abbiamo infine messo a confronto, con riferimento agli anni 2006 e 2007 e alla sola provincia di Milano, i dati della domanda di musica dal vivo con quelli dell’offerta (misurata dal numero degli spettacoli), al fine di cogliere l’esistenza di eventuali “gap”. 39 Sotto il profilo della composizione per generi, la musica classica presenta il maggior grado di convergenza tra domanda e offerta (che detengono pesi sostanzialmente equivalenti), mentre la forbice più netta si evidenza nel jazz (dove l’incidenza degli spettacoli supera di gran lunga quella degli ingressi). Un relativo eccesso di offerta caratterizza anche gli spettacoli di balletto, mentre lirica, rivista musicale e concerti di musica leggera presentano, al contrario, un eccesso di domanda più o meno accentuato. Ovviamente tali confronti vanno “presi con le pinze” dal momento che ai diversi generi musicali corrispondono logiche culturali, operative e organizzative tra loro assai differenziate, mentre, sul lato della domanda, sono soggetti alla continua variabilità delle preferenze (che può risultare anche notevole da un anno all’altro). Nel 2007 il numero di ingressi per singolo spettacolo raggiunge il valore massimo nella musica lirica (1061), seguita dal musical (772) e dal concerto di musica leggera (755). Il raffronto tra la domanda e l’offerta di musica dal vivo appare forse più interessante se osservato in termini dinamici. Per tutti i generi considerati, con l’unica eccezione negativa della lirica, la domanda registra (tra il 2006 e il 2007) un tasso di crescita nettamente superiore a quello dell’offerta (che in un solo caso, il jazz, diminuisce). Colpisce l’esplosione della domanda di musica leggera (a fronte di un aumento contenuto dell’offerta) da imputarsi probabilmente al successo dei grandi eventi da “stadio” o di alcuni festival rock, che richiamano spesso folle ingenti di pubblico giovanile. Da evidenziare altresì il crescente gradimento degli spettacoli di musical. Tab. 10 - Spettacoli musicali e relativi ingressi per tipologia di spettacolo in Provincia di Milano. Anni 2006 e 2007 Variaz. % Spettacolo N. spettacoli N. ingressi Comp. % 2007 2007/2006 2006 2007 2006 2007 Spett. Ingressi Spett. Ingressi Balletto 758 759 269.691 328.367 15,9 11,9 0,1 21,8 Concerto classico 1.016 1.088 522.439 601.472 22,8 21,9 7,1 15,1 Concerto jazz 791 747 81.566 99.050 15,6 3,6 -5,6 21,4 Concerto e musica leggera 1.367 1.494 714.817 1.128.433 31,3 41,1 9,3 57,9 Lirica 204 215 231.950 228.104 4,5 8,3 5,4 -1,7 Riviste e commedie 471 245.093 363.588 9,9 13,2 37,3 48,3 musicali 343 Totale 4.479 4.774 2.065.356 2.747.014 100,0 100,0 6,6 33,0 Fonte: SIAE e Ns. elaborazioni Nel 2007 sembra emergere, nel complesso, una certa carenza di offerta di spettacoli di musica dal vivo a fronte di una domanda “esuberante”. Ma in questo campo la domanda è talmente mutevole e così eterogenea da non potersi escludere un ribaltamento di tendenza nel 2008. Essa interagisce poi con le altre domande “concorrenti” del variegato sistema del tempo libero, che possono influenzare la composizione del “paniere” dei consumi culturali degli individui, determinando variazioni, anche repentine (in aumento o in diminuzione), ora in una voce ora in un altra, compresa ovviamente la voce musica. Come si è precisato all’inizio, i dati SIAE quantificano il volume della domanda ma non la numerosità dei soggetti, che (dai dati Istat) appare sostanzialmente stabile nel tempo. L’aumento degli ingressi 2007 – particolarmente elevato a Milano – potrebbe essere imputato al manifestarsi di una domanda nuova aggiuntiva, ma anche (come sembra più probabile) alla maggiore reattività o “performance”, magari temporanea, della domanda esistente. In realtà, l’ampiezza della domanda di spettacoli musicali (ossia “ in quanti” vanno ai concerti) non sta tanto in relazione con le caratteristiche (compresi i costi) dell’offerta quanto con una serie di altre determinanti strutturali – quali, in primo luogo, il livello di istruzione generale e di cultura musicale diffusa - che nella situazione italiana giocano un ruolo decisamente frenante. 40 3. 2. L’offerta: eventi, festival e luoghi Nel paragrafo precedente abbiamo già avuto modo di esaminare i dati dell’offerta relativi agli anni 2006 e 2007. L’andamento di più lungo periodo (2000-2004) evidenza una crescita costante, priva delle più spiccate oscillazioni della domanda e che - dopo il forte aumento del 2001 - tende sostanzialmente a stabilizzarsi. Tab. 11 - Numero di spettacoli musicali nel Comune di Milano e in Italia - Anni 2000-2004 2000 2001 2002 2003 2004 MILANO N. spett. musicali 4.183 4.966 5.461 5.961 6.057 Inc. % su totale spett. dal vivo 39,8 43,0 44,6 46,5 47,3 ITALIA N. spett. musicali Inc. % su totale spett. dal vivo 45.673 60.155 79.548 91.185 99.179 36,6 40,3 46,9 49,3 51,8 Fonte: SIAE e Ns. elaborazioni Con lo scopo di arricchire la conoscenza dell’offerta milanese di spettacoli musicali, MeglioMilano ha condotto una propria mappatura sulla programmazione cittadina le cui risultanze vengono presentate al punto successivo. 3.2.1. I risultati di una rilevazione diretta Nei mesi di Febbraio e Giugno del 2008 abbiamo “monitorato” giorno per giorno tutti gli eventi musicali milanesi (indifferentemente se a pagamento o gratuiti) segnalati nella cronaca locale di alcuni quotidiani.23 Da questa ricognizione puntuale emerge un quadro dell’offerta che – seppure limitatamente a soli due mesi – si può ritenere più preciso di quello contenuto nei rapporti della SIAE (che considera per lo più i soli spettacoli a pagamento e per i quali c’è comunque un biglietto). Osservando i dati della tabella 12, colpisce, in primo luogo, l’elevato numero di eventi musicali svoltisi nei due mesi considerati: ben 682 a Febbraio e 560 a Giugno (che risente in particolare della chiusura estiva del “cartellone” del musical, oltre che di altre contrazioni stagionali), per una media giornaliera rispettivamente di 23,5 e 18,7 spettacoli. Se si sommano i due mesi si ottiene un valore pari al 54% di quello rilevato dalla SIAE per l’intero primo semestre del 2007 (e addirittura superiore considerando la sola musica leggera), il che significa che l’offerta da noi rilevata è teoricamente quasi doppia rispetto a quella SIAE. Confronto non certo corretto sul piano metodologico, ma utile a dare un’idea dell’ampiezza dell’offerta reale, che viene solo in parte intercettata dalle statistiche ufficiali (specie con riguardo alla musica pop). E alla quale corrisponde ovviamente una domanda aggiuntiva, che però non siamo in grado di quantificare. La seconda sorpresa è che, appunto, Febbraio (con un giorno in meno) è un mese molto più “musicale” di Giugno, forse perchè con l’arrivo dell’estate la città inizia a svuotarsi e anche la musica tende ad andare in vacanza. La bella stagione non sembra nemmeno invogliare i concerti rock (il cui numero anzi diminuisce, ma forse qui il conteggio di Giugno è stato in parte penalizzato dalla presenza di alcuni festival-contenitori). 23 Il Corriere della Sera (compreso il supplemento settimanale Vivimilano), La Repubblica, Il Manifesto. 41 Tab.12 - Spettacoli musicali per tipologia rilevati nel Comune di Milano nei mesi di Febbraio e Giugno 2008 - Valori assoluti e incidenza % Febbraio Giugno N. % N. % Balletti classico 10 1,5 Barocco/antico 27 4,0 26 4,6 Classica 102 15,0 84 15,0 Contemporanea 14 2,1 16 2,9 Lirica 31 4,5 17 3,0 Jazz 75 11,0 73 13,0 Multigenere* 23 3,4 33 5,9 Musical 88 12,9 7 1,3 Pop/rock 260 38,1 242 43,2 Tradizionale** 39 5,7 35 6,3 Altre 13 1,9 27 4,8 Totale 682 100,0 560 100,0 Fonte: rilevazione MeglioMilano * spettacoli dove la musica si unisce ad altra espressioni artistiche (teatro, danza, poesia, immagini) ** comprende: blues, country, etnica, folk Nel passaggio fra i due mesi la composizione dell’offerta – al di là degli effetti indotti dai cali stagionali fisiologici (classica, lirica e soprattutto musical) - rimane sostanzialmente immutata nell’ambito della musiche “colte”, mentre registra alcune differenze significative per gli altri generi (jazz, musica “tradizionale” e “multigenere” vedono crescere il loro peso nell’offerta di giugno). Spiccano in ogni caso (a febbraio) i quasi 90 spettacoli di musical, un genere (terzo dopo pop e classica) che registra peraltro, come si è visto analizzando la domanda, l’apprezzamento crescente da parte del pubblico milanese. Non sorprende invece la scarsa offerta di concerti di musica contemporanea, da sempre considerata una musica di nicchia. La contemporaneità e la sperimentazione sono peraltro in buona parte presenti in quelle che abbiamo chiamato “musiche multigenere”, alcune delle quali derivano dall’ibridazione della musica con altre discipline artistiche (il teatro, la danza, le arti marziali, la poesia, a volte l’immagine). Due esempi per tutti: lo spettacolo “I La Galigo” per la regia di Robert Wilson (rappresentato in febbraio al Teatro degli Arcimboldi) e la rassegna “La Giostra dell’Apocalisse” (svoltasi nel mese di giugno), che ha visto tra gli altri anche il coinvolgimento dell’ensemble milanese di musica contemporanea Sentieri Selvaggi. Se queste “performance” rappresentano la “frontiera” dell’odierna innovazione musicale (o artistico-musicale), Milano sembra dare qualche segnale incoraggiante. Poca musica contemporanea a fronte di una musica classica che privilegia nettamente i compositori più “amati” dal pubblico. A titolo di mera curiosità, nel corto mese di febbraio Mozart è stato eseguito 32 volte, Beethoven 23, Bach 20, Brahms, Schuman e Chopin 15 a testa e via via, sempre più nettamente distaccati, tutti gli altri (in verità non moltissimi) sino ai “poveri” Sibellius, Britten e Schoemberg con una sola esecuzione. Sembra affacciarsi qui, anche nel caso della musica colta, quel meccanismo di ascolto abitudinario che Adorno considerava una caratteristica della musica popular o di massa, in base al quale è “sufficiente ripetere qualcosa sino a che questo diventi riconoscibile per farlo accettare”. 24 Un’amante della musica pop rock può scegliere a Milano tra una decina di eventi giornalieri di vario tipo e genere, che si raddoppiano durante i fine settimana. E’ la città musicale diffusa dei locali notturni, dei pub, dei circoli, dei centri sociali, dei parchi cittadini e delle cascine in 24 Theodor W. Adorno, Sulla Popular music, Roma, Armando, 2004, p. 95. 42 primavera-estate, qualche volta - per i nomi “di grido” – dei teatri e dei Palasharp. Una città dei giovani che raramente si mescola a quella degli adulti e anziani, spettatori pressoché esclusivi dei concerti di musica classica. Una città amata-odiata da una miriade di gruppi amatoriali e di band emergenti alla ricerca continua di luoghi in cui esibirsi e trovare un pubblico che presti loro attenzione. Una città di ascolti e non ascolti, di sussurri e grida, una sorta di grande ed eterogeneo “sound system” urbano. E’ la Milano capitale del rock, che fa città della musica esattamente come (se non di più) la fanno il Teatro alla Scala e le altre grandi istituzioni musicali cittadine. Chi invece ama il jazz trova a Milano un’offerta attenta e spesso di qualità, anche se sembra mancare qualcosa capace di condensare questa offerta (la più ampia in Italia, insieme a Roma) in una immagine “forte” di città del jazz. Un’ultima notazione riguarda la musica cosiddetta “tradizionale” (un insieme eterogeneo di blues, gospel, country, folk, world music) nel cui ambito occupano uno spazio ancora modesto le espressioni musicali discendenti dalla società multietnica e multiculturale: l’Orchestra di Via Padova, la Banda del Villaggio Solidale (il gruppo rom nato alla Casa della Carità), qualcosa a Cascina Monluè, ed è praticamente tutto. La Milano delle oltre cento etnie diverse dovrebbe aprirsi di più alle “musiche del mondo”. 3.2.2. I festival Richard Wagner definiva il festival come “un momento particolare dove è possibile assistere a qualcosa di eccezionale”.25 Forse adesso non è più così, data la proliferazione degli eventi festivalieri e non costituendo più i festival le uniche occasioni in cui può accadere “qualcosa di eccezionale”. Ma Wagner aveva comunque ragione, perchè un “grande” festival continua a essere, ancora oggi, quello in cui si respira un certo clima culturale e si ha la sensazione di vivere un’esperienza unica. I festival giocano un ruolo essenziale nella vita degli artisti, ponendoli a contatto diretto con il pubblico e rappresentando spesso (in particolare per le formazioni non permanenti) la fonte determinate dei loro guadagni professionali. Essi assolvono a diverse altre e importanti funzioni: favoriscono l’emergere di nuovi talenti e nuovi pubblici, sono un laboratorio per l’innovazione (specie nel caso dei piccoli festival specializzati o di nicchia), coinvolgono e valorizzano i luoghi in cui si svolgono, generano significativi indotti economici nel territorio. Esistono quindi molteplici ragioni affinché i festival – che quasi sempre devono fare i conti con la carenza delle risorse disponibili – costituiscano l’oggetto di specifiche attenzioni delle politiche di sviluppo locali. Durante il 2008 si sono svolti a Milano, secondo i nostri conteggi, 29 festival musicali. Si tratta per lo più di festival “tematici”, che possono durare uno o due giorni (essendo magari alla prima edizione) come snodarsi nell’arco di più mesi (è il caso di Milano Musica). Osservando la semplice lista dei festival musicali milanesi (per ciascuno dei quali viene riportato il genere, il numero di edizione e il periodo di svolgimento) emergono alcune evidenze. A incominciare dai vuoti e dai pieni. 25 Citazione ripresa dal sito www.italiafestival.it. 43 Denominazione Genere N° ediz. Cinque giornate per la nuova musica Bad Boy Rock Festival Polisuona Festival Cantiere Rebel Street Fest Rotten City Punk Festival Freego! Festival Mi Ami San Vittore Sing Sing Cultura Popolare Festival Festival Latino Americano Sud Sud Bloom Live Festival Milano Festival Barocco Pop Circus Festival Milano Flamenco Festival Milano Jazzin’ Festival La Notte di San Lorenzo Evolution Festival Festival degli anni ’60 East is West Reggae Radio Station Festival Mito Settembre Musica Live Across (Progetto Music Across) Rock of Age Fest Trock! Festival Festival Milano Musica Milano Guitar Festival Ah-Um Jazz Festival Sabaoth Music Festival Contemporanea 4 Rock 1 Rock 10 Rock 1 Rock 1 Rock 1 Rock 4 Rock 4 Tradizionale 2 Latinoamericana 18 Tradizionale 6 Rock 4 Classica 3 Rock 1 Tradizionale 1 Jazz/rock/blues 7 Worldmusic 21 Rock 4 Rock 1 Rock 4 Rock 1 Classica/Altri gen. 2 Rock 1 Rock 1 Rock 3 Contemporanea 17 Rock 2 Jazz 7 Tradizionale 5 Periodo 18-22 marzo 3 aprile 15-17 aggio 16-18 maggio 17 maggio 23-24 maggio 6-8 giugno 16 e 20 giugno 18-19 giugno 18 giu-18 ago 20-21 giugno 27-28 giugno 30 giu-5 lug 5 luglio 7-9 luglio 7 lug-7 ago 8-12 luglio 11-12 luglio 14 luglio 15-16 luglio 30 agosto 1-25 settembre 12-14 settembre 13 settembre 22-23 settembre 28 sett-8 nov 8-9-11 novembre 13-16 novembre 15 novembre Ai periodi vuoti (autunno e inverno) si contrappongo quelli pieni: ben 19 festival su 29 si svolgono tra l’inizio di giugno e la fine di settembre (in pratica, considerando la rarefazione agostiana, nell’arco di tre mesi). Può essere che in estate i festival surroghino il calo dell’offerta conseguente all’esaurirsi della programmazione normale (chiusura dei locali per il rock e dei “cartelloni” per la classica e il musical), ma resta il fatto che a Milano tra dicembre e febbraio non si tenga nessun festival e che tra novembre e aprile (cioè in sei mesi) se ne tengano solo cinque (più la coda di Milano Musica iniziato a settembre), di cui uno a cadenza biennale (il Sabaoth, festival di musica cristiana organizzato dalla Chiesa Evangelica), per una durata complessiva di una decina di giorni. Soltanto tre sono i festival che potremmo definire “storici” (La Notte di San Lorenzo, il più longevo di tutti, il Festival Latinoamericano e il Festival Milano Musica), mentre diversi appaiono in fase di stabilizzazione o di consolidamento (in particolare il Polisuona, festival delle band studentesche sorto in ambito Politecnico, unico caso di festival musicale universitario in una città – lo notiamo tra parentesi – che di università ne conta dieci). La maggior parte dei festival è quindi di recente costituzione (tra questi lo stesso Mito, che però ha tutta l’aria di essere nato per durare) e in dieci casi alla prima edizione (alla quale potrebbe non seguire la seconda: evento non certo raro). Infine i vuoti e i pieni dei diversi generi, dove il “rock“(termine puramente allusivo in quanto da tempo non identifica più nessun genere musicale) la fa decisamente da padrone, con almeno un festival di grande seguito e notorietà come quello di MiAmi (nonostante sia soltanto alla quarta 44 edizione), le iniziative di alcuni centri sociali (Torchiera, Leoncavallo, Cantiere), e così via, sino a un progetto emergente di grande interesse come Live Across (che esplora le nuove tendenze del panorama musicale europeo rivolgendosi ai talenti giovanili)26. Di particolare significato è il Festival San Vittore Sing Sing, che porta la musica rock nei luoghi di reclusione (i carceri di San Vittore e Bollate, l’istituto penale minorile Beccaria) e al quale partecipano anche gruppi nati all’interno di questi spazi. La musica “seria” conta quattro festival, ben distribuiti nel tempo, due dei quali dedicati alla musica contemporanea (che detiene invece una posizione di nicchia nella programmazione normale). Pochi o tanti che possano sembrare, qui la grande novità è costituita da MITO SettembreMusica – festival internazionale tra Milano e Torino aperto anche ad altri generi musicali (jazz, rock, tradizionale). Al di là del successo di pubblico registrato sin dalla sua prima edizione del 2007, l’aspetto forse più positivo di MITO è quello di aver generato, almeno in certa misura, una domanda “nuova” di musica, centrando quindi un obiettivo di fondamentale importanza per la vita e la durata di un festival.27 Musica jazz e musica interculturale o etnica sono invece poco presenti nell’offerta festivaliera milanese. Nonostante la sua denominazione, Milano Jazzin’Festival (che si svolge all’Arena Civica) è solo in parte - anche se si tratta di una parte di alto livello – un festival di musica jazz, mentre Ah - Um Jazz Festival (organizzato dall’Associazione Collettivo-Jam e attento soprattutto alla realtà del jazz italiano) costituisce di certo una rassegna dagli elevati contenuti culturali e musicali, ma che conta un numero di concerti relativamente limitato. Per un città che voglia tornare ad annoverarsi tra le capitali europee della musica jazz – come Milano è stata un tempo – sembra necessario fare qualcosa di più, ossia elaborare un progetto, non necessariamente per nuovi festival, che sia all’altezza di questa ambizione. Una considerazione analoga può valere anche per le “musiche del mondo”, che trovano alla Cascina Monluè (in particolare con la “valorosa e resistente” Notte di San Lorenzo) uno dei pochi momenti di rappresentazione cittadina. Se solo si dà uno sguardo a quello che succede in giro nel mondo (ma anche nella stessa Italia) si percepisce come a Milano – città interculturale e interreligiosa, dove si affacciano ormai i giovani musicisti della “generazione 2” figli degli immigrati - la scena delle musiche meticcie o di quelle derivanti dalle diverse tradizioni religiose sia ancora in parte da costruire. A quest’ultimo proposito si pensi all’enorme significato che potrebbe avere per Milano in coerenza con la sua storia antica e presente e andando al di là di alcune pur pregevoli iniziative28 - l’organizzazione di un grande festival dedicato, un po’ come succede a Fés da 14 anni, alle “musiche sacre del mondo”. Ah come sarebbe bello ed emozionante poter ascoltare, in qualche luogo della città (magari in una chiesa), l’ensemble Al Kindi che esegue il “Stabat Mater Dolorosa”, omaggio cristiano e musulmano a Maria, insieme alla musica sufi di Faiz Ali Faiz, ai canti sefarditi dell’ensemble belga La Roza Enflorese29. Come succede appunto a Fés. 26 Live Across è all’interno del progetto interdisciplinare Music Across, promosso dalla Regione Lombardia, che si presenta come un progetto nato per “favorire la produzione e distribuzione di nuove opere musicali al di là delle barriere di genere tra musica colta e musica popolare, attraverso lo scambio e la contaminazione con l’arte figurativa, il cinema, la narrativa”. 27 Cfr. Centro di Ricerca ASK Università Bocconi, L’impatto del Festival MITO SettembreMusica a Milano, SkiraEgea, 2008. 28 Come ad esempio la rassegna “La Musica dei cieli – Voci e musiche delle religioni del mondo” promossa dalla Provincia , che peraltro interessa marginalmente Milano città. 29 In questa direzione sembra andare anche un’idea coltivata da Riccardo Chailly: “Per esempio, ho pensato a un festival di musica sacra ecumenica, un festival in grado di abbracciare attraverso la musica tutte le religioni” (ripreso dalla rivista Dialoghi Internazionali – Città del mondo, n. 4, Bruno Mondatori, 2007, p. 68). 45 Oltre ai Festival a Milano si svolgono numerose rassegne (e non sempre è chiara la differenza tra una rassegna e un festival). La musica entra in rassegne interdisciplinari prestigiose (Suoni e Visioni, La Milanesiana), va per abbazie, basiliche e chiese (Le Voci della città, Milano Arte Musica, Musica per le Abbazie, Musica e Poesia a San Maurizio), risuona nei parchi (Il Ritmo della città, Idroscalo in Festa), nelle ville (Notturni in villa), nei cortili (I Concerti di Palazzo Marino), scorre lungo i Navigli (Classica e Lirica tra i Navigli), sale sul bus con le band giovanili (a bordo di Ecobus Life Gate, talenti per natura), fa festa il 21 giugno per la Festa europea della Musica. Forse ancora più rassegne che festival, alla fine. Forse anche troppo di troppo, che delimita dei pieni, e poco di poco, che delimita delle assenze (magari importanti). Chissà se a Milano si è mai ragionato pubblicamente del ruolo, delle caratteristiche e dei cambiamenti del “sistema festival”, ossia intorno a fatti collettivi che costituiscono un aspetto rilevante della politica culturale, richiedono e assorbono risorse economiche pubbliche e private in certi casi ingenti, dispiegano energie intellettuali e organizzative, pongono problemi di valutazione, impattano in vario modo sulla vita della città e nei suoi spazi. E che sembrano oggi evolvere verso nuove forme e nuovi significati. Eventi pubblici in cerca di un’agenda pubblica? Forse no se si pensa che Milano, con la sua offerta ricca e diversificata, sia tutto un festival dall’inizio alla fine dell’anno. Ma allora perché farli, i festival? 3.2.3. I luoghi della musica Nei due mesi di Febbraio e Giugno del 2008 si sono svolti complessivamente a Milano 1.242 eventi musicali che hanno interessato 240 luoghi diversi. Una “marea” di musica in una apparente “marea” di luoghi. Apparente perché il 61% dell’intera offerta si concentra in soli 32 luoghi con 10 e più eventi musicali nei due mesi. Se si considerano gli 11 luoghi (il 5% del totale) a più elevata intensità musicale – con 30 e più eventi, di cui si riporta qui di seguito, a titolo di curiosità, la relativa “graduatoria” – il tasso di concentrazione si riduce al 33%, rimanendo comunque elevatissimo. Luogo Teatro alla Scala Conservatorio Scimmie Blue Note Le Trottoir Auditorium Magnolia Teatro Ventaglio/Smeraldo Nidaba Theatre Salumeria della musica Forum Assago Numero Eventi 52 45 41 39 36 35 34 33 32 31 30 La polarizzazione spaziale dell’offerta risulta ancora più evidente osservando i dati della tabella 13: i luoghi con un solo evento rappresentano quasi il 41% ma assorbono appena l’8% del totale degli eventi relativi ai due mesi considerati, mentre quelli con più di 20 eventi sono soltanto il 7,5% ma concentrano ben il 45% dell’offerta complessiva. 46 Tab. 13 - Eventi musicali svoltisi a Milano per i mesi di Febbraio e Giugno 2008 in base alla classe di eventi - Valori assoluti e %. Classe di eventi 1 evento 2 - 4 eventi 5 -10 eventi 11 - 20 eventi oltre 20 eventi Totale Valori assoluti Valori % N. luoghi N. eventi N. luoghi N. eventi 98 98 40,8 7,9 86 234 35,8 18,8 28 199 11,7 16,0 10 151 4,2 12,2 18 560 7,5 45,1 240 1242 100,0 100,0 Fonte: rilevazione MeglioMilano Se diamo un “volto” ai luoghi della musica, vediamo come teatri, auditorium e conservatorio, club e locali, associazioni e centri sociali costituiscano gli spazi di gran lunga privilegiati dall’offerta di spettacoli musicali (essi rappresentano nel loro insieme il 60% di tutti i luoghi e concentrano il 74% di tutti gli eventi). Università e Musei si pongono in assoluto come i luoghi meno utilizzati, mentre quelli religiosi accolgono una quantità significativa di eventi, più delle ville e dei palazzi “laici”. Gli spazi pubblici all’aperto (piazze, strade, parchi e giardini) appaiono relativamente sottoutilizzati. Tab. 14 - Eventi musicali svoltisi a Milano nei mesi di Febbraio e Giugno 2008 per tipologia di luogo - Valori assoluti e % Tipologia luogo Teatri Auditorium e Conservatorio Club e locali Circoli, ass., centri sociali Grandi spazi (stadio, Palasharp, ecc) Ville, palazzi Chiese e basiliche Università Musei Piazze, gallerie, strade Parchi, cascine, giardini Altri (librerie, radio, ist. assistenziali) Totale Valori assoluti Valori % N. luoghi N. eventi N. luoghi N. eventi 29 239 12,1 19,3 2 80 0,8 6,5 55 371 22,9 29,9 56 230 23,3 18,6 5 67 2,1 5,4 11 40 4,6 3,2 21 53 8,8 4,3 7 13 2,9 1,0 3 4 1,2 0,3 19 60 7,9 4,8 15 50 6,3 4,0 17 33 7,1 2,7 240 1242 100 100 Fonte: rilevazione MeglioMilano A Milano gli spettacoli di musica dal vivo tendono sì ad uscire dai luoghi deputati, ma fino ad un certo punto. Alcuni spazi-simbolo della cultura cittadina – come il sistema universitario e quello museale – appaiono piuttosto refrattari ad ospitare eventi musicali. Nella città della musica e della cultura questo è un fatto in qualche modo sorprendente. Al di là della sua fibrillazione policentrica, la musica vive per lo più nei suoi spazi “storici”, quelli che conosce e frequenta da sempre, e dai quali ogni tanto “scappa”. E magari è giusto che sia così. Ad ogni tipologia di spazio corrisponde poi, solitamente, un solo genere musicale, essendo poco frequenti i casi di “contaminazione”: il jazz si suona sempre negli stessi luoghi, così la classica, così 47 il pop, così la lirica, così i musical. Come se ogni luogo avesse il suo “target” e solo quello. Ci sono delle eccezioni, ma la regola è questa. Forse la città della musica dovrebbe provare a mescolare un po’ di più le molte carte musicali che può giocare. Non solo generi con generi, ma anche luoghi con generi e quindi luoghi con luoghi. In fondo un bel concerto rock alla Scala non farebbe male a nessuno. E una bella “sonata” del Quartetto d’Archi della Scala al Leoncavallo ancora di meno. Sarebbero due belle partite – a giocarle. 48 Mappe 49 50 Mappa 1 – Case discografiche, etichette, edizioni musicali, sale prova e studi di registrazione Case discografiche ed etichette Edizioni musicali Sale prova e studi di registrazione 51 Mappa 2 – Imprese di produzione e distribuzione di strumenti musicali Imprese 52 Mappa 3 – Associazioni e fondazioni attive nel settore musicale Associazioni Fondazioni 53 Mappa 4 – Scuole e istituzioni di formazione musicale Scuole e istituzioni 54 Mappa 5 – Locali di musica dal vivo Locali 55 Mappa 6 – Luoghi degli eventi musicali svoltisi a Milano nel febbraio e giugno 2008 Classi di evento 1 evento Da 2 a 4 eventi Da 5 a 10 eventi Da 11 a 20 eventi Più di 20 eventi 56 Parte seconda –La città della musica si racconta 57 Hanno raccontato la città della musica: Davide Anzaghi, compositore, presidente di Novurgìa; Gianni Bombaci, presidente Associazione Secondo Maggio; Alfio Bosatra, direttore Orchestra dell’Università degli Studi di Milano; Daniele Bubboli, direttore artistico della stagione di opera e operetta del Centro Culturale Artistico Rosetum; Eugenia Buzzetti, Accademia Internazionale della Musica; Alfredo Cappello, label manager Ammonia Records; Centro Sociale Barrio’s; Aurelio Citelli, musicista e fondatore del gruppo Barabàn; Francesca Colombo, segretario generale di MITO SettembreMusica; Luigi Corbani, direttore generale Fondazione Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi; Franco D’Andrea, musicista; Maurizio Deho’, musicista, fondatore di Rapsodjia Trio; Filippo Del Corno, compositore, coordinatore artistico di Sentieri Selvaggi; Maria Rosa Diaferia, docente Conservatorio G. Verdi di Milano; Franco Fabbri, docente universitario, saggista; Davide Facchini, giornalista musicale di Radio Popolare; Leonardo Fiori, architetto, presidente INU Lombardia; Claudio Formisano, vice presidente DISMAMUSICA; Maurizio Franco, Musica Oggi – Civici Corsi di Jazz; Matteo Galli, direttore artistico della rassegna “Le Voci della città”; Luca Garlaschelli, musicista, coordinatore della sezione lombarda del SIAM; Nicoletta Geron, responsabile Ufficio Stampa Quartetto per Milano; Luigi Grazioli, direttore artistico La Bottega Discantica; Jumpin’Jazz; Agostina Laterza, ex-responsabile della Biblioteca del Conservatorio di Milano; Massimo Latronico, direttore Orchestra di Via Padova; Tito Mangialajo, direttore artistico di Nord Est Cafè; Newmastering Studio; Emanuele Patti, presidente di Arci Milano; Carlo Peruchetti, direttore produzione artistica Fondazione I Pomeriggi Musicali; Marco Piccardi, curatore della rassegna “Suoni e Visioni”; Fiorano Rancati, direttore artistico del festival “La Notte di San Lorenzo”; Rugginenti Editore; Federico Sacchi, A&R e project manager Edizioni Curci; Lucia Sacco, insegnante di musica; Sana Records; Gianni Sibilla, docente universitario, giornalista musicale; Società dei Concerti; Luisa Vinci, direttore generale Accademia della Scala. A queste persone e organizzazioni si aggiungono un artista e un responsabile di un’associazione culturale di Milano che hanno richiesto il completo anonimato. A tutti va il riconoscimento di MeglioMilano. 58 4. Milano città della musica? Una città della musica è - in prima approssimazione - una città caratterizzata da quattro aspetti salienti di fondo: un' offerta di eventi, un tessuto di attori, un insieme di luoghi e di pubblici. Come abbiamo visto diffusamente nella prima parte della ricerca, Milano presenta, ad un livello elevato, tutte queste condizioni, potendo quindi essere detta "città della musica". Quando però abbiamo chiesto ai nostri testimoni privilegiati, di solito all'inizio dell'intervista, se Milano può essere definita o considerata una città della musica (e senza precisare che cosa intendessimo con questa espressione), le risposte sono state diverse: "Sì, assolutamente"; "no, assolutamente"; "sì, però". Ecco perchè il titolo di questo capitolo introduttivo alla “città raccontata” ha un punto interrogativo. Forse queste diverse percezioni rimandano ad una diversità di punti di vista sulla città in generale, di cui la città della musica è parte. Perchè non stiamo parlando di Salisburgo o di Vienna, città per così dire specializzate nella musica, ma di una "città di città" come Milano, dove la città della musica convive con le altre città (della moda-design, della scienza e dell'innovazione, dell'arte), tenendosi magari un po' defilata o essendo messa in ombra dal maggior "glamour" di sistemi più riconosciuti (come appunto quello della moda-design). La vera questione, in fondo, non è tanto se Milano sia o non sia una città della musica, ma se la cultura in senso lato costituisca (o possa costituire), in una realtà ormai ampiamente postindustriale, l'elemento cardine per la costruzione di un nuovo modello di sviluppo della città stessa. E dove il sistema musica - con tutta la sua particolare e costitutiva molteplicità di attori, di generi, di culture, di conoscenze, di luoghi, di connessioni, di memorie e di passioni - può giocare una funzione di "levatrice" della città della cultura. I "sì" e i "no" decisi, come i "sì, però" dubbiosi, sembrano quindi rinviare ad una più vasta domanda di città, oltre che di maggiore protagonismo della musica (come mostra con chiarezza lo stesso caso di MITO). Lo vedremo meglio affrontando le singole questioni, dove la città è costantemente implicata. Un'ultima riflessione prima di passare alle testimonianze dirette rilasciate dagli intervistati. Oggi Milano sembra attraversare un momento se non di rinascita almeno di "risveglio" musicale. Nonostante la crisi dei consumi e i difficili bilanci delle famiglie in tempi di avanzante recessione economica, la domanda di musica dal vivo tiene. Un grande e ancor giovane evento internazionale come MITO SettembreMusica ha portato nuova linfa. Seppure in un quadro di risorse scarse gli spazi di sperimentazione resistono o addirittura crescono. E dal 2009 Milano potrà di nuovo contare su un luogo storico della sua vita culturale e sociale: il Teatro Lirico, oggi dedicato alla memoria di Giorgio Gaber e attualmente in fase di restauro. Mentre la prospettiva Expo 2015 potrà stimolare e alimentare nuove progettualità. Ci sono quindi molte buone ragioni per prendere sul serio la città della musica, partendo dalle voci che la raccontano. Tra luci e ombre Francesca Colombo: “Milano ha veramente molto da offrire. Le istituzioni musicali presenti sono realtà attivissime, basti solo vedere il lavoro di coproduzioni internazionali fatto con la Scala, ma così le altre realtà, come i Pomeriggi Musicali, il dal Verme, la Società del Quartetto: insomma tutte le realtà istituzionali 59 che hanno una grande storia e un grande prestigio. Ci sono poi tantissime realtà, magari più piccole, a partire dalla musica antica sino alla musica contemporanea, che sono molto attive, molto curiose, che hanno contenuti”. Maurizio Franco: “I cittadini di Milano sono degli ottimi frequentatori di musica, di tutti i generi di musica. Non credo che si possa dire, anche se molti glielo diranno: ‘ah, qui nessuno fa niente, la città è fredda e poco accogliente’, ma non è affatto vero. Milano è una città ricettiva, ci sono rassegne stabili, il Comune sostiene sia la parte della produzione, sia quella della formazione musicale e organizza anche cose in proprio... È però una città discreta, dove non sbandieriamo le nostre realtà. Ce le teniamo per noi”. Alfio Bosatra: “Secondo me Milano è la città della musica in Italia, non c’è nessun dubbio sotto questo aspetto. Lo è non tanto però perché questo le sia riconosciuto istituzionalmente, o perché ci sia una percezione collettiva, non dico nazionale ma neppure milanese. Lo è di fatto, perché a Milano c’è una presenza e una ricchezza di soggetti musicali che producono o organizzano musica, che neppure Roma – diciamolo pure perché poi il riferimento è quello, senza volere nulla togliere ad altri – che neppure Roma ha”. Gianni Sibilla: “Sicuramente la musica è una delle offerte culturali principali della città, ma a me sembra che a livello di riconoscimento istituzionale, a livello di visibilità, non sia forse la principale. Milano, secondo me, non tributa alla musica tutto quello che potrebbe tributare. La musica porta molta gente a Milano, porta concerti, porta eventi importanti di diversa natura però non credo che da parte delle istituzioni non strettamente musicali, delle istituzioni politiche, ci sia questo grandissimo riconoscimento”. Milano è dunque una città ricca di musica, potendo contare sulla presenza non solo di grandi e prestigiose istituzioni ma anche di una molteplicità di soggetti, spesso di piccola “taglia”, capaci di generare un’offerta musicale assai variegata e di qualità, nonché su di un pubblico attento e ricettivo. Eppure Milano – nelle sue istituzioni come nei suoi cittadini – non sembra avere una consapevolezza adeguata di questo suo patrimonio diffuso e di valore inestimabile che è la musica. Come se Milano faticasse a “riconoscersi”, sul piano della coscienza collettiva, città della musica in senso forte. Questa percezione ambivalente è forse riconducibile ad alcune “ombre” che sembrano gravare sulla città della musica: l’ombra di un passato recente giudicato più vivo, l’ombra globale del sistema moda e l’ombra “antica” della Scala. Tito Mangialajo: “Negli anni ‘50 e ‘60 Milano era molto attiva musicalmente su più fronti: sia sul fronte della musica classica, per la presenza della Scala, che sul fronte della musica più moderna, perché c’erano artisti come Bruno Maderna e la cerchia dei suoi pupilli. C’era un centro della Rai, c’era la musica leggera; il grande jazz era a Milano perché c’era il Lirico, c’erano locali come il Santa Tecla, il Capolinea, la Caverna Messicana e tutti i grandi musicisti internazionali passavano di qua… Secondo me è cambiato – premetto che sono un po’ prevenuto nei riguardi del fenomeno moda – ma il fenomeno moda ha preso il sopravvento su tutto il resto”. Carlo Peruchetti: “A Milano si fa tanta musica. Il dramma di Milano è la sopravvalutazione della Scala, non perchè la Scala non meriti di essere valutata come una struttura fondamentale, ma perchè l'attenzione della politica e quindi dei media è spostata in maniera esagerata sulla Scala. Questo porta le istituzioni a occuparsi soprattutto di questa struttura, dimenticando magari che tutto quello che ci sta intorno può essere utile anche alla buona riuscita dei programmi che fa la Scala”. Filippo Del Corno: “Attualmente Milano non è una città della musica, non è una città della musica per molte ragioni non ultima una ragione storica. Cioè a Milano esiste quello che è considerato il più grande teatro lirico d’Italia che è la Scala, nel contempo questa preminenza delle attività della Scala ha fatto sì che non nascesse attorno un autentico tessuto musicale nella città. Questa grande istituzione rischia di fare un’ombra 60 troppo ampia e troppo distruttiva rispetto al tessuto musicale di una città che dovrebbe essere appunto una città della musica”. Federico Sacchi: “Ormai a Milano è rimasta soltanto la presenza di grandi eventi, che però non fanno di Milano una città musicale perché sono cose importate da fuori e quindi restano fine a se stesse, non creano un sistema, un contesto di aggregazione attorno alla musica. Sotto questo punto di vista finora le amministrazioni non hanno aiutato perché i fondi sono stati utilizzati per lo sviluppo della moda, alla musica è stato dedicato veramente poco”. Milano città riconosciuta della moda e del design ma non della musica, se non per la Scala, anzi a causa della presenza troppo ingombrante della Scala, secondo un giudizio che accomuna diverse testimonianze e non solo quelle qui riportate. Ovviamente, il problema non è la Scala, ma lo sguardo “scalacentrico” della città quando si parla di musica. Certo, la Scala è un grande “brand” internazionale di Milano e un’istituzione simbolo agli occhi degli stessi milanesi e non solo (basti pensare all’intramontabile rito della “prima” che si ripete ogni anno), ma per fortuna la città della musica non è solo la Scala (e neanche soltanto un brand). L’altra ombra che si allunga sulla città della musica è quella della città della moda-design, che già sul finire del Novecento “scacciò” la prima dall’area Garibaldi-Repubblica, dove adesso si è insediata, un’area a quel tempo ambita, appunto, anche dalla città della musica. Di nuovo un marchio internazionale di Milano e uno sguardo centrico, in questo caso “modacentrico”, a spiazzare la città della musica. Anche il passato sembra proiettare un cono d’ombra sul presente. Il cosmopolitismo, la ricchezza e la vivacità della scena musicale milanese nei “gloriosi ‘60” vengono di frequente ricordati nelle interviste. Una sorta di “età dell’oro” della vita culturale della città, vissuta un po’ come una perdita venata di nostalgia. Guardare oltre la moda, oltre la Scala, oltre il passato. Oltre le ombre. Guardare cioè al tessuto musicale che nella città esiste e opera alla luce del sole, ogni giorno, ma che stenta a porsi come un tratto riconosciuto e propulsivo dell’identità moderna e proteiforme di Milano. Semmai a fare problema è l’ombra che non c’è, quella debole e impalpabile prodotta da un tessuto a maglie troppo larghe. Franco Fabbri: “A Milano c’è un grosso mercato della musica dal vivo e ci sono altri aspetti importanti, che riguardano per esempio la formazione - c’è il Conservatorio, ci sono comunque corsi universitari, c’è la Scuola Civica, ci sono molte scuole private, che riguardano sia la formazione musicale in senso stretto che la formazione di tecnici: dalla Scuola della Scala al CPM ad altre cose. Quindi, c’è molto movimento, da questo punto di vista. La mia personale impressione è che però tutto questo sia molto poco connesso, che sia un sistema molto “lasco”, diciamo così; per usare un’espressione molto di moda è un sistema che non fa sistema, che non è incoraggiato a fare sistema”. Ma avremo modo di tornare più diffusamente sulla questione del sistema musica milanese che non fa sistema, perché essa ricorre in gran parte delle interviste, confermando il detto in base al quale “la lingua batte dove il dente duole”. Raffronti internazionali I nostri protagonisti sono spesso in giro per il mondo, a far concerti, incidere dischi, tenere seminari o altre cose. E’ stato quindi per loro un fatto pressoché spontaneo confrontare, sulla base dell’ esperienza diretta, la situazione di Milano con quella di altre città europee. Vediamo qualche 61 esempio, iniziando da una piccola storia raccontataci da Filippo Del Corno, che fa un po’ sorridere, ma piuttosto istruttiva. “Io cito sempre un aneddoto che a me ha stupito, ma che risulta indicativo. Noi abbiamo un contratto discografico con una casa produttrice americana che ha sede a New York e che si chiama Cantaloupe. All’uscita del nostro primo disco da Cantaloupe mi mandano il comunicato stampa che diceva ‘a un centinaio di chilometri da Torino, la città della musica, c’è Milano, città della moda, ma è strano notare come anche nella città della moda ci siano fermenti musicali interessanti come Sentieri Selvaggi’. Al che io ho chiamato l’addetto stampa del Cantaloupe e ho detto ‘guardate che avete un po’ esagerato, è vero che Torino è una grande città dal punto di vista musicale ma definire Milano solo come la città che sta a 100 chilometri da Torino mi sembra un po’ riduttivo’. Così lui mi ha detto ‘sì, forse hai ragione, ma sai noi non siamo italiani, noi abbiamo fatto un esperimento: abbiamo digitato sui siti delle case editrici di musica contemporanea dove sono avvenute le prime assolute o le prime italiane dei nostri principali artisti di musica contemporanea, quindi dove sono state le prime internazionali di Steve Reich, Torino, dove sono state le prime di Louise Andriessen, Torino, Philippe Glass, Torino, il numero di risposte Torino era talmente sovrabbondante rispetto alle altre città che da questo c’è venuta l’intenzione di scrivere quella cosa là’. Quindi Milano è vissuta internazionalmente come città della Scala. Ma è un po’ poco, perché la musica non si esprime soltanto con l’opera lirica”. Ancora una volta il Teatro alla Scala e il sistema moda a “egemonizzare” l’immagine internazionale di Milano. Eppure, anche per la musica lirica e l’opera, ci sono nel mondo città che sembrano fare le cose davvero in grande. Come Seul. Daniele Ruboli: “Tutti hanno avuto dei pittori, poeti, scultori, architetti, musicisti di musica strumentale, ma soltanto l'Italia ha inventato questo ‘recitar cantando’, che poi diventa il melodramma e l'opera. Quindi è l'unica arte originale italiana. E l'Italia è uno dei paesi che la trascura maggiormente. Perchè, voglio dire, se noi riceviamo della gente che viene a studiare o a perfezionarsi in Italia da Seul vuol dire che a Seul fanno l'opera. E infatti a Seul hanno creato per l'opera un teatro che è il doppio della Scala, perchè tiene 5.000 posti. Io ho un amico, che è anche uno dei miei collaboratori, direttore di orchestra, eccetera, che quattro volte all'anno va a dirigere a Seul e lui è entusiasta, e dell'accoglienza e di come questa gente lavora”. Luisa Vinci: “Sicuramente siamo la città che ha il primo teatro d’opera al mondo ma non credo che all’estero ci vedano come la città della musica perché non abbiamo un’orchestra sinfonica stabile cittadina. La Verdi nasce come orchestra giovanile e grava in grossi problemi suoi, mentre l’orchestra del teatro non è un’orchestra sinfonica e comunque fa solo 9 concerti all’anno. Orchestra sinfonica stabile è quella di Torino, che fa 30 programmi all’anno moltiplicati per 2 sere sono almeno 60 concerti all’anno. Altri problemi che non fanno di Milano la città della musica a livello internazionale sono la carenza, a parte qualche episodio isolato, di una programmazione originale e dedicata al nuovo”. Lucia Sacco: “Ad Amsterdam, per esempio, ci sono, in tutte le università, orchestre di studenti universitari. A Milano c'è per caso l'orchestra Alessandro Crudele... Ma potrei citare anche la Spagna, un paese che sembrava dietro di noi, ma che in realtà dal punto di vista musicale è sempre stato più avanti, perchè anche ai tempi di Franco facevano musica sin dall'asilo, avevano comunque istituzioni musicali di prestigio. Adesso hanno orchestre - perchè hanno puntato molto sul turismo di qualità e sulla cultura - e ci sono tanti italiani che vanno a suonare in Spagna, vanno a fare delle audizioni e si fanno assumere da orchestre spagnole. Con tutto il rispetto per gli spagnoli, però è veramente triste...”. Una pur grande, e se vogliamo magnifica, “infrastruttura” come il Teatro alla Scala non costituisce una dotazione sufficiente a fare di Milano una città internazionale della Musica. La carenza di orchestre sinfoniche stabili – evidenziata anche da altri intervistati – non consente di approntare e realizzare una programmazione di musica colta paragonabile, per intensità e ampiezza, a quella che 62 si riscontra in altre capitali europee. Milano non costituisce quindi un’eccezione in un paese, come l’Italia, dove le “grandi” orchestre stabili sinfoniche si contano a stento sulle dita di una mano. In questo deficit sembra ancora avvertirsi il vuoto lasciato dalla chiusura dell’Orchestra Rai di Milano, sciolta nel 1994, e non del tutto colmato da un’Orchestra come La Verdi in perenne difficoltà. Inoltre, in quegli stessi anni, chiudeva i battenti un’altra orchestra stabile storica di Milano, l’Orchestra dell’Angelicum, dalla quale è nata, per iniziativa di alcuni suoi musicisti “fuoriusciti”, l’Orchestra Milano Classica, che di fatto rappresenta l’unico complesso stabile da camera presente in città. La Milano “sinfonica” di quindici anni or sono appariva quindi meglio attrezzata di quanto lo sia oggi. La stessa capacità di attrarre orchestre di valore internazionale non appare particolarmente elevata, sebbene con MITO le cose sembrino migliorare. Alfio Bosatra: “A Milano ci sono buone orchestre, anche il pubblico meriterebbe di ascoltare dal vivo qualcuna delle grandi orchestre a livello internazionale, non solo europeo, per esempio quelle del Nord America”. Il quadro tracciato dai nostri interlocutori appare assai diverso da quello emerso nella prima parte della ricerca dove avevamo individuato, tra orchestre e ensemble, oltre 20 formazioni di musica strumentale stabilmente attive a Milano. Ma questo tessuto locale sarebbe forse ancora più ricco se potesse contare su una più forte presenza delle grandi orchestre sinfoniche, le uniche in grado di garantire repertori ampi e diversificati. Non si tratta peraltro solo di un problema di quantità, perché un altro limite internazionale di Milano segnalato dagli intervistati è la sua scarsa propensione al nuovo, all’innovazione. Milano è conosciuta nel mondo per la moda ma non per la musica contemporanea, al punto che la presenza in città di un ensemble come Sentieri Selvaggi desta lo stupore degli americani. Strano che sia così per la “capitale mondiale” del design. Ma si tratta di un aspetto importante che vedremo meglio in seguito. Lo “status” di Milano città internazionale della musica – o meglio di una città paragonata ad altre città sul piano delle attività musicali - non si eleva di molto anche sul fronte della cosiddetta popular music. Gianni Sibilla: “Credo che comunque Milano stia abbastanza al passo delle principali città europee. Non è al livello di Londra, ma dopo Londra Milano sta lì. Penso ad esempio ai grandi gruppi musicali americani che quando vengono a fare la promozione in Europa vanno a Londra e poi a Milano. Le principali città di promozione in Europa sono Londra, Milano e Parigi, alla fin fine, anche se poi in realtà il mercato della musica italiano è molto più debole di quello francese o tedesco. Diciamo: Londra, Parigi, Berlino e poi Milano, comunque siamo lì”. Franco Fabbri: “Io vado spesso in Inghilterra - a Liverpool, a Newcastle. Ad esempio, a Newcastle c’è un meraviglioso auditorium progettato da Norman Foster e costruito da tre o quattro anni, che ha un programma molto ricco e vario. Ma al di là di questo, lo spazio è stato costruito mettendogli dentro un grande numero di piccole e grandi sale prova, che vengono utilizzate dagli studenti delle università e del conservatorio per fare qualsiasi musica. C’è ad esempio una scuola di musica folk dell’Inghilterra del nord, dove studiano le cornamuse e queste cose, che si trovano lì, e magari nello stesso giorno c’è nella sala grande l’orchestra sinfonica che sta provando Brahms”. Emanuele Patti: “In Inghilterra si può suonare ovunque. A Londra vai in un pub e in sette metri quadrati c’è un concerto e lo stesso avviene a Berlino. La musica non viene vista come un fastidio, come un rumore, ma 63 come un piacere. C’è proprio una cultura diversa. A Barcellona, in Andalusia e anche nella stessa Francia, in costa Azzurra. Un po’ di mesi fa sono stato a Nizza, c’era un festival dislocato su cento piazze”. Fiorano Rancati: “Se io penso a una manifestazione come quella di Musiche Urbane di Barcellona, che per scelta opera tutto l'anno, è fatta di interscambi tra la Spagna, la Germania, l'Inghilterra, ecc., frequentatissima dal pubblico giovanile che vuole fare musica e vedi invece quanto succede a Milano, vedi come sia possibile poi all'interno delle periferie di Barcellona che nascano gruppi musicali fortissimi e come qua invece non ci sia un equivalente. Allora, o gli spagnoli sono più intelligenti di noi o il contesto è un po' diverso”. Vista “tornando dall’estero”, la Milano della popular music appare quasi come una piccola città di provincia. E non tanto o non solo per la carenza degli spazi, ma sopratutto per quello che in questi spazi accade o non accade. Perché per fare e ascoltare buona musica può essere sufficiente anche un piccolissimo pub di sette metri quadrati. Certo, tutti (o quasi) i “tour” delle grandi star internazionali della musica rock fanno tappa (spesso unica per l’Italia) a Milano, che da questo punto di vista non appare molto diversa da Parigi, Londra o Berlino. E non c’è cantante italiano di una qualche fama che, all’uscita del suo nuovo album, non venga prima a presentarlo a Milano, cioè nella città del mercato. Si diceva spazi, che a Milano – tra locali, circoli, associazioni e strutture varie - non sembrerebbero mancare, dando forma a volte a delle vere e proprie “street” musicali (come succede esattamente nelle grandi città del mondo). In realtà, più che gli spazi sembrano mancare o essere deboli le relazioni intorno agli spazi e tra gli spazi. A Milano (come abbiamo visto nella prima sezione di questo Rapporto) ci sono molte sale prova, ma diverse sale prove messe in un contesto polifunzionale e attrattore come l’auditorium di Newcastle (e magari oggi anche di Roma) generano un effetto sociale, relazionale e culturale molto diverso e certamente più ricco e stimolante rispetto alla loro semplice localizzazione “atomistica” nel grande spazio della “città infinita”, dove al massimo possono enuclearsi dei “cluster” più o meno casuali. A Milano vivono duecentomila studenti universitari, ma le dieci università cittadine non funzionano, al di fuori di alcune rare occasioni, come spazi musicali a disposizione dei giovani (cosa invece abbastanza abituale nelle altre città universitarie europee). E oltre centomila immigrati, portatori di culture musicali altre, ma poi è solo un miracolo della Casa della Carità se si riesce a fare la banda di musicisti rom del Villaggio Solidale. Solo pochi esempi per dire come la questione degli spazi della musica sia in realtà più un problema di relazioni e interconnessioni, ossia una questione culturale o meglio ancora di politica culturale. Questa prima serie di testimonianze ha messo in evidenza alcuni punti di forza (forse non molti, ma che comunque esistono nella percezione diffusa) e altri di debolezza (di cui in realtà è sempre più facile parlare) sui quali avremo modo di ascoltare nuovi racconti e riflettere ulteriormente (toccando anche altri aspetti) nei paragrafi successivi. Tali racconti sembrano comunque dirci, nel loro insieme, una cosa di fondo: che una città è della musica nella misura in cui la musica è della città. Questo potrebbe dirsi anche delle diverse città che convivono a Milano (della moda-design, della conoscenza, dell’innovazione, dell’arte). Ma nessuna di queste ha il volto pervasivo della città della musica, che è ovunque, ogni giorno, e forse in misura persino eccessiva. E’ qui sembra stare la contraddizione: che la musica è nella città, ma non (ancora) della città. O, detto diversamente, che una città della musica è qualcosa di più di una città dove semplicemente si fa della musica. 64 5. Tra tradizione e innovazione In questo capitolo affronteremo il delicato aspetto dell’offerta musicale. Cercheremo di presentare, attraverso le parole dei nostri intervistati, le principali caratteristiche del “sistema musicale” milanese, evidenziandone i punti di forza come gli elementi ritenuti di maggiore criticità. Avendo condotto il nostro studio con esponenti di vari generi musicali - artisti, organizzatori d’eventi, promotori, responsabili di locali e strutture dedicate alla musica, formatori – desideriamo soffermarci, laddove possibile, anche sugli aspetti che contraddistinguono una particolare area musicale, in modo da evidenziare casi di eccellenza che possono essere ritenuti motivo di esempio per altri ambiti o situazioni più critiche. Proseguiremo il nostro discorso sull’offerta musicale con una riflessione sullo spazio dedicato alla sperimentazione e all’innovazione in questo ambito, nonché al mondo della musica etnica, intesa nella sua doppia accezione di musica popolare italiana e musica proveniente da culture estere. Infine, nel tentativo di restituire un quadro completo della realtà della musica a Milano, desideriamo concludere proponendo le riflessioni sull’aspetto speculare all’offerta musicale: la domanda, e quindi il pubblico, inteso nella sua accezione più ampia e generica, con attenzione alle particolari tipologie di audience. L’offerta musicale oggi Riguardo al mondo dell’offerta musicale sul territorio di Milano, è stato nostro interesse indagare sia gli aspetti qualitativi che quelli quantitativi, con l’obiettivo di cogliere tanto il valore riconosciuto e attribuito all’offerta musicale in termini di qualità, quanto la sua ricchezza e varietà. Abbiamo quindi posto ai nostri intervistati la questione attraverso delle domande aperte lasciando loro la possibilità di dare una valutazione libera di entrambi gli aspetti e di soffermarsi sulle dimensioni che ritenevano più significative. Ne è emerso quasi all’unanimità che Milano possiede un’ampia e ricca offerta musicale entro la quale spaziano molti generi, per non dire tutti. Alfredo Cappello:“ Milano è assolutamente multigenere nel senso che c’è di tutto. È multietnica e multigenere. Anche perché l’offerta della musica dal vivo è di tutti i generi, soprattutto a livello internazionale”. Questa notevole quantità di offerta musicale presenta tre aspetti salienti. È in primo luogo “concentrata” su particolari tipi di prodotti musicali o è proposta da artisti molto noti, senza lasciare spazio per proposte alternative, nuove, sia in termini di contenuti che di professionisti coinvolti aspetto interessante che riguarda soprattutto la visibilità dell’offerta. In secondo luogo – e avremo modo di approfondirlo nel capitolo 8 – la ricchezza dell’offerta incide significativamente sulla capacità di potere comunicare gli eventi, sulla gestione degli spazi, in generale sulla pianificazione dell’informazione inerente il mondo della musica a Milano, tanto da indurre alcuni intervistati a supporre che i cittadini milanesi siano spesso poco informati e non partecipino agli eventi per l’impossibilità di potere seguire più performance contemporaneamente. 65 Maria Rosa Diaferia: “L'offerta musicale milanese non è molto coordinata, ogni istituzione ha il suo calendario e va un po' per la sua strada. Il livello è mediamente alto, con dei picchi altissimi. Quello che secondo me è il difetto fondamentale di questa attività è la possibilità di fruirne”. Infine, l’offerta musicale è “poco organizzata”. La comunicazione, infatti, è strettamente legata al terzo aspetto, quello della pianificazione degli eventi stessi e della loro eventuale sovrapposizione. L’assenza di un vero e proprio sistema della musica, di un piano di coordinamento dell’offerta, incide sulla gestione del tempo e, come dicevamo, sulla partecipazione del pubblico. Filippo Del Corno: “Dal punto di vista quantitativo l’offerta è a volte sovradimensionata rispetto alla domanda. Ci sono troppe occasioni di musica rispetto all’effettiva domanda del pubblico. Ma non è tanto un problema del settore musicale ma del comparto culturale della città. Milano è una città che vive di una ribollente attività creativa che si esprime nel teatro, nell’arte, nella musica, nella moda, nel design, nell’arte visiva, nella letteratura e questo fa sì che si verifichi una sorta di moltiplicazione di tante proposte, troppe per essere poi estremamente dispersive – nel mondo della musica manca clamorosamente il sistema nelle altre arti forse un po’ meno – e alla fine in un certo senso l’offerta si disperde in mille rivoli… Ci capita il più delle volte di trovarci a parlare con delle persone che hanno un alto livello di consumi culturali e c’è una prima parte della serata in cui circola la litania ‘ah, Milano è una città culturalmente morta, perché non c’è niente a Milano’; e una seconda parte in cui scopri che è impossibile accordarsi per fare qualcosa insieme perché se stai dietro a tutto ciò che offre la città diventa complicato incontrarsi”. Il giudizio sulla qualità dell’offerta è quasi unanime e globalmente positivo. La maggior parte degli intervistati ritiene che l’offerta di musica dal vivo sul territorio milanese non sia solo ampia, ma anche di notevole valore qualitativo. Entrando poi nel merito di ciascuna realtà musicale, dunque di ciascun genere, sono emerse alcune differenze. La qualità dell’offerta è attribuibile all’indiscutibile talento dei musicisti che si formano e che si esibiscono a Milano. Come avremo modo di approfondire meglio nel capitolo dedicato al rapporto tra musica e formazione, la città può infatti vantare una tradizione molto consolidata di scuole e conservatori di altissimo livello che si distinguono tanto in Italia quanto nel mondo. Non mancano presenze internazionali sia all’interno dei corsi, che nella rosa di artisti che desiderano esibirsi nei nostri teatri cittadini, primo fra tutti il Teatro alla Scala. Se questo discorso sulla formazione dei musicisti è particolarmente calzante per alcuni generi – come la musica classica, la contemporanea e il jazz – diverso è il giudizio espresso per la musica rock e altri generi minori, per i quali spesso la mancanza di spazi adeguati per le prove e le basse retribuzioni riservate a chi si esibisce dal vivo nei locali, impediscono di puntare in alto nella qualità. Questo incide sulla qualità del prodotto offerto al pubblico e di conseguenza sul livello di chi può permettersi di esibirsi, in genere amatori della musica che la praticano come seconda attività o come hobby. Luca Garlaschelli: “Aveva detto il mio maestro una volta e sottoscrivo: ‘questo paese è da anni che sta cercando di uccidere questo tipo di lavoro’. E ci sta riuscendo. Tanto è vero che ormai la maggior parte dei ragazzi, delle persone che dicono di fare questo lavoro si riducono ad essere dei dopolavoristi. Fanno un altro mestiere, compreso l'insegnamento. La verità è che se tu vuoi eccellere in un campo come quello della musica devi studiare sempre. E se tu la mattina fai il panettiere e la sera vai a suonare, potrai fare dei repertori semplici ma nulla di più. Anche in questo diventeremo il fanalino di coda dell'Europa”. La qualità è legata anche ai luoghi in cui si fa musica. Rimandando al capitolo successivo una trattazione più mirata e approfondita, possiamo dire che gli spazi a disposizione, tanto per la musica 66 definita di alta cultura, quanto per la musica più popolare, sono spesso acusticamente inadeguati, talvolta troppo ampi, altre volte troppo piccoli, in alcuni casi poco accoglienti e scomodi per “ascolti” che richiedono anche comfort e “immedesimazione”, come pure la qualità delle attrezzature messe a disposizione per la resa del suono, elementi che compromettono il risultato finale dell’esibizione. Nicoletta Geron: “Mancano delle sedi dove fare musica, perché le sedi sono ormai sproporzionate al pubblico: abbiamo un Conservatorio da 1600 posti, il Teatro alla Scala, ma mancano in realtà le piccole sedi. Hai presente i grandi cinema? Ormai sono diventati multi sala, nel senso che hai la necessità di avere film d’essay in una sala da 200 posti, la sala per il filmone, ecco un po’ lo stesso succede per i mondo della musica. A Milano manca la sede per concerti alternativi al Conservatorio. Questo vuol dire molto e influisce moltissimo sul pubblico, in realtà, e sulla proposta musicale che puoi fare perché è chiaro che una certa proposta musicale va adeguata alla sala in cui si svolge. C’è un rapporto strettissimo tra la sala, pubblico e offerta musicale, sono assolutamente collegati fra di loro”. Possiamo dunque dire che sia a livello qualitativo che a livello quantitativo Milano ha grandi potenzialità: andrebbero meglio coordinate al fine di valorizzare l’offerta musicale, adeguatamente supportate da azioni di intervento come la riqualificazione degli spazi e la valorizzazione delle risorse umane presenti sul territorio. Nelle prossime pagine entreremo nel merito di aspetti più mirati che permettono di completare il quadro generale dell’offerta musicale nella città. Circuiti e festival Abbiamo già sottolineato in altri punti l’assenza a Milano di un piano della musica, di un progetto di coordinamento che comprenda e gestisca la ricca offerta musicale milanese. Per restare in tema desideriamo soffermarci su due aspetti che hanno a che fare con l’organizzazione. Il primo riguarda l’assenza, o meglio, la sporadica presenza di un circuito musicale che spesso in realtà viene sgretolato in mini circuiti di genere. Filippo Del Corno: “A Milano manca in maniera spaventosa, direi quasi patologica, un sistema della musica: ognuno va per conto suo, tranne la sfera della musica contemporanea che ha piccole istituzioni come noi o Divertimento Ensemble, o istituzioni più grosse come Milano Musica, dove il più delle volte si riescono a realizzare collaborazioni comuni. Il mondo della musica classica invece va per conto suo, in una direzione propria, ostinata a contraria rispetto alle altre, determinando una totale assenza di sistema che si riverbera in scelte assolutamente deliranti”. Un esempio positivo è invece il circuito del jazz, che ha nell’Associazione Musica Oggi il suo principale centro nevralgico, attorno al quale ruota una parte importante della pianificazione dell’offerta di musica di questo genere sul territorio milanese. Maurizio Franco: “Noi, intendo Franco Cerri, Enrico Intra e il sottoscritto, abbiamo un’associazione, Musica Oggi, che è Ambrogino d’oro, e poiché si occupa di jazz il fatto è rilevante. La nostra è un’attività complessa, in cui abbiamo un ruolo nella didattica con la fondazione e la gestione, da 21 anni, dei Civici Corsi di Jazz; poi nella pubblicistica e naturalmente nell’ambito concertistico, con la produzione di eventi entrati nel tessuto culturale milanese, oltre a realizzare sinergie con altre associazioni. Il nostro obiettivo 67 primario è quello di fare ciò che non viene fatto da altri. Questa è la nostra linea in tutti gli ambiti e quindi realizziamo molte produzioni originali”. Proseguendo una riflessione per generi, possiamo dire che anche la musica rock segue logiche organizzative e promozionali autonome rispetto a un ipotetico sistema musicale più ampio. Nel rock e nel punk ad esempio “Ci sono dei link privilegiati dove comunichi con una struttura piuttosto che con un’altra però è anche vero che Milano ti offre più possibilità per cui tu puoi sempre scegliere e sfruttare la concorrenza a tuo vantaggio. Non ci sono però dei legami fissi, non so come dirti”.30 Diversa è la situazione della musica classica, dove la presenza del Teatro alla Scala costituisce un forte catalizzatore dell’offerta musicale che, da un lato genera un indotto economico e produttivo notevole, dall’altro è ritenuto responsabile di un elevato assorbimento delle risorse economiche investite nel settore, a discapito di realtà più piccole. È un sistema molto concorrenziale in cui prevale la logica dei “compartimenti stagni”, delle attività isolate, senza punti di connessione, come afferma il direttore della casa editrice musicale Rugginenti. “Dal mio punto di vista – sto parlando adesso della musica seria, di quella classica e operistica – ci sono dei compartimenti stagni: non so, la Scala fa le cose sue, il Conservatorio fa le cose sue… e si cerca ogni tanto di integrare”. Lentamente, ma con una certa incisività, si muove l’ambito della musica contemporanea, nel quale alcune esperienze definite unanimemente d’eccellenza, come Sentieri Selvaggi, sono in grado di offrire prestazioni di altissimo livello, con un efficiente coordinamento nella programmazione. Filippo Del Corno: “Non è un sistema strutturato, è basato sul fatto che non c’è belligeranza ma anzi volontà di collaborare: le cose che facciamo sono semplici, perchè cerchiamo di non sovrapporre mai le date, se ad esempio il festival Milano Musica ha un’attività in un certo mese, noi ci concentriamo su un altro, o magari cerchiamo di non affrontare lo stesso argomento o lo stesso autore. Cerchiamo una minima cooperazione, che manca nel mondo della musica classica perché c’è molta concorrenza, molta rivalità e soprattutto non c’è voglia di collaborare. Noi riusciamo a collaborare perché la musica contemporanea costituisce sostanzialmente una nicchia del settore della musica classica formata da appassionati, curiosi, non c’è una vera e propria realtà di mercato”. Un altro nodo critico è rappresentato dall’esperienza dei festival a Milano. Su questo aspetto i giudizi sono discrepanti. Parte degli intervistati considera eccessiva e, per l’appunto, non adeguatamente pianificata l’offerta di iniziative, definite, secondo alcuni impropriamente, “festival”, che spesso non fanno che aumentare le sovrapposizioni, proporre tematiche di scarso interesse o eccessivamente settoriali. In altre testimonianze, invece, l’offerta milanese di festival viene giudicata insufficiente e poco distribuita nei luoghi della città. 30 Alfredo Cappello. 68 Aurelio Citelli: “Negli ultimi anni secondo me non è molto utilizzato lo strumento del festival o forse lo è solo per certi tipi di musica: ad esempio non esiste ormai da anni un festival legato alla musica altre. Paradossalmente continua ad esserci questa attenzione più allo spettacolo che alla musica come esperienza culturale, al grande evento più che al contenuto… cosa che c’era invece in passato”. Emanuele Patti: “Secondo me i festival a Milano non sono tanti. In altre città c’è molto di più. Quello che manca a Milano è la capacità di non fare festival tutti localizzati su un unico punto. Ho visto che nelle altre città europee, ma anche italiane, c’è la tendenza a distribuire gli eventi musicali in più luoghi. Una cosa simile la fa a Milano il Festival Cinque Giornate, di musica contemporanea, per il quale abbiamo messo a disposizione i nostri circoli… Bisognerebbe prendere lo spunto da quello che succede con il Salone del Mobile, durante il quale ci sono una serie di eventi distribuiti in tutta la città, per cui la città viene come mappata”. Nella città dei festival – poco o tanti che siano – diverse, e spesso di alta qualità, sono le iniziative consolidatesi nel tempo, che offrono eventi musicali concentrati in pochi giorni e distribuiti magari in diversi luoghi della città, contribuendo quindi alla loro valorizzazione. Come ad esempio la rassegna “Musiche dai cieli”, conosciuta forse come una rassegna musicale breve, che viene proposta ogni anno nel periodo natalizio. Aurelio Citelli: “La Provincia organizza Musiche dai cieli, dall’anno scorso anche col Comune di Milano: è una rassegna legata alla musica sacra, diciamo di tipo natalizio, o comunque si svolge nel periodo natalizio… Si tiene in chiesa ma non solo, a Milano e in provincia, nel periodo di dicembre e gennaio”. Nicoletta Geron: “Adesso c’è questo piccolo festival barocco che in una settimana raggruppa tutti gli eventi in programma. E’ alla terza edizione, inizia il 30 giugno e finisce il 5 luglio, quindi proprio piccolo: una settimana di programmazione, si è chiamato festival, da quest’anno ‘Milano festival barocco’, in realtà solo perché è concentrato. Propone musica barocca a San Simpliciano, presenta anche un libro, ci sono delle visite guidate, c’è il coinvolgimento di queste meravigliose pietre di san Simpliciano, dei chiostri quattrocenteschi”. Non mancano anche i casi di ottime iniziative che, a causa della carenza di fondi o per l’eccessivo sforzo richiesto al singolo organizzatore, rischiano di scomparire. Il superamento delle difficoltà attraverso lo sforzo personale non può che mettere ulteriormente in evidenza la passione che lega artisti e professionisti al mondo della musica e ciò è ben espresso dalle parole di un nostro intervistato, non strettamente riferite all’esperienza dei festival, ma sicuramente esemplari di molte situazioni associative musicali sul territorio milanese. Davide Anzaghi: “Noi esistiamo grazie ad un'azione volontaristica, non riceviamo una lira, casomai ce ne mettiamo, ma siamo felici di farlo, noi consideriamo un privilegio occuparci di queste cose, ma siamo tristi per gli altri. Che non sanno che ci sono cose belle, cose meritevoli di attenzione”. Altre iniziative sono costrette a ridimensionarsi, come il famoso Festival di San Lorenzo, che era in precedenza rivolto prevalentemente alla musica etnica e che ha cambiato il suo impianto artistico, perdendo in parte il potere comunicativo e la sua stessa natura di musica multiculturale, mentre la “Festa della musica”, che si celebra ogni anno, il 21 di giugno, in tutte le città d’Europa sembra svolgersi a Milano, con il trascorrere del tempo, in tono minore. 69 Maurizio Franco: “Il festival Le notti di San Lorenzo all’inizio era un meraviglioso festival di musiche dal mondo e adesso mi pare una manifestazione che non ha più l’impatto di un tempo, anche se continua a proporre concerti di qualità organizzati da persone competenti”. Aurelio Citelli: “Un tempo si faceva la festa della musica a Milano che era un grande momento collegato alle altre città europee, dove ancora fanno una festa della musica: non so se è la stessa cosa, ma è comunque molto ridotta rispetto a prima”. Il festival è dunque una risorsa se spesa opportunamente come strumento promozionale dell’offerta del territorio e come occasione di coinvolgimento dei cittadini. Come alcuni hanno sostenuto, Festival significa innanzitutto “festa”, ossia incontro, partecipazione, condivisione di una ricchezza culturale che è il patrimonio artistico e musicale di Milano. MITO SettembreMusica: un festival speciale Merita una trattazione a sé il caso del Festival Internazionale MITO SettembreMusica, che quest’anno è alla sua seconda edizione e che probabilmente diventerà un appuntamento fisso. Questo festival nasce dal coinvolgimento della città di Milano all’interno di una iniziativa già consolidata del Comune di Torino – Festival Settembre Musica – che coinvolge artisti di fama internazionale, musicisti appartenenti a diversi generi, con una programmazione che abbraccia tutto il mese di settembre proponendo concerti gratuiti o comunque a prezzi contenuti. L’esperienza di MITO ha diviso in due il mondo della musica, una spaccatura emersa anche dalle nostre testimonianze. Vi è chi la considera un’iniziativa non solo lodevole e di alta qualità, ma soprattutto qualcosa di indispensabile, in grado di dimostrare come si possa fare circuito all’interno del mondo della musica e del tessuto milanese. Per entrare maggiormente nello specifico, possiamo individuare diverse motivazioni forti che fanno propendere verso una valutazione positiva di MITO. In primo luogo, come già sottolineato, è soprattutto l’occasione di sperimentare una forma di coordinamento del sistema musica a Milano, un sistema che non riguardi esclusivamente un genere particolare ma che sia in grado di comprendere e coinvolgere artisti e talenti provenienti da diversi ambiti. Franco D’Andrea: “Bellissima iniziativa, io l’ho trovata bellissima proprio come concetto. Perché comunque si sono messe insieme delle cose, si è fatto sistema, non in maniera perfetta ma è stato almeno un inizio. E poi si sono realizzate cose interessanti, con risultati molto potenti, soprattutto sotto l’aspetto della partecipazione della gente e della promozione dell’evento. Gli eventi hanno avuto una promozione adeguata, sono stati conosciuti bene, la comunicazione è arrivata bene, sono stati organizzati con una certa distribuzione del tempo e nei luoghi in modo che non si sovrapponessero tra di loro. Insomma questo è un evento con una potenzialità enorme. Ben vengano iniziative di questo genere”. MITO è, inoltre, l’occasione per “aprire” le porte della città a un’offerta internazionale di altissimo livello che diversamente, soprattutto per ragioni economiche, risulterebbe difficile ospitare e che, in ogni caso, rappresenta un elemento di forte innovazione per la città. Maurizio Franco:“MITO è una scommessa molto importante, che dà rilievo nazionale e internazionale a Milano, che viene identificata come città della musica e non solo come la città del Teatro alla Scala”. 70 Un’offerta così ricca e varia, libera o a prezzi contenuti, è ritenuta da diversi intervistati l’occasione per offrire un’educazione musicale trasversale a determinate fasce di pubblico che, per mancanza di tempo, di risorse o di competenze, non seguono determinati generi musicali e non partecipano ad eventi di musica dal vivo. Questo processo di apertura a generi meno popolari rappresenta un tentativo di democratizzazione poco “coltivato” nella normale programmazione musicale della città. Alfio Bosatra: “Essendo un festival, io ritengo che dovrebbe rappresentare, almeno per la parte milanese, un elemento anche di sintesi di tutto ciò che accade nell’arco dell’anno nel campo della musica classica. Occorre dire che uno dei pregi del festival MITO è quello di trattare linguaggi differenti. Il programma di quest’anno opportunamente presenta il festival in sezioni e questo oltre ad essere di importanza per il pubblico fa emergere con evidenza il fatto che il festival propone musica di tanti linguaggi differenti. Non è compito del festival MITO creare questa rete, però credo che il Comune, in particolare, debba farsene carico assolutamente”. Ancora, il coinvolgimento di due grandi città - da sempre legate, magari in un rapporto di rivalità, da un punto di vista storico e culturale -, costituisce un interessante esempio di un superamento di quei confini geografici, che ben si addice a una città cosmopolita e aperta come Milano. Eugenia Buzzetti: “Credo sia stata un’esperienza molto interessante perché ha unito le due città, Milano e Torino, che culturalmente hanno sempre rappresentato le due grandi rivali del nord. Io credo che l’unione faccia la forza, e questo vale ancora di più per il mondo della musica. Le contaminazioni culturali sono fondamentali per questo tipo di arte”. Non mancano le considerazioni sui risvolti positivi in termini di “potere comunicativo” dell’evento, come abbiamo visto da alcuni stralci già riportati. Da un lato, l’ampiezza delle risorse stanziate permette di dare molta visibilità; dall’altro, la stessa comunicazione su MITO diventa un modo per parlare e far parlare di musica a Milano. Questo festival rappresenta quindi un’importante risorsa non solo per chi a vario titolo ne è direttamente coinvolto, ma anche per tutti quei soggetti che ruotano attorno al mondo della musica che, nel mese di settembre, diventa la protagonista della città . MITO è un festival non vincolato a un luogo preciso e ciò rappresenta un elemento di innovazione particolarmente importante e significativo per la città di Milano. La maggior parte degli eventi si svolge in teatri della città e anche in “spazi urbani” – pubblici e privati, al chiuso o all’aperto – che per l’occasione diventano “spazi musicali”. Il festival diventa l’occasione per distribuire la musica sul territorio, per avvicinare l’esperienza dell’ascolto alla cittadinanza, portandola in posti solitamente “vissuti” per altri scopi. Sia nella precedente edizione che in quella di settembre 2008, sono state interessate da questo progetto di “coinvolgimento urbano” anche le periferie, caratterizzando MITO come occasione di valorizzazione tanto della musica quanto del territorio. Tra le opinioni positive possiamo includere anche le considerazioni ottimistiche sui possibili sviluppi futuri. MITO è un’iniziativa particolarmente giovane, che sarà certamente migliorata e implementata, facendo tesoro dell’esperienza e dei suggerimenti della cittadinanza. E già tra la prima e la seconda edizione è stato possibile notare degli elementi di novità, come l’apertura ad altri generi musicali, non presenti nell’edizione precedente. Partendo dal presupposto che MITO rappresenti un’occasione importante per Milano, non si può che auspicarne l’ulteriore rafforzamento in termini organizzativi e di quantità e qualità degli appuntamenti proposti. 71 Se quelle proposte sino ad ora sono le considerazioni positive attraverso le voci autorevoli dei nostri intervistati, non mancano le riflessioni più critiche31 – sia pure molto limitate – di alcuni di loro che, pur riconoscendo il valore e la qualità di un evento come MITO, manifestano alcune perplessità. La prima considerazione riflette sulla ricchezza dell’offerta in un periodo di tempo relativamente contenuto. Secondo alcuni intervistati, la varietà dei temi musicali proposti e la programmazione di appuntamenti quasi quotidiani, in alcuni casi in parallelo, non ha un effetto valorizzante. Fiorano Rancati: “La scelta dell'anno scorso di fare un festival ricchissimo come MITO secondo me non sta pagando. Prima di tutto perché le scelte non sono fatte da operatori milanesi (ma questo detto non in termini di campanilismo), poi perché si pensa di esaurire la proposta musicale della città in un mese, non perseguendo all'interno dell'anno tutta una serie di collocazioni che potrebbero essere importanti. Se tu ti esaurisci dentro una realtà autarchica poi è anche difficile per le realtà produttive locali crescere perché non hanno terreni di confronto”. Nonostante l’acronimo del festival riporti per prime le iniziali di Milano, essendo questo un evento ereditato dall’esperienza torinese risente molto degli effetti esterni e ciò, a detta di alcuni intervistati, costituisce un aspetto che rende la città meno protagonista di quanto potrebbe. Luigi Corbani: “Ha senso a Torino, ma la stessa cosa fatta a Milano non ha la stesso impatto. Tanto è vero che a Torino già la scorsa edizione ha avuto più successo che a Milano, pur essendo Milano il doppio di Torino in termini di abitanti. Questo testimonia che mettendo tanti soldi non è che la cosa funziona per forza”. Nicoletta Geron: “Torino ha assunto un ruolo di vicinanza anche ingombrante con Milano, però si è data un modello musicale, riuscendo in qualche maniera a fare sistema, almeno apparentemente a fare sistema. Cioè ad avere un ruolo di dialogo tra le istituzioni che fanno musica. A Milano questo si stenta a fare molto”. Altri intervistati si sono soffermati sulla qualità degli eventi proposti, suggerendo che si potrebbe osare molto di più in termini di innovazione e sperimentazione, non solo rispetto ai soggetti coinvolti, e dunque magari lasciando lo spazio a nomi meno noti, ma anche rispetto ai contenuti proposti, evitando i repertori già consolidati L’elemento caratterizzante per un festival, qualcuno suggerisce, è proprio il proporre cose nuove, create per quella particolare occasione, che in questo modo diventa “evento”: Luigi Corbani: “Una rassegna in cui metti dentro di tutto di più è come la fiera degli obei obei. I grandi festival sono dei festival di produzione, come per esempio il Rossini Festival, che è il fiore all’occhiello italiano, è un festival di produzione attorno alla figura di Rossini, il Salisburgo Festival, il Lucerna Festival. Tutti festival che commissionano operazioni ex novo, non limitandosi semplicemente ad ospitare delle orchestre che sono in tournée in quel periodo e che portano lo stesso programma a Milano come in un’altra città”. 31 Le osservazioni critiche che proponiamo sono da considerare come parti di un discorso più ampio. Nell’ambito più generale di un evento riconosciuto unanimemente come importante e significativo, sono stati individuati dei nodi critici che vanno letti come aspetti complementari e non sostitutivi delle osservazioni proposte poco sopra. Ricordiamo inoltre che gli stralci individuati sono esemplificativi di più osservazioni raccolte e non della singola opinione di un professionista. 72 Tito Mangialajo: “Sinceramente l’ho trovato un’occasione mancata. Come al solito si propongono gli stessi nomi, i soliti noti, nessuno rischia niente: questo è il problema della musica in Italia, in generale. Si propone quello che si sa che funziona e un po’ è così è stato…”. Non mancano infine critiche legate ai costi gestionali dell’evento, critica del resto intuitiva, considerate le scarse risorse economiche a disposizione di chi “fa” musica. Lascia non poche perplessità, infatti, il fatto che il budget a disposizione di MITO sia notevolmente superiore, in proporzione, alle risorse stanziate per la copertura dell’intero anno di programmazione musicale. Ciò influisce tanto sul pubblico, quanto sui musicisti ospiti dell’evento, soprattutto quelli internazionali. Secondo alcuni intervistati, la possibilità di vedere offerti gratuitamente determinati eventi musicali riduce nello spettatore medio la possibilità di partecipare, pagando, ad altri appuntamenti nel corso dell’anno. Nicoletta Geron: “Siamo tutti molto preoccupati da questo tzunami che ci travolge in settembre: noi che cominciamo la nostra stagione in ottobre, come molte altre società, abbiamo la sensazione che dopo questa totale immersione nella musica di tutti i tipi e molto spesso anche molto accessibile dal punto di vista del costo, il pubblico, di fronte a una rassegna che ti costa tanto, che devi fare anche pagare, visto che non ci sono sovvenzioni, 35- 40 euro, forse fa un passo indietro, dice ‘aspetto un po’, vedo, scelgo’…”. Nonostante i giudizi meno positivi che abbiamo proposto in questa ultima parte del paragrafo, possiamo dire che il festival MITO è considerato unanimemente come un’opportunità per la città di Milano, che va potenziata, ben sfruttata e ben armonizzata tanto con il tessuto cittadino quanto con le esigenze del mondo della musica che “vive” nella e della partecipazione della città. L’innovazione difficile Abbiamo già accennato al tema dell’innovazione nell’offerta musicale, descrivendo questo elemento come determinante nella valutazione della proposta di eventi artistico-musicali della città. Abbiamo parlato di concentrazione dell’offerta su specifici generi musicali e da parte di soggetti che operano in un’ottica settoriale, orientata in base alle richieste del proprio pubblico o della propria “tradizione”. Naturalmente, la focalizzazione, sia in termini di genere che di produzioni e proposte, condiziona molto il livello di innovazione percepita dagli operatori del settore. Il principale elemento di condizionamento dell’apertura al nuovo sembra dunque essere conseguenza di un orientamento al consolidato per “assecondare” un pubblico forse ritenuto più ingenuo di quanto effettivamente non sia. La paura più grande che emerge con forza dalle nostre interviste sembra proprio essere legata al timore di intaccare il proprio zoccolo duro di pubblico. Davide Anzaghi: “Nel caso della musica, mi sembra che la profezia di un filosofo quale fu Theodor Adorno, che diceva che il pubblico vuole più riconoscere che non conoscere - quindi risentire per l'ennesima volta una sonata di Beethoven piuttosto che confrontarsi con una musica sconosciuta - si sia avverata e che non ci siano segni consistenti di cambiamento”. Franco Fabbri: “Milano manca di una forte spinta nell’innovazione musicale. Che vuol dire molte cose, ma che certamente anche in senso stretto vuol dire che Milano non è un luogo dove il pubblico è molto 73 incoraggiato ad ascoltare cose nuove e dove i musicisti sono incoraggiati a fare cose nuove. Non che non ci siano musicisti a Milano che sperimentano, che innovano, ecc., ma in genere vanno a fare queste cose altrove. E poi magari quando sono diventati famosi ritornano a Milano e ripresentano queste cose… Nè a livello del piccolo circuito dei locali, nè soprattutto a livello dei grandi teatri (auditorium, ecc.), c’è una consuetudine al nuovo. E questo si sente molto, perchè quando capita che qualcuno corra il rischio, a Milano, di portare qualcosa di nuovo incontra molti più problemi di quanti non ne incontrerebbe in altre città italiane”. Se dunque da un lato la limitazione verso il nuovo appare come una scelta – il legame e la fedeltà al proprio repertorio di proposte - dall’altro è più il risultato di una politica conservativa volta più a “mantenere” che ad aprirsi a nuovi generi e soprattutto a nuove tipologie di pubblico. Un simile atteggiamento da qualche osservatore privilegiato è stato interpretato come una svalutazione delle competenze musicali del pubblico, non ritenuto all’altezza di un’offerta di avanguardia. Fiorano Rancati: “Il teatro internazionale e un certo tipo di musica sperimentale non passano più di qua. Con uno sbaglio che è stato fatto essenzialmente sul piano politico e che è un atteggiamento di sottovalutazione del pubblico milanese. E' che da un certo momento in poi il dato fondamentale per un politico nell'ambito dell'organizzazione culturale è diventata la visibilità di sé. E il pensare - per avere questa visibilità - di andare incontro ai gusti del pubblico, non preoccupandosi più dello sviluppo del nuovo e del livello di ricerca, di cui invece una città come Milano ha bisogno”. Uno sguardo un po’ più ampio mette in evidenza come lo scarso spazio lasciato all’innovazione nel mondo della musica sia alla base di un circolo vizioso in cui la mancanza di una proposta alternativa diventa la motivazione principale di una scarsa predisposizione all’ascolto del nuovo da parte del pubblico. È come se si generasse un “effetto assuefazione” in cui, non nutrendo la curiosità dei destinatari delle stagioni musicali attraverso proposte alternative, non investendo in una intervento alla predisposizione all’ascolto, non si “educa” il pubblico alla ricezione del nuovo e alla sperimentazione. Nel mondo della musica, innovazione però non significa esclusivamente “qualcosa di nuovo”, che non c’era prima. La sperimentazione in ambito musicale può riguardare anche la contaminazione tra generi, l’apertura verso musiche contemporanee ma dalle origini geografiche e culturali “lontane” o ancora la riscoperta di vecchi stili musicali – nelle versioni tradizionali o riarrangiate secondo le grammatiche più moderne. Dunque il tema dell’innovazione ci porta ad affrontare anche alcuni aspetti che riguardano quella che oggi viene definita musica etnica. Questa etichetta, che arricchisce la tassonomia dell’offerta musicale contemporanea, assume una doppia accezione. Con essa, infatti, siamo soliti indicare tanto la musica popolare legata alla tradizione italiana, quanto i generi e i prodotto musicali che fanno parte del patrimonio di altre culture. Secondo l’opinione dei nostri intervistati, e soprattutto di quelli che vivono da “dentro” il settore della musica etnica, Milano, nella sua programmazione musicale, non riserva un adeguato spazio a questi generi. Nel caso della musica etnica d’oltralpe, l’offerta al momento è limitata a piccoli ambiti, spesso connessi a luoghi specifici come i circoli Arci, in cui questo genere viene “sposato” come filo conduttore della propria programmazione. È ovvio che simili logiche e simili contestualizzazioni ristrette non fanno che rendere questo tipo di proposta un’offerta di nicchia. Davide Facchini: “Secondo me c'è poca organizzazione. Da questo punto di vista siamo ancora prima del microcircuito di cui parlavo per generi musicali che ovviamente sono molto più consolidati. Ogni tanto 74 capita di trovare il cantautore senegalese, un po' francofono, che riprende un po' la tradizione d’autore francese, voce e chitarra acustica... Qualcosa trovi in giro, ogni tanto qualcuno al quartiere Isola, al Biko, la serata al Leoncavallo, anche qua a Radio Popolare, ma è ancora poco organizzata, tre o quattro passi precedenti a un'organizzazione di microcircuito... Probabilmente tanti ragazzi che potrebbero proporre musica purtroppo hanno tante altre cose a cui pensare che vengono prima: non abbiamo a Milano un'integrazione di seconde o terze generazioni come quella francese, che… Di G2 s'incomincia a parlare solo adesso, a Milano, e il primo a farlo è proprio Radio Popolare. C'è una trasmissione che si chiama Toubab, che insegna a conoscere e guardare il nostro vicino di casa italiano con gli occhi dello straniero, e dj Toubab, che è la costola serale musicale, in cui un ragazzo di seconda generazione viene e analizza il suo impatto con la realtà italiana anche dal punto di vista musica, porta i suoi dischi…”. Il riscontro di eventi ed iniziative di questo genere sembra prospettare ampi margini di diffusione grazie alla sensibilità mostrata da parte del pubblico. Ma vi è un elemento ancora più significativo e potenziante per la musica multietnica o multi culturale, ovvero il fatto che questo genere musicale ben si commistiona con altri ambiti ricreativi e culturali – come la danza, la cucina, ecc. - sempre più di moda anche a Milano. Ad esempio, è possibile trovare stagioni musicali o singoli festival tematici che utilizzano la musica multietnica come strumento per la conoscenza di “culture altre”, non solo attraverso la stessa proposta musicale, ma anche abbinando esperienze complementari come la degustazione di cibi tipici, corsi di danza etnica, spettacoli in qualche modo connessi alle origini di quella particolare civiltà straniera. Il genere maggiormente rappresentato – a Milano come in altre parti d’Italia – attraverso festival, spettacoli e stage di danza è indubbiamente la musica latina, ma comincia a farsi sempre più presente anche la musica tzigana. Ciò dipende in parte dai fatti di cronaca recentissimi che hanno portato alla ribalta questa cultura e hanno stimolato in questo modo la “necessità” di conoscere meglio le sue origini e le sue tradizioni. Ma possiamo ritenere altrettanto importante l’opera di alcuni artisti del tessuto milanese – in primis Moni Ovadia - da sempre sostenitori e promotori di musiche di questo genere. Rappresenta un interessante esempio anche l’orchestra di via Padova, risultato della volontà del maestro Latronico e di un gruppo di musicisti che intendevano sperimentare la commistione non solo di generi ma anche di artisti provenienti da tradizioni culturali differenti: Massimo Latronico: “L’Orchestra di via Padova è un’orchestra che raccoglie nove differenti nazionalità anche se poi nazionalità non è un termine che mi piace molto utilizzare: sono anche mondi completamente differenti da un punto di vista musicale, oltre che culturale e di linguaggio”. La musica etnica italiana, invece, trova uno spazio più contenuto tanto nell’offerta quanto nella produzione. In modo particolare, quella proveniente dalla regioni del sud è maggiormente fruita e proposta di quella strettamente lombarda e milanese. Lo stesso processo di contaminazione tra arti, per esempio, può avvenire anche nel caso di musiche etniche e popolari della tradizione italiana. Nel caso del tessuto milanese sembra particolarmente presenta la cultura salentina che, con i ritmi incalzanti della pizzica, riesce a coinvolgere i più giovani e intrecciare la musica con la danza e la gastronomia. Davide Facchini: “Rispetto agli anni '60-70 come musica popolare del nord Italia o di tradizione milanese evidentemente c'è meno visibilità, meno offerta. Però c'è molta più musica popolare che arriva dalla globalizzazione. Negli anni '60 quanti ragazzi andavano a fare i due mesi in Salento: campeggio, reggae e cannoni, tammurriate, pizzichi, ecc. C'è un feed-back degli ultimi 15 anni su questo tipo di musica. Secondo me d'inverno trovi più manifestazioni di musica popolare salentina a Milano che nel resto d'Italia... Quindici 75 anni fa avresti mai detto che a Milano ci sarebbe stato per cinque sei sette anni di seguito un festival di quattro giorni di Capoeira? Io lo trovo affascinante e stupendo”. Chi si occupa di musica popolare lombarda lamenta un crescente disinteressamento tanto da parte del pubblico che da parte delle istituzioni per questo tipo di offerta culturale che avrebbe ancora molto da offrire alla città. Interessante a questo proposito la testimonianza del gruppo musicale Barabàn, che oltre a portare sul palco – preservandole e contribuendo alla loro conoscenza – le canzoni tradizionali della cultura milanese e in generale lombarda, ormai da diversi decenni si occupa di reperire, archiviare e catalogare repertori tradizionali della musica popolare della nostra regione. Aurelio Citelli: “Questo gruppo, che è anche un’associazione culturale, è un gruppo musicale nato negli anni 80 iniziando a fare ricerca sulla musica popolare legata al territorio lombardo; era il momento in cu si lavorava soprattutto sulla propria regione o il proprio territorio. Baradàn è un gruppo che ha quindi alle spalle 25 anni di attività e si occupa prettamente di musica popolare, che poi è stata definita in tanti modi negli ultimi anni, musica etnica o musica della tradizione orale o comunque facendo riferimento a questo grande patrimonio culturale che il nord Italia. Abbiamo iniziato facendo ricerca in questo campo sulla base di quello che è stato fatto da grandi raccoglitori come Roberto Leydi, Umberto Piana, negli anni 60- 70, Italo Sordi e molti altri…” E anche in questo caso vengono sollevate considerazioni critiche sulla possibilità degli spazi lasciati alla musica etnica Aurelio Citelli: “Negli ultimi anni non ci sono più spazi, è impossibile fare concerti, per una serie di motivi: e è diventato più difficile e complicato organizzare concerti dal punto di vista normativo e finanziario e dell’organizzazione di un evento… Sono venute a mancare delle piccole situazioni. E’ una musica molto di nicchia questa, non è musica da grandi platee, come si fa all’estero: è musica che si fa nel folk club o in piccole situazioni di festa. Negli anni 80 c’erano ancora dei posti e delle situazioni dove si poteva esprimere questa musica e anche tutta una serie di corsi e di seminari di approfondimento, che sono poi corsi di musica, di strumento, di danza, di canto. Purtroppo ci sono ancora poche realtà che hanno conservato e tenuto in vita queste attività e sono soprattutto legate a delle piccole realtà… C’è davvero poca attenzione per la memoria, che non è chiaramente soltanto la memoria della città di Milano, ma di tutte le culture che si mescolano tantissimo”. La musica, soprattutto quella legata alle proprie tradizioni, è un elemento collante e rafforzativo di un’identità culturale, sempre meno presente in una città metropolitana come Milano. “E’ un cambiamento del costume, della città, una riduzione degli spazi di socialità che erano una volta più numerosi. La cultura popolare è sempre stata poco protetta, poco sovvenzionata e per nulla considerata cultura… Tutta la cultura non scritta non è stata mai considerata cultura vera e propria e quindi di fatto non sono mai stati erogati grossi finanziamenti o organizzati grossi eventi legati alla cultura popolare”. La maggiore cura da parte delle istituzioni e una maggiore attenzione da parte del pubblico per questo genere di musica potrebbero, quindi, rappresentare una risorsa fondamentale in grado di intervenire su due fronti particolarmente significativi per la città: l’integrazione culturale e la costruzione di una identità territoriale e cittadina più forte. 76 Attraverso la musica sarebbe possibile portare avanti e sostenere un piano integrato di intervento sul tessuto cittadino, capace di far scaturire una maggiore apertura verso le nuove culture e una riscoperta delle origini della propria. L’offerta allo specchio: considerazioni sul pubblico Una valutazione generale dell’offerta musicale non può prescindere da una riflessione sul pubblico o meglio sui pubblici che popolano le platee milanesi. Abbiamo quindi chiesto ai nostri testimoni di raccontarci il loro punto di vista sul “pubblico della musica dal vivo” a Milano. Le opinioni raccolte sono particolarmente ricche, legate soprattutto al genere musicale di cui di volta in volta l’intervistato era competente. Una prima considerazione è che esistono diverse tipologie di pubblico che possono essere suddivise in base ai generi: il pubblico della musica classica, il pubblico di quella contemporanea, gli appassionati di jazz, chi segue i concerti di musica rock, e così via. In generale emerge una connotazione comune alle diverse tipologie, che riguarda essenzialmente il livello di attenzione rivolto alla musica e la capacità selettiva rispetto alla qualità dell’offerta. Eugenia Buzzetti: “Basta con il luogo comune che il pubblico non ne capisce niente di musica. Anzi. Quando viene interpellato sa dare un giudizio e lo fa con criterio. Chi si occupa di musica lo fa solamente per non sforzarsi di fare una programmazione intelligente”. Riguardo al primo punto, l’opinione di molti intervistati è che il pubblico risulti in linea di massima particolarmente sensibile e attento alla proposta musicale della città. Franco Fabbri: “Credo che il punto di forza sia l’esistenza di un grosso mercato, dato dalla disponibilità delle persone di andare a sentire musica dal vivo, che è molto cresciuta rispetto al passato: è un dato nazionale ma a Milano è particolarmente significativo” . Gli eventi di un certo livello – oltre a quelli strettamente popolari come i grandi concerti – sono in grado di avere un certo ritorno di pubblico nonostante le sovrapposizioni di eventi, i costi del biglietto o altri fattori esterni a volte condizionanti. Attenzione verso la proposta, dunque, che si traduce anche in partecipazione. Ovviamente non mancano le differenze sostanziali, come dicevamo, tra i grandi numeri di eventi “popolari” o commerciali e le proposte più originali o sperimentali di associazioni musicali, che registrano sicuramente una minore partecipazione da parte del pubblico. Questo aspetto ci permette di introdurre il secondo elemento che caratterizza in generale i milanesi che “ascoltano musica dal vivo”: una certa ingenuità nella formazione musicale. La scarsa adesione ad aventi particolarmente innovativi sembra attribuibile a una certa tendenza a ricercare ciò che è già noto e popolare. Secondo gli intervistati, in alcuni generi come la musica contemporanea e la classica, questo è attribuibile alla tendenza ad uniformarsi a un’offerta di repertorio, che prevede sempre i grandi autori, lasciando poco spazio a compositori più originali ed esecutori meno noti. Nicoletta Geron: “Il grande nome è sempre quello più richiesto, perché ci sono molti ignoranti o con pochi strumenti e delle istituzioni musicali che si allineano al proprio pubblico. Si ha anche poca curiosità, la 77 curiosità poggia sulla conoscenza, sulla voglia di vedere un po’ oltre. E’ anche vero che non si può proporre sapendo di avere poco pubblico”. Il discorso è estendibile al caso della musica popolare: il pubblico appare più disposto a pagare cifre consistenti per i grandi concerti, sia di musica italiana che straniera, piuttosto che distribuire la spesa e investire nell’ascolto di proposte nuove di gruppi emergenti. Marco Piccardi: “La sensazione che noi abbiamo, oggi come oggi, è che la gente abbia stabilito quali siano i grossi nomi che non si deve perdere, non risparmia sul costo del biglietto del concerto, ma questa grande disponibilità e curiosità nei confronti di prodotti meno certi e meno conosciuti in realtà fa fatica ad emergere”. Una grossa responsabilità di questo fenomeno è attribuibile alla copertura mediale – soprattutto di particolari canali televisivi e radiofonici – dell’offerta musicale mondiale che promuove i grandi autori o le band più famose, dedicando piccoli margini ai gruppi emergenti o ai generi meno conosciuti. Tito Mangialajo: “Il problema è che il jazz è davvero un ambito particolare perché è una musica che non ha molto spazio sui media tradizionali per cui se non fai mai sentire il jazz è difficile che i giovani vengono ad ascoltarlo”. È pur vero che la Rete, spesso criticata come la principale causa della pirateria discografica, offre potenzialmente e gratuitamente spazi di visibilità e di condivisione anche a gruppi musicali con pochissime risorse economiche. Questa nuova modalità di condivisione e scambio di musica ha il vantaggio di “democratizzare” in un certo senso l’accesso all’interno del circuito. Tito Mangialajo: “Con la globalizzazione – termine terrificante - e con Internet ormai i circuiti della musica te li crei dove vuoi, ti connetti a Myspace e ti crei un circuito con musicisti che stanno dall’altra parte del mondo, questo probabilmente fa sì che non ci sia sul territorio un circuito vero della musica”. Dall’altro lato, però, riduce la selezione a discapito della qualità. Non di rado capita di assistere ad esibizioni di qualità medio bassa proprio perché realizzati da “amatori” più che veri professionisti della musica. Gianni Sibilla: “La musica pop è tradizionalmente un settore abbastanza conservatore, nel senso che le case discografiche tendono a lavorare su trend consolidati, quando si scopre un trend tendono a inseguirlo. Per cui l'offerta di musica dal vivo non è particolarmente innovativa. E' vero che c'è un circuito di musica indipendente e sperimentale: è meno visibile, è più sotto traccia, ma esiste... La logica è che se un cantante ha una buon successo in classifica e una buona esposizione mediale solitamente viene portato in concerto. Poi ci sono i grandi nomi e quelli vengono a prescindere dall'esposizione mediale”. Possiamo dunque dire che il pubblico della cosiddetta musica pop è più sensibile verso le proposte di matrice commerciale, nazionale e soprattutto internazionale, lo è meno nei confronti di gruppi o cantanti nuovi. L’atteggiamento sembra essere diverso fra chi segue e apprezza altri generi musicali ritenuti più “colti” come la musica classica e la musica contemporanea. 78 In questi casi anche in presenza di una maggiore sensibilità o educazione musicale, resta di fondo un certo scetticismo nel lanciarsi in proposte realmente innovative. In alcuni casi, come per la Società dei Concerti, ciò è motivato come una scelta costitutiva della stessa associazione musicale: “Il nostro è un buon pubblico. Una volta, quando ancora i quotidiani seguivano in parte la vita della musica classica, uno dei critici di uno dei due quotidiani su cui c’era la pagina dedicata alla musica, diceva che noi facevamo dei programmi nazional-popolari. Per lui era una critica, io la ritengo un complimento. Noi cerchiamo di proporre cose di qualità, magari le cose più note accanto ad altre meno note, ma nei nostri programmi ci sono sempre cose note, perché vogliamo arrivare alla fascia più ampia possibile di pubblico. Ci viene data colpa di non fare mai musica contemporanea. La musica contemporanea, al di là di quelli che possono essere i gusti personali, è una musica molto complessa e affermare che è nostro dovere acculturare il pubblico secondo me va oltre le nostre competenze. Già ampliare la fascia di pubblico che segue la musica classica è una forma di acculturamento, perché porta a seguire un tipo di musica che viene definita da tutti musica colta. E’ certamente una forma di cultura”. In altri, come per la Società del Quartetto, la proposta innovativa viene imbastita all’interno di una programmazione più legata alla tradizione cercando di equilibrare vecchio e nuovo in una proposta che viene seguita da un pubblico consolidato e assiduo. Nicoletta Geron: “Qualche cosa di nuovo c’è sempre, in ogni stagione. Nelle stagioni di tutte le associazioni vedo spostamenti lievi, ma all’interno di una stagione sono due i concerti diversi, che esulano dal nostro repertorio e che per la verità hanno riscosso sempre un certo successo”. Tra le rare eccezioni, presenti soprattutto nell’ambito della musica contemporanea, occorre citare il caso di Sentieri Selvaggi, associazione musicale che ha fatto della sperimentazione, dell’innovazione, talvolta anche estrema e provocatoria verso il suo pubblico, l’elemento portante delle sue stagioni musicali, riscuotendo un ampio successo. Filippo Del Corno: “Il problema è che noi non ci adattiamo mai, piuttosto chiediamo agli altri di adattarsi a noi. Non è una questione di presunzione ma di convinzione. Noi abbiamo fondato Sentieri Selvaggi sapendo che era uno sforzo difficile, soprattutto volevamo far conoscere la musica che per noi è importante che sia conosciuta. Il nostro pubblico è un pubblico che ci segue, fidandosi. Nel corso di questi sentieri, che sono spesso impervi, molto fitti, c’è un costante ricambio e questa è una cosa che ci fa soffrire da una parte ma dall’altra ci fa piacere. Ci fa soffrire perché vorremmo creare uno zoccolo più duro e consistente di pubblico, dall’altra il continuo ricambio fa sì che ci possiamo confrontare con persone nuove che rispondono in maniera molto fresca, forte e vivace alle nostre iniziative e proposte. Frequentemente vengono spiazzati”. Anche la musica jazz, che possiamo annoverare fra i generi che presentano uno dei circuiti più consolidati all’interno di Milano, forse per sua stessa tradizione costitutiva, è molto aperta alle contaminazioni, alla sperimentazione, a una proposta volta meno a “assecondare” il pubblico, che spesso “conquista” attraverso elementi di sorpresa, novità e originalità. Il pubblico della musica jazz, come forse quello dei generi più consolidati, è caratterizzato da uno “zoccolo duro” di appassionati attorno a cui si stringono gli amatori saltuari in attesa di essere definitivamente conquistati. La realtà del jazz a Milano è molto presente dato che sono gli stessi professionisti coinvolti a sottolineare come Milano sia la prima città italiana in cui questo genere, importato dal Nuovo Continente, è riuscito a prendere piede, a trovare un suo spazio non solo nei locali ma anche nella formazione. 79 Franco D’Andrea: “Milano ha avuto un’importante stagione – parlo soprattutto per quello che mi compete e quindi il jazz. Per il jazz sicuramente ancora dall’immediato dopo guerra c’è stato sempre qualche cosa che succedeva in questo campo. Prima erano persone come Enrico Intra, Franco Cerri, Gianni Basso, che vivacizzavano la scena e i locali, tipo il Santa Tecla negli anni 40. E poi, mano mano che si andava avanti, anche altri locali, dove venivano ad esibirsi musicisti di fama internazionale. Tutti i più grandi jazzisti sono venuti a Milano”. Oggi la situazione è molto cambiata, condizionata soprattutto dalla chiusura di diversi locali dove era possibile esibirsi con proposte musicali legate al jazz. Tito Mangialajo: “Mi ricordo che quando ho cominciato a suonare jazz, avevo circa 18 anni, quindi siamo alla fine degli anni ‘80, il Comune finanziava molto le rassegne di jazz. C’è stata, ad esempio, quella del Ciack, importantissima. A guardare adesso i programmi del Ciack tra gli anni ‘70 e ‘80 piange il cuore, perché non c’è più niente di quel livello. Il Comune interveniva addirittura per finanziare concerti in un locale storico come il Capolinea”. Ma questi aspetti legati soprattutto agli spazi dove fare musica saranno approfonditi nel capitolo 6. In questa sede ci interessa sottolineare come la riduzione dei locali dove fare musica dal vivo, nel jazz come in altri generi, connessa a delle politiche gestionali (specie sul fronte dei prezzi) particolarmente delicate, abbia influito molto sulle caratteristiche del pubblico e sul problema del cosiddetto “ricambio generazionale”. Tito Mangialajo: “Il gestore del locale, che ha chiuso circa una decina di anni fa, mi raccontava che aveva notato un mancato ricambio generazionale tra il pubblico di ascoltatori. Lui mi diceva questo 10 anni fa: ‘vedi quelli che adesso hanno quarant’anni, vent’anni fa venivano qua perché erano giovani, adesso sono padri di famiglia e la sera non escono, non ne hanno voglia.’Non c’erano più giovani che venivano ad ascoltare musica dal vivo, non c’era stato un ricambio generazionale”. Oltre al gusto e all’educazione all’ascolto, per seguire le stagioni musicali a Milano occorre anche disporre di somme di denaro elevate che permettano l’acquisto degli abbonamenti o di biglietti di ingresso dai costi impegnativi, soprattutto per i più giovani. Cosa succede dunque? Che il pubblico degli appassionati che seguono le proposte musicali, jazz o di musica classica e contemporanea, è composto in prevalenza da adulti. che investono nella musica parte delle risorse per il tempo libero. La situazione era differente in passato, quando esistevano politiche di prezzo agevolate per i più giovani e spesso, soprattutto nel caso del jazz, era possibile assistere a concerti di altissimo valore artistico anche a costi molto contenuti. La naturale conseguenza di questa situazione è un costante invecchiamento del pubblico più assiduo e la mancanza di un ricambio generazionale. Anche se si sta cercando di proporre iniziative mirate all’ampliamento del target della musica alle fasce più giovani, attraverso appositi abbonamenti annuali, i risultati di investimenti di questo tipo, comunque molto contenuti, stentano ancora a manifestarsi. Interessanti e pregevoli iniziative vengono anche rivolte ai bambini per educarli e fargli scoprire la musica colta attraverso “pomeriggi musicali” da trascorrere insieme. In generale, dunque, non bastano le politiche di prezzo per agevolare la “prossimità” di un pubblico più giovane. Occorre fare i conti, da un lato, con un naturale percorso di avvicinamento verso certi generi – che può avvenire inevitabilmente solo con la maturità e l’esperienza – e dall’altro, e questo lo vedremo meglio nel prossimo capitolo, anche con la necessità di fornire percorsi educativi di crescita e di accostamento alla musica colta. 80 Nicoletta Geron: “Alla musica da camera non si arriva prima dei 40 anni. È difficile che ci si arrivi prima. Certamente i conservatori hanno una grandissima responsabilità nel non spingere i ragazzi ad ascoltare questo tipo di musica. Abbiamo dei dati disastrosi e inquietanti su quanti pochi ragazzi vengono da noi. Facciamo entrare i ragazzi a 5 euro, cioè per niente. Al di sotto dei 26 anni si può entrare veramente con niente. In realtà vengono altri ragazzi ma non quelli che potrebbero avere l’ingresso gratuito. Non vengono! Quindi credo che la scuola abbia le sue responsabilità”. Per ricapitolare e concludere questo paragrafo, possiamo sinteticamente riproporre in tre punti gli elementi che influiscono su una domanda musicale limitata, ingenua anche se in un certo senso partecipe e coinvolta nella vita musicale della città: - la ricchezza dell’offerta, paradossalmente, condiziona la partecipazione da parte del pubblico: le sovrapposizioni di eventi e la mancanza di coordinamento si traducono in frammentarietà e discontinuità; - la relativa “immaturità” del pubblico, che pur nella sua ampia sensibilità e partecipazione verso gli eventi musicali non sempre dispone di strumenti adeguati per accedere, in tutte le sue sfaccettature, ad un bene culturale come la musica, spesso esigente e impegnativo. In questo quadro si pone poi il problema del maggior avvicinamento delle giovani generazioni alla cosiddetta musica colta; - il contraccolpo della crisi economica, che incide pesantemente sulla gestione delle risorse familiari e dei budget di spesa da dedicare alla musica, penalizzando i generi meno consolidati e conosciuti. Domanda e offerta: osservazioni conclusive Abbiamo più volte sottolineato come la musica rappresenti un patrimonio culturale e artistico, una risorsa che andrebbe certamente valorizzata di più all’interno del sistema cittadino. In questo capitolo ci siamo soffermati soprattutto sugli aspetti che riguardano l’offerta musicale, che dalle parole dei nostri intervistati emerge come ricca e di qualità, quasi in tutti gli ambiti e generi. I nodi critici che emergono riguardano sostanzialmente i problemi organizzativi e di coordinamento di circuiti indipendenti e settoriali che stentano a fare “rete”, condizionando sfavorevolmente il valore dell’offerta musicale della città. All’interno di questi circuiti emergono grandi potenzialità, non solo in termini di risorse umane, ma anche di proposte artistiche e musicali, che tuttavia sono condizionate dalla difficoltà di gestire gli spazi, da intendersi sia come disponibilità di luoghi della e per la musica sia come opportunità di visibilità rispetto alla più generale proposta cittadina. Riprendendo la metafora della rete per descrivere i circuiti dell’offerta, possiamo dire che emergono dei nodi che oltre a risultare più visibili rispetto ad altri sul piano comunicativo, diventano catalizzatori di risorse e di proposte a discapito di realtà più piccole. Un’offerta dunque che appare a prima vista ricca, di qualità, ma certamente frammentata in micro circuitazioni individuali. Stentano ad emergere generi e prodotti più sperimentali e innovativi così come quelli più legati alla tradizione e alla memoria. Dall’altra parte abbiamo un pubblico disponibile all’ascolto, interessato, potenzialmente partecipe ma, suo malgrado, forse un po’ ingenuo e più orientato al “già noto” che agli impervi sentieri dell’ignoto. Anche i festival, inclusa la nuova e positiva esperienza di MITO, sono prova da un lato delle potenzialità della città di Milano, dall’altro della sensibilità del pubblico e del suo desiderio di essere coinvolto e di essere partecipe. 81 Ci sono dunque tutti gli ingredienti per fare di Milano una città che sia in grado di sottolineare il valore della sua offerta musicale e culturale. Occorre adesso sapere cogliere la sfida da parte di tutti i soggetti coinvolti, ipotizzando azioni di intervento per il rafforzamento e il miglior sviluppo della città delle musica. Tra esse occupano un posto importante quelle rivolte alla crescita delle cultura musicale. Ma di questo parleremo in seguito, affrontando un tema di rilevanza strategica come quello dell’educazione musicale. 82 6. Spazi e luoghi Spazio e musica intrattengono un rapporto indissolubile. La musica si diffonde sempre in un spazio, privato o pubblico che sia, eccetto che nell’ascolto simbiotico del walkman o dell’i-pod, quando lo spazio acustico coincide con lo “spazio nella testa”. 32 La musica dal vivo, poi, ha sempre bisogno di uno spazio-luogo per poter essere fruita, ma anche per poter essere “provata” e quindi registrata su di un supporto. Spazi e luoghi della musica disegnano il volto della città, costituendo una parte rilevante del suo patrimonio storico, culturale e architettonico. La fenomenologia è amplissima: dai venti metri quadrati di una sala prove o di un piccolo club, ai teatri, alle sale concerto, agli stadi, ai parchi, alle cascine, alle chiese, alle scuole, alle piazze, alle aree dismesse, alle stazioni ferroviarie. Non c’è luogo della città che sia precluso alla musica dal vivo, compresi i luoghi “altri”, come quelli di detenzione e di sofferenza, mentre ad essere esclusi sono soltanto gli spazi dominati dal rumore, dove la musica semplicemente non può “avere luogo”. L’analisi del “paesaggio sonoro” di una città come Milano meriterebbe ben altri sforzi di ricerca e l’attivazione di ben altre competenze interdisciplinari. La domanda di spazi emerge in ogni caso come una questione di cruciale importanza, se non strategica, per la crescita della città della musica. Specie quando gli spazi sembrano mancare. La domanda di spazi Eugenia Buzzetti: “A Milano ci sono tanti musicisti, è un mercato inflazionato, ma poi non ci sono gli spazi dove esibirsi. Ad esempio, secondo me, l’Arcimboldi, nato per sostituire la Scala durante le ristrutturazioni, avrebbe dovuto continuare a fare programmazione di musica classica. Un solo teatro non basta a una città come Milano”. Franco Fabbri: “Io sento dire da persone che si occupano di organizzazione di eventi musicali che uno dei problemi di Milano è l’inesistenza di un grande auditorio adatto ai concerti di canzone d’autore, jazz, rock di qualità, delle dimensioni dei tre-quattro mila posti, che non sia un palazzo dello sport adattato… Poi secondo me si sente molto la mancanza del Teatro Lirico, perchè era un luogo centrale dove potevano svolgersi cose musicali e musicali-teatrali importanti proprio per dare un segno della vita culturale e musicale milanese”. Nicoletta Geron: “La demolizione della Piccola Scala è stata un dolore per noi appassionati nel senso che era un piccolo gioiello che permetteva di fare un repertorio particolare - le operine del 700, che richiedono uno strumentale e una piccola compagnia, e la musica contemporanea, per esempio, perché è difficile che tu riempia 1600 posti. Il Dal Verme, sul quale molti di noi puntavano e speravano, è in realtà una sala con una pessima acustica e poi è enorme… Gli spazi piccoli non ci sono o sono del tutto inadeguati”. Dai tre brani di intervista riportati emerge in particolare un’inadeguatezza dell’offerta rispetto alla domanda di tipo, per così dire, puntuale: grandi contenitori prevalentemente destinati ad usi extramusicali e dalla pessima acustica per la popular music, spazi troppo grandi per i piccoli ensemble di 32 R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, Unicopli-Ricordi, Milano, 1995, p.170. 83 musica da camera (classica e contemporanea) e in generale di musica non amplificata. E magari, aggiungiamo noi, troppo grandi o troppo piccoli per le band giovanili emergenti. Non sempre, quindi, gli spazi disponibili appaiono coerenti ai bisogni e alle caratteristiche delle musiche che ospitano. Quasi che l’appropriatezza (dimensionale, acustica, logistica, relazionale) dello spazio non condizionasse più di tanto la qualità degli ascolti, costituendo in fondo una variabile secondaria del rapporto triangolare tra luogo, musica e pubblico. Una triangolazione che in molti casi ha bisogno, per potersi esprimere, di quegli spazi intermedi, o comunque un po’ più intimi e raccolti, di cui Milano sembra soffrire la carenza. E’ un’esigenza che in realtà oggi avvertono le stesse “star” della musica pop abituate alle folle degli stadi e desiderose di instaurare, almeno in certi momenti, un rapporto più diretto e personale con il pubblico. La città della musica richiede non solo spazi puntuali e non eccessivamente polarizzati, ma anche spazi “polivalenti” e flessibili, capaci cioè di fare addensamento e cultura del luogo intrecciando funzioni e attività diverse. Come la Citè de la Musique di Parigi, la Casa da Musica di Porto, il complesso Le Corum di Montpellier, il Sage Gateshead di Newcastle, e tanti altri luoghi della musica analoghi in Europa, sino all’Auditorium Parco della Musica di Roma, che Milano non ha. Filippo Del Corno: “Basterebbe andare in città come Londra, Berlino, Madrid, o anche in città più piccole. Penso ad esempio al centro di Montpellier – Le Corum - che è fantastico da questo punto di vista perché ha un grandissimo auditorium, ma anche una sala più piccola per la musica da camera, un bar, una caffetteria, una mediateca. Quest’idea che lo spazio possa essere vissuto oltre al fatto di avere staccato un biglietto e sedersi su una poltrona a sentire un concerto, manca completamente a Milano. E la dimostrazione che questa è la scommessa vincente per quanto riguarda i consumi culturali del futuro è testimoniata dall’auditorium di Roma”. Gianni Sibilla: “Gli spazi ci sono, ma in realtà non ce n'è uno paragonabile all'auditorium di Roma, che è uno spazio polifunzionale con diverse tipologie di sale e che permette di fare cose diverse, anche se dicono che l'acustica non sia delle migliori. Ma a parte questo, è vero che l’auditorium a Roma ha dato un grosso impulso: ci sono rassegne, iniziative culturali, eccetera. A Milano uno spazio paragonabile a quello manca, anche se è vero che ci tanti locali di diverso tipo. Persino troppi, per certi versi”. Agostina Laterza: “Il parco della musica è una delle cose più belle che sono state realizzate a Roma negli ultimi anni. L'auditorium di Roma da un punto di vista architettonico è uno spettacolo, perchè è riuscito a integrare benissimo delle rovine romane trovate durante gli scavi con tutto il resto. Qualcosa di simile, con tutte queste sale di varia grandezza, ce l'ha soltanto la Opera House di Sidney, dove c'è anche tutta la parte dell'Accademia e dove hanno anche trasferito la biblioteca”. Roma “più” città della musica di Milano? Le statistiche dicono di no e poi ogni città ha i suoi percorsi, la sua storia, le sue specificità. L’assenza a Milano di un auditorium polifunzionale (di una “casa della musica” o come lo si voglia chiamare) rappresenta forse una delle occasioni mancate della città. Alla fine degli anni ’90 del secolo scorso un gruppo di professionisti e intellettuali milanesi elaborò, ispirandosi al modello parigino della Cité de la musique, una proposta per realizzare, nell’area Garibaldi-Repubblica, “La Città della Musica”, un complesso architettonico-musicale di oltre 20 mila metri quadrati dotato “di sale da concerti per musica colta, jazz, etnica, rock, un museo degli strumenti musicali, una struttura formativa e una informativa”.33 Ma alla città della musica venne poi preferita, come è ben noto, quella della moda. 33 Comitato Promotore, Milano – La città della Musica, 1999. Insieme ai componenti del Comitato – Achille Cutrera, Leonardo Fiori, Renato Minetto e Gianni Verga – sottoscrivevano la proposta, tra gli altri, Natalìa Aspesi, Fedele Gonfalonieri, Luciano Berio, Francesco Micheli, Emilio Tadini. 84 Ha ancora senso oggi - dieci anni dopo, in un contesto notevolmente mutato - riproporre a Milano l'idea di un polo urbano integrato della musica? Esso andrebbe comunque pensato come funzione della Grande Milano, ossia di una città-territorio di 7 milioni di abitanti, se non di uno spazio ancora più vasto, come afferma l’architetto Leonardo Fiori, uno dei promotori del progetto. “Milano manca di un sistema musicale di peso europeo e mondiale. Naturalmente un sistema musicale che appartenga alla Grande Milano, che avendo questa geometria variabile potrà avere un sistema musicale che non interesserà solo i teatri o le sale di Milano, ma potrà anche interessare quelli di tutta la Lombardia se non di tutta la padania. Evidentemente questa cosa è tutta da reinventare anche proprio da un punto di vista territoriale”. La Milano musicale, come si vedrà meglio in seguito, ha certo il problema di fare rete, di creare sinergie e contaminazioni. Ma non è detto che questo debba necessariamente avvenire attraverso l’edificazione di una nuova struttura. Senza anticipare troppo le conclusioni della nostra ricerca, quello di cui sembra aver prioritariamente bisogno Milano è casomai l’elaborazione di una dimensione autoriflessiva di grande città della cultura, capace innanzitutto di raccogliere le sue tante pratiche e le sue molteplici risorse in un pensiero, in una visione strategica, convogliandone in una strada di innovazione e di comunicazione. Poi i contenitori funzionali maggiormente adeguati seguono, più che precedere. Compreso magari la “Città della Musica”, luogo di eccellenza interdisciplinare della città della cultura. Ma - dopo questo ricordo di uno spazio mai nato - ritorniamo a quelli che già esistono. Come le decine di locali dedicati alla musica dal vivo (pub, club, circoli, cafè, centri sociali), nonché di sale prove: luoghi di socialità, oltre che di musica. Ma non sembrano essercene abbastanza – e con la qualità dovuta. Federico Sacchi: “Prima c’era tutta la zona dei Navigli che era piena di locali dove potevi fare musica. Oggi è rimasto solo le Scimmie. Il Blue Note è un locale di stampo più internazionale, richiama però artisti già affermati e non crea nuovi artisti. Un artista che parte si trova ad affrontare il problema del costo elevato delle sale di registrazione e la bassa qualità delle sale prove. La strumentazione non è all’altezza e poi soprattutto non c’è uno sbocco, manca la possibilità di potersi esibire”. Davide Facchini: “Un tipo di locali ha magari un'acustica e un'offerta palco spettatori ottimi ma è gestito da gente che ha un'offerta culturale pari a zero. E magari i buttafuori hanno la svastica tatuata sulla mano. E sto descrivendo un locale che a Milano c'è, di cui non ti dico il nome. Quando vado a un concerto lì io dico a me stesso ‘bello, questa sera sento un concerto suonato bene’. Vado poi in un centro sociale, benissimo, è la mia idea di proposta culturale, variegata, perchè ho il baretto reggae, la manifestazione culturale, la cucina a prezzi popolari, il concerto del gruppo americano anche abbastanza bravo nel salone grosso. Pago poco, ho il progetto culturale, ma l'acustica è pessima ”. Sale prove e locali costituiscono, da sempre, l’”ossessione” dei giovani musicisti che intendono proporsi nell’eterogenea scena musicale della città. Si tratta perciò di spazi di fondamentale importanza per la crescita dei nuovi talenti musicali. Una sala prove di bassa qualità inquina gli stessi processi di apprendimento delle abilità tecnicomusicali di soggetti che sono ancora in una fase di formazione. Un locale dalla pessima acustica riduce la musica a rumore, compromettendo il rapporto tra l’artista e il pubblico. Sarebbe un po’ come proiettare un film su di uno schermo difettoso o appendere quadri storti ai muri di una galleria d’arte. Strano destino (pressoché unico tra le arti) quello della musica di essere spesso bistrattata (in Italia) dai luoghi deputati ad ospitarla. Certo, la musica può sempre adattarsi al luogo, ma in una sala 85 prove fasulla o in un locale “sbagliato” c’è poco da fare: viene fuori quello che può venire fuori. Probabilmente le tecnologie di ingegnerizzazione del suono consentono oggi di adattare le musiche a qualsiasi luogo. Resta il fatto che tanti luoghi suonano e risuonano male, deturpando gli ascolti. Una città della musica dovrebbe quindi prendersi cura della qualità degli spazi nei quali le nuove generazioni di musicisti – e ovviamente non solo loro, come si è visto prima - suonano (per provare o per esibirsi), rendendoli nello stesso tempo maggiormente accessibili (perché poi una sala prove costa, mentre un locale ha i suoi problemi “burocratici” e di “business”). In questo senso era molto apprezzabile un’iniziativa come Pagella Rock – sostenuta qualche anno fa dal Comune ma poi esauritasi - con la quale una serie di sale prove della città venivano messe a disposizione dei gruppi musicali amatoriali o emergenti. Si tratterebbe in sostanza di creare – attraverso la cooperazione tra soggetti privati e pubblici – una “rete sociale ” di spazi (sale prove e locali) caratterizzati da idonei standard qualitativi, nonchè disponibili a incontrare i progetti e i bisogni dei giovani aspiranti musicisti. Coltivare talenti significa insomma coltivare spazi e relazioni. Questa capacità di mettere i luoghi nelle relazioni e le relazioni nei luoghi appare maggiormente sviluppata in altre città europee. Luca Garlaschelli: “Non esiste una scena internazionale a Milano. Io in novembre dello scorso anno ho suonato a Istanbul - che è considerata ancora Turchia, non è Europa voglio dire - ed è frequentatissima da musicisti internazionali. Nel senso che tu vai a suonare in un club e ti può capitare di suonare insieme a Winton Marsalis. C'è una grande vivacità. Sono posti dove le università aprono al jazz, alla musica rock, dove arrivano musicisti da tutto il mondo, per fermarsi lì magari”. Centro Sociale Barrio’s: “I locali fanno venire un gruppo e poi pagano il gruppo in funzione del numero di persone che porta quella serata. E questo di certo non è apprezzato dai ragazzi”. Fiorano Rancati “A Parigi, per esempio, c'è il Cabaret Sauvage, intorno al quale ruota tutta una serie di musicisti, c'è lo spazio, c'è la possibilità, un po' come erano i vecchi caveaux del jazz o come certe cose newyorkesi. A Milano questo manca”. Newmastering Studio: “I gestori dei locali stessi hanno grossissime difficoltà , vuoi per gli spazi che sono estremamente costosi, vuoi perché non hanno nessun aiuto dal Comune o dalla Provincia. Devono fare tutto da sé, spesso dovendosi scontrare con problemi di rumore con i condomini vicini, le tasse sono molto elevate, la SIAE, tutta una serie di impedimenti e quindi di costi molto elevati per cui chi si cimenta nella conduzione di un locale di musica per giovani ha delle grandi difficoltà”. In effetti un Winton Marsalis che capita in un jazz club di Milano e si mette magari a suonare con “i ragazzi” è una cosa che poteva forse succedere ai tempi del Capolinea, mentre oggi costituirebbe un evento raro. Il problema non è la quantità dei locali, di cui in fondo Milano è ricca, ma quello che in questi locali accade, ossia la loro propensione a essere spazi di accoglienza e rappresentazione della scena musicale. Ma anche il locale più “lungimirante” deve poi fare i conti con in versamenti “esosi” alla SIAE - cosa che rende complicato fare persino un semplice happy hour con musica dal vivo - oltre che con gli elevati costi di gestione (che fanno alzare il prezzo dei biglietti di ingresso), i vicini che protestano per il rumore (ma i lavori per l’isolamento acustico possono costare diverse centinaia di migliaia di euro). I locali soffrono perciò di una serie di problemi e limitazioni, che ne rendono spesso la vita difficile (fino alla chiusura stessa, come è successo anche di recente con il circolo Arci Bitte). Se nel confronto con altre città europee la “movida” musicale milanese appare meno effervescente e aperta ai musicisti delle giovani generazioni la ragione risiede probabilmente nel mondo in cui viene costruito e vissuto il rapporto tra locali e città. Quando la città tende a essere un problema per i locali e i locali un problema per la città, il rischio è quello di un avvitamento che finisce per 86 rendere gli spazi “al chiuso” degli spazi “chiusi”. Un rischio, peraltro, che riguarda anche la sfera degli spazi “all’aperto”. Maurizio Dehò: “Io parlo sempre di questo Micika, un clarinettista rumeno che ha una preparazione pazzesca sotto tutti i punti di vista, però lui non ha documenti ed è costretto a suonare in metropolitana sostanzialmente, il suo uditorio è quello, poche volte gli è stato assegnato qualcosa di più adeguato alla sua preparazione. Per questi artisti non è facile esibirsi a Milano. Ci sono dei controlli, a volte gli sequestrano gli strumenti. Eppure abbelliscono Milano, stanno facendo una cosa artistica. Invece sono considerati soltanto degli accattoni”. Qui, in questione, è il rapporto con le musiche “altre”, che cercano spazi “altri” (la metropolitana, la strada, la piazza) per potersi esibire e sopravvivere. Non si tratta di poveri che suonano per chiedere l’elemosina, ma di veri musicisti, magari diplomatisi nei conservatori dei loro paesi di origine, ridotti al rango di anonimi immigrati. E’ la musica “clandestina”, che nella Milano multietnica, a differenza di quanto accade in tante altre città del mondo, quasi non si sente più. A Parigi, a Londra, ad Amsterdam, le autorità locali rilasciano tesserini o licenze, che consentono in qualche modo ai suonatori di strada di potersi esibire in metropolitana o in altri luoghi pubblici senza incorrere in sanzioni. 34 E’ però anche un problema più generale, perché negli spazi all’aperto della “città in concerto”35, eterofonica e rumorosa, l’ascolto del suono musicale, così quello del silenzio di cui in realtà ha bisogno, è esperienza rara e, quando accade, ha del miracoloso. E’ quello che è successo a Emanuele Patti, presidente di Arci Milano. “Un giorno il negozio di musica sotto casa mia, che si chiama Jamaica, vende roba reggae, sono famosi a Milano, è un buco, sono dei ragazzi giovani, … era una bella giornata di sole e hanno alzato il volume di un brano reggae. Ti assicuro che non soltanto io ma tutta la gente che si trovava in strada era contenta di sentire quella musica. Quel sabato sembrava di non essere nella stessa città, nella stessa via di tutti i giorni… Però, qualcuno, poi, gli ha fatto abbassare il volume”. La musica fatica a farsi “colonna sonora” della città e la strada o la piazza metafora dello spazio pubblico e interculturale. Eppure, diversi anni fa, come racconta ancora Emanuele Patti, Milano aveva provato, e con successo di pubblico, a portare la musica nelle sue peraltro non numerose piazze – piazza Reale, piazza Affari, piazzetta San Fedele – con una manifestazione che oggi non si fa più. Emanuele Patti. “Era molto bella e funzionava molto bene. Aveva questa capacità di mettere insieme la musica tradizionale con quella elettronica. Era una manifestazione che costituiva anche un tentativo per far riscoprire alla città il valore della piazza”. In una città dall’elevato livello di inquinamento acustico36, la musica – lungi dal creare spazi e isole di ascolto nelle vie e nelle piazze - rischia in ogni momento di essere percepita essa stessa come un rumore, generando magari la protesta di gruppi di cittadini (come è successo più volte anche quest’anno per i concerti allo stadio Meazza, alla Cascina Monluè, all’Arena Civica). Minoranze 34 Federico Del Sordo, Sociologia della musica urbana, Meltermi, Roma, 2005. Silvia Zambrini, La città in concerto, Auditorium Edizioni, Milano, 2004. 36 Secondo i dati del Treno verde-Legambiente 2007/2008, Milano (con un rumore diurno di 73,5 decibel e uno notturno di 71,4) risulta essere, dopo Napoli, la seconda città più rumorosa d’Italia. 35 87 che mettono in discussione i diritti di maggioranze e portatrici a loro volta di diritti (al silenzio o alla salute, anche se poi il rumore notturno in città è ben al di sopra della soglia di attenzione) che chiedono di essere rispettati. Diritti che potrebbero facilmente convivere, invece di interdirsi reciprocamente, se Milano avesse gli spazi giusti nei luoghi giusti per ospitare i grandi concerti rock (che perdurando questi conflitti rischia prima o poi di perdere, con un danno alla città anche di tipo economico oltre che culturale). Mentre in altri casi (come a Cascina Monluè) sarebbero probabilmente sufficienti interventi di adeguamento delle infrastrutture. Quando si tratta invece degli spazi diffusi di “prossimità musicale” sembrerebbe essere più appropriato lo sviluppo di una strategia di concertazione volta a favorire il dialogo tra i diversi attori in causa (amministrazione pubblica, associazioni di via e culturali, rappresentanti di categoria e dei lavoratori della musica). La domanda di spazi interessa altri luoghi del sistema musica cittadino, come ad esempio quelli della formazione. A incominciare dal Conservatorio. Maria Rosa Diaferia: “Noi abbiamo un grandissimo problema di spazi. Noi stiamo scoppiando. Adesso è arrivato anche il decreto ministeriale per il quale stiamo attivando un biennio abilitante per gli insegnanti di musica della scuola media e non sappiamo dove metterli. Devono partire 50 corsi e poi in ore particolari, perchè sono quasi tutti studenti lavoratori”. Davide Anzaghi: “Il Conservatorio fu istituito da un editto del vice Re d'Italia, il figlioccio di Napoleone, Eugenio di Beauharnier, nel 1808. C'erano pochissime classi. Ora ci sono tra i 1.500 e i 2.000 studenti. Non è però possibile fare una lezione di musica strumentale o di composizione con 200 allievi. La legge precedente la riforma sanciva che il rapporto tra docente e discente fosse di uno a dieci, massimo, perchè il modello - e non poteva essere diversamente - era la bottega rinascimentale. Non si insegna a dipingere facendo un seminario a 200 persone, al massimo si parla della pittura. Ma l'insegnamento è un insegnamento di tipo diverso, artigianale: ti faccio vedere, faccio e tu fai insieme a me. E' una trasmissione diversa. Ma con 1.500, 2.000 allievi, con 250 colleghi, dove si va? Mancano gli spazi”. Il Conservatorio di Milano - secondo d’Italia per numero di iscritti (il primo è quello di Bari) e considerato tra le dieci più importanti Accademie musicali del mondo - soffre, forse da sempre, di una carenza strutturale di spazi, che finisce per condizionare negativamente la qualità stessa dell’insegnamento. All’espansione delle attività e alla crescita degli numero degli allievi non ha corrisposto un adeguamento complessivo degli spazi. Questi, sotto la pressione delle necessità, sono stati via via recuperati in altezza, ricavando due piani, come è accaduto per la Biblioteca, là dove ce n’era uno solo (le finestre sono infatti tagliate a metà). Non è da oggi che il Conservatorio di Milano “sogna” una nuova sede, aggiuntiva a quella storica esistente, per la quale furono a suo tempo anche elaborati dei progetti rimasti poi, purtroppo, solo sulla carta. E mancano anche gli spazi di accoglienza per gli studenti fuori sede (provenienti dalle diverse regioni d’Italia e dall’estero), perché non c’è una casa degli studenti del Conservatorio (alcuni dei quali vengono ospitati presso la Casa Verdi). E’ un problema avvertito del resto un po’ da tutta la “città universitaria”37 e da altri luoghi di eccellenza formativa in campo musicale, come l’Accademia della Scala (che conta 700 allievi). Silvia Vinci: “ Gli spazi non sono sufficientemente adeguati, rispetto innanzitutto al livello di eccellenza dell’offerta di questa scuola, che ha al suo interno tantissime persone che vengono anche da fuori Milano… 37 Cfr. MeglioMilano, Studiare e vivere a Milano, MeglioMilano, 2004. L’Associazione è impegnata da alcuni anni nel progetto “Prendi in casa uno studente”, che favorisce l’incontro fra la domanda di accoglienza degli studenti universitari fuori sede e l’offerta di abitazioni da parte soprattutto dei soggetti anziani. 88 Oltre a non avere una sede fisica per le prove della nostra orchestra - siamo costretti ad andare alla Banella in via Padova - non abbiamo un luogo dove ospitare i nostri ragazzi. Abbiamo un convitto per i bambini di 13 posti letto , una cosa ridicola rispetto alle esigenze”. Il senso dei luoghi Sin qui abbiamo parlato di “spazi” e di “luoghi” come se i significati di queste due parole siano tra loro perfettamente intercambiabili. In realtà non è proprio così. Il termine “spazio” designa una dimensione più geometrica e astratta (un’ estensione, una distanza, un intervallo), mentre il termine “luogo” allude maggiormente al valore esperienziale, affettivo e simbolico dello spazio (o degli spazi) che racchiude e rappresenta. Sacri sono i luoghi, più che gli spazi, anche se “sacro” può dirsi di entrambi. Ma la dimensione antropologica appare in qualche modo essere più propria del concetto di luogo (tant’è che perdendo di senso esso diventa un “non luogo”, mentre l‘espressione “non spazio” apparirebbe incongruente).38 Abbiamo già visto qualche esempio in cui la musica sprigiona la sua “magia” di fare senso o valorizzazione del luogo. Vi sono altri casi in cui essa trasforma il non luogo in luogo, migliorando la qualità della vita di pezzi della città. Tito Mangialajo: “Questa era una zona malfamata di Milano. Quando il vecchio gestore aprì qui c’era un bar con spaccio di stupefacenti, bisca clandestina, un locale malfamatissimo; lui, che ha un grande fiuto per gli affari, lo aprì e lo ha fatto diventare quello che è oggi. Pian piano tutta l’Isola è diventato un posto più ambito e poi ha aperto il Blue Note. Io credo che l’apertura del Blue Note abbia solo giovato al Nord Est Cafè”. Del resto sono ormai molte a Milano le esperienze di spazi fisici (magari in abbandono o degradati) divenuti luoghi attraverso l’insediamento di attività culturali o del tempo libero. Protagoniste di queste “rigenerazioni” urbane sono spesso le associazioni della società civile, che promuovono nel territorio la nascita di nuovi luoghi di aggregazione, riempiono di contenuti e relazioni i “vuoti” – materiali come esistenziali - determinati dai processi di trasformazione post-industriale della città, danno forma a pratiche di cittadinanza attiva. La musica, l’arte, i saperi, costituiscono perciò le risorse oggi di fondamentale importanza per fare della città che viene una città di luoghi ricchi di relazioni intersoggetive e non solo di spazi più o meno funzionali. La forza aprente e valorizzante della musica si manifesta anche nei luoghi più antichi e sacri della città: le chiese, le abbazie, le basiliche. Qui risuonano gli antichi organi, i madrigali e gli archi degli ensemble barocchi, i canti gregoriani e le polifonie: tutto un rifiorire di musiche di un lontano passato, che riempiono le nostre chiese. Sono le “Voci della Città”, per riprendere il titolo di una bella rassegna di musica per antichi organi curata da Matteo Galli, un percorso musicale-culturale che coinvolge diverse chiese cittadine e che nel 2007, per 18 concerti complessivi, ha registrato 10 mila presenze. Si tratta di luoghi a volte un po’ remoti, discosti, poco conosciuti dagli stessi milanesi, come ad esempio la Certosa di Garegnano, definita dagli studiosi la “cappella sistina” di Milano perché ha l’interno completamente decorato di affreschi di straordinario valore, o la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo ai Tre Ronchetti, in fondo alla città, ormai a Rozzano. Matteo Galli: “Per me presentare un concerto in un luogo significa riuscire a creare una consapevolezza di questo luogo, al di là dello strumento musicale: proprio del luogo. Ma addirittura del quartiere. Noi siamo stati presenti più volte a Quarto Oggiaro, dove c'è un bellissimo organo del 1904. Noi andiamo lì certamente per via di questo strumento, ma ogni volta cerchiamo di parlare un po' di questo quartiere, di creare una 38 Marc Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano, 1993. 89 consapevolezza della potenzialità culturale di questo quartiere, che va a finire sulle pagine del giornale soltanto per una retata o cose del genere, spacciandolo poi come se fosse uno dei quartieri più criminali della città. Mi sembra un modo un po' troppo superficiale di leggere la nostra città, a me non piace”. Milano “città degli organi”, più di Parigi e di Londra, un grande patrimonio culturale ancora in parte da conoscere e di cui è il corso il censimento. La musica ha questa straordinaria facoltà di rimetterci in sintonia e in ascolto con i luoghi, di ridestarne la “meraviglia” al nostro orecchio e al nostro sguardo. Non solo, ma la musica è capace anche di prendersi cura dei luoghi, di risanarne le ferite, di fare ospitalità. La musica che suona nei luoghi e con i luoghi è una sorta di “musicoterapia” urbana. Si pensi alle enormi ricadute che lo sviluppo di questi intrecci tra musiche e luoghi potrebbe avere non solo nel migliorare la qualità della vita dei cittadini residenti, ma nel generare e attrarre flussi di turismo culturale e consapevole. Si pensi a tutti quei contenitori musicalmente “altri” - dalle aree industriali dismesse, alle stazioni ferroviarie, agli aeroporti – che potrebbero arricchire la trama dei luoghi delle musiche, stimolare nuove idee e nuovi pubblici. La musica fa memoria e racconto del luogo, mentre vi sono luoghi – le biblioteche, gli archivi, i musei - che conservano la memoria musicale facendo racconto della storia della città. Memorie dei luoghi e luoghi delle memorie danno forma a un patrimonio culturale di immenso valore che la città della musica deve poter tutelare e valorizzare nella misura in cui ne va un po’ della sua stessa anima e del suo futuro. Il rapporto che la città intrattiene con gli spazi e con i luoghi della musica si svolge su una molteplicità di piani e solleva problematiche assai diverse tra loro: dall’accessibilità, idoneità e qualità degli spazi al senso e alla valorizzazione dei luoghi e dei patrimoni. Si può ben dire che spazi e luoghi costituiscano una dimensione trasversale della città della musica e un asse strategico del suo sviluppo. Promuovere la diffusione delle culture e delle pratiche musicali significa per tanti versi fare infrastrutturazione e qualità del territorio. In fondo è nella cura degli spazi e dei luoghi che si creano le condizioni primarie della città della musica: quelle che la fanno essere una città dell’ascolto. 90 7. Educare alla musica Nel corso di questo capitolo presenteremo le considerazioni emerse riguardo il sistema della formazione musicale. Avendo coinvolto professionisti che si occupano a vario titolo di musica, parte delle interviste sono state condotte anche con educatori, con esperti che pianificano e organizzano percorsi di formazione legati a questo mondo. Sebbene riflessioni sul tema dell’educazione musicale siano emerse anche in altri colloqui, nel corso del capitolo faremo principalmente riferimento alle voci autorevoli di chi vive da vicino la realtà della formazione musicale. L’analfabetismo musicale: una questione tutta italiana Nei precedenti capitoli abbiamo sottolineato come un fattore determinante per la domanda di musica dal vivo sia il livello di conoscenza musicale - a Milano, come nel resto d’Italia. Riportiamo un esempio emblematico citato da un intervistato, il direttore artistico della Società dei Concerti, che a nostro avviso fotografa perfettamente la situazione italiana. “Parlavo con un amico violinista russo che vive in Italia da ormai quasi vent’anni e mi ha detto che è tornato in Russia un paio di anni fa, ha fatto un paio di concerti, tutto esaurito, 2000 persone ad ascoltarlo e mi ha detto ‘ho capito qual è la differenza. Il tassista che mi ha portato dall’hotel alla sala da concerto aveva studiato 8 anni violino’…”. Nonostante una ricca tradizione che vede nomi di grandi compositori riconosciuti unanimemente come le voci più autorevoli della musica classica, l’Italia oggi non sembra più in grado di mantenere una fama internazionale per ciò che concerne la produzione e la composizione di testi musicali. E questo, nell’opinione dei nostri intervistati, dipende essenzialmente da alcuni problemi strutturali dell’educazione musicale italiana: una pianificazione del percorso formativo che parte dalle scuole medie e non prima, come invece accade in altri paesi; uno scarso sostegno a iniziative scolastiche che siano occasione di aggregazione ma anche di formazione professionale per giovani talenti musicali, parte integrante di un percorso di specializzazione; una scelta normativa di regolamentazione dei conservatori che ha – per lo meno in questa prima fase – penalizzato la formazione musicale di primo livello. Proviamo a riprendere ciascun punto per andare maggiormente in profondità attraverso le testimonianze dirette di chi lavora nell’ambito della formazione. Il percorso educativo che riguarda l’acquisizione dei rudimenti di musica – banalmente le sette note e il pentagramma – avviene solo a partire dalle scuole primarie e non dalla prima infanzia, impedendo che si instauri un “legame” formativo ed affettivo con la disciplina. 91 Lucia Sacco: “Nella scuola media si accolgono bambini analfabeti musicali, perché fanno poco alle elementari, e quindi il lavoro dell’insegnane di musica è davvero stressante, per cui si deve partire da zero”. La percezione comune è che l’educazione musicale sia ridotta a materia ancillare, associata a un momento ricreativo più che formativo, limitata a un incontro di due ore per settimana. È evidente che una simile situazione penalizza la predisposizione verso la musica, non solo all’interno di un percorso formativo/educativo, ma anche rispetto alla vita quotidiana dei giovani. Davide Anzaghi: “Bisogna dire che la situazione italiana è davvero disastrosa. Mediamente, un cittadino italiano non ha alcuna remora a comunicare che è musicalmente analfabeta. Ebbene, in alcune nazioni europee la dichiarazione di analfabetismo musicale è quasi paragonabile alla comunicazione dell'analfabetismo verbale e della scrittura. Cioè, mentre lei mi guarderebbe con sospetto se dichiarassi di non saper leggere o scrivere, tutti accettiamo come fatto comune che non si sappia leggere la musica”. L’accostamento del bambino alla musica avviene solo dopo gli undici anni e spesso si limita ai due anni successivi. Alcuni istituti prevedono dei percorsi mirati che rappresentano però sporadiche iniziative portate avanti dalla volontà di singoli dirigenti scolastici. Dunque, il bambino ha una possibilità veramente limitata di familiarizzare con il linguaggio della musica, con uno strumento, con l’ascolto, con tutto ciò che concerne la storia e la tradizione della musica italiana e straniera. Luca Garlaschelli: “I nostri legislatori non hanno mai posto le basi per la crescita della cultura musicale degli italiani, al contrario di quello che è successo negli altri paesi. Noi abbiamo ragazzi in balìa della musica commerciale. Il problema è che questi non hanno mai ascoltato Bach e nessuno gli ha mai spiegato chi sono Bach o Louis Armstrong. Io ho insegnato per tanti anni e posso assicurare che i ragazzi quando vengono a contatto con i generi musicali che vanno al di là del genere superficiale e becero, si interessano. Devono quindi avere soltanto qualcuno che li guidi”. Abbiamo detto che spesso le iniziative riguardanti la musica sono il risultato della volontà di singoli, siano essi dirigenti scolastici o insegnanti volenterosi, e si tratta in quasi tutti i casi di attività extra scolastiche dispendiose a carico dei bilanci della scuola. Questo fa sì che tali proposte siano quasi del tutto assenti in molte realtà scolastiche e la situazione è ancora più drastica mano a mano che ci si approssima ai livelli più alti di istruzione. La valorizzazione della musica, come attività formativa, infatti, passa anche attraverso la costituzione di momenti di aggregazione che abbiano al centro la musica. Ne sono un esempio le orchestre giovanili universitarie, esperienze consolidate all’interno di molti atenei internazionali, praticamente assenti nel caso dell’Italia. Dunque, la musica è trascurata tanto nelle scuole dell’obbligo quanto nelle università, come ci ricorda, portandoci ad esempio la sua diretta esperienza, Alfio Bosatra, direttore dell’Orchestra dell’Università degli Studi di Milano, un’orchestra giovanile universitaria che rappresenta un caso unico nella realtà non solo milanese ma anche italiana. “Nelle università italiane non esiste una tradizione di orchestre universitarie o di struttura dell’insegnamento della musica, non esiste una tradizione di pratica della musica nelle università. La tradizione italiana è che nelle università si studia la musica, storia della musica, critica musicale, filologia musicale, ma l’insegnamento della pratica musicale è affidato ai conservatori. Quindi una consuetudine formativa che registra l’assenza non totale ma significativa di “pratica” all’interno delle università italiane, diversamente da 92 quanto accade nelle università tedesche o in quelle del nord America. In questi paesi è diffusissima l’esistenza di un gruppo musicale all’interno dell’ateneo, che coinvolge gli studenti e i docenti, così come è normale la presenza di attività sportive che rappresentano gli atenei – in Italia non esiste una tradizione di questo genere”. Più volte il nostro intervistato ha sottolineato la profonda “distanza” culturale e politica dell’Italia rispetto ad altri paesi europei, dove è del tutto normale stimolare i giovani a partecipare ad orchestre musicali sin dalla formazione primaria, per seguirli fino all’università. Il valore della musica è tale per cui sono in palio premi di studio nelle scuole e negli atenei per sostenere gli studenti talentuosi nel proseguimento tanto del loro percorso formativo accademico quanto di quello musicale. Una realtà impensabile per l’Italia, oggi addirittura resa impossibile dalla riforma. “E’ accaduto che tre quattro anni fa la riforma universitaria ha cambiato lo scenario rispetto al nostro tipo di attività in maniera sostanziale: i conservatori sono stati elevati a status di università e quindi sono usciti da quell’angolo in cui per decenni sono rimasti, una specie di realtà parallela dal punto di vista degli studi dell’alta formazione in Italia. Inoltre, in Italia, c’è sempre stata una cesura tra gli studi musicali nel senso della pratica e dall’altra parte gli studi diciamo scientifici, che erano affidati all’università. Quattro anni fa la riforma ha cambiato completamente scenario, i conservatori così come le accademie di belle arti sono diventati università. Questo ha creato una serie di problemi al conservatorio… ma non mi soffermo. Quello che ci interessa è che con questo atto normativo ci siamo trovati nella situazione di non potere più beneficiare, diciamo così, di questo duplice ruolo degli studenti perché si è delineata l’incompatibilità, per cui uno studente non può essere contemporaneamente iscritto a un conservatorio e a una università. In questa maniera noi potremmo dire che c’è stato tolto il terreno sotto i piedi, perché quello che è stato lo scenario che ha consentito la nascita di questa orchestra con particolari peculiarità musicali a quel punto era completamente cambiato”. E arriviamo dunque all’ultimo punto. La nuova legge in materia di formazione musicale ha introdotto alcuni cambiamenti sostanziali che hanno influenzato il modo di pensare e programmare lo studio della musica. In primo luogo i conservatori sono stati equiparati alle università e ciò significa che seguire un percorso formativo musicale all’interno del conservatorio è oggi incompatibile con l’iscrizione ad altro percorso universitario. Ovviamente questa riforma ha “complicato” la posizione di molti studenti che praticavano in parallelo entrambi i percorsi di studi. E soprattutto ha reso definitivamente irrealizzabile il progetto dell’Università degli Studi di Milano per la costituzione di un’orchestra giovanile universitaria. Oggi questa orchestra ha mantenuto il proprio nome ma ha perso la sua connotazione accademica, essendo costretta ad accogliere giovani non necessariamente iscritti all’università e sicuramente non iscritti a entrambi i percorsi formativi – accademico e di conservatorio. Ma questo cambiamento ha richiesto anche un rapido adeguamento da parte degli stessi conservatori. Eugenia Buzzetti: “Bisognerebbe parlare dei conservatori e della loro riforma. Riforma molto attesa che si caldeggiava da parecchio tempo che però è stata fatta troppo frettolosamente. Per cui il risultato non è dei migliori. Praticamente con la riforma Moratti i conservatori da istituti professionali sono stati parificati alle università. Il problema è che in Italia ci sono oggi 76 conservatori quindi 76 università, 76 atenei di musica. Si può immaginare l’impatto della riforma… Si è fatto uno studio a livello numerico e ci si è resi conto che il conservatorio – ad esempio quello di Milano – avrebbe perso buona parte dei suoi allievi”. 93 Questo stravolgimento della situazione in ambito di formazione musicale ha avuto le sue ripercussioni nei processi organizzativi delle scuole e soprattutto ha generato un altro grande paradosso. Se da un lato, infatti, ha riqualificato la formazione musicale elevandola a percorso universitario, al pari di altri corsi di studio, dall’altro ha generato un “buco formativo” per chi iniziava il conservatorio in tenera età e seguiva parallelamente un altro percorso di studi. Ciò che si è verificato è stato un definitivo abbandono di quella fascia di giovanissimi che, dopo le medie, avevano la possibilità di coltivare la passione per uno strumento. Da un punto di vista strettamente normativo, questo aspetto è stato colmato dall’istituzione dei cosiddetti licei musicali, che rappresentano oggi il primo percorso formativo in Italia in cui la musica è presente come disciplina al pari di altre materie ritenute fondamentali per la cultura generale dello studente. Ma anche l’introduzione di questo elemento innovativo per la storia della scuola in Italia ha presentato delle difficoltà gestionali e operative da dover affrontare. Come nel caso dei percorsi universitari, anche per quelli relativi alla scuola secondaria superiore si è dovuto fare fronte alla difficoltà di gestire questo cambiamento, in termini di personale docente, spazi, programmazione dei percorsi formativi. Chi si occupa da vicino di educazione musicale mostra quindi un atteggiamento ambivalente verso la riforma, che ha segnato un cambiamento epocale del sistema scolastico musicale in Italia. Da un lato, si riconosce l’importanza di una legge che ha innescato un cambiamento non indifferente, da molto tempo atteso soprattutto dai professionisti del mondo della musica che desideravano vedere riconosciuto e legittimato un percorso di studi spesso faticoso e sicuramente molto impegnativo come lo studio di uno strumento. Dall’altro lato però, emergono delle malcelate perplessità sulla gestione pragmatica del cambiamento, che ha stravolto più che coinvolto istituzioni importanti e storiche, impostate su altri tipi di programmazione o gestione dei percorsi. Eccellenze milanesi Quello che abbiamo raccontato nel precedente paragrafo è una realtà che riguarda tutto il territorio nazionale e che dunque coinvolge Milano, città giuridicamente e geograficamente all’interno del territorio italiano. A questa situazione formativa e legislativa poco chiara e ancora in procinto di essere definita e declinata poi nei suoi aspetti pratici, si accosta la risposta della città, questa volta sì connotata sul piano territoriale. Lucia Sacco: “A Milano c'è tanto, è una delle città più ricche dal punto di vista di scuole di orientamento musicale, ci sono le Civiche, il Conservatorio, che sono di ottimo livello. Il Conservatorio fa anche dei corsi di perfezionamento, perchè si è reso conto che l’attuale ordinamento didattico dei conservatori è obsoleto rispetto alla richiesta attuale. Questo c'è. Ci sono anche concorsi, validi, mi viene in mente non so l'Umanitaria di Via Daverio, che fa una serie di concerti con i ragazzi”. Milano presenta, come già detto, una ricca tradizione musicale legata non soltanto agli spazi della musica – come il Teatro alla Scala, o ad eventi particolari, come i grandi concerti internazionali di ogni genere musicale – ma anche alla proposizione di talenti e di professionisti di elevatissime qualità. Claudio Formisano: “Noi in Italia abbiamo musicisti sempre migliori, perchè la volontà di crescere da questo punto di vista assolutamente c'è. Io giro il mondo tutto l'anno, ho anche un'attività di importatore e 94 distributore di strumenti musicali e quindi partecipo alle maggiori fiere internazionali alla ricerca di prodotti nuovi da inserire nel mio catalogo e sul mercato italiano. Ho occasione di vedere e sentire tantissimi artisti, in tutto il mondo. Devo dire che l'Italia non ha, da questo punto di vista, nulla da invidiare agli altri paesi. Abbiamo fior di artisti, i nostri ragazzi sono molto seri, quelli che studiano proprio per scegliere questo tipo di attività lo fanno in maniera assolutamente intensa e professionale. Anzi, spesso in altri paesi non conoscono la qualità dei nostri artisti e si meravigliano quando hanno l'occasione di vederli e ascoltarli”. Dal Conservatorio, come da altri poli milanesi d’eccellenza, sono uscite personalità di spicco che oggi si distinguono tanto nel panorama internazionale quanto in quello italiano. Accanto al Conservatorio vi sono le Scuole Civiche di Milano, anch’esse espressione di un grande fermento musicale della città e di una sensibilità storica di Milano verso la musica, che propongono percorsi formativi universitari di secondo livello, master ed altre iniziative, che sono il risultato di ricerche e studi occupazionali per rispondere alle esigenze del mercato. Eugenia Buzzetti: “I nostri studenti ci richiedono una formazione sempre più specializzata e di qualità. Noi facciamo spesso delle ricerche di mercato per capire quali aree del mercato professionale sono “vuote”, o scoperte dal punto di vista professionale. Vogliamo formare i professionisti del futuro”. Oltre ai percorsi più tradizionali, a iniziative musicali e spettacoli studiati per i propri studenti, le Scuole Civiche danno spazio da anni anche a strumenti e generi musicali meno legati alla tradizione musicale classica. Ne è un esempio il dipartimento di musica Jazz. Maurizio Franco:“Milano non è il Teatro alla Scala, anzi. Milano è tante cose. Per esempio una grande struttura, unica credo al mondo, una struttura comunale che è legata alla fondazione delle Scuole Civiche, legata alla musica. A Milano i Civici Corsi di jazz sono un dipartimento, una realtà che nasce dalla Civica Scuola di Musica che addirittura è di quasi 150 anni fa”. Anche la Scala accosta alle attività di mise en scene della musica in dei percorsi di formazione mirati per chi intende intraprendere la carriera di artista o di professionista del mondo dello spettacolo. Luisa Vinci: “L’Accademia nasce come fondazione nel 2001, distinta dal Teatro: originariamente questa parte formativa era all’interno del Teatro come direzione formazione scuola. In questi anni l’Accademia si è ingrandita fino a diventare una realtà unica a livello europeo con quattro dipartimenti che sono Musica, Danza, Palcoscenico e Management; quest’ultimo si occupa prevalentemente della ricerca di nuove figure professionali legate al mondo dello spettacolo – alla realtà del palcoscenico appunto’. Noi siamo l’esempio di una cultura quasi artigianale che rischia di perdersi… che si tramanda oralmente perché non esistono realtà come i laboratori Ansaldo dove si costruiscono le parrucche storiche o le utilenserie – spade e coltelli. Decorazioni e costumi sono un patrimonio unico che non troverà mai a New York. Noi come Accademia cerchiamo di tutelare e proteggere questo patrimonio, nel momento in cui creiamo certi corsi con una selezione rigorosa; oltretutto il numero delle classi è limitato sia perché non vogliamo creare disoccupati sia perché sul palco più di otto studenti non si possono muovere… vogliamo anche che sia garantita l’occupazione che ne segue e la qualità della preparazione dei nostri ragazzi in giro per il mondo”. 95 Infine, proprio perché la musica è parte della produzione culturale del paese e proprio perché muove un’industria culturale non indifferente, una risposta interessante alle esigenze del mercato musicale viene dal Master proposto dall’Università Cattolica del Sacro Cuore. Gianni Sibilla: “Il Master in Comunicazione Musicale esiste da 8 anni e nasce da un doppio tentativo. Uno è portare la musica pop nelle Università, perchè delle culture popolari l'Università si è sempre occupata poco, solo negli ultimi anni ha affrontato la televisione, il cinema, ma la musica è rimasta lì in un angolo. Quindi l'idea era quella di studiare la musica in Università. E l'altra idea era quella di spezzare un circolo vizioso, quello per cui chi lavora in determinati settori della musica lo fa o per conoscenze o per ereditarietà. Quindi creare un luogo di formazione, sia culturale che professionale, che permetta a nuove forze di entrare nel sistema musica”. Nonostante questa breve carrellata di alcune proposte formative più interessanti della città, che a nostro avviso confermano il suo essere al centro dello scenario italiano e internazionale per ciò che concerne l’educazione musicale, non mancano le note critiche. Oltre alle difficoltà connesse all’attuazione della riforma, vi sono alcuni aspetti pratico/operativi che riguardano strettamente la città di Milano. Primo fra tutti, l’allocazione delle risorse economiche per la formazione musicale. Quasi tutti gli intervistati lamentano una costante riduzione dei budget di spesa per le scuole che si occupano di educazione musicale, a fronte di una richiesta che rimane comunque presente e notevole. Luisa Vinci: “Giudico il sostegno delle istituzioni inadeguato rispetto innanzitutto al livello di eccellenza dell’offerta di questa scuola, rispetto a quello che siamo in grado di offrire ai nostri giovani che sono il patrimonio di domani…Non elevate rispetto a quella che dovrebbe essere l’addobbo – il corollario necessario logistico e tecnologico di una scuola di questo livello…e proprio perché ha al suo interno tantissime persone che vengono anche da fuori Milano dovrebbe cercare di avere dalle istituzioni quell’aiutino necessario per garantire l’ospitalità per queste persone”. Uno sguardo verso il futuro: essere un musicista domani Strettamente connesso al problema della formazione e della professionalizzazione di certe figure connesse al mondo dello spettacolo – e dunque alla musica – vi è l’effettiva spendibilità dei titoli nel mondo del lavoro. Il settore della musica, da alcuni intervistati definito come “inflazionato”, non lascia molto spazio ai giovani talenti che desiderano fare dello strumento la loro attività principale. E questo ovviamente è un aspetto da considerare. Abbiamo citato prima il caso delle Scuole Civiche e di altre realtà che si impegnano in studi di settore mirati per proporre percorsi finalizzati a una professionalizzazione effettivamente richiesta e spendibile nel mondo del lavoro. Ma questo spesso non basta: la scarsità di posti, infatti, aumenta i livelli di concorrenza tanto nazionali quanto internazionali. Maria Rosa Diaferia: “Assistiamo a un altro fenomeno: l'esterofilia accentuata, per cui il musicista "russeggiante" viene accolto...anche perché i musicisti dei paesi dell'est vengono generalmente per delle cifre assolutamente irrisorie. Giovani musicisti che pur di venire a suonare in Italia si accontentano di poco più della sussistenza. Questo danneggia un po' i nostri”. 96 Mancano le opportunità, dunque, e quando si concretizzano sono spesso situazioni precarie, non adeguatamente remunerate, non in grado di offrire garanzie per il futuro. E allora cosa significa oggi studiare musica per un domani? Purtroppo il panorama non è particolarmente confortante e le considerazioni che ci giungono da chi si occupa da vicino di formazione musicale mettono in evidenza soprattutto la passione nel mantenere vivi anche percorsi di studio artistici – oggi in parte penalizzati e penalizzanti – e l’importanza del talento, che sembra essere l’ingrediente più importante per crederci e riuscire. Meno presente è invece la certezza – oggi soprattutto travestita da speranza – di potere assicurare un futuro a chi intraprende percorsi di questo tipo. Concludiamo, dunque con una citazione, forse non particolarmente ottimistica che però a nostro avviso può servire da monito e provocazione verso quegli ambienti che potrebbero essere in grado di intervenire. Maria Rosa Diaferia: “Bisogna essere fortunati. Da parte di una giovane di talento bisogna che concorrano una serie di eventi fortunati perché poi venga effettivamente valorizzato come si deve. Trovare il docente giusto, vincere il concorso giusto in quel momento e non sempre chi vince un concorso trova la strada aperta per inserirsi nell'attività concertistica. Purtroppo hanno chiuso tante orchestre, altre come sappiamo e leggiamo sui quotidiani milanesi hanno vita difficile, come la Verdi, per cui è molto difficile inserirsi…E i nostri giovani cervelli musicali sono costretti a fuggire all’estero. Un giovane che cerca di inserirsi, non dico con un lavoro stabile ma che dia almeno qualche garanzia, difficilmente in Italia trova lo spazio necessario”. 97 98 8. Reti e non reti Questo capitolo è dedicato a uno dei temi più delicati emersi nel corso delle nostre interviste e a cui si è fatto cenno sin all’inizio di questa seconda parte del Rapporto: l’esistenza o meno di un vero e proprio “sistema della musica” a Milano. Esso riprende aspetti in parte già trattati nel capitolo 5, nel quale è emerso, in particolare, un rilevante problema di coordinamento dell’offerta di spettacoli musicali dal vivo. Le nostre riflessioni, dunque, partiranno dalle osservazioni raccolte sulla realtà del mondo della musica milanese, inteso come circuito in grado di fornire una rete di contatti e di scambi fra vari soggetti e artisti che si occupano di “farla” e produrla. Proveremo inoltre a riflettere sul senso e sul valore delle contaminazioni tra settori artistici e non, per coglierne il carattere culturale e le potenzialità di possibili sviluppi futuri. Infine, affronteremo il gravoso problema, già accennato in altre parti del nostro lavoro, dei finanziamenti offerti dalle istituzioni alla musica, che sono in parte la prova del valore culturale riconosciuto a questa risorsa italiana e soprattutto, dal nostro punto di vista, cittadina. Concluderemo il capitolo con una riflessione generale sulla comunicazione intesa come attività strategica necessaria per la promozione di questo settore artistico, ed anche come potere stesso della musica, codice universale, linguaggio trasversale tra cultura e popoli. Il Sistema Musica: una rete a maglie troppo larghe Una delle metafore maggiormente utilizzate oggi nei più svariati campi e settori – e soprattutto all’interno del mondo della comunicazione di cui la musica può esserne considerata una parte – è il concetto di network. La produttività, lo scambio e la circolazione del sapere sono interamente affidati a contatti sinaptici tra nodi, più o meno grandi, che costituiscono la maglia di un sistema sociale/culturale globale, entro cui ciascun settore, ciascuna realtà geografica, ritaglia il suo piccolo mondo di contatti e di relazioni. La logica delle reti – che trova la sua massima espressione in Internet – risulta essere molto efficiente per la circolazione e lo scambio di conoscenza e per il potenziamento delle relazioni. Ci siamo dunque chiesti se anche dietro la fittissima offerta musicale di Milano vi fosse un’organizzazione reticolare, quanto questa fosse strutturata in modo efficiente e “consapevole”, ovvero realizzata secondo una precisa pianificazione “creativo/artistica”. È opinione condivisa da professionisti e operatori del mondo della musica che a Milano non esista alcun tipo di circuito tra i diversi soggetti, né tanto meno tra generi o tra professionisti. Iniziamo riportando la valutazione del Centro Sociale Barrio’s. “Diciamo che la rete sarebbe possibile ma non è esplicitata, esistono altre realtà come la nostra, ad esempio il centro Progetto Musica, che è gestito dal maestro Mussidda, ci sono altre realtà che sviluppano incroci tra sociale, privato e Comune. Ci sono le potenzialità. Il fatto che non ci sia una rete capillare che dia vita a un progetto vero e proprio mi fa dire che non c’è un vero e proprio circuito della musica”. Possiamo dunque dire che non esiste un vero e proprio “Sistema della Musica” cittadino, che sia trasversale alle realtà connesse a questa forma d’arte. 99 Sebbene Milano si sia sempre distinta per la qualità della produzione musicale – nel passato come oggi – e sebbene, come abbiamo più volte sottolineato nel Rapporto, non manchino gli esempi di iniziative di successo in termini di audience, purtroppo c’è ancora molto da fare sul fronte delle relazioni tra soggetti, del coordinamento tra singole realtà, in generale sulla costituzione di un network che catalizzi la ricchissima offerta per renderla veramente una programmazione “pensata” e “progettata” in forma condivisa, che diventi espressione di qualità e di distinzione per il tessuto urbano. Franco Fabbri: “Credo che i problemi della Scala siano stati abbastanza importanti. Quando la Scala ha problemi di soldi, di finanziamenti, ovviamente tenta di drenare tutte le risorse possibili e questo va a scapito delle altre istituzioni, per cui è difficile che possa esserci una vera collaborazione. Nel teatro - nonostante la presenza del Piccolo, che è paragonabile alla funzione che la Scala svolge nel sistema musicale - le istituzioni milanesi sono riuscite a promuovere degli accordi, come ad esempio ha fatto la Provincia con gli abbonamenti multiteatrali... Nella musica queste cose sono esistite negli anni settanta-ottanta. Ad esempio, “Musica nel nostro tempo” era stata un’occasione molto importante: è un po’ diciamo la storia che è partita da lì e che poi si è trasferita a Torino con “Settembre Musica”, che è poi ritornata attraverso MITO. Quindi l’idea che ci sia una manifestazione promossa da tante istituzioni tutte insieme, che collaborano e incoraggiano la nascita di un pubblico che cresce e che poi le frequenta tutte. Questo allora era stato possibile perchè c’era una grande concordia tra le istituzioni, era l’epoca in cui alla Scala c’era Abbado, c’era un forte interesse per la musica contemporanea e quindi lanciare una manifestazione di quel tipo con la collaborazione della Scala, del Conservatorio, dell’Angelicum, dei Pomeriggi Musicali, cioè di tutti i principali enti musicali milanesi, aveva formato un pubblico che circolava tra tutte queste istituzioni. Questa cosa si è poi spezzata e non si è più ricomposta”. Filippo Del Corno: “L’Orchestra Verdi, Pomeriggi Musicali, Milano Classica, Società del Quartetto, insomma sono le istituzioni musicali più importanti della città quelle che dovrebbero costituire questo famoso tessuto connettivo che secondo me manca… non c’è capacità propositiva di altre istituzioni, di una visione viva e innovativa della vita musicale che possa sostanziare per Milano l’epiteto di vera città della musica”. Carlo Peruchetti: “Manca completamente un coordinamento. Non si riesce nemmeno a fare delle riunioni per coordinare i programmi. E anche perchè gli enti locali questo lavoro non l'hanno mai fatto... e probabilmente non lo vogliono fare. Credo che questo porterebbe a un'economia di scala e forse anche a una riduzione dei costi. Io mi ricordo un anno che la stessa sinfonia di Mendelssohn che abbiamo fatto qui (al Teatro dal Verme) è stata fatta alla Verdi. Nessuno dice cosa fa, anzi cerca di nascondere come se fossero delle cose da tener nascoste, non lo so… C'è un altro problema. Essendo tutte istituzioni che hanno una programmazione annuale si punta soprattutto sugli abbonati, sulla fidelizzazione degli abbonati e quindi c'è un travaso da una istituzione all'altra di pubblico che è assolutamente minimo. Chi viene a sentire i concerti qui è difficile che vada a sentirne altri da un'altra parte. Ognuno ha il suo campicello. Invece potrebbero esserci delle sinergie, si potrebbero fare degli abbonamenti misti; che poi funzionino non lo so, però ci si prova almeno. Questa cosa a Torino la si fa”. Alcuni esempi dimostrano e hanno dimostrato che la presenza di connessioni e di relazioni tra soggetti e ambiti della musica può risultare molto proficua. Ci riferiamo al caso già citato e ampiamente affrontato del festival MITO, e anche ad altre iniziative come quelle promosse dalla “rete jazz” che ruota attorno al nucleo centrale costituito dall’associazione Musica Oggi. Se si va in profondità nella realtà di ciascun professionista si possono tuttavia scorgere delle proto formazioni reticolari che partono dalle iniziative del singolo e che pongono al centro, non tanto la reale professionalità di ciascuno, quanto piuttosto la sua reputazione. E’ quanto mette in evidenza un rappresentante dell’associazionismo culturale milanese. 100 “Esiste un tessuto che purtroppo dal mio punto di vista è molto, molto a fibre larghe, sì il tessuto c’è... io conosco più o meno tutti quelli che hanno un locale a Milano, magari uno lo conosco personalmente, uno di vista, uno per sentito dire – conosco un sacco di fonici , un sacco di direttori di produzione”. Possiamo dunque dire che la costituzione di un sistema della musica cittadina rappresenta sicuramente una necessità per un tessuto urbano così intensamente coinvolto da attività musicali come Milano, necessità che emerge a gran voce dalle riflessioni dei nostri intervistati. Luigi Corbani: “La collaborazione non annulla l’individualità delle singole istituzioni, io più che di coordinamento parlo di collaborazione per progetti, per iniziative, per programmazioni, che non può nascere dall’esterno perché diventa una cosa coatta. Una cosa imposta non è mai bella. Deve maturare una volontà delle istituzioni di collaborare di più. Noi per esempio dopo tanti anni abbiamo stabilito una collaborazione con il Teatro alla Scala, dopo anni di guerra, assolutamente priva di senso, quando invece si potrebbe, tra istituzioni musicali di vario genere, realizzare molte più cose nell’interesse della collettività”. Necessità che trova i suoi primi riscontri in questi tentativi individuali di consolidare contatti privilegiati, raffinare affinità elettive tra soggetti e professionisti del settore e che, nei casi in cui ciò si rende possibile, danno prova della sicura efficacia di un sistema strutturato. Dalle descrizioni raccolte, emerge piuttosto la visione di un mondo musicale milanese diffuso a macchia di leopardo, in cui spiccano grandi realtà di produzione ed espressione artistica, che fungono da poli attrattivi sotto molti punti di vista: di pubblico, di talenti, di risorse, di eventi. Ne è un esempio il teatro più famoso d’Italia, quello della Scala, oggetto di critiche quanto di lusinghe e riconoscimenti. Strutture come i grandi teatri o altri contesti, per usare un termine più generico possibile, possono diventare, oltre che poli di attrazione, anche “buchi neri”, ovvero vortici viziosi verso cui vengono canalizzati, non sempre a ragione, risorse e poteri a danno di soggetti più piccoli e meno visibili. “Musica e…”, le contaminazioni possibili Oltre alla metafora delle reti – e forse come sua diretta conseguenza – è molto frequente sentire parlare di “contaminazioni” di generi e produzioni. Anche il mondo della musica si apre a nuove forme espressive in cui il codice sonoro si integra con altri linguaggi, artistici e non, offrendo come risultato prodotti culturali di ultima generazione. Il focus del nostro lavoro rimane anche in questo caso la città di Milano. Ciò che emerge come elemento comune tra i nostri intervistati è l’assenza di vere e proprie contaminazioni virtuose, nonostante le potenzialità della città, dipinta sotto molti fronti come città della creatività39. Anche in questo caso possiamo considerare le contaminazioni tra generi musicali – interne al particolare linguaggio artistico oggetto del nostro studio – e quelle tra codici creativi differenti. La fusione tra generi musicali non è al centro della nostra riflessione perché la musica vi si presta per definizione, indipendentemente dal contesto geografico, già contribuendo, nel corso della storia, alla nascita di nuove forme ed espressioni, col tempo definite anch’essi generi musicali. Ciò nonostante alcuni artisti che vengono proprio dal genere più “contaminato”, il jazz, riconoscono a Milano le potenzialità per essere culla di un altro grande cambiamento epocale della musica. 39 Basti pensare all’ampio spazio che oggi hanno a Milano l’industria della moda e quella del design. Milano è anche la città delle grandi case editrici e delle case discografiche, a Milano risiedono artisti e scrittori di fama internazionale. La città ospita importanti mostre artistiche ed eventi di rilevanza internazionale in ambito culturale. 101 Franco D’Andrea: “Il jazz deriva da tre culture, in particolare dalla cultura africana occidentale: gli schiavi venivano portati da quella parte là nelle Americhe, e dalla cultura europea perché comunque il grosso dei coloni che andavano nell’America del Nord venivano dall’Inghilterra, dalla Scozia, dalla Germania, dall’Italia... un sacco di gente che veniva dall’Europa… questo avveniva in terra americana... quindi anche la cultura americana portava un contributo nuovo e fresco: ecco le tre progenitrici del jazz. La cultura americana scompaginava tutto perché non era riconducibile né alla cultura africana né a quella europea. Qui potrebbe accadere qualcosa di simile… Io posso solo procedere per induzione perché non sono un tuttologo ma sono andato molto in profondità per quello che riguarda la mia parte, ho fatto e faccio tantissime cose e posso dire, senza avere paura di smentita, che abbiamo delle ricchezze enormi, soprattutto per quanto riguarda il patrimonio africano. Abbiamo degli artisti molto validi che sono emigrati, sono venuti qui, costituiscono una realtà che bisognerebbe valorizzare di più. Poi naturalmente ci sono altre realtà, altre musiche… io però sono un jazzista e ho un occhio di riguardo per questo genere, perché poi li riconosco meglio e ne avverto la qualità... è molto interessante. E poi la gente … vedo una luce, non è una proiezione mia, li vedo danzare, questa cosa che accompagna la musica alla danza è una cosa molto importante per la cultura africana. Vedo soprattutto la contrapposizione con la nostra staticità e la nostra difficoltà a mettere in connessione la musica con lo spirito e con tutto il resto... per carità, ci sono altre culture che coniugano questi aspetti... però anche la cultura africana lo fa e noi europei per non estinguerci abbiamo bisogno di riappropriarci di questo rapporto tra corpo e anima”. La presenza di diverse etnie e dunque di diverse culture che trovano nella musica uno dei possibili codici espressivi, fa sì che la città possa divenire luogo fecondo per la nascita di nuovi generi, frutto appunto della contaminazione tra codici musicali differenti. L’esperienza già citata dell’Orchestra di via Padova ne costituisce solo un esempio. Ma molte altre potrebbero essere le collaborazioni tra artisti e dunque le commistioni di genere tra musicisti, codici e luoghi della musica. Per ciò che concerne i punti di contatto tra musica e altre forme artistiche possiamo dire che sono rarissime le occasioni in cui questo accade: a parte il caso del cinema, che riteniamo però decontestualizzato dalla realtà territoriale di Milano, la maggior parte degli intervistati fa fatica a ricordare o immaginare ambiti entro cui si è potuto raggiungere un contatto creativo tra musica e altri codici espressivi. Alcuni intervistati hanno citato il caso della moda, altri si sono soffermati su un piano, se vogliamo, più aulico come può essere il rapporto tra musica e arte. Ne è un esempio l’iniziativa di qualche tempo fa sviluppata dall’associazione “Norvugìa” e di cui racconta il suo presidente, Davide Anzaghi. “Novurgìa è nata nel '94. Anche in seguito a una disponibilità favorevole delle istituzioni, perchè già dal primo anno noi abbiamo avuto il sostegno dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, poi della Regione e della Provincia e infine anche del Ministero. La formula adottata da Novurgìa negli anni in cui ha beneficiato di contributi pubblici era quella di un'attività interdisciplinare, che concretamente consisteva nel proporre, intorno alle 20,30-21, un concerto seguito poi da una cena offerta nello studio di un pittore, di uno scultore, oppure in uno studio di video-art. Nel corso di questa cena, abbastanza informale, l'artista parlava della propria opera. Abbiamo visitato tutti gli studi milanesi più importanti, e non soltanto milanesi. Allora non era così diffusa questa contaminazione di più arti”. In altri casi descritti dai nostri testimoni la musica sembra relegata a ruolo ancillare, di supporto e accompagnamento di eventi che si focalizzano su altre forme espressive. È come se la musica, nel caso di commistioni con altri linguaggi artistici, non fosse in grado di ritagliarsi quel ruolo importante e di primo piano che le compete e che riveste in molte esperienze di partecipazione e di fruizione di eventi culturali. Il caso più comune nella città che viene definita della Moda è la commistione tra musica e sfilate o eventi mondani legati a questo settore. 102 Come suggerisce uno dei nostri intervistati, potremmo attribuire lo stesso potere evocativo a una scena di un film se questa non avesse un accompagnamento musicale? A questo proposito occorre citare un’iniziativa portata avanti ormai da anni a Milano e supportata da un ente territoriale come la Provincia di Milano: la rassegna Suoni e Visioni. Attraverso una programmazione distribuita sul territorio metropolitano, l’iniziativa si propone di coniugare l’esperienza uditiva a quella visiva, in un connubio che mette sullo stesso piano il potere evocativo e artistico dei due sensi. Marco Piccardi: “Suoni e Visioni è nata per l’appunto 18 anni fa - stiamo parlando del 1990 - la Provincia di Milano per lunghi anni aveva sostenuto una manifestazione più legata alla musica contemporanea che si chiamava “Musica del nostro tempo”, che poi per vari motivi storici ha chiuso. Ha pensato però ad una alternativa forse meno legata alla musica colta, anche se c’è qualche riferimento alla musica contemporanea, non intesa nel senso accademico, con maggiori contaminazioni con musica popolare, quindi il rock, il jazz, la musica etnica.: Ha una sua identità, perché si cerca sempre di dare delle testimonianze di musica legata alle immagini, il che significa musica per il cinema: sono stati frequenti i concerti di artisti che compongono colonne sonore per il cinema o, viceversa, di spettacoli multimediali dove all’aspetto prettamente musicale viene affiancata la proiezione di video o altro”. Per concludere, possiamo dire che il sentiero di punti di contatto tra generi musicali e tra musica e altre forme d’arte o d’espressione è ancora da percorrere e definire, per certi versi appare ancora inesplorato. Certamente Milano ha tutte le caratteristiche per diventare laboratorio sperimentale di esperienze di contatto tra culture, linguaggi e generi grazie alla ricchezza di talenti, al fermento culturale – sottolineato da diversi intervistati – a quel proto-cosmopolitismo che tuttavia la caratterizza oggi ancora in maniera confusa e poco integrata. Le istituzioni e la sensibilità musicale Non abbiamo lo spazio né le competenze per affrontare questo tema in maniera analitica. Quello che proporremo nelle prossime parti del paragrafo è più che altro una ricostruzione percettiva della realtà dei finanziamenti legati al mondo della musica e dunque del ruolo delle istituzioni come garanti dell’industria culturale cittadina, che ovviamente include anche la produzione e l’offerta musicale. Gli enti territoriali sono considerati poco attenti alla realtà del settore musica a Milano. Davide Anzaghi: “Non considerare la musica da parte della classe dirigente come un'occasione di crescita culturale mi sembra un gravissimo errore, che si spiega soltanto con una enorme ignoranza e analfabetismo. Altrove si investe, sapendo di investire in un bene comune”. In alcuni casi si parla di un’attenzione selettiva, rivolta solo ai poli culturali riconosciuti come di rilevante importanza per il territorio. È il caso ancora una volta della più volte citata Scala di Milano e di pochi altri contesti, seppur con una ricca tradizione alle spalle. Luca Garlaschelli: “Il problema è che finchè le poche risorse che esistono a livello nazionale vengono spese soltanto per tenere in piedi dei grossissimi baracconi, chiaramente non c'è spazio per gli altri. Stiamo quindi lottando per avere una legge sulla musica che dia a tutti le stesse possibilità. Questo vuol dire che gli organizzatori, indipendentemente dal genere di musica che fanno, hanno il diritto di attingere e di essere 103 aiutati. Chiaramente questo scardinerebbe il sistema di privilegi, che è estremamente negativo anche per loro stessi, perchè poi la verità è che se tu sei privilegiato non cresci perchè intanto hai tutto. Se ci fosse una distribuzione della spesa fatta con criteri di ragionevolezza e di rendimento, basata sul rapporto qualità/ prezzo, tutti i generi musicali, anche il jazz o la musica etnica, il folk, il rock non commerciale, potrebbero crescere e avere spazio. Se abbiamo 100 e 98 viene speso per la lirica otteniamo delle brutture, che sono ad esempio il fatto che i nostri direttori di orchestra in Italia guadagnano dieci volte di più di quello che guadagnano all'estero, perchè esiste un mercato drogato. Questa è la verità”. Le principali critiche sul sistema dei finanziamenti riguardano essenzialmente alcuni aspetti, in primo luogo, la loro distribuzione “a pioggia”: quasi tutti gli intervistati convengono sul fatto che la distribuzione delle risorse economiche avviene secondo un criterio di finta equità distributiva, che concede “fette” più consistenti a pochi soggetti e ripartizioni di egual misura tra i rimanenti. Davide Anzaghi: “Io credo innanzitutto che una distribuzione più razionale dei pochi contributi pubblici sarebbe opportuna… A parer nostro, visto che non è toccato solo a noi e quindi non è un'attitudine paranoide, sono stati tagliati i contributi a tutte le piccole associazioni, quelle che facevano promozione di cose non note”. In secondo luogo, la mancanza di un’effettiva verifica sulla qualità di proposte musicali in grado di orientare finanziamenti per l’anno o gli anni successivi; strettamente collegata al criterio precedente vi è quindi l’assenza di adeguati controlli sul reale impiego dei fondi stanziati. Le società e associazioni più piccole lamentano soprattutto la difficoltà di dimostrare il valore artistico della propria programmazione musicale, al fine di ottenere maggiore spazio – e dunque maggiore opportunità in termini economici – per le proprie iniziative. Gianni Bombaci: “Da parte istituzionale c’è un prevalere dei finanziamenti un po’ a pioggia e io considero questo un grosso errore… cioè quel poco che resta dalla Scala, il resto per evitare di avere insoddisfazioni, la scelta che si fa è quella di dare un po’ a tutti. Dopodichè le risorse sono limitate, specialmente nella situazione di crisi economica che attraversiamo, e questi soldi prescindono dalla qualità, dalla novità, dalla ricerca… ovviamente un’associazione che ha in primo luogo la ricerca musicale ha delle difficoltà”. Una delle proposte possibili per risolvere questo empasse potrebbe risiedere proprio in un’attenta verifica dei risultati raggiunti, del potere partecipativo degli eventi proposti, dell’effettiva qualità delle stagioni “messe in scena”. Tutto ciò oggi manca. Maurizio Franco: “Perché nessuno viene mai a controllare cosa succede nelle rassegne? È giusto dare a tutti la possibilità di lavorare, ma in Francia i funzionari ministeriali o comunali vanno a vedere cosa succede, se un concerto è organizzato bene, se produce realmente cultura. In questo modo, l’anno successivo si possono ridurre o aumentare i contributi alle iniziative, premiando chi lavora bene. Queste sono cose che sarebbe logico fare e per questo da anni aspetto che qualcuno venga a controllare quello che facciamo perché so che comunque vada vedrà un’iniziativa ben organizzata”. Viene inoltre evidenziata, in generale, la ristrettezza dei contributi riservati all’arte, in modo particolare alla musica: pur coscienti della situazione economica in cui versa il paese, gli operatori del settore musicale notano una specifica tendenza a ridurre gli investimenti sulla cultura, in special 104 modo sulle proposte musicali, a discapito dell’offerta artistica delle città. Questo viene spesso considerato come prova della scarsa sensibilità delle istituzioni nei confronti delle forme d’arte. Si sottolinea infine la forte burocratizzazione del sistema musica, a Milano come nel resto d’Italia, e la scarsa capacità delle istituzioni locali di snellire la regolamentazione nel tessuto cittadino: i professionisti della musica manifestano il disagio nei confronti di una situazione normativa obsoleta e pedante, che non riguarda solo la forte penalizzazione economica dei compensi – determinata da un aggravio fiscale non indifferente – ma che interviene pesantemente sulla gestione delle performance dal vivo. I costi da sostenere per un concerto – inteso come esibizione dal vivo – sono elevati, tanto per il gestore del locale che ospita, quanto per il professionista: questo ovviamente disincentiva molto. Non mancano in merito le proposte che alcuni artisti troverebbero utili grazie a un intervento delle istituzioni. Tito Mangialajo: “Per chi organizza, dare più spazio a tutti, non sempre ai soliti noti e magari a livello politico: suggerirei ai politici milanesi di cominciare a fare pressione affinchè si defiscalizzino certe realtà per dare maggiore spazio alla musica dal vivo, per esempio eliminando l’obbligatorietà della SIAE in posti come il nostro, perché alla fine quei soldi non vanno all’artista che suona, quei soldi vanno alla SIAE, vanno in un calderone generale”. La piccola panoramica delle controverse relazioni tra musica ed istituzioni è prova di una situazione ambivalente in cui le istituzioni sono in grado di essere protagoniste, a fianco e a sostegno del mondo della musica per particolari iniziative, ad esempio la rassegna Suoni e Visioni, MITO o Musiche dal cielo. Rassegne seguite dal pubblico ed entrate – o destinate a farlo – negli appuntamenti tradizionali della città. D’altro canto, si percepisce una scarsa attenzione verso la distribuzione delle risorse, il sostegno all’innovazione, il supporto a iniziative originali o, come nel caso dell’Associazione Barabàn, legate alla tradizione culturale e alla storia della città e del territorio. Abbiamo già detto che i nostri intervistati sono stati spesso propositori di idee anche interessanti per una “riconciliazione” a 360 gradi tra la Musica – con la M maiuscola - e la Città, e fra queste ha trovato un certo consenso l’ipotesi di creare un confronto, di instaurare un canale di dialogo da attivare per lo scambio e il reciproco ascolto. Gianni Sibilla: “Una delle costanti del sistema musica è sempre stata l'incapacità di darsi una regia. E l'altra costante è l'incapacità di fare lobby. Il sistema musica non è mai stato capace di fare lobby presso le istituzioni, non è capace di farsi ascoltare - o meglio, si fa ascoltare ma poi non ottiene nulla. Quindi la mancanza di una regia istituzionale strettamente correlata all'incapacità del sistema musica di auto promuoversi”. Comunicare la città della musica Abbiamo detto che la musica a Milano è presente soprattutto attraverso eventi che abbracciano diversi generi musicali e che diventano la principale forma di “fare musica” in città. Per questo motivo il discorso fin qui sviluppato – sull’esistenza o meno del sistema musicacittadino – si intreccia con una riflessione più trasversale, connessa al rapporto tra musica e comunicazione. Attraverso le osservazioni raccolte tra gli intervistati abbiamo individuato alcuni nodi critici di questo complesso rapporto tra mondo della musica e mondo della comunicazione, che possiamo 105 raggruppare in due sotto-temi: la promozione degli eventi musicali in senso stretto e lo spazio riservato alla musica nei media, vecchi e nuovi. Riguardo la promozione musicale cittadina, i professionisti che hanno presto parte alla nostra ricerca lamentano soprattutto l’assenza di una promozione programmata dell’offerta musicale nel suo complesso. Nicoletta Geron: “Non sono sicura che ci sia un posto come a Parigi o a Londra dove sai perfettamente dove e cosa andare a vedere…e dove rivolgerti… Forse il Comune dovrebbe essere più attento a divulgare materiale sulle proprie iniziative e comunque su tutta l’offerta musicale a Milano”. Il problema è strettamente connesso a quello dell’organizzazione dei contatti e delle sinergie interne al sistema musica, la cui assenza sicuramente non favorisce l’immagine di Milano intesa come metropoli in grado di offrire lo stesso tipo di proposta artistica e culturale di altre città europee. Il confronto con alcune delle grandi capitali della cultura e dunque anche della musica, come Parigi, Londra o Barcellona vede purtroppo Milano debole e in seconda linea. Manca dunque un “cartello unitario della musica”, che sia in grado di dare visibilità e il giusto peso alla varietà e alla qualità dell’offerta milanese, rendendola quindi maggiormente accessibile. In questo quadro, inevitabilmente, avranno più spazio le proposte più note e meno visibilità le piccole realtà che hanno minori budget di spesa da investire sulla comunicazione. Filippo Del Corno: “Un problema è la mancanza di strumenti promozionali, ognuno fa ciò che riesce con le proprie risorse: da un lato con 50 devi sempre riservare 20 alla promozione, quindi 30 diventa poco per produrre quanto si tenta di promuovere creando un forte impatto; allora si può usare 40 per produrre e rimane solo 10 per promuovere, ma è troppo poco rispetto a quanto si sta effettivamente producendo – questo tra produzione e promozione è un elastico che non riesce a stare in equilibrio, specialmente nelle piccole realtà come la nostra. Questo è il più grosso problema che abbiamo incontrato”. È evidente dunque che il tema della comunicazione della musica tocca, oltre al già citato problema della mancanza di un coordinamento reale e pensato, anche quello discusso nel precedente paragrafo delle risorse economiche, della gestione delle stesse e della capacità di utilizzarle per ritagliarsi adeguati “spazi di visibilità”. Questa riflessione, quindi, ci introduce al secondo aspetto che riguarda il rapporto tra comunicazione e musica e che riguarda il più ampio aspetto della presenza della cultura e in modo particolare della musica sui media sia territoriali che nazionali. In generale, gli intervistati ritengono che la stampa riservi poco spazio alla cultura e agli eventi musicali. Sia la free press che la stampa quotidiana tendono a dedicare poche pagine alle notizie di cultura e spettacolo; se lo fanno ritagliano particolari spazi in determinati periodi della settimana e con ampi margini riservati alle iniziative culturali e mondane più rilevanti, più che agli aventi musicali. E’ questo il quadro che emerge dalla testimonianza di un operatore del mondo dell’associazionismo culturale. “Non c’è abbastanza informazione sull’offerta musicale. Basta aprire la Repubblica o il Corriere della Sera in un giorno qualsiasi e vedi che la pagina degli spettacoli è due facciate e in mezzo a questa pagina c’è una fotografia, in alto hai uno spazio dedicato ai concerti interessanti che è di quattro, su tutta Milano e provincia; giri la pagina e vedi la pagina dei cinema, e vedi una pagina di pubblicità, una di programmazione in tutta Milano, e poi giri ancora e ci sono due pagine di programmazione in provincia di Milano... è un abisso… il quotidiano è l’esempio più facile perché è alla portata di tutti”. 106 Laddove poi l’evento musicale fa notizia – o potrebbe farla – si possono verificare quelle sovrapposizioni su cui ci siamo già soffermati, riducendo drasticamente le possibilità delle realtà più piccole. Alfio Bosatra: “Il problema della comunicazione si pone anche – e questo è un elemento, lo dico apertamente, di critica – da parte di coloro che sono professionalmente preposti a informare e cioè i giornalisti, i quali a mio pare mancano di coraggio: e io non so fino a che punto questo dipende dai giornalisti o dai capiredattori, diciamo dalla linea editoriale dei quotidiani. Ma i giornalisti hanno una scarsa predisposizione a parlare di qualcosa che non siano i soliti grandi artisti, i soliti grandi teatri... io credo che loro sotto questo aspetto dovrebbero avere un atteggiamento più aperto, da un punto di vista professionale… Alcuni intervistati, sono poi particolarmente critici sul potere di fare notizia di quegli eventi che riguardano la città. Maurizio Franco: “Un altro aspetto di grande negatività di Milano, ma non solo di Milano, è la difficoltà della stampa, soprattutto cittadina, di sostenere meglio le iniziative che non rientrano nella logica perversa del cosiddetto ‘grande evento’ e di non comprendere gli elementi di originalità che ci sono nella programmazione milanese. Questo avviene più per mancanza di competenza delle redazioni che non dei giornalisti specializzati; e poi occorre che qualcuno scriva più spesso sulle pagine nazionali intorno a quello che succede a Milano. Non è concepibile che se la nostra città ospita la prima di una tournée importante l’articolo compaia solo sulla pagina milanese, mentre se il giorno successivo l’evento tocca Roma ne parla il telegiornale: una cosa delirante, per cui sembra che a Roma nasca chissà cosa e poi invece è un prodotto di riporto. Il problema di Milano è quello di riuscire ad avere le prime pagine di giornali e telegiornali nazionali come le ha Roma o altre città. Avere il coraggio insomma di portare la nostra esperienza fuori, riuscire a far capire che qui di cose se fanno tantissime e che è un grande laboratorio, tra l’altro molto accogliente contrariamente ad altri. Perché è molto difficile per i musicisti italiani e anche milanesi andare a suonare nella altre città, Roma inclusa”. Milano viene quindi percepita dal mondo dei media come una città dove si dà poco spazio ad eventi culturali e musicali, soprattutto se confrontata con la capitale o con altre realtà cittadine che di fatto non hanno lo stessa capacità ricettiva di Milano ma sono notoriamente riconosciute come poli della musica. Questa riflessione vale tanto per la stampa quanto per la televisione. E questa diversa percezione della città di Milano – come di tutte le realtà che non sono riconosciute come Poli nazionali della cultura - a livello locale/regionale o nazionale è evidente proprio dal peso che viene dato alle notizie che riguardano la cultura e la musica da emittenti o giornali locali e da quelli nazionali. C’è anche chi ipotizza una possibile spiegazione. Maurizio Franco: “Quasi tutti i giornali nazionali sono romani a parte il Corriere. In questo senso è chiaro che sono portati a interessarsi di più a quello che gli sta intorno, è anche molto più comodo, chiunque farebbe così”. Un discorso a parte è ovviamente offerto dalla Rete. Lo abbiamo già detto in altre parti del nostro lavoro: Internet oggi può rappresentare un’opportunità interessante per chi si occupa di musica a vario titolo. E questo vale anche per la promozione. In generale, però, i nostri intervistati risultano essere poco “informati” sull’uso e sulla realtà degli ambienti digitali per la promozione musicale, a parte per i canali più istituzionali come ticket one. 107 Non si tratta di un ritardo da parte dei professionisti della musica, quanto del pubblico, soprattutto per particolari generi musicali. Se ovviamente il rock, il pop e i relativi locali e contesti dove questo tipo di musica viene proposto sono già presenti on-line e ne sfruttano tutto il potere comunicativo, altri generi come la musica classica e quella contemporanea hanno in genere un pubblico più maturo che ancora oggi preferisce informarsi ed essere informato attraverso canali più tradizionali. Nicoletta Geron: “Credo che le cose stiano anche cambiando perché in fondo Internet e i siti danno una certa possibilità di azione (promozionale) - ancora in maniera molto caotica – e credo che arriverà a puntualizzare e focalizzare molto più l’attenzione”. La Rete apre uno spiraglio di visibilità attraverso le logiche democratiche che la governano e soprattutto anche grazie ai contenuti ridotti della promozione digitale – che talvolta può essere condotta anche in forma quasi del tutto gratuita40. Un discorso a parte meriterebbe il modo di comunicare la musica: è una risorsa territoriale culturale oppure ha margini di interessi e di business anche all’interno di altri settori? Detto in altre parole, la musica potrebbe costituire, se opportunamente valorizzata, anche una risorsa per la promozione turistica della città? In altri parti d’Europa – basti pensare alla non lontana Francia – esistono circuiti turistici basati su proposte costruite attorno a eventi musicali a cui abbinare la visita della città ospitante. Pensando dunque alla musica come risorsa territoriale, possiamo immaginare –e questo fa parte dei suggerimenti proposti dai nostri intervistati – che essa possa costituire non solo un momento ricreativo artistico ma anche un elemento attrattivo turistico. Al momento questo vale soprattutto per una realtà dall’immagine forte e consolidata, in Italia come all’estero, come la Scala, ma potrebbe presto estendersi ad altri ambiti, se opportunamente promossi. Tutto questo è ovviamente possibile a fronte di un’adeguata comunicazione – locale, nazionale e internazionale – delle proposte musicali e, ancora di più, di un consolidamento – o meglio costituzione – di circuitazioni chiare e strutturate all’interno di un macro sistema chiamato “Mondo della musica” a Milano. Mettendo da parte queste interessanti proposte di sviluppo che meritano di essere valorizzate, vorremmo concludere questo paragrafo con una considerazione più ampia sul complesso rapporto tra musica e comunicazione. I contributi preziosi dei nostri intervistati mettono in evidenza che la comunicazione costituisce un’interessante ambito di intervento non solo per il sistema della musica in senso stretto – ovvero per la sua promozione e per una sua maggiore penetrazione nel tessuto cittadino – quanto più che altro come contesto di sperimentazione dell’efficacia e dell’efficienza di un ipotetico circuito della musica che, attraverso la sincronizzazione, l’organizzazione della comunicazione sugli eventi, può sperimentare canali, relazioni, rapporti e sinergie tra soggetti. 40 Si pensi alle risorse di ultima generazione come i social network e tutte le logiche che caratterizzano il social media marketing che mettono al centro la relazione, lo scambio di informazioni per “contagio” o passaparola. 108 9. Verso Expo 2015 Sin dalla prima Esposizione Universale di Londra del 1851, la musica ha sempre svolto un ruolo di primo piano nelle scenografie "mirabolanti" di questi grandi eventi mondiali della scienza, della tecnica, delle industrie, del lavoro e dei commerci. Ciò è accaduto anche nelle Esposizioni Nazionali, come quella di Milano del 1881, celebrativa del tunnel del San Gottardo, quando la Scala allestì il Ballo Excelsior, "un vero e proprio tripudio di colori e di danze per celebrare le grandi imprese del mondo industrializzato, vittorioso contro l'oscurantismo e la barbarie". 41 E presso il Conservatorio si trova ancora oggi una raccolta di strumenti musicali "esotici" donati dagli espositori di tutti i paesi che parteciparono a quella Esposizione. Erano gli anni in cui Milano si affermava nel mondo come centro dell'editoria musicale, specie attraverso l'impulso dato da quello straordinario imprenditore che fu Giovanni Ricordi. Maurizio Dehò: “Nel 1906 c'è stata la prima Expo a Milano, non è la prima quella che faremo nel 2015. Sembra che tra i vari padiglioni - allora non si facevano le costruzioni di oggi, c'erano dei tendoni, dalle parti dell'Arena - quello più visitato e con più grande successo fosse il padiglione ungherese, dove c'erano dei gitani che si esibivano, musicisti straordinari. Quindi questa musica gitana è nella nostre orecchie già da più di 100 anni”. Con l'Expo 2015 di certo si riverserà a Milano - nella fase preparatoria come nei sei mesi di durata dell'evento - tanta musica, proveniente da ogni angolo della terra. E non sarebbe forse male se queste musiche delle diverse tradizionali culturali del mondo fossero orientate a un'idea, a un progetto, a un percorso. Ma poi, finita la festa, cosa resterà alla città della musica? Tra le persone intervistate è diffuso il desiderio che l'Expo si traduca in un lascito duraturo e di alto valore simbolico. Agostina Laterza: "Il nuovo Expo dovrebbe secondo me recuperare quello spirito. La parte musicale era una delle parti culturali più importanti in un ambito che era di agricoltura e industria. La musica era fondamentale. Oggi, dal punto di vista industriale, sarebbe probabilmente più importante la parte della musica leggera. Ma guardi che i confini tra musica seria e musica leggera si stanno eliminando. Potrebbe essere l'occasione per fare qualcosa che in cinquant'anni non si è riusciti a fare, per creare delle strutture che restino come dei simboli della città". Leonardo Fiori: "Adesso qui dicono cretinamente che il segno simbolico è un grattacielo di duecento metri, ma sono segni simboli di un secolo e mezzo fa, che non ci interessano più. Il segno simbolico potrebbe essere proprio questo: città o palazzo della musica, che rimarrebbe nella città... Come è successo con l'Acquario Civico. Nel 1906 noi abbiamo avuto l'Expo mondiale e l'Acquario è l'unico edificio rimasto, oggi è un simbolo liberty di grande qualità rimasto come edificio simbolico di quel periodo. Quindi un palazzo della musica potrebbe essere l'edificio simbolico di Milano che questo Expo lascia, insieme ad altri simboli come il Museo del design". 41 Guido Salvetti, Suoni in Expo, in Classic Voice, n. 108, anno 2008, p. 29. 109 Il dopo dell'Expo, ossia il cosa rimane alla città, dipende strettamente dal prima dell'Expo, ossia da cosa la città progetta sin d'ora per essere destinato a rimanere. E' una questione di approcci, di scelte e di processi, oltre che ovviamente di risorse. Ma occorre soprattutto un disegno - che attualmente ancora non si vede - per evitare il rischio che ciascuno corra da sè, come paventa il direttore artistico della Fondazione I Pomeriggi Musicali. Carlo Peruchetti: "Non c'è nessun disegno, nessun intervento. Succederà come al solito che tutti vanno a cercare qualche cosa per loro stessi e quindi non verrà fuori nulla". Speriamo di no. Speriamo che la città della musica - nei suoi diversi attori pubblici e privati - sappia e voglia cogliere l'occasione dell'Expo per uscire dalla frammentazione che la caratterizza e fare sistema. Possibilmente intorno a un'idea forte, a qualcosa di non effimero, come spesso è successo e succede con i "grandi eventi", ma che s'incardini nel tessuto musicale cittadino, valorizzandone la creatività diffusa e rafforzandone la capacità di creare nuove offerte culturali. Una Expo insomma che non si limiti ad essere una "vetrina" musicale, per quanto ricca e interessante possa essere. E' una possibilità, non è detto che accada. Al di là delle opportunità "teoriche" legate all'Expo, anche negli altri suggerimenti raccolti in sede di intervista si ripropongono in buona sostanza i temi d'interesse già emersi nei paragrafi precedenti e che qui ci limitiamo in parte a riprendere sinteticamente. Le diverse componenti del sistema musica - dalle associazioni, alle case editrici, alle istituzioni musicali, ai singoli artisti - chiedono in primo luogo di avere maggiore attenzione da parte delle istituzioni pubbliche e di essere riconosciute per l'impegno e la qualità del lavoro che già svolgono, contando il più delle volte unicamente sulle proprie forze. E’ un valore che rivendica, ad esempio, il direttore dell’Orchestra dell’Università degli Studi di Milano. Alfio Bosatra:“La nostra orchestra non è nata da una operazione a tavolino da qualcuno che dice ho un po’ di soldi da investire e vediamo. Noi siamo nati da zero, non abbiamo chiesto a nessuno, siamo stati sostenuti dall’università principalmente e dalla Fondazione Cariplo, dico io per fortuna altrimenti avremmo già chiuso l’attività… Noi diciamo: quest’orchestra è una risorsa per la città, la città si trova un’orchestra come questa senza avere fatto alcuna fatica, noi chiediamo che le istituzioni riconoscano questo fatto, mettendo del loro perché altrimenti le orchestre ci mettono poco a morire”. Riconoscimento di un ruolo, di un impegno profuso negli anni, ma anche necessità di un sostegno tangibile da parte delle istituzioni pubbliche. E’ il problema dei finanziamenti pubblici, senza i quali la gran parte delle attività musicali meno remunerative sul piano del mercato - dalla musica colta a quella tradizionale – finirebbero semplicemente di vivere. Si sente spesso affermare, anche da parte dei politici, che la cultura costituisce un ambito strategico per lo sviluppo complessivo del nostro paese. Una nobile dichiarazione di intenti alla quale corrispondono comportamenti reali che vanno nella direzione opposta. Dal 2001 ad oggi i finanziamenti statali destinati all’ormai tristemente famoso FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) sono diminuiti del 40%, mentre la riduzione dei trasferimenti agli enti locali – ancora più importanti del FUS per la sopravvivenza delle iniziative radicate nel territorio – ha fatto il resto, con il risultato che diversi organismi musicali hanno cessato o contratto le loro attività.42 Tagli e sacrifici “dolorosi”, che nessuno in realtà vorrebbe fare, almeno a parole, ma che lo stato dei conti pubblici rende ineluttabili. 42 CIDIM, Il futuro senza musica, atti del convegno tenutosi all’Auditorium di Milano il 20.02.2006. 110 In questo quadro “luttuoso” di risorse pubbliche sempre più scarse diventa ancora più importante operare con maggiore trasparenza e tempestività, orientando i finanziamenti verso i progetti e le produzioni di maggiore qualità e riducendo i tempi burocratici connessi alle loro erogazioni. Ed evitando di favorire i “soliti noti”. Aurelio Citelli: “Il fatto è che si presta sempre attenzione ai soliti enti e quindi ai soliti tipi di musica che sono francamente diventati una cosa secondo me assurda. Perché se è giusto dare alla Scala quello che la Scala merita, però poi bisogna considerare che ci sono una serie di altre realtà che non hanno mai visto nulla… che non hanno sedi, che non hanno spazi, finanziamenti, che non hanno l’opportunità di essere considerate, di essere visibili”. Oltre che a migliorare e razionalizzare la distribuzione delle poche risorse esistenti, si potrebbe dar vita – come caldeggiano alcuni intervistati – ad un sistema di incentivi e agevolazioni volti soprattutto a favorire un maggiore accesso dei giovani agli spettacoli musicali dal vivo e alla formazione musicale, a sostenere la crescita dei nuovi talenti, a promuovere la diffusione delle pratiche amatoriali, a stimolare la qualità dell’offerta musicale dei locali. Ma occorre anche ricercare il maggior coinvolgimento dei privati – il cui “mecenatismo” musicale appare ancora tiepido -, ossia pensare ad un sistema di risorse fondato sul mix pubblico-privato, il che implica la capacità di fare rete tra i diversi soggetti (istituzioni pubbliche, fondazioni, privati, associazioni). All’operatore pubblico viene quindi richiesto di svolgere un ruolo di interfaccia “intelligente”, attivando le competenze necessarie. Gianni Bombaci: “Io penso a una specie di forum. Sarebbe interessantissimo se si riuscisse a fare per esempio gli stati generali della musica a Milano. Non però con retorica, non una processione di intenti o per fare vedere le cose belle che uno fa, ma una cosa seria, fatta bene, senza trascurare i settori piccoli”. Franco D’Andrea: “Vorrei aggiungere anche un’altra cosa. Vorrei dire che ci vuole anche un minimo di competenza, cioè ci vorrebbe che nelle commissioni che si occupano di queste cose qua ci fossero persone che sappiano, che siano esperti del mondo della musica, indipendentemente dal fattore politico”. Un altro tema che raccoglie diversi spunti propositivi riguarda il rafforzamento e il miglioramento dell’offerta di musica, facendo in modo che questa coinvolga tutti gli ambiti di vita della città, promuovendo sinergie, lanciando nuovi festival in una città che in fondo non ne ha molti, ibridando la musica con le altre espressioni artistiche. Luigi Corbani: “Bisogna creare altre città musicali in questa città, su tutto il mondo della musica. Una maggiore offerta musicale, una maggiore attenzione verso le iniziative che devono investire tutti i luoghi della vita cittadina, dalle università, alle scuole, ai teatri”. Tito Mangialajo: “Per esempio sono stato a Londra e a Londra si fa musica anche in posti che non sarebbero deputati alla musica, come i foyer dei teatri, o al museo, e ti trovi ad esempio il quartetto d’archi che ti fa della musica dal vivo di pomeriggio. Cercare di incentivare queste cose perché la musica sia un po’ ovunque”. Fiorano Rancati “La proposta sarebbe prima di tutto di fare una programmazione di un certo tipo all'interno degli spazi cittadini. Dei momenti di raccordo, che possono essere anche festivalieri, che siano momenti di scelta di cose nuove capaci di confrontarsi con quanto avviene. Non so, il modello se vuoi, in piccolo, è il festival Uovo che si occupa di teatro-danza e che fa lo sforzo di portare - per quello che può, perchè poi i mezzi sono limitati - una serie di sperimentazioni, gruppi scelti, che si inseriscono nella città e hanno ormai 111 un loro pubblico consolidato, ma nello stesso tempo sono anche un momento di interscambio tra operatori”. Claudio Formisano: “A Milano una volta, durante la Fiera di Milano, c'era una bellissima manifestazione che si chiamava Viva i Giovani, che era nata nel periodo in cui i gruppi musicali erano molto di moda. Secondo me rilanciare un Viva i Giovani - inteso come viviamo la musica bene, in modo positivo - sarebbe un'iniziativa che avrebbe successo”. Un’offerta maggiormente qualificata deve poi poter incontrare una domanda musicalmente più preparata. In un paese come l’Italia di “analfabeti musicali” – un’espressione ricorrente nei racconti degli intervistati – l’educazione musicale delle giovani generazioni rappresenta, insieme al problema dei finanziamenti, il nodo strategico più importante per il futuro della musica. La grande e annosa questione dell’educazione musicale nelle scuole primarie, ma anche secondarie, ha ovviamente una portata nazionale e chiama direttamente in causa l’azione del Governo, seppure in essa le autonomie locali giocano, e sempre più giocheranno, un ruolo di crescente importanza. E in effetti, negli ultimi anni, diverse iniziative promosse dagli enti locali e rivolte a favorire una migliore diffusione della cultura musicale nelle scuole hanno preso piede a Milano e in Lombardia. Ma occorre fare di più. Filippo Del Corno: “Facendo tesoro di alcune esperienze interessanti del nostro territorio come ad esempio le medie sperimentali a indirizzo musicale del territorio dell’interland oppure le scuole di musica per bambini presenti qui a Milano, alcune fatte molto bene, sarebbe interessante sviluppare il più possibile progetti musicali che siano in grado da un lato di insegnare ai bambini ad avere un rapporto con la musica che sia fattivo, concreto, imparare a cantare a suonare, a farlo insieme, a conoscere gli strumenti. E accanto a questo strumento più concreto uno strumento di apertura alla conoscenza dei repertori musicali, che non siano esclusivamente quelli passati attraverso i canali commerciali”. E’ emerso infine un aspetto di vitale importanza per lo sviluppo futuro della città della musica: la capacità di fare accoglienza e di svolgere un ruolo attivo nei circuiti internazionali. Milano deve diventare sempre più attrattiva e ospitale per i musicisti italiani e stranieri, affidando loro – tramite magari lo sviluppo delle “residenze artistiche” – la realizzazione di nuove opere musicali da eseguire poi in prima assoluta negli spazi cittadini. Allo stesso modo è necessario migliorare l’accoglienza per i giovani che da tutto il mondo vedono in Milano un polo di eccellenza della formazione musicale. L’internazionalizzazione di Milano città della musica implica il rafforzamento delle reti di relazioni e delle partnership con le altre città della musica sparse in Europa e nel mondo. Un po’ come succede per il sistema moda-design, esse danno luogo ad una sorta di “regione globale” della musica al cui interno Milano deve e può giocare un ruolo dinamico. Sotto questo profilo occorre capitalizzare il network di relazioni internazionali in cui la città è già inserita e nello stesso tempo ampliarlo verso nuove opportunità e direzioni. Francesca Colombo: ”Per fare un esempio, io proprio domani ho un incontro con il direttore generale del Proms di Londra, che è un festival di musica che ha 113 anni, con l'idea di creare dei progetti verso il 2015. Stiamo facendo lo stesso con la Germania, e anche a livello nazionale, con l'Accademia Santa Cecilia di Roma. Stiamo facendo un progetto di collaborazione molto importante con la Russia, con l'Inghilterra. Insomma, abbiamo seminato e continuiamo a seminare per rendere sempre più internazionale MITO. Quest'anno, nella seconda edizione, coinvolgiamo 33 paesi, ma già l'anno scorso erano stati 23. Mito nasce quindi con una forte apertura internazionale, che andrà rafforzata ulteriormente nei prossimi anni. Un fatto molto importante anche nella prospettiva dell'Expo”. 112 Fiorano Rancati: “Uno dei vantaggi del festival di San Lorenzo è di avere delle connessioni notevoli, siamo in una rete europea che comprende il Teatro de La Ville di Parigi, la Villette, la Maison des cultures du monde, le Palais des Beaux Arts, che sono tutte strutture che ci hanno dato una grossa mano quando il festival durava quindici giorni… Per cui abbiamo queste relazioni. Da lì bisognerebbe cercare di costruire un rapporto con la città un po' più saldo. Perchè l'interesse ci sarebbe”. Il responsabile del festival di world music Le Colonne di San Lorenzo aggiunge poi un’idea che sembra quasi pensata per Expo: “Ti rivelo una cosa che forse non avverrà, che però ha suscitato entusiasmo e quindi forse si farà, al Piccolo Teatro: sono gli Inni a Maria della tradizione cristiana e musulmana fatti dal coro ortodosso di Atene e dalle voci della Moschea di Omayaden. Una cosa meravigliosa”. Sulle strade di Expo passeranno tante culture, tante contaminazioni e innovazioni portate da una molteplicità di “carovane” in cammino da tutte le parti del mondo. Come nell’Esposizione del 1906, nei padiglioni risuoneranno ancora le splendide musiche tzigane verso le quali la città non sempre ha un orecchio attento. Expo è una straordinaria occasione per affermare la nuova identità multiculturale di Milano, città delle culture e delle musiche del mondo. 113 114 Sintesi e considerazioni conclusive Il sistema musica costituisce senza dubbio una componente rilevante del più ampio sistema culturale di una grande città come Milano, rappresentandone forse l’"industria" più importante. L'insieme dei dati e dei giudizi raccolti lungo il percorso di ricerca ci porta a dire che Milano può essere considerata - insieme a Roma e Torino - come uno dei principali poli musicali d'Italia se non, per diversi aspetti, come la "capitale musicale" del nostro Paese. Del resto l'industria nazionale della musica - con la figura di un imprenditore eccelso e innovateur come Giovanni Ricordi - è nata storicamente a Milano. L'importanza e il ruolo di Milano come città della musica non si esauriscono quindi nella sola dimensione locale. Milano può dare un contributo determinante alla crescita della cultura musicale dell'intero Paese, mettendo a disposizione e valorizzando le non indifferenti risorse di cui dispone, soprattutto in termini di capitale culturale e relazionale. Milano può essere insomma una città-laboratorio per tutto il sistema musica italiano, come spesso è stata anche nel passato recente. La musica è nelle passioni, nell'habitat e nell'economia della città. E' nel tessuto diffuso di oltre duecento associazioni che se ne prendono cura, facendola suonare ogni giorno, magari imprecando per i pochi e incerti finanziamenti pubblici su cui possono contare. E' nei talenti formati nelle sue scuole di eccellenza. E' nella memoria conservata negli archivi e nei luoghi che valorizza. E' nella buona vita che genera tra i cittadini. E' negli incontri delle culture, nelle contaminazioni che favorisce. E' nella società della conoscenza e nella qualità civile che alimenta. La città della musica è tante cose insieme, tutte importanti. Milano città della musica va ben oltre il Teatro alla Scala, da sempre suo fiore all'occhiello internazionale, ma anche, in qualche modo, una presenza-simbolo un po' troppo sotto i riflettori, troppo illuminata, e che per questo rischia di mettere in ombra tutto il resto. E a cui si aggiunge un altro oscuramento, ossia quello prodotto dalla città della moda. Ma in questo secondo caso la musica sembra anche pagare una sua sostanziale debolezza in termini di spinta innovativa e creativa, che invece è stata ed è alla base dello sviluppo e del successo del sistema moda-design milanese. Stretta un po' tra questi due potenti brand internazionali - uno interno e l'altro esterno – il sistema musica stenta ad avere una visibilità propria in quanto sistema, ad emergere sul piano della consapevolezza collettiva come un elemento forte dell’identità plurima di Milano. La città della musica ha quindi bisogno, in primo luogo, di essere riconosciuta nella sua globalità e nella sua molteplicità costituiva: di soggetti, di generi, di funzioni, di luoghi. Ha bisogno di una visione unitaria o "sistemica", capace cioè di stimolare connessioni e indurre lo sviluppo di nuove progettualità. La città della musica appare insomma come una città per certi versi ancora da fare, un obiettivo verso cui tendere. Lo sviluppo della città della musica pone diverse questioni puntuali, solleva domande e genera aspettative diffuse. Se c’è un settore “ricco” di problemi – e quindi anche di opportunità – è quello della musica. Alcuni di questi problemi (dall’educazione musicale, ai finanziamenti statali, alla mancanza 115 di una legge quadro sulla musica, agli aspetti fiscali e regolativi) chiamano direttamente in causa la politica nazionale e, pur impattando notevolmente nei contesti territoriali, superano in buona misura le possibilità di intervento dei localismi. Esistono però altri problemi, altrettanto importanti, la cui soluzione è invece sostanzialmente nelle mani degli attori locali. A questi dedichiamo quindi le nostre riflessioni conclusive, focalizzando l’attenzione sui nodi che ci sembrano di maggiore valenza strategica per il futuro di Milano città della musica. Nel fare questo teniamo soprattutto presenti i giudizi, i bisogni e i suggerimenti espressi dai protagonisti del sistema musicale milanese incontrati durante la ricerca. Si tratta in buona sostanza di riflettere e lavorare per “ricomporre” la città della musica attorno a quattro direttrici di fondo. Coordinare e riequilibrare l’offerta Lo abbiamo detto e ascoltato più volte: a Milano l’offerta di spettacoli musicali dal vivo è ampia, multigenere e molecolare, spesso di buona o elevata qualità, espressione di un tessuto istituzionale, associativo e artistico vivace e ben preparato. Un’offerta in alcuni casi giudicata sovrabbondante rispetto alle stesse capacità di “assorbimento” della domanda. Il problema maggiormente avvertito è qui la carenza di coordinamento tra i soggetti dell’offerta al fine di evitare il rischio di sovrapposizione temporale dei repertori e di consentire agli spettatori una migliore e più flessibile allocazione delle loro scelte (spesso poste davanti a perentori aut aut). Occorre superare la tendenza all’autoreferenzialità e al monadismo degli organismi dell’offerta, fare circuito almeno all’interno dei generi e, possibilmente, tra i diversi generi, rappresentando e agendo la città della musica come “circuito di circuiti”. Si tratta insomma di "fare sistema", di superare l'attuale frammentazione sviluppando approcci cooperativi. Lo ha fatto in parte Torino con la creazione, nell’ambito della musica classica, dell’associazione Sistema Musica, alla quale partecipano le principali istituzioni musicali e culturali della città, lo può forse fare anche Milano. Sarebbe certamente un gioco a sommatoria positiva per tutte le componenti della città della musica. Un seconda questione - posta dal mondo della musica classica e che ha notevoli ricadute sul piano dell’offerta e non solo – riguarda l’insufficiente dotazione di orchestre sinfoniche stabili della città, un deficit che caratterizza peraltro l’intero sistema sinfonico nazionale. Sotto questo profilo Milano si presenta come una città relativamente impoverita rispetto anche al suo recente passato e distante dalle altre capitali musicali europee. L'offerta di eventi musicali è molto ricca ma nello stesso tempo presenta dei vuoti e degli squilibri. La città della musica sembra infatti richiedere più festival tematici - scarsamente presenti a Milano e comunque troppo concentrati in pochi mesi dell'anno - e una maggiore attenzione a generi che hanno una ridotta visibilità, come la musica etnica, ancora poco valorizzata come una risorsa della città multietnica e multiculturale. L'offerta musicale milanese è oggi ulteriormente arricchita dal neonato festival internazionale MITO SettembreMusica, che per alcuni rappresenta un'occasione mancata, per altri una scelta discutibile, in quanto privilegia la logica del grande evento a scapito della dimensione quotidiana, per altri ancora un fatto decisamente positivo, che potrebbe tra l' altro costituire, se opportunamente orientato, quell'elemento di sintesi della vita musicale milanese di cui si avverte la mancanza. 116 Puntare di più sull'innovazione Nella città dell'innovazione e delle "imprese creative", l'offerta musicale prevalente appare decisamente orientata alla tradizione, ossia a tipi di proposte che si suppone meglio rispondenti ai gusti consolidati - vecchi e nuovi - dei diversi pubblici (della musica colta come di quella popular). Il noto prevale sull'ignoto, il sicuro sul rischioso, la routine sulla sperimentazione. Eppure quando le musiche nuove o intrecciate alle cosiddette performing arts (il teatro, la danza, la poesia, il visuale) o quelle che nascono dall’incontro delle diverse tradizioni culturali e religiose del mondo arrivano nei giusti modi, i pubblici apprezzano e partecipano, mostrando un grado di apertura e di intelligenza che l'offerta "normale", spesso, non intercetta o fatica a coltivare. Forse musiche e pubblici di nicchia, ma indispensabili per la diffusione di idee nuove che si muovono nella contemporaneità, nelle forme culturali molteplici indotte dai processi di globalizzazione. Esiste quindi un significativo spazio di crescita dell'innovazione che la città della musica deve poter fertilizzare e proporre come un segno culturale importante della sua modernità. E qui che possono nascere nuovi circuiti, nuove produzioni ed esplorazioni, nuovi talenti. Lo hanno fatto e lo fanno la moda e il design, lo può fare, con la sua straordinaria carica creativa e globale, la musica. Nuovi e spazi e nuovi luoghi La musica contribuisce a "fare la città" e la città, con i suoi spazi e luoghi, a "fare la musica". Un rapporto di interdipendenza che oggi si fa sempre più stringente, generando nuove domande e nuove possibilità. Dalle testimonianze raccolte emerge di frequente una vera e propria "questione spaziale", che riguarda trasversalmente la città della musica, toccandola in diversi punti. Essa designa l'esistenza di un rapporto tra musica e città non sempre facile e non sempre dispiegato. Per quanto riguarda la domanda di spazi funzionali si pongono principalmente le seguenti esigenze puntuali: - adeguare le dimensioni e la qualità degli spazi musicali alle caratteristiche delle diverse tipologie di offerta, rendendo quindi più virtuoso e coerente il rapporto tra la natura della proposta musicale, le condizioni del suo ascolto e i bisogni del pubblico. Sotto questo profilo la città della musica registra una carenza sia di spazi piccoli che di spazi intermedi; - affrontare e risolvere il problema dell'impatto acustico delle musiche amplificate, che pone spesso in conflitto il diritto al silenzio, rivendicato per lo più da minoranze di cittadini, con il diritto alla musica delle maggioranze, evidenziando in particolare la necessità di migliorare la infrastrutturazione della città della musica in termini di grandi spazi destinati ad ospitare i grandi eventi; - facilitare l'accesso dei gruppi musicali emergenti o amatoriali a sale prova dotate di idonei standard tecnici; - rendere maggiormente ospitale la città della musica aumentando e migliorando gli spazi di accoglienza rivolti in particolare ai giovani musicisti di tutto il mondo, che vedono in Milano un polo di eccellenza formativa; - dotare la città della musica, analogamente a quanto è successo in altre capitali europee, di un nuovo grande spazio polifunzionale concepito come un luogo a elevato valore simbolico della vita musicale e culturale di Milano. La città della musica non chiede soltanto nuovi spazi ma anche nuovi luoghi in cui potersi esprimere. Più propriamente qui entra in gioco il rapporto di valorizzazione reciproca tra il senso dei luoghi e il senso delle musiche o degli ascolti, ossia il senso dell'esperienza. La 117 musica - quando non è musica puramente accessoria - è ascolto del luogo e il luogo è ascolto della musica, come in una sorta di relazione empatica. La musica oggi tende a diffondersi al di fuori dei luoghi tradizionali ad essa deputati e a "consacrarne" di nuovi, diventando una componente pregnante dello spazio urbano. La musica aiuta a riscoprire la città, a guardarla con occhi nuovi, ad ascoltarla diversamente, a creare socialità e a fare magari nuovo "turismo". Non raramente la musica contribuisce a riqualificare i luoghi, a risanarne o alleviarne le ferite, togliendoli dall'abbandono e dall'isolamento. Vi sono poi altri luoghi – come gli archivi, le biblioteche, i musei - che conservano la memoria musicale della città, uno straordinario patrimonio che merita di essere meglio conosciuto e valorizzato. Per tutti questi bisogni e per tutte queste ragioni una politica della città musica è anche, se non forse soprattutto, una politica degli spazi e dei luoghi. Comunicare meglio la città della musica Il complesso e non facile rapporto tra musica e comunicazione si snoda attraverso due vie: la musica come soggetto della propria autorappresentazione e come oggetto della rappresentazione altrui, ovvero del sistema dei media. Sul primo versante, la città della musica sembra soffrire di una carenza di comunicazione integrata promossa dai suoi stessi attori al fine di rendere partecipe il pubblico della ricchezza e varietà dell'offerta musicale milanese. Manca insomma il "cartellone" unitario della città della musica rappresentata nelle sue diverse componenti, ossia quel coordinamento tra le istituzioni musicali a cui si è già fatto cenno. La comunicazione istituzionale rappresenta inoltre un fattore critico di grande importanza per la vita delle singole organizzazioni, che hanno il problema di rendersi visibili in un panorama culturale cittadino molto eterogeneo e affollato. Un secondo limite viene individuato nell' appiattimento dei media sui grandi eventi, il che conduce a una rappresentazione parziale se non distorta della città della musica, della quale si parla solo nella misura in cui "fa notizia". Milano sembra poi essere vittima particolare dell'"oscuramento" di una narrazione mediatica, che racconta poco e male la città della musica e della cultura. Rafforzare il tessuto musicale facendo sistema e cooperazione tra gli attori; incoraggiare l'innovazione e le contaminazioni culturali; rendere appropriati e moltiplicare gli spazi e i luoghi degli ascolti, anche in un ottica polifunzionale e multidisciplinare; rappresentare e comunicare la città della musica attraverso una visione unitaria e valorizzante. Queste emergono, dai racconti dei protagonisti, come le quattro principali sfide strategiche per una Milano che voglia diventare una vera città europea della musica. Tali sfide implicano la messa a punto di un impegno collettivo volto in buona sostanza a favorire processi di ricomposizione e qualificazione di un'offerta di per sè già ricca e variegata, ma ancora scarsamente sorretta e alimentata da circuiti virtuosi e da ibridazioni progettuali e innovative, in una città della musica dove ciascuno, fondamentalmente, "corre da solo". Superare questa condizione di "solitudine degli attori" appare come la premessa più importante. Il discorso, a questo punto, non può che cadere sul ruolo delle istituzioni pubbliche e sul problema dei finanziamenti. Alle prime viene richiesto di svolgere una funzione di accompagnamento e di facilitatore dei processi, nonchè di allocare le proprie risorse in modo trasparente e secondo criteri che privilegiano il valore e la qualità dei progetti. In un quadro di risorse pubbliche sempre più scarse (si pensi solo ai continui tagli operati negli ultimi anni 118 sul Fondo Unico dello Spettacolo e alla contrazione degli stessi trasferimenti agli enti locali), occorre peraltro ricercare e promuovere forme di coinvolgimento dei soggetti privati, ossia di collaborazione pubblico-privato, che risultano oggi del tutto indispensabili per conferire un respiro strategico allo sviluppo futuro della città della musica. Un'azione coordinata sull'offerta, di qualità e orientata a obiettivi ambiziosi, ha effetti positivi sulla domanda, generando in particolare la nascita di nuovi pubblici e di nuove modalità di fruizione dei fatti musicali. Ma la leva più importante rimane qui quella dell'educazione musicale delle giovani generazioni. E' un problema nazionale, la cui soluzione, come si è accennato, sopravanza di fatto la sfera d'azione delle istituzioni locali, anche se a queste vengono attribuite crescenti competenze. La città della musica milanese può contare in ogni caso sulla presenza di alcuni poli di eccellenza formativa e di un ricco tessuto di scuole di musica (in gran parte private, essendo pochissime quelle pubbliche). Essa detiene quindi risorse per favorire il più largo accesso a un bene pubblico e di "cittadinanza" come l'educazione musicale, che riveste un ruolo cruciale non solo nello sviluppo della città della musica ma anche, e in primo luogo, nella crescita complessiva - culturale, umana e civile - dei cittadini. Vogliamo concludere le nostre considerazioni facendo riferimento a un aspetto di rilevante importanza, ma che nella ricerca non ha potuto trovare uno spazio adeguato, essendo quindi meritevole di ulteriori approfondimenti: l' internazionalizzazione della città della musica. Un tema che la prospettiva di Expo 2015 rende ancora più strategico. Nella valutazione diffusa degli intervistati Milano non viene considerata "una città internazionale della musica", se non per un unico "nodo": il Teatro alla Scala. Ma un solo nodo non fa sistema, non fa città, specie se passa sopra la sua testa, come sorvolandola. Nei loro racconti di viaggiatori globali, l'effervescenza della scena musicale milanese appare piuttosto dimessa se paragonata a quella di città come Berlino, Londra, Amsterdam, Barcellona. Questo non significa assolutamente che Milano attragga pochi artisti internazionali. E' che nelle altre capitali europee la musica dal vivo sembra animare e mobilitare maggiormente gli spazi della città. Avere più spazi e più spazi diversi. Ma la domanda vera è: come si posiziona Milano nei circuiti internazionali della musica? In che misura costituisce un punto di riferimento importante per produzioni musicali fondate su scambi e partnership internazionali? La città del futuro sarà sempre più una città della cultura e quindi la valorizzazione e la promozione del suo capitale culturale – o meglio del suo global culturale - costituiranno una leva decisiva per poter competere con successo nello scenario internazionale. Milano ha certamente culture, competenze, giacimenti e connessioni per poter giocare un ruolo attivo nell’epoca della globalizzazione culturale. 119 120