progetto: in CaMMino Con la storia
Un altro itinerario
ARABO-NORMANNO
26 - 30 noVeMbre 2014
Mazara del Vallo
CastelVetrano
altofonte
palerMo
Cefalà diana
Cefalà diana
palerMo
altofonte
CastelVetrano
Mazara del Vallo
Fondazione Federico II EDITORE
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Particolare delle cupole della Chiesa di San Cataldo - Palermo.
Sullo sfondo il campanile della Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio - “Martorana”
Un patrimonio da scoprire
D
opo il successo ottenuto dagli eventi “Sulle orme di Federico”,
“Sulle tracce di Carlo V” e “Un’anima comune: viaggio nel go-
tico siculo-aragonese”, la Fondazione Federico II procede con un
interessantissimo viaggio nel cuore delle tematiche storico-artistiche dei siti arabo-normanni di nicchia, ma non meno importanti di
quelli più noti al pubblico della candidatura UNESCO come Patrimonio dell’Umanità.
“Un altro itinerario arabo-normanno” è un progetto che permetterà di avvicinare il pubblico ai siti arabo-normanni della Sicilia occidentale meno noti ed allo stesso tempo di comprenderne
l’importanza all’interno di un percorso che ne restituirà l’originaria collocazione all’interno di quello che rimane il periodo storico
di maggiore interesse per la convivenza multietnica nella terra di
Sicilia.
L’obbiettivo è quello di divulgare la conoscenza di luoghi poco
noti, ma di fondamentale importanza nello scacchiere del mondo
normanno, dove splendidi edifici venivano edificati oltre che per
ragioni di culto, difensive, civili ed amministrative, anche come incantevoli luoghi di svago per i sovrani, spesso dotati di giardini e
fontane, tutto a testimonianza delle note sinergie concesse dai normanni alle culture bizantina, araba e latina.
Questo piccolo volume è un perfetto vademecum per il primo
itinerario all’interno dei siti arabo-normanni visitabili dal 26 al 30
novembre 2014 grazie al progetto ideato e condotto dalla Fondazione Federico II, da inserire all’interno di un percorso di cui un
tempo furono tappe fondamentali.
Giovanni Ardizzone
Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana
e della Fondazione Federico II
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Chiesa di San di San Giovanni degli Eremiti - Palermo
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Un intinerario altro, non minore
C
i rimettiamo in cammino, per riscoprire un patrimonio stra-
ordinario di bellezze architettoniche e artistiche che solo con
un uso improprio e semplicistico del termine può essere definito
minore. Da Mazara del Vallo a Castelvetrano, da Altofonte a Cefalà
Diana a Palermo, visiteremo chiese, castelli, bagni termali, monumenti, lungo le tracce di un itinerario arabo-normanno che attraversa la Sicilia occidentale.
Lo facciamo mentre è ormai ufficiale la candidatura dell’“Itinerario arabo-normanno di Palermo e le Cattedrali di Cefalù e Monreale” come unica candidatura dell’Italia al riconoscimento di
Patrimonio mondiale dell’Unesco per il 2015. È una scelta.
L’occasione di avere il riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità deve essere colta dalla Sicilia intera, che nel periodo arabo-normanno e svevo ha avuto una delle stagioni di suo massimo
splendore e la cui eredità storico-artistica va ben al di là dei gioielli
palermitani.
Per questo il nostro itinerario lo definiamo altro e non minore.
Ancora una volta avremo come compagni di viaggio non solo
studiosi e storici dell’arte, ma soprattutto i docenti e i ragazzi delle
scuole e delle università, che hanno il compito di non disperdere la
storia e la memoria di una terra unica nel suo intreccio di culture,
tradizioni, religioni, civiltà. Ma lo facciamo anche con le amministrazioni comunali che, in questi tempi difficili di crisi finanziaria,
spesso hanno difficoltà a valorizzare e persino a curare e custodire
il principale “capitale” di cui dispongono i loro territori e le loro comunità: il patrimonio artistico, architettonico e ambientale. Naturalmente chiediamo a tutti i cittadini siciliani e ai turisti presenti
in Sicilia di partecipare e cogliere questa nuova occasione per arricchire le loro conoscenze dell’Isola più bella del Mediterraneo.
Francesco Forgione
Direttore Generale
della Fondazione Federico II
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Particolare delle absidi della Cattedrale di Palermo
Un altro itinerario ARABO-NORMANNO
È il terzo percorso del progetto In cammino con la storia, promosso
dalla Fondazione Federico II, con lo scopo di far conoscere tracce,
segni, architetture che hanno segnato la storia della Sicilia.
Abbiamo scelto di andare alla scoperta di luoghi, siti inediti, poco
conosciuti e a volte nascosti, per avvicinare alla storia culturale e
architettonica dell’Isola giovani, studenti, turisti e cittadini.
Questo terzo itinerario è dedicato alle costruzioni che prima la dominazione araba, poi quella normanna, ci hanno lasciato con testimonianze di grande pregio.
È un viaggio in alcuni luoghi non inseriti nella candidatura a Patrimonio dell’UNESCO, un percorso da Mazara del Vallo a Palermo,
alla ricerca di un altro itinerario di meraviglie e bellezze da scoprire.
PROGRAMMA
SITI APERTI AL PUBBLICO E VISITE DIDATTICHE PER LE SCUOLE,
TUTTE LE MATTINE DALLE ORE 9.00 ALLE ORE 13.00
Mercoledì 26 novembre
MAZARA DEL VALLO
ore 9.00-13.00,
Chiesa di San Nicolò Lo Regale;
ore 17.00, Teatro Garibaldi,
conferenza sulla presenza
arabo-normanna in Sicilia.
Giovedì 27 novembre
CASTELVETRANO
ore 9.00-13.00, Chiesa
della Santissima Trinità di Delia.
Venerdì 28 novembre
ALTOFONTE
ore 9.00-13.00, Cappella di San
Michele Arcangelo e tracce del
Palazzo di caccia di Ruggero II;
ore 17.00, salone parrocchiale
della Chiesa Madre,
presentazione
dei progetti di restauro
delle testimonianze arabonormanne presenti ad Altofonte.
Sabato 29 novembre
CEFALÀ DIANA
ore 9.00-13.00, Bagni termali Hammam.
PALERMO
ore 9.00-13.00, Torre Alfaina
e Piccola Cuba di Villa Napoli,
Castello della Favara “Maredolce”,
Palazzo dello Scibene.
Domenica 30 novembre - PALERMO
Trekking culturale: i siti nascosti arabo-normanni di Palermo;
partenza alle ore 9.00 da Palazzo Reale,
con la presentazione della candidatura a Patrimonio dell’Unesco;
in cammino per
la Chiesa di Santa Maria Maddalena,
la Cappella di Santa Maria dell’Incoronata,
la Chiesa di Santa Cristina la Vetere,
(Colazione a sacco nel giardino di Piazza Magione)
la Chiesa della Santissima Trinità - “Magione”,
il Ponte dell’Ammiraglio e la Chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi.
Un altro itinerario arabo-norManno
I Normanni e la gestione del potere
I
l periodo normanno in Sicilia fu in grado di anticipare canoni dai contenuti rinascimentali, con sovrani illuminati come Ruggero II d’Altavilla,
che anticiparono modelli d’avanguardia oltre che dal punto di vista
artistico anche da quello giuridico-burocratico.
La capacità di convivere pacificamente tra etnie e religioni diverse,
questione estremamente attuale, ci consente di osservare con interesse la
società multietnica del medioevo normanno in Sicilia, esempio unico
nella storia di quel periodo.
Ruggero d’Altavilla, fratello minore di Roberto il Guiscardo, fu un cavaliere normanno venuto in cerca di fortuna nel Mezzogiorno d’Italia; i
due Altavilla iniziarono la conquista della Sicilia da Messina nel 1061,
acquisendo Palermo nel
1072, sbaragliando le ultime resistenze musulmane intorno al 1091.
Ruggero II, nato dal
terzo matrimonio di
Ruggero gran conte di
Sicilia e di Calabria con
Adelasia del Vasto, venne incoronato primo Re
Normanno di Sicilia la
notte del 24 dicembre
del 1130. L’ingresso dei
normanni nella società
siciliana, ancora vincoParticolare delle muqarnas della Cappella Palatina di Palazzo Reale
lata al sistema politico
creato dagli arabi, avrebbe dovuto conformare la Sicilia ai tipici canoni
feudali occidentali, ma tale latinizzazione nel XII secolo non fu mai
capillare. Le pregevoli intuizioni di Ruggero II diedero vita ad una
società multietnica, con sinergie tra uomini d’intelletto e di cultura provenienti dal mondo bizantino, come il forbito Doxapatres, con raffinate
menti arabe come quella del geografo di corte al-Idrisi, noto scrittore del
libro di Ruggero. La capacità principale degli uomini di governo al
servizio dei re normanni fu quella di gestire in modo impeccabile le tematiche territoriali, aperti al dialogo al fine di evitare inutili conflitti.
Quanto oggi appare più eclatante è la capacità dei Normanni di metabolizzare le tradizioni ed il modus vivendi della società araba e di quella bizantina. Le due culture orientali divennero le fondamenta del sistema
monarchico assoluto dei Normanni, capace di alienare dalla gestione del
regno la cultura feudale del tempo, per concedere al sovrano dal punto di
vista religioso, grazie alla Apostolica legazia, la possibilità di gestire gli incarichi episcopali, i patrimoni delle diocesi e l'istituzione di metropolie.
Il più noto simbolo di tale sintesi culturale è la Cappella Palatina del
Palazzo Reale di Palermo, dove la struttura basilicale delle navate di
matrice occidentale, i mosaici ed il presbiterio bizantini ed il soffitto a
muqarnas lavorato e decorato da maestranze arabe, costituiscono uno
tra i più grandi patrimoni dell’umanità mai giunto fino ai nostri giorni.
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Un altro itinerario arabo-norManno
L’architettura nella Sicilia normanna
G
iunti nel meridione d’Italia come guerrieri e mercenari, i Normanni
riuscirono progressivamente ad imporsi come legittimi sovrani del
nascente Regno di Sicilia. Così, nell’ambito del più ampio processo di ricristianizzazione dell’isola, la necessità di edificare nuovi templi cristiani
venne da questi trasformata in fonte di legittimazione del loro potere. Se
ciò avvenne con l’edificazione di nuove chiese e cappelle, ancora di più
tale progetto ideologico e propagandistico fu messo in atto con la
costruzione di monumentali cattedrali (Cefalù, Palermo, Monreale),
templi indiscutibilmente cristiani
per la cui realizzazione i nuovi
dominatori volutamente coinvolsero le maestranze latine, islamiche e bizantine, ognuna delle
quali dotata di un proprio linguaggio architettonico-figurativo
e riflesso delle diverse etnie che
popolavano la Sicilia e sulle
quali i nuovi sovrani si trovarono
a governare.
Pertanto, alle soluzioni architettoniche latine e cristiane, come
l’aula basilicale divisa in navate
o il presbiterio triabsidato, e a
quelle nordeuropee (Normandia
e Inghilterra), quali le possenti
torri ai lati della facciata e l’accentuato verticalismo, che con- Absidi del Duomo di Monreale
notano come occidentale l’architettura siciliana dei secoli XIXII, si affiancano innesti culturalmente diversi: dalle cupole
sorrette da alti tamburi, secondo
schemi bizantini e islamici (San
Giovanni degli Eremiti, San Giovanni dei Lebbrosi), alla presenza
in planimetria, secondo la tradizione bizantina, di piante a
croce greca inscritte in moduli
quadrati (San Nicolò Regale, SS.
Trinità di Delia, Martorana). An- Duomo di Cefalù
che a livello decorativo, a motivi occidentali, quali le linee seghettate, di
ascendenza inglese, si accompagnano altri tangibili apporti di matrice
culturale islamica, come le colonnine incassate negli spigoli absidali o le
ghiere a rincasso, gli archi ogivali intrecciati e le tarsie policrome, queste
ultime giunte molto probabilmente in Sicilia per il tramite di modelli
campani e particolarmente amalfitani, che movimentano e vivacizzano i
prospetti esterni, costituiti da paramenti murari compatti e uniformi
grazie al taglio ed alla dimensione regolari dei blocchi.
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Ponte dell’Ammiraglio - Palermo
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Mazara del Vallo
Chiesa di San Nicolò Lo Regale
Importante testimonianza del periodo della
Contea è la Chiesa di San Nicolò Lo Regale di
Mazara del Vallo, databile intorno al 1124,
dunque prima dell’incoronazione di Ruggero
II. È un edificio religioso, in stile arabo-normanno dalla pianta centrica a croce greca, costruito sulla sponda sinistra del Mazaro, dove
un tempo era possibile approdare con le navi
in una tra le zone di maggiore importanza
strategica già dai tempi dei Fenici. Il corpo di
fabbrica di forma cubica presenta tre absidi
sporgenti verso est, di cui la centrale è la più
profonda ed ampia, che seguono i canoni della tradizione bizantina; è probabile
che un tempo vi fosse la presenza di decorazioni musive ed in genere di lastre
marmoree nelle sezioni parietali.
La cupola è impostata su un tamburo di foggia cubica sorretto da quattro colonne. Gli esterni sembrano essere la fucina per altri edifici di fase ruggeriana,
venendo caratterizzati da tipici elementi dalle volumetrie regolari e da piccoli
conci murari ben squadrati, prerogativa costante dell’architettura arabo normanna e dunque pure della “vicina” Chiesa della Santissima Trinità di Delia a
Castelvetrano. Un altro dato che rende la Chiesa di San Nicolò una fabbrica
arabo normanna sono gli archi ciechi rincassati che incorniciano da una parte
le monofore ogivali del prospetto d’ingresso, dall’altra quelle presenti nelle absidi. Le merlature che circondano interamente il sito sono di palese gusto stilistico musulmano. Durante il XVII e il XVIII secolo la Chiesa divenne oggetto di
importanti quanto opinabili trasformazioni di fase barocca, riacquisendo in seguito a varie opere di restauro il suo importante aspetto medievale intorno agli
anni Ottanta. Al di sotto del sito sono state ritrovate interessanti testimonianze
archeologiche risalenti ad una villa romana da datare tra il III ed il V secolo d.
C., decorata con affreschi parietali e pavimenti con mosaici.
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CastelVetrano
Chiesa della Santissima Trinità di Delia
Il sito, verosimilmente realizzato durante
la metà del XII secolo, presenta similitudini
con l’impianto della vicina Chiesa di San Nicolò Lo Regale a Mazara del Vallo ed a Palermo con la Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio - “Martorana”, così come le modalità
costruttive riconducono alla piccola Chiesa
di San Cataldo. Mirabile è il sistema architettonico dove Latini, Bizantini e Islamici
cooperarono edificando una struttura basata
su perfetti equilibri. L’impianto architettonico, realizzato su preesistenze basiliane, è a
croce greca inscritta all’interno di un corpo di foggia cubica, con un tamburo
quadrato sul quale si erge la cupola a sesto rialzato con quattro monofore. Al
centro della croce si trovano quattro colonne, due in granito rosso e due in
marmo cipollino. Tre finestre per lato con archi rincassati caratterizzano la facciata esterna della chiesa, che consente tra l’altro una perfetta lettura su livelli
differenti del quadrato della croce greca e della cupola. Le tre absidi, che puntano
verso oriente, all’esterno si presentano perfettamente leggibili vista la loro accentuata sporgenza; dalla parte opposta, ubicate ad occidente, su tre lati della
Chiesa, si trovano le tre porte ogivali d’ingresso; da queste si accedeva all’interno
del luogo di culto, rispettando canoni propri della cultura bizantina per i quali
uomini e donne entravano in chiesa separati; dall’esterno è possibile accedere
alla cripta anch’essa dotata di pianta a croce greca. Le notizie storiche ufficiali
sulla Trinità di Delia iniziano ad essere documentate nel 1392; da proprietà
regia la Chiesa passerà ad essere aggregata nel 1459 alla comunità dei benedettini
di San Giovanni degli Eremiti di Palermo, ottenendo il ruolo di priorato nel
1474. L’intervento di restauro, portato a termine dall’architetto Giuseppe Patricolo, databile al 1880, ha permesso di ritrovare le volumetrie arabo-normanne
oppresse da tutte le giustapposizioni effettuate già dal XVI secolo.
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altofonte
Cappella di San Michele Arcangelo
e tracce del Palazzo di caccia di Ruggero II
Durante la metà del XII secolo, Ruggero II fece realizzare un grande parco
reale presso l’odierno centro di Altofonte,
a sud-ovest di Palermo in prossimità delle
pendici del monte Caputo. Dei corpi di
fabbrica costituenti il nucleo palaziale di
cui sono presenti alcune testimonianze
archeologiche, rimane la Chiesa di San
Michele Arcangelo, un tempo cappella
palatina del Palazzo reale. La testimonianza sulla realizzazione del sito, destinato
come residenza di caccia dallo stesso Ruggero II, è da fare risalire a Romualdo
Guarna, medico e arcivescovo di Salerno, presente presso la corte normanna e
consigliere politico di Guglielmo I e Guglielmo II. Dell’originario Palazzo, che
dovette avere parecchie similitudini con quello della Favara, rimangono visibili
alcuni ambienti con volte a crociera; la struttura, oltre a comprendere ambienti
idonei al soggiorno del sovrano, annetteva la Cappella di San Michele. La Chiesa
si presenta con le absidi rivolte ad oriente secondo stilemi tipici degli impianti
bizantini e della maggior parte dei siti chiesastici commissionati dai Normanni
in Sicilia; lo stesso presbiterio viene diviso dal resto della struttura da un arco
per evidenziare la sacralità del Sancta Sanctorum. L’abside centrale ha ai lati
due nicchie ad indicare la presenza della protesi e del diaconico. La cupola inglobata in un tamburo di forma cilindrica ricorda, per la presenza di una cornice
di mattoni che vi girano attorno, altri esempi come quello della chiesa bizantina
Cattolica di Stilo alle falde del monte Consolino in provincia di Reggio Calabria;
tale dettaglio, così come l’assonanza con elementi architettonici presenti con alcune costruzioni greche ed armene, mostrerebbe un possibile rifacimento della
stessa durante il XIII secolo rielaborando in parte la prima cappella ruggeriana.
L’edificio di foggia normanna divenne oggetto di ulteriori modifiche strutturali
a partire dal XIV secolo, quando Federico III d’Aragona vi fondò un sito cistercense con la Chiesa di Santa Maria d’Altofonte.
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Cefalà diana
Bagni termali - Hammam
I bagni termali di Cefalà
Diana trovano ubicazione su un
rilievo che degrada in direzione
del fiume Cefalà.
La struttura da prendere in
esame è quella costituita da una
sala rettangolare divisa in due
ambienti tramite una sezione
rialzata che ricorda un tribelon
composta da tre archi dall’accennata foggia ogivale, di tipica derivazione islamica, con piccole colonne in marmo, con capitelli caliciformi in terracotta e
pulvino; l’ambiente più lungo è adibito ad un complesso di tre vasche decrescenti, l’altro dietro il tribelon è costituito da una sola vasca posizionata nei
pressi della sorgente dove venivano convogliate le acque termali naturali.
La facciata esterna è quella tipica di una robusta e compatta costruzione in
pietrame, su cui funge da elemento decorativo un registro di conci in calcarenite che ruota intorno a tre lati dell’edificio (nord, est, ovest), dove, sita tra
due piccoli fregi, spicca ad ovest un’iscrizione araba che, seppure poco leggibile, dovrebbe contenere una basmala e cioè “Bism Allah al-Rahman al
Rahim” (“In nome di Dio Clemente e Misericordioso”). L’impianto originario
potrebbe essere di realizzazione romana e riadattato successivamente in fase
islamica, vista l’importanza che i bagni assumono in tale cultura come momento di purificazione, mentre altri elementi, tra cui la volta a botte con gli
sfiatatoi, condurrebbero al regno di Guglielmo II; ad avvalorare quest’ultima
tesi è il geografo al-Idrisi che non fa mai riferimento nella sua opera (Libro
di Ruggero) ai bagni termali di Cefalà Diana, pur menzionando la località e
undici edifici destinati a tale funzione in altri luoghi della Sicilia. In seguito
alla realizzazione di un pozzo nella zona di Villafrati, dal 1990 circa, sono venute meno le acque termali, comportando alterazioni alle strutture poi consolidate.
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palerMo
Incisione raffigurante
la facciata est della Villa
Torre Alfaina e Piccola Cuba di Villa Napoli
La cosiddetta Torre Alfaina acquisì tale nome
dopo il XV secolo, in seguito alla trasformazione in
fortificazione agricola; il complesso perse la sua denominazione originaria di Cuba Soprana nel 1758,
quando il giurista don Carlo Napoli, da cui il nuovo
nome di Villa Napoli, acquistò la proprietà per realizzarvi un luogo di villeggiatura, secondo la moda
del tempo, che di fatto violò in modo pressoché irreversibile la struttura. Nel medioevo normanno,
sotto Guglielmo II, il complesso, di foggia rettangolare, orientato ad est era noto con il nome di Cuba
Soprana per differenziarsi dal più vasto sito della
Cuba Sottana ed era un luogo destinato ai sollazzi
del sovrano trovandosi all’interno di un parco con
evoluti sistemi d’irrigazione. Due ordini costituivano
l’edificio normanno, la cui struttura è parzialmente
leggibile ma fortemente compromessa da occlusioni
e sovrapposizioni, attestando quello che doveva essere un articolato sistema
di raccolta e distribuzione delle acque che qui giungevano dal fiume Gabriele,
incanalandosi all’interno dell’edificio, così come raccontano le fonti del XII
secolo. Tra le opere realizzate sotto il regno di Guglielmo II, durante la metà
del XII secolo a Palermo, all’interno dello stesso complesso di Villa Napoli troviamo la cosiddetta Piccola Cuba, tipico edificio arabo normanno a forma cubica e sormontato da una cupoletta; peculiarità della struttura sono i quattro
fornici di forma ogivale dotati di tre ghiere a rincasso dove quella centrale,
con bugne a cuscino, evoca scelte architettoniche già presenti nel campanile
della Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio - “Martorana”, nella Chiesa della
Santissima Trinità - “Magione” e nella Chiesa di Santo Spirito. Il frate domenicano e storico Tommaso Fazello ne fa menzione nel 1556, parlandone come
di un luogo di ristoro utilizzato durante le battute di caccia.
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palerMo
Palazzo dello Scibene
Il Palazzo dello Scibene, situato un tempo
all’interno di un parco
utilizzato per i sollazzi
dai sovrani normanni, è
da tempo importante
oggetto di studi volti a
conoscerne un’esatta
cronologia che sembrerebbe ricollegabile alla fase del regno di Ruggero II d’Altavilla, dunque approssimativamente intorno alla metà del XII secolo, essendo
fondate tali teorie su analogie stilistiche con il Castello della Favara e sui racconti dello storiografo Ugo Falcando. La copiosa esistenza di acqua nel sito
testimonierebbe un interesse già di matrice araba; fu luogo di soggiorno di
Ruggero II, Guglielmo I e poi residenza estiva degli arcivescovi palermitani
già dal 1177 dopo la donazione del Palazzo e dei terreni attigui da parte di
Guglielmo II (concessione confermata nel 1211 da Federico II). Fu Nino Basile
nel 1929 ad identificare correttamente il sito, dopo che lo studioso tedesco
Goldschmidt nel 1898 aveva realizzato un rilievo, tuttora fonte di studio preziosa, per una migliore conoscenza del complesso che si presenta, seppure sovrastato da detriti, realizzato su più piani. L’accesso all’interno della struttura
è possibile attraverso una depressione del terreno, trovandosi tutto al di sotto
di riempimenti e circondato da edifici di recente costruzione. La sala con un
iwàn, con volta a crociera e tre nicchie angolari, è da un lato collegata ad altri
due ambienti laterali privi di volte e dall’altro ad una sala con una volta in comunicazione con una grotta naturale. All’interno dell’edificio, al di sopra della
sala della fonte, si trova la cappella, unica parte visibile dall’esterno del complesso, caratterizzata da una pianta rettangolare, dove è ancora visibile parte
del soffitto ligneo; sulla facciata in cattivo stato di conservazione è possibile
leggere gli archi ogivali a rincasso, esempio distintivo dell’architettura arabonormanna.
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palerMo
Castello della Favara - “Maredolce”
Il Castello della Favara, o di Maredolce,
costituiva uno dei più importanti sollazzi
regi, dimore immerse nella natura e destinate
al riposo e allo svago dei sovrani normanni
e della loro corte. Edificato molto probabilmente tra il 998 e il 1019 sotto l’emiro
kalbita Jafar, venne poi restaurato ed ampliato intorno al 1150 da Ruggero II, che lo
dotò anche di una cappella, intitolata ai
Santi Filippo e Giacomo. Caratteristiche
principali del complesso, che nella pianta quadrangolare e nella distribuzione
degli spazi si ispira ai monasteri fortificati dell’architettura musulmana (ribat)
e che si sviluppava attorno ad una grande corte circondata da portici coperti
con volte a crociera, erano l’alternarsi di ambienti chiusi e spazi aperti e il
connubio tra acqua e terra, secondo il modello islamico dell’àgdal, il giardino
dotato di uno specchio d’acqua. Infatti, ad eccezione del prospetto principale,
quello nord-occidentale, gli altri tre, quelli destinati agli appartamenti privati,
erano completamente circondati da un lago artificiale alimentato da una
sorgente (da cui il nome Favara, dall’arabo fawwara, “sorgente”), popolato da
diverse specie di pesci e al cui centro sorgeva un isolotto coltivato ad agrumi.
L’ala nord-occidentale, il cui prospetto è scandito da finestroni ciechi con
ghiere a rincasso, dalle aperture della cappella e dai portali d’ingresso, era
invece destinata agli ambienti di rappresentanza. Uno degli elementi maggiormente caratterizzanti l’intero complesso è costituito proprio dalla cappella,
composta da un’aula suddivisa in due campate coperte da volte a crociera e
dal transetto, sul quale si aprono, ricavate nello spessore murario, l’abside e
due nicchie laterali e al di sopra del quale si eleva una cupoletta sorretta da
un tamburo con quattro nicchie angolari alternate a finestrelle. Nel 1328 il
Castello venne concesso da Federico III d’Aragona ai Cavalieri Teutonici della
Magione, che lo tennero fino alla fine del XV secolo.
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Il Genoard e la Cuba *
A ridosso della parte alta della città di Palermo e del
suo Palazzo Reale, tra gli attuali corso Pisani e corso
Calatafimi, sorgeva in età normanna, un grande giardino-paradiso del quale una miniatura del 1195 contenuta nel Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli, ci
ha tramandato il nome: Genoard, “Paradiso della Terra”
(gennat al-ard).
Lo stesso giardino viene chiamato, nelle fonti storiche
del XIII secolo e nella novella sesta della quinta giornata di Boccaccio, con il nome di Cuba. Il nome si riferisce all’edificio che il giardino accoglieva: il grande
padiglione realizzato nel 1180. Il nome Cuba rimase, secondo la preziosa testimonianza del Fazello, almeno
fino alla seconda metà del XVI secolo quando viene descritto come un luogo dove “lussureggiavano orti amenissimi con culture arboree di ogni genere ed acque che
le irrigavano perennemente. Vi erano anche da un lato e
dall’altro dei viridaria olezzanti di alloro e di mirto. In
mezzo, all’ingresso fino al fondo del parco, si stende un
lunghissimo porticato ricco da ogni parte di chioschi cupolati aperti da ogni lato, di forma cubica, per lo svago
del re; … Nel mezzo era una grande piscina nella quale
erano tenuti dei pesci veri; … Vi elevava, come se emergesse dall’acqua, il palazzo costruito con magnifica arte
per il riposo distensivo del re … In una parte di questo
giardino, perché non mancasse nulla al piacere del re, si
allevavano in abbondanza animali selvatici di ogni genere sia per il piacere degli occhi che per gli svaghi della
corte. Ma oggi tutto è in rovina e il luogo è occupato da
vigne e da orti privati”.
Il Genoard, spazio chiuso in un recinto, esprimeva la cultura agronomica e paesaggistica dei giardini islamici.
L’edificio si specchiava da ogni lato in un bacino che secondo la testimonianza del protomedico Gian Filippo
Ingrassia, era ancora presente nel XVI secolo. Aveva un
perimetro esterno di 160 canne (327,37 m) e ciascun
lato misurava 40 canne (81,84 m).
Il giardino era ricco di alberi da frutta, molti dei quali
di recente introduzione, di palme, di alberi di ornamento, di fiori e spezie.
Era probabilmente presente la vite a costituire pergole
che, regalando ombra, ricordavano i “verdi, verdi cupissimi” giardini promessi dal Corano agli uomini timorati
di Dio; essi vi entreranno “in ombrosa ombra” per godere di tutti i piaceri loro riservati. Anche il “lunghissimo porticato” della Cuba descritto dal Fazello, era con
molta probabilità coperto da viti rampicanti che, come
quelli raccontati nelle Mille e una notte, “lasciavano pendere dei magnifici grappoli, gli uni rossi come pietre di
rubino, gli altri neri come l’ebano …” [...]
* questo testo è di Maria Ala e Giuseppe Barbera,
tratto da “Verdi Itinerari”, una pubblicazione realizzata
nel 2006 dalla Soprintendenza ai Beni culturali di Palermo.
Cuba - Palermo
palerMo
Chiesa di Santa Maria Maddalena
La Chiesa di Santa Maria Maddalena si trova oggi all’interno dell’ex
quartiere militare di San Giacomo, in quella che in età islamica e normanna
era l’area fortificata della al-Halqah. Una prima cappella, con la medesima
intitolazione e destinata a custodire le tombe reali normanne, si trovava nel
sito della Cattedrale e venne distrutta intorno al 1184 per consentire la costruzione del nuovo tempio cittadino ad opera dell’arcivescovo Gualtiero Offamilio, che tra il 1184 e il 1186 promosse la costruzione della nuova
cappella nell’attuale sito.
La Chiesa, che si contraddistingue per il suo pronunciato verticalismo e che
risulta in parte stravolta dagli interventi succedutisi nel corso dei secoli,
come testimoniano il portale architravato e il prolungamento del campanile
(originariamente sormontato da una cupoletta), è suddivisa all’interno da
tre navate mediante arcate di differente ampiezza sorrette a loro volta da
colonne e capitelli forse provenienti dalla cappella originaria. Al di sopra del
transetto si eleva il tamburo della cupoletta (oggi non più esistente), composto
da quattro nicchie angolari alternate a finestrelle a sesto acuto. La zona
absidale, caratterizzata dal motivo delle colonne angolari incassate, ricorrente
negli schemi architettonici normanni, è costituita dall’abside principale, i
cui volumi sono visibili anche all’esterno della struttura, e dalle due absidiole
laterali, ricavate nello spessore murario.
Nel 1382 la Chiesa divenne sede della confraternita di Santa Maria Maddalena,
mentre nel 1608 fu affidata dal Viceré Vigliena ai Francescani Osservanti.
Qualche decennio dopo, nel 1648, il sito venne interessato dai lavori per la
realizzazione del Quartiere Militare Spagnolo, all’interno del quale venne a
trovarsi la Chiesa. Dopo le alterazioni subite nel corso del XVIII secolo, ebbe
inizio così per la cappella un lento e progressivo periodo di abbandono, culminato nella seconda metà del XIX secolo con la chiusura al culto e la scongiurata demolizione, cui fecero seguito i restauri effettuati da Giuseppe
Patricolo (1891) e Mario Guiotto (1948).
Oggi la Chiesa ospita il Sacrario dei Carabinieri siciliani caduti.
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Cappella di Santa Maria dell’Incoronata
La Cappella di Santa Maria dell’Incoronata rappresenta uno degli esempi più significativi delle stratificazioni storiche e
artistiche che hanno interessato Palermo e la
maggior parte dei suoi monumenti. La struttura venne infatti edificata tra il 1129 e il
1130 nello stesso sito in cui doveva trovarsi
una sala ipostila appartenente alla vecchia
moschea aghlabita, sorta nel IX secolo mediante la trasformazione della vecchia
chiesa bizantina. In particolare, testimonierebbero questa preesistenza alcuni
pilastri e basi di colonne, murati nel pronao e nella zona absidale della cappella,
che avevano la funzione di sorreggere le arcate e le volte della precedente struttura. Contigua originariamente all’antica Cattedrale e poi rimasta isolata dal
nuovo tempio offamiliano, la Cappella consta di un pronao e di un’aula absidata,
sulle cui pareti si aprono otto finestre ogivali, tre più grandi nel registro superiore e cinque più piccole in quello inferiore. La sua austerità, cui contribuisce
l’uniforme ed omogeneo paramento murario, realizzato con blocchi perfettamente squadrati e assemblati, doveva probabilmente essere alleggerita da due
colonnine, oggi non più esistenti, incassate negli spigoli dell’abside, motivo diffuso in diversi complessi architettonici normanni. Al prospetto occidentale della
Cappella era addossato un portico, secondo la leggenda usato dai sovrani del
Regno di Sicilia per ricevere l’omaggio del popolo dopo l’incoronazione (da cui
il nome di Cappella dell’Incoronazione). Il portico, noto oggi come Loggia dell’Incoronazione, subì nel corso dei secoli diverse trasformazioni: munito di una
balaustra intorno al 1410, quando la Cappella divenne sede della Maramma,
ossia la Fabbriceria della Cattedrale, nel 1591 venne chiuso e trasformato in
oratorio, mentre gli archi furono sostituiti da un loggiato architravato, in cui
vennero molto probabilmente impiegati colonne e capitelli provenienti dalla
vecchia moschea aghlabita. Danneggiato nel 1860 dai bombardamenti borbonici, il complesso venne poi riedificato e restaurato.
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Chiesa di Santa Cristina la Vetere
La costruzione della Chiesa di Santa Cristina la Vetere, collocabile tra il
1171 e il 1174, si deve probabilmente all’arcivescovo Gualtiero Offamilio.
Quando questi promosse infatti i lavori di edificazione della nuova cattedrale
e conseguentemente la distruzione della vecchia, in cui dovevano essere
custodite le spoglie di Santa Cristina, giunte a Palermo nel 1160 per volere
dell’arcivescovo Ugo, dispose allo stesso tempo che venisse eretto un tempio
destinato ad accogliere le reliquie della martire.
La piccola Chiesa lascia subito trasparire, anche per l’austerità e la solennità
che la connotano, la sua funzione di sacello. Si tratta di una struttura a croce
greca inscritta in una pianta quadrata, contraddistinta dalla presenza di
quattro possenti pilastri che scandiscono lo spazio interno, suddividendolo
in nove campate, quelle costituenti i bracci della croce greca coperti da volte
ogivali, quella centrale e le quattro angolari coperte da volte a crociera.
Sebbene la Chiesa conservi bene il suo aspetto originario, come nel caso di
uno dei portali a sesto acuto con ghiere a rincasso, ha tuttavia subito nel
corso dei secoli alcune modifiche all’impianto originario, come testimoniano
il portale architravato e la zona absidale, rimaneggiata nel 1586 con l’apertura
di un cappellone e di due nicchie. La mole possente e compatta della struttura
ha fatto inoltre pensare alla possibilità che questa costituisse originariamente
la base di una costruzione turriforme appartenente al vecchio arcivescovado.
Concessa per breve tempo dallo stesso Offamilio ai Cistercensi, passò in
seguito alla Fabbriceria della Cattedrale, per essere poi ceduta intorno al 1569
alla Compagnia della Trinità dei Rossi (fondata nel 1564 e così denominata
per il colore dell’abito che indossavano i componenti) e poi ancora al vicino
monastero della Badia Nuova (o Santa Maria di Monte Oliveto).
A questa Chiesa era destinato il trittico raffigurante la Vergine tra le sante Caterina d’Alessandria e Cristina, commissionato nel 1402 dal canonico della
cattedrale Pietro de Belvedere al pittore senese, ma residente a Palermo,
Nicolò di Magio e oggi conservato presso la Galleria Regionale della Sicilia di
Palazzo Abatellis.
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Chiesa della Santissima Trinità “Magione”
La Chiesa della SS. Trinità venne edificata tra il
1191 e il 1193 da Matteo D’Aiello, cancelliere durante
il regno di Tancredi. Affidata ai Cistercensi, pochi
anni dopo, nel 1197, venne concessa da Enrico VI
all’ordine dei Cavalieri Teutonici (di cui divenne la
Mansio, ossia la dimora, da cui Magione), che la dotarono di un ospedale per accogliere i pellegrini
diretti in Terrasanta. La Chiesa è connotata da una
rigida volumetria, particolarmente distinguibile nella
zona absidale, dove ai netti volumi delle navate e del presbiterio si contrappongono
le absidi, quella centrale, più pronunciata e suddivisa in due ordini da una
teoria di finestre cieche con ghiere a rincasso in quello superiore e da arcate intrecciate in quello inferiore, e quelle laterali, quasi accennate e decorate anch’esse
da archi intrecciati. La facciata, largamente ricostruita nel secondo decennio
del secolo scorso da Francesco Valenti, è suddivisa in tre ordini, ognuno dei
quali presenta aperture o finestre cieche; in particolare, nell’ordine inferiore, i
tre portali si contraddistinguono anche per un motivo con bugne a guanciale.
Lo stesso alternarsi di aperture e finestre cieche con ghiere a rincasso contraddistingue i prospetti laterali. L’interno è costituito da un’aula basilicale divisa in
tre navate da ampie arcate a sesto acuto che conducono verso il transetto, leggermente sopraelevato e caratterizzato da una verticalità più pronunciata; qui si
aprono le tre nicchie absidali, alleggerite da ordini di colonne incassate e sovrapposte. Sul lato settentrionale della Chiesa si trova l’abbazia, che si sviluppa
attorno al chiostro, di cui restano soltanto le corsie settentrionale e meridionale
(quest’ultima ricostruita alla metà del secolo scorso), caratterizzate da arcate
ogivali a doppia ghiera sorrette da colonnine binate, secondo lo schema
costruttivo presente nei chiostri del Duomo di Monreale e di San Giovanni degli
Eremiti. Diverse le modifiche apportate nel corso dei secoli, fino ai restauri
condotti tra la fine dell’‘800 e l’inizio del ‘900 e poi ancora in seguito ai bombardamenti del 1943.
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Chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi
Secondo quanto scritto dallo
storico Tommaso Fazello nel XVI
secolo, la Chiesa di San Giovanni
dei Lebbrosi, intitolata al Battista,
sarebbe stata fondata, sul sito in
cui sorgeva una fortezza musulmana di cui restano oggi alcune
tracce di murature e di pavimentazioni, intorno al 1071, quando Roberto il Guiscardo e il fratello Ruggero assediavano con i guerrieri normanni la città di Palermo. È stato addirittura supposto che la costruzione della chiesa potesse essere
stata portata a termine come ex-voto per la conquista della città da parte del
Guiscardo, morto nel 1085. A supportare questa tesi concorrerebbero i caratteri
stilistici dell’edificio, come i possenti pilastri poligonali che separano le navate
dell’aula basilicale o la copertura a calotta sorretta da un tamburo che sovrasta
il transetto, secondo schemi spaziali e volumetrici simili a quelli adoperati nelle
fondazioni basiliane erette dai normanni nel messinese alla fine dell’XI secolo.
L’interno, la cui austera semplicità mette in risalto l’omogeneo paramento murario composto da blocchi regolari, è caratterizzato dalle arcate ogivali che scandiscono le navate conducendo al transetto, sormontato dalla copertura a calotta,
e alla zona absidale, anche qui inquadrata da colonnine angolari. L’esterno si
contraddistingue invece per la plastica volumetria della cupoletta e delle tre absidi, oltre che per le finestre ogivali a doppia ghiera. Sulla facciata si staglia la
mole del campanile, che funge anche da ingresso, dotato di cupoletta e finestroni
con ghiere a rincasso, ma ricostruito tra il 1925 e il 1930 dall’architetto Francesco Valenti durante i lavori di restauro che hanno liberato il complesso dalle sovrastrutture seicentesche. La Chiesa, alla quale tra il 1140 e il 1150 venne
aggiunto un lebbrosario, da cui l’attuale denominazione, venne ceduta da Federico II ai Cavalieri Teutonici della Magione, che la mantennero, insieme all’ospedale, per tutto il XIV secolo. In seguito, la Chiesa fu amministrata dall’abate della
Magione, mentre l’ospedale passò sotto il controllo del Senato cittadino.
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