Azienda Ospedaliera Universitaria “Federico II” U.O.C. di Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica Protocollo operativo GESTIONE DELLE COMPLICANZE INFETTIVE NEL PAZIENTE CRITICO versione n. 01 del 04/05/2016 AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA “FEDERICO II” U.O.C. di Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica Direttore: Prof. Giuseppe Servillo PROTOCOLLO OPERATIVO GESTIONE DELLE COMPLICANZE INFETTIVE NEL PAZIENTE CRITICO 1 INDICE 1. COMPOSIZIONE DEL GRUPPO DI LAVORO 2. PREMESSA 3. OBIETTIVI 4. CAMPO DI APPLICAZIONE 5. METODO PER LA RICERCA BIBLIOGRAFICA 6. AGGIORNAMENTO E DIFFUSIONE 7. AVVERTENZE 8. INGRESSO IN UTI 9. MONITORAGGIO DEL PAZIENTE NON INFETTO 10. MONITORAGGIO DEL PAZIENTE INFETTO 11. DEFINIZIONE e CRITERI DI DIAGNOSI DI : A) Sepsi B) Polmoniti: CAP, HAP, HACP, VAP C) Infezioni addominale D) Infezioni delle vie urinarie 12. COMPLICANZE INFETTIVE DA DA CVC 13. IL PAZIENTE FEBBRILE 14. PROFILASSI E TERAPIA ANTIBIOTICA 15. GESTIONE DEL PAZIENTE COLONIZZATO/INFETTO DA GERMI MDR 2 1. COMPOSIZIONE DEL GRUPPO DI LAVORO Il presente protocollo è stato redatto e verificato da Nome Prof. Servillo Giuseppe Funzione Direttore UOC Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica GdL: Gestione Delle Complicanze Infettive Nel Paziente Critico GdL: Gestione Delle Complicanze Infettive Nel Paziente Critico Responsabile U.O.S. di Batteriologia e Micologia Dott. Arcopinto Luca Dott.ssa Ciamillo Mariangela Prof.ssa Catania Maria Rosaria Dott. De Marco Giuseppe Coordinatore Infermieristico del Centro di Rianimazione GdL: Gestione Delle Complicanze Infettive Nel Paziente Critico Referente Malattie Infettive Dott.ssa Esposito Mariateresa Prof. Faella Francesco Dott.ssa Iula Dora Vita Dott.ssa Volpe Maria Luisa Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche GdL: Gestione Delle Complicanze Infettive Nel Paziente Critico Referente Infezioni Ospedaliere – Direzione Aziendale GdL: Gestione Delle Complicanze Infettive Nel Paziente Critico GdL: Gestione Delle Complicanze Infettive Nel Paziente Critico Dirigente medico U.O.C. Anestesia e Rianimazione Dott. Buonomo Antonio Riccardo Contrattista U.O.C Malattie infettive Prof. Gentile Ivan Ricercatore U.O.C. Malattie infettive Dott.ssa Foggia Maria Dirigente medico U. O.C. Malattie infettive Dott. Iacovazzo Carmine Dirigente medico U.O.C. Anestesia e Rianimazione Dott. G. D’Onofrio Direttore Sanitario Aziendale Direttore Generale Dott.ssa Marra Annachiara Dott.ssa Montella Emma Dott.ssa Sapio Felicia Dott.ssa Vargas Maria Approvata da Deliberata da 2. PREMESSA Lo scopo della stesura di questo protocollo è quello di creare delle raccomandazioni di comportamento clinico con lo scopo di assistere medici e pazienti nel decidere quali siano le modalità assistenziali più appropriate in specifiche condizioni cliniche. Queste raccomandazioni, basate sulle migliori evidenze scientifiche, sono state prodotte da un gruppo di lavoro multidisciplinare della AOU Policlinico Federico II. 3. OBIETTIVI L’obiettivo principale di questo protocollo, rivolto a tutti gli operatori sanitari del centro di rianimazione, è quello di individuare il modo più appropriato per la gestione, per la profilassi, diagnosi e terapia delle complicanze infettive di più frequente riscontro nel paziente critico. 3 4. CAMPO DI APPLICAZIONE Le raccomandazioni sono rivolte a tutto il personale infermieristico e medico del centro di rianimazione. Di tale attività sono state informate la Direzione Medica e la Direzione Generale che hanno manifestato il loro consenso ed interesse per la realizzazione del progetto. 5. METODO PER LA RICERCA BIBLIOGRAFICA La ricerca bibliografica è stata effettuata attraverso internet, consultando banche dati di pubblicazioni primarie, quali MedLine, banche dati di pubblicazioni secondarie, quali Cochrane Library, CDSR, DARE, HTA,banche dati di linee guida, National Guideline Clerighouse, NICE,CDC, SIGN, siti di Società Scientifiche pertinenti, testi di pubblicazioni secondarie (UpToDate, Clinical Evidence, ACP Journal,), oltre che materiale fornito dai professionisti del GdL. Sono stati selezionati ed analizzati i documenti pubblicati negli ultimi cinque anni, in lingua inglese, di questi sono stati reperiti i full-text. 6. AGGIORNAMENTO E DIFFUSIONE L’elaborazione del protocollo costituisce il primo passo del gruppo, infatti è noto dalla letteratura che è molto difficile indurre dei cambiamenti nei comportamenti clinici. Gli studi pubblicati evidenziano come siano molteplici i fattori che possono influire sul comportamento e quindi condizionare un tardivo o mancato trasferimento nella pratica dei risultati della ricerca clinica: fattori di tipo culturale, opinioni/attitudini professionali, il tipo di rapporto medico-paziente, fattori di tipo ambientale. Talora inoltre uno stesso fattore può influenzare la pratica clinica in maniera opposta a seconda dei vari studi. Per la diffusione di questo protocollo organizzativo si rende pertanto necessaria la messa in atto di attività volte a: • favorire l’implementazione di queste raccomandazioni; • verificarne il grado di applicazione ; • misurare, attraverso indicatori adeguati ed oggettivi, gli esiti clinici, organizzativi, gestionali o di altro tipo considerati interessanti. Le attività di cui ai punti precedenti devono essere intraprese sulla base dei risultati degli studi relativi esistenti in letteratura e richiedono quindi competenze specifiche: oltre a quelle professionali specifiche delle varie specialità coinvolte nella gestione del paziente, infatti sono necessarie competenze di epidemiologia clinica, di farmacologia e di farmacologia clinica, di metodologia della ricerca, di statistica medica, di ricerca sui servizi sanitari, nonché risorse e collaborazione. Peraltro, sempre la letteratura, conferma che senza questo tipo di attività di implementazione, verifica e misurazione degli esiti, le linee guida sono destinate a rimanere del tutto ignorate nella pratica clinica e quindi inefficaci. L’aggiornamento di questo protocollo avverrà ogni 18 mesi. 7. AVVERTENZE Le evidenze scientifiche su cui tali raccomandazioni sono basate sono di livello variabile in una scala decrescente di attendibilità scientifica. Le raccomandazioni si applicano ai pazienti genericamente intesi come critici; rimane compito e responsabilità del medico e degli operatori sanitari valutare l’appropriatezza di un determinato trattamento per un determinato paziente. Il protocollo pertanto non può sostituire in alcun modo né la valutazione clinica, né il bagaglio culturale, né l'esperienza professionale del medico e degli operatori sanitari, né una corretta ed esauriente informazione del paziente, né il suo consenso informato e cioè quanto in termini di prudenza, diligenza e perizia viene richiesto al medico nel trattamento dello specifico paziente. Pertanto al medico curante e agli operatori sanitari rimane la responsabilità di verificare se le raccomandazioni formulate risultino valide ed aggiornate in relazione al continuo avanzamento delle conoscenze medico-scientifiche, nonché appropriate per le condizioni cliniche del paziente specifico. Sempre al medico curante spetta la responsabilità di verificare se le dosi e/o le modalità di somministrazione di 4 farmaci o di altri presidi terapeutici, siano corrette nonché appropriate in relazione alle condizioni cliniche del paziente specifico. 8. INGRESSO IN UTI Per tutti i pazienti afferenti al reparto di Terapia intensiva (T.I.) per i quali si presume una permanenza superiore a 48-72 ore e per i quali sussiste il sospetto di infezione in atto, è indispensabile l’esecuzione dei seguenti esami di monitoraggio, per la sorveglianza delle infezioni. 1. Emocoltura 2. Broncoaspirato (se IOT presente) - Aspirato faringeo profondo o espettorato (se IOT non presente) 3. Urinocoltura 4. Tampone rettale 5. Tampone nasale per ricerca portatori MRSA 6. Drenaggi addominali - Tampone ferita chirurgica 7. Esami di laboratorio: VES, PCR, PCT 1) EMOCOLTURA L’efficacia ed il significato clinico dell'emocoltura dipendono da molteplici aspetti metodologici ed interpretativi. Nella fase preanalitica, le modalità di prelievo ed il numero dei campioni rappresentano elementi di fondamentale importanza. Il problema maggiore del prelievo riguarda la possibilità di contaminazioni esogene del campione con conseguenti difficoltà interpretative del risultato. Principali situazioni cliniche in cui è importante eseguire il test: - endocarditi ed infezioni endovascolari, - epiglottite acuta, - polmonite batterica, - pielonefrite ascendente, - osteomielite ematogena, - meningite batterica, - ascessi endoaddominali, - immunodepressioni di varia origine, - cateterismi venosi e arteriosi, - sindromi ematologiche maligne, - infezioni sistemiche ecc. Fattori critici per l’adeguatezza diagnostica: - volume del campione - il momento del prelievo - l'intervallo ed il numero dei prelievi - l'accuratezza del prelievo (disinfezione della cute) - le caratteristiche del mezzo di coltura - la capacità del sistema analitico di evidenziare lo sviluppo batterico. NB: • Effettuare il prelievo il prima possibile e prima della terapia antimicrobica. Effettuare il prelievo prima del rialzo febbrile (60-90 minuti prima è il momento in cui il numero dei batteri nel sangue è maggiore). Se questo non è prevedibile allora prelevare all'inizio del rialzo febbrile. 5 • Indicare sempre il quesito diagnostico dato che i tempi di incubazione possono variare in funzione dei diversi patogeni in causa. Modalità di esecuzione del prelievo Prima di eseguire il prelievo, verificare gli accessi venosi presenti. • Catetere venoso centrale (CVC) presente: eseguire il prelievo in 2 tempi (per un totale di 8 flaconi ): 1)effettuare il prelievo PRIMA da CVC (inoculare flacone aerobi + flacone anaerobi) e SUBITO DOPO da vena periferica ((inoculare flacone aerobi + flacone anaerobi); 2) dopo 5-15 minuti ripetere la procedura come riportato al punto 1. • CVC assente: eseguire 2-3 prelievi da vena periferica: a distanza di 5-15 minuti l’uno dall’altro, per un totale di 2-3 coppie di flaconi aerobio+anaerobio. N.B.: il prelievo da vena periferica va effettuato da un accesso venoso DIVERSO da un’eventuale ago-cannula già presente. Il prelievo Il prelievo deve essere eseguito da vena periferica; è fortemente sconsigliato il prelievo da catetere vascolare (centrale e non), a meno che non si voglia verificare se il catetere è colonizzato e se la batteriemia è dovuta proprio alla presenza del catetere (in quest’ultimo caso è bene procedere ad un prelievo da catetere e ad uno da vena periferica per verificare il tempo differenziale di positività (DTP) che compara il tempo di positivizzazione delle 2 emocolture contemporaneamente incubate in sistemi automatici: la maggiore carica batterica del CV infetto determina una positività precoce rispetto al campione da vena periferica di almeno 120 minuti). Preparazione della cute per l’esecuzione del prelievo La sorgente di contaminazione più comune è rappresentata dalla flora batterica cutanea. Le soluzioni a base di clorexidina digluconato con concentrazioni ≥0.5 % in alcool etilico sono attualmente raccomandate per la preparazione della cute (CDC), di seconda scelta risultano essere usate le soluzioni a base di iodo-povidone (Betadine). Il fattore determinante è in realtà rappresentato dal tempo di contatto da rispettare perché l’antisettico possa espletare la sua azione con la massima efficacia. E’ necessario consentire all’antisettico di rimanere sul sito di inserzione fino alla sua essiccazione all’aria prima di procedere al prelievo. Nel caso dello iodo-povidone il tempo minimo di permanenza sulla cute prima della manovra è di 2 minuti, mentre per la clorexidina è sufficiente un tempo di 30 secondi. Specifiche sulla clorexidina: Numerosi studi dimostrano la superiorità della clorexidina rispetto allo iodo povidone, che è legata al suo effetto di sostantività. La clorexidina presenta la caratteristica unica di legarsi alle proteine dei tessuti, ma ha un assorbimento sistemico limitato. Il legame con le proteine ne permette un lento rilascio, che garantisce l’effetto prolungato nel tempo per almeno 8-12 h. Inoltre al contrario dello iodopovidone la sua azione non è influenzata dalla presenza di fluidi corporei come il sangue. La clorexidina è un antisettico ad azione battericida e batteriostatica, con ampio spettro d’azione su Gram positivi, Gram negativi e funghi, con azione più rapida rispetto allo iodopovidone e altri antimicrobici. L’azione si esplica sulla membrana cellulare dei patogeni, ne aumenta drasticamente la permeabilità alterando la struttura proteica; ciò provoca la precipitazione di diverse macromolecole citoplasmatiche e la susseguente morte cellulare per lisi della cellula batterica o del micete. Mostra attività in vitro anche verso l’envelope di virus (CMV, influenza, RSV, HIV,Herpes Simplex), mentre presenta un’attività inferiore verso virus privi di envelope (es: Rotavirus, Adenovirus, Enterovirus) 6 In vitro la clorexidina elimina quasi il 100% dei gram positivi e gram negativi in 30 secondi, presenta inoltre un effetto sull’inibizione della formazione dei biofilm, inibendo l’aderenza dei microorganismi alla superficie dei dispositivi medici. La clorexidina è inoltre utilizzata in dispositivi medicati, ai fine di ridurre l’incidenza di infezioni (CVC, Connettori needless, medicazioni, etc..). Procedura Preliminare e indispensabile è il lavaggio sociale delle mani e l’aver indossato mascherina e cappellino non sterili. Accuratezza del prelievo: - Selezionare un diverso punto per ogni prelievo. - Disinfettare accuratamente la zona della puntura venosa con soluzione di disinfettante battericida volatile (clorexidina) iniziando in cerchi concentrici coprendo un’area di circa 4-5 cm. - Lasciare asciugare e introdurre l'ago senza ripalpare la zona disinfettata; - Indossare guanti sterili - Eseguire il prelievo preferibilmente con sistema Vacutainer - Disinfettare il tappo di ogni bottiglia e lasciare asciugare. - Introdurre il sangue nella bottiglia e agitare bene per impedire la formazione del coagulo. - Porre sul flacone l’etichettatura prevista per identificare il paziente senza coprire eventuali codici a barre già stampati sul flacone stesso. - Non coprire il tappo con cerotto-garza-cotone. Dopo il prelievo, è buona norma inviare subito i campioni in laboratorio; in ogni caso, se questo non è possibile, i flaconi possono essere conservati a temperatura ambiente fino a 24 ore prima di essere processati, a seconda dello strumento utilizzato, senza che questo influenzi le prestazioni analitiche. Le linee guida inglesi, tuttavia, propongono una conservazione a 35-37 °C se vi è ritardo nel trasporto al laboratorio e/o nel caricamento nel sistema automatico, sconsigliando fortemente la refrigerazione; inoltre sottolineano la necessità dell’ispezione di questi flaconi prima dell’inserimento nell’incubatore, per verificare la possibile crescita batterica, nel qual caso è necessario procedere subito alla subcoltura. Volume di sangue Perché un’emocoltura diventi positiva occorre che nel campione siano presenti almeno 3 unità formanti colonie (Ufc) per mL; nei pazienti batteriemici, la concentrazione per mL di sangue è di norma 0.1 – 1 Ufc/mL; il recupero di batteri dal sangue aumenta del 3% per ogni mL di campione raccolto. Negli adulti sono quindi necessari 8-10 mL per flacone. Numero Regola fondamentale è non limitarsi mai ad un unico set per evento clinico nelle 24 ore («emocoltura solitaria»), dato il carattere intermittente di molte batteriemie che causa un aumento di falsi negativi. Inoltre, un maggior numero di set aumenta la possibilità di differenziare i veri dai falsi positivi, nel caso vengano isolati microrganismi comunemente ritenuti contaminanti. Alcuni autori affermano che anche 2 set al giorno siano insufficienti, indicando in 4 il numero corretto. In accordo con i microbiologi del nostro gruppo di studio, abbiamo stabilito che due coppie di prelievi, 3 se si include il prelievo da cvc, possa essere sufficiente nella maggior parte dei casi; in situazioni particolari si rimette al giudizio clinico del medico curante. Timing Per aumentare l’efficacia diagnostica è importante eseguire il prelievo se possibile: - prima dell’inizio della terapia chemioantibiotica, oppure - immediatamente prima della somministrazione successiva procedendo a prelievi multipli; - prima del rialzo febbrile (60-90 minuti prima è il tempo ideale per intercettare le batteriemie più intense) Se la curva termica non è nota, orientarsi con la clinica: prelevare in coincidenza del rialzo febbrile (brivido), di una variazione termica significativa (> 38.3 °C e <36 °C), dell’improvvisa comparsa di 7 marezzatura, da un improvviso cambio di stato neurologico (negli anziani), o ancora per una lattacidemia non altrimenti spiegata. I FALSI POSITIVI Generalmente vengono considerati contaminanti gli Stafilococchi coagulasi negativi (CoNS), Corynebacterium spp, Bacillus spp, Streptococchi viridanti. La probabilità di infezione “vera”, (in relazione a tipologia del paziente, condizioni predisponenti, presenza di dispositivi protesici) può essere del10-15% per i CoNS, 38% per S. viridanti, 5% per Corynebacterium e Bacillus spp. Protocolli di prelievi consigliati in situazioni cliniche specifiche SEPSI, POLMONITE, OSTEOMIELITE, MENINGITE: 2-3 set nell’arco di 5-15 min prima dell’inizio della terapia antibiotica; ENDOCARDITE ACUTA: 2-3 set nell’arco di 5-15min prima dell’inizio della terapia antibiotica per tre giorni consecutivi; ENDOCARDITE SUBACUTA IN PZ GIA’ IN TERAPIA: 3 set nell’arco di 30-60 min, eventualmente ripetere i prelievi prelievi dopo 24 ore, se i precedenti sono ancora negativi FEBBRE DI NDD: 2-3 set di flaconi in 5-15 min per 3 giorni consecutivi lontano dalla somministrazione del farmaco. 2) Broncoaspirato (SE IOT)/Aspirato faringeo profondo O Espettorato (SE NO IOT) Per ogni paziente che giunge già intubato o tracheotomizzato in T.I o che viene sottoposto a IOT nelle prime fasi del ricovero, verrà raccolto un campione di broncoaspirato. Il broncoaspirato è una tecnica di raccolta delle secrezioni bronchiali a scopo diagnostico o terapeutico, poco invasiva e che non richiede speciali capacità. Poiché il catetere di aspirazione viene inserito alla cieca, c’è la possibilità che microrganismi che formano biofilm intorno al tubo endotracheale o la cannula tracheostomica possano contaminare il campione. Il prelievo va effettuato prima dell’inizio della terapia antibiotica, o prima del cambio di terapia antibiotica. Un tracheo-aspirato negativo in un malato in cui non siano stati cambiati gli antibiotici di recente (72 ore prima) ha un valore predittivo negativo importante. Se presente IOT: Broncoaspirato Materiale per la raccolta: • set sterile monouso con l'apposita provetta per la raccolta del materiale • provette sterili con tappo a vite (vedi urinocolture) • guanti sterili o pinza sterile Modalità di raccolta • in caso di abbondante secrezione collegare il sondino endobronchiale direttamente al set monouso con manovra sterile • in caso di secrezione scarsa eseguire il prelievo PREVIA immissione di 3-5 ml di soluzione fisiologica sterile. Conservazione • inviare al laboratorio immediatamente • in caso di impossibilità si può conservare il campione prelevato per due ore a temperatura ambiente oppure a +4° (in frigo) fino a 24 ore; • per la ricerca della Legionella e del BK si può conservare il campione fino a 48 ore a +4°C (in frigo) • specificare tipo di ricerca che si intende effettuare: germi comuni, miceti, legionelle, micobatteri, esame batterioscopico. Espettorato 8 L’espettorato è un materiale biologico scarsamente rappresentativo per la diagnosi eziologica di infezione delle vie aeree profonde e fornisce risultati controversi. Dovrebbe essere raccolto solo da pazienti con polmonite e tosse produttiva capaci di espettorare. Questo materiale è idoneo per la ricerca di Legionella pneumophila, Chlamydia pneumoniae, Mycoplasma pneumoniae e Pneuomocistis carinii con la metodica di amplificazione genica (PCR). Per Legionella pneumophila si ha una bassa sensibilità all'esame colturale o microscopico per cui è meglio ricorrere ad altri tipi di campione biologico (urina per ricerca antigene). Su richiesta specifica è possibile effettuare in questo materiale biologico, oltre alla ricerca di "routine", la ricerca colturale di Micobatteri, Nocardia spp. e Miceti. Materiale per la raccolta Il materiale va raccolto in recipiente sterile, a bocca larga (sputum collector). E' opportuno che il paziente sia assistito nella raccolta del campione. Modalità di raccolta Effettuare la raccolta al mattino a digiuno (se possibile). Rimuovere eventuali protesi dentarie, fare una pulizia adeguata del cavo orale e gargarismi con acqua distillata sterile. Raccogliere l’espettorato dopo un colpo di tosse e controllare che non sia contaminato da saliva. Se il paziente ha difficoltà ad espettorare si può ricorrere all’induzione aerosolica: far pulire la cavità orale con lo spazzolino da denti e sciacquare abbondantemente con acqua; far inalare 20-30 ml di soluzione salina tiepida al 3-10%; raccogliere l’espettorato nell’apposito contenitore. Numero dei prelievi Un solo campione è in genere sufficiente in caso di polmoniti batteriche. Per la diagnosi di infezioni tubercolari sono consigliati tre campioni raccolti in mattine successive, specificando la richiesta (in caso di positività del primo o del secondo campione è superfluo inviare i successivi). Aspirato faringeo profondo. Modalità di raccolta. Il materiale consente lo stesso tipo di ricerche microbiologiche dell'escreato, ma naturalmente è molto meno contaminato dalla flora batterica colonizzante la prima parte del tratto respiratorio. L'interpretazione dell'esame deve tenere conto del fatto che può esserci una certa contaminazione da parte della saliva (flora batterica residente nel cavo orale e faringe) e che (nel caso di aspirato da tracheostomia) la trachea è colonizzata dopo 24 ore dal momento dell'inserzione del tubo e per molti giorni dopo che il tubo è stato tolto. Questo materiale è ritenuto idoneo per colture di sorveglianza (colonizzazioni). Precauzioni Numerosi studi indicano che l’aspirazione è una procedura potenzialmente dannosa. Il sondino può anche provocare la stimolazione delle terminazioni vagali con conseguente bradiaritmia e ipotensione. E’ quindi importante controllare la comparsa di eventuali complicanze: - Ipossiemia, - aritmie, - aumento/diminuzione della pressione arteriosa media, - danno tracheale, - aumento della pressione intracranica. I pazienti sottoposti ad aspirazione faringea profonda possono sviluppare uno stato di ansia per il dolore provocato dalla manovra, è quindi importante preparare il paziente ed approcciarlo nel modo ottimale, tranquillizzandolo e spiegando passo passo ogni nostra azione. La durata dell’aspirazione non dovrebbe superare i 10/15 secondi. Raccomandazioni L’esecuzione della tecnica di aspirazione faringea profonda deve essere effettuata in asepsi. La misura del catetere di aspirazione deve essere adeguata alla via aerea del paziente. Monitorare il paziente durante la procedura. 3) URINOCOLTURA 9 Requisito fondamentale per poter ottenere risultati attendibili è che il campione sia idoneo e non contaminato. Ad eccezione della parte distale dell'uretra, l'apparato urinario fa parte delle zone sterili dell'organismo. Il prelievo deve essere effettuato PRIMA DELL’INIZIO DELLA TERAPIA ANTIBIOTICA (e comunque da non meno di 48 h dal termine); altrimenti, segnalare la terapia nella richiesta di analisi. E’ preferibile raccogliere le urine del mattino. Se il paziente è cateterizzato va segnalato al laboratorio. Raccolta 1) 2) 3) 4) Lavarsi le mani con antisettico; indossare guanti protettivi non sterili chiudere il catetere appena sopra la giunzione col tubo di raccordo disinfettare il tratto di catetere appena al di sopra della giunzione col tubo di raccordo con PVP iodio o derivati del cloro. 5) aspirare con una siringa ed ago sottile sterile almeno 10 ml di urina. 6) versarli nell’apposito contenitore STERILE a bocca larga con tappo a vite evitando di contaminarne con le mani i bordi interni. Aprire il contenitore SOLTANTO al momento della raccolta 7) non raccogliere l’urina dalla sacca o sconnettendo il catetere. Trasporto Il trasporto del campione al Laboratorio deve avvenire rapidamente: entro 30-60 min, se conservato a temperatura ambiente entro 6-12 h, se conservato in frigo (+4°C) entro 24 h, se addizionato di borato o polivinil-pirrolidone (PVP) e conservato a +4°C Non congelare il campione Accertarsi che il contenitore sia ermeticamente chiuso in modo che l’urina non fuoriesca durante il trasporto 4) TAMPONE RETTALE Il tampone rettale per la ricerca di Enterobatteri produttori di Carbapenemasi (CPE) va eseguito in prima giornata a TUTTI i pazienti. Modalità di esecuzione e conservazione del tampone rettale Posizionare il paziente in modo da rendere agevole l’esecuzione della procedura; Eseguire il frizionamento alcolico delle mani; Indossare i DPI: guanti monouso, occhiali protettivi, sovracamice monouso, etc; Inserire il tampone per la profondità di circa 2 cm, ruotandolo delicatamente per campionare le cripte anali; Inviare QUANTO PRIMA POSSIBILE il tampone in laboratorio di Microbiologia. N.B.: il tampone va eseguito SEMPRE ALL’INGRESSO e può essere conservato a temperatura ambiente (in apposito contenitore sterile) FINO A 48 ORE. 5) DRENAGGIO ADDOMINALE-TAMPONE FERITA (SU INDICAZIONE CLINICA). Il materiale che, più frequentemente, permette l’isolamento dei patogeni responsabili del processo infettivo è quello adiacente alla parete dell’ascesso o, nel caso di lesione aperta, il materiale che mina i margini della lesione. Solo il materiale raccolto e trasportato correttamente viene processato per la ricerca di batteri anaerobi. 10 La coltura aerobia standard comprende sempre la ricerca dei funghi lievitiformi e dei funghi filamentosi a rapida crescita. Materiale occorrente: - Soluzione antisettica (clorexidina digluconato con concentrazioni ≥0.5 % in alcool etilico, PVP iodio in soluzione saponosa ed acquosa); - Siringa sterile; - Flaconi con terreno di coltura per trasporto in aerobiosi ed anaerobiosi o provetta sterile tipo vacutainer senza additivi (tappo bianco da 3ml); - Soluzione fisiologica sterile; - Eventualmente tamponi in terreno di trasporto liquido. Modalità di prelievo In condizioni di sterilità ripulire la ferita dai detriti superficiali con soluzione fisiologica. In caso di cute o mucose integre detergere con clorexidina/PVP iodio e aspirare il materiale con siringa sterile. Immettere il materiale nel contenitore di trasporto idoneo (flaconi per emocolture o vacutainer ). Se il materiale drena spontaneamente all’esterno, detergere con soluzione fisiologica, disinfettare e prelevare il materiale mediante aspirazione con siringa, senza ago. Nel caso di tragitti fistolosi pulire accuratamente il tragitto con soluzione salina sterile prima di immettere un cateterino sterile con cui penetrare nel focolaio suppurativo, procedendo all’aspirazione diretta del materiale. Se il materiale viene raccolto da un drenaggio, clampare il tubo di drenaggio, disinfettare con clorexidina in soluzione alcolica l’estremità del drenaggio e prelevare il materiale mediante aspirazione con siringa sterile. Non inviare materiale prelevato da sacche di raccolta. Modalità di conservazione e trasporto Trasportare i campioni rapidamente in laboratorio. Se il campione è stato raccolto in una provetta tipo vacutainer, il materiale deve essere mantenuto a temperatura ambiente e processato in tempi rapidi. Se il campione è stato inoculato in idoneo flacone di trasporto o nei “flaconi da emocoltura” può essere mantenuto a temperatura ambiente per 24 ore. 6) ESAMI DI LABORATORIO: VES, PCR, PcT Ricercare in tutti i pazienti gli Indici di flogosi, VES e PCR. Il dosaggio della PcT andrà richiesto all’ingresso in TI solo in caso di forte sospetto clinico/laboratoristico di infezione in atto. 7) Ricerca antigene urinario Legionella pneumophila In alcuni pazienti con storia suggestiva Fattori di rischio e malattie di base che favoriscono l’acquisizione di una polmonite da Legionella Fattori di rischio Età avanzata Sesso maschile Alcolismo Tabagismo Sonda nasogastrica, alimentazione con sondino Inalazione di acqua non sterile Presenza di Legionella in più del 30% dei campioni d’acqua analizzati o di concentrazioni di Legionella > 103/L in una determinata struttura Presenza di torri di raffreddamento degli impianti di condizionamento nell’area circostante Tipologia lavoro: giardinieri, addetti, manutenzione e pulizia impianti di condizionamento e torri evaporative, minatori, dentisti, addetti vendita vasche idromassaggio, giardinieri etc..) Malattie di base 11 Broncopneumopatia cronica ostruttiva Immunosoppressione: Trapianto d’organo Terapia corticosteroidea cronica Neoplasie e interventi chirurgici ORL Insufficienza renale terminale Insufficienza cardiaca Diabete BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE - Linee Guida dell’AMCLI –Associazione Microbiologi Italiani - Juan H. Macias, Virginia Arreguin, Juan M. Munoz, Jose A. Alvarez, Juan L. Mosqueda, Alejandro E. Macias. Chlorhexidine is a better antiseptic than povidone iodine and sodium hypochlorite because of its substantive effect. AJIC 2013; Volume 41. - Hall KK et al. Clin Microbiol. Rev 2006: 19: 788-802. - National Public Health BSOP 37 Investigation of blood cultures (for organisms other than Mycobacterium species). - Lee A1, Mirrett S, Reller LB, Weinstein MP. Detection of bloodstream infections in adults: how many blood cultures are needed? J Clin Microbiol. 2007 Nov;45(11):3546-8. Epub 2007 Sep 19. - F. R. Cockerill III, J. W. Wilson, E. A. Vetter, K. M. Goodman, C. A. Torgerson, W. S. Harmsen, C. D. Schleck,D. M. Ilstrup, J. A. Washington II and W. R. Wilson. Optimal Testing Parameters for Blood Cultures. CID 2004:38 (15 June). - Weinstein MP. Blood culture contamination: persisting problems and partial progress. J Clin Microbiol 2003; 41:2275-8. - Beekmann SE, Diekema DJ, Doern GV. Determining the clinical significance of coagulasenegative staphylococci isolated from blood cultures. Infect Control Hosp Epidemiol. 2005;26:559–66. - GUIDELINE FOR PREVENTION OF CATHETER-ASSOCIATED URINARY TRACT INFECTIONS. CDC 2009. 9. MONITORAGGIO DEL PAZIENTE NON INFETTO Nei pazienti ricoverati, che non mostrano segni e/o sintomi di infezione in atto: Monitorare continuamente i parametri clinici Valutare i comuni biomarker di infezione in maniera giornaliera Ripetere VES e PCR ogni 3 giorni Ripetere gli esami colturali effettuati al ricovero dopo 6 giorni di degenza 10. MONITORAGGIO DEL PAZIENTE INFETTO Monitorare continuamente i parametri clinici Ripetere esami colturali dopo 72 h dal precedente prelievo Rivalutare i comuni biomarker in maniera giornaliera Ripetere PCR e VES ogni 2 giorni 12 Eseguire un prelievo di PcT basale e ripeterlo ogni 2 giorni In caso di infezioni complesse, mancato miglioramento del paziente nonostante adeguata terapia antibiotica, è fortemente consigliato il ricorso a consulenze specialistiche infettivologiche, ed ulteriori esami di laboratorio/imaging appropriati. 11. INFEZIONI: DEFINIZIONI E CRITERI DI DIAGNOSI 11.A. SEPSI E’ utile tenere ben presenti le definizioni di: Infezione: fenomeno microbico caratterizzato da una risposta infiammatoria che si verifica in presenza di microrganismi o in seguito all’invasione da parte di questi ultimi di tessuti dell’ospite normalmente sterili. Batteriemia: presenza di batteri vitali nel sangue. SIRS: risposta infiammatoria sistemica ad una varietà di insulti clinici severi. Rivelata da due o più delle seguenti condizioni: 1. Temperatura centrale >38 o<36 2. FC>90 battiti/min 3. Frequenza respiratoria >20/respiri/mino PaCO2 <32mmHg o ventilazione artificiale 4. Conta leucocitaria>12000/mm³ o <4000/mm³ oppure<10% forme immature. Sepsi: presenza (probabile o documentata) di infezione associata a manifestazioni sistemiche di infezione. Sepsi severa: presenza di sepsi associata a disfunzione d’organo o ipoperfusione tissutale. -IPOTENSIONE INDOTTA DA SEPSI: definita come una PAS < a 90 mmHg o una MAP <70 mmHg o una riduzione della PAS >40 mmHg o a valori inferiori a due ds al di sotto dei valori normali per sesso ed età in assenza di altre cause di ipotensione. -SHOCK SETTICO: ipotensione indotta da sepsi persistente nonostante adeguata fluidoterapia/ non responsiva ai fluidi. -IPOPERFUSIONE INDOTTA DA SEPSI: ipotensione non resposniva ai fluidi , aumento dei livelli di lattacidemia >4mmmol/L o oliguria indotti da un ‘infezione. Criteri diagnostici SEPSI: Infezione, documentata o sospetta, associata alla coesistenza di 2 o più delle seguenti variabili: Variabili generali: - Ipotermia ( temperatura core <36°) - FC >90 bpm o maggiore di 2 ds rispetto ai valori normali per età - Tachipnea - Stato mentale alterato - Edemi o bilancio fluidico positivo ( > 20 ml/kg/ 24 h) - Iperglicemia ( glucosio plasmatico > 140 mg/dl) in assenza di diabete - Febbre > 38,3 °C Variabili infiammatorie: - Leucocitosi( WBC >12.000) 13 - - Leucopenia (WBC< 4000) - Conta leucocitaria normale con più del 10% di forme immature - Aumento della PCR sopra le due deviazioni standard rispetto ai valori normali - Aumento della PCT sopra le due deviazioni standard rispetto ai valori normali Variabili emodinamiche: Ipotensione arteriosa SPB < 90, MAP < 70° riduzione SBP > 40 nell’adulto o inferiore a due DS al di sotto dei valori normali per età. Variabili di disfunzione d’organo: - Ipossiemia arteriosa (PaO2/FiO2 <300) - Oliguria acuta (output urinario <0,5 mL/kg/hr per almeno due ore nonostante adeguata fluidoterapia) - Aumento dei valori di creatinina >0,5 mg/dl - Disordini della coagulazione (INR >1,5 o APTT >60 s) - Ileo (peristalsi assente) - Trombocitopenia ( conta piastrinica < 100000/ microlitro) - Iperbilirubinemia ( Bil tot >4 mg/dl) Variabili di perfusione tissutale: - Iperlattacidemia ( >1 mmol/L) - Tempo di refilling capillare ridotto o marezzature evidenti. Criteri diagnostici SEPSI SEVERA: Ipoperfusione tissutale o disfunzione d’organo indotta da sepsi (qualsiasi delle condizioni seguenti associate all’infezione): - Ipotensione indotta da sepsi Iperlattacidemia Output urinario <0.5 ml/kg/h per più di due ore consecutive non responsivo ai fluidi PaO2/FiO2 <250 in assenza di infezione polmonare come fonte infettiva PaO2/FiO2 <200 in presenza di infezione polmonare come fonte infettiva Creatinina >2.0 mg/dl Bilirubina >2 mg/dL Conta piastrinica <100000 microlitro Coagulopatia (INR >1,5) Management della Sepsi LE LINEE GUIDA SSC 2012 raccomandano l’inizio tempestivo del protocollo terapeutico nei pazienti con ipoperfusione indotta da sepsi, tale protocollo va messo in atto il prima possibile e non deve essere ritardato nell’attesa del ricovero in ICU. Durante le prime 6 ore gli obiettivi iniziali da perseguire sono: 1 CVP 8-12 mmHg 2 MAP =>65 mmHg 3 Diuresi >0.5Ml/kg/h 4 ScVO2 o SvO2 del 70% e 65% rispettivamente. 5 EGDT Early Goal Directed Therapy misurazione dei livelli di lattati nei pazienti come marker di ipoperfusione tissutale. Screening Individuare tutti i pazienti potenzialmente infetti per sepsi severa in modo da permettere la precoce identificazione della sepsi e iniziare al più presto la terapia. Il riconoscimento precoce della sepsi migliora l’outcome e riduce la mortalità ad essa legata. Ridurre il tempo di diagnosi è una componente critica per la riduzione di mortalità e disfunzione d’organo. Ai fini di migliorare quest’aspetto di gestione è utile riferirsi ai bundles della SSc (vedi tabella pagina seguente), una raccolta breve di raccomandazioni che possono essere usate come base del management del pz settico e per migliorare lo stesso. SURVIVING SEPSIS CAMPAIGN BUNDLES ENTRO 3 H: Misurare i livelli di lattati 14 ENTRO 6 H: Effettuare emocolture prima della somministrazione di antibiotici Somministrare antibiotici ad ampio spettro Somministrare 30 mL/kg cristalloidi per ipotensione o lattati >= 4mmol/L iniziare vasopressori per l’ipotensione non responsiva ai fluidi per mantenere MAP >= 65 Per l’ipotensione persistente non responsiva ai fluidi ( shock settico) o valori di lattati iniziali >= 4 mmol/L: -Misurare CVP -Misurare ScvO2 Ridosare i lattati se i valori inziali erano elevati. Diagnosi Devono essere ottenute colture appropriate prima dell’inizio della terapia antibiotica ma queste non devono costituire motivo di ritardo della stessa (non oltre 45 minuti). Per ottimizzare l’identificazione del microrganismo/i responsabile/i effettuare: almeno 2 set di emocolture (2 anaerobi 2 aerobi), di cui almeno uno da periferica e uno da ogni accesso vascolare a meno che questo non sia stato inserito meno di 48 h prima; colture da altri siti (se opportuno): urinocoltura, liquido cefalorachidiano, ferite, secrezioni bronchiali o altri fluidi biologici che potrebbero essere fonte d’infezione. colorazione gram: su richiesta del curante PcT, PCR ad alta sensibilità 1,3 beta glucano, antigene mannano e anticorpi anti-mannano se si sospetta una candidiasi invasiva. Mostrano positività più precocemente delle colture, attenzione ai falsi postivi e ai casi di colonizzazione. utilizzo antivirali precocemente per sospetto infezione virale. Imaging Effettuare più precocemente possibile esami radiologici volti a confermare / individuare la fonte d’infezione e da utilizzare eventualmente come guida per prelievo campioni da coltura. Gli esami radiologici a letto del pz sono da preferire laddove possibile, il trasporto del paziente può essere pericoloso: valutare rischi e benefici. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: - Surviving Sepsis Campaign: International Guidelines for Management of Severe Sepsis and Septic Shock: 2012 Surviving Sepsis Campaign: Updated Bundles in Response to New Evidence. April 2015. 11.B. POLMONITI: CAP, HAP, HACP, VAP CAP: Community Acquired Pneumonia, polmonite che si manifesta in paziente non ospedalizzato o ricoverato da meno di 48 ore o residente in una casa di risposo o simile da più di 14 giorni dall’insorgenza dei sintomi. HAP: Hospital Associated/acquired Pneumonia, polmonite che insorge entro 48 h o più dopo l’ammissione in ospedale e che non era in incubazione al momento del ricovero. Può essere gestita in reparti di degenza o in UTI nei casi più severi. VAP: Ventilator Associated Pneumonia, insorge tra le 48 e le 72 h dopo IOT. HCAP: Health Care Associated Pneumonia, è definita come una polmonite che colpisce pazienti: con precedente ricovero in ospedale di almeno 2 gg. nei 90 gg. precedenti lo sviluppo dell’infezione che sono stati degenti presso istituti di assistenza/riabilitazione (RSA) trattati con antibiotici ev 15 - sottoposti a chemioterapia nei 30 gg. Precedenti in trattamento dialitico HAP e VAP sono distinte in early e late onset. Early onset HAP e VAP (ATS guidelines): forme che esordiscono nei primi 4 gg dall’ammissione/intubazione generalmente sostenute da germi sensibili ai comuni antibiotici. Late onset HAP e VAP: insorgono dopo 5 gg. o più dall’ammissione/ intubazione, sono spesso sostenute da batteri multiresistenti (MDR, multidrug-resistant) e sono associate a una maggiore morbilità e mortalità. La distinzione tra le due si basa su criteri microbiologici oltre che temporali, implicando un differente approccio terapeutico. La letteratura più recente però sembra in parte smentire questa classificazione, dimostrando che la frequenza di MDR ( Pseudomonas spp, MSSA, MRSA e altri ) è similare nei due gruppi. Anche i pazienti con polmonite early onset ma con fattori di rischio da colonizzazione/infezione da germi MDR (vedi sopra HCAP) vengono trattati come le forme late-onset. L’eziologia delle VAP early e late onset non è necessariamente distinta (germi “comunitari” vs. “nosocomiali”), ma dipende dal timing dell’intubazione endotracheale. Infatti, quando questa avviene dopo l’ammissione in ospedale, la colonizzazione delle vie aeree superiori da parte di patogeni nosocomiali può già essere intervenuta, e la polmonite, seppur insorta precocemente e quindi classificabile come early onset, può essere causata da microrganismi tipicamente associati alla late onset pneumonia. Altra considerazione da fare è che la polmonite nei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva (TI), è causata nella maggior parte dei casi dall’aspirazione di microrganismi che costituiscono la flora nasale, orofaringea e gastrica. Ciò può accadere sia prima dell’ammissione in TI, soprattutto nei pazienti con funzionalità delle vie aeree depressa da condizioni quali coma, trauma o chirurgia, sia dopo l’intubazione e il ricovero in TI. Per questa ragione alcuni autori sostengono che la definizione “Ventilator-Associated Pneumonia” (VAP) non sia appropriata e dovrebbe essere sostituita da termini quali “Intubation-Associated Pneumonia” per la VAP early onset e “Tube-Associated Pneumonia” per la VAP late onset. Fattori di rischio (predisponenti alle infezioni nosocomiali in genere): Condizioni cliniche preesistenti Età avanzata Malnutrizione Alcolismo Diabete Immunodepressione Malattie respiratorie croniche Tabagismo Procedure invasive Intubazione oro-nasale tracheale Catetere venoso centrale Emofiltrazione Drenaggi chirurgici Tracheostomia Catetere vescicale Broncoscopia Patologie acute Intervento chirurgico Trauma Ustioni Trattamenti Emo-trasfusioni Terapia antibiotica recente Trattamenti immunodepressivi Profilassi antiulcera Posizione supina Nutrizione parenterale Ventilazione meccanica prolungata Sedazione Fattori di rischio per MDR: Emodialisi Chemioterapia endovenosa. Immunodepressione Ricovero in ospedale negli ultimi 30 gg. Interventi chirurgici negli ultimi 90 gg. Provenienza da case di cura o lungodegenza. 16 Diagnosi Per la diagnosi di polmonite, i parametri oggi in uso (CDC, Aprile 2015) sono: CLINICI - DI IMAGING - LABORATORISTICI. CRITERI CLINICI (segni e sintomi). Almeno uno dei seguenti: Febbre > 38 °C; Leucopenia < 4000 GB/mm3 oppure leucocitosi > 12000 GB/mm3; Per adulti > 70 aa, alterazione coscienza senza altre cause note; + almeno due dei seguenti: Sputum purulento o modifica delle sue caratteristiche, o aumento delle secrezioni respiratorie o aumento della necessità di aspirazione; Insorgenza o peggioramento della tosse o dispnea o tachipnea; Ronchi o soffio bronchiale; Peggioramento degli scambi gassosi (PaO2/FiO2 < 240), aumento delle richieste di ossigeno o aumento del supporto respiratorio meccanico. IMAGING Due o più esami radiologici del torace (RX o TC) che presentino almeno una delle seguenti alterazioni: Infiltrato nuovo o progressivo persistente Aree di consolidamento Cavitazione NB: nei pazienti cardiopatici, BPCO, ARDS, un solo esame positivo è sufficiente per la diagnosi. RADIOGRAFIA STANDARD DEL TORACE*: rapida interpretazione. (* una radiografia standard normale, in presenza si segni e sintomi tipici, NON esclude con sicurezza una polmonite). In fase iniziale è possibile evidenziare un’area di ipodiafania, che evolve successivamente in un’area di addensamento alveolare omogenea, a delimitazione scissurale lobare o sublobare (fase di epatizzazione) con broncogramma aereo nel contesto. Polmonite lobare Nella fase di colliquazione si può osservare aumento di volume del lobo interessato, con aspetto convesso della scissura. In fase avanzata possono residuare minima perdita di volume del lobo interessato e aderenze pleuriche. Tipici addensamenti “a vetro smerigliato” con distribuzione disomogenea, multilobare e bilaterale. Concomitano fenomeni di air trapping per la presenza di bronchiolite e aree di consolidamento con aspetto Broncopolmonite confluente, quando coesista danno alveolare diffuso. In circa il 75% dei casi si associano cavitazioni e ascessi polmonari. Presenza di aree di consolidamento lobare, focale o multifocale (più frequentemente a livello dei lobi superiori), di un quadro di tipo broncopolmonitico, di infiltrati perilari bilaterali e di pneumatoceli che possono Polmonite interstiziale causare pneumotorace spontaneo. Fino al 39% dei casi può mostrare una radiografia senza alcuna alterazione. La polmonite da P. carinii può presentarsi in forma atipica con consolidamento lobare, noduli, adenopatie mediastiniche e versamento pleurico. Legionella. Pneumocistis. Da micosi, frequenti nei pazienti immunodepressi. Masse nodulari dall’aspetto frequentemente escavato. Forme nodulari - Aspergillosi: può manifestarsi nella forma saprofitica (micetoma) o nella forma invasiva. La forma saprofitica è caratterizzata da una localizzazione fungina circoscritta con accumulo di filamenti miceliali in una cavità preesistente (bronchiectasia, bolla enfisematosa, caverna tubercolare, neoplasia escavata). All’RX appare come una formazione tondeggiante, radiopaca, omogenea all’interno di una cavità dalla cui parete risulta separata da una banda di radiotrasparenza di vario spessore. Se la cavità è di grandi dimensioni, il micetoma puà spostarsi liberamente con il cambiamento del decubito del paziente (fenomeno che può non verificarsi se esistono tralci di collegamento con la parete). La forma invasiva colpisce più frequentemente l’immunodepresso e si caratterizza per un quadro similbroncopolmonitico, con aree di addensamento parenchimale “a chiazze”; l’occlusione di piccole arterie da parte di accumuli di ife può causare infarti che appaiono come opacità tondeggianti singole o multiple, con tendenza alla cavitazione, o come aree di addensamento triangolare con base rivolta alla pleura. Tipici sono 2 segni: halo sign: area a vetro smerigliato testimonianza di un’emorragia alveolare circondante un nodulo derivante da infarto per angioinvasione (DD: polmonite eosinofila, BOOP, TBC, CMV, Herpes Simplex, Coxiella Burnetii) air crescent sign: area di radiotrasparenza a densità aerea e morfologia seminodulare o circonferenziale nel contesto di un nodulo polmonare. E’ indicativo di prognosi migliore. Candidosi: comportamento invasivo nell’immunodepresso. Diffusi addensamenti “a chiazze” confluenza (vedi sopra). 17 tendenti alla LABORATORIO (indagini microbiologiche e microscopiche). Permette di definire la diagnosi eziologica. Emocoltura positiva non correlata ad altra fonte di infezione Coltura di fluido pleurico positiva Colture quantitative positive da campioni minimamente contaminati (BAL/PSB) Presenza di batteri intracellulari in > 5% delle cellule ottenute dal BAL Colture positive di biopsie polmonari All’esame istopatologico: ascessi o foci di consolidamento con accumulo di PMN nei bronchioli ed alveoli oppure invasione parenchimale da parte di ife o pseudo-ife Test non colturali sul secreto respiratorio o tessuti per virus, Bordetella, Chlamydia, Mycoplasma, Legionella Titolo anticorpale specifico quadruplicato Positività di antigeni di Legionella sierogruppo 1 nelle urine Procedure diagnostiche più comuni BAL Il BAL è una metodica endoscopica di prelievo che permette il recupero di cellule dal polmone profondo tramite il lavaggio con soluzione fisiologica. Differisce dal lavaggio bronchiale che consiste nel lavaggio e nell’aspirazione del materiale presente nelle grosse vie aeree. Consente di campionare larghe aree del distretto alveolare. La metodica richiede una precisa tecnica di esecuzione e deve essere sottoposta a un controllo qualitativo (un campione è considerato adeguato se sono presenti meno del 5% di cellule bronchiali o 1% di cellule squamose delle alte vie respiratorie). La procedura prevede i seguenti passaggi: 1) Si inserisce il broncoscopio in un bronco tributario della zona polmonare da studiare o, nel caso di pneumopatia infiltrativa diffusa, nella lingula o lobo medio. 2) Il BAL è praticato dopo l’ispezione delle vie aeree e prima di biopsie o brushing 3) Si instillano da 100 a 200 cc di soluzione fisiologica a 37° in aliquote di 20-60 cc fino ad ottenere 40-50 cc di recupero totale. 4) Dopo ogni aliquota si procede ad una aspirazione, a bassa pressione per evitare il collasso dei bronchi ed il trauma da suzione sulla mucosa. 5) La prima aliquota può essere raccolta separatamente ed utilizzata per ricerche microbiologiche. 6) Le altre aliquote vengono utilizzate per la conta morfologica delle cellule presenti e per l’analisi citofluorimetrica. 7) Il recupero totale varia dal 50 all’ 80%. L’abitudine al fumo, l’età o la presenza di COPD riduce la quantità di liquido raccolto 8) Un recupero di 100 ml non richiede ulteriori aliquote infusive. Se il recupero totale è inferiore al 5% la procedura non è riuscita. Se la differenza tra l’instillato ed il recuperato è > a 100 ml cambiare area. 9) I campioni ottenuti devono essere processati dal laboratorio entro 2 ore dalla loro raccolta. 10) Il BAL deve essere trasportato entro 30 min al laboratorio, altrimenti va conservato in ghiaccio (cellule a 4°C fino a 24 h). E’ controverso se unire la prima aliquota di recupero alle seguenti. Il liquido deve essere messo in un unico contenitore, misurato e ben miscelato. Va filtrato su uno strato di garza sterile. Le principali indicazioni all’esecuzione del BAL sono le seguenti: a) Diagnostica delle pneumopatie infiltrative diffuse sia in pazienti immunocompetenti che non; b) Trattamento della proteinosi alveolare. L’esame del BAL può risultare diagnostico in alcune situazioni quali le infezioni opportunistiche, la proteinosi alveolare, la sindrome da emorragia alveolare, le infiltrazioni neoplastiche, la polmonite eosinofila, istiocitosi X polmonare e la berilliosi. In altre patologie i reperti del BAL possono risultare compatibili, ma non diagnostici, con il quadro clinicoradiologico (sarcoidosi, polmonite da ipersensibilità, infezioni batteriche, pneumoconiosi, etc.). Talora il BAL permette di reindirizzare l’iter diagnostico Le controindicazioni del BAL sono le stesse della fibrobroncoscopia. Controindicazioni Aritmie cardiache gravi Instabilità emodinamica 18 - Recente infarto miocardico VEMS < 1 litro Asma con broncostruzione moderata/severa Ipossiemia refrattaria Mancanza di cooperazione Complicanze Febbre post-broncoscopia (2.5%) Polmonite (0.4%) Sanguinamento (0.7%) Broncospasmo (0.7%) BRUSHING CON CATETERE PROTETTO Questa tecnica consente un accesso diretto alle vie aeree inferiori attraverso il broncoscopio e il recupero di secrezioni respiratorie non contaminate. Il brushing viene effettuato con una spazzola protetta da un doppio catetere telescopico, protetta da un tappo di glicole polietilenico riassorbibile all’interno della punta della camicia più esterna. Viene inserito nel canale operativo del FBS e può essere portato (preferibilmente sotto controllo radiologico) direttamente nella sede dell’infezione mantenendo la sterilità della spazzola e permettendo di recuperare secrezioni non contaminate dalla flora orofaringea. Tecnica: 1) Aspirare con un sondino le secrezioni orofaringee o nel tubo di ventilazione per ridurre le secrezioni che rischierebbero di contaminare il prelievo; 2) Indossare guanti sterili per manipolare il PBS 3) Posizionare il broncoscopio fino ad incunearlo nel bronco sede del processo infettivo( sulla base dei referti radiologici o del riscontro endoscopico) 4) Introdurre il PBS nel canale operativo spingendo la punta del brushing 2 cm oltre la punta del broncoscopio 5) Dopo aver espulso il tappo riassorbibile distale mediante protrusione della cannula interna, far avanzare la spazzola di 3 -4 cm al di fuori della cannua interna , all’interno dell’addensamento poarenchimale, effettuare movimenti di va e vieni e poi ritirarla nella cannula interna di alcuni cm. 6) Sfilare il PBS dal canale operativo del broncoscopio, pulire l’estremità della cannula con etanolo al 70% e far avanzare la spazzola fino a farla uscire dalla cannula interna, tagliarla e inserire per caduta in un contenitore sterile contenente 1 ml di ringer lattato. 7) Inviare immediatamente alla microbiologia. Differenze BAL/PSB Il BAL è in genere preferito per: sensibilità più elevata, accertamenti microbiologici più estesi, campo diagnostico allargato a patologie che possono simulare una polmonite. BAL PSB Contaminazione prelievo Si scarsa Compliance paziente ± ± Indagini microbiologiche Complete Solo batteri Diagnosi altre patologie Citologia No immunologia Tempo esecuzione 5-10 min 2 min Effetti collaterali Ipossiemia scarsi Costi Bassi Elevati 19 SCORE DI RISCHIO: CAP Per identificare i pazienti che necessitano di assistenza di tipo intensivo/rianimatorio, si consiglia il ricorso ad uno o più dei seguenti score (a discrezione del curante). 1. PSI (Pneumonia Severity Index) 2. CURB65 score (Confusion, Urea nitrogen, Respiratory rate, Blood pressure, Age > 65) 3. SMART – COP (Systolic blood pressure, Multilobar, Albumin, Respiratory rate, Tachycardia, Confusion, Oxygen, Ph) 4. IDSA/ATS 1. PSI – PNEUMONIA SEVERITY INDEX Indice per la determinazione della classe di rischio in pazienti immunocompetenti con polmonite acquisita in comunità. FATTORI DEMOGRAFICI Età uomo Età donna Residente in istituzione Malattia neoplastica Malattia epatica Insufficienza cardiaca congestizia Malattia cerebrovascolare Malattia renale Età in anni Età in anni - 10 +10 +30 +20 +10 +10 +10 REPERTI OBIETTIVI DI SEVERITA’ Alterato stato mentale Frequanza respiratoria ≥ 30/min Pressione sistolica < 90 mmHg Temperatura < 35°C o > 40°C Polso ≥ 125/min +20 +20 +20 +15 +10 REPERTI STRUMENTALI pH arterioso < 7,35 Azoto ureico ≥ 30 mg/dL (11 mmol/L) Sodiemia < 130 mmol/L Glicemia ≥ 250 mg/dL Ematocrito < 30 % PaO2 < 60 p Sao2 < 90 Versamento pleurico CLASSE DI RISCHIO 1 (basso) 2 (basso) 3 (basso) 4 (moderato) 5 (elevato) +30 +20 +20 +10 +10 +10 +10 PUNTEGGIO Età < 50, assenza di malattie coesistenti, assenza di reperti obiettivi di severità ≤ 70 71-90 91-130 >130 Le classi di rischio 4 e 5 necessitano di assistenza ospedaliera. 20 MORTALITA’ 0,1 % 0,6 % 0,9 % 9,3 % 27 % 2. CURB65 score Indice per la valutazione del rischio di mortalità in ospedale. E’ calcolato attribuendo 1 punto a ciascuna delle seguenti variabili prognostiche: Confusion Blood Urea Nitrogen Respiratory rate Blood pressure Age Punteggio al Mental Test abbreviato di 8 o inferiore > 7mmol/L (oppure BU > 19 mg/dL) ≥ 30 atti/min PAS < 90 mmHG oppure PAD < 60 mmHg 65 aa o più I pazienti vengono stratificati come segue: 0/1 : basso rischio (rischio < del 3%) 2 : rischio intermedio (mortalità del 3-15%) 3/5: alto rischio (mortalità > 15%) 3. SMART – COP Strumento per la valutazione della necessità di ricovero in Terapia Intensiva per pazienti con polmonite. S - Systolic blood pressure M - Multilobar chest radiography involvment A - Albumin < 3,5 mg/dL R - Respiratory rate (aggiustato per età) Età < 50 FR > 25 a/min Età > 50 FR > 30 a/min T - Tachycardia > 125 bpm C - Confusion O - Oxygen (aggiustato per età) Età < 50 PaO2 < 70 mmHg, SaO2 < 93%, Pao2/FiO2 < 333 Età > 50 PaO2 < 60 mmHg, SaO2 < 90%, PaO2/FiO2 < 250 P - pH < 7,35 +2 +1 +1 +1 +1 +1 +2 +2 Definizione del rischio Basso Moderato Alto Molto alto 0–2 3–4 5–6 7o> Lo score stima il rischio di mortalità a 30 giorni, ma la sua funzione è anche quella di identificare i pazienti che necessitano di ricovero in UTI. Sensibilità: 92,3%; specificità: 62,3 %; VPP: 22 %; VPN: 98,6 % 21 4. IDSA/ATS Sistema di valutazione di gravità del malato con polmonite, studiato allo scopo di portare un giudizio circa la necessità di ricovero in UTI. CRITERI MAGGIORI Necessità di ventilazione meccanica Shock settico con necessità di vasopressori CRITERI MINORI Tachipnea > 30 a/min Rapporto PaO2/FiO2 ≤ 250 Polmonite a focolai multipli Paziente confuso o disorientato Iperazotemia (> 20 mg/dL) Leucopenia Trombocitopenia Ipotermia Ipotensione L’identificazione del paziente da gestire in UTI deriverà dalla rilevazione di almeno uno dei criteri MAGGIORI oppure di almeno 3 dei criteri MINORI. Sensibilità: 65 %. Tale strumento individua una quota di pazienti con necessità di ricovero in UTI molto alta (il 30% circa delle polmoniti potrebbe essere definita severa dall’applicazione di tale metro). E’ quindi necessaria un’attenta valutazione clinica prima di porre la scelta definitiva sul corretto reparto di cura cui destinare il malato. SCORE DI RISCHIO: VAP CPIS (Clinical Pulmonary Infection Score) 22 Un punteggio di CPIS di 6 è una misura abbastanza precisa della presenza o assenza di infezione polmonare, alla stessa maniera di una coltura batterica. Gli elementi dello score non sono stati selezionati sulle basi di una rigorosa evidenza scientifica ma sulla base dell’opinione di esperti. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: - Torres A, et al. Intensive Care Med 2009:35:9-29 Imaging delle polmoniti acquisite in comunità – Emergency care journal – Aprile 2009 Pneumonia (Ventilator-associated [VAP] and non-ventilator-associated Pneumonia [PNEU]) Event. CDC Atlanta 2015. Infectious Diseases Society of America/American Thoracic Society Consensus Guidelines on the Management of Community-Acquired Pneumonia in Adults. Clinical Infectious Diseases 2007; 44:S27–72. Guidelines for the Management of Adults with Hospital-acquired, Ventilator-associated, and Healthcare-associated Pneumonia. Am J Respir Crit Care Med Vol 171. pp 388–416, 2005. A.Casalini: Pneumologia interventistica 2007 Springer Verlag Italia. 11.C. INFEZIONI ADDOMINALI Segni e sintomi Dolore: inizialmente lieve e scarsamente localizzato (peritoneo viscerale) poi costante, grave e più localizzato (peritoneo parietale). Vomito Febbre alta Peristalsi assente Rigidità addominale Anoressia Calo ponderale Segni di ipotensione e ipoperfusione: acidosi lattica, oliguria e alterazione acuta dello stato mentale Leucocitosi Fattori di rischio: Paziente-correlati Patologia- correlati 23 Età Comorbidità Diabete Malnutrizione Obesità Immunodepressione (alcolisti, neoplastici,trapianti) Terapia in atto (FANS, anticoag.) Terapia immunodepressive Trattamenti ospedalieri cronici Occlusione Tipo di chirurgia Drenaggi Sanguinamento massivo Trasfusioni massive Monitoraggio invasivo Ipotensione intraoperatoria Durata intervento> 3 ore Contaminazione intraoperatoria MANNHEIM SCORE Fattore di rischio - Score Età> 50 aa Sesso femminile Sesso maschile Insuff. d’organo presente Insuff. d’organo assente Neoplasia maligna Neoplasia maligna assente Durante preoperatoria della peritonite > 24 h Durante preoperatoria della peritonite < 24 h Origine non colica della sepsi Origine colica della sepsi Peritonite diffusa Peritonite localizzata 5 5 0 7 0 4 0 4 0 4 0 6 0 Essudato: chiaro torbido, purulento stercoraceo 0 6 12 Valore > 26 alto rischio di mortalità Diagnosi: 1. CLINICA: fornisce gli elementi principali di diagnosi; nel paziente critico può essere difficile per lesioni confondenti, insufficienza respiratoria, ottundimento, altre comorbilità 2. IMAGING: la TC è la metodica d’elezione. Nei pazienti instabili non trasportabili, l’ecografia è la modalità di scelta. Le radiografie dell’addome sul piano sagittale, sono utili per identificare la presenza di aria libera sottodiaframmatica, indice di un viscere perforato. Eventuali ulteriori indagini radiologiche da effettuarsi secondo il sospetto clinico/diagnostico. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: - Diagnosis and Management of Complicated Intra-abdominal Infection in Adults and Children: Guidelines by the Surgical Infection Society and the Infectious Diseases Society of America. Clinical Infectious Diseases 2010; 50:133–64. 24 11.D. INFEZIONI DELLE VIE URINARIE (IVU) Segni e sintomi - Macroematuria e microematuria Pollachiuria, disuria, stranguria, iscuria, piuria Riduzione della diuresi Dolore in regione ipogastrica o lombare Urine torbide Febbre Leucocitosi Fattori di rischio - Sesso femminile Cateterizzazione prolungata Prolungata degenza Diabete Uso di antibiotici Altri siti di infezione attivi Creatinina ≥2 mg/dl Malnutrizione Pz proveniente dai reparti di medicina vs ai pz dei reparti chirurgici ( la chirurgia cardiovascolare è meno a rischio) Inappropriato nursing Diagnosi - Clinica Esame chimico fisico urine Coltura Esami strumentali: ecografia, cistoscopia. PREVENZIONE CAUTI –IVU Sorveglianza delle infezioni urinarie associate a catetere. È importante distinguere le infezioni dalla semplice batteriuria asintomatica. Le forme asintomatiche generalmente NON richiedono trattamento. La diagnosi nei pazienti delle UTI può essere più complessa, considerato che la quasi totalità dei pazienti con cateterizzazione prolungata presenta batteriuria. BATTERIURIA: formazione di 10² colonie per ml. FEBBRE: potrebbe essere l’unico segno nel paziente critico. Punti chiave (cdc) 25 Inserimento dei cateteri urinari solo se strettamente necessario Rimozione precoce inserire il catetere con tecnica asettica e presidi sterili Lavare le mani prima e dopo l’inserimento del catetere e prima e dopo lo svuotamento o la sostituzione della sacca di drenaggio Evitare l’irrigazione vescicale con antibiotici di routine, a meno che non sia presente infezione confermata Considerare l’utilizzo di cateteri medicati con antimicrobici in alcuni casi Non ci sono prove su quale sia la frequenza ottimale per sostituire il catetere. Si suggerisce pertanto di sostituirlo quando necessario. Il momento adatto per la sostituzione va stabilito in base alle condizioni generali del soggetto cateterizzato, delle urine e in base alle caratteristiche specifiche del catetere. In particolare nei soggetti a rischio di ostruzione l’intervallo di sostituzione deve essere più breve di quello raccomandato dalle aziende produttrici. La necessità di mantenere il catetere in sede dovrebbe essere rivalutata periodicamente: il catetere va rimosso appena possibile per l’alto rischio di infezioni delle vie urinarie. La durata della cateterizzazione va decisa in base al rischio di possibili complicanze. L’esame colturale è opportuno solo in caso di sintomatologia infettiva (febbre, brividi, dolore al basso ventre, al fianco, alla schiena) o altra indicazione medica. Altre complicanze legate a cateterismo vescicale: ostruzione da ematuria; ostruzione da struvite; perdita di urina; lesioni da decubito; traumatismi uretrali. In presenza di ematuria il catetere può ostruirsi per la formazione di coaguli; in tal caso è indispensabile l’utilizzo di un catetere Couvelaire (catetere a 3 vie) che favorisce il drenaggio. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: - - Infectious Diseases Society of America Guidelines for the Diagnosis and Treatment of Asymptomatic Bacteriuria in Adults. Clinical Infectious Diseases 2005; 40:643–54. Diagnosis, Prevention, and Treatment of CatheterAssociated Urinary Tract Infection in Adults: 2009 International Clinical Practice Guidelines from the Infectious Diseases Society of America. Clinical Infectious Diseases 2010; 50:625–663. International Clinical Practice Guidelines for the Treatment of Acute Uncomplicated Cystitis and Pyelonephritis in Women: A 2010 Update by the Infectious Diseases Society of America and the European Society for Microbiology and Infectious Diseases. Clinical Infectious Diseases 2011;52(5):e103–e120. Urinary Tract Infection (Catheter-Associated Urinary Tract Infection [CAUTI] and NonCatheter-Associated Urinary Tract Infection [UTI]) and Other Urinary System Infection [USI]) Events.CDC Atlanta 2015. 26 12. COMPLICANZE INFETTIVE DA CVC L’acronimo DIV vuole indicare una serie di cateteri usati per l’accesso sia venoso che arterioso. Ne ricordiamo alcuni: Catetere venoso periferico Catetere arterioso periferico Catetere non centrale con inserzione periferica CVC non tunnelizzato Catetere arterioso polmonare Sistema per il monitoraggio pressorio CVC con inserzione periferica CVC tunnelizzato CVC totalmente impiantabile 27 Posizionato usualmente in periferia alle mani o braccia, utilizzato per brevi periodi, raramente associato ad infezioni. Utilizzo per breve tempo per il monitoraggio emodinamico o per controllo EGA; il rischio di infezione è analogo a quello dei CVC. Catetere periferico (7,6-20, cm) vien posizionato nella zona antecubitale senza arrivare nelle vene centrali, associato con un tasso di infezione più basso rispett ai CVC. E’ il più usato, responsabile di circa il 90% delle sepsi catetere-relate. Inserito attraverso una guida in teflon e rimane in sede per soli 3 giorni; molti sono eparinati per ridurre i fenomeni trombotici e l’adesione batterica. Usato in coppia col catetere arterioso, associato con setticemie nosocomiali sia endemiche che epidemiche; la sorgente è spesso la colonna di liquido tra il catetere e il sistema di misurazione della pressione, liquidi di infusione o trasduttori non a perdere. Costituisce un’alternativa al catetere in giugulare o succlavia; è inserito attraverso una vena periferica fino alla cava superiore, usualmente attraverso la cefalica o la basilica; è facile da mantenere ed è associato con un minor numero di complicanze meccaniche rispetto ai CVC non tunnelizzati Impiantato chirurgicamente (Hickman, Broviac, Groshong o Quiton) con la porzione tunnelizzata che esce dalla cute e una cuffia in dacron posizionata appena all’interno del punto di emergenza; la cuffia inibisce la migrazione dei germi lungo il tratto del catetere stimolando la proliferazione del tessuto circostante e di conseguenza sigillando il segmento del catetere sottcutaneo. Viene impiantato in previsione di un utilizzo prolungato per chemioterapia, infusoni domicialir o emodiaisi. E’ un serbatoio posizionato nelo sottocutaneo con una membrana che si autoripara dopo ogni puntura, è tunnelizzato sotto la cute e l’accesso si realizza con un ago che perfora la cute intatta e la membrana. Ha un basso tasso di cmplicanze infettive. Con particolare riferimento ai CVC non tunnelizzati (i più frequantemente impiantati nella nostra realtà), questi costituiscono un aspetto quantitativamente rilevante delle attività sanitarie della Rianimazione, in considerazione dei documentati benefici ad essi ascrivibili nel trattamento di diverse patologie. Peraltro, accanto ai benefici clinici, i CVC comportano per i pazienti anche dei rischi correlati alle potenziali complicanze derivanti dal loro uso costituendo una voce cospicua di spesa da attribuire sia all’acquisto che alla gestione ed al trattamento delle complicanze. In questa sezione ci occuperemo in particolare del riconoscimento e del trattamento delle complicanze infettive legate all’uso dei CVC. 12.A. DIAGNOSI DELLE COMPLICANZE INFETTIVE In presenza di febbre senza una origine evidente, pur se in assenza di sintomi/segni clinici di infezione locale del CVC o di sepsi, è necessario sempre ispezionare accuratamente il sito di impianto del catetere venoso centrale. In effetti pur se i segni clinici locali sono poco sensibili è molto utile andare a verificarne l’eventuale presenza perchè tali segni sono molto specifici. In caso di presenza di essudato dal punto di inserzione di un CVC parzialmente impiantabile il materiale essudato va prelevato con un tampone ed inviato per la coltura. In tutti i pazienti con CVC e febbre vanno prelevati almeno due set di emocolture: da vena periferica e 1 da ogni linea del CVC. Per la diagnosi di sepsi correlata al CVC si intende una batteriemia o una fungemia in un paziente con un catetere venoso centrale con tutti e tre le seguenti condizioni: una o più emocolture positive da vena periferica; segni clinici di infezione (febbre, brivido, ipotensione, etc); nessun’altra fonte apparente di sepsi. Deve essere inoltre presente una delle seguenti condizioni: una o più emocolture positive sia da prelievo centrale che da prelievo periferico per lo stesso microrganismo (stessa tipizzazione, stesso antibiogramma e stessa Minima Concentrazione Inibente (M.I.C.)); e/o una coltura del CVC positiva (stesso microrganismo) per >103 CFU; emocoltura da CVC positivizzatasi almeno 2 ore prima dell’emocoltura da sangue periferico; ovviamente ambedue debbono essere positive per lo stesso microrganismo (identica tipizzazione, antibiogramma e MIC). Definizioni utilizzate per la diagnosi di infezione catetere correlata Crescita significativa di un microorganismo da una coltura quantitativa o semiquantitativa della punta del catetere, del segmento sottocutaneo o del raccordo del catetere. Indurimento o eritema, presenza di calore e dolore o dolorabilità intorno all’exit del Flebite catetere. Infezione del punto di emergenza Essudato dal punto di emergenza del catetere che risulta microbiologicamente - microbiologica positivo con o senza una sepsi concomitante. Presenza di eritema, indurimento e/o dolorabilità entro 2 cm dal punto di emergenza; - clinica possono essere associati altri segni o sintomi di infezione quali febbre o presenza di pus dal punto di emergenza con o senza una sepsi concomitante. Setticemia - correlata Isolamento dello stesso microorganismo dal liquido di infusione e da un all’infusione prelievo venoso periferico in assenza di altre sorgenti di infezione identificabili. Per la diagnosi di sepsi correlata al CVC si intende una batteriemia o una fungemia in un paziente con un catetere con tutte e 3 le seguenti condizioni: - correlata al catetere - una o più emocolture positive da vena periferica - segni clinici di infezione (febbre, brivido, ipotensione, etc) - nessun’altra fonte apparente di sepsi. Colonizzazione del catetere 28 Deve inoltre sussistere una delle seguenti mcondizioni: - emocoltura da CVC positiva per lo stesso microorganismo (identica tipizzazione) - antibiogramma e MIC e/o una coltura del CVC positiva (stesso microorgamismo) per >10ᶟ UFC - emocoltura da CVC positivizzatasi almeno 2 ore prima dell’emocoltura da sangue periferico; ovviamente ambedue devono essere positive per lo stesso microorganismo, antibiogramma e MIC. 12.B. TERAPIA In caso di febbre di origine sconosciuta in un paziente neutropenico con CVC è necessario effettuare una accurata valutazione del paziente ed iniziare una terapia antibiotica empirica basata sugli schemi dimostratesi efficaci e sul livello di rischio del paziente (vedi Fig.1, 2, 3). In caso di nuova insorgenza di febbre di origine sconosciuta in un paziente critico non neutropenico con CVC di qualsiasi tipo, è necessario, prima di instaurare una terapia, un approccio clinico attento per definire se la febbre ha un’origine infettiva o meno. Nei pazienti con CVC che non sono neutropenici e che non hanno altre fonti evidenti di infezione l’inizio di una terapia antibiotica empirica è indicato in caso di malattia grave (ipotensione o multi-organ failure) mentre è opzionale in caso di malattia lieve o di media gravità (vedi Fig.1, 2, 3). 12.C. GESTIONE DEL PAZIENTE CON CVC Il catetere venoso centrale non tunnellizzato può essere mantenuto in sede nei pazienti con (vedi Fig 1): • quadro clinico lieve o di media gravità in attesa dell’esame batteriologico; • oppure se la batteriemia non è persistente; • oppure se l’agente responsabile della batteriemia è uno Stafilococco coagulasi negativo e se non c’è il sospetto di complicanze infettive locali o a distanza. Il catetere venoso centrale non tunnellizzato dovrebbe essere rimosso nei pazienti con (vedi Fig 1): • quadro clinico grave; • oppure se ci sono segni di infezione locale dell’exit site (eritema, secrezione purulenta); • oppure se ci sono segni clinici di sindrome settica. 12.D. PAZIENTE CON QUADRO CLINICO DI GRAVITA’ LIEVE/MODERATA Se le emocolture (periferica e centrale) risultano negative, il CVC non è stato espiantato e la febbre persiste è necessario togliere il CVC e coltivarlo. Sulla base dei risultati della coltura si definirà poi il comportamento. A tale proposito vedi le due raccomandazioni che seguono (vedi Fig.2). Se le emocolture (periferica e centrale) risultano negative e la coltura del CVC è negativa la febbre non è correlata al CVC e vanno ricercate altre possibili fonti di infezione. (vedi Fig 2). Se l’emocoltura periferica è negativa e l’emocoltura da CVC è positiva: • se il paziente è neutropenico o ha una valvulopatia e l’emocoltura è positiva per Stafilococco aureus o Candida albicans è necessario togliere il CVC e coltivarlo, monitorare attentamente il paziente persegni di infezione e ripetere delle emocolture anche in assenza di febbre perchè il paziente è a rischio di sviluppare un’infezione. Inoltre, pur in assenza di dati sufficienti, si consiglia una terapia antimicrobica mirata per 5-7 giorni, specie se la coltura del CVC risulta positiva per >10ᶟ CFU; • in tutti gli altri pazienti è necessario solo un monitoraggio attento per cogliere eventuali segni di infezione.(vedi Fig 2). In effetti studi di coorti di pazienti hanno evidenziato come lo S. aureus e la C. albicans siano associati in un numero rilevante di casi all’incidenza di sepsi correlate al CVC. Se le emocolture (periferica e centrale) sono positive la diagnosi è di sepsi correlata al CVC ed è pertanto necessario effettuare una terapia antibiotica appropriata. Il tipo di terapia antibiotica va deciso in base all’antibiogramma e al fatto che ci si trovi in presenza di una batteriemia complicata o non complicata. (vedi Fig. 2 e 4) 29 12.E. PAZIENTE CON QUADRO CLINICO GRAVE E/O CON SEGNI CLINICI DI SEPSI E7O ERITEMA O PUS ALL’EXIT SITE Se le emocolture (periferica e centrale) e la coltura del CVC risultano negative la febbre non è correlata al CVC e vanno ricercate altre possibili fonti di infezione. (vedi Fig 3). Se l’emocoltura periferica è negativa e l’emocoltura da CVC è positiva: • se il paziente è neutropenico o ha una valvulopatia e l’emocoltura è positiva per Stafilococco aureus o Candida albicans è necessario togliere il CVC e coltivarlo, monitorare attentamente il paziente persegni di infezione e ripetere delle emocolture anche in assenza di febbre perchè il paziente è a rischio di sviluppare un’infezione. Inoltre, pur in assenza di dati sufficienti, si consiglia una terapia antimicrobica mirata per 5-7 giorni, specie se la coltura del CVC risulta positiva per >10ᶟ CFU; • in tutti gli altri pazienti è necessario solo un monitoraggio attento per cogliere eventuali segni di infezione. (vedi Fig.3) Se le emocolture (periferica e centrale) sono positive e la coltura del CVC è positiva per >10ᶟ CFU la diagnosi è di sepsi correlata al CVC ed è necessario effettuare una terapia antibiotica appropriata. Il tipo di terapia antibiotica va deciso in base all’antibiogramma e al fatto che ci si trovi in presenza di una batteriemia complicata o non complicata. (vedi Fig. 2 e Fig. 4) 12.F. SEPSI COMPLICATA CORRELATA A CVC Una sepsi correlata al CVC si definisce complicata se ricorre una o piu delle seguenti condizioni: • emocolture persistentemente positive (>48 ore) durante la terapia antibiotica; • presenza di una endocardite; • presenza di una trombosi settica; • presenza di una osteomielite; • presenza di un’altra localizzazione metastatica. In caso di sepsi complicata è necessario rimuovere il CVC se ancora presente ed attuare terapia antimicrobica mirata e di durata appropriata. (vedi Fig. 4) 12.G. SEPSI NON COMPLICATA CORRELATA A CVC Se non ricorrono le condizioni di cui sopra la sepsi si definisce non complicata. In caso di sepsi da S. coagulasi negativo è sufficiente un trattamento con antibiotici per via sistemica per 5-7 giorni. Inoltre, qualora il CVC non fosse stato rimosso, si può effettuare un tentativo di mantenere in sede il catetere effettuando terapia antibiotica sistemica per 10-14 giorni, associata o meno alla terapia con instillazione (lock therapy). (vedi Fig. 4) Lock Therapy - Terapia Antibiotica Instillata La terapia antibiotica di instillazione per le infezioni del torrente circolatorio catetere-correlate è spesso usata in associazione con la terapia antibiotica sistemica e prevede l’istillazione di alte concentrazioni di antibiotico verso cui l’agente microbico è sensibile nel lume del catetere. Recenti studi hanno dimostrato che la concentrazione antibiotica deve essere 100-1000 volte maggiore per uccidere batteri che sviluppano in condizioni sessili (biofilm) rispetto a batteri che sviluppano in plancton (in soluzione). Le soluzioni di antibiotico dovrebbero avere, per l’agente antimicrobico desiderato, una concentrazione di 1-5 mg/ml e, normalmente, dovrebbero essere mescolate con 50-100 U di eparina (o soluzione salina normale) in un volume sufficiente per riempire il lume del catetere (generalmente 2-5 ml) e instillate nel lume del catetere durante il periodo di non uso dello stesso (es. per un periodo di 12 ore ogni notte). Per esempio, vancomicina è stata utilizzata alla concentrazione di 1-5 mg/ml; gentamicina e amikacina a 1-2 mg/ml; ciprofloxacina, a 1-2 mg/ml; il volume di antibiotico instillato deve poi essere rimosso prima della successiva infusione di antibiotico o di altro farmaco/soluzione ev. Sebbene la durata della terapia antibiotica di instillazione vari nei differenti studi, nella maggior parte dei casi è di 2 settimane. Gli studi nei quali è stata valutata la terapia antibiotica instillata (lock therapy) sono unicamente studi in aperto, nei quali si è evidenziata una efficacia discreta (pari a circa il 60%) della combinazione di lock therapy e terapia sistemica nell’evitare la rimozione del CVC; peraltro, oltre al valore scientifico limitato degli studi in aperto, esistono numerosi aspetti non risolti a proposito della terapia diinstillazione quali, 30 ad esempio, la stabilità dei farmaci dopo l’instillazione nel CVC, la selezione dei pazienti e del tipo di CVC. Pertanto questo tipo di terapia non può essere somministrata di routine. In caso di sepsi da Stafilococco aureus dovrebbe essere eseguita una ecocardiografia transesofagea (TEE) a meno che non esistano controindicazioni alla sua esecuzione, al fine di escludere la presenza di endocardite (vedi Fig. 4). In tutti gli altri casi di batteriemia non complicata e nei casi di fungemia non complicata è necessario rimuovere il CVC e trattare per 14 giorni con terapia sistemica mirata. (vedi Fig. 4). In caso di sepsi CVC correlata, se si verifica una batteriemia o una fungemia persistente o se il paziente non migliora dopo almeno 3-4 giorni dall’espianto del CVC e dall’inizio di una terapia antibiotica appropriata, deve essere esclusa la possibilità di trombi settici, di endocardite o di altre localizzazioni infettive metastatiche. Le raccomandazioni per il trattamento delle sepsi CVC correlate in considerazione di specifici agenti eziologici sono riassunte nella Tabella 2. Non ci sono studi in base ai quali definire con precisione dopo quanto tempo possa essere riposizionato un CVC che è stato rimosso per una sepsi CVC correlata. Pertanto la decisione è basata sul giudizio del clinico; ove possibile il CVC va posizionato su una sede diversa da quella del precedente impianto. 12.H. GESTIONE DEL PAZIENTE CON INFEZIONE DEL CATETERE DA DIALISI L’approccio all’infezione del catetere da dialisi e l’utilizzo della terapia antibiotica è simile a quello degli altri CVC non tunnellizzati. Nei pazienti con sepsi CVC correlata oltre alla terapia antibiotica e alla rimozione del CVC andrebbe eseguito un tampone nasale. Qualora il tampone risulti positivo per lo S. aureus può essere effettuata la bonifica con mupirocina pomata al 2%. In effetti, in studi epidemiologici condotti in pazienti sottoposti a dialisi, la prevalenza dei portatori nasali di S. aureus è risultatata il 30% ed il 60%. La mupirocina pomata si e dimostrata efficace nel bonificare le fosse nasali dallo S. aureus e ben tollerata e, in studi con confronti storici, tale riduzione dei portatori nasali si è associata ad una riduzione del numero di setticemie da S.aureus. Fig. 1: metodologia per la diagnosi di febbre acuta in un paziente sospettato di avere un’infezione CVC correlata. Il paziente deve essere attentamente valutato in base alla gravità della malattia e dovrebbero essere effettuate almeno 2 emoculture, di cui almeno una da sangue periferico. Se si sospetta il CVC come fonte di infezione in un paziente con malattia lieve o moderata, il CVC può essere lasciato in sede; se lo si rimuove, dovrebbe esserne coltivata la punta o sostituito tramite guida. Invece in un paziente con malattia grave o laddove ci siano segni di infezione locale all’exit site oppure se ci sono segni clinici si sindrome settica, deve essere iniziata la terapia antibiotica e deve essere rimosso il CVC, coltivato e riposizionarne un altro in altro sito. Episodio febbrile acuto in paziente con CVC Quadro clinico grave (ipotensione o MOF) segni clinici di sepsi, eritema o pus all’exit site Quadro clinico lieve/moderato Ispeziona l’exit site; 2 emoculture (1 periferica); in assenza di altra sorgente di infezione, puoi lasciare il CVC; se lo rimuovi coltiva la punta, posiziona in altra sede o sostituisci con la guida. Ispeziona l’exit site; 2 emoculture (1 periferica); in assenza di altra sorgente di infezione, togli il CVC, coltiva la punta, posiziona in altra sede o sostituisci con la guida. 31 Iniziare la terapia antibiotica empirica se il paziente è neutropenico; considerare terapia antibiotica negli altri casi Iniziare la terapia antibiotica empirica VEDI FIGURA 2 VEDI FIGURA 3 Fig. 2 Episodio febbrile acuto in un paziente con quadro clinico LIEVE/MODERATO (NO IPOTENSIONE NO MOF). Ispeziona l’exit site; 2 emoculture (1 periferica); in assenza di altra sorgente di infezione, puoi lasciare il CVC; se lo rimuovi coltiva la punta, posiziona in altra sede o sostituisci con la guida. Emocolture (da CVC e periferica) NEGATIVE; CVC NON ESPIANTATO Emocolture (da CVC e periferica) NEGATIVE; CVC coltura NEGATIVA Se continua la febbre e non è identificata altra sorgente di infezione, togli il CVC e coltivalo Cerca un’altra sorgente di infezione Emocolture periferica NEGATIVA ed emocoltura da CVC POSITIVA In un paziente neutropenico o con valvulopatia e colonizzazione del CVC da S. aureus o C. albicans togli il CVC, coltivalo, monitorizza per segni di infezione e ripeti emocolture; la terapia antimicrobica per 5-7 gg è consigliata (vedi testo) Iniziare la terapia antibiotica empirica se il paziente è neutropenico; considerare terapia antibiotica negli altri casi Emocolture (da CVC e periferica) POSITIVE Effettuare una terapia antibiotica appropriata NB. La terapia antibiotica deve essere sospesa solo in caso di un miglioramento delle condizioni cliniche, dei biomarker laboratoristici e degli esami colturali. In corso di terapia antibiotica attenersi alla valutazione descritta al punto 10 riguardante il monitoraggio del paziente infetto. 32 Fig. 3 Episodio febbrile acuto in un paziente con quadro clinico GRAVE (IPOTENSIONE, MOF) E/O CON SEGNI CLINICI DI SEPSI E/O ERITEMA O PUS ALL’EXIT SITE. Ispeziona l’exit site; 2 emocolture (1 periferica) in assenza di altra sorgente di infezione TOGLI il CVC, coltiva la punta, posiziona in altra sede o sostituisci con la guida. Iniziare terapia antibiotica empirica. Emocolture (da CVC e periferica) NEGATIVE e CVC coltura NEGATIVA Emocolture periferica NEGATIVA e CVC coltura POSITIVA (≥10ᶟ CFU) Emocolture POSITIVA CVC coltura POSITIVA ≥10ᶟ CFU Cerca un’altra sorgente di infezione In un paziente neutropenico o con valvulopatia e colonizzazione del CVC da S. aureus o C. albicans togli il CVC, coltivalo, monitorizza per segni di infezione e ripeti emocolture; la terapia antimicrobica per 5-7 gg è consigliata (vedi testo) Vedi FIGURA 4 NB. La terapia antibiotica deve essere sospesa solo in caso di un miglioramento delle condizioni cliniche, dei biomarker laboratoristici e degli esami colturali. In corso di terapia antibiotica attenersi alla valutazione descritta al punto 10 riguardante il monitoraggio del paziente infetto. 33 Fig.4: approccio alla gestione di un paziente con una sepsi correlata a CVC. La durata del trattamento dipende se l’infezione è complicata o no. La terapia va iniziata ed il CVC rimosso ad eccezione di alcuni casi quali un’infezione sostenuta da SCN; ne caso di infezione da S. aureus una ecocardiografia transesofagea (TEE) può rilevare la presenza di una endocardite ed aiutare a definire la durata del trattamento. SEPSI correlata a CVC NON COMPLICATA COMPLICATA - Emocolture + per > 48 h - Trombosi settica - Endocardite - Osteomielite - Ascessi metastatici Rimuovi CVC; terapia antibiotica per 4-6 settimane, 6-8 per osteomielite Stafilococco coagulasi negativo (SCN) Togli il CVC e tratta con antibiotici sistemici 5-7 gg; se conservi il CVC terapia antibiotica sistemica +/terapia instillata per 10-14 gg S. aureus Rimuovi CVC; esegui TEE; terapia antibiotica sistemica per 1014 gg. Se TEE positiva, continua terapia per 4-6 settimane Bacilli GRAM NEGATIVI Rimuovi CVC; terapia antibiotica sistemica per 1014 gg Candida spp. Rimuovi CVC; terapia antifungina fino a 14 gg dopo l’ultima emocoltura positiva. NB. La terapia antibiotica deve essere sospesa solo in caso di un miglioramento delle condizioni cliniche, dei biomarker laboratoristici e degli esami colturali. In corso di terapia antibiotica attenersi alla valutazione descritta al punto 10 riguardante il monitoraggio del paziente infetto. 34 Tabella 1 Trattamento antibiotico ev delle setticemie CVC relate in base ai diversi germi isolati ANTIBIOTICO: ANTIBIOTICO: PATOGENO ES. dosaggio Commenti I SCELTA II SCELTA Batteri Gram + SA-MS Penicilline penicillasi resistenti 1 gr/12h SA-MR Vanco oppure Daptomicina ± Rifampicina Daptomicina ± Rifampicina 6-8 mg/kg 600-900 mg/die SA-Vanco R Naf o Oxa 2 gr/4h 6-8 mg/kg 600-900 mg/die SCN-MS Penicilline penicillasi resistenti SCN-MR Vanco oppure Daptomicina ± Rifampicina Naf o Oxa 2 gr/4h 1 gr/12h 6-8 mg/kg 600-900 mg/die Cefazolina o Cefuroxime Linezolid o Vanco + (Rifa o Genta) o Trimetoprim/sulfa metossazolo da solo se sensibile Linezolid o Amikacina o Gentamicina La Vanco ha dei vantaggi rispetto alla Naf e Oxa ma queste vengono preferite per l’aumento di ceppi Vanco-R Linezolid o Amikacina o Gentamicina Per gli adulti <40 Kg la dose di Linezolid è di 10 mg/Kg Amp +/- aminoglicoside Amp 2 gr/4-6h +/Genta 1mg/Kg/8h Vanco oppure Ceftriaxone + Ampicillina E.faecalis,/E.faecium AmpR Vanco-S Vanco +/- Aminoglicoside Vanco 1 gr/12h +/Genta 1mg/Kg/8h Linezolid 200mg/Kg/die in 6 somministrazioni o in infusione continua 10 mg/Kg/die Linezolid o -----------(Linezolid 600 mg/12h o Ampicillina + Sono stati segnalati ceppi di S. aureus con ridotta sensibilità alla Vanco Cefalosporine I gen o Vanco o Trimetoprim/sulfa metossazolo (se sensibile) E.faecalis,/E.faecium AmpS E.faecalis,/E.faecium AmpR Vanco R Le penicilline e le cefalosporine sono da preferire alla Vanco La Vanco ha dei vantaggi rispetto a Amp e Genta ma ci sono preoccupazioni per l’aumento di ceppi Vanco-R Quin/Dalf non è efficace vs E.faecalis La sensibilità dei ceppi Vanco R è variabile, Quin/Dalf non è efficace verso E.faecalis Daptomicina Batteri Gram E.coli/Klebsiella spp. Cefalosporine III gen Ceftriaxone 2gr/die Fluorochinoloni (Levo-Cipro) o Aztreonam S.marcescens/Enterobacte Carbapenemici Imipenem 500mg/6h o Cefepime o Fluorochinoloni 35 Si consiglia valutazione specialistica infettivologica Si consiglia valutazione Meropenem 1 gr/8h r spp. Acinetobacter spp. S.maltophila P.aeruginosa Amp/Sulbactam o Carbapenemici Amp/Sulb 3 gr/6h o Imipenem 500mg/6h o Meropenem 1gr/8h ----------------------- Trimetoprim/sulfametossazolo 3-5 mg/Kg/8h Ticarcillina + Clavulanico Cefalosporine III e IV gen o Carbapenemici o B-lattamici anti P. (TicarcillinaPiperacillina/Mezlocillina) + Aminoglucosidico Ceftazidime 2gr/8h o Cefepime 2gr/12h o Imipenem 500mg/6h o Meropenem 1gr/8h Amikacina 15mg/Kg/24h specialistica infettivologica Si consiglia valutazione specialistica infettivologica --------------------------- Si consiglia valutazione specialistica infettivologica Funghi C.albicans + spp Amfotericina B liposomiale o Echinocandine Am-B 3-5 mg/Kg/24h o Caspofungina 70 mg loading dose poi 50 mg/die Anidulafungina 200 mg loading dose poi 100 mg/die Micafungina 100 mg/die NB per loading dose si intende il dosaggio della prima somministrazione di antifungino Voriconazolo L’amfotericina dovrebbe essere usata per trattare pazienti critici fino a che l’agente fungino non è identificato Legenda: Vanco= vancomicina; Quin/Dalf=Quinupristin/Dalfopristin; Genta=gentamicina; Amp=ampicillina; Sulb=sulbactam… NB: I dosaggi riportati fanno riferimento a pz adulti con funzionalità renale ed epatica normale e senza interazioni farmacologiche note. I Fluorochinoloni non dovrebbero essere usati nei pz > 18aa. NB. La terapia antibiotica deve essere sospesa solo in caso di un miglioramento delle condizioni cliniche, dei biomarker laboratoristici e degli esami colturali. In corso di terapia antibiotica attenersi alla valutazione descritta al punto 10 riguardante il monitoraggio del paziente infetto. Tabella 2 Raccomandazioni per il trattamento di una sepsi CVC-relata in relazione agli specifici agenti eziologici Stafilococchi coaugulasi negativi (SCN) Staphylocccus aureus - tratta empiricamente con vancomicina o daptomicina ± rifampicina e passa a penicilline semisintetiche se l’isolato è sensibile - la combinazione con vancomicina + gentamicina o rifamicina non è raccomandata come terapia di routine - se il CVC viene rimosso, è raccomadata una terapia antibiotica sistemica appropriata per 5-7 gg - se un CVC tunnelizzato viene mantenuto e si sospetta una infezione intraluminare, è raccomandata una terapia antibiotica sistemica per 10-14 gg con una terapia antibiotica di instillazione - un CVC tunnelizzato o un catetere totalmente impiantabile (ID) possono essere mantenuti, se necessario, in pazienti con batterimeia correlata ala CVC non complicata; se il CVC o ID è mantenuto i pazienti dovrebbero essere trattati con terapia antibiotica sistemica per 10-14 gg con/senza terapia di instillazione per 14 gg. Il fallimento del trattamento manifestato dal permanere dellla febbre, da emocolture persistentemente positive, o dalla ripresa dell’infezione dopo l’interruzione dell’antibiotico sono chiari segni che il catetere va rimosso. - gli antibiotici B-lattamici dovrebbero essere la I scelta per il trattamento parenterale di sepsi sostenute da S.aureus quando l’isolato è sensibile; per i pz con storia di allergia alle penicilline ma senza angioedema o anafilassi, possono essere usate cefalosporine di I generazione senza rischio di reazione allergica nel 90% dei casi; per pz con e allerga a B-lattamci e per quelli con S.aureus met-R, la vancomicina è il farmaco di scelta. - La vancomicina non dovrebbe essere usata quando è diagnosticata un’infezione da S.aureus B-lattamici sensibile; l’uso eccessivo di vanco seleziona microorganismi vanco-R; nei pz con endocardite da S.aureus, la vanco ha un più alto tasso di fallimento che non Oxa o Naf, e determina una risoluzione più lenta della batteriemia. - Se c’è il sospetto che la fonte di una sepsi da S.aureus sia una CVC non tunnelizzato, questo dovrebbe essere rimosso e sostituito da un nuovo catetere inserito in sito differente - CVC tunnelizzati o ID dovrebbero essere rimossi se c’è evidenza di infezione del tunnel, della tasca o della sede di uscita - In tutti i pz che non hanno controindicazioni, dovrebbe essere eseguito un TEE per identificare quelli che hanno un’endocardite che complica la batteriemia e che conseguenetemente richede una terapia di 4-6 settimane - La sensibilità di un Eco transtoracico è bassa e quindi la sua esecuzione non è raccomandata al fine di 36 Bacilli Gram– e altri patogeni escludere una diagnosi di endocardite catetere relata se può essere eseguito un TEE - I pz che hanno un TEE negativo e in cui il CVC viene rimosso, dovrebbero essere trattati per 14gg con terapia antibiotica sistemica - I CVC Tunnelizzati o ID con infezione intraluminare non complicata e batteriemia da S.aureus dovrebbero in genere essere rimossi; in casi selezionati possono essere mantenuti e trattati con appropriata terapia sistemica con/senza terapia antibiotica di instillazione per 14 gg - Nei pazienti con batteriemia da G-catetere relata, con CVC non tunnelizzato e senza evidenza di trombosi settica o endocardite il catetere dovrebbe essere rimosso e dovrebbero essere trattati con antibiotico adeguato per 10-14 gg per via endovenosa - Pazienti con CVC che non possono essere facilmente rimossi (tunnelizzato o ID), che hanno una sospetta batteriemia da G- catetere relata, senza associata disfunzione d’organo, ipotensione o ipoperfusione , possono essere trattati con terapia antibiotica endovenosa per 10-14 gg con esecuzione di lock therapy con antibiotico e senza rimozione del CVC; In caso di batteriemia da Pseudomonas spp, Stenotrophomonas o Acinetobacter baumannii, dovrebbe essere presa sempre in considerazione la rimozione del catetere, specialmente se la batteriemia continua nonostante una corretta terapia o se il paziente diventa instabile - La terapia da sospetta sepsi da G- dovrebbe includere farmici attivi contro Pseudomonas, soprattutto se si tratta di pazienti neutropenici - In pazienti con prolungata batteriemia dopo un’appropriata terapia e rimozione del catetere, specialmente in presenza di valvulopatie, la terapia antibiotica andrebbe continuate per 4-6 settimane - Se la sepsi + sostenuta da Bacillus o Corynebacterium, o Mycobacterium il CVC va sempre rimosso Candida albicans e altri funghi - Tutti i pz con candidemia devono essere trattati; amfotericina B e le echinocandine sono i farmaci di prima scelta ai dosaggi indicati in tabella. La durata della terapia antifungina per Candida dovrebbe essere di 14 gg dalla prima emocoltura negativa CVC tunnelizzati e ID dovrebbero essere rimossi in presenza di documentata fungemia catetere correlata - L’associazione di terapia sistemica e di instillazione per salvataggiodi CVC tennelizzati o ID infetti da Candida non è raccomandata di routine perché tale associazione è efficace solo nel 30% dei casi Bibliografia essenziale Mermel LA, Allon M, Bouza E, et al. Clinical practice guidelines for the diagnosis and management of intravascular catheter-related infection: 2009 Update by the Infectious Diseases Society of America. Clin Infect Dis 2009; 49: 1-45. Holby N, Bjarnsholt T, Moser C, et al. ESCMID guideline for the diagnosis and treatment of biofilm infections 2014. Clin Microbiol Infect 2015; 21: S1-S25. Vassallo M, Dunais B, Roger P-M. Antimicrobial lock therapy in central-line associated bloodstream infections: a systematic review. Infection 2015; 43: 389-398. Pappas PG, Kauffman CA, Andes DR, et al. Clinical Practice Guideline for the Management of Candidiasis: 2016 Update by the Infectious Diseases Society of America. Clin Infect Dis 2016; 62: 409-17. Tatarelli P, Parisini A, Del Bono V, et al. Efficacy of daptomycin lock therapy in the treatment of bloodstream infections related to long-term catheter. Infection 2015; 43:107-9. 13. IL PAZIENTE FEBBRILE FEBBRE: Ogni aumento inspiegato della temperatura, merita una valutazione clinica che includa una riesamina della storia del paziente ed un esame obiettivo clinico prima che ogni test di imaging o di laboratorio venga eseguito. Si definisce normotermia una temperatura centrale (Tc) compresa tra 36,6°C ± 0,38°C. 37 La definizione di febbre è arbitraria e dipende dall’obiettivo per cui viene definita. Ad oggi la letteratura propone differenti soglie per definire la febbre, ma la scelta del cut off dipenderà dalla sensibilità che si vuole ottenere. È ragionevole considerare per i pazienti critici un cut off di 38,3 C°, mentre una soglia più bassa potrebbe essere utilizzata per i pazienti immunocompromessi. Molti sono i fattori che possono influenzare la temperatura, siano essi biologici o legati all’ambiente della ICU come: materassi, luci, aria condizionata, bypass cardiopolmonare, lavaggi peritoneali, dialisi, emofiltrazione continua. I meccanismi di termoregolazione possono anche essere alterati da farmaci o danni al sistema nervoso centrale o autonomico. Resta comunque difficile determinare la causa dell’alterazione termica sia essa legata a processo fisiologico, a farmaci o all’influenza ambientale, sottolineando in qesto contesto che una quota di pazienti infetti resta apiretica potendo risultare eutermica o addirittura ipotermica (si definisce ipotermia una temperatura al core < 35°C). Tra questi si annoverano: - gli anziani - pazienti con ferite addominali aperte - gravi ustionati - procedure extracoproporee quali ECMO/CRRT - scompenso cardiaco - patologia epatica terminale - insufficienza renale cronica - in terapia con FANS/antipiretici. IL MONITORAGGIO La temperatura da monitorizzare è sempre quella centrale. Per temperatura centrale s’intende la temperatura del centro termoregolatore, cioè dell’ipotalamo. Esistono vari tipi di sonde che consentono la misurazione della Tc. A. Sonda nasofaringea. Monitorizza la temperatura del sangue che fluisce nelle branche dell’arteria carotide interna. La corretta profondità’ da raggiungere con tale sonda è uguale alla distanza fra narice e meato uditivo esterno. La temperatura registrata a livello faringeo è circa 0,2 ° C più bassa di quella esofagea. B. Sonda timpanica. Misura la temperatura del sangue che fluisce, in prossimità della membrana del timpano, dalla carotide esterna. I valori riportati dal monitoraggio timpanico della temperatura, quando la sonda sia ben posizionata, sono accurati come quelli ottenuti da sonde poste in arteria polmonare o in esofago. Un ridotto flusso plasmatico carotideo però potrebbe determinare misurazioni incongrue. C. Sonda esofagea. Deve essere posta al quarto inferiore dell’esofago, davanti al cuore e lontana dalla carena tracheale. In genere a 38-42 cm di distanza dagli incisivi mediali. In questa posizione viene misurata la temperatura del sangue aortico. Le misurazioni effettuate attraverso questa metodica riflettono in maniera precisa le variazioni termiche ma possono essere poco accurate durante interventi a torace aperto o quando in esso siano infusi liquidi refrigeranti. Ovviamente questo sistema di monitoraggio è mal tollerato dai pazienti svegli. D. Sonda vescicale. Essendo l’urina un ultrafiltrato del sangue non sorprende che un termometro posizionato in vescica possa riflettere in maniera accurata le variazioni della temperatura corporea. La sonda termica è montata su di un catetere tipo Foley è quindi di facile posizionamento ed utile per il monitoraggio a lungo termine. Possono alterare le misurazioni l’oligoanuria, pelviperitoniti e lavaggi peritoneali. E. Sonda rettale. E’ stata usata molto in passato; può fornire informazioni attendibili sulla temperatura centrale indipendentemente dalle condizioni di temperatura ambientale ma risponde poco rapidamente alle variazioni repentine di temperatura. Inoltre se la sonda è posizionata troppo in basso, verso lo sfintere anale, può risentire del sangue refluo dai glutei che ha notoriamente temperatura più bassa rispetto a quello di provenienza viscerale. La temperatura rettale non è affidabile quando si eseguano interventi chirurgici urologici, sulla pelvi o sul bacino. F. Sonda in arteria polmonare. E’ sicuramente un metodo con sensibilità ed accuratezza adeguata ma invasivo e costoso. Può essere sostituita da quella esofagea o timpanica quando non indispensabile. 38 G. Sonde cutanee. Sono utili e convenienti per misurare il trend della temperatura e l’eventuale presenza di vasocostrizione o variazioni del flusso calorico. La sonda ascellare comporta che il paziente tenga l’arto completamente addotto per prevenire il raffreddamento della sonda da parte dell’aria circostante. Può risentire (specialmente nel bambino) dei liquidi di infusione iniettati nell’arto omolaterale. I sensori a cristalli liquidi posti sulla fronte avvertono di cambiamenti della temperatura di 0,5 C. Nel caso di una lieve ipotermia o vasocostrizione della cute della fronte, i cristalli liquidi leggono una temperatura che è di circa 2-3 °C al di sotto della temperatura timpanica e sono perciò inaffidabili. Accuratezza del metodo per la misura della temperatura: Più accurati: - termistore in arteria polmonare - termistore su catetere vescicale - sonda esofagea - sonda rettale Altri metodi accettabili in ordine di accuratezza: - sonda orale - sonda timpanica ad infrarossi Altri metodi meno desiderabili: - termometro su arteria temporale - termometro ascellare - rilevatori chimici (chemical dot) RACCOMANDAZIONE PER LA MISURAZIONE DELLA TEMPERATURA Mantenere i dispositivi utilizzati calibrati in maniera appropriata. Utilizzare i dispositivi in modo da non facilitare la diffusione di patogeni. Registrare il sito di misura insieme alla temperatura rilevata su modulo apposito. Rilevare la temperatura timpanica ogni 3 h. Esame clinico del paziente con una T > 38,3°C o T < 36 °C prima dell’esecuzione di test di laboratorio/imaging. 6. Iniziare il monitoraggio continuo della temperatura ascellare per i pazienti che presentano una T < 36 °C o > 38,3 °C. 1. 2. 3. 4. 5. FEBBRE POSTOPERATORIA La febbre è un comune fenomeno durante le prime 48 ore dopo un intervento chirurgico. Può essere utile ricordare che la febbre nel postoperatorio precoce di solito non ha origine infettiva, assumendo che la sterilità sia rispettata e che non si siano verificati fatti di aspirazione polmonare. Una considerevole spesa può essere sprecata in indagini troppo zelanti sulla febbre del postoperatorio precoce. Tuttavia dopo le 96 ore postoperatorie, la febbre verosimilmente ha un'origine infettiva. Una radiografia del torace non è obbligatoria nella diagnostica, a meno che la frequenza respiratoria, l'auscultazione, l'emogasanalisi alterata, o le secrezioni polmonari non ne suggeriscano un'alta probabilità di utilità. L'atelettasia è spesso considerata causa di febbre postoperatoria. Il clinico deve considerare la possibilità che il paziente possa essere andato incontro a fenomeni di aspirazione nel periodo perioperatorio o che il paziente possa incubare un processo infettivo nosocomiale, per esempio Influenza A o Legionella pneumophila, prima dell'intervento. L'infezione delle vie urinarie è frequente nel postoperatorio a causa dell'uso di cateteri urinari. La durata della cateterizzazione è il più importante fattore di rischio per lo sviluppo di cistiti o pielonefriti nosocomiali. Un esame d'urina o l'urinocoltura non sono obbligatori per la diagnostica della febbre durante i primi 2-3 giorni del postopreratorio a meno che c'è ragione, supportata dalla storia clinica o dall'esame obiettivo, di sospettare un'infezione urinaria. La febbre può essere correlata all'ematoma o all'infezione della sede chirurgica. L'infezione della ferita è rara nei primi giorni dopo l'intervento, eccetto per le infezioni da Streptococco A e da Clostridi che possono 39 svilupparsi in 1-3 giorni dopo l'intervento. Queste infezioni dovrebbero essere sospettate in base all'ispezione della ferita chirurgica. Molti interventi addominali urgenti sono eseguite per trattare un processo infettivo (per esempio peritonite da diverticolite perforata). Anche in condizioni ottimali (definitivo trattamento chirurgico dell'infezione e somministrazione tempestiva di appropriati antibiotici ad ampio spettro), la defervescenza in questi pazienti può avvenire in più di 72 ore. Febbri nuove o persistenti per più di 4 giorni dopo l'intervento devono sollevare un forte sospetto di patologia chirurgica persistente o di una nuova complicanza. La sola importante eccezione a questa regola è lo sviluppo di erisipela, mionecrosi da Clostridi, o toxic shock syndrome da Streptococcus gruppo A o Staphylococcus aureus. Perciò è obbligatorio rimuovere la medicazione chirurgica per ispezionare la ferita. I tamponi della ferita per la coltura di solito sono utili se la clinica evidenzia i segni o sintomi suggestivi di infezione. Quando è presente erisipela o mionecrosi, la diagnosi è spesso sospettata sulla base della sola ispezione e questi pazienti di solito appaiono "settici". La Crush injury syndrome e il tetano sono due altre rare complicanze delle ferite traumatiche che possono causare febbre. Altre cause potenzialmente gravi di febbre postoperatoria includono trombosi venosa profonda, flebite suppurativa, embolia polmonare e infezioni catetere correlate. E' importante ispezionare tutti i siti di precedenti cateteri e valutare immediatamente (con studio dei flussi a mezzo di eco-color doppler) un nuovo edema degli arti. RACCOMANDAZIONI 1. Un paziente con febbre nel periodo postoperatorio precoce dovrebbe essere sottoposto a una toilette polmonare aggressiva, inclusi gli esercizi spirometrici per ridurre la probabilità o l'estensione delle atelettasie. La radiografia del torace non è obbligatoria durante le prime 72 ore postoperatorie, se la febbre è la sola unica indicazione. 2. L'esame d'urina e l'urinocoltura non sono obbligatorie durante le prime 72 ore, se la febbre e la sola unica indicazione. Vanno effettuate in quei pazienti febbrili, che hanno un catetere vescicale in situ da più di 72 ore. 3. Le ferite chirurgiche dovrebbero essere ispezionate ogni giorno per scoprire segni di infezione. Non necessitano di coltura se non ci sono segni o sintomi di infezione. 4. Un alto livello di sospetto dovrebbe essere mantenuto per le trombosi venose profonde, le tromboflebiti superficiali, e l'embolia polmonare, specialmente nei pazienti sedentari, con estremità inferiori immobili, o neoplasie o che assumono contraccettivi orali. CAUSE NON INFETTIVE DI FEBBRE IN TERAPIA INTENSIVA Sebbene una causa infettiva debba essere sempre presunta e cercata per l'insorgenza di una nuova febbre nel paziente critico, devono essere anche considerate certe cause non infettive di febbre. Queste cause non infettive includono febbri correlate a farmaci, o a particolari terapie, stati infiammatori non iniziati con un'infezione, alcune emergenze endocrine, e cause diverse da considerare separatamente. Febbre da farmaci La febbre è una possibile reazioni avversa che può isorgere in seguito alla somministrazione dei farmaci dei farmaci (ad esempio alcuni farmaci possono contenere pirogeni o raramente contaminanti microbici. Alcuni farmaci possono inoltre stimolare la produzione di calore (es. tiroxina), limitare la dispersione di calore (es. atropina o epinefrina) o alterare la termoregolazione (es. butirrofenoni, fenotiazine, antistaminici o antiparkinsoniani). Tra le categorie di farmaci, la febbre è più spesso attribuita agli antimicrobici (specialmente i beta-lattamici), agli antiepilettici (specialmente la fenitoina), agli antiaritmici (specialmente chinidina e procainamide) e agli antipertensivi (metildopa). Non ci sono caratteristiche particolari per le febbri indotte da questi farmaci. La febbre non sempre insorge immediatamente dopo la somministrazione del farmaco: può verificarsi dopo giorni dalla somministrazione del farmaco e può risolversi dopo diversi giorni. In una casistica il periodo tra la somministrazione iniziale del farmaco e la febbre ebbe una media di 21 giorni (mediana 8). La febbre spesso impiega 1-3 giorni per risolversi, ma può impiegare più di 7 giorni per risolversi dopo la sospensione del farmaco scatenante. Il rash si verifica in una piccola percentuale di casi. Inoltre l'eosinofilia è rara. La diagnosi di febbre indotta da farmaco è di solito stabilita sulla base della relazione temporale tra la febbre e l'inizio e la sospensione del farmaco. I pazienti possono essere ritestati con il farmaco sospetto per confermare la diagnosi, ma questo viene fatto raramente a meno che il farmaco non sia essenziale per il trattamento e non esistano alternative utilizzabili. Due importanti sindromi, l'ipertermia maligna e la sindrome neurolettica maligna, vanno considerate quando la febbre è particolarmente elevata poichè l'esito può essere devastante se la sindrome non è trattata. L'ipertermia maligna è più spesso vista in sala operatatoria piuttosto che in terapia intensiva, ma l'insorgenza può essere ritardata fino a 24 ore. Può essere causata dalla succinilcolina e dagli anestetici inalatori, tra cui 40 l'alotano è più frequentemente in causa. Si pensa che questa sindrome ipertermica sia una risposta geneticamente determinata, mediata dalla disregolazione del controllo del calcio citoplasmatico nel muscolo scheletrico. Il risultato di questa disregolazione del calcio è un'intensa contrazione muscolare che produce febbre e aumento della concentrazione di creatinina-fosfochinasi. La sindrome neurolettica maligna è rara ma più spesso identificata in ICU rispetto alla ipertermia maligna. E' stata fortemente associata con i neurolettici antipsicotici - fenotiazine, tioxantine e butirrofenoni. In ICU l'aloperidolo è forse il farmaco più frequentemente incriminato. Si manifesta con rigidità muscolare che produce febbre e con aumento della concentrazione di creatinin-fosfochinasi. Tuttavia, diversamente dall'ipertermia maligna, la contrazione muscolare ha origine centrale. Inoltre, la sospensione di alcuni farmaci può essere associata a febbre spesso con tachicardia, diaforesi e iperreflessia. Alcool, oppiacei - inclusi metadone, barbiturici e benzodiazepine - sono stati associati con questa sindrome febbrile. E' importante sapere che una storia di assunzione di questi farmaci può non essere nota quando il paziente è ricoverato in ICU. La sospensione del farmaco e la febbre correlata può perciò impiegare diverse ore o giorni dopo il ricovero. Febbri correlate ad altre terapie Febbri associate a trasfusioni di emoderivati, specialmente globuli rossi e piastrine, si verificano più frequentemente nei pazienti che hanno ricevuto multiple trasfusioni. La reazione alla trasfusione di eritrociti può presentarsi solo con febbre oppure con febbre in un quadro di emollisi intravascolare o di ARDS. La febbre associata a vasodilatazione, eritrodermia e occasionalmente ipotensione, è stata correlata alla rapida uccisione di microrganismi, alla liberazione di frammenti biologicamente attivi dei microrganismi lisati, e alla risultante azione delle citochine - fenomeno di Jarish-Herxheimer. Questa zione è stata ben descritta nel trattamento della sifilide, neonatale o secondaria, ma può verificarsi durante il trattamento acuto di altre infezioni. La febbre può inoltre essere una caratteristica della sindrome della lisi tumorale - come risultato della rapida lisi di cellule tumorali in grande quantità. La febbre correlata a citochine è riconosciuta in associazione all'infusione di interleuchina-1, di fattore stimolante-colonie di granulociti macrofagi e a volte di fattore stimolnte le colonie granulocitarie durante il trattamento di alcuni tumori maligni. Stati flogistici che causano febbre non insorti con infezione Le tromboflebiti chimicamente indotte possono essere difficili da distinguere dalle forme infettive. Alcuni farmaci quando somministrati da vena periferica sono fortemente associate a infiammazione venosa, soprattutto penicilline, eritromicina, vancomicina, anfotericina B, supplementi con potassio cloruro, e alcuni farmaci chemioterapici. Alcuni processi infiammatori possono causare febbre in assenza di infezione, soprattutto l'infarto polmonare e la fase fibroproliferativa della ARDS. Inoltre la pancreatite acuta o cronica può essere associata a febbre e a instabilità emodinamica. La febbre, di solito <38.5°C può essere associata con infarto miocardico acuto nei primi giorni. Le febbri più elevate sono state associate a sindrome di Dressler nella fase tardiva dell'infarto miocardico o dopo un intervento cardiotoracico con incisione del pericardio - sindrome "postpericardiotomia". Alcune emergenze endocrine possono essere associate a febbre. Sebbene un paziente può essere ipertiroideo alle misurazioni ormonali senza manifestazioni cliniche eclatanti, un evento strassante come un intervento chirurgico o una malattia critica può precipitare una tempesta tiroidea, una malattia acuta febbrile e uno stato iperdinamico che possono essere indistinguibili da uno shock settico. L'insufficienza acuta surrenalica nei pazienti in ICU può essere risultato di una disattenta deprivazione di ormoni glicocorticoidi e mineralcorticoidi supplementari in pazienti che ricevono cronicamente corticosteroidi esogeni per una propria patologia (per es. asma o collagenopatie). Può inoltre verificarsi nell'ambito di una coagulopatia acuta con distruzione emorragica delle surrenali, secondaraa a una scoagulazione aggressiva con eparina o coumadin, o secondaria a coagulazione intravascolare disseminata associata a shock settico. L'insufficeinza surrenalica acuta può presentarsi con inizio improvviso con febbre alta, ipotensione e stato iperdinamico che, come la tempesta tiroidea, può essere indistinguibile dallo shock settico, anche attraverso le misurazioni emodinamiche con catetere arterioso polmonare. Molte altre patologie non infettive possono causare febbre in un paziente in ICU. Emorragia subaracnoidea, gotta, emobolia adiposa, rigetto a trapianto sono tra le cause meglio conosciute. La trombosi venosa profonda, associata a catetere endovascolare o spontanea, può essere associata a febbre. Il riconoscimento e l'identificazione di una causa non infettiva di febbre richiede la stessa valutazione attenta del paziente, compreso l'esame obiettivo e la revisione dei farmaci e delle altre terapie somministrate, così come è necessario per il riconoscimento e l'identificazione di una causa infettiva di febbre. RACCOMANDAZIONI Esaminare il paziente ed escludere le cause infettive di febbre. Porre particolare attenzione ai siti dei cateteri intravascolari vecchi o alle sedi delle vecchie ferite chirurgiche. 41 Rivalutare tutti i nuovi farmaci e gli emoderivati somministrati al paziente. Teoricamente, se il farmaco può essere sospeso, sospenderlo. Altrimenti considerare una valida alternativa farmacologica in sostituzione. La febbre indotta da farmaci può impiegare alcuni giorni a risolversi. Stabilire una relazione temporale tra febbre e agente causale può essere utile per stabilire la diagnosi. Farmaci che possono causare febbre: Antibiotici: soprattutto B-lattamici Antiepilettici: soprattutto fenitoina Antiaritmici: chinidina, procainamide Antiipertensivi: soprattutto metil-dopa idralazina, antistamici H1 ed H2 Anti-parkinsoniani Fenotiazione Butirrofenoni: soprattutto aloperidolo Tiroxina Anticorpi monoclonali Antimalarici TERAPIA ANTIPIRETICA I pazienti febbrili ricoverati in ICU vengono spesso trattati al solo scopo di abbassare la loro temperatura. Tra i metodi adoperati si ricorre al raffreddamento fisico diretto e a farmaci antipireteci (ad esempio paracetamolo, acido acetilsalicilico e ibuprofene). Questo tipo di strategia, oltre a rendere possibile l’insorgenza dei potenziali effetti collaterali propri degli antipiretici, potrebbe anche ritardare la diagnosi precoce e un’appropriata terapia volta a combattere un’eventuale infezione che si cela dietro al rialzo termico. E’ proprio per queste ragioni che la terapia antipiretica nel paziente critico deve essere praticata con cautela, ovvero applicata quando veramente necessario. Effetti benefici e dannosi della febbre: Effetti benefici Contro Azione sul microorganismo invasore: - Riduzione della proliferazione - Aumentata sensibilità agli antibiotici riduzione della MIC Aumento della richiesta e del consumo di ossigeno Discomfort del paziente Effetti dannosi sui tessuti Azioni sul sistema immunitario: - Accresciuta mobilità dei polimorfonucleati - Agevolazione della fagocitosi - Aumentata funzione adesiva delle T-cell - Aumento dei linfociti Protezione contro gli effetti collaterali di: - NF-kB per aumento delle heat shock protein - TNFα (diminuita produzione) - IFNγ (diminuita produzione) 42 Di seguito prenderemo in considerazione le principali strategie atte alla riduzione della temperatura corporea, con particolare riferimento agli effetti collaterali di ognuno. PARACETAMOLO L’effetto avverso più serio del paracetamolo è la necrosi epatica legata al sovradosaggio. E’ importante ricordare che il paziente critico spesso presenta una riduzione delle riserve di glutatione (malnutrizione) e quindi è più suscettibile allo sviluppo di una epatite acuta. In aggiunta, evidenze cliniche suggeriscono che lo stesso pathway metabolico potrebbe essere coinvolto nel rene (nefropatia associata all’analgesia). Comunemente, si ritiene che il paracetamolo non influenzi la funzione piastrinica, ma la sua somministrazione endovenosa in volontari, ha mostrato un’inibizione dose dipendente di COX-1. In studi recenti si è visto che la somministrazione endovenosa di paracetamolo nel paziente critico esplica un’azione anche sulla pressione arteriosa: la pressione sistolica potrebbe raggiungere valori < 90 mmHg in circa il 35% dei pazienti e rendere necessario il ricorso ad infusione di fluidi o vasopressori. FARMACI NON-STEROIDEI Principale effetto collaterale è l’azione sulla mucosa gastrointestinale per inibizione diretta della cicloossigenasi (ulcerazione/sanguinamento del tratto gastrointestinale superiore). Attraverso l’inibizione della sintesi di prostaglandine, questa classe di farmaci agisce anche sulla funzione renale, soprattutto nei casi in cui il sistema renina-angiotensina è già stimolato: deplezione di volume, insufficienza renale preesistente, somministrazione contemporanea di agenti nefrotossici. Il vasospasmo da somministrazione di non-steroidei è un effetto collaterale da prendere in considerazione nei pazienti con una storia precedente di malattia coronarica. Fattori di rischio tipici del paziente critico che potrebbero aggravare gli effetti collaterali degli antiinfiammatori non steroidei sono: - Uso di dosaggi elevati - Età avanzata - Uso concomitante di altri steoridei - Terapia anticoagulante. MEZZI FISICI Il ricorso al raffreddamento fisico rimane argomento controverso a causa della sua attivazione della risposta simpatica, vasocostrizione e brivido. Si ricordi che nel paziente febbrile la capacità del raffreddamento esterno di abbassare la temperatura del core potrebbe essere comunque limitata da un meccanismo ipotalamico di termoregolazione che per contro tende a mantenere una temperatura corporea più alta. Inoltre, se è gia presente brivido, il raffreddamento fisico potrebbe causare un deleterio aumento del consumo di ossigeno e di catecolamine (in circa il 40% dei casi). MEZZI EXTRACORPOREI I pazienti sottoposti ad ECMO, CRRT/emodialisi o a plasmaferesi generalmente possono falsamente mostrarsi normotermici e mascherare un’incipiente ipertermia. CONCLUSIONI L’uso indiscriminato di antipiretici nel paziente critico dovrebbe essere evitato e gli operatori sanitari dovrebbero ponderare l’attuazione di una terapia volta al controllo della temperatura corporea particolarmente nei pazienti con malattia infettiva in corso. Per contro, la febbre dovrebbe essere trattata nei pazienti con danno cerebrale, in coloro che presentano una limitata riserva cardiorespiratoria e nei casi in cui la temperatura si aggiri su valori > 40°C. 14. PROFILASSI E TERAPIA ANTIBIOTICA TERAPIA CAP 43 Terapia empirica (ats idsa) A) CAP in pz ospedalizzato (non-UTI): FUOROCHINOLONE (levofloxacina oppure moxifloxacina ) MACROLIDE + B-LATTAMICO B) CAP in UTI: B-LATTAMICO (cefotaxime, ceftriaxone, ampicillina-sulbactam) + AZITROMICINA o FLUOROCHINOLONE NB: per i pz allergici alle penicilline, si raccomanda il ricorso ad un fluorochinolone + aztreonam C) Considerazioni particolari: Se S. pneumoniae resistente ai macrolidi (MIC>16 mg/mL): prendere in considerazione gli antibiotici elencati al punto 2 Se P. aeruginosa: B-LATTAMICO (piperacillina-tazobactam, cefepime, imipenem o meropenem) + FLUOROCHINOLONE (ciprofloxacina o levofloxacina); B-LATTAMICO + AMINOGLICOSIDE e FLUOROCHINOLONE (se allergico a penicilline, sostituire il B-LATTAMICO con AZTREONAM) Se S. aureus MRSA: VANCOMICINA o LINEZOLID NB: per i dosaggi dei singoli antibiotici, fare riferimento all’algoritmo relativo alle VAP a pg. seguente Antibiotici suggeriti per specifici patogeni in corso di CAP PATOGENO S. pneumoniae (MIC<2 μg/ml) S. pneumoniae (MIC≥2 μg/ml) P. aeruginosa MRSA Enterobacteriaceae ESBL + TRATTAMENTO ANTIBIOTICO PREFERIBILE Penicillina G o Amoxicillina Antibiotico scelto in base ai test di suscettibilità in vitro, inclusi cefotaxime, ceftriaxone, fluorochinoloni Piperacillina-tazobactam, cefepime, imipenem o meropenem + Cipro/levofloxacina o aminoglicoside Vancomicina Carbapenemici TRATTAMENTO ANTIBIOTICO ALTERNATIVO Macrolide, cefalosporina, clindamicina, doxyciclina, fluorochinolone Vancomicina, linezolid, amoxicillina ad alte dosi Aminoglicoside + cipro/levofloxacina Linezolid Beta lattamici/inibitori delle B-lattamasi; aminoglicoside NB: per i dosaggi dei singoli antibiotici, fare riferimento all’algoritmo relativo alle VAP a pg. seguente APPROCCIO ALGORITMICO SUGGERITO IN CASO DI VAP/HAP E SCHEMA TERAPEUTICO: STEP 1 STEP 2 Sospetto clinico di polmonite associata alla ventilazione 1. Febbre 2. Secrezioni purulente 3. Peggioramento dell’ossigenazione 4. Leucocitosi/leucopenia Conferma e valutazione dei fattori di rischio 1. Radiografia del torace 2. Raccolta dei campioni da inviare a cultura 3. Valutazione dei possibili patogeni multiresistenti 4. Verifica dei biomarker: PCR, Pct Fattori di rischio per MDR: 1. Ospedalizzazione ≥ 5 giorni 2. Trattamenti antibiotici nei precedenti 90 giorni 3. Immunodepressione/terapie immunomodulanti 44 4. Consapevolezza della presenza patogeni MDR nella struttura di ricovero 5. Altri fattori di rischio: Ospedalizzazione nei precedenti 90 giorni per almeno 2 giorni Residenza in una casa di cura Terapie domiciliari di tipo infusivo Dialisi negli ultimi 30 giorni Familiare infetti da patogeni MDR Iniziare la terapia antibiotica empirica il prima possibile (rene normofunzionante) Monoterapia con uno dei seguneti: Ampicillina/sulbactam: 1,5-3 gr ev ogni 6 h Ceftriaxone: 2 gr/die ev Levofloxacina: 750 mg/die ev Moxifloxacina: 400 mg/die ev Ertapenem: 1 gr/die ev STEP 3 Sospetto di patogeno MDR, iniziare terapia combinata con: Meropenem: 1 gr ev ogni 8 h O Piperacillina/tazobactam: 4,5 gr ev ogni 6 h + Levofloxacina 500 mg ev x 2 Se si sopetta MRSA, aggiungere uno dei seguenti: Linezolid: 600 mg ev ogni 12 h Vancomicina: 15 mg/kg ev ogni 12 h Ceftobiprolo: 500 mg ogni 8 ore Rivalutare dopo 72 h ed eventualmente scalare la terapia. Risultati colturali +, biomarker e stato clinico: stretto regime antibiotico contro il patogeno isolato Risultati colturali -, biomarker e stato clinico: prendi in considerazione di interrompere la terapia Paziente non-responder o peggioramento del quadro clinico: rivaluta i dosaggi degli antibiotici, escludi eventuali complicanze, valuta la somministrazione di ulteriore farmaco attraverso aerosol STEP 4 Durata della terapia antibiotica CAP non UTI: - Paziente non immunocompromesso o senza alterazioni del parenchima polmonare Paziente immunocompromesso o con alterazioni del parenchima polmonare 5 giorni 7- 10 giorni CAP in UTI 10 -14 giorni VAP/HAP 10-14 giorni La terapia antibiotica deve essere sospesa solo in caso di un miglioramento delle condizioni cliniche, dei biomarker laboratoristici e degli esami colturali. In corso di terapia antibiotica attenersi alla valutazione descritta al punto 10 riguardante il monitoraggio del paziente infetto. Tratto da “ICM (2015): ventilator-associated pneumonia: present understanding and ongoing debates” Bibliografia: Kumar A, Light B, Parrillo J, Maki D…(2010) “Early combination antibiotic therapy yields improved survival compared with monotherapy in septic shock: a propensity-matched analysis.” Crit Care Med 38:17731785 45 Bibliografia CAP e HCAP A randomised, double-blind trial comparing ceftobiprole me-docaril with ceftriaxone with or wthout linezolid for the treatment of patients with community-acquired pneumonia requiring hospitalisation International Journal of Antimicrobial Agents 39 (2012) 240– 246 A Phase 3 Randomized Double-Blind Comparison of Ceftobiprole Medocaril Versus Ceftazidime Plus Linezolid for the Treatment of Hospital-Acquired Pneumonia. Clinical Infection Diseases 2014; 59(1):51-61. TERAPIA INFEZIONE ADDOMINALE INFEZIONI COMUNITARIE: 1) PAZIENTE NON CRITICO IAI EXTRABILIARI - No fattori rischio ESBL AMOXICILLINA o 2.2 g/6h (TEMPO INFUSIONE: 2 h) /CLAVULANATO CIPROFLOXACINA + 400mg/8h (TEMPO DI INFUSIONE: 30 min) METRONIDAZOLO 500mg/6h (TEMPO DI INFUSIONE: 1h) - Presenza fattori rischio per ESBL ERTAPENEM o 1g/24h (TEMPO INFUSIONE: 2h) TIGECICLINA + DOSE CARICO: 100mg, seguiti da 50mg/ 12 h (TEMPO INFUSIONE: 2h) IAI BILIARI - No fattori rischio ESBL AMOXICILLINA o 2.2 g/6h (TEMPO INFUSIONE: 2 h) /CLAVULANATO CIPROFLOXACINA + 400mg/8h (TEMPO DI INFUSIONE: 30 min) METRONIDAZOLO 500mg/6h (TEMPO DI INFUSIONE: 1h) - Presenza fattori rischio per ESBL TIGECICLINA DOSE CARICO: 100mg, seguiti da 50mg/12h (TEMPO INFUSIONE: 2h) 2) PAZIENTE CRITICO IAI EXTRABILIARI - No fattori rischio ESBL PIPERACILLINA DOSE CARICO: 9g seguiti da 18g INF CONT oppure 4,5 g ogni 6h (TEMPO TAZOBACTAM INFUSIONE : 4h) - Presenza di fattori di rischio ESBL MEROPENEM o 500mg/6h (TEMPO INFUSIONE: 6h) IMIPENEM ± 500mg/4h (TEMPO INFUSIONE: 3h) FLUCONAZOLO DOSE CARICO: 600mg, seguiti da 400mg/24h IAI BILIARI - No fattori di rischio per ESBL PIPERACILLINA DOSE CARICO: 9g seguiti da 18g INF CONT oppure 4,5 g ogni 6h (TEMPO 46 TAZOBACTAM INFUSIONE : 4h) - Presenza fattori di rischio per ESBL: PIPERACILLINADOSE CARICO: 9g seguiti da 18g INF CONT oppure 4,5 g ogni 6h (TEMPO + TAZOBACTAM INFUSIONE : 4h) TIGECICLINA DOSE CARICO: 100 mg, seguiti da 50 mg ogni 12 h (TEMPO INFUSIONE: 2 h) FLUCONAZOLO DOSE CARICO: 600mg, seguiti da 400mg/24h INF NOSOCOMIALI: 1) PAZIENTE NON CRITICO - Stabile non critico - Fattori rischio per patogeni MDR PIPERACILLINADOSE CARICO: 9g seguiti da 18g INF CONT oppure 4,5 g ogni 6h (TEMPO + TAZOBACTAM INFUSIONE : 4h) TIGECICLINA + DOSE CARICO: 100 mg, seguiti da 50 mg ogni 12 h (TEMPO INFUSIONE: 2 h) FLUCONAZOLO DOSE CARICO: 600mg, seguiti da 400mg/24h 2) PAZIENTE CRITICO - Infezioni extrabiliari - Pz critico (SEPSI GRAVE) - Fattori di rischio per patogeni MDR PIPERACICCLINADOSE CARICO: 9g seguiti da 18g INF CONT oppure 4,5 g ogni 6h (TEMPO + TAZOBACTAM INFUSIONE: 4h) TIGECICLINA + DOSE CARICO: 100 mg, seguiti da 50 mg ogni 12 h (TEMPO INFUSIONE: 2 h) ECHINOCANDINA Anidulafungina 200 mg dose carico, seguiti da 100 mg/die Caspofungina 70 mg dose carico, seguiti da 50 mg/die Micafungina 100 mg/die OPPURE : MEROPENEM o 500mg ogni 6h (TEMPO INFUSIONE: 6h) IMIPENEM o 500mg ogni 4h (TEMPO INFUSIONE: 3h) + 500mg ogni 8h (TEMPO INFUSIONE: 4h) TEICOPLANINA + DOSE CARICO: 12 mg /Kg/12 h X 3, seguiti da 6mg/Kg/ 12 h ECHINOCANDINA Come da tabella sopra Durata della terapia antibiotica nelle infezioni addominali: La terapia antibiotica nel caso di infezioni addominali deve essere somministrata per almeno 7 giorni. La terapia antibiotica deve essere sospesa solo in caso di un miglioramento delle condizioni cliniche, dei biomarkers laboratoristici e degli esami colturali. In corso di terapia antibiotica attenersi alla valutazione descritta al punto 10 riguardante il monitoraggio del paziente infetto. 47 TERAPIA IVU Patologia Germi responsabili Pielonefrite acuta non complicata: Enterobacteriaceae Terapia Durata Ciprofloxacina 500 mg x 2 Anche 7 giorni (se ciprofloxacina), oppure oppure Sulfametossazolo+ trimetoprim 1 cp x 2 x14 giorni (più frequentemente E.coli) Enterococchi Ambulatoriale Sulfametossazolo+ trimetoprim 1 cp x 2 Terapia endovenosa: 14 giorni Ciprofloxacina 400 mg x 2 oppure Ampicillina + Gentamicina Ospedalizzato Oppure PIP/TAZO oppure Ertapenem 1 g ev Pielonefrite acuta complicata (Sepsi, Uropatia ostruttiva, insufficienza renale acuta) Enterobacteriaceae (più frequentemente E.coli) Ampicillina + Gentamicina oppure PIP/TAZO P. aeruginosa, oppure Enterococchi, Meropenem 48 14-21 giorni raramente S.aureus Bibliografia: Linee guida IDSA CID 2010 50:625 CID 47:1150, 2008 49 GESTIONE DELLE CANDIDIASI IN TERAPIA INTENSIVA In terapia intensiva le colonizzazioni da Candida spp sono presenti già dopo una settimana nell’80% dei pazienti ammessi. Di contro, la percentuale di infezioni/candidiasi invasive è meno del 10%. Per questo motivo la diagnosi delle candidiasi invasive rimane problematica. La presenza di due o più fattori di rischio riportati nella tabella successiva aumenta in modo esponenziale la probabilità di infezione da Candida spp. Tabella 1 50 In questo protocollo si propone un algoritmo gestionale riguardo la sorveglianza delle colonizzazioni o candidiasi invasive nel paziente ricoverato nel reparto di terapia intensiva. Paziente ricoverato in terapia intensiva da 7 giorni Step 1 Immunocompromissione Chirurgia trapianto di midollo osseo, trapianto di organi Peritonite terziaria, leakage di anastomosi, Perforazioni ricorrenti, pancreatite necrotizzante digestiva Chirurgia digestiva di altro tipo Pazienti no sottoposto ad interventi chirurgici Valuta fattori di rischio in tabella 1 Step 2 Candida score Indice di colonizzazione Candida score Peritonite score Indice di colonizzazione Candida score Indice di colonizzazione Se: Step 3* * In questo step è possibile eseguire la valutazione dei Beta-glucani o altri biomarker specifici solo il paziente è ad alto rischio. Presenza di TPN, dialisi, chirurgia maggiore, antibiotico terapia ad ampio spettro, corticosteroidi, pancreatite e immunosoppressione Candida score >3 Indice di colonizzazione >0.5 Indice di colonizzazione corretto ≥ 0.4 Iniziare trattamento empirico ad ampio spettro per le candidiasi invasive secondo protocollo (vedi successivamente) 51 Candida score Indice di colonizzazione Candida score Indice di colonizzazione ed indice di colonizzazione corretto 52 Peritonite score Bibliografia Leon C, et al. Crit Care Med 2006; 34: 730-737. Leon C, et al. Crit Care Med 2009; 37: 1624-1633 Pfaller M.A., Diekema D.J. Epidemiology of invasive candidiasis: a persistent public health problem. Clin Microbiol Rev. 2007;20(1):133-63 Philippe Eggimann, Didier Pittet. Intensive Care Med (2014) 40:1429–1448 53 Trattamento empirico ad ampio spettro per le candidiasi invasive 1. Trattamento empirico ad ampio spettro per le candidiasi invasive nel paziente non neutropenico in terapia intensiva. La terapia ad ampio spettro in questo caso deve essere iniziata nei pazienti ad alto rischio secondo le valutazioni presenti nell’algoritmo precedente. La terapia in oggetto deve iniziata tempestivamente nei pazienti ad alto rischio e affetti da shock settico. Terapia di prima scelta: echinocandine: - Caspofungin. Dose carico 70 mg, poi 50 mg/die - Micafungin. 100 mg/die - Anidulafungin. Dose carico 200 mg, poi 100 mg/die Terapia di seconda scelta: Fluconazolo. Dose di carico 800 mg (12mg/kg), poi 400 mg/die (6 mg/kg). Tale scelta è utile nei pazienti che non hanno terapie recenti con derivati azolici e non hanno ceppi di candida resistenti agli azoli. Terapia di terza scelta: Amfotericina B. 3-5 mg/kg/die. La terapia deve essere dopo almeno 7-14 giorni nei pazienti che mostrano miglioramento clinico e miglioramento della valutazione di cui all’algoritmo precedente esposto. 2. Trattamento per le candidemie nel paziente non neutropenico. Terapia di prima scelta: echinocandine: - Caspofungin. Dose carico 70 mg, poi 50 mg/die - Micafungin. 100 mg/die - Anidulafungin. Dose carico 200 mg, poi 100 mg/die Terapia di seconda scelta: Fluconazolo. Dose di carico 800 mg (12mg(kg), poi 400 mg/die (6 mg/kg). Tale scelta è utile nei pazienti che non hanno terapie recenti con derivati azolici e non hanno ceppi di candida resistenti agli azoli. Per le infezioni da Candida glabrata. Fluconazolo. 800 mg (12mg/kg) o Voriconazolo 200-300 mg/2 die (3-4 mg/kg) devono essere considerati solo in caso di suscettibilità dimostrata a tali farmaci. La durata della terapia in questo caso è di 14 giorni. La sospensione della terapia deve essere supportata dalla negativizzazione delle emocolture e dalla risoluzione dei sintomi. Per tutte le altre opzioni terapeutiche riguardanti candidemia/candidiasi invasive ed altro, il protocollo fa riferimento alle attuali linee guida IDSA: Clinical Practice Guideline for the Management of Candidiasis: 2016 Update by the Infectious Diseases Society of America. Peter G. Pappas, Carol A. Kauffman, David R. Andes, Cornelius J. Clancy, Kieren A. Marr, Luis OstroskyZeichner, Annette C. Reboli, Mindy G. Schuster, Jose A. Vazquez, Thomas J. Walsh, Theoklis E. Zaoutis, and Jack D. Sobel. Clinical infectious disease 2015, http://cid.oxfordjournals.org/ 54 15. Gestione del paziente colonizzato/ infetto da germi MDR TERMINOLOGIA E ABBREVIAZIONI DPI: dispositivi di protezione individuale EPIDEMIA: incremento del numero dei casi rispetto ai casi attesi in un periodo ristretto di tempo PRECAUZIONI STANDARD: misure per il controllo delle infezioni mirate a ridurre il rischio di trasmissione di microrganismi da sorgenti di infezioni individuate negli ospedali. Le precauzioni sono applicate a tutti i pazienti senza considerare la loro diagnosi o lo stato presunto di infezione o colonizzazione PRECAUZIONI DA CONTATTO: misure per il controllo delle infezioni mirate a ridurre il rischio di passaggio di microrganismi che sono trasmessi da contatto diretto o indiretto con il paziente o l’ambiente circostante PRECAUZIONI DA DROPLETS: misure per il controllo delle infezioni mirate a ridurre il rischio di passaggio di microrganismi che sono trasmessi tramite goccioline con diametro superiore ai 51m, dal paziente colonizzato/infetto nelle vie respiratorie MDRO:(multidrug-resistant organisms) microrganismi multiresistenti agli antibiotici VRE:(Vancomycin-resistant Enterococcus) Enterococco Vancomicina Resistente ESBL:(extended-spectrum beta-lactamase) Enterobatteriacee produttrici di Beta Lattamasi a spettro allargato MRSA:(Methicillin-resistant Staphylococcus Aureus) Stafilococco Aureo resistente alla Meticillina LAVAGGIO MANI: ove non diversamente specificato si intende lavaggio sociale I Microrganismi multiresistenti agli antibiotici (MDRO) sono definiti come microrganismi resistenti ad una o più classi di antibiotici oggi disponibili; alla luce di ciò, la gestione di pazienti con positività microbiologica ad un MDRO, nelle strutture sanitarie richiede necessariamente l’adozione di specifici comportamenti assistenziali atti a ridurne quanto più possibile la circolazione e la trasmissione. L’applicazione costante di pratiche assistenziali medico-infermieristiche corrette rappresenta lo strumento idoneo per il raggiungimento di tale obiettivo che, contrariamente ad altri ambiti dell’attività sanitaria, può essere soddisfatto solo se tutti, ciascuno per la propria competenza professionale specifica, conoscono i termini del problema e fanno bene ciò che devono. Il presente documento riassume i comportamenti da adottare in caso di isolamento di germi multiresistenti per i pazienti ricoverati presso le Strutture dell’Azienda. Punto di forza è la modalità di attivazione che non si applica alla sola infezione, ma anche alla semplice colonizzazione del paziente rilevata dalla “positività microbiologica” del materiale inviato presso il Laboratorio di Microbiologia: è infatti indispensabile evitare a monte che il germe multiresistente possa diffondersi in ospedale intervenendo quanto più precocemente possibile a contrastarne i possibili eventi infettivi. Di seguito si enunciano le misure/strategie che la letteratura internazionale riporta essere valide per contenere l’incidenza di infezioni nosocomiali da MDRO. Tali indicazioni non devono essere applicate in modo indiscriminato ma vanno modulate in relazione alla importanza relativa delle problematiche da MDRO nelle diverse tipologie di Struttura ospedaliera, anche confrontandosi con le funzioni aziendali competenti. Aree intensive (rianimazione generale e terapie intensive chirurgiche specialistiche), definibili come aree a rischio molto elevato. MODALITA’ DI TRASMISSIONE I germi multiresistenti sono microrganismi resistenti all’azione di molteplici antibiotici, in grado di causare le medesime infezioni sostenute dai germi antibiotico-sensibili, con cui condividono la stessa virulenza e le stesse modalità di trasmissione. E’ importante specificare che tali microrganismi multiresistenti non devono essere confusi con i microrganismi in grado di causare malattie infettive diffusive, infatti: - i microrganismi che causano malattie infettive diffusive sono microrganismi che partendo da un soggetto malato possono contagiare e infettare soggetti sani venuti a contatto con tale microrganismo (ivi inclusi gli operatori sanitari), per tali malattie è obbligatoria la notifica di malattia infettiva e l’adozione di specifiche precauzioni atte ad interrompere la catena di trasmissione; - i microrganismi multiresistenti oggetto della presente procedura, non causano malattie infettive contagiose trasmissibili da soggetto infetto a soggetto sano e tanto meno da soggetto infetto agli operatori sanitari, gli operatori sanitari però sono il principale veicolo di infezione per altri pazienti suscettibili a tali germi ove non adottino le precauzioni necessarie ad evitare la trasmissione tra pazienti di tali germi, prima fra tutte il corretto lavaggio delle mani. 55 E’ importante sin da subito definire cosa si intende per colonizzazione e per infezione: La colonizzazione prevede la presenza del germe senza invasione e risposta associata dell’ospite. La colonizzazione non richiede trattamento antibiotico. L’infezione avviene dopo invasione e moltiplicazione del microrganismo nell’ospite con associata risposta dello stesso (febbre, leucocitosi, drenaggio purulento, etc.). L’infezione richiede un trattamento antibiotico ed è solitamente preceduta dalla colonizzazione. Nel presente documento sono prese in considerazione sia le colonizzazioni che le infezioni rilevate in Azienda che riconoscono come agente causale i seguenti microorganismi multiresistenti: Staphylococcus aureus meticillino resistente (MRSA) Enterococcus vancomicina – resistente (VRE) Pseudomonas aeruginosa resistente a tutti gli antibiotici testati Acinetobacter baumannii resistente a tutti gli antibiotici testati compresi i carbapenemici Stenotrophomonas maltophilia Enterobatteriacee produttori di betalattamasi a spettro allargato (ESBL) Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemici Proteus mirabilis, Enterobacter cloacae, E.coli, etc. PRECAUZIONI Le precauzioni da adottare al fine di evitare la trasmissione di colonizzazioni/infezioni ad altri pazienti e colonizzazioni da parte del personale di assistenza dipendono dalle modalità di trasmissione a loro volta legate al sito di colonizzazione/infezione. Si ribadisce che dette precauzioni devono essere messe in atto all’isolamento del germe multiresistente anche se trattasi di colonizzazione e non di infezione. Si riportano nella sottostante tabella le precauzioni da adottare in base al sito dove viene isolato il microrganismo. MICRORGANISMO ISOLATO DA MRSA Cute, drenaggi ferita chirurgica Sangue Acinetobacter Urine Vie respiratorie Cute, drenaggi ferita chirurgica Sangue Vie respiratorie VRE Enterobatteriacee ESBL Klebsiella Pneumoniae RESISTENTE AI CARBAPENEMICI Cute, drenaggi ferita chirurgica Sangue Urine Vie respiratorie Cute, drenaggi ferita chirurgica Sangue Urine Vie respiratorie Cute, drenaggi ferita chirurgica Sangue Urine 56 PRECAUZIONI DA ADOTTARE (oltre alle precauzioni standard) CONTATTO CONTATTO + DROPLET CONTATTO CONTATTO + DROPLET CONTATTO CONTATTO + DROPLET CONTATTO CONTATTO + DROPLET CONTATTO Pseudomonas Aeruginosa MDR Stenotrophomonas Maltophilia MISURE DA MDRO Vie respiratorie Cute, drenaggi ferita chirurgica Sangue Urine Vie respiratorie Cute, drenaggi ferita chirurgica Sangue Urine Vie respiratorie CONTATTO + DROPLET CONTATTO CONTATTO + DROPLET CONTATTO CONTATTO + DROPLET ADOTTARE IN PRESENZA DI PAZIENTI CON INFEZIONI/COLONIZZAZIONI DA Di seguito si riportano le raccomandazioni per i pazienti colonizzati/infetti da MDRO. Va sin da subito specificato che al paziente colonizzato/infetto va garantito il percorso assistenziale specifico per la sua patologia di ricovero e tutte le procedure assistenziali, diagnostiche, interventistiche dovranno essere eseguite, all’interno della Struttura di competenza clinica, nel rispetto di quanto specificato nel presente documento. Il PROTOCOLLO DI ISOLAMENTO viene attuato in caso di presenza di pazienti, ricoverati in area intensiva e non, con positività microbiologica per i seguenti microrganismi: Acinetobacter baumannii resistente a tutti gli antibiotici testati compresi i carbapenemici; Pseudomanas aeruginosa resistente agli antibiotici testati; Stenotrophomonas maltophilia; Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemici; Enterococcus vancomicino-resistente. Per tali microrganismi è previsto l’isolamento spaziale del paziente colonizzato/infetto (stanza singola o area di isolamento con distanza minima di un metro e mezzo e chiusura di posto letto adiacente se necessario alla creazione dell’area di isolamento), l’assistenza possibilmente dedicata nonché l’obbligo per il personale di adottare tutte le misure di barriera previste dalle precauzioni standard, da contatto e da droplet. PROTOCOLLO D’ISOLAMENTO Esame microbiologico positivo (anticipato telefonicamente e/o comunicato QUANDO ATTIVARE IL formalmente tramite referto dalla Microbiologia) per uno dei microrganismi PROTOCOLLO sottoelencati: Acinetobacter baumannii resistente a tutti gli antibiotici testati compresi i carbapenemici Pseudomonas aeruginosa resistente a tutti gli antibiotici testati Stenotrophomonas maltophilia VRE Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemici. CHI ATTUA IL Il medico che ha in carico il paziente, in collaborazione con il Coordinatore della PROTOCOLLO Struttura in cui il paziente è ricoverato, attivano l’isolamento e contestualizzano le precauzioni da adottare. UN PAZIENTE PIU’ PAZIENTI 57 MODALITA’ DI ATTUAZIONE Stanza singola (stanza di COLLOCAZIONE isolamento). Se presenti più pazienti con • Ove la stanza singola non sia colonizzazione/infezione disponibile creare una zona data dallo stesso germe di isolamento creare una AREA DI all’interno della SC (AREA DI ISOLAMENTO dove ISOLAMENTO SPAZIALE) effettuare l’isolamento per posizionando il paziente in coorte. posto letto estremo Qualora si debba mantenendo una distanza di posizionare in tale area un almeno 1 metro e mezzo paziente non dal paziente più vicino infetto/colonizzato, tale • Ricovero nel posto letto “più paziente deve essere a vicino” al paziente “basso rischio” di infezione. colonizzato/infetto, di un paziente non infetto e a “basso rischio” di infezione PAZIENTE IN STANZA PERSONALE SINGOLA Il personale di assistenza, • Il personale di assistenza per quanto possibile, deve accedere alla stanza di dovrebbe essere dedicato isolamento dopo essersi • Il personale deve lavato le mani e aver accedere all’area di indossato i DPI previsti e isolamento dopo essersi deve toglierli prima di lavato le mani e aver lasciare la stanza lavandosi le indossato i DPI previsti mani • Se il personale abbandona PAZIENTE IN AREA l’AREA DI ISOLAMENTO ISOLAMENTO SPAZIALE SPAZIALE deve togliersi i • Il personale di assistenza DPI indossati in detta area deve, per quanto possibile, lavandosi le mani essere dedicato accedere all’area di isolamento dopo essersi lavato le mani ed aver indossato i DPI previsti • Se il personale abbandona l’area di isolamento spaziale deve togliersi i DPI indossati in detta area Percorsi accesso al Percorsi di accesso ai malati lavandosi ledimani PERCORSI DI malato colonizzati/infetti quanto ACCESSO AL colonizzato/infetto quanto più più PAZIENTE possibile differenziati da quelli possibile differenziati da quelli per gli altri malati ricoverati per gli altri malati ricoverati nella SC nella SC TIPO DI PRECAUZIONE Le precauzioni standard vanno sempre applicate su tutti i pazienti ricoverati DA ADOTTARE in ospedale (da parte di tutto il Germe isolato in materiale respiratorio in paziente intubato: precauzioni personale che entra in da contatto + precauzioni per droplets contatto con il paziente) Germe isolato da urine in paziente cateterizzato: precauzioni da contatto Germe isolato da sangue o da ferita: precauzioni da contatto 58 PROCEDURE DA ATTIVARE IN CASO DI SPOSTAMENTO DEL PAZIENTE PER ESAMI O INTERVENTI MODALITA’ E FREQUENZA PULIZIE 1. avvisare il reparto o la Sala operatoria della situazione microbiologica del paziente 2. concordare (ove possibile) l’esame/intervento chirurgico in modo che sia l’ultimo della giornata per permettere idonea disinfezione ambientale 3. il personale del reparto dove viene inviato il paziente deve adottare le precauzioni idonee per tutto l’iter diagnostico (o intervento chirurgico) 4. devono essere indicati al personale ausiliario che è deputato allo spostamento del paziente colonizzato/infetto i dispositivi di protezione individuale che deve utilizzare durante lo spostamento col paziente 5. pulizia e sanificazione ambientale del locale dove ha stazionato il paziente per l’esecuzione della procedura e delle attrezzature toccate dal paziente (a carico del reparto che ha effettuato la prestazione) 6. pulizia e sanificazione della barella utilizzata per il trasporto del paziente (a carico del reparto cui appartiene la barella) multiresistenti vanno intensificate le In presenza di pazienti con microorganismi pulizie soprattutto dopo manovre respiratorie che possono generare droplets (in tal caso effettuare la disinfezione sia dopo le manovre sia 30 minuti dopo). Il calendario delle pulizie sarà concordato con il responsabile della Ditta appaltatrice. PRECAUZIONI STANDARD Da applicare nell’assistenza di tutti i pazienti indipendentemente dalla presenza di uno stato infettivo. IGIENE DELLE MANI • Le mani devono essere lavate immediatamente e con accuratezza se si verifica un accidentale contatto con il sangue, fluidi corporei, secreti, escreti e oggetti contaminati, anche se l'operatore indossa i guanti. • E' obbligatorio lavare le mani prima di assistere il malato. • Le mani devono essere lavate prontamente e con accuratezza tra una procedura assistenziale e l'altra, anche se eseguita sullo stesso paziente. • Le mani devono essere lavate prontamente e con accuratezza al termine dell'assistenza prestata ai pazienti, anche se si sono usati i guanti. • E' necessario prevenire e curare screpolature, abrasioni e piccole ferite della cute facendo regolarmente uso di creme emollienti e idratanti alla fine dell'attività lavorativa. • Le unghie devono essere mantenute corte, pulite e prive di smalto; non utilizzare unghie finte. • E' vietato indossare anelli, bracciali, orologi e altri monili quando si presta assistenza al paziente. • E' obbligatorio il lavaggio delle mani con sapone antisettico prima di eseguire procedure invasive sul paziente, dopo aver toccato una qualsiasi fonte che può essere contaminata con patogeni e in specifiche circostanze (es. controllo di epidemie, infezioni endemiche). • Le mani devono essere sempre lavate dopo la rimozione dei guanti. 59 UTILIZZO DI GUANTI • Devono essere indossati guanti della misura adeguata e del tipo idoneo alla prestazione da effettuare • Devono essere indossati prima di venire in contatto con: sangue, fluidi corporei, secreti, escreti, mucose, cute non intatta dei pazienti e oggetti contaminati. • E' vietato rispondere al telefono, toccare maniglie, o effettuare qualunque altra azione non direttamente correlata allo specifico atto assistenziale indossando i guanti. • I guanti devono essere sostituiti durante i contatti tra un paziente e l'altro. • I guanti devono essere sostituiti durante procedure effettuate sullo stesso paziente, ma in zone differenti. • I guanti devono essere immediatamente rimossi quando si rompono o si verifica una puntura o una lacerazione. • I guanti devono essere prontamente rimossi dopo l'uso. • Dopo la rimozione dei guanti, le mani devono sempre essere lavate. • I guanti dopo l'uso devono essere eliminati nei contenitori per rifiuti potenzialmente infetti. MASCHERINE CON O SENZA VISIERA – OCCHIALI PROTETTIVI • La mascherina con o senza visiera e gli occhiali protettivi devono essere utilizzati per proteggere le mucose di occhi, naso e bocca durante l'esecuzione di procedure che possono determinare schizzi di sangue o di altri liquidi biologici, come ad esempio, prelievi, procedure aspirazione, broncoscopie, ecc.. La mascherina con o senza visiera deve essere monouso e: • Deve essere indossata sulla bocca e sul naso ed essere ben adesa al volto • Deve essere legata correttamente dietro la testa. • Non deve essere mai abbassata. • Deve essere usata una sola volta e poi gettata nel contenitore dei rifiuti. • Dopo la rimozione lavare accuratamente le mani. 60 CAMICI E INDUMENTI PROTETTIVI • Devono essere indossati per proteggere la cute e prevenire l'imbrattamento degli abiti durante l'esecuzione di procedure che possono determinare schizzi di sangue o di altri liquidi biologici. • Se si prevedono grosse contaminazioni, devono essere indossati camici idrorepellenti. • Devono essere rimossi prima di lasciare la stanza o ogni qualvolta è necessario interrompere lo specifico atto assistenziale. • Devono essere smaltiti nei contenitori per rifiuti potenzialmente infetti. • Dopo aver tolto il camice e gli indumenti protettivi si devono accuratamente lavare le mani MANOVRE RIANIMATORIE Durante le manovre rianimatorie il personale deve sempre indossare: guanti, camice, mascherina di tipo chirurgico, occhiali protettivi o visiera. Palloni ambu, boccagli, va e vieni, ecc. devono essere decontaminati, sanificati, disinfettati e/o sterilizzati COLLOCAZIONE DEL PAZIENTE • Quando il paziente non è in grado di mantenere un' igiene appropriata e può potenzialmente contaminare l'ambiente, deve essere posto in camera singola con servizi igienici. • Se la camera singola non è disponibile, consultare i professionisti addetti al controllo delle infezioni ospedaliere per l'individuazione di una valida alternativa. MANIPOLAZIONE DI STRUMENTI/OGGETTI TAGLIENTI • Tutti gli operatori devono adottare le misure necessarie a prevenire incidenti causati da aghi, bisturi e altri dispositivi taglienti o pungenti durante il loro utilizzo, nelle fasi di decontaminazione, di sanificazione e di smaltimento. • Aghi e oggetti taglienti non devono essere indirizzati verso parti del corpo. • Non devono essere presi "al volo" strumenti taglienti e/o pungenti se stanno cadendo. • Non devono essere raccolti con le mani nude gli strumenti taglienti e/o pungenti caduti. • Non devono essere portati strumenti taglienti e/o pungenti in tasca. • Non devono essere piegate o rotte lame, aghi e altri oggetti pungenti. • E' assolutamente vietato reincappucciare gli aghi dopo l'uso. • Tutti gli strumenti taglienti e pungenti devono essere smaltiti negli appositi contenitori per aghi e taglienti. ATTREZZATURA PER L’IGIENE DEL PAZIENTE • Materiali taglienti o abrasivi necessari per l’igiene del paziente, quali forbici, tagliaunghie, rasoi, spazzolini per unghie devono essere personali. • Se il paziente risulta sprovvisto di tali oggetti utilizzare materiale monouso o materiale riutilizzabile sterile. • Il materiale tagliente riutilizzabile prima di essere sterilizzato deve essere decontaminato e sanificato come indicato nelle relative procedure aziendali ATTREZZATURE PER L'ASSISTENZA AL PAZIENTE • Tutte le attrezzature impiegate per l'assistenza al paziente che risultano essere contaminate con sangue, liquidi corporei, secreti ed escreti devono essere manipolati con attenzione in modo da prevenire l'esposizione di cute, mucose e indumenti. • Le attrezzature riutilizzabili non devono essere usate su altri pazienti prima di essere state ricondizionate. • Gli strumenti dopo l'uso devono essere decontaminati, sanificati, disinfettati o sterilizzati come indicato nelle relative procedure aziendali. • I materiali sanitari sporchi devono essere decontaminati negli appositi contenitori e devono essere sanificati in un lavello adibito a tale scopo. Se non è possibile utilizzare un lavello solo per la sanificazione dei materiali è necessario procedere alla decontaminazione, sanificazione e disinfezione del lavello. • I presidi sanitari monouso devono essere smaltiti immediatamente dopo l'uso negli appositi contenitori per rifiuti. 61 PRECAUZIONI DA ADOTTARE IN AGGIUNTA ALLE PRECAUZIONI STANDARD PER INFEZIONI OSPEDALIERE TRASMISSIBILI PER CONTATTO e/o TRAMITE DROPLETS COLLOCAZIONE DEL PAZIENTE • Collocazione del paziente infetto in stanza singola. • Ove la stanza singola non sia disponibile creare una zona di isolamento all’interno del reparto (AREA DI ISOLAMENTO SPAZIALE PAZIENTE) posizionando il paziente in posto letto estremo e mantenendo una distanza di almeno 1 metro e mezzo dal paziente più vicino bloccando se necessario il posto letto vicino • Ricovero nel posto letto “più vicino” al paziente colonizzato/infetto di un paziente non infetto e a “basso rischio” di infezione • Se presenti due o più pazienti con colonizzazione/infezione data dallo stesso germe creare un’ “AREA DI ISOLAMENTO” dove effettuare l’isolamento per cohorting: pazienti vicini tra loro in posizione estrema nella stanza e a distanza di almeno un metro e mezzo dagli altri pazienti (se necessario bloccando il posto letto immediatamente vicino); • Anche in quest’ultimo caso ricoverare nel posto letto “più vicino” all’ “AREA PAZIENTE” un paziente non infetto e a “basso rischio” di infezione GUANTI E LAVAGGIO DELLE MANI • Chiunque si avvicina all’ “area paziente” deve indossare i guanti (puliti, non sterili). • I guanti impiegati nell'assistenza al paziente colonizzato/infetto devono essere sostituiti subito dopo il contatto sia con il paziente sia con materiale che può contenere microrganismi (es. materiale fecale, drenaggi ferite, saliva, sangue, etc) sia con arredi, apparecchiature, dispositivi (letto, effetti letterecci, sondini, cateteri, etc) posti vicino al paziente o dallo stesso utilizzati. • I guanti devono essere rimossi prima di lasciare l’ “area paziente” ed immediatamente va effettuato il lavaggio antisettico delle mani. Non si devono toccare superfici o oggetti ubicati fuori dell’area paziente con guanti utilizzati all’interno di tale area. • Dopo la rimozione dei guanti e il lavaggio delle mani, non si devono toccare superfici ambientali o oggetti usati per l'assistenza, potenzialmente contaminati, per evitare di trasferire i microrganismi ad altri pazienti o all'ambiente. PROTEZIONE RESPIRATORIA • Tutte le persone che vengono in contatto con il paziente devono indossare una mascherina chirurgica. • Ove il microrganismo multiresistente sia stato isolato dalle vie respiratorie è obbligo del personale che si avvicina entro un metro dal paziente di indossare oltre alla mascherina chirurgica anche gli occhiali protettivi per evitare contaminazioni da droplets emessi soprattutto nelle manovre di broncoaspirazione (se paziente intubato) o in caso di tosse se paziente non intubato. CAMICE COPRI DIVISA • Indossare un camice (è sufficiente un camice pulito non sterile) quando si entra nella stanza di isolamento o “area paziente” se si prevede un importante contatto con il paziente, con superfici o strumenti contaminati, oppure quando il degente è incontinente o presenta diarrea, ileostomia, colonstomia o drenaggi. • Rimuovere sempre il camice prima di lasciare la stanza o l’”area paziente”, toccando la superficie interna e arrotolandolo su se stesso al fine di evitare di contaminare la divisa. • Se contaminata, la divisa deve essere subito cambiata. 62 Gestione paziente con infezione/colonizzazione da germi multiresistenti TRASPORTO DEL PAZIENTE COLONIZZATO/INFETTO • Limitare gli spostamenti e il trasporto del paziente ai soli casi assolutamente necessari garantendo comunque l’effettuazione dell’iter diagnostico-terapeutico necessario al paziente. • Se lo spostamento e il trasporto del malato sono indispensabili, è necessario informare il personale della struttura presso la quale il degente viene trasferito in merito alla situazione microbiologica del paziente. • Concordare (ove possibile) l’esame/l’intervento chirurgico in modo che sia l’ultimo della giornata per permettere idonea disinfezione ambientale. • Il personale della SC dove viene inviato il paziente deve adottare le precauzioni stabilite (contatto o droplets) • Il personale addetto al trasporto del paziente, deve indossare i dispositivi di protezione individuale. • Informare il personale della SC in cui viene eseguita la procedura della necessità di effettuare idonea pulizia e sanificazione delle attrezzature utilizzate. • In caso di colonizzazioni/infezioni delle vie respiratorie con possibili emissioni di droplets (soprattutto se il paziente non è intubato) il paziente deve indossare una mascherina chirurgica. ATTREZZATURE PER L'ASSISTENZA • Quando è possibile, assegnare dispositivi e articoli non critici (es. sfigmomanometro, fonendoscopio, termometro, ecc.) ad un singolo paziente. Qualora tale situazione non possa realizzarsi, è necessaria una adeguata sanificazione e disinfezione dello strumentario prima di essere usato su un altro paziente. • Assicurarsi che le attrezzature nelle immediate vicinanze del malato e gli strumenti impiegati per l'assistenza e frequentemente toccati, siano regolarmente sanificati. • Utilizzare sistemi di broncoaspirazione a circuito chiuso per ridurre al massimo la liberazione di droplets in ambiente. MISURE AGGIUNTIVE FAMILIARI E VISITATORI Familiari e visitatori, tramite la distribuzione del modulo prodotto in allegato e tramite informazione verbale, devono essere: rassicurati sull’assenza di rischio per individui in buona salute, invitati a non prestare assistenza ad altri pazienti, se non in caso di assoluta necessità o emergenza, invitati a lavarsi accuratamente le mani prima di entrare e dopo aver lasciato la stanza. GESTIONE DEI MATERIALI Come è stato detto, la stanza che deve accogliere il paziente infetto da MDRO deve essere provvista, per quanto possibile, di: dispositivi di protezione individuale necessari al personale di assistenza contenitori per lo smaltimento dei rifiuti a rischio infettivo materiale per il lavaggio antisettico delle mani materiale per l’assistenza al paziente, dedicato se non può essere monouso (es: fonendoscopio, sfigmomanometro, termometro, laccio emostatico,…..) materiale per le medicazioni, in quantità idonea a soddisfare i bisogni quotidiani materiale monouso per l’assistenza al paziente, anche in questo caso in quantità idonea a soddisfare i bisogni quotidiani (es: siringhe, elettrodi,tappini e raccordi, deflussori, …). farmaci in quantità tale da soddisfare il bisogno giornaliero per quelli confezionati in dose singola (es: antibiotico in confezioni singole da 1 63 grammo, dato alla dose di 4 g/die -7 ogni giorno avere 4 pezzi sul carrello del paziente); e nel numero minimo di confezioni per soddisfare il bisogno giornaliero per quelli confezionati in dose multiple: questi sono il maggior numero, specie se si considerano i farmaci in formulazione non parenterale. L’indicazione a limitare la quantità di materiale presente nella stanza degli infetti alle quantità idonee allo svolgimento delle procedure assistenziali giornaliere trova il suo motivo nel fatto che i carrelli vanno allestiti giornalmente per dare maggiore sicurezza di essere provvisti di tutto ciò che occorre alla cura del paziente; super-allestire un carrello non riduce la quantità globale di lavoro degli operatori ma anzi obbliga a controlli ripetuti,più dispendiosi in termini di tempo. Quindi una corretta gestione del materiale utilizzato sul paziente dimesso prevede: il pacco aperto di garze non sterili deve essere eliminato; le garze sterili possono esser spacchettate e usate come non sterili il materiale non monouso deterso e disinfettato con cura in modo appropriato. il carrello che ha contenuto il materiale utilizzato per il paziente infetto va sottoposto ad accurato lavaggio e disinfezione prima di essere riallestito per un altro paziente. INFORMAZIONI ALLA DIMISSIONE DEL PAZIENTE Nella lettera di dimissione dal reparto o dall’ospedale dovrà essere indicata con chiarezza: la pregressa infezione da MDRO. Questa informazione, alla fine del percorso intraospedaliero, è sempre data poiché fa parte delle informazioni che compaiono nella SDO. Bisogna però avere cura di fornire l’informazione quando il paziente viene trasferito da un reparto all’altro all’interno dello stesso ente ospedaliero; la terapia antibiotica effettuata per il trattamento dell’infezione o, nel caso in cui il paziente fosse stato trovato colonizzato all’ingresso (per pazienti ammessi a reparti a rischio molto elevato) per la decolonizzazione; Questi aspetti informativi, sono di particolare rilevanza sanitaria nei casi di dimissione presso strutture protette (RSA, lungodegenze) o altre strutture ospedaliere. Infatti la mancata informazione a tale riguardo può esitare in una diffusione dello stato di portatore di MDRO, vista la contiguità di vita tra i pazienti in tali strutture. REGOLE COMPORTAMENTALI PER GLI ADDETTI ALL’ASSISTENZA Il paziente cui state prestando assistenza ha contratto un’infezione per la quale è necessario mettere in atto una procedura di isolamento. Individui in buone condizioni di salute non corrono alcun rischio di contagio ma è bene che vengano rispettate alcune semplici regole di comportamento al fine di evitare la diffusione dell’infezione. 1. Il paziente deve essere accudito da una sola persona, munita della cartolina di assistenza. 2. Chi presta assistenza non deve essere affetto da segni e sintomi di malattie infiammatorie acute a carico delle vie aeree (es: raffreddore, tonsillite, faringite, bronchite) e non deve presentare lesioni estese alla pelle delle mani. 3. L’accesso alla camera di isolamento avviene attraversando uno spazio che ha la funzione di zona filtro. Nella zona filtro sono collocati guanti, mascherine, camici che devono essere indossati dalle persone che accedono alla stanza per assistere il paziente (parenti, medici, infermieri e personale di assistenza). 4. Prima di entrare nella camera di isolamento e ogni volta che si lascia la camera è necessario lavare le mani, utilizzando il sapone disinfettante che si trova nel bagno contiguo alla zona filtro. 5. Quando un paziente in isolamento ha necessità di essere assistito dal personale sanitario, questo va avvisato utilizzando l’apposito campanello di chiamata. Il personale di assistenza non deve lasciare la camera prima di aver tolto i mezzi di protezione. 6. Chi presta assistenza non deve svolgere alcuna mansione su pazienti diversi da quello che sta assistendo. 7. Il personale di assistenza non deve manipolare aghi, fleboclisi, apparecchiature, medicazioni. 64 8. Il personale di assistenza non deve accompagnare il paziente fuori dalla camera. Il paziente può lasciare la stanza solo se accompagnato da un operatore sanitario e solo per ragioni sanitarie (es: eseguire esami in altro reparto). 9. Il personale di assistenza non deve portare fuori dalla camera del paziente oggetti utilizzati dal paziente stesso (es: libri, bottiglie, oggetti da toeletta) che possano essere impiegati da altre persone. 10. Gli effetti personali tenuti all’interno della camera vanno limitati allo stretto necessario. 11. Gli indumenti personali indossati dal paziente vanno lavati in lavatrice, separati dalla biancheria utilizzata da persone diverse dal paziente, a 60°C se il detersivo è addizionato di perborato o ipoclorito oppure a 90°C con solo detersivo. . STAPHYLOCOCCUS AUREUS RESISTENTE ALLA METICILLINA (MRSA) Cocchi gram positivi con le stesse caratteristiche dello Stafilococco aureus sensibile alla meticillina; MRSA ha gli stessi rischi d’infezione EPIDEMIOLOGIA MRSA è endemico in molte strutture sanitarie La presenza di pazienti asintomatici colonizzati da MRSA facilita la diffusione del germe Lo sviluppo di resistenza nello S. Aureus ai glicopeptidi può aumentare come conseguenza dell’uso prolungato di antibiotici per il trattamento delle infezioni da MRSA; è importante prevenire la trasmissione di MRSA per mantenere opzioni terapeutiche efficaci. PRINCIPALI SITI E QUADRI PATOLOGICI SOSTENUTI DA STAFILOCOCCO Cute e tessuti molli: foruncoli, favi, infezioni di ferite traumatiche o chirurgiche Apparato scheletrico: osteomielite Apparato respiratorio: polmonite (anche severa) Apparato circolatorio: endocardite Apparato genito-urinario: ascesso renale, infezione delle basse vie urinarie Sistema nervoso centrale: ascessi cerebrali ed epidurali Sangue: batteriemia normalmente complicata da ascessi metastatici con diversa localizzazione Apparato digerente: gastroenterite (tossinfezione alimentare) FATTORI DI RISCHIO PER L’ACQUISIZIONE DEL MRS (COLONIZZAZIONE O INFEZIONE) • Non adeguata compliance degli operatori sanitari (medici e infermieri) con il lavaggio delle mani e l’asepsi • Degenza ospedaliera prolungata • Ammissione in una SC ad alto rischio come le terapie intensive • Esposizione a terapia antibiotica • Severa malattia di base • Presenza di dispositivi medici invasivi • Presenza di condizioni dermatologiche come l’eczema • Operatori sanitari colonizzati con MRSA • Inadeguata pulizia ambientale SERBATOIO • Il maggior serbatoio sono le narici anteriori. La colonizzazione nasale influenza la colonizzazione in altri siti, incluse le ascelle, il perineo e le membrane mucose. Le persone possono trasportare MRSA in modo persistente o intermittente. • I tossicodipendenti, gli ustionati, i pazienti delle case di riposo e il personale ospedaliero con dermatiti sono stati identificati come serbatoi del germe • MRSA è stato trovato in superfici contaminate, polvere, etc. TRASMISSIONE • La trasmissione più spesso avviene attraverso le mani non lavate del personale ospedaliero, dopo contatto con la pelle, materiali o apparecchiature contaminate con MRSA • La trasmissione tramite droplet va tenuta in considerazione quando MRSA è presente nella saliva. ENTEROCOCCUS VANCOMICINA RESISTENTE (VRE) 65 Cocchi gram positivi: i due fenotipi più importanti nel contesto della vancomicino-resistenza sono Enterococcus faecium e Enterococcus faecalis. Il VRE è in grado di trasferire la resistenza alla vancomicina ad altri microorganismi più virulenti come ad esempio lo Staphylococcus aureus EPIDEMIOLOGIA Molti pazienti con VRE sono colonizzati ma non infetti. I pazienti asintomatici sono potenziali serbatoi e la colonizzazione può essere intermittente per un lungo periodo di tempo L’enterococco può sopravvivere nell’ambiente (es. superfici) incrementando il rischio di trasmissione. Una volta che il VRE diventa endemico in una realtà ospedaliera è difficile da eradicare. L’infezione è più probabile in malati gravi che richiedono procedure invasive multiple. I pazienti colonizzati con VRE che sono incontinenti fecali o hanno diarrea disperdono più facilmente il VRE. TIPI E SITI DI INFEZIONE Vie urinarie Meningite Intraddominali e pelviche Infezioni neonatali Ferita chirurgica App. respiratorio Batteriemia Osteomielite Endocardite Cellulite FATTORI DI RISCHIO PER L’ACQUISIZIONE DEL VRE (COLONIZZAZIONE O INFEZIONE) Non adeguata compliance degli operatori sanitari (medici e infermieri) con il lavaggio delle mani Degenza ospedaliera prolungata Esposizione a “pressione colonizzante”: un alto numero di pazienti colonizzati da VRE, più facile dove il VRE è endemico Ammissione in un’area dove i pazienti sono incontinenti fecali Precedente o attuale esposizione a terapia antibiotica (particolarmente cefalosporine di 3°generazione, vancomicina anti-anaerobi orale e endovena) Presenza di dispositivi medici invasivi Severa malattia di base, neutropenia, insufficienza renale Inadeguata pulizia ambientale VRE: PERCHÉ È IMPORTANTE Limitate opzioni terapeutiche: Resistenza a vancomicina e teicoplanina per il fenotipo Van A Resistenza a vancomicina per il fenotipo Van B Farmaci non attivi in vivo: cefalosporine, clindamicina, cotrimossazolo, aminoglicosidi a concentrazione normale. SERBATOIO L’uomo. Il VRE viene trovato nelle feci delle persone colonizzate. TRASMISSIBILITA’ Il VRE viene acquisito per contatto attraverso le mani del personale lavate inadeguatamente, l’ambiente e/o strumenti assistenziali contaminati da paziente infetto a paziente sano da soggetto colonizzato a paziente da personale sanitario VRE positivo a paziente Si ricorda che il serbatoio ospedaliero è costituito da persone colonizzate (pazienti e personale), ma anche “l’ambiente” ospedaliero nelle strutture dove la resistenza del VRE è elevata. PSEUDOMONAS AERUGINOSA MULTIRESISTENTE (con resistenza a tutti gli antibiotici testati) Bacilli gram negativi: Vive come saprofita nell’acqua, terreno umido, sui vegetali. Vive come commensale nel tubo digerente dell’uomo e di diversi animali 66 Sopravvive e si moltiplica in una varietà infinita di liquidi e terreni, su supporti e vari materiali. SORGENTI DI CONTAMINAZIONI Ambiente esterno: l’acqua e i malati stessi con i loro essudati (urine, espettorato, feci ecc.) Ambiente ospedaliero: sifoni dei lavandini, umidificatori, respiratori Acqua distillata (possibilità di moltiplicazione fino a 107 germi/ml, senza intorbidimento visibile) INFEZIONI Polmoniti Setticemie Otiti esterne e otiti medie Infezioni delle vie urinarie Infezioni cutanee e negli ustionati Infezioni di ferite chirurgiche e di ulcere da decubito Endocarditi (soprattutto nei tossicodipendenti) Infezioni oculari Infezioni del sistema nervoso centrale (meningiti, ascessi cerebrali) Osteomieliti e artriti settiche Infezioni varie quali ascessi epatici, peritoniti, infezioni vascolari Tipico patogeno nosocomiale Sono a rischio soprattutto i soggetti compromessi per malattie metaboliche o ematologiche o per tumori o pazienti trattati con immunosoppressori, corticosteroidi, antibiotici a largo spettro. ACINETOBACTER BAUMANNII Bacilli Gram negativi, aerobi obbligati Batteri ubiquitari In ambiente esterno: Isolati dal suolo, dall’acqua dolce, da scarichi Isolati da vegetali e animali Isolati da prodotti alimentari (latte, carne, carcasse di polli eviscerati e altri prodotti derivati dal pollame) In ambiente ospedaliero isolati da: umidificatori apparecchiature di assistenza respiratoria lavandini, sifoni soluzioni antisettiche Responsabile di oltre il 10% di infezioni ospedaliere nelle Terapie Intensive dove è di difficile eradicazione. La sopravvivenza arriva fino a 5 mesi INFEZIONI Setticemie Pleuriti Endocarditi Polmoniti Suppurazioni cutanee Infezioni urinarie Infezioni nei pazienti ustionati La multiresistenza del batterio è dovuta a: Modificazione dell’affinità dell’antibiotico per il bersaglio (PBS) Capacità di crescere a differenti temperature e pH Inattivazione enzimatica (beta-lattamasi plasmidiche o cromosomiali) Ridotte richieste nutrizionali STENOTROPHOMONAS MALTOPHILIA Bacilli gram negativi. Il Ceppo Multiresistente produce Cefalosporinasi e Carbapenemasi Specie ubiquitaria che vive nell’ambiente soprattutto nell’acqua. In ambiente ospedaliero isolato da: 67 Acqua distillata Incubatori Nebulizzatori Respiratori Soluzioni di streptomicina INFEZIONI Tratto respiratorio Sangue Urine Ferite sia chirurgiche che traumatiche Meningiti Ascessi Stenotrophomonas maltophilia è stata trovata in ogni parte del corpo in flora mista e generalmente è considerata un contaminante/colonizzante. Può essere un patogeno opportunista soprattutto in pazienti immunocompromessi, pazienti con fibrosicistica, con tumori solidi, con leucemie e linfomi. ESBL - Enterobatteriacee produttrici di beta-lattamasi a spettro allargato Batteri gram negativi resistenti a Ceftazidime ed Aztreonam sensibili al Cefotetan o alla Cefoxitina. Le betalattamasi a spettro esteso sono betalattamasi di origine plasmidica descritte nei bacilli GRAM NEGATIVI in grado di inattivare le penicilline, le cefalosporine a spettro ristretto, molte cefalosporine a spettro allargato (cefotaxime, ceftazidime) e monobactamici. La comparsa delle ESBL nella maggior parte dei casi è improvvisa. La permanenza di un ceppo ESBL in un ospedale sembra comunque essere prolungata. Si conoscono più di 100 varianti di ESBL. Le mutazioni sono localizzate su plasmidi. Fattori di rischio per colonizzazione da parte di ESBL: Catetere arterioso – CVC Chirurgia addominale d’urgenza Prolungata permanenza in Terapia Intensiva Lunghezza del ricovero Precedente assunzione di qualunque antibiotico Somministrazione di ceftazidime o aztreonam Ricovero in case di riposo PRINCIPALI MICRORGANISMI ESBL : KLEBSIELLA PNEUMONIAE Serbatoio: uomo e varie specie animali ( il germe è commensale del tratto intestinale e delle prime vie respiratorie) Largamente diffuso in natura: nelle acque, nel suolo, nei cereali. Patogeno opportunista. INFEZIONI Infezioni respiratorie: polmoniti, broncopolmoniti Infezioni urinarie Infezioni cutanee (ferite, ulcere, decubiti) ESCHERICHIA COLI Serbatoio: ospite abituale dell’intestino dell’uomo e di animali INFEZIONI Infezioni urinarie Batteriemie Infezioni gastroenteriche PROTEUS MIRABILIS Serbatoio: uomo e varie specie animali (commensale dell’intestino) INFEZIONI Infezioni urinarie Infezioni cutanee (ferite, ulcere, decubiti) Infezioni respiratorie (bronchiti, broncopolmoniti, bronchiti croniche) Batteriemie 68 ENTEROBACTER CLOACAE Serbatoio: uomo e varie specie animali (commensale dell’intestino) INFEZIONI Infezioni urinarie Infezioni cutanee (ferite, ulcere, decubiti) Infezioni respiratorie (bronchiti, broncopolmoniti, bronchiti croniche) Batteriemie/Sepsi Infezioni gastrointestinali 69