Bertocco G., Kalajzić A. e Mourad Agha G. Università degli Studi dell’Insubria Dipartimento di Economia Febbraio 2015 APPUNTI DI MACROECONOMIA (Prima parte) Questo testo è stato realizzato sulla base degli appunti presi dallo studente Galeb Mourad Agha durante le lezioni tenute dal Prof. Giancarlo Bertocco nell’Anno accademico 2013-2014. Il testo è stato rivisto e integrato da Giancarlo Bertocco e Andrea Kalajzić. Introduzione 1. Definizioni introduttive p. 1 2. Lo schema dei conti di contabilità nazionale p. 3 3. 2.1. I conti di contabilità nazionale in economia chiusa 2.2. I conti di contabilità nazionale in economia aperta p. 3 p. 10 Il deflatore del Pil (la differenza tra reddito nominale e reddito reale) p. 13 PARTE PRIMA La teoria macroeconomica neoclassica prekeynesiana 1. Introduzione p. 17 2. Il mercato del lavoro p. 18 2.1. La funzione di domanda di lavoro 2.2. La funzione di offerta di lavoro 2.3. L’equilibrio sul mercato del lavoro p. 18 p. 30 p. 33 2.3.1. 2.3.2. 2.3.3. 2.3.4. 3. L’eccesso di offerta di lavoro L’eccesso di domanda di lavoro Lo spostamento della curva di offerta di lavoro Lo spostamento della curva di domanda di lavoro Il mercato dei beni p. 39 3.1. L’offerta aggregata di beni 3.2. La domanda aggregata di beni p. 40 p. 41 3.2.1. Le decisioni di consumo 3.2.2. Le decisioni di investimento 4. p. 34 p. 35 p. 36 p. 37 p. 41 p. 44 3.3. L’equilibrio sul mercato dei beni p. 51 Il mercato dei capitali p. 54 4.1. L’equivalenza tra l’equilibrio sul mercato dei capitali e l’equilibrio sul mercato dei beni 4.2. Gli squilibri sul mercato dei capitali e sul mercato dei beni p. 55 p. 56 4.2.1. L’eccesso di offerta di risparmi (l’eccesso di offerta aggregata di beni) 4.2.2. L’eccesso di domanda di risparmi (l’eccesso di domanda aggregata di beni) p. 56 4.3. L’equivalenza tra l’equilibrio sul mercato dei capitali e l’equilibrio sul mercato del credito p. 60 i p. 59 5. Il modello neoclassico completo e la legge di Say p. 61 5.1. La coerenza della teoria neoclassica con la legge di Say 5.2. Il sistema di equazioni, l’ordine di soluzione del sistema e la rappresentazione grafica del modello neoclassico completo p. 61 p. 64 5.2.1. Gli effetti di una variazione dell’offerta di lavoro 5.2.2. Gli effetti di una variazione delle decisioni di investimento delle imprese 5.2.3. Gli effetti di una variazione delle decisioni di consumo e di risparmio 6. p. 66 p. 68 p. 69 La teoria neoclassica della moneta e la dicotomia del modello macroeconomico neoclassico prekeynesiano p. 71 6.1. Le caratteristiche della teoria neoclassica della moneta 6.2. La distinzione tra moneta-merce e moneta-segno 6.3. L’equazione degli scambi di Fisher e la teoria quantitativa della moneta 6.4. La natura dicotomica del modello macroeconomico neoclassico p. 71 p. 72 p. 73 p. 79 PARTE SECONDA La rivoluzione keynesiana e i modelli della ortodossia keynesiana della ‘sintesi neoclassica’ negli anni ʼ50 e ’60 del secolo scorso 1. 2. 3. La rivoluzione keynesiana p. 83 1.1. La distinzione tra ‘real-exchange economy’ e ‘monetary economy’ 1.2. La critica alla legge di Say e il principio della domanda effettiva p. 83 p. 90 Il modello reddito-spesa p. 93 2.1. Le equazioni del modello 2.2. L’esistenza di equilibri di sottoccupazione caratterizzati dalla presenza di disoccupazione involontaria 2.3. Una rappresentazione grafica del reddito di equilibrio 2.4. Gli effetti di una variazione delle componenti autonome della domanda aggregata, il moltiplicatore del reddito e l’inversione della relazione causale tra risparmi e investimenti 2.5. Gli effetti di una variazione della propensione marginale al consumo (il paradosso del risparmio) 2.6. Il modello reddito-spesa con settore pubblico e gli effetti della politica fiscale p. 93 p. 96 p. 99 p. 103 p. 112 p. 116 La teoria keynesiana del tasso di interesse p. 119 3.1. Introduzione 3.2. La funzione di domanda di moneta p. 119 p. 120 ii 3.3. 3.4. 3.5. 3.6. 4. La funzione di offerta di moneta L’equilibrio sul mercato della moneta keynesiano La natura monetaria del tasso di interesse Gli effetti delle variazioni del reddito e della quantità di moneta sull’equilibrio del mercato della moneta p. 126 p. 128 p. 131 p. 136 Il modello IS-LM 4.1. Introduzione 4.2. Le equazioni del modello e la determinazione analitica dei valori di equilibrio del reddito e del tasso di interesse 4.3. L’analisi grafica dei meccanismi di funzionamento del modello IS-LM 4.3.1. La curva IS 4.3.2. La curva LM 4.3.3. L’equilibrio IS-LM 4.4. Gli effetti della politica fiscale e della politica monetaria p. 143 p. 143 p. 144 iii p. 150 p. 150 p. 156 p. 162 p. 169 iv INTRODUZIONE 1. Definizioni introduttive Microeconomia La microeconomia studia il comportamento di singoli soggetti economici (teoria del consumatore, teoria dell’impresa) e il funzionamento di singoli componenti del sistema economico (mercati). Macroeconomia La macroeconomia, invece, studia il funzionamento di un sistema economico nel suo complesso. Essa, quindi, ha per oggetto l’analisi dei fattori che determinano i risultati prodotti dall’ economia considerata nel suo insieme. Sistema economico Per sistema economico intendiamo l’insieme dei soggetti economici che operano in una determinata area geografica (l’economia italiana, quella tedesca, i Paesi dell’aurea Euro, i paesi dell’Unione Europea … etc.). Un sistema economico non può essere considerato come la semplice somma dei soggetti che operano al suo interno. Infatti, i meccanismi che regolano il funzionamento di una economia nel suo insieme, non coincidono con quelli che spiegano il comportamento di un singolo soggetto economico. Se così fosse, non avrebbe senso distinguere tra microeconomia e macroeconomia e sarebbe sufficiente occuparsi di microeconomia. In macroeconomia, i risultati prodotti dal sistema economico vengono specificati utilizzando tre fondamentali indicatori: 1. Il Prodotto interno lordo (PIL); 2. Il tasso di disoccupazione, e 3. Il tasso di inflazione. Il Prodotto interno lordo corrisponde al valore monetario dei beni e dei servizi finali prodotti in un sistema economico in un determinato intervallo di tempo (un mese, un trimestre, un semestre, un anno). Si tratta di una grandezza flusso, ovvero di una grandezza definita con riferimento a uno specifico intervallo di tempo. Il secondo importante indicatore macroeconomico è dato dal Tasso di disoccupazione, che coincide con il rapporto tra il numero dei disoccupati e la forza lavoro. 𝑇𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝑑𝑖𝑠𝑜𝑐𝑐𝑢𝑝𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 = 𝐷𝑖𝑠𝑜𝑐𝑐𝑢𝑝𝑎𝑡𝑖 𝐹𝑜𝑟𝑧𝑎 𝑙𝑎𝑣𝑜𝑟𝑜 I disoccupati sono i soggetti economici che: i) sono nelle condizioni di poter lavorare (perché esclusi dalla categoria dei giovani al di sotto dei 16 anni e dalla categoria dei 1 pensionati); ii) sono disposti a lavorare alle condizioni di mercato; iii) sono attivamente alla ricerca di un lavoro. La forza lavoro corrisponde invece alla somma delle due categorie degli occupati e dei disoccupati. Infine, il terzo fondamentale indicatore macroeconomico è rappresentato dal tasso di inflazione. All’interno di un sistema economico si producono molti beni e servizi. Con riferimento a un determinato intervallo di tempo, il tasso di inflazione consente di misurare la variazione non già di un singolo prezzo di un bene o di un servizio, ma quella della generalità dei prezzi dei beni e dei servizi prodotti all’interno dell’economia. Il tasso di inflazione si calcola costruendo un indice dei prezzi dato dal valore monetario di un determinato insieme (o paniere) di beni che costituisce un campione rappresentativo di tutti i beni prodotti nell’ambito del sistema economico. Supponiamo che il paniere di beni sia costituito da (𝑛) beni, e indichiamo con 𝑄1 , 𝑄2, … , 𝑄𝑛 la quantità di ognuno di questi beni inserita nel paniere stesso. Naturalmente, queste quantità non si possono sommare, poiché sono tra di loro eterogenee. Pertanto, per ottenere l’indice dei prezzi, è necessario calcolare il valore monetario del paniere di beni moltiplicando le quantità per i rispettivi prezzi. Indichiamo con i simboli 𝑝1 , 𝑝2 , … , 𝑝𝑛 , il prezzo dei diversi beni inseriti nel paniere. Consideriamo, poi, la seguente successione di periodi: 𝑡, 𝑡 + 1, 𝑡 + 2 … . Con riferimento a ciascuno di questi periodi temporali, è possibile calcolare un distinto indice dei prezzi dato dal valore monetario del paniere di (𝑛) beni preso in considerazione. A tal fine, indichiamo con 𝑃𝑡 , 𝑃𝑡+1 , 𝑃𝑡+2 l’indice dei prezzi. Avremo, quindi: 𝑃𝑡 = 𝑡 𝑝1 𝑄1 + 𝑡 𝑝2 𝑄2 + … + 𝑡 𝑝𝑛 𝑄𝑛 (con 𝑡 𝑝1 pari al prezzo del bene 1 al tempo t), 𝑃𝑡+1 = 𝑡+1 𝑝1 𝑄1 + 𝑡+1 𝑝2 𝑄2 + … + 𝑡+1 𝑝𝑛 𝑄𝑛 , 𝑃𝑡+2 = 𝑡+2 𝑝1 𝑄1 + 𝑡+2 𝑝2 𝑄2 + … + 𝑡+2 𝑝𝑛 𝑄𝑛 etc. Il tasso di inflazione corrisponde alla variazione percentuale dell’indice dei prezzi. Se, ad esempio, fosse 𝑃𝑡 = 100 e 𝑃𝑡+1 = 105, allora il tasso di inflazione nel periodo 𝑡 + 1 sarà pari a: 𝑃̇𝑡+1 = 𝑃𝑡+1 − 𝑃𝑡 105 − 100 = = 5%. 𝑃𝑡 100 Il valore del tasso di inflazione dipende dalla composizione del paniere usato per costruire l’indice dei prezzi. Poiché il paniere non può contenere tutti i beni prodotti, l’indice dei prezzi varia in funzione della composizione del paniere degli (𝑛) beni presi in considerazione. Inoltre, a parità degli (𝑛) beni inseriti nel paniere, il valore dell’indice dei prezzi dipende dalle quantità (𝑄1 , 𝑄2 , … , 𝑄𝑛 ) dei singoli beni che compongono il paniere stesso. L’ISTAT (Istituto nazionale di statistica), che ha il compito istituzionale di misurare il tasso di inflazione nel nostro paese, aggiorna 2 costantemente la composizione del paniere dei beni per tener conto dei cambiamenti nelle abitudini di consumo delle famiglie italiane. In sintesi, dunque, la macroeconomia studia i fattori da cui dipendono il prodotto interno, il tasso di disoccupazione e il tasso di inflazione di un paese. 2. Lo schema dei conti di contabilità nazionale Lo schema dei conti di contabilità nazionale permette di misurare il valore del PIL e di specificarne le forme di impiego. Al fine di presentare i principali conti di contabilità nazionale consideriamo due casi. Il primo riguarda una economia chiusa, ovvero il caso di una economia che non ha scambi economici con l’estero, né per quanto riguarda le merci e i servizi né in relazione ai movimenti di capitale. Si tratta di un caso astratto che, tuttavia, permette di sottolineare alcuni elementi importanti dei conti di contabilità nazionale. Il secondo caso, più realistico, riguarda invece una economia aperta, ovvero una economia che scambia beni, servizi e capitali con il resto del mondo. 2.1. I conti di contabilità nazionale in economia chiusa Supponiamo che in un sistema economico operino 3 imprese private A, B e C, e il settore pubblico. L’impresa A produce beni intermedi, cioè beni che non vengono consumati, ma che vengono invece utilizzati dalle imprese B e C per produrre altri beni. L’impresa B produce beni di consumo che vengono acquistati dalle famiglie. L’impresa C produce beni di investimento, cioè beni impiegati da altre imprese come mezzi di produzione. La differenza tra i beni intermedi e i beni di investimento consiste nel fatto che i primi vengono interamente distrutti nell’intervallo di tempo di un singolo esercizio economico, mentre i secondi vengono utilizzati per più anni. Per questo motivo, il costo dei beni di investimento viene imputato a diversi esercizi attraverso un processo di ammortamento. Il settore pubblico, infine, produce una serie di servizi che riguardano l’istruzione, la giustizia, la difesa e la sanità. Il valore del PIL può essere calcolato partendo dai conti economici delle imprese A, B, C e del settore pubblico. Naturalmente, al fine di definire le voci dei conti economici è necessario esprimere i valori dei costi e dei ricavi in termini monetari. Supponiamo che l’impresa A abbia ottenuto dalla vendita di beni intermedi ricavi per un ammontare di 200 unità di moneta. A fronte di questi ricavi, l’impresa A ha sostenuto costi corrispondenti ai salari pagati ai lavoratori (W), per un ammontare di 90 unità di moneta, e agli ammortamenti (AM), per un ammontare di 40 unità di moneta. La differenza tra i costi e i ricavi, pari a 70, corrisponde ai profitti (𝝅) dell’impresa. 3 Poiché i beni intermedi prodotti dall’impresa A vengono utilizzati come mezzi di produzione dalle imprese B e C, l’ammontare dei ricavi dell’impresa A rappresenta una voce di costo per le altre imprese denominata consumi intermedi (CI). L’impresa B produce beni di consumo. Supponiamo che i suoi ricavi siano costituiti dall’ammontare dei beni venduti (pari a 400 unità di moneta) e dal valore delle rimanenze (pari a 100 unità di moneta). I costi corrispondono ai consumi intermedi (CI) per 80, ai salari (W) per 150 e agli ammortamenti (AM) per 80. La differenza tra ricavi e costi equivale ai profitti pari a 190. L’impresa C produce beni di investimento (costi pluriennali) che sono stati acquistati dalle imprese. I suoi ricavi ammontano a 300 unità di moneta, mentre i costi corrispondono ai consumi intermedi (120), ai salari (50) e agli ammortamenti (30). La differenza è data dai profitti pari a 100. IMPRESA A Costi Salari (W) Ammortamenti (AM) Profitti (π) Totale Ricavi 90 Vendite 40 70 200 200 200 IMPRESA B Costi Consumi intermedi (CI) Salari (W) Ammortamenti (AM) Profitti (π) Totale Ricavi 80 Vendite 150 Rimanenze 80 190 500 400 100 500 IMPRESA C Costi Consumi intermedi (CI) Salari (W) Ammortamenti (AM) Profitti (π) Totale Ricavi 120 Vendite 50 30 100 300 300 300 SETTORE PUBBLICO Costi Salari (W) Totale Ricavi 300 Consumi collettivi 300 4 300 300 Il settore pubblico produce beni e servizi che non vengono venduti. Pertanto, nei conti di contabilità nazionale il valore monetario di questi beni viene valutato in base ai costi di produzione che, per semplicità, immaginiamo essere costituiti soltanto dai salari pagati ai lavoratori pubblici. Il valore dei servizi prodotti dal settore pubblico viene invece definito con il termine consumi collettivi. Partendo dai conti economici delle tre imprese e del settore pubblico è possibile ottenere un primo indicatore dato dalla produzione totale, che corrisponde alla somma del valore dei ricavi delle tre imprese e del valore dei consumi collettivi del settore pubblico, e quindi alla somma del valore della produzione del settore delle imprese e del settore pubblico. PRODUZIONE TOTALE Produzione (A) 200 + Produzione (B) 500 + Produzione (C) 300 + Produzione (SP) 300 Totale 1.300 La produzione totale non è un buon indicatore del valore dei beni e dei servizi prodotti dal sistema economico, perché conta due volte il valore dei consumi intermedi. Questo valore, infatti, corrisponde ai ricavi dell’impresa A, ma entra anche nei ricavi delle imprese B e C, che sono calcolati in base ai loro costi di produzione che includono i beni intermedi. Se, nel nostro esempio, le imprese B e C fossero in grado di realizzare i loro prodotti senza impiegare beni intermedi, il valore monetario della produzione totale diminuirebbe di 400 unità. In tal caso, l’impresa A sparirebbe (i suoi ricavi passerebbero da 200 a 0), mentre i ricavi delle imprese B e C diminuirebbero in misura pari ai rispettivi consumi intermedi (80 per l’impresa B e 120 per l’impresa C). In conclusione, l’indicatore più corretto del valore della produzione dei beni e dei servizi realizzati in una economia in un determinato intervallo di tempo è dato dalla differenza tra la produzione totale e i consumi intermedi. PIL = PRODUZIONE TOTALE - CONSUMI INTERMEDI 1300 - 200 Totale = 1100 E’ quindi possibile fornire una prima definizione del PIL: Il PIL è il valore monetario di tutti i beni e servizi finali prodotti in un paese in un dato periodo di tempo. Per beni e servizi finali si intende la somma dei beni di consumo, dei beni di investimento e dei consumi collettivi. Lo schema dei conti di contabilità nazionale consente di specificare altre due definizioni del PIL. 5 La seconda definizione del PIL è basata sul concetto di valore aggiunto. Il valore aggiunto generato da ogni soggetto produttivo (incluso il settore pubblico) è pari alla differenza tra il valore della produzione e i consumi intermedi. Valore Aggiunto (A) = Produzione (A) 200 - Consumi Intermedi (A) 0 Totale = 200 Valore Aggiunto (B) = Produzione (B) 500 - Consumi Intermedi (B) 80 Totale = 420 Valore Aggiunto (C) = Produzione (C) 300 - Consumi Intermedi (C) 120 = Totale 180 - Consumi Intermedi (SP) 0 = Totale 300 - = Totale 110 Valore Aggiunto (SP)) = Produzione (SP) 300 ∑ Valore Aggiunto = PIL ∑ Produzione Prod. Totale ∑ Consumi Intermedi Cons. Int. Totali In base a questa seconda accezione, il PIL è quindi pari alla somma del valore aggiunto prodotto dalle imprese e a quello generato dal settore pubblico. La terza definizione del PIL, infine, si ottiene osservando che il valore aggiunto realizzato dal settore delle imprese e dal settore pubblico può essere scomposto in salari, ammortamenti e profitti: 𝑉𝐴 = 𝑊 + 𝐴 + 𝜋. Con specifico riferimento al nostro esempio si ha: Valore Aggiunto (A) Valore Aggiunto (B) Valore Aggiunto (C) Valore Aggiunto (SP) ∑ Valore Aggiunto PIL = = = Salari (A) 90 + Ammortamenti (A) 40 + Salari (B) 150 + Ammortamenti (B) 80 + Salari (C) 50 + + = Salari (SP) 300 = ∑ Salari 590 Ammortamenti (C) 30 + Ammortamenti (SP) 0 + ∑ Ammortamenti 150 6 + + Profitti (A) 70 = Tot. 200 Profitti (B) 190 = Tot. 420 = Tot. 180 Profitti (C) 100 Profitti (SP) 0 ∑ Profitti 360 Tot. = 300 Tot. = 1100 In terzo luogo, pertanto, il PIL equivale alla somma dei salari, degli ammortamenti e dei profitti Gli ammortamenti corrispondono al volume degli investimenti che un’impresa deve realizzare per poter mantenere costante il valore complessivo del suo capitale fisso, poiché rappresentano la quota di capitale fisso distrutta nel corso di ogni esercizio. Generalmente, la somma di ammortamenti e profitti viene definita profitti lordi. Si può quindi concludere che il PIL corrisponde alla somma dei salari e dei profitti lordi: PIL = Salari (W) 590 + + Profitti Lordi (π) 510 Totale = 1100 Il concetto di profitti lordi permette inoltre di spiegare la distinzione tra Prodotto interno lordo (PIL) e Prodotto interno netto (PIN). Il Prodotto interno netto corrisponde al PIL al netto degli ammortamenti. E poiché gli ammortamenti corrispondono al valore dei beni capitali distrutti nell’arco dell’intervallo di tempo considerato, ovvero all’ammontare di beni capitali necessario a ricostituire lo stock iniziale, il valore del PIN indica l’ammontare massimo di risorse che può essere consumato senza che venga ridotto lo stock di capitale. PIN = PIL 1100 - Ammortamenti 150 = Totale 950 Lo schema dei conti di contabilità nazionale non si limita a definire il PIL, ma descrive anche il modo in cui vengono utilizzate le risorse prodotte. All’interno di una economia chiusa si possono specificare due forme di impiego delle risorse prodotte: i consumi delle famiglie e gli investimenti, che corrispondono ai beni utilizzati dalle imprese come fattori produttivi pluriennali. Tra i consumi si distinguono inoltre i consumi privati, che equivalgono ai beni e ai servizi prodotti dalle imprese private e utilizzati dalle famiglie, e i consumi collettivi, che coincidono con i servizi prodotti dal settore pubblico. Nel nostro esempio i consumi privati corrispondono ai beni prodotti e venduti dall’impresa B (per un importo pari a 400 unità di moneta), mentre il valore dei consumi collettivi prodotti dal settore pubblico è pari a 300 unità di moneta. Gli investimenti, invece, sono composti dagli investimenti fissi e dalle scorte. Gli investimenti fissi consistono nei beni capitali prodotti e acquistati dalle imprese. Con riferimento al nostro esempio numerico, essi quindi corrispondono ai ricavi dell’impresa C (pari a 300 unità di moneta). Le scorte, viceversa, coincidono con le rimanenze. Nel nostro esempio, le scorte sono pertanto uguali alle rimanenze dell’impresa B (pari a 100 unità di moneta). 7 Privati Consumi Collettivi PIL Fissi Investimenti Scorte PIL = Consumi Privati + Consumi Collettivi + Investimenti Fissi + Scorte 400 + 300 + 300 + 100 Consumi (C) PIL = Consumi (C) 700 Totale = 1100 Investimenti (I) + + Investimenti (I) 400 = Totale 1100 La relazione 𝑃𝐼𝐿 = 𝐶 + 𝐼 corrisponde al conto delle risorse e degli impieghi definito dallo schema dei conti di contabilità nazionale. Questo conto indica, da un lato, le risorse disponibili, che equivalgono al PIL, e dall’altro, gli impieghi che corrispondono alla somma dei consumi e degli investimenti. Un altro importante conto definito nell’ambito dello schema dei conti di contabilità nazionale è il conto della utilizzazione del reddito. Questo conto può essere specificato partendo dalla terza definizione del PIL, quella cioè secondo cui il PIL è pari alla somma dei salari e dei profitti. Tale somma rappresenta il reddito disponibile delle famiglie, ovvero l’insieme dei redditi da lavoro e da capitale percepiti dai loro membri. 𝑃𝐼𝐿 = 𝑌𝑑 → 𝑅𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑑𝑖𝑠𝑝𝑜𝑛𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒 (𝑠𝑎𝑙𝑎𝑟𝑖 + 𝑝𝑟𝑜𝑓𝑖𝑡𝑡𝑖). Se ci poniamo dal punto di vista dei percettori di reddito da lavoro (𝑊) e da capitale (𝜋), possiamo definire due forme di utilizzazione del reddito disponibile (𝑌𝑑): i consumi e i risparmi. In altre parole, il reddito disponibile può essere consumato, cioè destinato all’acquisto di beni di consumo (𝐶), oppure risparmiato (𝑆). 8 Consumi Reddito Monetario (parte del reddito destinata all'acquisto di beni di consumo) Risparmio (parte del reddito che non viene consumata) Il conto della utilizzazione del reddito può quindi essere rappresentato attraverso la seguente espressione: 𝑌𝑑 = 𝐶 + 𝑆. I risparmi dei percettori di reddito possono essere tenuti sotto forma di moneta o di titoli di credito (titoli obbligazionari emessi da enti pubblici o da imprese private, o titoli azionari), oppure ancora sotto forma di attività patrimoniali reali come le abitazioni. Tornando al nostro esempio numerico, a fronte di un reddito disponibile 𝑌𝑑 = 𝑃𝐼𝐿 pari a 1100 unità di moneta, l’ammontare dei consumi (𝐶) è pari a 700 unità di moneta. Pertanto, il flusso di risparmi (𝑆) è pari a 400 unità di moneta. Si noti che, nel linguaggio comune, quando descriviamo un soggetto che utilizza i suoi risparmi, diciamo che egli “investe”. Nella terminologia della contabilità nazionale, invece, con “investimento” si fa riferimento esclusivamente al comportamento delle imprese che acquistano nuovi beni capitali ai fini dell’espansione dello stock di capitale fisso. Partendo dalle formule riguardanti il conto delle risorse e degli impieghi e il conto della utilizzazione del reddito, è possibile ricavare un terzo importante conto relativo allo schema dei conti di contabilità nazionale, ovvero il conto della formazione del capitale. a) 𝑃𝐼𝐿 = 𝐶 + 𝐼 conto delle risorse e degli impieghi, b) 𝑌𝑑 = 𝐶 + 𝑆 conto della utilizzazione del reddito, c) 𝑌𝑑 = 𝑃𝐼𝐿 reddito disponibile. Sostituendo le definizioni a) e b) nella c), si ricava: 𝐶 + 𝐼 = 𝐶 + 𝑆, e quindi 𝑆 = 𝐼. 9 Questa espressione corrisponde al conto della formazione del capitale in una economia chiusa. Esso mostra che, nel contesto di una economia chiusa agli scambi con l’estero, il flusso dei risparmi (𝑆) equivale al flusso degli investimenti (𝐼). Tuttavia, è importante sottolineare che, sebbene il conto della formazione del capitale mostri come in una economia chiusa i risparmi sono uguali agli investimenti, esso non specifica alcuna relazione causale tra queste due grandezze. In altri termini, il conto della formazione del capitale non consente di stabilire se sono i risparmi (𝑆) a determinare gli investimenti (𝐼), oppure se, al contrario, sono gli investimenti (𝐼) a determinare i risparmi (𝑆). Come si vedrà in seguito, la definizione della relazione causale tra i flussi di risparmio (𝑆) e di investimento (𝐼) costituisce uno dei punti centrali della teoria macroeconomica. 2.2. I conti di contabilità nazionale in economia aperta Il caso che riguarda un sistema economico che intrattiene rapporti economici con l’estero (il resto del modo) è certamente più realistico di quello precedente riferito a una economia chiusa. Quando si tiene conto degli scambi con l’estero, i conti di contabilità nazionale subiscono delle modifiche, perché registrano anche i movimenti di merci e di capitali tra il paese considerato e il resto del mondo. Il primo di questi cambiamenti riguarda il conto delle risorse e degli impieghi. Nel caso di una economia aperta, infatti, le risorse disponibili non corrispondono all’ammontare di beni e servizi finali prodotti nel paese (PIL), poiché è necessario considerare anche i beni e i servizi importati dall’estero, ovvero le importazioni. Si avrà quindi: 𝑅𝑖𝑠𝑜𝑟𝑠𝑒 = 𝑃𝐼𝐿 + 𝐼𝑚𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 (𝐼𝑀𝑃). In secondo luogo, cambia anche la struttura degli impieghi. In una economia aperta, le risorse disponibili non vengono soltanto consumate e investite, ma possono anche essere esportate, ovvero acquistate da soggetti stranieri. Pertanto, si avrà: 𝐼𝑚𝑝𝑖𝑒𝑔ℎ𝑖 = 𝐶𝑜𝑛𝑠𝑢𝑚𝑖(𝐶) + 𝐼𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖(𝐼) + 𝐸𝑠𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 (𝑋). Di conseguenza, il conto delle risorse e degli impieghi relativo a una economia aperta diventa: a) 𝑃𝐼𝐿 + 𝐼𝑀𝑃 = 𝐶 + 𝐼 + 𝑋. Da questa espressione si ottiene la seguente definizione di PIL relativa a una economia aperta: b) 𝑃𝐼𝐿 = 𝐶 + 𝐼 + 𝑋 – 𝐼𝑀𝑃. 10 Il secondo cambiamento riguarda il concetto di reddito disponibile (𝑌𝑑). In una economia chiusa il reddito disponibile coincide con il PIL: 𝑌𝑑 = 𝑃𝐼𝐿. In una economia aperta, invece, questa identità non vale, poiché è necessario tenere conto dei flussi di trasferimenti di reddito, da lavoro e da capitale, da e verso l’estero. I redditi da lavoro e da capitale guadagnati da soggetti italiani residenti all’estero e trasferiti nel nostro paese (𝑅𝑀) si aggiungono al valore del PIL, determinando così un incremento del reddito disponibile. Al contrario, il trasferimento all’estero di redditi da lavoro e da capitale guadagnati da soggetti stranieri residenti nel paese considerato (𝑅𝑋) provoca una riduzione del reddito disponibile. In una economia aperta, il reddito è quindi definito nel modo seguente: c) 𝑌𝑑 = 𝑃𝐼𝐿 + 𝑅𝑀 – 𝑅𝑋 con 𝑅𝑀 = redditi da lavoro e da capitale guadagnati all’estero e 𝑅𝑋 = redditi da lavoro e da capitale trasferiti all’estero. Le modifiche di cui sopra non incidono sulla struttura del conto della utilizzazione del reddito, che, come abbiamo visto in precedenza, specifica le forme di utilizzazione del reddito disponibile. Infatti, anche in una economia aperta il reddito disponibile può essere consumato o risparmiato. Ne consegue che, come nel caso di una economia chiusa, vale la seguente identità contabile: d) 𝑌𝑑 = 𝐶 + 𝑆. Il terzo cambiamento, infine, riguarda il conto della formazione del capitale. Questo conto può essere ricavato partendo dalle due relazioni c) e d) che definiscono il reddito disponibile. Da queste due relazioni si ottiene: e) 𝑃𝐼𝐿 + 𝑅𝑀 – 𝑅𝑋 = 𝐶 + 𝑆. Sostituendo nella e) la definizione di PIL relativa a una economia aperta, corrispondente alla espressione b), si ottiene la relazione: f) 𝐶 + 𝐼 + (𝑋 – 𝐼𝑀𝑃) + (𝑅𝑀 – 𝑅𝑋) = 𝐶 + 𝑆. La somma del saldo tra esportazioni e importazioni (𝑋 – 𝐼𝑀𝑃) e del saldo dei trasferimenti di reddito da e verso l’estero (𝑅𝑀 – 𝑅𝑋), corrisponde al saldo delle partite correnti (𝑆𝑃𝐶): 11 g) 𝑆𝑃𝐶 = (𝑋 – 𝐼𝑀𝑃) + (𝑅𝑀 – 𝑅𝑋). Sostituendo la g) nella f), poi si ottiene: h) 𝐶 + 𝐼 + 𝑆𝑃𝐶 = 𝐶 + 𝑆. Da questa espressione si ricava il conto della formazione del capitale relativo ad una economia aperta, ovvero: i) 𝐼 + 𝑆𝑃𝐶 = 𝑆. Oppure, in maniera equivalente: l) 𝑆𝑃𝐶 = 𝑆 – 𝐼. Dalle espressioni i) e l) si evince che, in una economia aperta, non vale l’identità tra i risparmi e gli investimenti. Infatti, la differenza tra risparmi e investimenti corrisponde al saldo delle partite correnti. Di conseguenza, risparmi e investimenti coincidono soltanto nel caso in cui il 𝑆𝑃𝐶 sia pari a zero: 𝑆𝑃𝐶 = 0 → 𝑆 = 𝐼. Quando il 𝑆𝑃𝐶 è positivo, nell’economia del paese considerato si ha un eccesso di risparmi dei soggetti nazionali rispetto agli investimenti nazionali: 𝑆𝑃𝐶 > 0 → 𝑆 > 𝐼. Nel caso contrario, ovvero in presenza di un 𝑆𝑃𝐶 negativo, si registra un eccesso di investimenti rispetto ai risparmi: 𝑆𝑃𝐶 < 0 → 𝑆 < 𝐼. In conclusione, è importante osservare che il 𝑆𝑃𝐶 può essere definito in due modi: a) come somma del saldo tra esportazioni e importazioni e del saldo dei trasferimenti di reddito: 𝑆𝑃𝐶 = (𝑋 – 𝐼𝑀𝑃) + (𝑅𝑀 – 𝑅𝑋), e b) come differenza tra risparmi e investimenti: 12 𝑆𝑃𝐶 = 𝑆 – 𝐼. 3. Il deflatore del PIL (la differenza tra reddito nominale e reddito reale) Il deflatore del PIL rappresenta una particolare misura del tasso di inflazione. Abbiamo definito il tasso di inflazione come la variazione percentuale di un indice dei prezzi. Poiché un indice dei prezzi corrisponde al valore monetario di un determinato paniere (campione) di beni calcolato in uno specifico istante temporale, il valore del tasso di inflazione dipende dalla composizione del paniere di beni considerato. E’ quindi possibile definire diverse misure del tasso di inflazione in funzione della composizione del paniere di beni usato per costruire l’indice dei prezzi. Il primo esempio è quello del tasso di inflazione definito partendo dall’indice dei prezzi al consumo, costruito sulla base di un paniere rappresentativo dei beni consumati dalle famiglie. Il secondo esempio è dato dal tasso di inflazione calcolato a partire dall’indice dei prezzi all’ingrosso, definito considerando un paniere formato dai beni utilizzati dalle imprese come mezzi di produzione. Il terzo esempio, infine, è quello del tasso di inflazione quantificato in funzione di un particolare indice dei prezzi noto con il termine di deflatore del PIL. Per costruire questo indice dei prezzi è necessario considerare la distinzione tra PIL nominale e PIL reale. Il PIL nominale è calcolato sulla base dei prezzi correnti dei beni e dei servizi prodotti. Supponiamo che nel nostro sistema economico vengano realizzati soltanto due beni finali. In questo caso, 𝑡 𝑄1 corrisponde alla quantità del bene 1 prodotta nel periodo 𝑡, mentre 𝑡 𝑄2 corrisponde alla quantità del bene 2 prodotta nel periodo 𝑡. Indichiamo poi con 𝑡 𝑃1 il prezzo del bene 1 nel periodo 𝑡 e con 𝑡 𝑃2 il prezzo del bene 2 nel periodo 𝑡. Possiamo quindi calcolare il valore del PIL nominale nel periodo 𝑡, ovvero 𝑡 𝑌𝑁 : 𝑡 𝑌𝑁 = 𝑡 𝑄1 ∙ 𝑡 𝑃1 + 𝑡 𝑄2 ∙ 𝑡 𝑃2 . Analogamente, si può calcolare il valore del PIL nominale relativo al periodo successivo (𝑡 + 1): 𝑡+1 𝑌𝑁 = 𝑡+1 𝑄1 ∙ 𝑡+1 𝑃1 + 𝑡+1 𝑄2 ∙ 𝑡+1 𝑃2 . E’ quindi possibile determinare il tasso di variazione del PIL nominale passando dal periodo 𝑡 al periodo 𝑡 + 1. Tuttavia, questo tasso di variazione non rappresenta un buon indicatore della variazione della produzione di beni da un periodo all’altro, poiché esso dipende da due fattori: a) dalla variazione delle quantità prodotte; b) dalla variazione dei prezzi. La variazione dei prezzi provoca un cambiamento puramente nominale della produzione. Infatti, se i prezzi raddoppiassero e le quantità prodotte rimanessero uguali, 13 si osserverebbe un tasso di variazione del PIL nominale del 100%, ma in termini reali, cioè in termini di quantità di beni prodotti, il PIL non avrebbe subito alcuna variazione. Pertanto, un indicatore più corretto del tasso di variazione del PIL può essere specificato calcolando il valore del PIL reale. Il PIL reale si ricava eliminando l’effetto distorsivo indotto dalla variazione dei prezzi. A tal fine, è necessario mantenere costante il livello dei prezzi da un periodo all’altro. Più precisamente, per calcolare il PIL reale si prendono i prezzi riferiti a un determinato periodo, ad esempio un anno, definito anno base, e si moltiplicano le quantità prodotte nei vari anni presi in considerazione per i prezzi dell’anno base. Ne consegue, che il PIL reale è calcolato a prezzi costanti. Supponiamo che l’anno base corrisponda al periodo 𝑡. Ciò significa che, in corrispondenza dell’anno base, il PIL reale e il PIL nominale coincidono. Il PIL reale per il periodo 𝑡, ovvero 𝑡 𝑌𝑅 , sarà infatti pari a: 𝑡 𝑌𝑅 = 𝑡 𝑄1 ∙ 𝑡 𝑃1 + 𝑡 𝑄2 ∙ 𝑡 𝑃2 . Il PIL reale per il periodo 𝑡 + 1 si ottiene invece moltiplicando le quantità prodotte nel periodo 𝑡 + 1 per i prezzi dell’anno base 𝑡. Si avrà quindi: 𝑡+1 𝑌𝑅 = 𝑡+1 𝑄1 ∙ 𝑡 𝑃1 + 𝑡+1 𝑄2 ∙ 𝑡 𝑃2 . In questo caso, il tasso di variazione del PIL reale misura soltanto le variazioni delle quantità prodotte, poiché, di periodo in periodo, i prezzi rimangono costanti. Il deflatore del PIL corrisponde al rapporto tra il PIL nominale e il PIL reale calcolato in ogni periodo. Pertanto risulta: 𝑃𝑡 = 𝑡 𝑌𝑁 ⁄ 𝑡 𝑌𝑅 . 𝑃𝑡 corrisponde al deflatore del PIL relativo al periodo 𝑡. In corrispondenza dell’anno base il valore del deflatore del PIL è quindi pari a 1, poiché PIL nominale e il PIL reale coincidono. Nel periodo 𝑡 + 1, invece, il deflatore del PIL sarà: 𝑃𝑡+1 = 𝑡+1 𝑌𝑁 ⁄ 𝑡+1 𝑌𝑅 . Le quantità di beni prodotte in ogni anno utilizzate per calcolare il PIL nominale e il PIL reale non cambiano, mentre possono variare i prezzi, perché il PIL nominale è calcolato a prezzi correnti, mentre il PIL reale è calcolato considerando i prezzi dell’anno base. Di conseguenza, il valore del deflatore del PIL nel periodo 𝑡 + 1 sarà pari a 1, se i prezzi nel periodo 𝑡 + 1 non sono variati rispetto all’anno base. Viceversa, esso sarà maggiore di 1, se i prezzi sono aumentati, e minore di 1 se i prezzi sono diminuiti. 14 Il deflatore del PIL può quindi essere considerato un indice dei prezzi calcolato prendendo a riferimento un paniere comprendente l’insieme dei beni che compongono il PIL. E’ dunque possibile calcolare un tasso di inflazione corrispondente al tasso di variazione del deflatore del PIL. In particolare, nel periodo 𝑡 + 1 il tasso di inflazione sarà pari al tasso di variazione del deflatore del PIL: ̇ 𝑃𝑡+1 = (𝑃𝑡+1 − 𝑃𝑡 )⁄𝑃𝑡 . 15 16 PARTE PRIMA La teoria macroeconomica neoclassica prekeynesiana 1. Introduzione La teoria macroeconomica neoclassica è la teoria generalmente accettata dagli economisti nei primi decenni del Novecento, prima dello scoppio della crisi del ’29 e della conseguente Grande Depressione degli anni Trenta. La presentazione di questa teoria consente di mettere in rilievo un importante elemento metodologico. Ogni teoria macroeconomica, infatti, illustra il funzionamento di un sistema economico sulla base di un modello teorico che costituisce una rappresentazione semplificata della realtà. I modelli teorici sono costruiti prendendo in considerazione gli elementi giudicati più significativi di un sistema economico (componenti fondamentali). Più in particolare, questi elementi coincidono con determinati mercati. Pertanto, la costruzione di un modello macroeconomico verte sull’analisi dei meccanismi di funzionamento di tali mercati. Ogni modello teorico prende in considerazione almeno i seguenti mercati: 1. Il mercato del lavoro, 2. Il mercato dei beni, e 3. Il mercato dei capitali (sistema finanziario). Il mercato del lavoro è il mercato in cui vengono scambiati i servizi di lavoro: da un lato vi sono i lavoratori che offrono servizi di lavoro, e dall’altro vi sono le imprese che domandano servizi di lavoro. Come tutti i mercati, il mercato del lavoro è quindi caratterizzato da una funzione di domanda di lavoro e da una funzione di offerta di lavoro. Si noti che, in macroeconomia, i concetti di domanda e di offerta di lavoro assumono un significato diverso da quello comunemente attribuito loro nel linguaggio corrente. Nel linguaggio corrente, infatti, chi cerca lavoro “domanda” lavoro, mentre le imprese che cercano lavoratori “offrono” lavoro. In macroeconomia, invece, i lavoratori offrono lavoro e le imprese domandano lavoro. Inoltre, i modelli macroeconomici sono basati sull’assunzione che i lavoratori siano perfettamente omogenei e quindi perfetti sostituti gli uni degli altri. In altre parole, in macroeconomia si ipotizza che i lavoratori abbiano le stesse caratteristiche, ovvero che, all’interno del sistema economico, esista un unico tipo di lavoratore. Questa ipotesi consente dunque di evidenziare la natura astratta e semplificatrice dei modelli macroeconomici, poiché, nella realtà, esistono diverse categorie di lavoratori non perfettamente sostituibili tra di loro. Il secondo mercato fondamentale che caratterizza un sistema economico è il mercato dei beni. All’interno di un sistema economico si producono numerosi beni e servizi, e quindi esistono diversi mercati dei beni e dei servizi. Tuttavia, nei modelli macroeconomici l’insieme dei beni e dei servizi prodotto all’interno di un sistema economico viene rappresentato attraverso un solo mercato dei beni. Ciò equivale ad 17 assumere che si produca esclusivamente un bene, convenzionalmente chiamato PIL. Questa ipotesi permette di rappresentare l’insieme dei beni prodotti dall’economia di un paese con la specificazione di un unico mercato, anch’esso caratterizzato da una funzione di domanda e da una funzione di offerta. Pure in questo caso, possiamo osservare come i modelli teorici rappresentino una semplificazione della realtà. Infine, il terzo mercato fondamentale di un sistema economico è il mercato dei capitali. Questo mercato rappresenta la struttura finanziaria del sistema economico, poiché descrive i rapporti di credito e di debito che si instaurano tra gli agenti economici. 2. Il mercato del lavoro 2.1. La funzione di domanda di lavoro Dal punto di vista delle imprese, il lavoro rappresenta un fattore produttivo. Pertanto, per specificare la funzione di domanda di lavoro è necessario descrivere il fenomeno della produzione. Si tratta di un tema che è già stato affrontato durante il corso di microeconomia attraverso la considerazione del comportamento di una singola impresa e l’uso di un particolare strumento analitico dato dalla funzione di produzione. Indichiamo con 𝑄 la quantità di un bene prodotto da una singola impresa. Assumiamo, inoltre, che i fattori di produzione siano costituiti dal capitale (𝐾) e dal lavoro (𝑁). 𝑁 indica il numero complessivo di lavoratori impiegati. Il fenomeno della produzione relativo a una singola impresa può quindi essere descritto dalla seguente funzione di produzione: 𝑄 = 𝑓(𝐾, 𝑁). Questa espressione definisce la quantità di prodotto ottenuta da una singola impresa in funzione dell’ammontare dei beni capitali impiegati (𝐾) e del numero di lavoratori assunti (𝑁). Per costruire la funzione macroeconomica di domanda di lavoro dobbiamo considerare il fenomeno della produzione con riferimento all’intero sistema economico. A questo scopo, introduciamo le seguenti tre ipotesi. 1. Supponiamo che all’interno del sistema economico esista un numero molto elevato di imprese (𝑛) perfettamente omogenee. Assumiamo, cioè, che esse producano lo stesso bene e che siano caratterizzate dalla stessa funzione di produzione, ovvero 𝑄 = 𝑓(𝐾, 𝑁). 2. Analizziamo il fenomeno della produzione in una prospettiva di breve periodo. Ipotizziamo, cioè, che lo stock di capitale di ogni impresa sia dato e che non possa essere modificato. Di conseguenza, nel breve periodo l’unico fattore produttivo 18 variabile è costituito dalla forza lavoro (𝑁). La funzione di produzione di ognuna delle ̅ , 𝑁). 𝑛 imprese omogenee considerate può quindi essere scritta come 𝑄 = 𝑓(𝐾 3. La terza ipotesi, infine, riguarda la relazione tra il numero di lavoratori impiegati e la quantità di beni prodotti: 𝑁 → 𝑄. E’ ragionevole aspettarsi una relazione crescente tra queste due variabili, ovvero che quando aumenta 𝑁 aumenti anche 𝑄: 𝑁 ↑ → 𝑄 ↑. In altri termini, ci aspettiamo che la derivata prima di 𝑄 rispetto a 𝑁 sia positiva: 𝑑𝑄 > 0. 𝑑𝑁 La derivata prima di 𝑄 rispetto a 𝑁 misura l’incremento di produzione ottenuto dall’impresa attraverso l’ultimo lavoratore impiegato. Essa, quindi, corrisponde alla produttività marginale del lavoro (𝑃𝑚𝑎𝑙). Assumiamo che la 𝑃𝑚𝑎𝑙 sia sempre maggiore di zero. Avremo cioè che: 𝑑𝑄 = 𝑃𝑚𝑎𝑙 > 0. 𝑑𝑁 Assumiamo, inoltre, che la 𝑃𝑚𝑎𝑙 sia decrescente rispetto al numero di lavoratori impiegati (𝑁). In altri termini, ipotizziamo che la produttività marginale del lavoro non sia costante, ma che decresca al crescere del numero di lavoratori impiegati dall’impresa. Pertanto, valgono le seguenti due relazioni: 𝑃𝑚𝑎𝑙 = ℎ (𝑁) e 𝑁 ↑ → 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁) ↓. Ciò equivale ad affermare che la derivata prima della produttività marginale del lavoro, ovvero la derivata seconda della funzione di produzione, è negativa: 𝑑𝑃𝑚𝑎𝑙 < 0. 𝑑𝑁 19 Le ipotesi di cui sopra trovano espressione nella raffigurazione grafica della funzione di produzione di una singola impresa contenuta nella figura 1. Come si può notare, dato lo stock di capitale, al crescere del numero di lavoratori impiegati (𝑁) aumenta anche la quantità prodotta (𝑄), ma in modo via via minore. La natura declinante della produttività marginale del lavoro è quindi rappresentata dalla pendenza progressivamente decrescente della funzione di produzione. Figura 1 – La funzione di produzione Possiamo illustrare le caratteristiche della funzione di produzione attraverso il seguente esempio numerico. Dato lo stock di capitale, ipotizziamo che quando una impresa assume il primo lavoratore essa otterrà una produzione totale pari a 15 unità di prodotto. Di conseguenza, la produttività marginale del primo lavoratore sarà uguale a 15. Al crescere del numero di lavoratori occupati, anche la produzione aumenterà, ma con incrementi a mano a mano minori, poiché si suppone che la produttività marginale di ogni lavoratore aggiuntivo sia decrescente. ̅ , 𝑁 = 1) = 15 con 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 = 1) = 15. 𝑁 = 1 → 𝑄 = 𝑓(𝐾 ̅̅̅, 𝑁 = 2) = 28 con 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 = 2) = 13 (↓). 𝑁 = 2 → 𝑄 = 𝑓(𝐾 ̅̅̅, 𝑁 = 3) = 38 con 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 = 3) = 10 (↓). 𝑁 = 3 → 𝑄 = 𝑓(𝐾 ̅ , 𝑁 = 4) = 46 con 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 = 4) = 8 (↓). 𝑁 = 4 → 𝑄 = 𝑓(𝐾 Con riferimento a questo esempio numerico, le figure 2 e 3 illustrano ulteriormente le caratteristiche della funzione di produzione, e in particolare la natura decrescente della relazione tra produttività marginale del lavoro e numero di lavoratori impiegati. 20 Figura 2 – Un esempio di funzione di produzione riferito a una singola impresa Figura 3 – La produttività marginale del lavoro nell’esempio riferito alla singola impresa Sino ad ora abbiamo considerato le caratteristiche della funzione di produzione di una singola impresa. Possiamo ottenere la funzione di produzione aggregata, quella cioè riferita al sistema economico nel suo complesso, ricordando che, in base alla prima ipotesi relativa al fenomeno della produzione, il sistema economico è composto da 𝑛 imprese perfettamente omogenee. Di conseguenza, quando ciascuna impresa assume un singolo lavoratore, i lavoratori complessivamente impiegati saranno pari a 𝑛, mentre la produzione totale sarà pari a 15𝑛 unità di prodotto. Qualora, invece, ogni impresa assumesse 2 lavoratori, l’occupazione complessiva sarebbe pari a 2𝑛 lavoratori, cui 21 corrisponderebbe una produzione totale di 28𝑛 unità di prodotto, e così via. Come si può osservare dalla figura 4, anche la funzione di produzione aggregata ha caratteristiche analoghe a quelle della singola impresa. Figura 4 – L’aggregazione delle funzioni di produzione di n imprese omogenee La funzione di produzione definisce semplicemente la relazione tra la quantità di lavoro e la quantità di prodotto ottenuta da ogni impresa e dall’insieme delle imprese, ma non permette di specificare il numero di lavoratori che ogni impresa, e di riflesso l’insieme delle imprese, è disposto a impiegare. Per determinare l’ammontare di lavoratori che le imprese intendono occupare, e poter quindi definire la funzione di domanda di lavoro, è necessario specificare un criterio di decisione in base al quale le imprese definiscono il numero di lavoratori che sono disposte ad assumere. Secondo la teoria neoclassica, il criterio di decisione seguito dalle imprese è quello della massimizzazione dei profitti. In altri termini, ogni impresa impiegherà il numero di lavoratori che le consente di ottenere il massimo profitto possibile. Pertanto, ai fini della determinazione della funzione di domanda di lavoro, è necessario specificare preliminarmente la funzione dei profitti di una singola impresa. I profitti di una singola impresa (𝜋) sono pari alla differenza tra i suoi ricavi e i suoi costi: 𝜋 = 𝑅𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖 − 𝐶𝑜𝑠𝑡𝑖. I ricavi corrispondono al prodotto tra la quantità di beni realizzata (𝑄) e il prezzo unitario di vendita del prodotto (𝑃). Pertanto: 𝑅𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖 = 𝑄 ∙ 𝑃. 22 I costi, invece, corrispondono alla somma dei costi fissi e dei costi variabili: 𝐶𝑜𝑠𝑡𝑖 = 𝐶𝑜𝑠𝑡𝑖 𝑓𝑖𝑠𝑠𝑖 (𝐶𝐹) + 𝐶𝑜𝑠𝑡𝑖 𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑏𝑖𝑙𝑖 (𝐶𝑉). I costi fissi sono indipendenti dalla quantità di beni prodotta, mentre i costi variabili coincidono con il costo del lavoro, che rappresenta l’unico fattore di produzione il cui impiego può variare nel tempo. Indichiamo con 𝑊 il salario nominale percepito da un lavoratore. Di conseguenza, il costo del lavoro sarà pari a 𝑊 ∙ 𝑁, e la funzione dei profitti diventa: 𝜋 = 𝑃 ∙ 𝑄 − 𝐶𝐹 − 𝑊 ∙ 𝑁. Al fine di definire la relazione tra i profitti e il numero di lavoratori impiegati da una singola impresa, analizziamo le caratteristiche di tutte le grandezze che compaiono nell’espressione dei profitti. Iniziamo da 𝑃, che indica il prezzo unitario del bene prodotto da ogni singola impresa. Per definire le caratteristiche di questa grandezza, ricordiamo le ipotesi che abbiamo introdotto per descrivere il fenomeno della produzione. Abbiamo assunto che nel sistema economico operi un numero elevato di imprese omogenee, ovvero di imprese che producono lo stesso bene utilizzando la stessa funzione di produzione. Si tratta di condizioni che corrispondono a una situazione di perfetta concorrenza. In questo caso, nessuna singola impresa è in grado di influenzare il prezzo al quale può vendere quanto prodotto, poiché ciascuna di esse copre soltanto una quota molto piccola della produzione complessiva dell’ipotetico bene omogeneo preso in considerazione. Ciò significa, che il prezzo di vendita (𝑃) è del tutto indipendente dalle decisioni di produzione di una singola impresa. In altri termini, per ogni singola impresa che opera sul mercato, questo prezzo rappresenta un dato esogeno, e quindi: 𝑃 = 𝑃̅. Questa assunzione ha una conseguenza importante, poiché permette di concludere che ogni impresa è certa di vendere tutto quanto produce al prezzo di mercato. Pertanto, in regime di concorrenza perfetta, la quantità prodotta è sicuramente uguale alla quantità venduta. La seconda grandezza che caratterizza l’espressione dei profitti è proprio quella relativa alla quantità prodotta (𝑄), che, come ormai sappiamo, è una funzione del numero di lavoratori impiegati (𝑁), perché, nel breve periodo, lo stock di capitale è dato: ̅ , 𝑁) → = 𝑄(𝑁). 𝑄 = 𝑓(𝐾 23 La terza grandezza che entra nell’espressione dei profitti è quella relativa ai costi fissi sopportati dall’impresa. I costi fissi sono dati indipendentemente dalla quantità prodotta, e quindi dal numero di lavoratori impiegati: ̅̅̅̅ . 𝐶𝐹 = 𝐶𝐹 Infine, è necessario prendere in considerazione anche i costi variabili, che corrispondono al costo del lavoro. Come si può facilmente immaginare, il costo del lavoro dipende dal livello del salario unitario (𝑊). Anche ne caso del salario, che è a tutti gli effetti un prezzo, dobbiamo tener conto della presenza di condizioni di perfetta concorrenza. Una singola impresa, infatti, non solo non è in grado di influenzare il prezzo a cui vende la sua produzione, ma non può nemmeno incidere sul prezzo a cui acquista i servizi di lavoro. In effetti, in una situazione di perfetta concorrenza ogni singola impresa domanda una quantità di lavora molto piccola, e non può quindi influenzare il livello dei salari. Di conseguenza: ̅. 𝑊=𝑊 Sulla base delle considerazioni precedenti, possiamo quindi riscrivere la funzione dei profitti di una singola impresa nel modo seguente: ̅̅̅̅ − 𝑊 ̅ ∙ 𝑁. 𝜋 = 𝑃̅ ∙ 𝑄(𝑁) − 𝐶𝐹 Come si può notare, la nuova espressione dei profitti è una funzione in una sola variabile (𝑁). Il problema di ogni singolo imprenditore consiste pertanto nella definizione del valore di 𝑁 che gli consente di massimizzare i suoi profitti. Da un punto di vista tecnico, si tratta di trovare il punto di massimo di una funzione in una sola variabile. E’ noto che, a tal fine, è necessario individuare quel particolare valore di 𝑁, pari a ∗ 𝑁 , in corrispondenza del quale la derivata prima dei profitti rispetto a 𝑁 si annulla: 𝑁∗ → 𝑑𝜋 = 0. 𝑑𝑁 L’espressione della derivata prima della funzione dei profitti è data da: 𝑑𝜋 𝑑𝑄 = 𝑃̅ ∙ − 𝑊. 𝑑𝑁 𝑑𝑁 Ai fini della individuazione del punto di massimo della funzione dei profitti si deve determinare il valore di 𝑁 che soddisfa la seguente condizione: 24 𝑁∗ → 𝑑𝜋 𝑑𝑄 = 𝑃̅ ∙ − 𝑊 = 0. 𝑑𝑁 𝑑𝑁 Ovvero: 𝑁 ∗ → 𝑃̅ ∙ 𝑑𝑄 = 𝑊. 𝑑𝑁 Da quest’ultima espressione si ottiene: 𝑁∗ → 𝑑𝑄 𝑊 𝑑𝑄 = (con = 𝑃𝑚𝑎𝑙). 𝑑𝑁 𝑃̅ 𝑑𝑁 Il valore di 𝑁 che massimizza il profitto di ogni impresa è dunque pari al numero di 𝑑𝑄 lavoratori in corrispondenza del quale i ricavi marginali (𝑃̅ ∙ ) sono uguali al salario 𝑑𝑁 nominale (𝑊), oppure, equivalentemente, in corrispondenza del quale la 𝑃𝑚𝑎𝑙 è uguale al salario reale (𝑊 ⁄𝑃̅). 𝑑𝑄 Osserviamo che l’espressione 𝑃̅ ∙ rappresenta l’incremento dei ricavi associato 𝑑𝑁 all’impiego di un nuovo lavoratore (ricavi marginali), mentre 𝑊 costituisce l’incremento dei costi sostenuti con l’assunzione del nuovo lavoratore (costi marginali). Ne consegue, che i profitti aumentano se i ricavi marginali superano i costi marginali: 𝑑𝜋 𝑑𝑄 > 0 se Ricavi marginali > Costi marginali, ovvero se ̅𝑃 ∙ > 𝑊. 𝑑𝑁 𝑑𝑁 Ogni singola impresa inizierà quindi a produrre, assumendo il primo lavoratore (𝑁 = 1), a condizione che i ricavi marginali siano maggiori dei costi marginali (𝑃̅ ∙ 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 = 1) > 𝑊). Assumendo che questa condizione sia soddisfatta, perché, se non lo fosse, la produzione sarebbe pari a zero, è interessante chiedersi che cosa succede ai profitti di ogni impresa quando aumenta il numero dei lavoratori occupati 𝑁. In particolare, come variano i ricavi marginali dell’impresa? 𝑁 ↑ → 𝑃̅ ∙ 𝑑𝑄 ? 𝑑𝑁 Dato il prezzo unitario (𝑃̅), i ricavi marginali dipendono dalla produttività marginale del lavoro, che è decrescente rispetto a 𝑁. Di conseguenza, al crescere di 𝑁 i ricavi marginali diminuiscono: 25 𝑁 ↑ → 𝑃̅ ∙ 𝑑𝑄 = 𝑃̅ ∙ 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁) ↓. 𝑑𝑁 Poiché all’aumentare del numero di lavoratori occupati (𝑁) i ricavi dell’impresa crescono, ma in misura progressivamente decrescente, data la loro dipendenza dalla dinamica della produttività marginale del lavoro, ogni impresa continuerà ad assumere nuovi lavoratori fino a quando i ricavi marginali uguaglieranno il costo marginale, che è pari al salario nominale (𝑊) ed è indipendente dal numero di lavoratori impiegati (𝑁): 𝑁 ∗ → 𝑃̅ ∙ 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 ∗ ) = 𝑊 ovvero 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 ∗ ) = 𝑊 . 𝑃̅ Possiamo chiarire questa relazione attraverso un esempio numerico i cui risultati sono sintetizzati graficamente nella figura 5. Figura 5 – Il criterio di decisione dell’impresa per l’assunzione di un lavoratore aggiuntivo Supponiamo che il prezzo unitario sia uguale a 10 unità di moneta (𝑃 = 10) e che il salario monetario sia invece pari a 100 unità di moneta (𝑊 = 100). Assumiamo, inoltre, che i valori della produttività marginale del lavoro siano quelli dell’esempio precedente. In questo caso, ogni impresa avrà convenienza ad assumere il primo lavoratore, poiché i ricavi marginali superano i costi marginali: Se 𝑁 = 1: Ricavi marginali (𝑁 = 1) > Costi marginali (𝑊 = 100), 26 perché con 𝑃̅ = 10 e con 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 = 1) = 15 si ha: 𝑃̅ ∙ 𝑑𝑄 = 𝑃̅ ∙ 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 = 1) = 10 ∙ 15 = 150 > 100. 𝑑𝑁 Per verificare se le imprese hanno convenienza ad assumere il secondo lavoratore, è necessario confrontare i ricavi marginali quando 𝑁 = 2 con il costo marginale, dato dal salario nominale, sempre pari a 𝑊 = 100. Se 𝑁 = 2: Ricavi marginali (𝑁 = 2) > Costi marginali (𝑊 = 100), perché con 𝑃̅ = 10 e con 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 = 2) = 13 si ha: 𝑃̅ ∙ 𝑑𝑄 = 𝑃̅ ∙ 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 = 1) = 10 ∙ 13 = 130 > 100. 𝑑𝑁 Pertanto, anche il secondo lavoratore verrà assunto. Replichiamo questo ragionamento pure per la decisione relativa all’assunzione di un terzo lavoratore. Se 𝑁 = 3: Ricavi marginali (𝑁 = 3) = Costi marginali (𝑊 = 100), perché con 𝑃̅ = 10 e con 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 = 3) = 10 si ha: 𝑃̅ ∙ 𝑑𝑄 = 𝑃̅ ∙ 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 = 3) = 10 ∙ 10 = 100 = 100. 𝑑𝑁 In corrispondenza dell’impiego di un terzo lavoratore i ricavi marginali pareggiano il costo marginale. Ne consegue, che questo è il numero massimo di lavoratori che verrà assunto da ciascuna impresa. Infatti, i ricavi marginali associati all’impiego di un lavoratore aggiuntivo sarebbero inferiori al suo salario monetario: Se 𝑁 = 4: Ricavi marginali (𝑁 = 4) < Costi marginali (𝑊 = 100), perché con 𝑃̅ = 10 e con 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 = 4) = 8 si ha: 27 𝑃̅ ∙ 𝑑𝑄 = 𝑃̅ ∙ 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 = 4) = 10 ∙ 8 = 80 < 100. 𝑑𝑁 I profitti sono massimi quando: 𝑃̅ ∙ 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 ∗ ) = 𝑊, o, alternativamente, quando: 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 ∗ ) = 𝑊 . 𝑃̅ Il salario reale (𝑊 ⁄𝑃) indica la quantità di beni che può essere acquistata dai lavoratori. Se 𝑊 = 100 e 𝑃̅ = 10, allora con il proprio salario ogni lavoratore potrà acquistate dieci unità di beni. Questa analisi consente di concludere che il numero di lavoratori che ogni impresa è disposta ad assumere dipende dal livello del salario reale. Nell’esempio appena esposto, abbiamo visto che, se il salario reale equivale a 10 unità di moneta, il numero di lavoratori assunto da ciascuna impresa è pari a 3. Le imprese conseguono un profitto se impiegano un primo lavoratore in grado di produrre 15 unità di beni, e lo aumentano assumendo un secondo lavoratore che produce 13 unità di beni aggiuntive. Tuttavia, un aumento del salario reale provoca una riduzione della domanda di lavoro da parte delle imprese. Infatti, se il salario reale fosse superiore a 15, nessun lavoratore verrebbe assunto e la domanda di lavoro sarebbe nulla (si confronti la figura 6). Qualora il salario reale fosse compreso tra 15 e 13, per esempio 14, verrebbe assunto soltanto il primo lavoratore, ma non il secondo la cui produttività marginale è pari a 13. Affinché venga assunto anche il secondo lavoratore, è necessario che il salario reale sia inferiore a 13. In corrispondenza di un salario reale inferiore a 13 e superiore a 10 verrebbe assunto il secondo lavoratore, ma non il terzo la cui produttività marginale è pari a 10. Il terzo lavoratore verrebbe impiegato soltanto nel caso in cui il salario reale fosse uguale o inferiore a 10. Infine, le imprese sarebbero disposte ad occupare anche il quarto lavoratore solo se il salario reale fosse pari o inferiore a 8. In definitiva, il numero di lavoratori che ogni singola impresa è disposta ad assumere coerentemente con il criterio della massimizzazione dei profitti è funzione del valore del salario reale 𝑊 ⁄𝑃. 𝑊 𝑊 ↓ → 𝑁𝑑 ↑ e ↑ → 𝑁𝑑 ↓. 𝑃 𝑃 Pertanto: 28 𝑊 𝑁𝑑 = 𝑓 ( ) 𝑃 𝑊 con 𝑓 ′ ( ) < 0. 𝑃 Figura 6 – La funzione di domanda di lavoro della singola impresa La funzione di domanda di lavoro che compare nella figura 6 fa riferimento al comportamento di una singola impresa. Nella figura 7 è invece rappresentata la funzione di domanda di lavoro aggregata relativa a 𝑛 imprese omogenee. Figura 7 – L’aggregazione delle funzioni di domanda di lavoro di n imprese omogenee 29 Naturalmente, le curve di domanda di lavoro che compaiono nelle due figure precedenti fanno riferimento a uno specifico esempio numerico diretto a illustrare i criteri che, secondo la teoria neoclassica, guidano le scelte delle imprese quando devono decidere il numero di lavoratori da impiegare. Più in generale, nei modelli macroeconomici la funzione aggregata di domanda di lavoro è rappresentata mediante una curva continua inclinata negativamente rispetto al salario reale, come nella seguente figura 8. Figura 8 – La funzione continua della domanda di lavoro aggregata 2.2. La funzione di offerta di lavoro Nel mercato del lavoro, la domanda di lavoro formulata dalle imprese è fronteggiata dall’offerta di lavoro espressa dai lavoratori. La figura 9 offre una rappresentazione grafica della funzione di offerta di lavoro aggregata. Nella tradizione neoclassica il numero di lavoratori disposti a lavorare è una funzione crescente del salario reale. La relazione crescente tra salario reale e offerta di lavoro può essere spiegata nel ∗ modo seguente. Indichiamo con 𝐿∗ e con 𝑊 ⁄𝑃 rispettivamente le ore di lavoro e il salario reale fissati contrattualmente con riferimento a una determinata unità di tempo ∗ (una settimana, un mese, un trimestre etc.). Dati 𝐿∗ e 𝑊 ⁄𝑃 ogni lavoratore ha due alternative: da un lato, lavorare alle condizioni di mercato e, dall’altro, non lavorare e godere del proprio tempo libero. 30 Figura 9 – La funzione di offerta di lavoro aggregata Le scelte di ciascun lavoratore vengono effettuate con l’obiettivo di massimizzare la propria funzione di preferenza, ovvero la propria utilità, o soddisfazione (𝑈), che dipende da due fattori: a) il tempo di lavoro (𝐿), e 𝑊 b) il salario reale ( 𝑃 ). Secondo la teoria neoclassica, il livello di soddisfazione di un lavoratore decresce al crescere del tempo di lavoro 𝐿, mentre aumenta al crescere del salario reale 𝑊 ⁄𝑃 . Valgono quindi le seguenti due espressioni: 𝑑𝑈 <0 𝑑𝐿 e 𝑑𝑈 > 0. 𝑊 𝑑𝑃 Ogni individuo opera le proprie scelte confrontando il livello di soddisfazione associato alle due combinazioni di tempo di lavoro e di salario reale che corrispondono alle seguenti due possibili alternative: 𝑊∗ 𝑈 (𝐿 , ) 𝑃 ∗ oppure 𝑈 (𝐿 = 0 , 𝑊 = 0). 𝑃 Sulla base di queste considerazioni si possono individuare tre distinti gruppi di lavoratori: 31 1. I lavoratori che scelgono di lavorare, perché attribuiscono alla prima combinazione una soddisfazione maggiore di quella associata alla seconda: 𝑊∗ 𝑊 𝑈 (𝐿∗ , 𝑃 ) > 𝑈 (𝐿 = 0 , 𝑃 = 0). 2. I lavoratori che scelgono di non lavorare, perché attribuiscono alla seconda combinazione una soddisfazione maggiore di quella associata alla prima: 𝑊∗ 𝑊 𝑈 (𝐿∗ , 𝑃 ) < 𝑈 (𝐿 = 0 , 𝑃 = 0). 3. I lavoratori che sono indifferenti, perché la soddisfazione che ricavano dalla prima combinazione è uguale a quella che ricavano dalla seconda: 𝑊∗ 𝑊 𝑈 (𝐿∗ , 𝑃 ) = 𝑈 (𝐿 = 0 , 𝑃 = 0). Siamo ora in grado di costruire la curva di offerta di lavoro. Supponiamo che in ∗ corrispondenza del salario reale 𝑊 ⁄𝑃 il numero di lavoratori disposti a lavorare sia ∗ pari a 𝑁𝑠 (𝑊 ⁄𝑃 ). Chiediamoci se, e in quale misura, il numero di lavoratori disposti a ∗ lavorare cresce, quando il livello del salario reale è superiore a 𝑊 ⁄𝑃 : 𝑊 𝑊∗ > → 𝑃1 𝑃 𝑁𝑠 ? Figura 10 – L’andamento crescente della funzione di offerta di lavoro aggregata 32 Il numero di lavoratori disposti a lavorare è senz’altro destinato ad aumentare, poiché, oltre ai lavoratori del primo gruppo, in corrispondenza di un salario reale pari a 𝑊 ⁄𝑃1 offriranno i propri servizi di lavoro anche i lavoratori del terzo gruppo (quelli ∗ indifferenti quando il salario reale era pari a 𝑊 ⁄𝑃 e parte dei lavoratori del secondo gruppo. Ecco perché la curva di offerta di lavoro aggregata mostra un andamento crescente rispetto al salario reale (figura 10). 2.3. L’equilibrio sul mercato del lavoro Una volta costruite le curve di domanda e di offerta, è possibile definire il prezzo di equilibrio per il mercato del lavoro, ovvero il prezzo che uguaglia le quantità di lavoro domandate e offerte. Questo prezzo può essere definito graficamente, riportando la curva di domanda e la curva di offerta di lavoro aggregate sullo stesso piano. Il prezzo di equilibrio per il mercato del lavoro è quello corrispondente al punto di intersezione tra la curva di domanda e la curva di offerta di lavoro (si confronti la figura 11). Quando il livello del salario reale è pari a 𝑊 ⁄𝑃 𝐸 , il mercato del lavoro è in equilibrio, perché il numero di lavoratori che le imprese intendono assumere in corrispondenza di quel livello di salario reale 𝑁𝑑 (𝑊 ⁄𝑃𝐸 ) è uguale al numero di lavoratori che offrono i loro servizi di lavoro 𝑁𝑠 (𝑊 ⁄𝑃 𝐸 ). Figura 11 – L’equilibrio sul mercato del lavoro Il punto 𝐸 rappresenta un equilibrio di piena occupazione. Infatti, in corrispondenza del punto di intersezione delle curve di domanda e di offerta di lavoro tutti coloro che desiderano lavorare al salario di mercato trovano un impiego. Non lavorano soltanto coloro che sono disposti a lavorare esclusivamente per un salario reale più elevato di 𝑊 ⁄𝑃𝐸 , ovvero coloro che sulla curva di offerta di lavoro si collocano a destra del punto 33 𝐸. Nella teoria neoclassica del mercato del lavoro questi disoccupati vengono definiti ‘disoccupati volontari’, perché la loro condizione è considerata figlia di una loro libera scelta. Secondo la teoria neoclassica, non soltanto esiste un livello del salario reale che assicura la piena occupazione della forza lavoro, ma esso è inevitabilmente destinato a raggiungere proprio tale valore di equilibrio. Ciò accade, perché anche all’interno del mercato del lavoro vale la legge della domanda e dell’offerta, secondo cui ogni squilibrio tra le quantità domandate e offerte verrà eliminata dalla variazione del prezzo di mercato. In altri termini, per ogni livello di salario reale diverso da 𝑊 ⁄𝑃 𝐸 , lo squilibrio tra la domanda e l’offerta di lavoro verrà riassorbito attraverso una variazione del salario reale, sino a quando lo stesso non avrà raggiunto il suo valore di equilibrio. 2.3.1. L’eccesso di offerta di lavoro Supponiamo ora che risulti 𝑊 ⁄𝑃1 > 𝑊 ⁄𝑃 𝐸 . Figura 12 – L’eccesso di offerta sul mercato del lavoro In questo caso, si avrà un eccesso di offerta di lavoro rispetto alla domanda: 𝑊 𝑁𝑑 ( ) = 𝑁𝑑 1 < 𝑁𝐸 , 𝑃1 𝑊 𝑁𝑠 ( ) = 𝑁𝑠 1 > 𝑁𝐸 . 𝑃1 34 Di conseguenza: 𝑁𝑠 ( 𝑊 𝑊 ) > 𝑁𝑑 ( ) 𝑃1 𝑃1 (eccesso di offerta di lavoro). I lavoratori disposti a lavorare al salario reale 𝑊 ⁄𝑃1 eccedono i posti di lavoro disponibili, ma la pressione determinata dall’eccesso di offerta di lavoro provoca una caduta dei salari reali che eliminerà lo squilibrio tra domanda e offerta sul mercato del lavoro (figura 12). Infatti, quando il salario reale cade, la domanda di lavoro aumenta, mentre diminuisce l’offerta. Questo meccanismo di aggiustamento automatico prosegue sino a quando domanda e offerta di lavoro si uguagliano in corrispondenza del livello di piena occupazione della forza lavoro 𝑁𝐸 . 𝑊 𝑊 ↓ → 𝑁𝑑 ↑ e 𝑁𝑠 ↓ → → 𝑁𝐸 . 𝑃 𝑃𝐸 2.3.2. L’eccesso di domanda di lavoro Ora supponiamo che sia 𝑊 ⁄𝑃2 < 𝑊 ⁄𝑃𝐸 . Contrariamente al caso precedente, sul mercato del lavoro si determina una situazione di eccesso di domanda rispetto all’offerta. 𝑊 𝑁𝑠 ( ) = 𝑁𝑠 2 < 𝑁𝐸 , 𝑃2 𝑊 𝑁𝑑 ( ) = 𝑁𝑑 2 > 𝑁𝐸 . 𝑃2 Di conseguenza: 𝑊 𝑊 𝑁𝑑 ( ) > 𝑁𝑠 ( ) 𝑃2 𝑃2 (eccesso di domanda di lavoro). In corrispondenza del salario reale 𝑊 ⁄𝑃 2 , la domanda di lavoro delle imprese eccede la disponibilità dei lavoratori ad offrire le loro prestazioni lavorative. Pur di riuscire a impiegare il numero di lavoratori di cui necessitano, le imprese sono quindi disposte a corrispondere un salario reale superiore a 𝑊 ⁄𝑃 2 . Per effetto della progressiva crescita del salario reale, il numero di lavoratori che le imprese intendono assumere tende a diminuire, mentre l’offerta di lavoro, invece, tende ad aumentare. Simmetricamente al caso precedente, questo processo di aggiustamento 35 prosegue sino a quando il mercato del lavoro si trova in equilibrio in corrispondenza del salario reale 𝑊 ⁄𝑃𝐸 e del livello di piena occupazione della forza lavoro 𝑁𝐸 (figura 13). Figura 13 – L’eccesso di domanda sul mercato del lavoro 2.3.3. Lo spostamento della curva di offerta di lavoro La posizione di equilibrio sul mercato del lavoro si può modificare quando si verificano fenomeni che provocano una spostamento delle curve di offerta e/o di domanda di lavoro. Consideriamo, innanzitutto, gli effetti di uno spostamento della funzione di offerta di lavoro. Tale spostamento può avvenire a causa di fenomeni che modificano il numero di lavoratori disposti a offrire lavoro in corrispondenza di un determinato livello del salario reale. Per esempio: 1. A parità di salario reale, un aumento della popolazione in età lavorativa dovuto a fattori naturali provoca un incremento dei lavoratori disposti a lavorare. 2. A parità di altre condizioni, un aumento del flusso migratorio verso un determinato paese induce un aumento dell’offerta di lavoro. 3. Per effetto della globalizzazione, le imprese possono trasferire le loro linee produttive verso altri paesi. La globalizzazione provoca quindi conseguenze equivalenti a quelle provocate da un aumento del flusso migratorio o da un incremento della popolazione in età lavorativa. 36 Tutti questi fenomeni determinano una crescita del numero di lavoratori disposti a lavorare per un certo salario reale. Graficamente, ciò si traduce in uno spostamento della funzione di offerta di lavoro verso destra (figura 14). Figura 14 – Gli effetti di uno spostamento della curva di offerta di lavoro In questo caso, in corrispondenza del salario reale 𝑊 ⁄𝑃 𝐸 non si avrà più equilibrio, ma piuttosto una situazione di eccesso di offerta di lavoro: 𝑊 𝑊 → 𝑁𝑑 ( ) = 𝑁𝐸 , 𝑃𝐸 𝑃𝐸 𝑊 𝑊 → 𝑁𝑠 ′ ( ) = 𝑁𝑠1 > 𝑁𝐸 . 𝑃𝐸 𝑃𝐸 L’eccesso di offerta di lavoro causa una riduzione del salario reale che spinge il sistema verso una nuova posizione di equilibrio corrispondente al punto 𝐸1 , in cui la domanda di lavoro è nuovamente pari all’offerta: 𝑊 𝑊 𝑊 𝑊 ↓ → 𝑁𝑑 ↑ e 𝑁𝑠 ↓ → → 𝑁𝑑 ( ) = 𝑁𝑠 ′ ( ). 𝑃 𝑃 𝐸1 𝑃 𝐸1 𝑃 𝐸1 2.3.4. Lo spostamento della curva di domanda di lavoro L’equilibrio sul mercato del lavoro può essere modificato anche da uno spostamento della curva di domanda di lavoro. 37 La curva di domanda di lavoro è stata costruita osservando che gli imprenditori scelgono il numero di lavoratori da impiegare in base al principio di massimizzazione del profitto. Questo criterio di scelta spinge gli imprenditori a domandare un numero di lavoratori tale, che in corrispondenza di esso la produttività marginale del lavoro è uguale al livello del salario reale. La figura 15 mostra come il numero di lavoratori che ogni impresa intende assumere è definito dal punto di intersezione tra la retta del salario reale e la curva della produttività marginale del lavoro, che, come sappiamo, è decrescente rispetto a 𝑁. Figura 15 – L’aumento della produttività marginale del lavoro La costruzione della funzione di domanda di lavoro era basata sull’assunzione che la curva della produttività marginale del lavoro fosse data e che variasse il livello del salario reale. Si può aggiungere che uno spostamento della curva della produttività marginale del lavoro a parità di salario reale modifica il numero di lavoratori che ogni impresa desidera impiegare, provocando così uno spostamento della curva di domanda di lavoro. Supponiamo, ad esempio, che per effetto dell’introduzione di una innovazione tecnologica la produttività di ogni lavoratore cresca. In questo caso, come si evince dalla figura 15, la curva della produttività marginale del lavoro si sposta verso l’alto e, a parità di salario reale, il numero di lavoratori che ogni impresa desidera assumere aumenta. Di conseguenza, la curva di domanda di lavoro si sposta verso destra, poiché a parità di salario reale l’insieme delle imprese è disposta ad assumere un maggior numero di lavoratori (figura 16). 38 Figura 16 – Gli effetti di uno spostamento della curva di domanda di lavoro Lo spostamento della curva di domanda di lavoro determina una situazione di eccesso di domanda rispetto all’offerta che mette in moto un processo di aggiustamento simmetrico a quello osservato in relazione allo spostamento della curva di offerta di lavoro: 𝑊 𝑊 → 𝑁𝑠 ( ) = 𝑁𝐸 , 𝑃𝐸 𝑃𝐸 𝑊 𝑊 → 𝑁𝑑 ′ ( ) = 𝑁𝑑 1 > 𝑁𝐸 . 𝑃𝐸 𝑃𝐸 Pertanto: 𝑊 𝑊 𝑊 𝑊 ↑ → 𝑁𝑑 ↓ e 𝑁𝑠 ↑ → → 𝑁𝑠 ( ) = 𝑁𝑑 ′ ( ). 𝑃 𝑃 𝐸1 𝑃 𝐸1 𝑃 𝐸1 3. Il mercato dei beni La teoria macroeconomica descrive il mercato dei beni in base all’ipotesi che, all’interno del sistema economico, venga prodotto un solo bene rappresentativo dell’insieme dei beni e dei servizi prodotti, e quindi identificabile con il PIL. Come nel caso del mercato del lavoro, anche il mercato dei beni viene descritto specificando una funzione di offerta e una funzione di domanda di beni. 39 3.1. L’offerta aggregata di beni La funzione di offerta di beni deriva dalle decisioni di produzione delle 𝑛 imprese omogenee che operano nell’ambito del sistema economico. Come abbiamo visto in precedenza, l’equilibrio sul mercato del lavoro determina il numero di lavoratori (𝑁𝐸 ) che verrà impiegato dalle 𝑛 imprese che compongono il sistema produttivo. Una volta noto il numero complessivo di lavoratori impiegati, e nota anche la funzione aggregata di produzione, che, data la tecnologia, definisce la relazione tra il numero di lavoratori occupati dalle 𝑛 imprese e la produzione complessiva, è possibile individuare la produzione (l’offerta) aggregata di beni corrispondente all’impiego di 𝑁𝐸 lavoratori (figura 17). Figura 17 – La determinazione dell’offerta aggregata di beni Indicando con 𝑌 la produzione complessiva, con 𝐾 lo stock di capitale complessivo utilizzato dalle 𝑛 imprese, e con 𝑁 il numero di lavoratori impiegati dalle 𝑛 imprese; avremo la seguente funzione aggregata di produzione: 40 ̅ , 𝑁) → 𝑌 = 𝑓(𝑁). 𝑌 = 𝑓(𝐾 Poiché in corrispondenza dell’equilibrio sul mercato del lavoro si determina un particolare livello di occupazione pari a 𝑁𝐸 , l’offerta aggregata di beni coincide con: 𝑌𝑃𝑂 = 𝑓(𝑁𝐸 ). Infatti, come emerge anche dalla visione della figura 17: → 𝑌 = 𝑓(𝑁𝐸 ) = 𝑌𝑃𝑂 . 𝑁 = 𝑁𝐸 3.2. La domanda aggregata di beni Per completare la descrizione del mercato dei beni è necessario specificare la funzione di domanda di beni, perché l’equilibrio sul mercato dei beni presuppone che tutto ciò che è stato prodotto dalle imprese debba anche essere acquistato. In altri termini, occorre che si manifesti una domanda di beni che assorba la produzione complessiva offerta dalle imprese. Specifichiamo la condizione di equilibrio sul mercato dei beni nel modo seguente: 𝐷𝐴 = 𝑌𝑃𝑂 , con 𝐷𝐴 pari alla domanda aggregata e 𝑌𝑃𝑂 pari al reddito di piena occupazione. Per descrivere l’equilibrio sul mercato dei beni, dobbiamo approfondire l’analisi della domanda aggregata. Ai fini dell’esame della composizione della domanda aggregata, è utile ricorrere agli schemi dei conti di contabilità nazionale illustrati sopra. Come si ricorderà, nel caso di una economia chiusa il conto delle risorse e degli impieghi specifica due forme di impiego del PIL, i consumi e gli investimenti: 𝐷𝐴 = 𝐶 (𝐶𝑜𝑛𝑠𝑢𝑚𝑖) + 𝐼 (𝐼𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖). Prima di definire la funzione della domanda aggregata di beni dobbiamo quindi analizzare i fattori che influenzano le decisioni di consumo e di investimento. 3.2.1. Le decisioni di consumo Le decisioni di consumo vengono prese dalle famiglie che hanno percepito redditi sotto forma di salari e di profitti, i quali, in base agli schemi di contabilità nazionale, compongono il reddito disponibile: 𝑌𝑑 = 𝑊 + 𝜋. 41 Come sappiamo, le famiglie utilizzano il reddito disponibile in due modi: una parte di esso è destinato all’acquisto di beni di consumo, mentre la parte rimanente viene risparmiata. Consumi Yd Risparmi I fattori che influenzano le scelte di consumo e di risparmio delle famiglie vengono descritti utilizzando un modello teorico definito modello di scelta intertemporale. Tale modello descrive le scelte di una singola famiglia (consumatore), prendendo in considerazione due distinti periodi temporali, quello presente e quello futuro. In particolare, si assume che in questi due periodi il consumatore riceva un reddito pari, rispettivamente, a 𝑌1 e 𝑌2 . Il problema del consumatore consiste quindi nello scegliere tra consumi e risparmi per decidere come impiegare questi redditi nei due periodi considerati. La prima scelta potrebbe essere quella di realizzare in ogni periodo un ammontare di consumi pari al reddito disponibile: 𝐶1 = 𝑌1 e 𝐶2 = 𝑌2 . Il consumatore potrebbe però adottare anche una scelta diversa. Supponiamo che i redditi nei due periodi non siano uguali. Ad esempio, ipotizziamo che 𝑌1 sia maggiore di 𝑌2 , perché durante il primo periodo il consumatore lavora, mentre in quello futuro il reddito da esso percepito corrisponde alla sua pensione. Supponiamo, inoltre, che egli intenda mantenere un tenore di vita costante nei due periodi. A tal fine, egli potrebbe quindi decidere di risparmiare una parte del reddito percepito nel primo periodo, in modo tale da espandere i suoi consumi nel corso del secondo periodo, quello futuro, in cui si sarà ormai ritirato dalla vita lavorativa. Pertanto, avremo: 𝐶1 < 𝑌1 e 𝑆1 = 𝑌1 − 𝐶1 > 0, con 𝑆1 pari al risparmio del primo periodo. 42 Corrispondentemente, nel secondo periodo avremo: 𝐶2 > 𝑌2 . Ci si può chiedere di quanto aumentino i consumi futuri in conseguenza del risparmio di una quota del reddito corrente. Ipotizziamo, per esempio, che il nostro consumatore risparmi 1 € nel periodo presente. Per effetto di questa scelta, di quanto aumenterà il suo reddito disponibile nel periodo futuro? Per semplificare i conti supponiamo che la distanza tra il presente e il futuro sia di un anno soltanto. Per rispondere a questa domanda è necessario fare riferimento al terzo mercato che caratterizza il sistema economico, ovvero il mercato dei capitali. Secondo la teoria macroeconomica neoclassica, il mercato dei capitali è il luogo nel quale i risparmiatori offrono le risorse risparmiate alle imprese che intendono utilizzarle per la realizzazione dei loro progetti di investimento, ovvero per l’acquisto di nuovi beni capitali che determina un aumento del loro stock di capitale (𝐾). Lo scambio di risorse che caratterizza il mercato dei capitali si realizza attraverso un contratto di credito che obbliga il debitore a restituire al creditore il capitale ottenuto in prestito aumentato di un premio rappresentato dall’interesse. Se indichiamo con il simbolo 𝑟 il tasso di interesse annuo, chi oggi risparmia 1 € e lo impiega sul mercato dei capitali prestandolo alle imprese, alla fine dell’anno riceverà una somma pari a 1 + 𝑟. Pertanto, la decisione di risparmiare (non consumare) un euro oggi permette di incrementare i consumi futuri (tra un anno) in misura pari a (1 + 𝑟) euro. Queste considerazioni consentono di specificare i fattori che influenzano le decisioni di consumo delle famiglie. Il primo fattore da cui dipendono i consumi correnti, cioè i consumi realizzati nel tempo presente, è dato dal livello del reddito corrente. A parità di altre condizioni, possiamo cioè assumere che esista una relazione diretta tra il livello del reddito corrente e i consumi: 𝑑𝐶1 > 0. 𝑑𝑌1 43 Il secondo fattore che influenza le decisioni di consumo delle famiglie, e quindi anche quelle di risparmio, è il tasso di interesse 𝑟. Secondo la teoria neoclassica, infatti, il tasso di interesse rappresenta la ricompensa per l’astensione dal consumo, ovvero la remunerazione del risparmio. Ne consegue che, a parità di altri fattori, un aumento del tasso di interesse provocherà un aumento dei risparmi e, conseguentemente, una riduzione dei consumi e viceversa: 𝑟 ↑ → 𝑆 ↑ e 𝐶 ↓. Valgono quindi le seguenti relazioni: 𝐶1 = 𝑓(𝑌1 , 𝑟) con 𝑑𝐶1 𝑑𝐶1 >0 e < 0, 𝑑𝑌1 𝑑𝑟 𝑆1 = 𝑌1 − 𝐶1 con 𝑑𝑆1 𝑑𝑆1 >0 e > 0. 𝑑𝑌1 𝑑𝑟 Generalizzando questo ragionamento, possiamo pertanto scrivere la seguente funzione del consumo relativa a un singolo consumatore: 𝑐 = 𝑓(𝑦, 𝑟). La funzione aggregata del consumo è invece data da: 𝐶 = 𝑓(𝑌, 𝑟) con 𝑑𝐶 𝑑𝐶 >0 e < 0, 𝑑𝑌 𝑑𝑟 in cui 𝐶 rappresenta i consumi aggregati, mentre 𝑌 e 𝑟 corrispondono, rispettivamente, al reddito aggregato e al tasso di interesse. 3.2.2. Le decisioni di investimento In una economia chiusa, la seconda componente della domanda aggregata consiste nella domanda per beni di investimento espressa dalle imprese che acquistano nuovi beni capitali per espandere il loro stock di capitale (𝐾). Implicitamente, quindi, stiamo assumendo che l’unico bene rappresentativo di tutti i beni e i servizi prodotti nell’ambito del sistema economico possa essere indifferentemente consumato oppure utilizzato come bene capitale. Come nel caso della decisione relativa al numero di lavoratori da impiegare (domanda di lavoro), le imprese effettueranno le scelte riguardanti la realizzazione di un progetto di investimento in base al criterio della massimizzazione dei profitti. Di 44 conseguenza, esse confronteranno i costi e i ricavi associati all’acquisto di un bene capitale. Il confronto tra i costi e i ricavi relativi a una decisione di investimento è difficile a causa di due elementi che possiamo illustrare mediante un semplice esempio. Supponiamo che un’impresa debba decidere se realizzare o meno un investimento dal costo pari a 𝐼 = 100 unità di moneta. L’impresa confronterà il costo di acquisto con i ricavi che essa si aspetta di ottenere grazie al proprio investimento. Per semplicità, ipotizziamo che la vita di questo bene di investimento sia di un anno soltanto e che, dopo un anno, l’impresa preveda di poter ottenere ricavi pari a 𝜃 = 110. La prima ragione che rende difficile il confronto tra i costi e i ricavi associati a una decisione di investimento è che la natura di queste due grandezze è diversa. Mentre i costi dell’investimento sono certi, i ricavi, che sono riferiti a un momento futuro, sono incerti. La teoria neoclassica supera questo problema assumendo che i ricavi futuri legati all’acquisto di un nuovo bene capitale siano invece certi. Essa cioè postula che gli imprenditori possano definire con certezza i risultati futuri delle proprie decisioni di investimento. Come vedremo in seguito, questo punto separa nettamente la teoria neoclassica dalla teoria macroeconomica di Keynes. Il confronto tra i costi e i ricavi relativi alle decisioni di investimento è ulteriormente complicato dal fatto che, se anche si ammette che i ricavi futuri siano conosciuti dall’imprenditore con certezza, ciò non toglie che essi facciano comunque riferimento a un istante temporale futuro. In altri termini, una decisione di investimento implica il confronto tra due grandezze associate a istanti temporali diversi. E’ quindi necessario disporre di un criterio che permetta di confrontare queste due grandezze economiche. Tale criterio può essere definito ricordando le caratteristiche del mercato dei capitali. Come accennato in precedenza, secondo la teoria neoclassica, all’interno del mercato dei capitali le risorse risparmiate vengono scambiate attraverso un contratto di credito che prevede la corresponsione di un interesse. Possiamo schematizzare le caratteristiche di un contratto di credito della durata di un anno, che prevede la cessione di un capitale pari a 𝐶 al tempo presente, contro l’impegno del debitore di pagare dopo un anno una somma definita montante e indicata con il simbolo 𝑀, corrispondente al capitale aumentato degli interessi, ovvero una somma pari a 𝑀 = 𝐶(1 + 𝑟), nel modo seguente. 45 Questa schematizzazione mostra come un capitale 𝐶 disponibile al tempo presente equivalga a una somma pari a 𝑀 = 𝐶(1 + 𝑟) disponibile a distanza di un anno. In altre parole, 𝐶 può anche essere inteso come il valore attuale, cioè il valore riferito al tempo presente, di una somma pari a 𝑀 = 𝐶(1 + 𝑟) disponibile tra un anno: 𝑉𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑎𝑡𝑢𝑎𝑙𝑒 = 𝐶 = 𝑀 . (1 + 𝑟) Si può quindi concludere, che un imprenditore che conosce con certezza i ricavi attesi dal suo investimento, effettuerà le sue scelte confrontando il costo dell’investimento con il valore attuale dei ricavi futuri: 𝐼 ↔ 𝑉𝐴(𝜃) = 𝜃 . (1 + 𝑟) Sulla base di questo confronto, l’imprenditore: realizza l’investimento, se il valore attuale dei ricavi è maggiore del costo dell’investimento (𝑉𝐴(𝜃) > 𝐼); non realizza l’investimento, se il valore attuale dei ricavi è minore del costo dell’investimento (𝑉𝐴(𝜃) < 𝐼); è indifferente riguardo all’ipotesi di realizzare l’investimento, se il valore attuale dei ricavi è uguale al costo dell’investimento (𝑉𝐴(𝜃) = 𝐼). Il valore attuale dei ricavi futuri è funzione di tre fattori: a) l’ammontare dei ricavi futuri (𝜃); b) il tasso di interesse (tasso di sconto) (𝑟), e c) il tempo (𝑇). Per semplicità, assumiamo che 𝑇 = 1. Pertanto, avremo: 𝑉𝐴(𝜃) = 𝜃 . (1 + 𝑟) Questa espressione mostra che esiste una relazione inversa tra il tasso di interesse e il valore attuale dei ricavi futuri: Se 𝑟 ↑ → 𝑉𝐴(𝜃, 𝑟) ↓. Ne consegue che, a parità di ricavi futuri (𝜃 = 110), la scelta relativa alla realizzazione dell’investimento dipende dal valore del tasso di interesse: 46 se il tasso di interesse fosse pari al 5%, l’imprenditore realizzerebbe l’investimento, poiché: 𝑉𝐴(𝜃 = 110, 𝑟 = 5%) = 𝜃 110 = = 104,8 > 𝐼 = 100; (1 + 𝑟) (1 + 0,05) se il tasso di interesse fosse pari al 10%, l’imprenditore sarebbe indifferente, poiché: 𝑉𝐴(𝜃 = 110, 𝑟 = 10%) = 𝜃 110 = = 100 = 𝐼 = 100; (1 + 𝑟) (1 + 0,10) se, infine, il tasso di interesse fosse pari al 20%, l’imprenditore non realizzerebbe l’investimento, poiché: 𝑉𝐴(𝜃 = 110, 𝑟 = 20%) = 𝜃 110 = = 91,7 < 𝐼 = 100. (1 + 𝑟) (1 + 0,20) Esiste quindi un particolare valore del tasso di interesse (𝑟 = 𝑟 ∗ ), in corrispondenza del quale il valore attuale dei ricavi futuri è uguale al costo dell’investimento. Più precisamente, tale valore di 𝑟 soddisfa la seguente relazione: 𝑉𝐴(𝜃, 𝑟 ∗ ) = 𝜃 = 𝐼. (1 + 𝑟 ∗ ) Da questa espressione si ricava: 1 + 𝑟∗ = 𝜃 𝜃 e quindi 𝑟 ∗ = − 1. 𝐼 𝐼 Questo particolare valore di 𝑟 (𝑟 ∗ ) viene definito efficienza marginale del capitale. Con riferimento all’esempio numerico di cui sopra, poiché 𝜃 = 110 e 𝐼 = 100, l’efficienza marginale del capitale è pari a: 𝑟∗ = 110 − 1 = 1,1 − 1 = 0,1 = 10%. 100 In definitiva, è possibile ricavare una relazione tra il valore del tasso di interesse e l’ammontare degli investimenti (figura 18): 47 Figura 18 – Gli investimenti come funzione del tasso di interesse Per ogni valore di 𝑟 superiore a 𝑟 ∗ non si investe perché: 𝑉𝐴(𝜃, 𝑟 > 𝑟 ∗ ) < 𝑉𝐴(𝜃, 𝑟 ∗ ) = 𝐼. Viceversa, per ogni valore di 𝑟 inferiore a 𝑟 ∗ si investe, perché: 𝑉𝐴(𝜃, 𝑟 < 𝑟 ∗ ) > 𝑉𝐴(𝜃, 𝑟 ∗ ) = 𝐼. La figura 18 definisce la relazione tra il livello del tasso di interesse e il volume degli investimenti con riferimento a un singolo progetto di investimento. Naturalmente, questa relazione può essere definita anche considerando un numero maggiore di progetti di investimento. Supponiamo, per esempio, che si possano definire tre distinti progetti di investimento, tutti della durata di un anno, i cui costi e ricavi futuri sono descritti schematicamente qui di seguito: Primo progetto: Secondo progetto: 48 Terzo progetto: Per costruire la curva degli investimenti che descrive la relazione tra il tasso di interesse e il volume complessivo degli investimenti, calcoliamo l’efficienza marginale del capitale (EMC) di questi tre progetti (figura 19). Figura 19 – Il criterio di scelta in presenza di una pluralità di progetti di investimento Primo progetto: 𝑉𝐴(𝜃1 = 120, 𝑟1∗ ) = 𝐼1 = 𝜃1 𝜃1 120 → 𝑟1∗ = − 1 = − 1 = 1,2 − 1 = 0,2 = 20%. ∗ (1 + 𝑟1 ) 𝐼1 100 𝐼1 verrà realizzato in corrispondenza di qualunque valore di 𝑟 < 20%. Secondo progetto: 𝑉𝐴(𝜃2 = 110, 𝑟2∗ ) = 𝐼2 = 𝜃2 𝜃2 110 → 𝑟2∗ = − 1 = − 1 = 1,1 − 1 = 0,1 = 10%. ∗ (1 + 𝑟2 ) 𝐼2 100 𝐼2 verrà realizzato in corrispondenza di qualunque valore di 𝑟 < 10%. 49 Terzo progetto: 𝑉𝐴(𝜃3 = 105, 𝑟3∗ ) = 𝐼3 = 𝜃3 𝜃3 105 → 𝑟3∗ = − 1 = − 1 = 1,05 − 1 = 0,05 = 5%. ∗ (1 + 𝑟3 ) 𝐼3 100 𝐼3 verrà realizzato in corrispondenza di qualunque valore di 𝑟 < 5%. La figura 20 riporta la funzione aggregata degli investimenti nel caso in cui le imprese abbiano complessivamente tre progetti di investimento. Figura 20 – La costruzione della funzione di domanda per beni di investimento aggregata in presenza di un numero finito di progetti di investimento Se il numero dei progetti di investimento tende a infinito, la funzione di domanda aggregata per beni di investimento diventa continua e inclinata negativamente rispetto al tasso di interesse (figura 21). 50 Figura 21 – La versione continua della funzione di domanda per beni di investimento aggregata 3.3. L’equilibrio sul mercato dei beni Una volta specificati i fattori che influenzano le decisioni di consumo e le decisioni di investimento, è possibile costruire la funzione di domanda aggregata di beni. Partendo dalle tre relazioni seguenti: a) 𝐷𝐴 = 𝐶 + 𝐼, b) 𝐶 = 𝑓(𝑌, 𝑟) con c) 𝐼 = 𝐼(𝜃, 𝑟) con 𝑑𝐶 𝑑𝑌 𝑑𝐼 𝑑𝑟 >0 e 𝑑𝐶 𝑑𝑟 < 0, e < 0, definiamo la funzione di domanda aggregata di beni sostituendo la b) e la c) nella a). Di conseguenza, otteniamo: d) 𝐷𝐴 = 𝐶(𝑌, 𝑟) + 𝐼(𝜃, 𝑟). Per completare la descrizione del mercato dei beni, è necessario specificare la condizione di equilibrio tra la domanda aggregata e l’offerta aggregata, che, come abbiamo visto in precedenza, corrisponde alla produzione complessiva coerente con la piena occupazione (𝑁𝐸 ). In altri termini, il mercato dei beni si trova in equilibrio, quando il livello della domanda aggregata è uguale al reddito di piena occupazione 51 (𝑌𝑃𝑂 ). La condizione di equilibrio sul mercato dei beni è quindi descritta dalla relazione: e) 𝐷𝐴 = 𝑌𝑃𝑂 con 𝑌𝑃𝑂 = 𝑓(𝑁𝐸 ). Possiamo osservare che la definizione della condizione di equilibrio sul mercato dei beni equivale alla specificazione del prezzo che, all’interno del mercato dei beni, assicura l’equilibrio tra le quantità aggregate di beni domandate e offerte. Questo risultato si ottiene inserendo la d) nella e): f) 𝑌𝑃𝑂 = 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟) + 𝐼(𝜃, 𝑟). Leggendo quest’ultima equazione, notiamo che il reddito di piena occupazione (𝑌𝑃𝑂 ), definito in relazione alle due componenti della domanda aggregata considerate nel contesto di una economia chiusa (consumi e investimenti), è funzione di una sola variabile, ovvero il tasso di interesse (𝑟). Il tasso di interesse rappresenta quindi il prezzo che mette in equilibrio le quantità aggregate di beni domandate e offerte. In altri termini, affinché la domanda aggregata sia pari al reddito di piena occupazione, il tasso di interesse deve assumere un valore tale da soddisfare l’equazione f). Il significato economico di questa conclusione può essere chiarito riscrivendo la f) spostando i consumi sul lato sinistro dell’equazione: 𝑌𝑃𝑂 − 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟) = 𝐼(𝜃, 𝑟). Ricordando che vale la seguente relazione: 𝑌𝑃𝑂 − 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟) = 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟), la condizione di equilibrio sul mercato dei beni può quindi essere riscritta nel modo seguente: g) 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟) = 𝐼(𝜃, 𝑟). In base alla g), la condizione necessaria affinché la domanda aggregata (𝐷𝐴) uguagli il reddito di piena occupazione (𝑌𝑃𝑂 ) è che 𝑟 assuma il valore in corrispondenza del quale le imprese sono indotte a realizzare un volume di investimenti 𝐼(𝜃, 𝑟) pari al flusso di risparmi generato in una situazione di piena occupazione 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟). Questa condizione può essere illustrata mediante il seguente esempio numerico. Si supponga che il reddito di piena occupazione, che, come sappiamo, è funzione di 𝑁𝐸 , assuma un valore pari a 1000: 𝑌𝑃𝑂 = 𝑓(𝑁𝐸 ) = 1000. 52 Affinché vi sia equilibrio sul mercato dei beni, è necessario che tutta questa produzione venga domandata, e quindi consumata o investita. Generalmente, i consumi sono funzione sia del reddito che del tasso di interesse. Tuttavia, per semplicità immaginiamo che essi siano funzione soltanto del reddito, e che la relazione che li lega al reddito sia di natura lineare. Ipotizziamo, cioè, che: 𝐶 = 𝐶(𝑌) = 𝑐 ∙ 𝑌, e che la propensione al consumo (𝑐) sia pari a 0,7, ovvero che gli agenti economici consumino il 70% del reddito percepito. Pertanto: 𝐶 = 𝐶(𝑌) = 𝑐 ∙ 𝑌 con 0 < 𝑐 < 1 e 𝑐 = 0,7, 𝐶(𝑌𝑃𝑂 ) = 𝑐 ∙ 𝑌𝑃𝑂 = 0,7 ∙ 1000 = 700, e 𝑆(𝑌𝑃𝑂 ) = (1 − 𝑐) ∙ 𝑌𝑃𝑂 = 0,3 ∙ 1000 = 300. Se il volume complessivo di produzione equivalente al PIL è pari a 1000, cui corrisponde un analogo valore del reddito disponibile, la domanda per beni di consumo è uguale a 700, mentre il flusso di risparmi è pari a 300. Ciò implica, che la condizione necessaria perché si abbia un livello della domanda aggregata uguale al livello del reddito di piena occupazione (pari a 1000) è che il flusso degli investimenti coincida con il flusso di risparmi corrispondente al reddito di piena occupazione (cioè 300). Il tasso di interesse deve quindi assumere un valore tale, che in corrispondenza di esso le imprese siano spinte a realizzare un flusso di investimenti pari a 300: 𝐷𝐴 = 𝑌𝑃𝑂 = 1000, 𝐼(𝜃, 𝑟) = 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟), 𝑟 → 𝐼(𝜃, 𝑟) = 300 = 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟). Queste relazioni permettono di evidenziare l’esistenza di un valore del tasso di interesse che assicura l’equilibrio sul mercato dei beni. Dobbiamo però chiederci, se il tasso di interesse finirà per assumere proprio tale valore di equilibrio. Secondo la teoria neoclassica, la risposta è affermativa, perché il tasso di interesse rappresenta un prezzo, che, in quanto tale, varia in funzione degli squilibri tra le quantità domandate e offerte, sino a quando raggiunge il valore che assicura l’equilibrio di mercato. In particolare, poiché nella teoria neoclassica il tasso di interesse costituisce la ricompensa per l’astensione dal consumo, o, equivalentemente, la remunerazione del risparmio, esso rappresenta il prezzo che mette in equilibrio la domanda e l’offerta di risorse risparmiate. 53 Come anticipato descrivendo le scelte del consumatore, il mercato dei capitali è il luogo in cui le risorse risparmiate, offerte dai percettori di reddito e domandate dalle imprese ai fini della realizzazione dei loro progetti di investimento, vengono scambiate attraverso la stipula di contratti di credito. Di conseguenza, il tasso di interesse rappresenta la grandezza che mette in equilibrio sia il mercato dei beni che il mercato dei capitali. E poiché questi due mercati sono caratterizzati dalla medesima variabile di prezzo, possiamo concludere che essi sono sostanzialmente coincidenti. Questa implicazione può essere ulteriormente chiarita attraverso la descrizione della teoria neoclassica dei meccanismi di funzionamento del mercato dei capitali. 4. Il mercato dei capitali Nella teoria neoclassica, il mercato dei capitali è il luogo in cui i risparmiatori offrono le risorse risparmiate alle imprese perché queste ultime possano utilizzarle per realizzare i loro progetti di investimento. Inoltre, come già accennato in precedenza, il tasso di interesse rappresenta la remunerazione del risparmio, ovvero il premio che le imprese sono disposte a corrispondere ai risparmiatori per indurli a cedere le risorse risparmiate. Come nel caso del mercato del lavoro e nel caso del mercato dei beni, anche il mercato dei capitali è caratterizzato dalla presenza di una curva di offerta e di una curva di domanda. La funzione di offerta di risorse risparmiate (la funzione del risparmio) 𝑆 = 𝑆(𝑌, 𝑟) con 𝑑𝑆 𝑑𝑆 >0 e > 0. 𝑑𝑌 𝑑𝑟 La funzione di domanda di risorse risparmiate (la funzione degli investimenti) 𝐼 = 𝐼(𝜃, 𝑟) con 𝑑𝐼 < 0. 𝑑𝑟 L’equilibrio sul mercato dei capitali è illustrato graficamente nella figura 22, in cui sono tracciate le funzioni dei risparmi e degli investimenti. Sulle ordinate è specificato il valore del tasso di interesse (𝑟), mentre sulle ascisse viene riportato il valore del flusso di risparmi (𝑆) e quello del flusso di investimenti (𝐼). La relazione tra l’offerta di risparmi e il tasso di interesse può essere definita una volta assegnato un valore al reddito, che, in questo caso, viene assunto pari al livello del reddito di piena occupazione (𝑌𝑃𝑂 ), ovvero al livello di reddito coerente con l’equilibrio sul mercato del lavoro: 𝑌𝑃𝑂 → 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟). 54 La relazione tra la domanda di risparmi, che coincide con la domanda di investimenti, e il tasso di interesse è invece definita in funzione di un dato valore dei ricavi attesi con certezza dagli imprenditori (𝜃). Figura 22 – L’equilibrio sul mercato dei capitali Il punto di intersezione tra le due curve (𝐸) individua quel particolare valore del tasso di interesse (𝑟𝐸 ) in corrispondenza del quale gli investimenti sono uguali ai risparmi di piena occupazione. Quando 𝑟 = 𝑟𝐸 , tutte le risorse risparmiate vengono investite e il mercato dei capitali è in equilibrio. 4.1. L’equivalenza tra l’equilibrio sul mercato dei capitali e l’equilibrio sul mercato dei beni L’equilibrio sul mercato dei capitali implica l’equilibrio sul mercato dei beni. Infatti, vale la seguente relazione: a) 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) = 𝐼(𝜃, 𝑟𝐸 ). Poiché vale: 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) = 𝑌𝑃𝑂 − 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ), la a) può essere riscritta come segue. b) 𝑌𝑃𝑂 − 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) = 𝐼(𝜃, 𝑟𝐸 ), 55 da cui si ottiene: c) 𝑌𝑃𝑂 = 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) + 𝐼(𝜃, 𝑟𝐸 ) → 𝑌𝑃𝑂 = 𝐷𝐴(𝑌𝑃𝑂 , 𝜃, 𝑟𝐸 ), ovvero una relazione che definisce l’equilibrio sul mercato dei beni. Secondo la teoria neoclassica, quindi, il tasso di interesse è il prezzo che mette in equilibrio sia il mercato dei beni che il mercato dei capitali. L’equivalenza tra il mercato dei beni e il mercato dei capitali può essere verificata attraverso il seguente esempio numerico. Supponiamo che 𝑌𝑃𝑂 = 1000, e che, in corrispondenza della condizione di equilibrio a), il valore dei risparmi e degli investimenti sia pari a 300. In tal caso, avremo: 𝑆(𝑌 ⏟ 𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) = 𝐼(𝜃, ⏟ 𝑟𝐸 ) (equilibrio sul mercato dei capitali). 300 300 E poiché: 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) = 𝑌𝑃𝑂 − 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ), 𝑌⏟ ⏟ 𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) + 𝐼(𝜃, ⏟ 𝑟𝐸 ) (equilibrio sul mercato dei beni). 𝑃𝑂 = 𝐶(𝑌 1000 700 300 4.2. Gli squilibri sul mercato dei capitali e sul mercato dei beni Secondo la teoria neoclassica, il tasso di interesse varia in funzione degli squilibri che si manifestano tra i risparmi e gli investimenti, e quindi tra la domanda aggregata e l’offerta aggregata di beni. Nei paragrafi seguenti mostreremo come, per ogni valore di 𝑟 ≠ 𝑟𝐸 , si registri uno squilibrio sul mercato dei capitali e un corrispondente squilibrio sul mercato dei beni, che mette in moto un meccanismo automatico di aggiustamento dettato dalle variazioni del tasso di interesse. 4.2.1. L’eccesso di offerta di risparmi (l’eccesso di offerta aggregata di beni) Supponiamo che risulti 𝑟1 > 𝑟𝐸 , come nella figura 23. In questo caso avremo: 𝐼1 = 𝐼(𝜃, 𝑟1 > 𝑟𝐸 ) < 𝐼𝐸 con, poniamo, 𝐼1 = 200. Inoltre: 𝑆1 = 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟1 > 𝑟𝐸 ) > 𝑆𝐸 con, poniamo, 𝑆1 = 400. 56 Figura 23 – L’aggiustamento verso l’equilibrio sul mercato dei capitali in caso di eccesso di offerta di risparmi Pertanto, in corrispondenza di 𝑟1 si registra il seguente squilibrio sul mercato dei capitali, caratterizzato da un eccesso dei risparmi sugli investimenti, ovvero da un eccesso di offerta di capitali rispetto alla domanda: a) 𝑆 ⏟1 = 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟1 > 𝑟𝐸 ) > 𝐼⏟ 1 = 𝐼(𝜃, 𝑟1 > 𝑟𝐸 ) . 400 200 Lo squilibrio sul mercato dei capitali coincide con uno squilibrio sul mercato dei beni caratterizzato da un eccesso dell’offerta aggregata sulla domanda aggregata: b) 𝑆1 = 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟1 > 𝑟𝐸 ) = 𝑌𝑃𝑂 − 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟1 > 𝑟𝐸 ). Sostituendo si ottiene: 𝑌𝑃𝑂 − 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟1 > 𝑟𝐸 ) > 𝐼(𝜃, 𝑟1 > 𝑟𝐸 ). Ovvero: 𝑌𝑃𝑂 > 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟1 > 𝑟𝐸 ) + 𝐼(𝜃, 𝑟1 > 𝑟𝐸 ) (offerta aggregata > domanda aggregata). Verifichiamo queste relazioni attraverso un esempio numerico. Mentre, per ipotesi, il livello del reddito di piena occupazione è uguale a 𝑌𝑃𝑂 = 1000, come sappiamo, la domanda aggregata è data dall’espressione: 𝐷𝐴 = 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟1 > 𝑟𝐸 ) + 𝐼(𝜃, 𝑟1 > 𝑟𝐸 ). 57 Poiché il valore dell’investimento è assunto pari a 𝐼1 = 𝐼(𝜃, 𝑟1 > 𝑟𝐸 ) = 200, dobbiamo determinare il valore della spesa per beni di consumo. A tal fine, partiamo dall’espressione: 𝑌𝑃𝑂 − 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟1 > 𝑟𝐸 ) = 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟1 > 𝑟𝐸 ). Dal momento che abbiamo posto 𝑆1 = 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟1 > 𝑟𝐸 ) = 400, il livello della spesa per beni di consumo è pari a 𝐶1 = 𝑌𝑃𝑂 − 𝑆1 con 𝐶1 = 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟1 > 𝑟𝐸 ). Pertanto, 𝐶1 = 1000 − 400 = 600. In definitiva: 𝐷𝐴 = (𝑌𝑃0 , 𝜃, 𝑟1 > 𝑟𝐸 ) = 𝐶1 + 𝐼1 = 600 + 200 = 800. Di conseguenza: 𝐷𝐴 = (𝑌𝑃𝑂 , 𝜃, 𝑟1 > 𝑟𝐸 ) < 𝑌⏟ ⏟ 𝑃𝑂 (eccesso di offerta aggregata di beni). 800 1000 Gli squilibri tra i risparmi e gli investimenti e tra la domanda e l’offerta aggregata di beni non sono permanenti, perché, in base alla teoria neoclassica, essi vengono eliminati attraverso la variazione del tasso di interesse. Infatti, l’eccesso di risparmio, dovuto al fatto che le famiglie non riescono a collocare tutti i loro redditi non consumati presso le imprese, esercita una pressione che si traduce in una riduzione della remunerazione del risparmio. La caduta del tasso di interesse indurrà le famiglie ad aumentare i consumi a discapito dei risparmi, spingendo, al contempo, le imprese a incrementare i loro investimenti. Questo processo di aggiustamento prosegue sino a quando il tasso di interesse raggiunge il livello 𝑟𝐸 , in corrispondenza del quale i risparmi uguagliano gli investimenti: 𝑟 ↓ → 𝑆 ↓ e 𝐼 ↑ → 𝑟𝐸 → 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) = 𝐼(𝜃, 𝑟𝐸 ). Quando il tasso di interesse è pari a 𝑟𝐸 , non solo il mercato dei capitali, ma anche il mercato dei beni è in equilibrio. In effetti: 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) = 𝑌𝑃𝑂 − 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) = 𝐼(𝜃, 𝑟𝐸 ), e quindi 𝑌𝑃𝑂 = 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) + 𝐼(𝜃, 𝑟𝐸 ). 58 4.2.2. L’eccesso di domanda di risparmi (l’eccesso di domanda aggregata di beni) Ipotizziamo ora che sia 𝑟2 < 𝑟𝐸 , come nella figura 24. Figura 24 – L’aggiustamento verso l’equilibrio sul mercato dei capitali in caso di eccesso di domanda di risparmi In questo caso, il mercato dei capitali è caratterizzato da un eccesso di investimenti rispetto ai risparmi: 𝑆2 = 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟2 < 𝑟𝐸 ) < ⏟ 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) e ⏟ 𝐼2 = 𝐼(𝜃, 𝑟2 < 𝑟𝐸 ) > ⏟ 𝐼(𝜃, 𝑟𝐸 ) . ⏟ 200 300 400 300 Pertanto: a) ⏟ 𝐼2 = 𝐼(𝜃, 𝑟2 < 𝑟𝐸 ) > ⏟ 𝑆2 = 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟2 < 𝑟𝐸 ) . 400 200 Allo stesso tempo, si registra un eccesso di domanda aggregata sul mercato dei beni. Infatti: b) 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟2 < 𝑟𝐸 ) = 𝑌𝑃𝑂 − 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟2 < 𝑟𝐸 ). Di conseguenza, poiché 𝑌⏟ 𝑃𝑂 1000 −⏟ 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟2 < 𝑟𝐸 ) = ⏟ 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟2 < 𝑟𝐸 ), 200 800 59 sostituendo si ottiene 𝐼(𝜃, 𝑟2 < 𝑟𝐸 ) > ⏟ 𝑌𝑃𝑂 − 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟2 < 𝑟𝐸 ), ⏟ 200 400 e quindi 𝐶(𝑌 ⏟ 𝑟2 < 𝑟𝐸 ) > 𝑌⏟ ⏟ 𝑃𝑂 , 𝑟2 < 𝑟𝐸 ) + 𝐼(𝜃, 𝑃𝑂 (eccesso di domanda aggregata di beni). 800 400 1000 Anche in questo secondo caso, gli squilibri sul mercato dei capitali e sul mercato dei beni saranno eliminati da una variazione del tasso di interesse, perché l’eccesso di domanda di investimenti rispetto ai risparmi provoca un incremento del tasso di interesse che indurrà le famiglie ad aumentare i risparmi e le imprese a ridurre gli investimenti. Il processo di aggiustamento guidato dall’aumento del tasso di interesse continuerà fino a quando non sarà stato raggiunto il livello 𝑟𝐸 , in corrispondenza del quale anche il mercato dei beni torna in equilibrio: Infatti: 𝐼(𝜃, 𝑟2 < 𝑟𝐸 ) > 𝑆(𝑌0 , 𝑟2 < 𝑟𝐸 ) → 𝑟 ↑ → 𝑆 ↑ e 𝐼 ↓ → 𝑟𝐸 → 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) = 𝐼(𝜃, 𝑟𝐸 ). Inoltre: 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) = 𝑌𝑃𝑂 − 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) = 𝐼(𝜃, 𝑟𝐸 ), e quindi 𝑌𝑃𝑂 = 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) + 𝐼(𝜃, 𝑟𝐸 ). 4.3. L’equivalenza tra l’equilibrio sul mercato dei capitali e l’equilibrio sul mercato del credito Abbiamo già osservato che, all’interno del mercato dei capitali, le risorse risparmiate vengono scambiate mediante un contratto di credito che impegna le imprese a restituire la somma ricevuta in prestito aumentata di un interesse. Questa circostanza permette di sottolineare un altro rilevante aspetto della teoria neoclassica. Essa infatti postula che il mercato dei capitali coincide non solo con il mercato dei beni, ma anche con il mercato del credito. Nella teoria neoclassica la funzione di domanda di credito corrisponde alla funzione degli investimenti, mentre la funzione di offerta di credito corrisponde alla funzione di offerta di risparmio: 60 𝐿𝑑 (funzione di domanda di credito) = 𝐼(𝜃, 𝑟) (funzione degli investimenti), e 𝐿𝑠 (funzione di offerta di credito) = 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟) (funzione dei risparmi). Di conseguenza, anche il prezzo che assicura l’equilibrio sul mercato del credito è uguale al prezzo che garantisce l’equilibrio tra la domanda e l’offerta di risparmi sul mercato dei capitali: Prezzo del mercato del credito = Tasso di interesse del mercato dei capitali (𝑟). Figura 25 – L’equilibrio sul mercato dei capitali e sul mercato del credito In conclusione, nella teoria macroeconomica neoclassica vale la seguente equivalenza: Mercato dei beni = Mercato dei capitali = Mercato del credito. 5. Il modello neoclassico completo e la legge di Say 5.1. La coerenza della teoria neoclassica con la legge di Say L’analisi dei mercati del lavoro, dei beni, dei capitali e del credito ha permesso di mettere in luce l’asserzione fondamentale della teoria neoclassica secondo cui, all’interno di una economia di mercato, il meccanismo dei prezzi consente di assicurare 61 il raggiungimento dell’equilibrio di piena occupazione. Due sono i prezzi fondamentali che garantiscono il raggiungimento di questa condizione: i salari reali, le cui variazioni guidano il processo di aggiustamento verso l’equilibrio tra domanda e offerta sul mercato del lavoro, e il tasso di interesse, le cui fluttuazioni garantiscono la convergenza verso l’equilibrio tra la domanda aggregata e l’offerta aggregata di beni, tra la domanda e l’offerta di risorse risparmiate e tra la domanda e l’offerta di credito. Questa conclusione è coerente con il contenuto della legge di Say, che prende il nome dall’economista francese Jean Baptiste Say che la enunciò per la prima volta nel 1803. La legge di Say afferma che, in una economia di mercato, il livello del reddito (𝑌) dipende dalle decisioni di produzione poiché si manifesta sempre un flusso di domanda tale da garantire l’assorbimento del reddito di piena occupazione. In altri termini, secondo la legge di Say le decisioni di produzione creano invariabilmente le condizioni perché emerga un livello di domanda aggregata equivalente al reddito di piena occupazione. Pertanto, in base alla legge di Say, nelle economie di mercato vale la seguente sequenza causale: Decisioni di produzione → 𝑌𝑃𝑂 → 𝐷𝐴 = 𝑌𝑃𝑂 (è l' offerta a creare la domanda). Il significato della legge di Say è facilmente intuibile, se si considera una economia in cui si produce un unico bene. Tra il ‘700 e l’800, gli economisti classici, da Adam Smith fino a John Stuart Mill, hanno schematizzato i meccanismi di funzionamento delle economie di mercato prendendo a riferimento una economia grano, ovvero una economia in cui il solo bene prodotto era il grano, che poteva essere sia consumato che investito. Questo modello di funzionamento delle economie di mercato si attaglia tipicamente alla descrizione di una economia agricola, in cui l’attività produttiva è diretta alla realizzazione di pochi beni destinati a soddisfare l’insieme dei bisogni primari (o assoluti) espressi dalla collettività. In una economia di questo tipo il livello del reddito dipende dalle decisioni di produzione degli imprenditori. Sono gli imprenditori, infatti, che decidono il numero di lavoratori da assumere in base al criterio della massimizzazione dei profitti. Come abbiamo visto in precedenza, questo criterio di scelta prevede un confronto tra la produttività marginale del lavoro e il salario reale: 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁) ↔ 62 𝑊 . 𝑃 ∗ Dato il salario reale 𝑊 ⁄𝑃 , ogni impresa assumerà un numero di lavoratori 𝑁 ∗ tale da rispettare la seguente uguaglianza: 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁 ∗ ) 𝑊∗ = . 𝑃 Come sappiamo, questo criterio è alla base della costruzione della curva di domanda di lavoro. Il numero di lavoratori effettivamente assunto dalle imprese è determinato dall’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro e, secondo la teoria neoclassica, la flessibilità dei salari assicura che il salario reale raggiunga il livello in corrispondenza del quale si realizza la piena occupazione, perché tutti i lavoratori disposti a lavorare al salario di equilibrio determinato sul mercato del lavoro trovano un impiego. In corrispondenza del salario reale di equilibrio 𝑊 ⁄𝑃 𝐸 e del livello di occupazione di equilibrio 𝑁𝐸 , le imprese realizzano un livello di reddito definito dalla funzione di produzione: 𝑌𝑃𝑂 = 𝑓(𝑁𝐸 ). Secondo la legge di Say, le decisioni di produzione delle imprese determinano un livello di domanda aggregata (𝐷𝐴) tale da garantire l’assorbimento di tutta la produzione di piena occupazione: 𝐷𝐴 = 𝑌𝑃𝑂 . Questa asserzione è facilmente verificabile nel contesto di una economia grano. Infatti, parte del grano prodotto (𝑌𝑃𝑂 ) verrà consumata dai lavoratori e dagli imprenditori, mentre la parte non consumata verrà destinata a risparmio. Tuttavia, la quota di grano non consumata non rimarrà inutilizzata, perché verrà impiegata come mezzo di produzione. In altre parole, essa verrà investita, per esempio, come semente, oppure per pagare un certo numero di lavoratori impiegati nella costruzione di vanghe e aratri. Gli investimenti possono essere realizzati non solo dagli stessi soggetti che risparmiano il grano precedentemente prodotto, ma anche da soggetti diversi. In quest’ultimo caso, il grano risparmiato viene trasferito agli imprenditori sul mercato dei capitali attraverso la stipula di un contratto di credito. Nelle pagine precedenti, la descrizione dei meccanismi di funzionamento del mercato dei capitali era basata sull’ipotesi che il sistema fosse caratterizzato dalla completa dissociazione tra le decisioni di risparmio e quelle di investimento, ovvero che i soggetti che risparmiano una parte del loro reddito non coincidessero con i soggetti che investono la quota di reddito non consumata. Come abbiamo visto, il tasso di interesse è il prezzo che mette in equilibrio i risparmi e gli investimenti. In altri termini, le fluttuazioni del tasso di interesse assicurano che tutto il grano risparmiato venga anche investito, e quindi che si realizzi l’equivalenza tra la domanda aggregata e il reddito di piena occupazione. 63 Il significato della legge di Say può essere illustrato formalizzando il funzionamento dei tre mercati descritti in precedenza (il mercato del lavoro, il mercato dei beni e quello dei capitali) attraverso un sistema di equazioni. 5.2. Il sistema di equazioni, l’ordine di soluzione del sistema e la rappresentazione grafica del modello neoclassico completo I meccanismi di funzionamento delle economie di mercato teorizzati dagli economisti neoclassici sono rappresentati dal seguente sistema di sei equazioni. In particolare, le prime tre equazioni descrivono il mercato del lavoro, mentre le ultime tre descrivono il mercato dei beni, quello dei capitali e quello del credito: 𝑊 con 𝑓 ′ ( 𝑃 ) < 0 𝑊 con 𝑔′ ( 𝑃 ) > 0 1) 𝑁𝑑 = 𝑓 ( 𝑃 ) 2) 𝑁𝑠 = 𝑔 ( 𝑃 ) 3) 𝑁𝑑 = 𝑁𝑠 4) 𝑌 = 𝑌(𝑁) 5) 𝐷𝐴 = 𝑌 6) 𝐷𝐴 = 𝐶(𝑌, 𝑟) + 𝐼(𝜃, 𝑟) 𝑊 𝑊 con 𝑌 ′ (𝑁) > 0 Il sistema presenta sei incognite: 𝑁𝑑 , 𝑁𝑠 , 𝑊 𝑃 , 𝑌, 𝐷𝐴 e 𝑟. Poiché il numero di incognite è uguale al numero di equazioni, la condizione necessaria per l’esistenza di una soluzione per un sistema di equazioni lineari è soddisfatta. Il sistema di equazioni di cui sopra si caratterizza per la possibilità di individuare un ordine di soluzione. In altre parole, il sistema non si risolve simultaneamente. In effetti, possiamo osservare che le equazioni 1), 2) e 3), quelle che descrivono il funzionamento del mercato del lavoro, rappresentano un sottosistema autonomo formato da tre equazioni e da tre incognite che può essere risolto autonomamente e indipendentemente dalle altre equazioni. In particolare, la soluzione di queste tre equazioni consente di determinare il valore delle tre incognite 𝑁𝑑 , 𝑁𝑠 , e 𝑊 𝑃 . Il sottosistema del mercato del lavoro è caratterizzato dal vincolo rappresentato dall’uguaglianza tra domanda e offerta di lavoro. E’ questo vincolo ad assicurare l’esistenza dell’equilibrio sul mercato del lavoro. Indichiamo con 𝑁𝐸 il valore di equilibrio dell’occupazione e con 𝑊 ⁄𝑃𝐸 il livello di equilibrio del salario reale. Dato il valore dell’occupazione definito dall’uguaglianza tra domanda e offerta di lavoro (𝑁𝐸 ), l’equazione 4) determina il livello del reddito di piena occupazione: 𝑌𝑃𝑂 = 𝑌(𝑁𝐸 ). A sua volta, dato il reddito di piena occupazione (𝑌𝑃𝑂 ), l’equazione 5) definisce il livello della domanda aggregata: 64 𝐷𝐴 = 𝑌𝑃𝑂 . Infine, dati il livello del reddito di piena occupazione e il livello della domanda aggregata, l’equazione 6) determina il livello del tasso di interesse (𝑟𝐸 ) che garantisce l’esistenza di un flusso di domanda aggregata pari al reddito di piena occupazione. Infatti ,l’equazione 6) può essere riscritta nel modo seguente: 𝐷𝐴 = 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟) + 𝐼(𝜃, 𝑟) = 𝑌𝑃𝑂 , da cui si ottiene 𝑌𝑃𝑂 − 𝐶(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟) = 𝐼(𝜃, 𝑟), ovvero 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟) = 𝐼(𝜃, 𝑟). Quest’ultima relazione mostra anche l’equivalenza tra l’equilibrio sul mercato dei beni e l’equilibrio sui mercati dei capitali e del credito. Schematicamente: 𝐸𝑞𝑢𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 1,2,3 ⏞ 𝑁𝑑 = 𝑁𝑠 ; 𝑁𝐸 , 𝑊 ⁄𝑃 𝐸 𝐸𝑞𝑢𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 5,6 𝐸𝑞𝑢𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 4 → ⏞ 𝑌𝑃𝑂 = 𝑓(𝑁𝐸 ) → ⏞ 𝐷𝐴 = 𝐶(𝑌, 𝑟) + 𝐼(𝜃, 𝑟) = 𝑌𝑃𝑂 ; 𝑟𝐸 L’ordine di soluzione del modello macroeconomico neoclassico completo può essere illustrato graficamente come nella figura 26 più sotto. Anche dalla figura 26, infatti, si evince che nel modello macroeconomico neoclassico si determina prima l’equilibrio sul mercato del lavoro, e solo successivamente l’equilibrio sui mercati dei beni, dei capitali e del credito. I termini ‘prima’ e ‘successivamente’ non devono essere interpretati come se fossero riferiti a uno specifico tempo storico, poiché nel modello macroeconomico neoclassico presentato in queste pagine la dimensione temporale non viene considerata. Questi termini, tuttavia, assumono un importante significato logico, perché essi indicano che ogni variabile dipende soltanto dalle variabili che la precedono nella sequenza che definisce l’ordine di soluzione. Prendiamo, per esempio, il reddito di piena occupazione (𝑌𝑃𝑂 ). Esso dipende esclusivamente dalle forze che agiscono sul mercato del lavoro e non è influenzato dalle variabili che determinano l’equilibrio sul mercato dei beni. 65 Figura 26 – La rappresentazione grafica del modello neoclassico completo Ciò implica che il livello del reddito può variare soltanto in conseguenza di fenomeni che incidono sull’equilibrio del mercato del lavoro, ma non per effetto di cambiamenti nelle decisioni di consumo, risparmio e investimento. Questa fondamentale conclusione può essere meglio chiarita attraverso gli esempi che seguono. 5.2.1. Gli effetti di una variazione dell’offerta di lavoro Consideriamo innanzitutto le conseguenze prodotte da una modificazione della funzione di offerta di lavoro. Supponiamo, in particolare, che la funzione di offerta di lavoro si sposti verso destra, ovvero che, a parità di salario reale, il numero di lavoratori disposti a lavorare aumenti (figura 27). Se 𝑊 𝑊 𝑊 𝑊 𝑊 = → 𝑁𝑠 ′ ( ) > 𝑁𝑑 ( ) = 𝑁𝐸 → ↓ → 𝑁𝑠 ↓ 𝑒 𝑁𝑑 ↑ , 𝑃 𝑃𝐸 𝑃𝐸 𝑃𝐸 𝑃 sino a quando sul mercato si raggiunge un nuovo equilibrio, in cui 66 𝐸1 ↔ 𝑊 𝑊 𝑊 con 𝑁𝑠 ′ ( ) = 𝑁𝑑 ( ) = 𝑁𝐸 1 . 𝑃 𝐸1 𝑃 𝐸1 𝑃 𝐸1 Figura 27 – Gli effetti di una variazione dell’offerta di lavoro nel modello neoclassico completo L’aumento del numero di occupati determinerà un incremento della produzione. Infatti: se 𝑁 = 𝑁𝐸1 > 𝑁𝐸 allora 𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 ′ (𝑁𝐸1 ) > 𝑌𝑃𝑂 . Il cambiamento delle condizioni sul mercato del lavoro influenza anche la domanda aggregata, che deve adeguarsi al maggiore livello dell’offerta aggregata di beni. Come sappiamo, al crescere del reddito crescono pure i consumi e i risparmi. Ma perché si abbia un nuovo equilibrio sul mercato dei beni, è necessario che tutte le risorse risparmiate vengano investite. In altre parole, in conseguenza dell’aumento dei risparmi indotto dalla crescita del livello del reddito, gli investimenti devono aumentare in misura corrispondente. In precedenza abbiamo visto che questo aggiustamento è assicurato da una caduta del valore del tasso di interesse. 67 Se 𝑟 = 𝑟𝐸 → 𝑆(𝑌𝑃𝑂 ′ , 𝑟𝐸 ) > 𝐼(𝜃, 𝑟𝐸 ) → 𝑟 ↓ → 𝑆 ↓ 𝑒 𝐼 ↑, sino a quando anche il mercato dei beni raggiunge un nuovo equilibrio, in cui 𝐸1 ↔ 𝑟𝐸1 < 𝑟𝐸 con 𝑆(𝑌𝑃𝑂 ′ , 𝑟𝐸1 ) = 𝐼(𝜃, 𝑟𝐸1 ) e con 𝐷𝐴(𝑌𝑃𝑂 ′ , 𝜃, 𝑟𝐸1 ) = 𝑌𝑃𝑂 ′. 5.2.2. Gli effetti di una variazione delle decisioni di investimento delle imprese Consideriamo ora le conseguenze prodotte da una variazione della domanda aggregata. Ipotizziamo, in particolare, che siano le decisioni di investimento delle imprese a subire un cambiamento. Come ormai sappiamo, gli investimenti sono funzione delle variazioni del tasso di interesse e del livello atteso dei ricavi futuri. Supponiamo che le imprese formulino aspettative più pessimistiche, e si aspettino quindi minori ricavi futuri. Ciò significa che il volume degli investimenti si contrae a parità di livello del tasso di interesse. In altri termini, la funzione degli investimenti subisce uno spostamento verso sinistra (verso il basso) (figura 28). Figura 28 – Gli effetti di una variazione delle decisioni di investimento delle imprese nel modello neoclassico completo 68 Secondo la teoria neoclassica, questa variazione non produce alcun effetto sui livelli del reddito e dell’occupazione. Infatti, le condizioni di equilibrio del mercato del lavoro non subiscono alcuna modifica. L’unico cambiamento avviene sul mercato dei beni. Abbiamo visto poco sopra, che la condizione di equilibrio su questo mercato presuppone che si manifesti un flusso di domanda aggregata uguale al reddito di piena occupazione (𝐷𝐴 = 𝑌𝑃𝑂 ). Abbiamo anche visto che la realizzazione di questa condizione è assicurata dalle fluttuazioni del tasso di interesse, poiché in corrispondenza di uno squilibrio sul mercato dei beni esso varia in misura tale da garantire l’esistenza di un volume di investimenti pari al flusso di risparmi originato dal reddito di piena occupazione. Pertanto, a parità di altri fattori, una variazione delle decisioni di investimento delle imprese determina anche una variazione del tasso di interesse. Nella figura 28, il punto 𝐸, cui corrisponde un valore del tasso di interesse pari a 𝑟𝐸 , riflette la posizione di equilibrio iniziale. Se la funzione degli investimenti si sposta verso il basso, in corrispondenza del tasso di interesse 𝑟𝐸 si registrerà un eccesso di risparmio rispetto alla domanda per beni di investimento. Questo squilibrio provocherà una riduzione del tasso di interesse che spingerà il mercato verso una nuova posizione di equilibrio (𝐸2 ), caratterizzata non solo da un minor valore del tasso di interesse (𝑟𝐸2 ), ma anche da un minor flusso di risparmi e di investimenti. Se 𝑟 = 𝑟𝐸 → 𝐼 ′ (𝜃, 𝑟𝐸 ) < 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) → 𝑟 ↓ → 𝑆 ↓ 𝑒 𝐼 ↑, sino a quando il mercato dei beni raggiunge un nuovo equilibrio, in cui 𝐸2 ↔ 𝑟𝐸2 < 𝑟𝐸 con 𝐼 ′ (𝜃, 𝑟𝐸2 ) = 𝑆(𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸2 ) e con 𝐷𝐴(𝑌𝑃𝑂 , 𝜃, 𝑟𝐸2 ) = 𝑌𝑃𝑂 . 5.2.3. Gli effetti di una variazione delle decisioni di consumo e di risparmio Infine, consideriamo le conseguenze di una variazione della propensione al consumo, e quindi della propensione al risparmio, delle famiglie. Supponiamo, in particolare, che le famiglie decidano di ridurre i consumi e di aumentare i risparmi. Questo cambiamento implica uno spostamento verso destra della funzione dei risparmi (figura 29). Come nel caso di una variazione delle decisioni di investimento delle imprese, anche un cambiamento delle decisioni relative ai consumi e ai risparmi non produce alcun effetto sul livello della occupazione (𝑁𝐸 ) e sul reddito di piena occupazione (𝑌𝑃𝑂 ). Anche in questo caso, infatti, le uniche conseguenze riguardano l’equilibrio sul mercato dei beni. A seguito dello spostamento verso destra della funzione dei risparmi, in corrispondenza del vecchio valore di equilibrio del tasso di interesse (𝑟𝐸 ) si registra un eccesso di risparmio che determina una riduzione del tasso di interesse. Il processo di aggiustamento guidato dalla variazione a ribasso del tasso di interesse si conclude quando il sistema raggiunge una nuova posizione di equilibrio (𝐸3 ), contraddistinta da 69 un valore del tasso di interesse pari a 𝑟𝐸3 , cui corrisponde un flusso di risparmi e di investimenti più elevato rispetto a quello che caratterizzava la posizione di equilibrio iniziale. Figura 29 – Gli effetti di una variazione delle decisioni di consumo e di risparmio nel modello neoclassico completo Se 𝑟 = 𝑟𝐸 → 𝑆 ′ (𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) > 𝐼(𝜃, 𝑟𝐸 ) → 𝑟 ↓ → 𝑆 ↓ 𝑒 𝐼 ↑, sino a quando il mercato dei beni raggiunge un nuovo equilibrio, in cui 𝐸3 ↔ 𝑟𝐸3 < 𝑟𝐸 con 𝑆 ′ (𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸3 ) = 𝐼(𝜃, 𝑟𝐸3 ) e con 𝐷𝐴(𝑌𝑃𝑂 , 𝜃, 𝑟𝐸3 ) = 𝑌𝑃𝑂 . 70 6. La teoria neoclassica della moneta e la dicotomia del modello macroeconomico neoclassico prekeynesiano 6.1. Le caratteristiche della teoria neoclassica della moneta La teoria della moneta, che ne descrive le funzioni e il ruolo svolto nell’ambito del sistema economico, rappresenta una componente fondamentale di ogni teoria macroeconomica. L’aspetto più significativo della teoria neoclassica della moneta consiste nell’affermazione del principio di neutralità della moneta, secondo cui, in una economia di mercato, la moneta non influenza i livelli del reddito e dell’occupazione. Questo aspetto della teoria neoclassica può essere meglio chiarito ricordando le conclusioni che hanno accompagnato l’analisi precedente relativa ai meccanismi di funzionamento dei mercati del lavoro, dei beni e dei capitali. Le relazioni che caratterizzano questi mercati permettono infatti di specificare i fattori che, nell’ambito della teoria neoclassica, determinano i livelli del reddito e dell’occupazione. Questi ultimi, come si ricorderà, cambiano soltanto in funzione di determinate variazioni delle variabili ‘reali’ del sistema, quali le dotazioni di capitale e lavoro, e il grado di sviluppo tecnologico, che trova espressione nelle caratteristiche della funzione di produzione. La moneta, invece, non compare mai tra i fattori che definiscono i livelli di equilibrio del reddito e dell’occupazione. Pertanto, nel quadro della teoria neoclassica la moneta rappresenta una grandezza neutrale, un semplice ‘velo’ che non incide sulla determinazione delle grandezze reali del sistema. Come vedremo meglio tra poco, la teoria neoclassica della moneta coincide con la teoria quantitativa della moneta, le cui prime formulazioni risalgono al XVII secolo. Le caratteristiche salienti della teoria neoclassica della moneta possono essere sintetizzate attraverso i tre punti seguenti. 1. Le funzioni della moneta Nella teoria neoclassica la funzione fondamentale della moneta è quella di essere un mezzo di scambio, ovvero uno strumento che serve a ridurre i costi dello scambio rispetto a una economia di baratto. In una economia di baratto, infatti, gli scambi sono più costosi per due ragioni. In primo luogo, perché essi richiedono una doppia coincidenza di bisogni. In secondo luogo, perché occorre anche una coincidenza tra le quantità scambiate. Mentre uno scambio tra un paio di scarpe e una giacca può essere ragionevole, il baratto che ha per oggetto la cessione di una casa è molto più complicato, perché è difficile individuare la qualità e le quantità dei beni da chiedere in contropartita. 71 2. Il principio di neutralità della moneta Questo principio, già enunciato poco sopra, non postula l’inutilità della moneta. Come abbiamo appena visto, secondo gli economisti neoclassici la sua utilità si manifesta come strumento che elimina gli inconvenienti che caratterizzano gli scambi in una economia di baratto. Tuttavia, esso implica che l’impiego della moneta non modifica la struttura del sistema economico, che, fondamentalmente, resta quella di una economia di baratto. In altri termini, nella teoria neoclassica la natura essenziale dei traffici economici consiste nello scambio tra beni, mentre la moneta è soltanto un mezzo che ne riduce i costi. La moneta è ottenuta cedendo beni, ed è successivamente impiegata per acquistare altri beni. Nulla di più. Di conseguenza, essa non esercita alcuna influenza sul processo produttivo né sui meccanismi di determinazione dei livelli del reddito e dell’occupazione. 3. La natura monetaria dell’inflazione Il terzo elemento che caratterizza la teoria neoclassica della moneta riguarda la specificazione degli effetti prodotti da una variazione della quantità di moneta in circolazione. In base alla teoria neoclassica, infatti, le variazioni della quantità di moneta influenzano il livello dei prezzi. Essa, cioè, individua una relazione diretta tra il tasso di variazione della quantità di moneta e il tasso di inflazione. Di conseguenza, secondo la teoria neoclassica l’inflazione è un fenomeno intrinsecamente monetario: 𝑀̇ (tasso di variazione della quantità di moneta) → 𝑃̇ (tasso di inflazione). Per chiarire questa relazione, è necessario specificare preliminarmente i fattori che determinano il tasso di variazione della quantità di moneta. A tal fine, è opportuno distinguere tra moneta-merce e moneta-segno. 6.2. La distinzione tra moneta-merce e moneta-segno La moneta-merce è una moneta che ha un proprio valore intrinseco perché rappresenta uno dei beni prodotti all’interno del sistema economico. Tra tutti i beni prodotti, questo bene viene scelto come mezzo di scambio in virtù delle sue particolari caratteristiche fisiche. Esso, infatti, deve godere delle seguenti proprietà: i) essere non deperibile/durevole; ii) essere facilmente conservabile; iii) essere divisibile. Nella storia dell’umanità è possibile individuare molti esempi di moneta-merce. Il primo esempio è quello del bestiame, che nell’antichità rappresentava la fonte principale di ricchezza. L’espressione ‘pecunia’ deriva dal latino pecus, che indicava proprio il bestiame. Un altro esempio di moneta-merce è quello del sale, che è all’origine dell’espressione ‘salario’. Ma l’esempio più significativo, e certamente anche più noto, di moneta-merce è quello dei metalli preziosi (oro e argento soprattutto), che hanno dato 72 vita al fenomeno della moneta metallica. I metalli preziosi, infatti, possiedono in massima misura le caratteristiche che possono trasformare una merce in moneta: la non deperibilità, la facilità di conservazione e la divisibilità in unità omogenee. Quest’ultima caratteristica deriva dal processo di coniazione, che consiste nella produzione di pezzi di metallo dotati delle stesse qualità e dello stesso peso. Riflettendo sulla moneta metallica, possiamo concludere che, in definitiva, la quantità di moneta in circolazione dipende dagli stessi fattori che influenzano la produzione delle altre merci. Nel caso specifico dei metalli preziosi la quantità disponibile è cioè funzione della scoperta di nuovi giacimenti e dell’introduzione di tecnologie che ne facilitano l’estrazione. Possiamo quindi osservare che, se la moneta è una merce, tutti i soggetti economici sono potenzialmente in grado di produrre moneta. Il secondo tipo di moneta è la moneta-segno, che consiste in una moneta priva di qualunque valore intrinseco. L’esempio tipico di moneta-segno è costituito dalla carta moneta, ovvero dagli euro, o dalle altre valute (dollaro, yen, sterlina, franco svizzero etc.), che vengono comunemente usate come mezzo di pagamento. Storicamente, la moneta-segno è nata come espressione della moneta metallica, sotto forma di un titolo di credito che attribuiva al portatore il diritto di ricevere in cambio una certa quantità di metalli preziosi (l’oro, in particolare.). Non a caso, le monete cartacee di uso comune vengono chiamate ‘banconote’. In passato, questo termine indicava i titoli di credito emessi dalle banche a fronte di un deposito di moneta aurea. Ai giorni nostri, la quantità di carta moneta in circolazione nel sistema economico non ha più alcun legame quantitativo con le riserve auree custodite dalle banche centrali. In effetti, da più di quarant’anni, dalla dichiarazione di non convertibilità del dollaro in oro rilasciata nell’agosto del 1971 dall’allora Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, nessuna banconota è più convertibile in oro. Mentre la moneta-merce può essere prodotta da chiunque, ciò non è vero nel caso della moneta-segno. La produzione di euro, e più in generale di ogni altra valuta, è riservata per legge alle autorità monetarie. Nel caso dell’euro, che è attualmente in uso in 19 dei 28 paesi aderenti all’Unione Europea, la produzione di moneta è di esclusiva competenza del Sistema europeo di banche centrali (SEBC), sotto la regia della Banca centrale europea (BCE). Definita la distinzione tra moneta-merce e moneta-segno, possiamo ora dedicarci alla illustrazione della relazione tra il tasso di variazione della quantità di moneta e il tasso di inflazione. 6.3. L’equazione degli scambi di Fisher e la teoria quantitativa della moneta Dati il livello delle transazioni realizzate in un determinato intervallo di tempo (𝑇) e la quantità di moneta in circolazione nel medesimo lasso di tempo (𝑀), definiamo velocità di circolazione della moneta (𝑉) il seguente rapporto: 73 a) 𝑉 = 𝑇 . 𝑀 A questo proposito, consideriamo il seguente esempio numerico. Supponiamo che 𝑇 = 1000 e 𝑀 = 200. In questo caso si avrà: 𝑉= 𝑇 1000 = = 5. 𝑀 200 Ciò significa, che, nell’intervallo di tempo preso a riferimento, mediamente, ogni unità di moneta è stata impiegata per realizzare un ammontare di transazioni del valore di 5 unità di moneta. In altri termini, in media, ogni unità di moneta è stata utilizzata cinque volte per effettuare delle transazioni nell’intervallo di tempo considerato. Dalla a) si ricava: b) 𝑀 ∙ 𝑉 = 𝑇. Poiché il volume complessivo di transazioni realizzato in un determinato paese in un dato periodo di tempo (per esempio un anno) è molto difficile da misurare, il valore di 𝑉 viene calcolato utilizzando al posto delle transazioni il valore del PIL a prezzi correnti (𝑌𝑁 ). Effettuando le opportune sostituzioni, si ottiene: c) 𝑉 = 𝑌𝑁 , e 𝑀 d) 𝑀 ∙ 𝑉 = 𝑌𝑁 . Tornando alla definizione di deflatore del PIL, ricordiamo che esso corrisponde al rapporto tra il reddito nominale (𝑌𝑁 ) e il reddito reale (𝑌𝑅 ): 𝑃= 𝑌𝑁 . 𝑌𝑅 Dalla espressione del deflatore del PIL si ricava la seguente definizione di reddito nominale: 𝑌𝑁 = 𝑃 ∙ 𝑌𝑅 . Indicando, per semplicità, il reddito reale (𝑌𝑅 ) con 𝑌, si ottiene: e) 𝑌𝑁 = 𝑃 ∙ 𝑌. 74 Infine, sostituendo la d) nella e) si ricava l’espressione comunemente nota come equazione degli scambi di Fisher, dal nome del celebre economista statunitense Irving Fisher che la formulò all’inizio del XX secolo: f) 𝑀 ∙ 𝑉 = 𝑃 ∙ 𝑌. In realtà, l’equazione degli scambi di Fisher rappresenta una identità, perché è sempre vero che, a livello aggregato, il valore totale delle vendite (corrispondente al prodotto tra un indice dei prezzi (𝑃) e un indicatore delle quantità scambiate (𝑌)) è uguale alla spesa monetaria sostenuta per gli acquisti (data dal prodotto tra la quantità di moneta in circolazione (𝑀) e la velocità di circolazione di ciascuna unità monetaria (𝑉)). Per giungere alla enunciazione della teoria quantitativa della moneta, e quindi alla definizione di una relazione causale tra le variazioni della quantità di moneta (𝑀) e il livello generale dei prezzi (𝑃), o, in termini dinamici, tra il tasso di variazione della ̇ e il tasso di inflazione (𝑃̇), è necessario formulare determinate quantità di moneta (𝑀) assunzioni sulle variabili comprese nella identità degli scambi. In particolare, devono verificarsi le seguenti tre condizioni: 1. E’ necessario che la quantità di moneta (𝑀) sia la variabile indipendente e che il livello generale dei prezzi (𝑃) sia la variabile dipendente. Occorre cioè che la quantità di moneta in circolazione vari indipendentemente dalle variazioni del livello generale dei prezzi. Secondo la teoria neoclassica, questa condizione è soddisfatta, perché la quantità di moneta è determinata esogenamente dalle decisioni della Banca centrale (la moneta è esogena). 2. E’ necessario che le variazioni della quantità di moneta non incidano sul livello del reddito reale (𝑌). In altri termini, 𝑌 deve essere indipendente da 𝑀. Per gli economisti neoclassici, anche questa seconda condizione è soddisfatta, perché la flessibilità dei salari e del tasso di interesse assicurano l’uguaglianza tra il reddito reale di equilibrio e il reddito di piena occupazione (𝑌𝑃𝑂 ), una grandezza che, come abbiamo visto in precedenza, è del tutto indipendente dalla quantità di moneta in circolazione. 3. Infine, è necessario che le variazioni della quantità di moneta non influenzino il valore della velocità di circolazione della moneta (𝑉). Nell’ambito del quadro teorico neoclassico anche quest’ultima condizione è soddisfatta. Possiamo illustrare questo punto attraverso un semplice esempio numerico, ispirato a una delle prime formulazioni della teoria quantitativa della moneta, quella elaborata da David Hume verso la metà del ‘700. Consideriamo un sistema economico in cui il reddito (reale) di piena occupazione (𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 ) è pari a 1000, e in cui il livello dei prezzi (𝑃0 ) è pari a 1, mentre la quantità di moneta in circolazione (𝑀0 ) è uguale a 200, ove per moneta in circolazione si 75 intende la moneta posseduta dai cittadini di un determinato paese. Valgono quindi le seguenti relazioni: 𝑌𝑁 = 𝑌𝑃𝑂 ∙ 𝑃0 = 1000 ∙ 1 = 1000, 𝑉0 = 𝑌𝑁 1000 = = 5, e 𝑀0 2000 𝑀0 ∙ 𝑉0 = 𝑃0 ∙ 𝑌𝑃𝑂 = 200 ∙ 5 = 1 ∙ 1000. Supponiamo che, improvvisamente, dalla sera alla mattina, la quantità di moneta in circolazione raddoppi. In altri termini, ipotizziamo che una mattina gli abitanti del paese preso in considerazione si sveglino avendo in tasca una quantità di moneta doppia rispetto a quella posseduta la sera prima. Quali saranno le conseguenze di questo evento? Possiamo distinguere tra due alternative. In primo luogo, possiamo assumere che non succeda niente, ovvero che i cittadini, pur trovandosi in possesso di una quantità di moneta doppia rispetto a quella di cui disponevano la sera precedente, si comportino come se la quantità di moneta non avesse subito variazioni. Essi, quindi, effettueranno esattamente gli stessi acquisti che avrebbero realizzato in precedenza. Di conseguenza, non si avrà alcuna variazione del livello del reddito né del livello generale dei prezzi. A parità di reddito reale, reddito nominale e livello generale dei prezzi, poiché la quantità di moneta è raddoppiata, la velocità di circolazione della moneta si dimezza. Infatti: 𝑀1 ≠ 𝑀0 , con 𝑀1 = 400, 𝑃1 = 𝑃0 = 1, 𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 = 1000. Pertanto: 𝑌𝑁 = 𝑌𝑃𝑂 ∙ 𝑃1 = 1000 ∙ 1 = 1000, e 𝑉1 = 𝑌𝑁 1 ∙ 1000 = = 2,5. 𝑀1 400 In questo caso, la velocità di circolazione della moneta non è indipendente rispetto alla quantità di moneta in circolazione. All’aumentare della quantità di moneta, la velocità di circolazione della moneta è diminuita: 𝑀 ↑ → 𝑉 ↓ → 𝑀 ∙ 𝑉 = 𝑃 ∙ 𝑌. 76 Tuttavia, secondo i sostenitori della teoria quantitativa della moneta questo scenario è irrealistico. Essi, infatti, ritengono che l’aumento della quantità di moneta posseduta dai cittadini influenzerà le loro decisioni di spesa, perché svegliandosi improvvisamente con una quantità di moneta doppia rispetto a quella posseduta la sera precedente essi si sentiranno più ricchi e saranno quindi indotti a utilizzarla per aumentare la domanda di beni: 𝑀 ↑ → 𝐷𝐴 ↑. Quali saranno le conseguenze di questo incremento della domanda aggregata? Il reddito prodotto aumenterà o rimarrà costante? La risposta fornita a questi quesiti dalla teoria neoclassica è che il livello del reddito non cambia, restando cioè fisso al livello di piena occupazione. L’eccesso di domanda aggregata di beni provoca invece un aumento del livello generale dei prezzi: se 𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 → 𝐷𝐴 > 𝑌𝑃𝑂 → 𝑃 ↑. Questa conclusione è coerente con l’accettazione del postulato della legge di Say, secondo cui il livello del reddito dipende dalle decisioni di produzione (è l’offerta che crea la propria domanda) e non dal livello della domanda aggregata. Possiamo illustrare tale conclusione partendo dalla considerazione della posizione di equilibrio sul mercato dei beni individuata dal punto 𝐸 nella figura 30. In corrispondenza del livello di occupazione 𝑁𝐸 il reddito si trova al livello di piena occupazione, con 𝑌𝑃𝑂 = 1000. Questa posizione di equilibrio caratterizza la situazione del sistema economico prima dell’improvviso aumento della quantità di moneta che induce le famiglie a espandere la domanda aggregata di beni. Come si può notare dall’esame della figura 30, l’aumento della domanda aggregata non produce alcun effetto sul livello del reddito reale. Infatti, per aumentare la produzione è necessario aumentare il numero di lavoratori occupati (𝑁), spingendolo oltre il valore 𝑁𝐸 , sino a portarlo, per esempio, al livello 𝑁1 . Tuttavia, dall’analisi della rappresentazione del mercato del lavoro contenuta nella figura 30 si evince chiaramente che questo risultato non può essere ottenuto. Per ottenere un livello di occupazione uguale a 𝑁1 , è necessario che, da un lato, i lavoratori siano disposti a offrire una quantità di lavoro pari a 𝑁𝑠 = 𝑁1 , ma ciò è possibile soltanto se il salario reale fosse pari a 𝑊 ⁄𝑃𝑠 . Dall’altro lato, occorre che le imprese siano disposte ad assumere un numero di lavoratori pari a 𝑁𝑑 = 𝑁1 , ma ciò richiederebbe che il livello del salario reale fosse pari a 𝑊 ⁄𝑃 𝑑 : 𝑁 = 𝑁1 in corrispondenza di 𝑊 𝑃 = 𝑊 𝑃𝑠 → se 𝑁𝑠 = 𝑁1 , e 77 in corrispondenza di 𝑊 𝑃 = 𝑊 𝑃𝑑 → 𝑁𝑑 = 𝑁1 . Figura 30 – L’unicità dell’equilibrio di piena occupazione nel modello neoclassico Ma poiché: 𝑊 𝑊 < 𝑃𝑑 𝑃𝑠 non è possibile espandere l’occupazione sino al livello 𝑁1 . Di conseguenza, restando il reddito costante al livello determinato univocamente dall’equilibrio tra la domanda e l’offerta di lavoro (𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 ), l’eccesso di domanda aggregata di beni provocato dall’aumento della quantità di moneta avrà come unico effetto quello di causare un incremento del livello generale dei prezzi: 78 𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 → 𝑀↑ → 𝑃 ↑. In termini dinamici, una crescita del tasso di variazione della quantità di moneta determina un aumento del tasso di inflazione: 𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 → 𝑀̇ ↑ → 𝑃̇ ↑. In conclusione, in base alla teoria quantitativa della moneta, la velocità di circolazione (𝑉) è indipendente dalle variazioni della quantità di moneta (𝑀), e le fluttuazioni della domanda aggregata a esse imputabili si scaricano esclusivamente sul livello generale dei prezzi (𝑃). 6.4. La natura dicotomica del modello macroeconomico neoclassico Il modello macroeconomico neoclassico presenta una netta dicotomia tra il settore reale e quello monetario dell’economia. Le equazioni che descrivono la parte reale del sistema (paragrafo 5.2) non contengono variabili monetarie e, dati la tecnologia, le preferenze dei consumatori e le dotazioni iniziali di lavoro e di capitale, esse consentono di definire i valori di equilibrio di tutte le grandezze reali (il livello di piena occupazione della produzione, il livello del tasso di interesse, i livelli dei consumi e degli investimenti). Il modello è completato dal sottosistema di equazioni che descrive l’equilibrio sul mercato della moneta. Questo sottosistema di equazioni è composto dall’identità degli scambi di Fisher e dalle tre condizioni poste sopra affinché tale identità possa trasformarsi nella teoria quantitativa della moneta, ovvero in un quadro di riferimento teorico in cui la quantità di moneta non influenza il settore reale dell’economia, ma è neutrale rispetto a esso, definendo esclusivamente il valore monetario delle variabili già determinate in termini reali. Nella teoria neoclassica, quindi, la moneta non è null’altro che un ‘velo’ dietro al quale operano le forze dell’economia reale. Specifichiamo il sottosistema di quattro equazioni che completano il modello macroeconomico neoclassico nel modo seguente: 7) 8) 9) 10) 𝑀∙𝑉 =𝑃∙𝑌 ̅ 𝑀=𝑀 𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 𝑉 = 𝑉̅ . Questo sistema di quattro equazioni lineari in quattro incognite (𝑀, 𝑉, 𝑃 e 𝑌) può essere ridotto a una sola equazione in una incognita, sostituendo le equazioni 2), 3) e 4) nella 1), e ricordando che: 79 la quantità di moneta è data esogenamente, perché controllata dalle autorità monetarie, il livello del reddito è indipendente dalla quantità di moneta, perché, dati lo stock di capitale e la tecnologia definita dalla funzione di produzione, esso è univocamente determinato dall’equilibrio tra domanda e offerta di lavoro, e la velocità di circolazione della moneta è costante, perché è anch’essa indipendente dalla quantità di moneta e data da elementi istituzionali che variano soltanto nel lungo periodo (quali, ad esempio, le abitudini di pagamento e il grado di integrazione dei settori produttivi) Pertanto, possiamo scrivere: ̅ ∙ 𝑉̅ = 𝑃 ∙ 𝑌𝑃𝑂 . 𝑀 Questa equazione, che corrisponde alla teoria quantitativa della moneta, definisce la relazione causale che lega la quantità di moneta controllata dalle autorità monetarie al livello generale dei prezzi. Possiamo illustrare tale relazione causale attraverso il seguente esempio numerico: se 𝑀0 = 200, 𝑌𝑃𝑂 = 1000 e 𝑉̅ = 5 → 𝑃0 = 1. se 𝑀1 = 400, 𝑌𝑃𝑂 = 1000 e 𝑉̅ = 5 → 𝑃1 = 2. Viceversa: Questo banale esempio numerico ci consente di concludere che, in base alla teoria quantitativa della moneta, una variazione della quantità di moneta decisa dalle autorità monetarie determina una variazione proporzionale dei prezzi, con il fattore di proporzionalità dato dal rapporto tra la velocità di circolazione della moneta e il livello del reddito di piena occupazione: 𝑃= 𝑉̅ ̅. ∙𝑀 𝑌𝑃𝑂 Poiché tale fattore di proporzionalità è costante, a una determinata variazione percentuale della quantità di moneta corrisponde una uguale variazione percentuale del livello generale dei prezzi. Infatti, con riferimento all’esempio di cui sopra, al raddoppio della quantità di moneta ha fatto seguito il raddoppio del livello generale dei prezzi. In altre parole, il tasso di inflazione (𝑃̇) è uguale al tasso di variazione della quantità di ̇ . moneta (𝑀) 80 Per un ulteriore esempio illustrativo della teoria quantitativa della moneta si veda l’appendice 1 in Bertocco G., La crisi e le responsabilità degli economisti, Francesco Brioschi Editore, Milano, 2015. 81 82 PARTE SECONDA La rivoluzione keynesiana e i modelli della ortodossia keynesiana della ‘sintesi neoclassica’ negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso 1. La rivoluzione keynesiana 1.1. La distinzione tra ‘real-exchange economy’ e ‘monetary economy’ Negli anni Trenta del secolo scorso si è sviluppata una teoria macroeconomica alternativa a quella neoclassica che trae origine dal libro pubblicato nel 1936 dall’economista inglese John Maynard Keynes, intitolato La Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta. Keynes fu indotto a mettere in discussione la validità della teoria neoclassica e a elaborare una teoria economica alternativa dalla crisi finanziaria del 1929 e dalla successiva Grande Depressione. Questi fenomeni, infatti, non sembravano coerenti con le conclusioni della teoria neoclassica illustrate nella prima parte del corso, secondo cui la flessibilità dei prezzi, e in particolare quella dei salari e del tasso di interesse, assicurano il raggiungimento dell’equilibrio di piena occupazione. A giudizio degli economisti neoclassici, il sistema può essere caratterizzato da temporanee fluttuazioni del reddito e dell’occupazione dovute a squilibri tra domanda e offerta di lavoro. Tuttavia, se il sistema dei prezzi è lasciato libero di dispiegare i suoi effetti, questi squilibri vengono rapidamente eliminati grazie alla flessibilità dei salari e del tasso di interesse, e l’economia si trova sostanzialmente in una condizione di costante piena utilizzazione delle forze di lavoro disponibili a lavorare al salario di equilibrio determinato dall’incontro tra domanda e offerta sul mercato del lavoro. La Grande Depressione degli anni Trenta fu invece caratterizzata da un fortissimo aumento del tasso di disoccupazione. Dopo il crollo della borsa di New York nell’ottobre del 1929, tra la fine dello stesso anno e il 1933, negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione passò dal 3,2 al 24,9 per cento. La disoccupazione di massa fu superata soltanto dopo il secondo conflitto mondiale. Ma già all’inizio degli anni Trenta Keynes concluse che la teoria neoclassica non era adatta a descrivere i meccanismi di funzionamento delle moderne economie di mercato. Egli riteneva, infatti, che la teoria neoclassica fosse figlia di una visione idonea a rappresentare le caratteristiche di un sistema economico molto diverso dalle economie contemporanee (si veda il capitolo 4 in Bertocco G., La crisi e le responsabilità degli economisti, Francesco Brioschi Editore, Milano, 2015 – di seguito indicheremo i richiami a questo testo con la sigla GB). Per illustrare le sue convinzioni, Keynes fece ricorso a una classificazione introdotta da Marx per distinguere due sistemi economici profondamente differenti. Il primo sistema è descritto dalla sequenza: Merce (M) → Denaro (D) → Merce (Mʼ), che Marx ha definito con riferimento alla ‘circolazione semplice delle merci’. Nel secondo sistema, invece, vale la sequenza: 83 Denaro (D) → Merce (M) → Denaro (Dʼ), che, secondo Marx, descrive la realtà delle economie capitaliste, contraddistinte dalla ‘circolazione del denaro come merce’ (si veda GB, capitolo 5). Keynes afferma che la teoria neoclassica è in grado di descrivere soltanto il funzionamento del primo tipo di economia, che egli definisce con l’espressione realexchange economy. Con tale espressione, Keynes fa riferimento a un sistema economico in cui la moneta è un semplice mezzo di scambio, e in cui la produzione di beni è la condizione imprescindibile per domandare e ottenere altri beni. La real-exchange economy di Keynes è una realtà formata da piccoli produttori, ognuno dei quali si specializza nella produzione di uno dei pochi beni necessari a soddisfare i bisogni assoluti espressi dalle famiglie. Sebbene gli scambi avvengano attraverso l’impiego della moneta, la struttura di questo sistema replica intimamente quella di una economia di baratto. La moneta è una grandezza neutrale e vale la legge di Say, perché lo scopo dell’attività economica consiste nella produzione di beni che rappresentano l’unico mezzo per poter entrare in possesso della moneta con cui acquistare altri beni. Il funzionamento di una economia di questo tipo, che, per caratteristiche, è sostanzialmente assimilabile a una economia di natura agricola, può essere spiegato utilizzando modelli basati sull’assunzione semplificatrice che venga prodotto un unico bene. Si pensi, per esempio, all’economia grano descritta dagli economisti classici. Secondo Keynes, le economie in cui realmente viviamo sono invece rappresentate adeguatamente dalla sequenza Denaro (D) → Merce (M) → Denaro (Dʼ), perché essa consente di metterne in evidenza due aspetti fondamentali. In primo luogo, infatti, questa sequenza mostra come l’obiettivo dell’attività economica non coincida con la produzione di beni, ma consista invece nell’ottenimento di un profitto misurato in termini monetari dalla differenza tra D’ e D. L’accumulazione di denaro rappresenta cioè il vero obiettivo dell’attività economica, rispetto al quale la produzione di beni è meramente strumentale. Il secondo aspetto fondamentale messo in luce dalla sequenza Denaro (D) → Merce (M) → Denaro (Dʼ) è il fatto che la disponibilità di moneta, e non di beni, rappresenta la condizione necessaria per domandare e ottenere altri beni. Anche nell’economia grano i beni si acquistano mediante moneta, ma è la produzione di beni che consente di entrare in possesso della moneta utilizzata nello scambio per altri beni. La seconda sequenza introdotta da Marx e riproposta da Keynes si applica invece a un sistema economico in cui la produzione di beni finalizzata all’ottenimento di un profitto di natura monetaria presuppone, può cioè iniziare, soltanto a condizione che si disponga di un certo ammontare di moneta. Mentre nell’economia descritta dalla teoria neoclassica la produzione di beni rappresenta la condizione necessaria per ottenere moneta, a giudizio di Marx e di Keynes, nelle economie contemporanee la disponibilità di moneta costituisce il presupposto imprescindibile per la produzione di beni. Di conseguenza, 84 nelle moderne economie di mercato il processo di creazione della moneta assume un ruolo assolutamente centrale. L’economia caratterizzata dalla sequenza Denaro (D) → Merce (M) → Denaro (Dʼ) è una economia di tipo industriale, dominata dalla presenza di grandi imprese che non perseguono l’obiettivo di produrre beni da scambiare con altri beni per soddisfare un limitato insieme di bisogni assoluti, bensì quello di conseguire un profitto monetario attraverso la vendita di prodotti che rappresentano il risultato di un complesso processo organizzativo. In altri termini, l’obiettivo di un’impresa che produce automobili non consiste nello scambio degli autoveicoli con altri beni, ma nella vendita di automobili in cambio di moneta allo scopo di poter ottenere un profitto monetario. In una economia industriale, inoltre, la moneta non rappresenta soltanto il fine ultimo dell’attività economica, ma ne costituisce anche il presupposto. L’imprenditore che intende costruire automobili deve infatti disporre di un cospicua quantità di moneta per poter realizzare gli investimenti necessari e per poter pagare i lavoratori impiegati nel processo produttivo. La disponibilità di moneta rappresenta quindi la condizione necessaria per realizzare profitti di natura monetaria. In sintesi, la struttura di un sistema economico in cui vale la sequenza Denaro (D) → Merce (M) → Denaro (Dʼ) è profondamente diversa da quella di una economia di baratto, perché in esso la moneta svolge un ruolo tutt’altro che neutrale. La moneta, infatti, si rivela essenziale, perché: i) la sua disponibilità rappresenta la condizione necessaria per poter produrre e domandare beni; ii) la sua accumulazione è il vero obiettivo dell’attività economica. A questo punto sorge spontaneo chiedersi per quali motivi in una economia di tipo agricolo, e quindi caratterizzata dalla sequenza Merce (M) → Denaro (D) →Merce (M’), il vero obiettivo dei soggetti economici non consista nella accumulazione di moneta. Chi fosse interessato alla risposta a questa domanda troverà una spiegazione del diverso atteggiamento dei soggetti economici nei due tipi di economia presi in considerazione in queste pagine in GB, capitoli 4, 5 e 6. Per sottolineare l’importanza della moneta nelle moderne economie di mercato, Keynes ha coniato l’espressione monetary economy. Una economia monetaria non è caratterizzata dal semplice uso della moneta nei traffici economici. In altre parole, in una economia monetaria la moneta non è un mero ‘velo’ che cela le dinamiche delle grandezze reali che governano il funzionamento del sistema, quanto piuttosto un elemento indispensabile ai fini della spiegazione delle caratteristiche strutturali del sistema e della modalità di determinazione dei livelli del reddito e dell’occupazione. Pertanto, a differenza di quanto avviene in una economia di baratto, la moneta non può essere considerata neutrale. L’aspetto più rilevante delle economie contemporanee, messo in rilievo dalla Grande Depressione degli anni Trenta del secolo scorso, consiste nel fatto che esse sono strutturalmente esposte a profonde fluttuazioni del reddito e dell’occupazione. Nelle economie in cui realmente viviamo le crisi sono cioè fenomeni endogeni, intimamente legati ai meccanismi di funzionamento del sistema. Scrivendo la Teoria generale, 85 Keynes si pose due obiettivi. In primo luogo, egli volle chiarire i motivi per i quali una economia di mercato caratterizzata dalla presenza di un sistema dei prezzi ben funzionante è comunque soggetta a periodiche crisi. In secondo luogo, egli si propose di definire misure di politica monetaria e fiscale che potessero attenuare gli effetti delle crisi ed eventualmente impedirle. Tuttavia, come si ricorda in GB, capitolo 4, Keynes attribuiva maggiore importanza al primo obiettivo rispetto al secondo. Per descrivere gli aspetti più significativi della teoria elaborata da Keynes per spiegare il funzionamento delle economie contemporanee è opportuno prendere le mosse da una delle componenti più rilevanti di un sistema economico: le decisioni di investimento. Keynes, infatti, sottolinea che in una economia monetaria le decisioni di investimento hanno caratteristiche profondamente diverse da quelle che si realizzano nel sistema economico descritto dalla teoria neoclassica. Come si è visto nella prima parte del corso, nel mondo descritto dalla teoria neoclassica gli investimenti sono il frutto di scelte compiute in condizioni di certezza, perché si assume che l’imprenditore sia in grado di definire con sicurezza l’ammontare dei ricavi futuri generati dalla realizzazione di un progetto di investimento. Ma secondo Keynes, questa ipotesi può valere soltanto nel contesto di una realtà, come quella descritta dalla teoria neoclassica, assimilabile a una economia grano in cui vengono prodotti pochi beni, e il cui funzionamento può essere rappresentato attraverso modelli basati sull’assunzione semplificatrice che si produca un solo bene. In tal caso, una decisione di investimento consiste nella scelta di non consumare una parte del grano prodotto allo scopo di impiegarlo come semente, oppure per pagare il salario di un lavoratore che produce vanghe e aratri che, in futuro, consentiranno di incrementare la produttività del lavoro agricolo. Le decisioni di investimento di questo tipo vengono adottate in condizioni di certezza, perché l’obiettivo dell’attività economica consiste nella produzione di beni (nella fattispecie di grano), e perché la relazione tra i costi dell’investimento e i ricavi futuri è univocamente determinata dalla tecnologia, che permette di determinare l’ammontare di grano che può essere prodotto partendo da una certa quantità di sementi, oppure impiegando un nuovo lavoratore dotato di una vanga e di un aratro. In altre parole, data la tecnologia, la produttività marginale di un lavoratore impiegato per la produzione di grano è nota con certezza, e l’imprenditore realizzerà l’investimento consistente nella assunzione di un lavoratore dotato di vanga e aratro, se la sua produttività è maggiore del suo salario reale misurato in termini di grano (per maggiori dettagli si veda GB, capitolo 5). Grano (Input) → Grano (Output) (relazione nota con certezza, data la tecnologia) Secondo Keynes, nelle moderne economie di mercato gli investimenti vengono invece realizzati in condizioni di incertezza. Con il termine incertezza Keynes fa riferimento a decisioni i cui risultati non solo non sono certi, ma non possono neppure essere definiti in termini probabilistici, ovvero a situazioni in cui il rischio non può 86 essere ridotto a certezza attraverso il calcolo probabilistico (si confronti GB, p. 90). Keynes descrive le caratteristiche delle decisioni di investimento adottate nelle economie contemporanee utilizzando il concetto di innovazione che è alla basa dell’opera di Joseph Alois Schumpeter, un altro grande economista della prima metà del secolo scorso (si veda GB, capitoli 4 e 5). Per quanto riguarda le innovazioni, è possibile distinguere tra due tipologie fondamentali: le innovazioni di processo, che consistono in innovazioni che aumentano la produttività del lavoro impiegato per la realizzazione di beni già esistenti, cioè già entrati nell’uso comune, e le innovazioni di prodotto, che invece consistono nella introduzione, e quindi nella produzione, di nuovi beni. Negli oltre duecento anni trascorsi dalla rivoluzione industriale, gli esempi di innovazioni di prodotto sono innumerevoli. Si pensi soltanto all’introduzione della energia elettrica, della ferrovia, delle automobili, del telefono, della televisione, del computer etc. A giudizio di Keynes, nelle economie contemporanee le scelte di investimento assumono principalmente le caratteristiche delle innovazioni descritte da Schumpeter. Keynes sottolinea che le decisioni riguardanti l’introduzione di nuovi beni vengono adottate in condizioni di incertezza, perché l’imprenditore non è in grado di prevedere in termini probabilistici i ricavi futuri associati alla realizzazione di un investimentoinnovazione. La ragione più evidente su cui si basa questa conclusione deriva dal fatto che l’innovazione potrebbe rivelarsi un insuccesso, poiché i consumatori potrebbero non mostrare alcun interesse per l’acquisto del nuovo prodotto (GB, capitolo 5, p. 93). Possiamo illustrare questo punto fondamentale dell’analisi di Keynes attraverso un semplice esempio. Supponiamo di essere all’interno di una economia grano, e che nasca un imprenditore-innovatore che intende realizzare una ferrovia. Egli deciderà se costruire o meno la ferrovia confrontando i costi e ricavi dell’operazione. Ipotizziamo, per semplicità, che l’unico fattore produttivo necessario alla realizzazione della ferrovia consista nel lavoro e che la costruzione della ferrovia richieda una certa quantità di lavoratori per un determinato periodo di tempo. Dato il salario unitario, è possibile definire con certezza i costi relativi alla costruzione della ferrovia. Inoltre, tali costi sono definibili in termini di grano, perché il grano è l’unico bene acquistato dai lavoratori. La definizione dei risultati dell’investimento, ovvero dei ricavi prodotti dalla realizzazione della ferrovia, è più complicata. Nel caso di una economia grano il confronto tra i costi e i ricavi di un investimento è facile, perché entrambe le grandezze consistono in quantità di grano. Nel caso della ferrovia, invece, un confronto tra costi e ricavi in termini di quantità di beni è molto più difficile. Infatti, mentre i costi di produzione sono ancora misurabili in termini di quantitativi di grano, i ricavi devono 87 essere computati in termini di chilometri di binari, di numero di locomotori e di carrozze ferroviarie prodotte. Costi ⏟ ↔ Ricavi ⏟ km di ferrovia Quintali di grano Di conseguenza, costi e ricavi espressi in termini di quantità di beni non consentono a un imprenditore di decidere se realizzare la ferrovia o meno. Naturalmente, possiamo immaginare che esistano soggetti che decidono di costruire una ferrovia per semplice interesse personale, ad esempio per amore della tecnologia, oppure per mera vanagloria. Tuttavia, un soggetto di questo tipo difficilmente può essere definito un imprenditore. Un imprenditore, infatti, persegue il progetto di costruzione della ferrovia allo scopo di ottenere un profitto monetario. Egli è quindi indotto a confrontare i costi e ricavi in termini monetari. I costi monetari sono facilmente definibili, perché corrispondono al valore monetario dei salari pagati ai lavoratori. I ricavi monetari, invece, non corrispondono al valore monetario dei binari, dei locomotori e delle carrozze, ma ai ricavi monetari che derivano dalla vendita dei biglietti ferroviari. Pertanto, i ricavi sono incerti in senso keynesiano, essi cioè non sono definibili in termini probabilistici, perché il loro ammontare dipende dal modo in cui i consumatori accolgono la novità della ferrovia. 88 Per descrivere le caratteristiche delle decisioni di investimento nelle moderne economie di mercato, Keynes, come abbiamo visto sopra, ha utilizzato la sequenza: Denaro (D) → Merce (M) → Denaro (Dʼ). Questa sequenza permette di sottolineare due punti. In primo luogo, essa mette in rilievo che una economia monetaria è caratterizzata dalla presenza di imprenditori che perseguono l’obiettivo di ottenere un profitto monetario attraverso la produzione di merci: Dʼ > D. Si tratta di un confronto particolarmente complesso, perché D’ e D sono grandezze di natura diversa. Infatti, mentre l’ammontare di D’ è incerto, quello di D è certo. In secondo luogo, la sequenza di cui sopra evidenzia che, affinché l’imprenditoreinnovatore realizzi l’investimento rappresentato dalla costruzione della ferrovia, non è possibile prescindere dalla disponibilità di denaro. Infatti, per poter finanziare la realizzazione della ferrovia l’imprenditore non deve disporre di beni, bensì di una adeguata quantità di denaro. Sia Keynes che Schumpeter attribuiscono grande rilevanza al ruolo svolto dall’imprenditore-innovatore, perché lo considerano dotato delle qualità necessarie per effettuare delle scelte in condizioni di incertezza. Schumpeter, ad esempio, utilizza la categoria di ‘imprenditore’ per indicare i soggetti che introducono le innovazioni, e il concetto di ‘impresa’ per indicare l’atto stesso dell’introduzione delle innovazioni. Nell’economia descritta dalla teoria neoclassica la figura dell’imprenditore non trova spazio. Per sottolineare la differenza tra il suo approccio teorico e quello adottato dagli economisti neoclassici, e quindi rimarcare l’importanza della figura imprenditoriale, Keynes identifica le economie contemporanee non solo con l’espressione monetary economy, ma anche con l’espressione entrepreneur economy. Inoltre, egli ricorre all’espressione animal spirits per definire l’attitudine degli imprenditori a prendere decisioni in condizioni di incertezza (GB, capitolo 5, p. 94). La specificazione delle caratteristiche delle decisioni di investimento realizzate nel contesto di una economia monetaria consente di specificare due importanti caratteristiche delle economie contemporanee. Innanzitutto, si tratta di sistemi che non possono essere descritti attraverso modelli basati sull’ipotesi semplificatrice che si produca un unico bene, perché le decisioni di investimento portano all’introduzione di innovazioni che si traducono nella produzione di nuovi beni che modificano le abitudini di consumo dei consumatori. Di conseguenza, come ha sottolineato Schumpeter (GB, p. 93), i bisogni dei consumatori non sono più definiti in funzione di gusti e preferenze date in modo esogeno, ma diventano endogeni. Facendo uso di modelli riferiti a una economia grano, gli economisti neoclassici descrivono un sistema in cui viene prodotto immutabilmente lo stesso complesso di beni, che soddisfa un insieme di bisogni dato e 89 anch’esso immutabile. In una economia di questo tipo, il solo cambiamento possibile riguarda quindi la quantità dell’unico bene prodotto. Inoltre, le caratteristiche degli investimenti-innovazione e l’importanza della dimensione dell’incertezza permettono di sottolineare che nelle economie contemporanee la legge di Say non vale. 1.2. La critica alla legge di Say e il principio della domanda effettiva Come abbiamo visto nella prima parte del corso, in base alla legge di Say le decisioni di produzione determinano il reddito di piena occupazione (𝑌𝑃𝑂 ), che, a sua volta, genera un volume di domanda a livello aggregato tale da assicurare l’assorbimento di tutta la produzione realizzata dalle imprese (è l’offerta a creare la propria domanda). Produzione → 𝑁𝑑 = 𝑁𝑠 = 𝑁𝐸 = 𝑓 ( 𝑊 ) → 𝑌𝑃𝑂 → 𝐷𝐴(𝑌𝑃𝑂 , 𝜃, 𝑟𝐸 ) = 𝑌𝑃𝑂 . 𝑃𝐸 Inoltre, sappiamo anche che, nel mondo descritto dalla teoria neoclassica, la variabile che garantisce la trasformazione delle decisioni di produzione in un equivalente volume di domanda aggregata è il tasso di interesse, che fluttua sino a quando eventuali squilibri tra la domanda e l’offerta aggregata di beni, ovvero tra l’offerta di risparmi (il grano non consumato) e la domanda di risparmi (il grano domandato a scopo di investimento) non si uguagliano in corrispondenza del tasso di interesse di equilibrio (𝑟𝐸 ) (figura 31). Figura 31 – L’equilibrio sul mercato dei capitali (e sul mercato dei beni) in una economia grano L’analisi neoclassica è dunque fondata sull’ipotesi che esista effettivamente un valore positivo del tasso di interesse in corrispondenza del quale tutta la quota di 90 produzione non consumata, cioè risparmiata, venga successivamente investita. Questa ipotesi può essere accettata, se si considera una economia grano in cui le decisioni di produzione precedono e determinano le decisioni di consumo e di risparmio, e in cui le decisioni di risparmio precedono e determinano le decisioni di investimento. Tuttavia, la stessa ipotesi non può valere in una economia monetaria, perché in quest’ultima le decisioni di investimento hanno le caratteristiche delle innovazioni descritte da Schumpeter. In una economia monetaria, infatti, il livello degli investimenti non dipende soltanto dal tasso di interesse, ma anche e soprattutto dalla presenza di un numero sufficiente di imprenditori dotati di animal spirits, e quindi disposti a realizzare dei progetti di investimento in condizioni di incertezza. In un sistema economico di questo tipo non si può affatto assumere che debba esistere un valore positivo del tasso di interesse tale da indurre gli imprenditori a realizzare un volume di investimenti coerente con la piena occupazione della forza lavoro disponibile a lavorare al salario di equilibrio determinato sul mercato del lavoro. Questa affermazione trova supporto nell’analisi della figura 32. Figura 32 – Risparmi e investimenti in una ‘monetary economy’ Come si può notare, nella figura 32 le decisioni di investimento dipendono anche dalle aspettative degli imprenditori dotati di animal spirits. Per evidenziare questa circostanza le stime relative ai ricavi futuri associati alle decisioni di investimento adottate in una economia monetaria sono state indicate con la lettera greca 𝜑, in modo tale da sottolineare che, a differenza di quanto avviene in una economia grano, in cui le previsioni riguardanti i risultati delle decisioni di investimento sono sempre state contrassegnate dalla lettera greca 𝜃, gli esiti di una decisione di investimento sono altamente incerti. In altre parole, ciò significa che, a parità di tasso di interesse, il livello degli investimenti è soggetto a fluttuazioni, talvolta anche violente, determinate dalla variabilità delle aspettative degli imprenditori-innovatori che devono esprimere una 91 valutazione sulla realizzabilità dei loro progetti di investimento sulla base di elementi di giudizio altamente incerti. Qualora il numero di imprenditori-innovatori fosse inadeguato e le loro aspettative circa i ricavi monetari futuri associati alla realizzazione degli investimenti fossero negative, la funzione degli investimenti si verrebbe a collocare nella posizione della retta 𝐼 ′ (𝜑, 𝑟). Inoltre, dobbiamo osservare che nelle economie contemporanee la funzione dei risparmi non è molto sensibile al valore assunto dal tasso di interesse, motivo per cui essa potrebbe trovarsi nella posizione della curva 𝑆 ′ (𝑌𝑃𝑂 , 𝑟). In quest’ultimo caso, anche in corrispondenza di un tasso di interesse pari a zero (𝑟 = 0), il livello degli investimenti sarebbe inferiore a quello coerente con il reddito di piena occupazione. Esso, cioè, sarebbe inferiore al valore del flusso di risparmi generato in una situazione di piena occupazione: se 𝑟 = 𝑟𝐸 → 𝑆 ′ (𝑌𝑃𝑂 , 𝑟𝐸 ) > 𝐼 ′ (𝜑, 𝑟𝐸 ) → 𝑟 ↓, inoltre se 𝑟 = 0 → 𝑆 ′ (𝑌𝑃𝑂 , 𝑟 = 0) > 𝐼 ′ (𝜑, 𝑟 = 0) → 𝑟 ↓, ma 𝑟 non può più scendere. Allo squilibrio tra risparmi e investimenti corrisponde uno squilibrio tra domanda e offerta aggregata di beni. Valgono infatti le seguenti relazioni: 𝑆 ′ (𝑌𝑃𝑂 , 𝑟 = 0) = 𝑌𝑃𝑂 − 𝐶 ′ (𝑌𝑃𝑂 , 𝑟 = 0), 𝑌𝑃𝑂 − 𝐶 ′ (𝑌𝑃𝑂 , 𝑟 = 0) > 𝐼 ′ (𝜑, 𝑟 = 0), e 𝑌⏟ 𝑃𝑂 𝑅𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑝𝑖𝑒𝑛𝑎 𝑜𝑐𝑐𝑢𝑝𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 > 𝐶 ⏟′ (𝑌𝑃𝑂 , 𝑟 = 0) + 𝐼 ′ (𝜑, 𝑟 = 0) → 𝑌 ↓. 𝐷𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎 𝑎𝑔𝑔𝑟𝑒𝑔𝑎𝑡𝑎 Poiché le imprese non riescono a vendere tutto ciò che producono, esse non continueranno a generare un reddito pari a 𝑌𝑃𝑂 , ma ridurranno il livello di produzione, adeguandolo a quello della domanda effettiva. Keynes sottolinea che nelle economie contemporanee, da lui definite economie monetarie, il livello del reddito dipende dalla domanda aggregata. In altri termini, nel mondo descritto da Keynes vale il principio della domanda effettiva: 𝐷𝐴 → 𝑌 (è la domanda a determinare l’offerta, ovvero la produzione di beni a livello aggregato). Per degli esempi illustrativi del principio della domanda effettiva si veda GB, paragrafo 2.2, capitolo 5, e paragrafi 1.1 e 1.2, capitolo 7. 92 2. Il modello reddito-spesa La relazione causale tra domanda aggregata e livello del reddito che caratterizza una economia monetaria può essere chiarita attraverso la ricostruzione di un primo modello, quello strutturalmente più semplice, elaborato dagli economisti di ispirazione keynesiana dopo la pubblicazione della Teoria generale per sintetizzare le conclusioni dell’analisi di Keynes. In questo modello il funzionamento del mercato dei beni è descritto sulla base del principio della domanda effettiva. 2.1. Le equazioni del modello La condizione di equilibrio sul mercato dei beni prevede, evidentemente, l’eguaglianza tra domanda aggregata e offerta aggregata: 1) 𝐷𝐴 = 𝑌. Questa condizione di equilibrio è uguale a quella già vista nel caso della teoria classica. La differenza fondamentale riguarda la direzione di causalità tra le due grandezze. In una economia monetaria vale la relazione 𝐷𝐴 → 𝑌, ovvero il principio della domanda effettiva, e non la relazione 𝑌 → 𝐷𝐴, che identifica la legge di Say. La seconda equazione del modello descrive invece la composizione della domanda aggregata che, nel caso di una economia chiusa, equivale alla somma dei consumi e degli investimenti: 2) 𝐷𝐴 = 𝐶 + 𝐼. Mentre nella teoria neoclassica i consumi dipendono dal reddito e dal tasso di interesse, nel modello reddito spesa la funzione dei consumi trascura gli effetti indotti dalle variazioni del tasso di interesse. Infatti: 𝐶 = 𝐶(𝑌). Ipotizzando che la relazione tra il livello dei consumi e il livello del reddito sia di natura lineare, avremo: 3) 𝐶 = 𝐶0 + 𝑐 ∙ 𝑌. Dalla lettura della 3) si evince che quando 𝑌 = 0 → 𝐶 = 𝐶0 . 𝐶0 rappresenta i consumi autonomi, chiamati in questo modo perché sono indipendenti dal livello del reddito. Il parametro 𝑐, invece, indica la propensione marginale al consumo, che definisce l’entità dell’incremento dei consumi determinato dall’aumento di una unità del reddito 93 disponibile (𝑌). In particolare, la propensione marginale al consumo è un numero positivo compreso tra 0 e 1: 𝑐= 𝑑𝐶 𝑑𝑌 con 0 < 𝑐 < 1 (per esempio, 𝑐 = 0,8). Come abbiamo visto poco sopra, il flusso degli investimenti è funzione degli animal spirits degli imprenditori-innovatori, ovvero delle loro aspettative in merito al livello dei ricavi futuri associati alla realizzazione dei progetti di investimento (𝜑), e del tasso di interesse (𝑟): 4) 𝐼 = (𝜑, 𝑟). L’ultima equazione del modello reddito-spesa definisce il valore del tasso di interesse. La teoria keynesiana del tasso di interesse differisce profondamente da quella neoclassica. Secondo la teoria neoclassica, infatti, il tasso di interesse rappresenta il premio per l’astensione dal consumo, ovvero la remunerazione del risparmio. In altri termini, si tratta della ricompensa che le imprese devono pagare per poter utilizzare le risorse (il grano) precedentemente prodotte e risparmiate ai fini della realizzazione dei loro progetti di investimento. Questa definizione è coerente con la legge di Say che, come sappiamo, trova applicazione in una economia grano, un ‘economia, cioè, in cui le decisioni di produzione precedono le decisioni di risparmio e di investimento. Pertanto, nell’economia descritta dagli economisti neoclassici il mercato dei beni, il mercato dei capitali e il mercato del credito coincidono. Viceversa, nell’economia monetaria descritta da Keynes gli investimenti non vengono realizzati grazie all’uso di risorse risparmiate. La condizione necessaria per la realizzazione degli investimenti è che, conformemente alla sequenza Denaro (D) → Merce (M) → Denaro (Dʼ) illustrata poco sopra, l’imprenditore-innovatore disponga di un adeguato quantitativo di moneta. In effetti, l’imprenditore-innovatore che intende costruire una ferrovia non si indebita nei confronti dei produttori di grano che si sono astenuti dal consumare una quota della loro produzione di grano. Piuttosto, egli si indebita verso chi è in grado di creare moneta o verso chi già la possiede. Secondo Keynes, la coincidenza tra il mercato dei beni e i mercati dei capitali e del credito postulata dagli economisti neoclassici non fornisce una descrizione corretta dei meccanismi di funzionamento di una moderna economia di mercato. In una economia monetaria, il mercato dei capitali è il mercato in cui gli imprenditori ottengono moneta dai produttori di moneta, il mercato, cioè, in cui le imprese si indebitano nei confronti del sistema bancario. Mentre la domanda di capitali, come già nel modello neoclassico, continua a essere espressa dagli imprenditori, l’offerta di capitali non coincide con le risorse risparmiate, ma dipende invece dalla disponibilità delle banche a finanziare le imprese che non dispongono della liquidità necessaria alla realizzazione dei loro progetti di investimento attraverso la creazione di nuova moneta. 94 Sia Keynes che Schumpeter hanno messo in evidenza la fondamentale importanza che, nelle economie contemporanee, ha assunto l’utilizzo di un particolare tipo di moneta che si aggiunge alla moneta legale creata dalla banca centrale. Nelle moderne economie di mercato, un ruolo di primaria importanza è infatti svolto dalla moneta bancaria, che consiste nei depositi bancari impiegati come mezzi di pagamento mediante l’uso di assegni, bonifici e carte di pagamento. In un mondo in cui è diffuso l’utilizzo di una moneta di questo tipo, le banche possono offrire credito creando nuova moneta bancaria, cioè autorizzando gli imprenditori-innovatori a emettere ordini di pagamento nei loro confronti. Per diretta conseguenza, in questo caso l’offerta di credito è però indipendente dalle decisioni di risparmio degli agenti economici (per maggiori dettagli si veda GB, paragrafo 3, capitolo 4, e i paragrafi 2.1 e 3.2, capitolo 5). In una economia monetaria i mercati dei capitali e del credito quindi non coincidono con il mercato dei beni. Pertanto, il tasso di interesse non rappresenta la remunerazione del risparmio, ma piuttosto il prezzo della moneta creata dal sistema bancario attraverso i contratti di credito stipulati con gli imprenditori. Poiché il tasso di interesse è indipendente dalle decisioni di risparmio, esso rappresenta una grandezza esogena rispetto al mercato dei beni. Possiamo quindi completare la descrizione del mercato dei beni specificando la seguente equazione del tasso di interesse: 5) 𝑟 = 𝑟̅ . Abbiamo dunque descritto il mercato dei beni attraverso un sistema di cinque equazioni in cinque incognite: 𝐷𝐴, 𝑌, 𝐶, 𝐼, 𝑟. Come nel caso del modello macroeconomico neoclassico, anche in questo caso è possibile definire un ordine di soluzione del sistema. Infatti, l’equazione 5) definisce il valore del tasso di interesse (𝑟 = 𝑟̅ ). Una volta noto il valore del tasso di interesse, l’equazione 4) determina il volume degli investimenti: poiché 𝐼 = 𝐼(𝜑, 𝑟), se 𝑟 = 𝑟̅ → 𝐼 = 𝐼(𝜑, 𝑟̅ ) → 𝐼(𝜑, 𝑟̅ ) = 𝐼 .̅ Sostituendo la 4) e la 3) nella 2) otteniamo: 𝐷𝐴 = 𝐶0 + 𝑐 ∙ 𝑌 + 𝐼 ̅ = 𝐶0 + 𝐼 ̅ + 𝑐 ∙ 𝑌. Questa espressione individua due distinte componenti della domanda aggregata: una prima componente data da 𝐶0 + 𝐼 ,̅ definita domanda autonoma, perché indipendente dal livello del reddito (𝑌), e una seconda componente data da 𝑐 ∙ 𝑌, che invece è funzione del livello del reddito. In particolare, notiamo che la domanda aggregata è una funzione lineare crescente del reddito. 95 In ultimo, dobbiamo sostituire l’espressione della domanda aggregata nell’equazione 1) che rappresenta la condizione di equilibrio sul mercato dei beni. In tal modo, ricaviamo la seguente equazione: 𝑌 = 𝐶0 + 𝐼 ̅ + 𝑐 ∙ 𝑌. Si tratta di una equazione in una sola incognita (𝑌), che può essere risolta con alcuni semplici passaggi: 𝑌 − 𝑐 ∙ 𝑌 = 𝐶0 + 𝐼 ,̅ 𝑌 ∙ (1 − 𝑐) = 𝐶0 + 𝐼 ,̅ da cui 𝑌= 1 ∙ (𝐶0 + 𝐼 )̅ . (1 − 𝑐) Questa espressione rappresenta una applicazione del principio della domanda effettiva, perché definisce il valore del reddito in funzione del livello della domanda aggregata, dato dal livello degli investimenti (𝐼) e dal livello dei consumi (𝐶), e quindi in particolare, dalla propensione marginale al consumo (𝑐). In maggior dettaglio, possiamo osservare che esiste una relazione diretta tra il livello degli investimenti e il livello del reddito: 𝐼 ↑ → 𝑌 ↑. Inoltre, possiamo osservare che esiste una relazione diretta anche tra la propensione marginale al consumo e il livello di reddito: 𝑐 ↑ → (1 − 𝑐) ↓ → 1 ↑ → 𝑌 ↑. (1 − 𝑐) 2.2. L’esistenza di equilibri di sottoccupazione caratterizzati dalla presenza di disoccupazione involontaria Le relazioni che definiscono l’equilibrio sul mercato dei beni nel semplice modello keynesiano costruito sopra non valgono all’interno del mondo neoclassico, in cui, come si è visto in precedenza, le variazioni della propensione al consumo e all’investimento non producono alcun effetto sul livello del reddito, che rimane ancorato al valore che corrisponde alla piena occupazione della forza lavoro (𝑌𝑃𝑂 ). 96 L’equilibrio di piena occupazione definito dalla teoria neoclassica corrisponde ai punti 𝐸 sui mercati del lavoro e dei beni rappresentati nella figura 33. Figura 33 – L’equilibrio macroeconomico nel mondo neoclassico e nel mondo di Keynes Come sappiamo, nell’ambito della teoria neoclassica, in corrispondenza del salario reale 𝑊 ⁄𝑃𝐸 il sistema raggiunge l’equilibrio di piena occupazione, perché, grazie alla flessibilità del tasso di interesse, tutto ciò che è stato prodotto verrà anche domandato. Secondo Keynes, invece, in una economia monetaria, in cui le decisioni di investimento vengono realizzate in condizioni di incertezza, la flessibilità del tasso di interesse non è condizione sufficiente per ottenere un livello di domanda aggregata coerente con la piena occupazione. Infatti, se la funzione degli investimenti corrisponde a 𝐼 ′ (𝜑, 𝑟) e quella dei risparmi a 𝑆 ′ (𝑌𝑃𝑂 , 𝑟), allora anche in corrispondenza di un tasso di interesse pari a zero si avrà un livello della domanda aggregata inferiore a quello necessario ad assicurare la piena occupazione dei lavoratori disponibili a lavorare al salario di equilibrio determinato sul mercato del lavoro. Poiché le imprese non riescono a vendere ciò che producono, esse 97 ridurranno la produzione adeguandola al livello della domanda aggregata effettiva. Per questo motivo, il reddito scende al di sotto del suo livello di piena occupazione, raggiungendo, per esempio, il livello 𝑌1 = 𝑓(𝑁1 ) < 𝑌𝑃𝑂 = 𝑓(𝑁𝐸 ) (figura 34). Figura 34 – L’equilibrio di sottoccupazione con presenza di disoccupazione involontaria Per effetto della caduta del livello di produzione determinato dall’insufficienza della domanda effettiva, le imprese assumeranno un numero di lavoratori pari a 𝑁1 < 𝑁𝐸 anche nel caso in cui il salario reale fosse pari a 𝑊 ⁄𝑃𝐸 . La differenza tra 𝑁𝐸 e 𝑁1 rappresenta quindi la disoccupazione involontaria dovuta all’insufficiente volume della domanda aggregata. In presenza di disoccupazione involontaria, un incremento della domanda aggregata provocato da un aumento degli investimenti o da un aumento della propensione al consumo determina la crescita del livello del reddito e un incremento dei livelli occupazionali: 𝐷𝐴 ↑ → 𝑌 ↑ → 𝑁 ↑. 98 Le imprese assumeranno nuovi lavoratori a due condizioni: che riescano a vendere quello che producono, perché esiste una domanda di beni che sollecita la produzione, e che l’incremento della produzione consenta di espandere i profitti. Come è noto, ciò si verifica, se la produttività marginale del lavoro è maggiore del salario reale. In presenza di una situazione di disoccupazione involontaria, come quella rappresentata nella figura 34, entrambe queste condizioni sono soddisfatte. Infatti, vale la seguente relazione: 𝑊 = 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁𝐸 ). 𝑃𝐸 Inoltre, poiché la produttività marginale del lavoro è decrescente si ha: 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁1 ) > 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁𝐸 ), e quindi 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁1 ) > 𝑊 . 𝑃𝐸 Questo ragionamento vale per ogni valore di 𝑁 compreso tra 𝑁1 e 𝑁𝐸 : 𝑃𝑚𝑎𝑙 (𝑁) > 𝑊 . 𝑃𝐸 Di conseguenza, se la domanda aggregata aumenta, le imprese si trovano nella condizione di poter assumere nuovi lavoratori. Questo processo di crescita dell’occupazione e del reddito determinato dall’incremento della domanda aggregata continuerà fino a quando non si raggiunge il reddito di piena occupazione (𝑌𝑃𝑂 ) e un livello di occupazione pari a 𝑁𝐸 . 2.3. Una rappresentazione grafica del reddito di equilibrio Il valore di equilibrio del reddito coerente con il principio della domanda effettiva può essere rappresentato graficamente come nella figura 35, in cui viene descritta la condizione di equilibrio sul mercato dei beni nell’ambito di un quadro teorico riferibile all’analisi elaborata da Keynes nella Teoria generale. 99 Figura 35 - La rappresentazione grafica del valore di equilibrio del reddito nel modello reddito-spesa Come si può notare, sull’asse delle ordinate viene indicato il valore della domanda aggregata (𝐷𝐴), mentre sull’asse delle ascisse è riportato il valore del reddito (𝑌). Il livello del reddito non può superare il valore limite corrispondente al reddito di piena occupazione (𝑌𝑃𝑂 ). La retta a 45° rappresenta la condizione di equilibrio sul mercato dei beni, perché in ogni punto di essa vale l’uguaglianza 𝐷𝐴 = 𝑌. La seconda retta tracciata sul piano rappresenta invece la curva di domanda aggregata che, come abbiamo visto poco sopra, è una funzione lineare del reddito, con intercetta pari a (𝐶0 + 𝐼 )̅ , e con coefficiente angolare pari alla propensione marginale al consumo (𝑐). Il punto di intersezione tra le due curve individua il valore di equilibrio del reddito (𝑌0 ). In corrispondenza di tale livello del reddito, che si trova sulla retta a 45°, i valori sulle ordinate e sulle ascisse si equivalgono. Risulterà quindi: 𝐷𝐴(𝑌0 ) = 𝐶0 + 𝐼 ̅ + 𝑐 ∙ 𝑌0 = 𝑌0 . Nella figura 35 il livello del reddito di equilibrio (𝑌0 ) è inferiore a quello di piena occupazione (𝑌𝑃𝑂 ). Ciò è coerente con l’assunzione formulata nel paragrafo precedente, secondo cui nel mondo descritto da Keynes le funzioni degli investimenti e dei risparmi assumono, rispettivamente, la forma 𝐼 ′ (𝜑, 𝑟) e 𝑆 ′ (𝑌, 𝑟). La determinazione del livello di equilibrio del reddito nel modello reddito-spesa può essere illustrata anche attraverso un semplice esempio numerico. Supponiamo che valgano i seguenti valori: 𝐶0 = 200 100 𝐼̅ = 0 𝑐 = 0,75 𝐷𝐴 = 200 + 0 + 0,75 ∙ 𝑌0 . Per determinare il reddito di equilibrio dobbiamo partire dalla condizione di equilibrio sul mercato dei beni (𝐷𝐴 = 𝑌) e sostituire in questa espressione il valore assunto dalla domanda aggregata. Si ottiene così: 200 + 0 + 0,75 ∙ 𝑌0 = 𝑌0 , da cui si ricava 𝑌0 − 0,75 ∙ 𝑌0 = 200 𝑌0 ∙ (1 − 0,75) = 200, ovvero 1 1 𝑌0 = (1−0,75) ∙ 200 = 0,25 ∙ 200 = 4 ∙ 200 = 800. Figura 36 – L’aggiustamento in termini di quantità prodotte in caso di insufficienza di domanda aggregata In corrispondenza di questo valore del reddito si avrà equilibrio tra domanda e offerta aggregata. Infatti: 101 𝐷𝐴(𝑌 = 𝑌0 = 800) = 𝐶0 + 𝐼 ̅ + 𝑐 ∙ 𝑌0 = 200 + 0 + 0,75 ∙ 800 = 200 + 600 = 800. Possiamo mostrare che in corrispondenza di ogni valore di 𝑌 ≠ 𝑌0 si avrà uno squilibrio sul mercato dei beni. Per esempio, se fosse: 𝑌 = 𝑌1 > 𝑌0 → 𝐷𝐴(𝑌1 ) ≠ 𝑌1 , si presenterebbe la situazione rappresentata nella figura 36. Si può osservare che, in questo caso, il livello della domanda aggregata, pari a 𝐷𝐴(𝑌1 ), è inferiore a 𝑌1 (insufficienza di domanda aggregata). Infatti: 𝐷𝐴(𝑌1 ) = 𝐶0 + 𝐼 ̅ + 𝑐 ∙ 𝑌1 < 𝑌1 . Non riuscendo a vendere tutto ciò che producono, le imprese riducono la produzione sino a quando sul mercato dei beni si determina l’equilibrio in corrispondenza di un valore del reddito pari a 𝑌0 . Un processo simmetrico si mette in moto se si parte da una situazione in cui: 𝑌 = 𝑌2 < 𝑌0 → 𝐷𝐴(𝑌2 ) ≠ 𝑌2 . Figura 37 - L’aggiustamento in termini di quantità prodotte in caso di eccesso di domanda aggregata In questo caso, si registra un eccesso di domanda aggregata rispetto al reddito. Infatti: 𝐷𝐴(𝑌2 ) = 𝐶0 + 𝐼 ̅ + 𝑐 ∙ 𝑌2 > 𝑌2 . 102 Poiché ci troviamo in presenza di disoccupazione involontaria, le imprese reagiranno all’eccesso di domanda aggregata espandendo la produzione sino a quando il livello del reddito raggiunge un valore pari a 𝑌0 (figura 37). 2.4. Gli effetti di una variazione delle componenti autonome della domanda aggregata, il moltiplicatore del reddito e l’inversione della relazione causale tra risparmi e investimenti Nel modello reddito-spesa, il principio della domanda effettiva trova rappresentazione attraverso l’espressione: 𝑌= 1 ∙ (𝐶0 + 𝐼 )̅ . (1 − 𝑐) Abbiamo già sottolineato in precedenza che, in base a questa espressione, 𝑌 varia in funzione di 𝐶0 + 𝐼 ̅ (domanda autonoma) e di 𝑐 (propensione marginale del consumo). Analizziamo ora gli effetti di una variazione delle componenti autonome dal reddito della domanda aggregata. In particolare, ipotizziamo che aumenti la spesa per beni di investimento: 𝐼 ↑ → (𝐶0 + 𝐼 )̅ ↑ → 𝑌 ↑. Torniamo all’esempio numerico del paragrafo precedente, e supponiamo che gli investimenti aumentino in misura pari a 300: 𝐼0̅ = 0 → 𝐼1̅ = 300 (𝑑𝐼 = 300). Il nostro problema consiste nella determinazione dell’incremento di reddito generato da un aumento della domanda per beni di investimento uguale a 300: 𝑑𝐼 = 300 → 𝑑𝑌 ? Abbiamo visto che il valore di equilibrio del reddito corrisponde all’espressione: 𝐷𝐴(𝑌) = 𝑌 con 𝑌 = 𝐶0 + 𝐼 ̅ + 𝑐 ∙ 𝑌 Se: 𝐶0 = 200 𝐼 = 𝐼0̅ = 0 103 → = 1 ∙ (𝐶0 + 𝐼 )̅ . (1 − 𝑐) 𝑐 = 0,75, allora 𝑌0 = 1 1 ∙ (𝐶0 + 𝐼0̅ ) = ∙ 200 = 4 ∙ 200 = 800. (1 − 0,75) 0,25 Se, invece, il livello degli investimenti passa da 𝐼 = 𝐼0̅ = 0 a 𝐼 = 𝐼1̅ = 300, allora 𝑌1 = 1 1 ∙ (𝐶0 + 𝐼1̅ ) = ∙ (200 + 300) = 4 ∙ 500 = 2000. (1 − 0,75) 0,25 Pertanto: 𝑑𝑌 = 𝑌1 − 𝑌0 = 2000 − 800 = 1200. Un incremento della domanda autonoma pari a 300 genera un aumento del reddito che è un multiplo dell’incremento iniziale, pari, nel nostro esempio, a 1200. Questo risultato è confermato dall’analisi dell’espressione che definisce il reddito di equilibrio: 𝑌= 1 ∙ (𝐶0 + 𝐼 )̅ . (1 − 𝑐) Il reddito è una funzione lineare della domanda autonoma, la cui derivata prima 1 corrisponde al valore del coefficiente angolare dato da (1−𝑐) : 𝑑𝑌 1 = . (1 − 𝑐) 𝑑(𝐶0 + 𝐼 )̅ Se 𝑐 = 0,75, allora: 𝑑𝑌 1 1 1 = = = = 4. (1 − 𝑐) (1 − 0,75) 0,25 𝑑(𝐶0 + 𝐼 )̅ Questa espressione ci dice che, se gli investimenti aumentano di una unità, il reddito aumenta di quattro unità: 𝑑𝑌 = 1 ∙ 𝑑(𝐶0 + 𝐼 )̅ = 4 ∙ (𝑑𝐼) = 4 ∙ 300 = 1200. (1 − 𝑐) 104 Il significato economico di questo risultato può essere compreso se si considera la composizione della domanda aggregata. Come abbiamo visto, quest’ultima si compone di due parti: da un lato, la domanda autonoma dal reddito e, dall’altro, la domanda che dipende dal reddito in funzione della propensione marginale al consumo. Ciò implica che un incremento della spesa per beni di investimento (indipendente dal reddito) determina anche un aumento dei consumi indotto dalla crescita del reddito legata all’espansione iniziale degli investimenti. Inoltre, la spesa addizionale per consumi provocherà un ulteriore aumento del reddito che, a sua volta, determinerà un nuovo incremento dei consumi, e così via. In definitiva, un aumento iniziale di una componente autonoma della domanda aggregata ingenera un processo moltiplicativo del reddito alimentato dai consumi. Approfondiamo l’illustrazione delle diverse fasi del processo di variazione del reddito provocato dall’incremento degli investimenti attraverso l’esempio numerico presentato in precedenza. Prima fase 𝑑𝐼 = 300 → 𝑑𝐷𝐴1 = 𝑑𝐼 = 300 → 𝑑𝑌1 = 𝑑𝐷𝐴1 = 𝑑𝐼 = 300 Durante la prima fase, gli investimenti generano un equivalente incremento della domanda aggregata (𝑑𝐷𝐴1 ) che, a sua volta, induce un analogo aumento del reddito (𝑑𝑌1 ). Tuttavia, il processo di crescita del reddito non si interrompe a questo punto, perché l’incremento di reddito generato dagli investimenti influenza la domanda per beni di consumo. Seconda fase 𝑑𝑌1 = 300 → 𝑑𝐶 ↑ (𝑑𝐶 = ?) Per determinare l’entità dell’aumento della spesa per beni di consumo (𝑑𝐶), ricordiamo che l’espressione della funzione dei consumi è: 𝐶 = 𝐶0 + 𝑐 ∙ 𝑌 Da questa espressione si ottiene: 𝑑𝐶 = 𝑐 → 𝑑𝐶 = 𝑐 ∙ 𝑑𝑌, e quindi 𝑑𝐶1 = 𝑐 ∙ 𝑑𝑌1 . 𝑑𝑌 E poiché 𝑐 = 0,75 e 𝑑𝑌1 = 300, avremo che 𝑑𝐶1 = 0,75 ∙ 300 = 225. 105 Durante la seconda fase l’aumento della domanda per beni di consumo determina un ulteriore incremento della domanda aggregata (𝑑𝐷𝐴2 ) che genera una nuova, equivalente, crescita del livello del reddito (𝑑𝑌2 ): 𝑑𝐷𝐴2 = 𝑑𝐶1 = 𝑐 ∙ 𝑑𝑌1 = 225 → 𝑑𝐷𝐴2 = 𝑑𝑌2 = 225. Inoltre, sappiamo che: 𝑑𝑌1 = 𝑑𝐼. Pertanto risulta: 𝑐 ∙ 𝑑𝑌1 = 𝑐 ∙ 𝑑𝐼 𝑒 𝑑𝑌2 = 𝑐 ∙ 𝑑𝑌1 = 𝑐 ∙ 𝑑𝐼. Terza fase Nella terza fase il processo di crescita del reddito continua, perché l’aumento di reddito generato nella fase precedente stimola un ulteriore incremento dei consumi: 𝑑𝑌2 → 𝑑𝐶 ↑ con 𝑑𝐶2 = 𝑐 ∙ 𝑑𝑌2 = 0,75 ∙ 225 = 168,75. Si avrà quindi un ulteriore aumento della domanda aggregata (𝑑𝐷𝐴3 ) equivalente all’incremento dei consumi, dal quale origina un nuovo incremento del reddito (𝑑𝑌3 ): 𝑑𝐷𝐴3 = 𝑑𝐶2 = 𝑐 ∙ 𝑑𝑌2 = 168,75 → 𝑑𝐷𝐴3 = 𝑑𝑌3 = 168,75. Inoltre, sappiamo che: 𝑑𝑌2 = 𝑐 ∙ 𝑑𝑌1 = 𝑐 ∙ 𝑑𝐼. Pertanto: 𝑑𝑌3 = 𝑐 ∙ 𝑑𝑌2 = 𝑐 ∙ 𝑐 ∙ 𝑑𝐼 = 𝑐 2 ∙ 𝑑𝐼. Quarta fase Anche nella quarta fase l’aumento di reddito generato nella fase precedente stimola un nuovo incremento dei consumi: 𝑑𝑌3 → 𝑑𝐶 ↑ con 𝑑𝐶3 = 𝑐 ∙ 𝑑𝑌3 = 0,75 ∙ 168,75 = 126. 106 Di conseguenza, la domanda aggregata continua a crescere, determinando un ulteriore, equivalente, aumento del livello del reddito: 𝑑𝐷𝐴4 = 𝑑𝐶3 = 𝑐 ∙ 𝑑𝑌3 = 126 → 𝑑𝐷𝐴4 = 𝑑𝑌4 = 126. E poiché 𝑑𝑌3 = 𝑐 2 ∙ 𝑑𝐼 si avrà: 𝑑𝑌4 = 𝑐 ∙ 𝑑𝑌3 = 𝑐 ∙ 𝑐 2 ∙ 𝑑𝐼 = 𝑐 3 ∙ 𝑑𝐼. Il processo di variazione del reddito provocato da un iniziale incremento della spesa per beni di investimento può essere suddiviso in un numero di 𝑛 fasi tendente all’infinito (𝑛 → ∞). In ogni fase l’incremento di reddito è minore di quello osservato nella fase precedente. Pertanto, l’aumento complessivo di reddito generato da un incremento iniziale degli investimenti, e più in generale da un aumento di una componente autonoma della domanda aggregata, può essere calcolato abbastanza agevolmente. Infatti: 𝑑𝑌 = 𝑑𝑌1 + 𝑑𝑌2 + 𝑑𝑌3 + ⋯ ⋯ ⋯ + 𝑑𝑌𝑛 . Ricordando che valgono le seguenti relazioni, 𝑑𝑌1 = 𝑑𝐼 𝑑𝑌2 = 𝑐 ∙ 𝑑𝐼 𝑑𝑌3 = 𝑐 2 ∙ 𝑑𝐼 𝑑𝑌4 = 𝑐 3 ∙ 𝑑𝐼 ⋮ ⋮ ⋮ 𝑑𝑌𝑛 = 𝑐 𝑛−1 ∙ 𝑑𝐼 𝑑𝑌𝑛+1 = 𝑐 𝑛 ∙ 𝑑𝐼, si ottiene la seguente espressione: 𝑑𝑌 = 𝑑𝐼 + 𝑐 ∙ 𝑑𝐼 + 𝑐 2 ∙ 𝑑𝐼 + 𝑐 3 ∙ 𝑑𝐼 + ⋯ ⋯ ⋯ + 𝑐 𝑛−1 ∙ 𝑑𝐼 + 𝑐 𝑛 ∙ 𝑑𝐼. E’ quindi possibile scrivere: 𝑑𝑌 = 𝑑𝐼 ∙ (1 + 𝑐 + 𝑐 2 + 𝑐 3 + ⋯ ⋯ ⋯ + 𝑐 𝑛−1 + 𝑐 𝑛 ). L’espressione tra parentesi rappresenta una progressione geometrica di ragione 𝑐 e primo termine pari a 1. Di conseguenza: 107 2 3 1 + 𝑐 + 𝑐 + 𝑐 + ⋯⋯⋯+ 𝑐 𝑛−1 1 − 𝑐𝑛 +𝑐 = 1−𝑐 𝑛 con 0 < 𝑐 < 1. Poiché per 𝑛 → ∞, 𝑐 𝑛 → 0, si ottiene: 1 + 𝑐 + 𝑐 2 + 𝑐 3 + ⋯ ⋯ ⋯ + 𝑐 𝑛−1 + 𝑐 𝑛 = 1 . 1−𝑐 Con riferimento al nostro esempio numerico, quindi avremo: 𝑑𝑌 = 𝑑𝐼 ∙ L’espressione 1 (1−𝑐) 1 1 = ∙ 𝑑𝐼 = 4 ∙ 300 = 1200. (1 − 𝑐) (1 − 𝑐) è definita moltiplicatore del reddito. Gli effetti di un aumento degli investimenti sono illustrati graficamente nella figura 38. Figura 38 – Gli effetti di un aumento degli investimenti nel modello reddito-spesa Come sappiamo, partendo dai valori: 𝐼0̅ = 0 𝐶0 = 200 𝑐 = 0,75, si ottiene: 108 𝑌0 = 1 ∙ (𝐶0 + 𝐼0̅ ) = 4 ∙ 200 = 800. (1 − 𝑐) Il valore 𝑌0 corrisponde al punto di intersezione tra la curva di domanda aggregata con intercetta pari a (𝐶0 + 𝐼0̅ ) e la retta a 45°. L’incremento degli investimenti (𝑑𝐼 = 300) determina lo spostamento verso l’alto della curva 𝐷𝐴, la cui nuova intercetta diventa (𝐶0 + 𝐼1̅ ). L’inclinazione della curva 𝐷𝐴, invece, non subisce variazioni, perché la propensione marginale al consumo è rimasta costante. Il modello reddito-spesa è un modello statico, in cui la dimensione temporale non viene presa in considerazione. Esso, infatti, descrive i risultati di una variazione del volume degli investimenti, ma il tempo necessario affinché si producano gli effetti del moltiplicatore del reddito non viene stabilito. Possiamo tuttavia osservare che, in base al principio della domanda effettiva, nell’esempio di cui sopra il multiplo del reddito pari a: 𝑑𝑌 = 1 ∙ 𝑑𝐼 = 4 ∙ 300 = 1200, (1 − 𝑐) assume un duplice significato, perché esso rappresenta sia l’incremento del valore dei beni prodotti che l’aumento del reddito disponibile, ovvero l’aumento dei salari e dei profitti. Se consideriamo la variazione di 𝑌 dal punto di vista della accresciuta disponibilità di reddito, si può osservare che tale variazione può essere suddivisa tra incremento dei consumi e incremento dei risparmi: Con riferimento al nostro esempio numerico, il valore di questi incrementi è pari a: 𝑑𝐶 = 𝑐 ∙ 𝑑𝑌 = 0,75 ∙ 1200 = 900, e 𝑑𝑆 = 𝑑𝑌 − 𝑑𝐶 = 1200 − 900 = 300. In maniera equivalente, avremmo potuto ricavare 𝑑𝑆 partendo dalla funzione dei risparmi: 𝑆 = 𝑌 − 𝐶 = 𝑌 − (𝐶0 + 𝑐 ∙ 𝑌) = 𝑌 − 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑌 = −𝐶0 + 𝑌 − 𝑐 ∙ 𝑌, 109 da cui si ricava 𝑆 = −𝐶0 + (1 − 𝑐) ∙ 𝑌. Ponendo 𝑠 = (1 − 𝑐), che indica la propensione marginale al risparmio, avremo: 𝑆 = −𝐶0 + 𝑠 ∙ 𝑌 con 𝑑𝑆 = 𝑠. 𝑑𝑌 Pertanto, se 𝑐 = 0,75 → 𝑠 = (1 − 𝑐) = 1 − 0,75 = 0,25, e quindi: 𝑑𝑆 = 𝑠 ∙ 𝑑𝑌 = 0,25 ∙ 1200 = 300. Il risultato ottenuto è molto importante, sebbene a prima vista possa apparire paradossale. Esso, infatti, mostra che un dato aumento degli investimenti (𝑑𝐼) determina un incremento multiplo del reddito (𝑑𝑌), da cui scaturisce un incremento dei risparmi (𝑑𝑆 = 𝑠𝑑𝑌) equivalente all’incremento iniziale degli investimenti (𝑑𝑆 = 𝑑𝐼). La natura paradossale di questo risultato deriva dal fatto che esso porta a concludere che sono gli investimenti a determinare i risparmi: 1 𝑑𝐼 ⏟ → 𝑑𝑌 = ∙ 𝑑𝐼 → 𝑑𝑆 ⏟ = 𝑑𝐼 ⏟ , (1 − 𝑐) ⏟ 300 300 300 quindi 𝐼 → 𝑆. 1200 Questa conclusione contrasta con il comune ‘buon senso’ che induce a ritenere che siano i risparmi a determinare gli investimenti e non il contrario. Generalmente, le deduzioni dettate dal buon senso si basano sui comportamenti di un singolo soggetto economico. Se, per esempio, pensiamo al comportamento di una singola famiglia, vale certamente la relazione causale in base alla quale sono i risparmi a determinare gli investimenti: 𝑆 → 𝐼. Consideriamo l’investimento di una famiglia consistente nell’acquisto di un bene durevole come una abitazione. In questo caso, l’investimento non determina l’ammontare dei risparmi. Infatti, è irrealistico ipotizzare che l’acquisto di una abitazione per un valore pari a 100.000 euro possa provocare un incremento del reddito della famiglia pari a 𝑛 volte il valore dell’investimento (per esempio 400.000 euro), perché questa decisione di investimento non può influenzare il livello del reddito di una singola famiglia. La relazione causale tra decisioni di investimento e decisioni di risparmio coerente con il principio della domanda effettiva vale se si considera un sistema economico nel 110 suo complesso. In questo caso, quando una famiglia decide di acquistare una abitazione del valore di 100.000 euro, le imprese risponderanno producendo una nuova casa. Di conseguenza, verranno impiegati nuovi lavoratori (esiste disoccupazione involontaria) che riceveranno un reddito che verrà speso per acquistare beni di consumo. Questa sequenza di eventi produrrà un ulteriore incremento del reddito, in conformità allo schema utilizzato per illustrare il meccanismo di funzionamento del moltiplicatore del reddito. L’acquisto di una nuova casa determina quindi la crescita dei redditi complessivi, ma non di quelli della famiglia che investe in una abitazione. Questa analisi illustra efficacemente la distinzione tra microeconomia e macroeconomia introdotta dopo la pubblicazione della Teoria generale di Keynes. Figura 39 – Gli effetti di una variazione degli investimenti nel modello neoclassico La concezione keynesiana secondo cui a livello microeconomico vale una relazione causale diversa da quella valida a livello macroeconomico, non è invece condivisa dagli economisti neoclassici. Uno sguardo alla figura 39 (che riproduce la figura 28 già vista nella prima parte del corso) ci ricorda che, secondo la teoria neoclassica, uno spostamento della funzione degli investimenti non determina una variazione del reddito 111 di equilibrio, e che la relazione causale tra risparmi e investimenti vale anche a livello macroeconomico. In base alla legge di Say, infatti, il valore del reddito è determinato dalle decisioni di produzione, che precedono le decisioni di consumo e di risparmio. A loro volta, le decisioni di risparmio determinano le decisioni di investimento. Di conseguenza, nel mondo descritto dagli economisti neoclassici il livello del reddito è del tutto indipendente dal livello della domanda aggregata. Ciò significa che una variazione delle decisioni di investimento non produce alcun effetto sui redditi percepiti dagli agenti economici. A livello macroeconomico valgono quindi le stesse leggi che governano la vita economica di una singola famiglia: l’acquisto di una casa, o l’investimento produttivo di una impresa non determinano alcuna variazione di reddito. Per maggiori dettagli su questo punto si veda GB, capitoli 5 e 7. 2.5. Gli effetti di una variazione della propensione marginale al consumo (il paradosso del risparmio) Il secondo fattore che incide sul livello della domanda aggregata è costituito dalla propensione marginale al consumo (𝑐). Rammentando che vale 𝑌= 1 ∙ (𝐶0 + 𝐼 )̅ , (1 − 𝑐) possiamo definire la seguente relazione tra la propensione marginale al consumo e il livello del reddito: 𝑐 ↑ → (1 − 𝑐) = 𝑠 ↓ → 1 (moltiplicatore del reddito) ↑ → 𝑌 ↑. (1 − 𝑐) Illustriamo questa relazione con un esempio basato sui seguenti valori numerici: 𝐶0 = 200 𝐼 ̅ = 300 𝑐1 = 0,75. Dati questi valori, si ottiene: 𝑌1 = 1 1 1 ∙ (𝐶0 + 𝐼 )̅ = ∙ (200 + 300) = ∙ 500 = 4 ∙ 500 = 2000. (1 − 0,75) (1 − 𝑐1 ) 0,25 Supponiamo ora che aumenti la propensione marginale al consumo: 𝑐2 = 0,80 > 𝑐1 = 0,75. 112 In questo caso avremo: 𝑌2 = 1 1 1 ∙ (𝐶0 + 𝐼 )̅ = ∙ (200 + 300) = ∙ 500 = 5 ∙ 500 = 2500. (1 − 0,80) (1 − 𝑐2 ) 0,20 Gli effetti di questa variazione della propensione marginale al consumo sono rappresentati sinteticamente nella figura 40. Figura 40 – Gli effetti di un aumento della propensione marginale al consumo nel modello reddito-spesa Il punto 1 rappresenta il valore di equilibrio iniziale del reddito (𝑌1 ), cui corrisponde una propensione marginale al consumo pari a 𝑐1 = 0,75. L’aumento del valore della propensione marginale al consumo modifica le caratteristiche della funzione di domanda aggregata. Infatti, mentre il valore dell’intercetta, che corrisponde alla domanda autonoma (𝐶0 + 𝐼 )̅ , rimane costante, la variazione della propensione marginale al consumo determina una variazione del coefficiente angolare della retta 𝐷𝐴. In particolare, come si può osservare dalla figura 40, un incremento della propensione marginale al consumo determina una sua rotazione in senso antiorario. In conseguenza di tale rotazione, in corrispondenza di 𝑌1 si registra un eccesso di domanda aggregata che determina un aumento della produzione, sino a quando il reddito raggiunge il suo nuovo livello di equilibrio (𝑌2 = 2500) indicato dal punto 2. Gli effetti di una riduzione della propensione marginale al consumo sono del tutto simmetrici rispetto a quelli prodotti da un aumento: 𝑐 ↓ → (1 − 𝑐) = 𝑠 ↑ → 113 1 ↓ → 𝑌 ↓. (1 − 𝑐) Poiché 𝑐 + 𝑠 = 1, una variazione della propensione marginale al consumo implica anche una modificazione della propensione marginale al risparmio: se 𝑐 ↑ → 𝑠 = (1 − 𝑐). Supponiamo che il valore di 𝑐 passi da 0,75 a 0,80, e che quindi quello di 𝑠 passi da 0,25 a 0,20. In altre parole, assumiamo che la propensione marginale al consumo aumenti, mentre diminuisce quella al risparmio (si consuma di più e si risparmia di meno). Come varia l’ammontare complessivo del risparmio della collettività (𝑆) al variare della propensione marginale al risparmio (𝑠)? Poiché: 𝑆 = −𝐶0 + 𝑠 ∙ 𝑌, per determinare gli effetti prodotti da una variazione della propensione marginale al risparmio sul risparmio complessivo, è necessario verificare cosa succede al reddito totale (𝑌) quando varia 𝑠. Se al variare di 𝑠 il reddito complessivo rimane costante, allora una riduzione della propensione marginale al risparmio si traduce in una riduzione del risparmio complessivo e viceversa. In realtà, sappiamo che, per effetto del principio della domanda effettiva, nel modello reddito-spesa una modificazione della propensione marginale al risparmio provoca una variazione del livello del reddito. In particolare, una riduzione della propensione marginale al risparmio (cui corrisponde un incremento della propensione marginale al consumo) determina un incremento del reddito, mentre un aumento della propensione marginale al risparmio (cui corrisponde una riduzione della propensione marginale al consumo) produce un effetto opposto. Si può dimostrare che una modificazione della propensione marginale al risparmio è priva di effetti sul livello del risparmio complessivo. Questa conclusione emerge con tutta evidenza, se si considera la condizione di equilibrio che caratterizza il mercato dei beni. Come sappiamo, il mercato dei beni si trova in equilibrio quando: 𝐷𝐴 = 𝑌 o, in modo equivalente, se 𝑆 = 𝐼. Pertanto, in equilibrio i risparmi complessivi (𝑆) devono uguagliare gli investimenti (𝐼). Poiché il livello degli investimenti non dipende dalla propensione marginale al risparmio, si deve concludere che una variazione della attitudine al risparmio delle famiglie, lasciando invariato il volume degli investimenti, non provocherà alcuna variazione dei risparmi complessivi. In effetti, se 𝑠 scende da 0,25 a 0,20, il volume complessivo dei risparmi non cambia, perché la riduzione della propensione marginale al risparmio provoca un incremento del reddito che ne annulla gli effetti. Valgono, infatti, le seguenti relazioni: 𝑆1 (𝑌1 , 𝑠1 = 0,25) = −𝐶0 + 𝑠1 ∙ 𝑌1 = −200 + (0,25 ∙ 2000) = −200 + 500 = 300 = 𝐼1̅ = 300, e 114 𝑆2 (𝑌2 , 𝑠2 = 0,25) = −𝐶0 + 𝑠2 ∙ 𝑌2 = −200 + (0,20 ∙ 2500) = −200 + 500 = 300 = 𝐼1̅ = 300. In definitiva, il risparmio complessivo (𝑆) è indipendente dalla propensione marginale al risparmio (𝑠). Questo risultato è noto come il paradosso del risparmio. La figura 41 ne propone una rappresentazione grafica. Figura 41 – Il paradosso del risparmio Nella figura 41 l’equilibrio sul mercato dei beni è rappresentato attraverso la specificazione delle funzioni di risparmio e di investimento: 𝑆 = −𝐶0 + 𝑠 ∙ 𝑌, e 𝐼 = 𝐼(𝜑, 𝑟), con 𝑟 = 𝑟̅ → 𝐼 = 𝐼(𝜑, 𝑟̅ ) → 𝐼(𝜑, 𝑟̅ ) = 𝐼 .̅ I valori dei risparmi (𝑆) e degli investimenti (𝐼) sono riportati sull’asse delle ordinate, mentre quelli del reddito (𝑌) sono indicati sull’asse delle ascisse. Essendo autonomi dal reddito, gli investimenti sono rappresentati mediante una retta parallela alle ascisse che taglia le ordinate in corrispondenza di un valore esogenamente dato, che nel nostro esempio numerico è pari a 300. L’altra retta raffigura la funzione dei risparmi, che ha intercetta pari a −𝐶0 e un coefficiente angolare definito dal valore assunto dalla propensione marginale al risparmio (𝑠). Il punto di intersezione tra le due curve individua il livello del reddito di equilibrio. In particolare, il punto 1 corrisponde al reddito di equilibrio coerente con 𝑠1 = 0,25. Se la propensione al consumo scende al livello 𝑠2 = 0,20, la funzione dei risparmi subisce una rotazione in senso orario. Di conseguenza, il sistema raggiunge un nuova posizione di equilibrio nel punto 2, cui 115 corrisponde un più elevato livello del reddito (𝑌2 ). Tuttavia, il flusso complessivo dei risparmi, pari a 300, è sempre uguale al valore della spesa per beni di investimento. 2.6. Il modello reddito-spesa con settore pubblico e gli effetti della politica fiscale E’ possibile ampliare il modello reddito-spesa considerando esplicitamente il settore pubblico. Quest’ultimo svolge una fondamentale funzione economica consistente nella produzione di servizi essenziali, come quelli relativi all’istruzione, alla sanità, alla giustizia e alla difesa. Di conseguenza, il settore pubblico esprime una domanda di risorse necessarie alla realizzazione di questi servizi. Per tenere conto della presenza del settore pubblico occorre riscrivere le equazioni del modello reddito-spesa, partendo ancora una volta dalla condizione di equilibrio del mercato dei beni: 1) 𝐷𝐴 = 𝑌. Nel modello reddito-spesa ampliato dalla presenza del settore pubblico la composizione della domanda aggregata si modifica, perché ai consumi (𝐶) e agli investimenti (𝐼) del settore privato si aggiunge la spesa pubblica (𝐺̅ ), ovvero la domanda di risorse espressa dal settore pubblico: 2) 𝐷𝐴 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺̅ . Si noti che 𝐺̅ è una grandezza esogena, che dipende dalle autonome determinazioni del settore pubblico. Anche la funzione dei consumi privati subisce una modifica legata alla presenza del settore pubblico. Come in precedenza, i consumi privati sono una funzione lineare del reddito disponibile delle famiglie. Tuttavia, in presenza del settore pubblico il reddito disponibile si riduce, perché al reddito complessivo (𝑌) occorre sottrarre il valore delle imposte (𝑇̅) utilizzate dal governo per finanziare la propria spesa. 3) 𝐶 = 𝐶0 = +𝑐 ∙ (𝑌 − 𝑇̅). Per semplicità, ipotizziamo che anche il livello delle imposte sia determinato esogenamente dalle autorità di governo (𝑇 = 𝑇̅). Nel modello reddito-spesa ampliato dalla presenza del settore pubblico le equazioni che specificano la funzione degli investimenti e il livello del tasso di interesse restano invece invariate. Pertanto, valgono le seguenti relazioni: 4) 𝐼 = 𝐼(𝜑, 𝑟), e 5) 𝑟 = 𝑟̅ . 116 Per ricavare l’espressione del reddito di equilibrio da questo sistema di cinque equazioni in cinque incognite (𝐷𝐴, 𝑌, 𝐶, 𝐼, 𝑟), come in precedenza partiamo dal valore assunto dal tasso di interesse (𝑟 = 𝑟̅ ). Dato 𝑟̅ , l’equazione 4) consente di definire il livello degli investimenti: 𝑟 = 𝑟̅ → 𝐼 = 𝐼(𝜑, 𝑟) → 𝐼(𝜑, 𝑟̅ ) = 𝐼 .̅ Sostituendo le equazioni 3) e 4) nella 2) si ottiene: 𝐷𝐴 = 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼 ̅ + 𝐺̅ + 𝑐 ∙ 𝑌, in cui (𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼 ̅ + 𝐺̅ ) rappresenta la componente autonoma dal reddito della domanda aggregata, mentre 𝑐 ∙ 𝑌 rappresenta invece la cosiddetta domanda indotta, ovvero la componente della domanda aggregata che è funzione delle variazioni del livello del reddito. Infine, sostituendo l’equazione 2) nella 1) si ricava il valore di equilibrio del reddito: 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼 ̅ + 𝐺̅ + 𝑐 ∙ 𝑌 = 𝑌. 𝑌 − 𝑐 ∙ 𝑌 = 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼 ̅ + 𝐺̅ , 𝑌 ∙ (1 − 𝑐) = 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼 ̅ + 𝐺̅ , e quindi 𝑌= 1 ∙ (𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼 ̅ + 𝐺̅ ). (1 − 𝑐) Possiamo definire il livello di equilibrio del reddito attraverso un semplice esempio numerico, ipotizzando che: 𝑐 = 0,75, e (𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼 ̅ + 𝐺̅ ) = 500. In questo caso: 𝑌= 1 1 ∙ (𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼 ̅ + 𝐺̅ ) → 𝑌 = ∙ 500 = 4 ∙ 500 = 2000. (1 − 𝑐) 0,25 117 Il modello reddito-spesa ampliato dalla presenza del settore pubblico permette di analizzare gli effetti prodotti sul reddito di equilibrio da una variazione del livello della spesa pubblica o da una variazione dell’imposizione fiscale. In altre parole, a seconda del segno delle variazioni decise dal governo in merito ai valori da attribuire a 𝐺̅ e 𝑇̅, esso consente di misurare gli effetti di una politica fiscale espansiva o restrittiva. Consideriamo, in primo luogo, le conseguenze indotte da una variazione del livello della spesa pubblica, e in particolare da una manovra fiscale espansiva: 𝑑𝐺̅ > 0 → 𝑑𝑌 ? → 𝑑𝑌 > 0. Supponiamo che sia 𝑑𝐺 = 100 (la spesa pubblica aumenta di 100 unità). Possiamo calcolare l’impatto di questo aumento della spesa pubblica sul livello del reddito di equilibrio partendo dal valore della derivata prima del reddito rispetto a 𝐺̅ : 𝑑𝑌 𝑑𝑌 1 1 1 = = = = = 4. 𝑑(𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼 ̅ + 𝐺̅ ) 𝑑𝐺̅ (1 − 𝑐) (1 − 0,75) 0,25 Pertanto avremo: 𝑑𝑌 = 1 ∙ 𝑑𝐺̅ = 4 ∙ 100 = 400, (1 − 𝑐) 𝑌1 = 𝑌0 + 𝑑𝑌 = 2000 + 400 = 2400. Figura 42 – Gli effetti di un aumento della spesa pubblica nel modello reddito-spesa 118 Gli effetti della variazione della spesa pubblica sono illustrati nella figura 42. Il punto 0 indica il valore di equilibrio iniziale (𝑌0 ). La variazione della spesa pubblica 𝑑𝐺̅ = 100) determina un incremento della domanda autonoma, il cui livello passa da 𝐴0 = (𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼 ̅ + 𝐺̅ ) = 500 a 𝐴1 = (𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼 ̅ + 𝐺̅ ) = 600. Il valore dell’intercetta della retta che rappresenta la domanda aggregata si sposta verso l’alto, e il sistema raggiunge una nuova posizione di equilibrio indicata dal punto 1, in cui 𝑌1 = 2400. Infine, prendiamo in considerazione gli effetti prodotti da una variazione dell’imposizione fiscale (𝑇̅) sul livello del reddito di equilibrio. Ipotizziamo, in particolare, che il governo intenda attuare una manovra fiscale restrittiva basata su un aumento della tassazione: 𝑑𝑇̅ > 0 → 𝑑𝑌 ? → (𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼 ̅ + 𝐺̅ ) ↓ → 𝑌 ↓. Pertanto, un aumento di 𝑇̅ determina una contrazione del reddito di equilibrio, mentre una riduzione di 𝑇̅ determina l’effetto contrario. Le determinazioni di politica fiscale del governo si riflettono sul saldo del bilancio pubblico, dato dalla differenza tra spesa pubblica e imposte (𝐺 − 𝑇). In particolare, si avrà un disavanzo del settore pubblico, ovvero un deficit pubblico, se il livello della spesa pubblica eccede quello delle imposte (𝐺 > 𝑇 → (𝐺 − 𝑇) > 0). Generalmente, il disavanzo, o l’avanzo, di bilancio vengono ‘pesati’ in rapporto al livello del reddito: Disavanzo/Avanzo pubblico (𝐺 − 𝑇) = . PIL 𝑌 In conclusione, osserviamo che il modello reddito-spesa descritto in questo paragrafo costituisce soltanto una rappresentazione parziale del sistema economico, perché in esso: i) le modalità di determinazione del tasso di interesse (𝑟) non vengono spiegate. Le equazioni del modello si limitano infatti a indicare che, in una economia monetaria, il tasso di interesse è indipendente dalle decisioni di risparmio, e che esso corrisponde al prezzo della moneta; ii) non vengono presi in considerazione gli scambi con l’estero (si tratta di un modello riferito esclusivamente alla realtà di una economia chiusa); iii) i ̅ , 𝑃 = 𝑃̅, 𝑊 ̅ ⁄𝑃̅ = 𝑊 ⁄𝑃 ). prezzi sono dati, ovvero costanti (𝑊 = 𝑊 𝐸 3. La teoria keynesiana del tasso di interesse 3.1. Introduzione La teoria neoclassica, che, come abbiamo visto nella prima parte del corso, considera il tasso di interesse come il premio per l’astensione dal consumo, o, equivalentemente, come la remunerazione del risparmio, vale in una economia grano in cui i mercati dei beni e quelli dei capitali e del credito coincidono. 119 Secondo Keynes, invece, in una economia basata sull’uso di moneta di origine bancaria, l’offerta di credito è del tutto indipendente dalle decisioni di risparmio. Le banche, infatti, possono offrire credito creando moneta che verrà utilizzata dagli imprenditori per realizzare i loro progetti di investimento. In altre parole, in una economia monetaria vale la sequenza: Denaro (D) → Merce (M) → Denaro (Dʼ). Pertanto, nel mondo descritto da Keynes, il tasso di interesse rappresenta il prezzo della moneta e non quello del risparmio, e il suo valore non è determinato sul mercato dei beni, come sostiene la teoria neoclassica, bensì sul mercato della moneta. Per poter determinare il livello del tasso di interesse è quindi necessario descrivere le caratteristiche del mercato della moneta specificate da Keynes nella Teoria generale, e in particolare quelle delle funzioni di domanda e di offerta di moneta. 3.2. La funzione di domanda di moneta Per illustrare le caratteristiche della funzione di domanda di moneta è necessario ricordare le funzioni che esercita la moneta. Generalmente, alla moneta vengono attribuite le seguenti tre funzioni: i) quella di mezzo di scambio, che come abbiamo visto è al centro dell’analisi condotta dagli economisti neoclassici; ii) quella di unità di conto, perché la moneta è la grandezza nella quale vengono espressi i prezzi di tutti i beni; iii) quella di fondo di valore, perché la moneta è uno strumento che permette di conservare il potere d’acquisto nel tempo. La funzione di fondo di valore può essere svolta non solo dalla moneta, ma anche da tutte le attività patrimoniali possedute dagli agenti economici sotto forma di titoli di credito come le obbligazioni, di titoli di proprietà come le azioni, e di beni durevoli come i terreni, le abitazioni e gli oggetti preziosi. Come sappiamo, l’insieme di queste attività costituisce la ricchezza di un individuo. Tuttavia, nell’ambito dell’insieme di attività patrimoniali possedute da un individuo, la moneta rappresenta la componente più liquida, quella cioè più immediatamente spendibile in cambio di beni e servizi. E’ importante non confondere reddito e ricchezza. Il reddito, infatti, è una grandezza flusso che fa riferimento a un determinato intervallo di tempo (un mese, un semestre, un anno). La ricchezza, invece, è una grandezza stock composta da un insieme di attività patrimoniali (beni reali durevoli, moneta e attività finanziarie) posseduto da un individuo in un determinato istante di tempo, cui viene riferita anche la misurazione del suo valore. Il reddito e la ricchezza di un agente economico sono legati da una significativa relazione illustrata nella figura 43. 120 Figura 43 – La relazione tra reddito e ricchezza Come si può notare, nella figura 43 viene presa in considerazione una successione di periodi temporali (𝑡1 , 𝑡2 e 𝑡3 ). Il simbolo 𝑊0 indica il valore della ricchezza al tempo 0. 𝑌1 , invece, rappresenta il reddito realizzato nel periodo 𝑡1 . Questo reddito verrà in parte consumato (𝐶1 ) e in parte risparmiato (𝑆1 ). La parte risparmiata si aggiunge alla ricchezza iniziale posseduta al tempo 0. Pertanto, la ricchezza disponibile al tempo 1 sarà pari a: 𝑊1 = 𝑊0 + 𝑆1. Analogamente, avremo che: 𝑊2 = 𝑊1 + 𝑆2. L’analisi della figura 43 mette in evidenza come in ogni intervallo di tempo gli agenti economici debbano prendere due decisioni. In primo luogo, essi devono decidere quanta parte del loro reddito consumare e quanta parte di esso risparmiare: In secondo luogo, essi devono scegliere la composizione della loro ricchezza. Essi, cioè, devono scegliere quanta parte della loro ricchezza tenere sotto forma di moneta, e quanta parte di essa invece investire in attività patrimoniali diverse dalla moneta: 121 Il concetto di domanda di moneta può essere specificato considerando questa seconda scelta di un individuo, relativa alla composizione della sua ricchezza. Per un singolo soggetto economico domandare moneta significa decidere di impiegare parte della propria ricchezza in moneta. La funzione di domanda di moneta specifica i fattori che spingono un individuo, e l’insieme degli individui, a domandare moneta. In particolare, la domanda di moneta (𝑀𝑑 ) è funzione dei seguenti tre fattori. 1) La ricchezza, che rappresenta il vincolo di bilancio del possessore di ricchezza. Quanto maggiore la ricchezza, tanto più alto il valore della quantità di moneta detenuta: 𝑊 ↑ → 𝑀𝑑 ↑. 2) Il livello del reddito (𝑌). La relazione tra il livello del reddito e la domanda di moneta si spiega con la funzione di mezzo di pagamento svolto dalla moneta. Un individuo domanda moneta, perché questa gli è necessaria per poter acquistare i beni che desidera consumare. E’ quindi del tutto ragionevole assumere che al crescere del livello del reddito cresca anche la quantità di moneta domandata: 𝑌 ↑ → 𝑀𝑑 ↑. 3) Il tasso di rendimento delle attività patrimoniali alternative alla moneta. Per individuare questo tasso di rendimento, nella Teoria generale Keynes ha assunto l’esistenza di una unica attività alternativa alla moneta consistente nelle obbligazioni a lungo termine aventi un rendimento pari a 𝑟, che corrisponde al tasso di interesse annuo. Nello schema di Keynes, il rendimento della moneta è invece da considerarsi nullo. Pertanto, a parità di livello del reddito (𝑌) e di ricchezza (𝑊), la domanda dipende dal tasso di rendimento dei titoli a lungo termine (𝑟). Il tasso di interesse 𝑟 coincide con il 122 costo opportunità della moneta, poiché rappresenta il rendimento cui un soggetto rinuncia per mantenere la propria ricchezza nella forma più liquida possibile. In altri termini, per Keynes, il tasso di interesse lungi dall’essere il premio per l’astensione dal consumo, rappresenta invece il premio che deve essere pagato per indurre un possessore di ricchezza a rinunciare a una parte o a tutta la quota più liquida del suo portafoglio. Tanto più alto è il tasso di interesse, tanto più costoso diventa il tesoreggiamento di moneta. Di conseguenza, si può ipotizzare che esista una relazione inversa tra il tasso di interesse e la domanda di moneta: 𝑟 ↑ → 𝑀𝑑 ↓. In definitiva, la funzione di domanda di moneta di un singolo agente economico può essere specificata nel modo seguente: 𝑀𝑑 = 𝑓(𝑊, 𝑌, 𝑟) con 𝑑𝑀𝑑 > 0, 𝑑𝑊 𝑑𝑀𝑑 >0 e 𝑑𝑌 𝑑𝑀𝑑 < 0. 𝑑𝑟 Partendo dalle funzioni di domanda individuali, è possibile costruire la funzione di domanda di moneta aggregata. A tal fine, è necessario prendere in considerazione il valore aggregato della ricchezza e il valore del reddito complessivo generato nell’ambito del sistema economico. 𝑀𝑑 = 𝑓(𝑊, 𝑌𝑁 , 𝑟), con 𝑊 (ricchezza aggregata), 𝑌𝑁 = 𝑃 ∙ 𝑌 (reddito nominale), e 𝑌 (reddito reale). In genere, a livello aggregato la ricchezza viene trascurata, perché si fa riferimento a una prospettiva di breve periodo, ovvero a un singolo periodo di tempo in cui la ricchezza può essere considerata costante. Vale quindi la seguente relazione: 𝑀𝑑 = 𝑓(𝑌𝑁 , 𝑟) = 𝑓(𝑃 ∙ 𝑌, 𝑟). La funzione di domanda di moneta può essere formulata anche in termini reali, ovvero in base al potere d’acquisto di una determinata quantità di moneta. Essa, quindi, è pari al rapporto tra la quantità di moneta (𝑀) e il livello dei prezzi (𝑃). Se, ad esempio, fosse: 𝑀0 = 100 𝑃0 = 1, si avrebbe: 𝑀0 100 = = 100. 𝑃1 1 123 Se, invece, fosse 𝑃2 = 2, la quantità reale di moneta sarebbe pari a: 𝑀0 100 = = 50. 𝑃2 2 Formalmente, la funzione di domanda di moneta in termini reali si ottiene dividendo la quantità di moneta e il reddito nominale per il livello dei prezzi: 𝑀𝑑 𝑃∙𝑌 𝑀𝑑 = 𝑓( , 𝑟) → = 𝑓(𝑌, 𝑟). 𝑃 𝑃 𝑃 Da questa espressione si evince che la domanda di moneta in termini reali dipende da due fattori, il reddito reale (𝑌) e il tasso di interesse sui titoli a lungo termine (𝑟). Generalmente, nei manuali, la funzione di domanda di moneta è definita in termini reali. E’ quindi possibile distinguere due componenti della domanda di moneta in termini reali: una prima componente che dipende dal livello del reddito reale, e che rappresenta la quantità di moneta necessaria a finanziare le transazioni (la domanda transazionale di moneta) 𝑀𝑇𝑅 = 𝑀𝑑 𝑇(𝑌), e 𝑃 una seconda componente che è invece funzione del tasso di interesse (la domanda speculativa di moneta) 𝑀𝑆𝑃 = 𝑀𝑑 𝑆(𝑟). 𝑃 E’ possibile specificare una versione lineare della funzione di domanda di moneta in termini reali: 𝑀𝑑 𝑃 = 𝑓(𝑌, 𝑟) → 𝑀𝑑 𝑃 = 𝑀𝑇𝑅 + 𝑀𝑆𝑃 → 𝑀𝑑 𝑃 𝑀 𝑀 𝑑 𝑑 =⏟ 𝑇(𝑌) + ⏟ 𝑆(𝑟) . 𝑃 𝑃 (+) (−) La domanda transazionale di moneta è una funzione crescente (+) del livello del reddito reale, mentre la domanda speculativa di moneta è una funzione decrescente (−) del tasso di interesse (per una descrizione del fenomeno della speculazione secondo Keynes si veda GB, paragrafo 2, capitolo 6). La funzione di domanda di moneta è riportata nella figura 44. 124 Figura 44 – La funzione di domanda di moneta keynesiana Il valore del tasso di interesse è indicato sull’asse delle ordinate, mentre su quello delle ascisse viene mostrato il valore della quantità reale di moneta domandata. Per definire la prima componente della domanda di moneta reale è necessario specificare il livello del reddito reale. Se il reddito reale è pari a 𝑌0 si avrà: 𝑀𝑑 𝑀𝑑 𝑇(𝑌) = 𝑇(𝑌0 ). 𝑃 𝑃 Questa grandezza è indipendente dal livello del tasso di interesse (𝑟), e può quindi essere rappresentata mediante una retta parallela all’asse delle ordinate. La seconda componente, che corrisponde alla domanda speculativa di moneta, varia inversamente rispetto al tasso di interesse. Si può assumere che esista un valore del tasso di interesse, pari a 𝑟 ∗ , in corrispondenza del quale la domanda speculativa di moneta è nulla: 𝑟 = 𝑟∗ → 𝑀𝑑 𝑆(𝑟 ∗ ) = 0. 𝑃 Poiché la domanda speculativa di moneta cresce al diminuire del tasso di interesse, questa seconda componente è rappresentata dalla curva decrescente che parte dal punto 0 corrispondente a 𝑟 ∗ . La somma delle due componenti indicate nella figura 44 dà luogo alla curva di domanda di moneta in termini reali. Per costruzione, la posizione della curva di domanda di moneta si modifica in funzione del valore assunto dal reddito reale (𝑌). Infatti, una variazione del reddito reale influenza la quantità di moneta domandata a scopi di transazione. Pertanto, un 125 aumento del reddito determina un incremento della domanda transazionale di moneta che, data la componente speculativa della domanda di moneta, determina un incremento della domanda complessiva, che si traduce in uno spostamento verso destra della curva di domanda di moneta. Simmetricamente, nel caso di una diminuzione del livello del reddito reale, la curva di domanda aggregata di moneta si sposta verso sinistra. La figura 45 contiene una rappresentazione grafica degli effetti prodotti da un aumento del livello del reddito reale (da 𝑌0 a 𝑌1 > 𝑌0 ). Figura 45 - Lo spostamento della domanda di moneta keynesiana per effetto di un aumento del livello del reddito 3.3. La funzione di offerta di moneta La funzione di offerta di moneta descrive il processo di creazione della quantità di moneta. Ricordiamo che la quantità di moneta in circolazione (𝑀) può essere considerata sotto due differenti punti di vista. Da un lato, infatti, essa corrisponde alla moneta creata dalla banca centrale, ovvero dalle autorità monetarie (offerta di moneta). Dall’altro, essa invece corrisponde alla quantità di moneta posseduta dai diversi soggetti economici (domanda di moneta). 126 La banca centrale crea moneta attraverso una serie di operazioni che verranno descritte più avanti. Per il momento, possiamo considerare la quantità di moneta in circolazione (offerta di moneta), come una grandezza esogena determinata dalle autorità monetarie. Pertanto, definiamo la seguente funzione di offerta di moneta: ̅. 𝑀𝑠 = 𝑀 Per giungere alla formulazione dell’offerta di moneta in termini reali dobbiamo specificare il livello generale dei prezzi. Supponiamo, in particolare, che il livello dei prezzi sia dato (𝑃 = 𝑃̅). Di conseguenza, otteniamo la seguente funzione di offerta di moneta in termini reali: ̅ 𝑀𝑠 𝑀 = . 𝑃 𝑃̅ Figura 46 – La funzione di offerta di moneta in termini reali 127 Questa funzione trova rappresentazione grafica nella retta parallela all’asse delle ordinate contenuta nella figura 46. 3.4. L’equilibrio sul mercato della moneta keynesiano Assumendo che il livello generale dei prezzi sia dato (𝑃 = 𝑃̅), e che il livello del reddito sia pari a quello che corrisponde all’equilibrio sul mercato dei beni (𝑌0 ), il mercato della moneta descritto da Keynes nella Teoria generale può essere rappresentato attraverso il seguente sistema di tre equazioni in tre incognite 𝑀 ( 𝑃̅𝑑 , 𝑀𝑠 𝑃̅ e 𝑟): 𝑀𝑑 = 𝑓(𝑌0 , 𝑟) (domanda di moneta in termini reali) 𝑃̅ ̅ 𝑀𝑠 𝑀 2) = (offerta di moneta in termini reali) 𝑃̅ 𝑃̅ ̅ 𝑀𝑑 𝑀 3) = . 𝑃̅ 𝑃̅ 1) Sostituendo le equazioni 1) e 2) nella 3) si ottiene: 𝑓(𝑌0 , 𝑟) = ̅ 𝑀 . 𝑃̅ Si tratta di una equazione in una sola incognita (𝑟), che definisce il valore del tasso di interesse che mette in equilibrio il mercato della moneta. In altri termini, questa equazione individua il valore del tasso di interesse in corrispondenza del quale il pubblico è soddisfatto di possedere (domanda di moneta) esattamente la quantità di moneta creata dalla banca centrale (offerta di moneta). Indichiamo questo valore con il simbolo 𝑟0 . Dati 𝑌0 e 𝑃̅, la figura 47 illustra graficamente l’equilibrio sul mercato della moneta. Come si può notare, il valore di equilibrio del tasso di interesse (𝑟0 ) è individuato in corrispondenza della intersezione tra le curve di domanda e di offerta di moneta in termini reali: 𝑟 = 𝑟0 → ̅̅̅̅ 𝑀𝑑 𝑀0 = 𝑓(𝑌0 , 𝑟0 ) = . 𝑃̅ 𝑃̅ 128 Figura 47 – L’equilibrio sul mercato della moneta Supponiamo, a titolo di esempio, che le autorità monetarie abbiano creato una ̅̅̅̅0 = 400). Inoltre, poniamo il livello dei prezzi pari a 1 quantità di moneta pari a 400 (𝑀 (𝑃̅ = 1). Pertanto, l’offerta reale di moneta ammonta a: 𝑀𝑠 ̅̅̅̅ 𝑀0 = = 400. ̅ 𝑃 𝑃̅ In questo caso, in corrispondenza del tasso di interesse di equilibrio (𝑟0 ) gli agenti economici esprimono una domanda pari a 400 unità di moneta. In realtà, in corrispondenza del tasso di interesse di equilibrio (𝑟0 ) non si realizza soltanto l’equilibrio sul mercato della moneta, ma anche quello relativo al mercato dei titoli. Abbiamo infatti ipotizzato che la ricchezza (𝑊) fosse impiegabile soltanto in due modi, ovvero in titoli o in moneta. Di conseguenza: 𝑊 = 𝑀 + 𝐵, con 𝑀 uguale alla quantità di moneta e 𝐵 uguale alla quantità di titoli. Ciò significa che, dato il valore della ricchezza, la decisione di accumulare uno stock di moneta equivalente a 𝑀𝑑 (𝑌0 , 𝑟0 ), implica la scelta di accumulare uno stock di titoli pari a 𝑊 − 𝑀𝑑 (𝑌0 , 𝑟0 ). Dato lo stock di ricchezza delle famiglie, la curva di domanda di moneta consente quindi di esprimere anche la domanda di titoli. Questa conclusione è descritta nella figura 48, in cui sull’asse delle ascisse viene riportato anche il valore ̅ = 1000). La assunto dalla ricchezza dell’insieme degli agenti economici (𝑊 = 𝑊 curva di domanda di moneta esprime quindi sia la domanda di moneta che la domanda di titoli. In corrispondenza di 𝑟 = 𝑟0 , la domanda di moneta è pari a 400, mentre la 129 domanda di titoli, che si legge per differenza, considerando l’intersezione tra la retta verticale indicante il valore della ricchezza complessiva e l’asse delle ascisse, è pari a 600. Figura 48 – L’equilibrio sul mercato della moneta e sul mercato dei titoli (una esemplificazione) ̅ 𝑀𝑑 𝐵𝑑 𝑊 = + 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ → ̅ 𝑀𝑑 𝐵𝑑 𝑊 = − , e se 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑌 = 𝑌0 e 𝑟 = 𝑟0 → 𝑀𝑑 (𝑌0 , 𝑟0 ) = 400 → 𝑃̅ 𝐵𝑑 (𝑌0 , 𝑟0 ) = 𝑃̅ ̅ 𝑀𝑑 𝑊 (𝑌0 , 𝑟0 ) = 1000 − 400 = 600. − 𝑃̅ 𝑃̅ Sino a ora abbiamo specificato la domanda di titoli, ma per completare la descrizione del mercato dei titoli è necessario definire anche la funzione di offerta di titoli, ovvero l’ammontare di titoli in circolazione nel sistema. A tal fine, consideriamo il significato del concetto di ricchezza (𝑊). Come sappiamo, la ricchezza rappresenta l’insieme delle attività patrimoniali (moneta, titoli di credito, azioni e beni durevoli) posseduto dal pubblico. A scopi di semplificazione abbiamo ipotizzato che la ricchezza sia costituita soltanto da due componenti, la moneta e i titoli. Quindi, se il valore della ricchezza è pari a 1000 e il valore dello stock di moneta è pari a 400, il valore dello stock di titoli deve essere necessariamente pari a 600. Infatti: 130 ̅ = 1000 = Moneta + Titoli. 𝑊=𝑊 A fronte della ricchezza detenuta sotto forma di attività finanziarie come i titoli di credito vi sono dei debitori: ̅ = Debiti = 1000. Titoli di credito = debiti/debitori → 𝑊 = 𝑊 I debitori coincidono con: i) la banca centrale che ha emesso moneta; ii) le imprese e il settore pubblico che hanno emesso i titoli. I debiti equivalgono alla ricchezza complessiva degli agenti economici, poiché un ammontare di essi pari a 400 corrisponde allo stock di moneta, mentre la quota restante, pari a 600, è uguale all’ammontare dei titoli di credito. Pertanto, avremo: 𝐵𝑠 = 600 (offerta di titoli). 𝑃̅ Possiamo quindi concludere che in corrispondenza del punto 0, individuato dalle coordinate (𝑌0 , 𝑟0 ) (figura 48) sia il mercato della moneta che il mercato dei titoli di credito sono in equilibrio: ̅̅̅̅ 𝑀𝑑 𝑀0 (𝑌0 , 𝑟0 ) = = 400, e 𝑃̅ 𝑃̅ 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌0 , 𝑟0 ) = = 600. 𝑃̅ 𝑃̅ 3.4. La natura monetaria del tasso di interesse Finora abbiamo mostrato che esiste un valore del tasso di interesse in corrispondenza del quale il mercato della moneta è in equilibrio. Secondo Keynes, il tasso di interesse assume sempre questo valore di equilibrio, perché esso rappresenta il prezzo della moneta, ovvero il prezzo che assicura l’uguaglianza tra la domanda e l’offerta di moneta. Per meglio illustrare questa tesi, consideriamo le conseguenze di uno squilibrio sul mercato della moneta. Ipotizziamo, quindi, che sia: 𝑟 = 𝑟1 > 𝑟0 . In questo caso, come mostra la figura 49, si registrerà uno squilibrio sia sul mercato della moneta che sul mercato dei titoli. 131 Figura 49 – L’eccesso di offerta di moneta Sul mercato della moneta si manifesta una situazione di eccesso dell’offerta rispetto alla domanda. Infatti: ̅ 𝑀𝑑 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌0, 𝑟1 ) < (𝑌0 , 𝑟0 ) = ⏟̅ ⏟ ⏟ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃 300 400 → ̅ 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌0 , 𝑟1 ) < . 𝑃̅ 𝑃̅ 400 Corrispondentemente, sul mercato dei titoli si registra un eccesso di domanda di titoli: ̅ 𝐵𝑑 𝑊 𝑀𝑑 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌0 , 𝑟1 ) = (𝑌0 , 𝑟1 ) > (𝑌0 , 𝑟0 ) = − . ⏟ ⏟̅ ⏟ ⏟ ⏟ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃 700 1000 300 600 600 Il pubblico desidera scambiare moneta (riducendone la quantità posseduta da 400 a 300 unità) contro titoli (aumentandone l’ammontare detenuto da 600 a 700 unità). In altri termini, in corrispondenza di un livello del tasso di interesse pari a 𝑟1 il pubblico domanderà titoli offrendo in cambio una parte della moneta in suo possesso. Di conseguenza, sul mercato dei titoli si determina una situazione caratterizzata da un eccesso di domanda rispetto all’offerta che si traduce in una pressione al rialzo del prezzo dei titoli: 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌0 , 𝑟1 ) > ⏟̅ ⏟ 𝑃̅ 𝑃 700 600 132 → 𝑃𝐵 ↑. Per definire le conseguenze dell’aumento del prezzo dei titoli ricordiamo le caratteristiche di un titolo di credito. Un titolo di credito attribuisce al suo possessore il diritto di ricevere determinate somme di denaro nel futuro. Pertanto, il prezzo di un titolo di credito corrisponde al valore attuale delle somme future che esso permette di incassare. Supponiamo che al tempo zero siano stati emessi titoli alternativi alla moneta per un valore nominale pari a 100, con la promessa di corrispondere un interesse 𝑟0 uguale al 10% per un periodo di 𝑛 anni. Pertanto, chi acquista il titolo cede una quantità di moneta pari a 100 in cambio del diritto di ricevere una somma in conto interessi uguale a 10 unità di moneta per ciascuno degli 𝑛 anni della sua durata e il rimborso del suo valore nominale alla scadenza di tale periodo di tempo. Il flusso degli incassi futuri associati all’acquisto di un titolo di credito è illustrato nella figura 50. Figura 50 – I flussi di moneta associati all’acquisto di un titolo di credito Chi acquista questi titoli non è obbligato a tenerli in portafoglio fino alla loro scadenza. In ogni momento, infatti, i titoli obbligazionari possono essere scambiati contro moneta sui mercati finanziari a un prezzo 𝑃𝐵 che riflette le forze della domanda e dell’offerta, e che rappresenta il valore attuale delle somme future che rimangono da incassare. Supponiamo, per semplicità di calcolo del valore attuale, di essere al tempo 𝑛 − 1. Ipotizziamo, cioè, che gli scambi sul mercato finanziario avvengano a un anno dalla scadenza del titolo. Il prezzo del titolo al tempo 𝑛 − 1 (𝑃𝐵(𝑛−1) ) rappresenta quindi il valore attuale della somma che il possesso del titolo consentirà di ricevere dopo un anno di tempo: Indicando con il simbolo 𝑟 il tasso di interesse corrente, ovvero il livello del tasso di interesse al tempo 𝑛 − 1, varrà la seguente relazione: 𝑃𝐵(𝑛−1) + 𝑟 ∙ 𝑃𝐵(𝑛−1) = 110 → 𝑃𝐵(𝑛−1) = 133 110 . (1 + 𝑟) Questa espressione definisce una relazione inversa tra il prezzo di mercato di un titolo obbligazionario (𝑃𝐵 ) e il tasso di interesse corrente (𝑟): (1 + 𝑟) = 110 110 → 𝑟= − 1. 𝑃𝐵 𝑃𝐵 In particolare: se 𝑃𝐵(1) = 100 → 𝑟1 = 110 − 1 = 10%, e 100 se 𝑃𝐵(2) = 105 → 𝑟2 = 110 − 1 = 4,8%. 105 In corrispondenza del tasso di interesse 𝑟1, si registrano un eccesso di offerta di moneta e un eccesso di domanda di titoli che provocano un incremento del prezzo dei titoli, e quindi una caduta del tasso di interesse: 𝑟1 → eccesso di offerta di moneta ed eccesso di domanda di titoli → 𝑃𝐵 ↑ → 𝑟 ↓. La caduta del tasso di interesse consente quindi di eliminare gli squilibri sui due mercati. Da un lato, infatti, tale caduta determina un aumento della domanda di moneta, mentre, dall’altro, essa provoca una riduzione della domanda di titoli: La figura 51 illustra il caso simmetrico in cui il tasso di interesse corrente è inferiore al livello che assicura l’equilibrio tra le quantità di moneta offerte e domandate (𝑟2 < 𝑟0 ). In questa situazione si avrà un eccesso di domanda di moneta cui corrisponde un eccesso di offerta di titoli che si traduce in una pressione al rialzo del tasso di interesse. 134 Figura 51 – L’eccesso di domanda di moneta ̅ 𝑀𝑑 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌0, 𝑟2 ) > (𝑌0 , 𝑟0 ) = ⏟̅ ⏟ ⏟𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃 500 400 → ̅ 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌0 , 𝑟2 ) > , e 𝑃̅ 𝑃̅ 400 ̅ 𝐵𝑑 𝑊 𝑀𝑑 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌0 , 𝑟2 ) = (𝑌0 , 𝑟2 ) < (𝑌0 , 𝑟0 ) = − . ⏟ ⏟̅ ⏟ ⏟ ⏟ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃 500 1000 500 600 600 Il pubblico cerca di aumentare la quantità di moneta posseduta attraverso la cessione di titoli. Di conseguenza, sul mercato dei titoli si registra un eccesso di offerta di titoli che provoca una riduzione del prezzo dei titoli, e quindi un aumento del tasso di interesse 𝑟2 → eccesso di domanda di moneta ed eccesso di offerta di titoli → 𝑃𝐵 ↓ → 𝑟 ↑. Pertanto: 135 Nel mondo descritto da Keynes, dunque, il tasso di interesse è la variabile che assicura l’equilibrio tra la domanda e l’offerta di moneta. 3.6. Gli effetti delle variazioni del reddito e della quantità di moneta sull’equilibrio del mercato della moneta L’equilibrio sul mercato della moneta può modificarsi per effetto di spostamenti della funzione di offerta di moneta oppure della funzione di domanda di moneta. Come abbiamo visto, dato il valore del reddito, la funzione di domanda di moneta specifica la relazione tra il tasso di interesse e la quantità di moneta domandata dagli agenti economici. Una variazione del reddito modifica la domanda di moneta che serve a finanziare le transazioni, provocando quindi uno spostamento della curva di domanda di moneta. La figura 52 contiene la rappresentazione grafica della situazione di equilibrio sul mercato della moneta in corrispondenza di un valore del reddito pari a 𝑌0 . Figura 52 - L’effetto di un aumento del livello del reddito sull’equilibrio del mercato della moneta (1). Se ̅̅̅̅ 𝑀𝑑 𝑀0 (𝑌0 , 𝑟0 ) = ̅ ⏟ ⏟ 𝑃 𝑃̅ 400 Come sappiamo, la posizione di allora 400 𝑀𝑑 𝑃̅ 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌0 , 𝑟0 ) = . ̅ ⏟̅ ⏟ 𝑃 𝑃 600 600 dipende dal valore assunto da 𝑌. Supponiamo che cambi il valore di 𝑌, con: 𝑌 = 𝑌1 > 𝑌0 . 136 Gli effetti di questa variazione del reddito sull’equilibrio del mercato della moneta sono illustrati nella figura 53. Figura 53 - L’effetto di un aumento del livello del reddito sull’equilibrio del mercato della moneta (2) L’incremento del reddito provoca un incremento della domanda di moneta per finanziare le transazioni che determina uno spostamento della curva di domanda di moneta complessiva verso destra: se 𝑌1 > 𝑌0 → 𝑀𝑑 𝑀𝑑 𝑀𝑑 𝑀𝑑 (𝑌1 ) > (𝑌0 ), e quindi (𝑌1 , 𝑟) ≠ (𝑌0 , 𝑟). 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ In corrispondenza di 𝑟0 sul mercato della moneta si registra un eccesso di domanda: ̅̅̅̅ 𝑀𝑑 𝑀𝑑 𝑀0 (𝑌1 , 𝑟0 ) > (𝑌0 , 𝑟0 ) = . ⏟ ⏟ ⏟ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ 500 400 400 Lo squilibrio sul mercato della moneta è accompagnato da uno squilibrio simmetrico sul mercato dei titoli, ovvero da un eccesso di offerta di titoli: ̅ 𝐵𝑑 𝑊 𝑀𝑑 𝐵𝑠 (𝑌1 , 𝑟0 ) = [ (𝑌1 , 𝑟0 )] < − . ⏟̅ ⏟̅ ⏟ ⏟𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃 𝑃 500 1000 137 500 600 Per effetto di questi squilibri, il pubblico cerca di procurarsi la moneta desiderata vendendo titoli. L’eccesso di offerta di titoli provoca una riduzione del loro prezzo e un corrispondente aumento del tasso di interesse: 𝑃𝐵 ↓ → 𝑟 ↑. La variazione a rialzo del tasso di interesse continua sino a quando il mercato dei titoli e quello della moneta tornano in equilibrio: In corrispondenza di un livello del tasso di interesse pari a 𝑟1, infatti avremo: ̅̅̅̅ 𝑀𝑑 𝑀0 (𝑌1 , 𝑟1 ) = , e ⏟ ⏟𝑃̅ 𝑃̅ 400 400 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌1 , 𝑟1 ) = . ⏟̅ ⏟ 𝑃̅ 𝑃 600 600 La nuova posizione di equilibrio emerge in conseguenza di una variazione della composizione della domanda complessiva di moneta. Infatti, all’aumento della domanda di moneta per transazioni (determinato dall’aumento del livello del reddito) si contrappone la contrazione della domanda di moneta a scopi di speculazione (dovuta all’aumento del valore assunto dal tasso di interesse): 𝑀𝑑 𝑀𝑑 𝑇(𝑌1 ) + 𝑆(𝑟1 ) = 400, con ̅ 𝑃 𝑃̅ 𝑀𝑑 𝑀𝑑 𝑇(𝑌1 ) > 𝑇(𝑌0 ) 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑀𝑑 𝑀𝑑 𝑆(𝑟1 ) < 𝑆(𝑟0 ). 𝑃̅ 𝑃̅ Una diminuzione del livello del reddito produce un effetto simmetrico. Infatti, la curva di domanda di moneta si sposta verso sinistra. Di conseguenza, il tasso di interesse subisce una contrazione, determinando un aumento della domanda di moneta 138 speculativa che compensa il calo della domanda di moneta a scopi di transazione indotto dalla riduzione del livello del reddito. L’equilibrio sul mercato della moneta può essere modificato anche a seguito di una variazione dell’offerta di moneta. In un sistema economico in cui la moneta coincide con la moneta legale creata dalla banca centrale, la quantità di moneta in circolazione può variare in conseguenza delle operazioni di mercato aperto condotte dalle autorità monetarie. Le operazioni di mercato aperto consistono nell’acquisto o nella vendita di titoli effettuati dalla banca centrale sul mercato secondario, ovvero sul mercato in cui si scambiano titoli emessi in periodi precedenti. Esse, quindi, non si svolgono sul mercato primario, che rappresenta il mercato in cui vengono collocati i titoli di nuova emissione. In maggiore dettaglio, le operazioni di mercato aperto condotte dalle autorità monetarie si sostanziano: nell’acquisto di titoli, quando la banca centrale compra titoli in cambio di moneta. In questo modo essa immette moneta nel sistema economico e l’offerta di moneta aumenta; nella vendita di titoli, quando la banca centrale cede titoli in cambio di moneta. In questo secondo caso essa drena moneta dal sistema economico e l’offerta di moneta si riduce. Consideriamo gli effetti di un aumento dell’offerta di moneta utilizzando la figura 54. Figura 54 - L’effetto di un aumento dell’offerta di moneta (acquisto di titoli) sull’equilibrio del mercato della moneta 139 Il punto 0 individua la posizione di equilibrio iniziale, in cui: ̅̅̅̅ 𝑀𝑑 𝑀0 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌0 , 𝑟0 ) = (𝑌0 , 𝑟0 ) = , e . ̅ ̅ ̅ ⏟ ⏟̅ ⏟ ⏟ 𝑃 𝑃 𝑃 𝑃 400 400 600 600 Supponiamo che le autorità monetarie intendano incrementare l’offerta di moneta di 100 unità (𝑑𝑀 = +100): ̅̅̅̅ ̅̅̅̅1 𝑀0 𝑀 = 400 → = 500. 𝑃̅ 𝑃̅ Questa decisione implica un incremento della domanda di titoli da parte della banca centrale: 𝑑𝑀 = +100 = 𝑑 𝐵𝑑 𝐵𝐶 = +100. 𝑃̅ Infatti, per riuscire a espandere l’offerta di moneta le autorità monetarie devono indurre il pubblico a cederle titoli in cambio di moneta. Nella figura 54 questa decisione della banca centrale provoca un aumento dell’offerta di moneta che si traduce in uno spostamento verso destra della retta parallela all’asse delle ordinate. In corrispondenza del tasso di interesse 𝑟0 si manifesta uno squilibrio sul mercato della moneta. Più precisamente, la quantità di moneta offerta eccede la quantità di moneta domandata: ̅̅̅̅ 𝑀𝑑 𝑀1 (𝑌0 , 𝑟0 ) < . ⏟ ⏟𝑃̅ 𝑃̅ 400 500 Allo squilibrio sul mercato della moneta corrisponde uno squilibrio simmetrico sul mercato dei titoli, perché l’intervento della banca centrale provoca un eccesso di domanda rispetto all’offerta dovuto al fatto che in corrispondenza del tasso di interesse 𝑟0 il pubblico non è disposto a cedere titoli contro moneta: 𝐵𝑑 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌0 , 𝑟0 ) + 𝐵𝐶 > . ̅ ̅ ⏟ ⏟̅ ⏟ 𝑃 𝑃 𝑃 600 100 600 L’eccesso di domanda sul mercato secondario dei titoli provoca un aumento del loro prezzo (𝑃𝐵 ), e quindi una riduzione del tasso di interesse, che spinge il pubblico a cedere titoli contro moneta. In altre parole, a livelli del tasso di interesse più bassi di 𝑟0 i possessori di ricchezza sono disposti a cambiare la composizione dei loro portafogli: 140 Quando il livello del tasso di interesse è sceso a 𝑟1, sarà stata raggiunta una nuova posizione di equilibrio identificata dal punto 1, in cui il pubblico avrà aumentato la quantità di moneta in suo possesso e ridotto la quota di titoli in portafoglio: ̅̅̅̅ 𝑀𝑑 𝑀0 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌0 , 𝑟1 ) = (𝑌0 , 𝑟1 ) = , e . ⏟ ⏟̅ ⏟𝑃̅ ⏟ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃 500 500 500 500 La banca centrale può anche optare per una politica monetaria restrittiva, riducendo l’offerta di moneta. Gli effetti di questa decisione delle autorità monetarie sono descritti graficamente nella figura 55. Figura 55 - L’effetto di un riduzione dell’offerta di moneta (vendita di titoli) sull’equilibrio del mercato della moneta Come nel caso precedente, iniziamo la nostra analisi dalla posizione di equilibrio corrispondente al punto 0: ̅̅̅̅ 𝑀𝑑 𝑀0 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌0 , 𝑟0 ) = (𝑌0 , 𝑟0 ) = , e . ⏟ ⏟̅ ⏟ ⏟ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃 400 400 600 141 600 Supponiamo che la banca centrale decida di ridurre la quantità di moneta in circolazione di 100 unità (𝑑𝑀 = −100): ̅̅̅̅ ̅̅̅̅ 𝑀0 𝑀1 = 400 → = 300. ̅ 𝑃 𝑃̅ Per ottenere questo risultato, le autorità monetarie devono indurre il pubblico a modificare la composizione della propria ricchezza, ovvero a cedere moneta in cambio di titoli. Pertanto, la decisione della banca centrale di ridurre la quantità di moneta comporta un aumento dell’offerta di titoli: 𝑑𝑀 = −100 = 𝑑 𝐵𝑠 𝐵𝐶 = +100. 𝑃̅ Come si può notare dall’esame della figura 55, le scelte della banca centrale determinano uno spostamento verso sinistra della parallela all’asse delle ordinate. In corrispondenza del tasso di interesse 𝑟0 si registra un eccesso della domanda di moneta rispetto all’offerta, perché il pubblico continua a desiderare un ammontare complessivo di moneta pari a 400: ̅̅̅̅ 𝑀𝑑 𝑀1 (𝑌0 , 𝑟0 ) > . ⏟ ⏟𝑃̅ 𝑃̅ 400 300 Allo squilibrio sul mercato della moneta si accompagna uno squilibrio simmetrico sul mercato dei titoli, ovvero un eccesso di offerta di titoli: 𝐵𝑑 𝐵𝑠 𝐵𝑠 (𝑌0 , 𝑟0 ) < + 𝑑 𝐵𝐶 . ̅ ̅ ⏟ ⏟ ⏟ 𝑃̅ 𝑃 𝑃 600 600 100 L’eccesso di offerta di titoli provoca una riduzione del loro prezzo e un corrispondente aumento del tasso di interesse: 𝐵𝑑 𝐵𝑠 𝐵𝑠 (𝑌0 , 𝑟0 ) < + 𝑑 𝐵𝐶 → 𝑃𝐵 ↓ → 𝑟 ↑. 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ L’aumento del tasso di interesse spinge gli agenti economici a ridurre la domanda di moneta e ad aumentare quella di titoli: 142 Per effetto di questi cambiamenti, il mercato della moneta converge verso una nuova posizione di equilibrio caratterizzata da un tasso di interesse pari a 𝑟1 : ̅̅̅̅ ̅ 𝑀𝑑 𝑀1 𝐵𝑑 𝑊 𝑀𝑑 𝐵𝑠 (𝑌0 , 𝑟1 ) = (𝑌0 , 𝑟1 ) = [ (𝑌0 , 𝑟1 )] = , e − . ⏟ ⏟̅ ⏟̅ ⏟ ⏟ ⏟ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃 𝑃̅ 𝑃 300 300 700 1000 300 700 In conclusione, possiamo osservare che la teoria keynesiana descrive gli effetti di una variazione della quantità di moneta in modo molto diverso da quello della teoria monetaria neoclassica, che, come si ricorderà dalla prima parte del corso, coincide con la teoria quantitativa della moneta. La teoria neoclassica, infatti, mette in evidenza la relazione tra quantità di moneta e livello generale dei prezzi. Questo approccio teorico postula il principio di neutralità della moneta, secondo cui l’impiego della moneta non modifica le caratteristiche strutturali del sistema economico, che, nel rispetto della sequenza Merce (M) → Denaro (D) →Merce (M’), restano sostanzialmente quelle di una economia di baratto, e non influenza i livelli del reddito e dell’occupazione. La teoria monetaria keynesiana, invece, afferma il principio di non neutralità della moneta. Secondo Keynes, la moneta rappresenta un elemento fondamentale per spiegare le peculiarità delle moderne economie di mercato e le ragioni per le quali in esse non vale la legge di Say, bensì il principio della domanda effettiva. La relazione tra la quantità di moneta e il livello del tasso di interesse è centrale nell’analisi di Keynes. In base a tale relazione, egli conclude che il tasso di interesse non rappresenta il premio per l’astensione dal consumo, ma il premio per la rinuncia alla liquidità, mettendo quindi in evidenza la natura monetaria del tasso di interesse. 4. Il modello IS-LM 4.1. Introduzione Nei paragrafi precedenti abbiamo illustrato due aspetti fondamentali della teoria keynesiana. 1. Il principio della domanda effettiva e la critica alla legge di Say. Questo elemento della teoria keynesiana è stato analizzato sottolineando le caratteristiche delle decisioni 143 di investimento e la loro importanza nelle economie contemporanee. Il principio della domanda effettiva è stato formalizzato attraverso la costruzione del modello redditospesa, che descrive il mercato dei beni in base all’assunzione che il tasso di interesse sia dato. 2. Il secondo aspetto fondamentale della teoria keynesiana consiste nell’affermazione del principio di non neutralità della moneta. Abbiamo sottolineato come nella teoria keynesiana la realizzazione delle decisioni di investimento presupponga la disponibilità di moneta e non già la disponibilità di risparmio. Pertanto, secondo Keynes, il tasso di interesse non dipende dalle decisioni di risparmio, ma dalle decisioni delle autorità monetarie. Esso, cioè, è un fenomeno monetario controllato dalla banca centrale attraverso le decisioni riguardanti la quantità di moneta immessa nel sistema economico. La natura monetaria del tasso di interesse è stata illustrata analizzando i meccanismi che, a giudizio di Keynes, governano il mercato della moneta. In sintesi, abbiamo descritto il mercato dei beni assumendo che il tasso di interesse (𝑟) fosse dato. Inoltre, abbiamo descritto il mercato della moneta ipotizzando che fosse dato il livello del reddito (𝑌). Ora dobbiamo studiare le interdipendenze tra questi due mercati. A tal fine, costruiremo un particolare modello teorico, noto con l’acronimo ISLM, in cui 𝑟 e 𝑌 sono variabili endogene al sistema. In altri termini, vedremo che nel modello IS-LM il livello del reddito e quello del tasso di interesse vengono determinati congiuntamente per effetto dell’influenza reciproca esercitata tra le variabili reali e quelle monetarie del sistema. 4.2. Le equazioni del modello e la determinazione analitica dei valori di equilibrio del reddito e del tasso di interesse Cominciamo la nostra analisi dalle equazioni che descrivono il mercato dei beni. a) 𝐷𝐴 = 𝑌 Questa equazione rappresenta l’equilibrio sul mercato dei beni e, come nel modello reddito-spesa, è il livello della domanda aggregata a determinare quello del reddito, e non viceversa: 𝐷𝐴 → 𝑌. b) 𝐷𝐴 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺̅ Questa seconda equazione illustra la composizione della domanda aggregata. In particolare, consideriamo il livello della spesa pubblica (𝐺), e anche quello della 144 tassazione (𝑇), come dati, perché vengono definiti autonomamente dalle autorità di governo. c) 𝐶 = 𝐶0 + 𝑐 ∙ (𝑌 − 𝑇̅) I consumi sono una funzione lineare crescente del livello del reddito disponibile. d) 𝐼 = 𝐼(𝜑, 𝑟) Nel modello IS-LM gli investimenti sono funzione non soltanto delle aspettative relative ai ricavi futuri degli imprenditori, ma anche del livello del tasso di interesse. Come abbiamo accennato sopra, il tasso di interesse non è più una variabile esogena, bensì una variabile determinata in modo endogeno. Pertanto, consideriamo la seguente funzione lineare degli investimenti: 𝐼 = 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 con 𝑏 > 0. La figura 56 contiene tre distinte rappresentazioni grafiche di questa funzione lineare degli investimenti. Figura 56 – La sensibilità al tasso di interesse della funzione lineare degli investimenti Le differenti inclinazioni delle curve rappresentate nella figura 56 indicano la diversa sensibilità degli investimenti rispetto al tasso di interesse. La funzione degli investimenti disegnata nella figura 56(b) è ‘rigida’, cioè poco sensibile alle variazioni del tasso di interesse, perché anche una significativa variazione del livello del tasso di interesse non determina forti incrementi del volume degli investimenti. Al contrario, la funzione degli investimenti tracciata nella figura 56(c) è altamente elastica, perché anche piccole variazioni del valore assunto dal tasso di interesse producono effetti rilevanti sul livello degli investimenti. Infine, la funzione degli investimenti riportata 145 nella figura 56(a), può essere considerata un caso intermedio. In tutti e tre i casi, il valore assunto da 𝐼0 e la posizione della retta sul piano riflettono gli animal spirits degli imprenditori, per usare l’espressione originariamente utilizzata da Keynes per descrivere la loro maggiore o minore propensione all’investimento in base ai ricavi futuri attesi. Le equazioni che descrivono il mercato dei beni consentono di ricavare l’espressione dell’equazione IS, e quindi il valore del reddito (𝑌). Sostituendo le equazioni d) e c) nella b), si ottiene: 𝐷𝐴 = 𝐶0 + 𝑐 ∙ 𝑌 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺̅ , da cui 𝐷𝐴 = 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺̅ ⏟ + 𝐷𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎 𝑎𝑢𝑡𝑜𝑛𝑜𝑚𝑎 (𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑑𝑖𝑝𝑒𝑛𝑑𝑒 𝑑𝑎 𝑌) 𝑐⏟ ∙𝑌 . 𝐷𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎 𝑖𝑛𝑑𝑜𝑡𝑡𝑎 (𝑐ℎ𝑒 𝑑𝑖𝑝𝑒𝑛𝑑𝑒 𝑑𝑎 𝑌) Sostituendo quest’ultima espressione nella a), possiamo scrivere: 𝑌 = 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺̅ + 𝑐 ∙ 𝑌 𝑌 − 𝑐 ∙ 𝑌 = 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺̅ 𝑌 ∙ (1 − 𝑐) = 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺̅ . Pertanto, l’equazione IS è data da: 𝑌= 1 (1 − 𝑐) ⏟ 𝑀𝑜𝑙𝑡𝑖𝑝𝑙𝑖𝑐𝑎𝑡𝑜𝑟𝑒 (𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺̅ ). ∙⏟ 𝐷𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎 𝑎𝑢𝑡𝑜𝑛𝑜𝑚𝑎 Esiste una significativa differenza tra questa equazione e quella che individua il livello del reddito di equilibrio nel modello reddito-spesa. In quest’ultimo caso, infatti, il valore della domanda autonoma è dato, perché il tasso di interesse è considerato una variabile esogena. Pertanto, l’espressione che definisce il reddito di equilibrio è costituita da una equazione in una sola incognita (𝑌). Nel caso della equazione IS, invece, il tasso di interesse non è dato, ma rappresenta una variabile che incide sul volume degli investimenti, e quindi sui livelli della domanda autonoma e del reddito. In altri termini, l’equazione IS contiene due incognite, 𝑌 e 𝑟. Il nome IS deriva dal fatto che essa permette di ricavare tutte le combinazioni dei valori di 𝑌 e di 𝑟 coerenti con l’equilibrio sul mercato dei beni. Infatti, sappiamo che quando questo mercato è in equilibrio gli investimenti eguagliano i risparmi (𝐼 = 𝑆). A differenza di quanto abbiamo visto quando è stato descritto il modello redditospesa, nel modello IS-LM il livello del reddito di equilibrio può essere determinato 146 soltanto se si conosce il valore del tasso di interesse. A tal fine, è necessario specificare le equazioni che descrivono il mercato della moneta. e) 𝑀𝑑 = 𝑓(𝑌, 𝑟) 𝑃̅ con 𝑓 ′ (𝑌) > 0 e 𝑓 ′ (𝑟) < 0 Come per la funzione degli investimenti, utilizziamo una versione lineare della funzione di domanda di moneta: 𝑀𝑑 = 𝑘 ∙ 𝑌 − ℎ ∙ 𝑟 con 𝑘 > 0 e ℎ > 0. 𝑃̅ Completiamo la descrizione del mercato della moneta con le equazioni che definiscono l’offerta di moneta (equazione f)) e la condizione di equilibrio (equazione g)): f) ̅ 𝑀𝑠 𝑀 = 𝑃̅ 𝑃̅ g) 𝑀𝑑 𝑀𝑠 = 𝑃̅ 𝑃̅ Sostituendo le equazioni e) e f) nella g) si ottiene una nuova versione della condizione di equilibrio sul mercato della moneta denominata equazione LM. Si tratta di una equazione in due incognite, 𝑌 e 𝑟, che permette di individuare tutte le combinazioni del reddito (𝑌) e del tasso di interesse (𝑟) in corrispondenza delle quali il mercato della moneta si trova in equilibrio: 𝑘∙𝑌−ℎ∙𝑟 = ̅ 𝑀 . 𝑃̅ Possiamo quindi descrivere i mercati dei beni e della moneta attraverso il seguente sistema di due equazioni lineari: Mercato dei beni 𝑌= 1 ∙ (𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺̅ ) (equazione IS) (1 − 𝑐) Mercato della moneta 𝑘∙𝑌−ℎ∙𝑟 = ̅ 𝑀 (equazione LM) 𝑃̅ 147 Questo sistema di due equazioni in due incognite (𝑌 e 𝑟) consente di studiare l’interdipendenza tra il mercato dei beni e quello della moneta. Dal punto di vista formale, infatti, si tratta di un sistema integrato, per il quale non è cioè possibile definire un ordine di soluzione come nel caso del modello neoclassico, in cui l’ordine causale che governa il sistema è coerente con la legge di Say. In maggiore dettaglio, possiamo osservare che la prima equazione mette in evidenza la relazione causale che dal valore del tasso di interesse (𝑟) conduce alla determinazione del livello del reddito (𝑌). La seconda equazione, invece, mostra il legame causale che dal livello del reddito (𝑌) porta alla definizione del valore del tasso di interesse (𝑟): L’interdipendenza tra il mercato dei beni e il mercato della moneta può essere studiata in due modi. Il primo metodo consiste nel calcolare il valore di equilibrio del reddito risolvendo il sistema per 𝑌. Il secondo metodo consiste invece nella determinazione grafica dei valori di equilibrio di 𝑌 e di 𝑟. Iniziamo l’esame del modello IS-LM con il calcolo del valore di equilibrio del reddito. A tal fine, poniamo: 1 = 𝛼. (1 − 𝑐) Inoltre, usiamo il simbolo 𝐴 per indicare la componente della domanda autonoma che non dipende da 𝑟: (𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 + 𝐺̅ ) = 𝐴. Pertanto, è possibile riscrivere il modello IS-LM nel modo seguente: 1) 𝑌 = 𝛼 ∙ (𝐴 − 𝑏 ∙ 𝑟) (equazione IS) 2) 𝑘 ∙ 𝑌 − ℎ ∙ 𝑟 = ̅ 𝑀 (equazione LM) 𝑃̅ Risolviamo il sistema, cominciando a ricavare il valore di 𝑟 dall’equazione 2): 148 𝑘∙𝑌 =ℎ∙𝑟+ ̅ 𝑀 , 𝑃̅ da cui 𝑟= ̅ ̅ 1 𝑀 𝑘 1 𝑀 ∙ (𝑘 ∙ 𝑌 − ) = ∙ 𝑌 − ∙ . ℎ ℎ ℎ 𝑃̅ 𝑃̅ Sostituendo questa espressione nella equazione IS, si ottiene una equazione in una sola incognita (Y), il cui valore può essere specificato mediante i seguenti passaggi: ̅ 𝑘 1 𝑀 𝑌 = 𝛼 ∙ [𝐴 − 𝑏 ∙ ( ∙ 𝑌 − ∙ )] ℎ ℎ 𝑃̅ 𝑌 = 𝛼 ∙ [𝐴 − 𝑏 ∙ ̅ 𝑘 𝑏 𝑀 ∙𝑌+ ∙ ] ℎ ℎ 𝑃̅ ̅ 𝑘 𝑏 𝑀 ∙𝑌+𝛼∙ ∙ ℎ ℎ 𝑃̅ ̅ 𝑘 𝑏 𝑀 𝑌+𝛼∙𝑏∙ ∙𝑌 =𝛼∙𝐴+𝛼∙ ∙ ℎ ℎ 𝑃̅ 𝑌 =𝛼∙𝐴−𝛼∙𝑏∙ ̅ 𝑘 𝑏 𝑀 𝑌 ∙ (1 + 𝛼 ∙ 𝑏 ∙ ) = 𝛼 ∙ 𝐴 + 𝛼 ∙ ∙ . ℎ ℎ 𝑃̅ In definitiva, si ricava la seguente espressione del reddito di equilibrio: 𝑌= 𝛼 𝑘 (1 + 𝛼 ∙ 𝑏 ∙ ) ℎ ∙𝐴+ ̅ 𝑀 . ̅ 𝑘 (1 + 𝛼 ∙ 𝑏 ∙ ) ∙ ℎ 𝑃 ℎ 𝛼∙𝑏 ∙ Questa espressione permette di definire le variabili che influenzano il livello del reddito. Poiché vale il principio della domanda effettiva, il reddito è funzione dei fattori che influenzano le diverse componenti della domanda aggregata. In particolare, esso dipende: i) dal valore di 𝐴, che rappresenta la componente della domanda autonoma che non dipende dal valore assunto da 𝑟; ii) dal valore di 𝛼, che rappresenta il moltiplicatore del reddito, che, a sua volta, dipende dalla propensione marginale al consumo; iii) dal ̅ ⁄𝑃̅. Come si può notare, esiste una relazione valore della quantità reale di moneta 𝑀 diretta tra la quantità reale di moneta e il livello del reddito reale: ̅ 𝑀 ↑ → 𝑌 ↑. 𝑃̅ 149 Tale relazione può essere spiegata ricordando che, secondo la teoria keynesiana, una variazione della quantità di moneta incide sul livello del tasso di interesse, e quindi sul volume degli investimenti. Per esempio, si consideri l’ipotesi di una politica monetaria espansiva che determina l’aumento della quantità di moneta. Come sappiamo, questa decisione della banca centrale provoca la caduta del tasso di interesse. Con la discesa del tasso di interesse, si osserva una crescita della domanda per beni di investimento, cui fa seguito un aumento della spesa aggregata e, di conseguenza, un incremento del livello del reddito. Vale cioè la seguente sequenza causale: ̅ 𝑀 ↑ → 𝑟 ↓ → 𝐼 ↑ → 𝐷𝐴 ↑ → 𝑌 ↑. 𝑃̅ 4.3. L’analisi grafica dei meccanismi di funzionamento del modello IS-LM 4.3.1. La curva IS Passiamo ora alla determinazione grafica dei valori di equilibrio di 𝒀 e di 𝒓. A tal fine, riportiamo i valori del reddito (𝑌) sulle ascisse e i valori del tasso di interesse (𝑟) sulle ordinate, in modo da poter tracciare la curva IS e la curva LM sul piano. La curva IS, che come abbiamo visto trova espressione nell’equazione 𝑌= 1 ∙ (𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺̅ ), (1 − 𝑐) permette di rappresentare tutte le combinazioni di valori del reddito e del tasso di interesse in corrispondenza delle quali il mercato dei beni è in equilibrio. Per tracciare la curva IS, possiamo individuare una prima combinazione di valori che soddisfa questa condizione di equilibrio, assegnando un dato valore al tasso di interesse, per esempio 𝑟 = 𝑟0 . Se il tasso di interesse è pari a 𝑟0 , allora il valore del reddito è determinato attraverso l’equazione che definisce la IS. Infatti: per 𝑟 = 𝑟0 → 𝑌 = 𝑌0 = 1 ∙ (𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟0 + 𝐺̅ ). (1 − 𝑐) La combinazione di valori (𝑌0 , 𝑟0 ) è individuata nella figura 57, che si compone di due grafici. Il grafico superiore individua il valore di equilibrio del redito in base alla condizione di equilibrio: 𝐷𝐴(𝑌, 𝑟0 ) = 𝑌. Quindi vale: 150 𝐷𝐴(𝑌, 𝑟0 ) = 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟0 + 𝐺̅ + 𝑐 ∙ 𝑌. Questa espressione rappresenta una retta con intercetta pari a: 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟0 + 𝐺̅ . Figura 57 – La costruzione grafica della curva IS Il valore di equilibrio del reddito (𝑌0 ) è individuato dal punto di intersezione tra la retta 𝐷𝐴(𝑌, 𝑟0 ) e la retta a 45° che rappresenta la condizione di equilibrio 𝐷𝐴 = 𝑌. In questo modo abbiamo individuato una prima combinazione di valori (𝑌0 , 𝑟0 ) in corrispondenza della quale il mercato dei beni è in equilibrio. Questa combinazione è rappresentata dal punto 0 nel secondo grafico, quello situato più in basso nella figura 57. Replichiamo questa procedura per individuare una seconda combinazione di valori di 𝑌 e di 𝑟 che assicura l’equilibrio sul mercato dei beni. A tal fine, ora supponiamo che il 151 tasso di interesse sia pari a 𝑟1 > 𝑟0 . In questo caso, il valore del reddito corrispondente a 𝑟1 sarà diverso da 𝑌0 (𝑌1 ≠ 𝑌0 ). Per determinare la natura della variazione di Y, ricordiamo che un aumento del tasso di interesse provoca una riduzione degli investimenti, e quindi dei livelli della domanda autonoma e del reddito. Pertanto avremo: 𝑌(𝑟1 ) < 𝑌(𝑟0 ). In sintesi: se 𝑟 ↑ → (𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟) ↓ → 𝐷𝐴 ↓ → 𝑌 ↓. Come in precedenza, il nuovo valore del reddito di equilibrio è individuato sul primo grafico. In particolare, osserviamo che una variazione del tasso di interesse modifica il valore dell’intercetta della curva di domanda aggregata, perché il volume degli investimenti diminuisce. Di conseguenza risulta: 𝐷𝐴(𝑌, 𝑟1 ) = 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟1 + 𝐺̅ + 𝑐 ∙ 𝑌, e 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟1 + 𝐺̅ < 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟0 + 𝐺̅ . Il nuovo valore del reddito di equilibrio corrisponde al punto di intersezione della retta 𝐷𝐴(𝑌, 𝑟1 ) con la retta che taglia il piano a 45° (punto 1). Anche in questo caso, la nuova combinazione che definisce l’equilibrio sul mercato dei beni (𝑌1 , 𝑟1 ) può essere riportata sul grafico inferiore in corrispondenza del punto 1. Consideriamo, infine, l’ipotesi che il tasso di interesse assuma un valore pari a 𝑟2 < 𝑟0 . In tal caso: 𝑟2 < 𝑟0 → 𝑌(𝑟2 ) = 𝑌2 ≠ 𝑌(𝑟0 ). Per effetto della riduzione del valore del tasso di interesse, gli investimenti, la domanda aggregata e il reddito aumentano: se 𝑟 ↓ → (𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟) ↑ → 𝐷𝐴 ↑ → 𝑌 ↑. Di conseguenza, la caduta di r provoca uno spostamento verso l’alto della nuova curva di domanda aggregata, perché: 𝐷𝐴(𝑌, 𝑟2 ) = 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟2 + 𝐺̅ + 𝑐 ∙ 𝑌, e 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟2 + 𝐺̅ > 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟0 + 𝐺̅ . Il nuovo valore di equilibrio del reddito è indicato dal punto 2 nel grafico superiore della figura 57, mentre la nuova combinazione di valori del reddito e del tasso di 152 interesse (𝑌2 , 𝑟2 ) che assicura l’equilibrio sul mercato dei beni è ancora una volta riportata nel grafico inferiore della figura 57 (punto 2). Sulla base di queste considerazioni, è possibile tracciare una retta inclinata negativamente sul piano (𝑌, 𝑟) che passa attraverso i punti 0, 1 e 2 del grafico inferiore della figura 57. Tale retta contiene tutte le combinazioni di valori di 𝑌 e di 𝑟 in corrispondenza delle quali il mercato dei beni è in equilibrio. Questa retta è una versione lineare della cosiddetta curva IS. Pertanto, tutte le combinazioni di valori di 𝑌 e di 𝑟 che si trovano al di fuori della curva IS corrispondono a situazioni di squilibrio sul mercato dei beni. Ad esempio, consideriamo la combinazione che corrisponde al punto 3) della parte inferiore della figura 58, data da 𝑌0 e da 𝑟1 > 𝑟0 . Figura 58 – L’eccesso di offerta di beni La natura dello squilibrio che si determina sul mercato dei beni può essere specificata osservando che: 153 𝐷𝐴(𝑌, 𝑟1 > 𝑟0 ) < 𝐷𝐴(𝑌0 , 𝑟0 ) = 𝑌0 , e quindi che 𝐷𝐴(𝑌, 𝑟1 > 𝑟0 ) < 𝑌0 . In altri termini, in corrispondenza del punto 3 della parte inferiore della figura 58 si registra un eccesso di offerta di beni. Generalizzando questa conclusione, osserviamo che per tutte le combinazioni dei valori del reddito e del tasso di interesse che si trovano al di sopra della curva IS, il sistema si trova in una situazione di eccesso di offerta di beni. Figura 59 – L’eccesso di domanda di beni In modo simmetrico, la combinazione individuata dal punto 4 nella parte inferiore della figura 59, quella cioè data da 𝑌0 e da 𝑟2 < 𝑟0 , configura una situazione in cui: 154 𝐷𝐴(𝑌, 𝑟2 < 𝑟0 ) > 𝐷𝐴(𝑌0 , 𝑟0 ) = 𝑌0 , e quindi 𝐷𝐴(𝑌, 𝑟2 < 𝑟0 ) > 𝑌0 . Di conseguenza, possiamo concludere che tutte le combinazioni di 𝑌 e di 𝑟 che si trovano al di sotto della curva IS identificano uno squilibrio caratterizzato da un eccesso di domanda aggregata sul mercato dei beni. L’ultima considerazione relativa alla curva IS riguarda la specificazione dei fattori che ne influenzano la posizione. Le combinazioni di valori di 𝑌 e di 𝑟 coerenti con l’equilibrio sul mercato dei beni sono state individuate considerando come dati i valori di 𝐶0 , 𝐼0 , 𝑇̅ e 𝐺̅ . Ciò significa che la posizione della IS cambia in relazione alle variazioni di queste quattro grandezze. Supponiamo, ad esempio, che la curva IS che passa per i punti 0,1 e 2 nella figura 60 sia stata definita in corrispondenza di un valore della spesa pubblica pari a ̅̅̅ 𝐺0 . Analizziamo le conseguenze di una variazione del livello della spesa pubblica a seguito di una decisione delle autorità di governo. Figura 60 - Gli spostamenti della curva IS in funzione di variazioni delle componenti autonome della domanda aggregata (gli effetti di un aumento e di una diminuzione della spesa pubblica) Ipotizziamo, in particolare, che le autorità fiscali optino per un incremento della ̅̅̅1 > ̅̅̅ spesa pubblica (𝐺 𝐺0 ). A parità di tasso di interesse (𝑟0 ), l’aumento della spesa pubblica determina un incremento della domanda aggregata, e quindi del reddito di 155 equilibrio, che assume un valore pari a 𝑌 ∗ > 𝑌0 . Per effetto di queste variazioni la ̅̅̅1 ) si sposta verso destra. 𝐼𝑆(𝐺 Nel caso di una riduzione della spesa pubblica, si osserva invece uno spostamento simmetrico verso sinistra della IS. Supponiamo che il livello della spesa pubblica sia ̅̅̅2 < ̅̅̅ tale che (𝐺 𝐺0 ). In conseguenza di questa scelta delle autorità fiscali, a parità di tasso di interesse (𝑟0 ), la domanda aggregata diminuisce, determinando una caduta del ̅̅̅2 ). reddito di equilibrio che si traduce nello spostamento verso sinistra della curva 𝐼𝑆(𝐺 4.3.2. La curva LM Per completare l’analisi grafica del modello IS-LM dobbiamo rappresentare anche la curva LM, che rappresenta tutte le combinazioni di 𝑌 e di 𝑟 coerenti con l’equilibrio sul mercato della moneta. In altri termini, la curva LM individua tutte le combinazioni dei valori del reddito e del tasso di interesse che soddisfano l’equazione: 𝑘∙𝑌−ℎ∙𝑟 = ̅ 𝑀 (equazione LM). 𝑃̅ Figura 61 – La costruzione grafica della curva LM Si tratta di una equazione lineare in una sola incognita corrispondente al tasso di interesse (𝑟). Risolvendola per 𝑟 si ottiene il valore del tasso di interesse coerente con l’equilibrio sul mercato della moneta (𝑟 = 𝑟0 ). La combinazione (𝑌0 , 𝑟0 ) è individuabile guardando alla costruzione grafica della curva LM rappresentata nella figura 61. 156 Nel grafico di sinistra sono riprodotte le curve di domanda e di offerta di moneta. L’offerta di moneta corrisponde alla quantità reale di moneta che, dato il livello dei prezzi, è controllata dalle autorità monetarie. La curva di domanda di moneta è tracciata per un dato valore del reddito. Consideriamo, innanzitutto, la curva di domanda di moneta cui corrisponde un livello del reddito pari a 𝑌0 . L’intersezione tra questa curva di domanda di moneta e la retta parallela alle ordinate che rappresenta l’offerta di moneta (punto 0 nel grafico di sinistra) determina il valore del tasso di interesse che assicura l’equilibrio sul mercato della moneta quando il reddito è pari a 𝑌0 , ovvero (𝑟 = 𝑟0 ). La combinazione (𝑌0 , 𝑟0 ) è stata riportata sul grafico di destra (punto 0), in cui i valori di 𝑌 vengono indicati sull’asse delle ascisse, mentre quelli di 𝑟 sono individuati sull’asse delle ordinate Come nel caso della curva IS, procediamo alla identificazione di una seconda combinazione di 𝑌 e di 𝑟. Supponiamo che valga: 𝑌 = 𝑌1 > 𝑌0 . A parità di tasso di interesse, l’aumento del livello del reddito provoca un incremento della domanda di moneta che si traduce in uno spostamento verso l’alto della curva di domanda di moneta. Pertanto, in corrispondenza di 𝑟0 si registra un eccesso di domanda di moneta. Infatti: ̅ 𝑀𝑑 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌1 , 𝑟0 ) > (𝑌0 , 𝑟0 ) = , 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ e quindi ̅ 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌1 , 𝑟0 ) > . 𝑃̅ 𝑃̅ Come sappiamo, all’eccesso di domanda di moneta corrisponde un eccesso di offerta sul mercato dei titoli che provoca una riduzione del loro prezzo e un contestuale aumento del tasso di interesse: ̅ 𝑀𝑑 ̅ 𝑀𝑑 𝐵𝑑 𝑊 𝑊 𝐵𝑠 (𝑌1 , 𝑟0 ) = [ − (𝑌1 , 𝑟0 )] < [ − (𝑌0 , 𝑟0 )] = , 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ per cui 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌1 , 𝑟0 ) < → 𝑃𝐵 ↓ → 𝑟 ↑. 𝑃̅ 𝑃̅ Il valore assunto dal tasso di interesse continua a crescere sino a quando il mercato della moneta torna in equilibrio in corrispondenza di 𝑟1 > 𝑟0 . La nuova condizione di 157 equilibrio corrisponde quindi alla coppia di valori (𝑌1 , 𝑟1 ) individuata dal punto 1 nel grafico di sinistra della figura 61. Questa particolare combinazione dei valori del reddito e del tasso di interesse è riportata anche nel grafico di destra della figura 61 (punto 1). Infine, cerchiamo di individuare una terza combinazione di 𝑌 e di 𝑟. A tal fine, ipotizziamo che il reddito assuma il valore 𝑌 = 𝑌2 < 𝑌0. A parità di tasso di interesse, la riduzione del livello del reddito determina una diminuzione della domanda di moneta. Per effetto di queste variazioni, la curva di domanda di moneta si sposta verso sinistra. In corrispondenza di 𝑟0 , sul mercato della moneta si manifesta quindi un eccesso di offerta rispetto alla domanda, perché: ̅ 𝑀𝑑 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌2 , 𝑟0 ) < (𝑌0 , 𝑟0 ) = , 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ e quindi ̅ 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌2 , 𝑟0 ) < . 𝑃̅ 𝑃̅ Come nel caso precedente, lo squilibrio sul mercato della moneta è accompagnato da uno squilibrio simmetrico sul mercato dei titoli, ovvero da un eccesso di domanda di titoli rispetto all’offerta, che provoca un aumento del loro prezzo dei titoli e una corrispondente riduzione del livello del tasso di interesse: ̅ 𝑀𝑑 ̅ 𝑀𝑑 𝐵𝑑 𝑊 𝑊 𝐵𝑠 (𝑌2 , 𝑟0 ) = [ − (𝑌2 , 𝑟0 )] > [ − (𝑌0 , 𝑟0 )] = , 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ per cui 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌2 , 𝑟0 ) > → 𝑃𝐵 ↓ → 𝑟 ↑. 𝑃̅ 𝑃̅ Quando l’aumento del tasso di interesse si arresta in corrispondenza di un valore pari a 𝑟2 < 𝑟0 (punto 2 nel grafico di sinistra della figura 61), il mercato della moneta torna in equilibrio. Questa condizione di ritrovato equilibrio è rappresentata dalla combinazione di valori del reddito e del tasso di interesse (𝑌2 , 𝑟2 ) individuata dal punto 2 nel grafico di destra della figura 61. La curva LM è quella tracciata attraverso i punti 0, 1 e 2 nel grafico di destra della figura 61. Essa rappresenta tutte le combinazioni di 𝑌 e di 𝑟 che assicurano l’equilibrio sul mercato della moneta. Di conseguenza, tutte le combinazioni dei valori del reddito e del tasso di interesse che stanno al di fuori della LM configurano delle situazioni di squilibrio sul mercato 158 della moneta. Consideriamo, per esempio, la combinazione che corrisponde al punto 3 nel grafico di destra della figura 62 (𝑌 = 𝑌0 e 𝑟 = 𝑟1 > 𝑟0 ). Figura 62 – L’eccesso di offerta di moneta Per definire il tipo di squilibrio che caratterizza il mercato della moneta nel punto 3, prendiamo come riferimento la posizione di equilibrio individuata dal punto 0. A parità di reddito, un aumento del tasso di interesse (da 𝑟0 a 𝑟1) provoca una riduzione della domanda di moneta che si traduce in un eccesso di offerta di moneta. Infatti: ̅ 𝑀𝑑 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌0 , 𝑟1 ) < (𝑌0 , 𝑟0 ) = , 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ e quindi ̅ 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌0 , 𝑟1 ) < . 𝑃̅ 𝑃̅ Generalizzando, possiamo concludere che tutte le combinazioni di 𝑌 e di 𝑟 che si trovano al di sopra della curva LM danno origine a un eccesso di offerta di moneta. Tutte le combinazioni che si trovano al di sotto della LM danno invece luogo a uno squilibrio simmetrico caratterizzato da un eccesso di domanda di moneta. Prendiamo, per esempio, la combinazione di 𝑌 e di 𝑟 individuata dal punto 4 nel grafico di destra della figura 63 (𝑌 = 𝑌0 e 𝑟 = 𝑟2 < 𝑟0 ). Se prendiamo ancora come riferimento la posizione di equilibrio indicata dal punto 0, possiamo notare che, a parità di livello del reddito, una riduzione del tasso di interesse provoca un aumento della domanda di moneta. Di conseguenza si determina una situazione di eccesso di domanda di moneta: 159 ̅ 𝑀𝑑 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌0 , 𝑟2 ) > (𝑌0 , 𝑟0 ) = , 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ e quindi ̅ 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌0 , 𝑟2 ) > . 𝑃̅ 𝑃̅ Figura 63 – L’eccesso di domanda di moneta In ultimo, dobbiamo specificare i fattori che influenzano la posizione della curva LM. A tal fine, ricordiamo che la LM è stata costruita in base all’assunzione che il ̅ ⁄𝑃̅) fosse dato. Pertanto, la posizione della LM valore della quantità reale di moneta (𝑀 è funzione della quantità di moneta creata dalla banca centrale. Gli effetti di una variazione della quantità di moneta sulla posizione della LM sono illustrati nella figura 64. Partiamo dall’equilibrio sul mercato della moneta contraddistinto dal punto 0 nel grafico di sinistra della figura 64, in corrispondenza, quindi, di un valore della quantità reale di moneta pari a ̅̅̅̅ 𝑀 ̅̅̅̅ 𝑀0 𝑃̅ . La combinazione di valori (𝑌0 , 𝑟0 ) si trova sulla curva 𝐿𝑀 ( 𝑃̅0 ) disegnata nel grafico di destra della figura 64. 160 Figura 64 – Gli spostamenti della curva LM determinati dalle variazioni della quantità di moneta decise dalle autorità monetarie Per descrivere gli effetti prodotti da una variazione dell’offerta di moneta supponiamo che l’offerta di moneta cresca: ̅̅̅̅ 𝑀1 ̅̅̅̅ 𝑀0 > . 𝑃̅ 𝑃̅ Di conseguenza, la curva di offerta di moneta si sposta verso destra, e in corrispondenza del tasso 𝑟0 si registra un eccesso di offerta di moneta e un eccesso di domanda di titoli legato all’intervento della banca centrale sul mercato secondario ai fini dell’espansione della quantità di moneta in circolazione. L’eccesso di domanda di titoli provoca un aumento del loro prezzo (𝑃𝐵 ) e una riduzione del tasso di interesse (𝑟): 𝑑𝐵𝑑 𝐵𝑑 𝐵𝑠 𝐵𝐶 + > → 𝑃𝐵 ↑ → 𝑟 ↓. 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ Il tasso di interesse continua a diminuire sino a quando si raggiunge una nuova posizione di equilibrio sul mercato della moneta corrispondente al punto 1 nel grafico di sinistra della figura 64, caratterizzata dalla combinazione di valori del reddito e del tasso di interesse (𝑌0 , 𝑟1 < 𝑟0 ). Infatti, avremo: ̅̅̅̅ 𝑀𝑑 𝑀1 (𝑌0 , 𝑟1 ) = . 𝑃̅ 𝑃̅ 161 La nuova combinazione di equilibrio (𝑌0 , 𝑟1 ) è riportata nel grafico di destra della figura 64. Come si può notare, la nuova LM, corrispondente a una quantità di moneta pari a ̅̅̅̅ 𝑀1 𝑃̅ passa per il punto 1. In conclusione, quindi, un aumento della quantità di moneta si traduce in uno spostamento verso il basso della curva LM. Supponiamo ora che le autorità monetarie riducano l’offerta di moneta, portandola a: ̅̅̅̅ 𝑀2 ̅̅̅̅ 𝑀0 < . 𝑃̅ 𝑃̅ In questo caso, la curva di offerta di moneta si sposta verso sinistra. Pertanto, in corrispondenza di 𝑟0 sul mercato della moneta si registra un eccesso di domanda di moneta, mentre sul mercato dei titoli si osserva un eccesso di offerta dovuto al tentativo delle autorità monetarie di ridurre la quantità di moneta in circolazione attraverso la vendita di titoli. L’eccesso di offerta di titoli determina una riduzione del loro prezzo e un aumento del tasso di interesse, sino a quando il mercato della moneta raggiunge una nuova posizione di equilibrio corrispondente al punto 2 nel grafico di sinistra della figura 64, caratterizzata dalla combinazione (𝑌0 , 𝑟2 > 𝑟0 ). Questa nuova combinazione di valori del reddito e del tasso di interesse contraddistingue la condizione di equilibrio individuata dal punto 2 nel grafico di destra della figura 64, ed è attraversata dalla nuova curva LM corrispondente alla quantità di moneta ̅̅̅̅ 𝑀2 . 𝑃̅ Di conseguenza, possiamo concludere che una riduzione dell’offerta di moneta sposta la LM verso l’alto. 4.3.3. L’equilibrio IS-LM Una volta disegnate le curve IS e LM che rappresentano, rispettivamente, le combinazioni di valori di 𝑌 e di 𝑟 coerenti con l’equilibrio sul mercato dei beni e l’equilibrio sul mercato della moneta, possiamo rappresentare graficamente la coppia di valori di 𝑌 e di 𝑟 che assicura l’equilibrio contemporaneo sui due mercati. Tale combinazione è individuata dall’intersezione tra le curve IS e LM riportate nella figura 65 (punto 𝐸). La combinazione (𝑌𝐸 , 𝑟𝐸 ) assicura l’esistenza di un equilibrio congiunto sui mercati dei beni e della moneta, perché essa si trova contemporaneamente sulla curva IS e sulla curva LM. Infatti, risulta: 𝐷𝐴(𝑌𝐸 , 𝑟𝐸 ) = 𝑌𝐸 , e 𝑌𝐸 = 1 ∙ (𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟𝐸 + 𝐺̅ ). (1 − 𝑐) Inoltre, vale: 162 ̅ 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌𝐸 , 𝑟𝐸 ) = , e 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑘 ∙ 𝑌𝐸 − ℎ ∙ 𝑟𝐸 = ̅ 𝑀 . 𝑃̅ Figura 65 – L’equilibrio congiunto sul mercato dei beni e sul mercato della moneta L’equilibrio IS-LM presenta due caratteristiche significative: 1. Si tratta di un equilibrio stabile. Si può mostrare, infatti, che il sistema economico converge verso la combinazione individuata dal punto 𝐸, con (𝑌𝐸 , 𝑟𝐸 ). 2. Esso non è necessariamente un equilibrio di piena occupazione, perché può essere che 𝑌𝐸 < 𝑌𝑃𝑂 . Per mostrare che l’equilibrio IS-LM è un equilibrio stabile, consideriamo la figura 66 e supponiamo che il sistema sia caratterizzato da una combinazione di valori (𝑌𝐸 , 𝑟𝐴 > 𝑟𝐸 ) individuata dal punto 𝐴. In corrispondenza del punto A si avrà uno squilibrio sia sul mercato dei beni che sul mercato della moneta, perché la coppia di valori (𝑌𝐸 , 𝑟𝐴 > 𝑟𝐸 ) si trova al di fuori sia della IS che della LM. Per determinare la natura di questo doppio squilibrio osserviamo che sul mercato dei beni si registra una situazione di eccesso di offerta di beni (il punto 𝐴 si trova sopra la curva IS). Infatti: 𝐷𝐴(𝑌𝐸 , 𝑟𝐴 > 𝑟𝐸 ) < 𝐷𝐴(𝑌𝐸 , 𝑟𝐸 ) = 𝑌𝐸 , e quindi 163 𝐷𝐴(𝑌𝐸 , 𝑟𝐴 > 𝑟𝐸 ) < 𝑌𝐸 . Figura 66 – Le caratteristiche di stabilità dell’equilibrio IS-LM (1) L’eccesso di offerta induce le imprese a ridurre la produzione, provocando così una diminuzione del livello del reddito: 𝐷𝐴(𝑌𝐸 , 𝑟𝐴 > 𝑟𝐸 ) < 𝑌𝐸 → 𝑌 ↓. In secondo luogo, osserviamo che sul mercato della moneta si determina una situazione di eccesso di offerta di moneta (il punto 𝐴 si trova anche sopra la curva LM). In effetti: ̅ 𝑀𝑑 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌𝐸 , 𝑟𝐴 > 𝑟𝐸 ) < (𝑌𝐸 , 𝑟𝐸 ) = , 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ e quindi ̅ 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌𝐸 , 𝑟𝐴 > 𝑟𝐸 ) < . 𝑃̅ 𝑃̅ Poiché il pubblico detiene più moneta di quella che desidera, cercherà di cederne una parte in cambio di titoli. All’eccesso di offerta di moneta corrisponde quindi un eccesso di domanda di titoli che provoca un aumento del loro prezzo e una caduta del tasso di interesse: 164 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌𝐸 , 𝑟𝐴 > 𝑟𝐸 ) > → 𝑃𝐵 ↑ → 𝑟 ↓. 𝑃̅ 𝑃̅ Possiamo quindi concludere che, in corrispondenza del punto A, il sistema si trova in una situazione instabile, perché gli squilibri sul mercato dei beni e sul mercato della moneta determinano una diminuzione sia del livello del reddito che del tasso di interesse. Di conseguenza, il sistema si sposta verso una nuova combinazione (𝑌, 𝑟) caratterizzata da valori del reddito (𝑌 < 𝑌𝐸 ) e del tasso di interesse (𝑟 < 𝑟𝐸 ) inferiori a quelli che contraddistinguono l’equilibrio instabile individuato dal punto 𝐴. Nella figura 67, questa nuova combinazione corrisponde al punto 𝐵. Figura 67 – Le caratteristiche di stabilità dell’equilibrio IS-LM (2) La combinazione (𝑌𝐵 < 𝑌𝐸 , 𝑟𝐵 < 𝑟𝐴 ) si trova sulla curva IS. Ciò significa che il mercato dei beni è in equilibrio: 𝐷𝐴(𝑌𝐵 , 𝑟𝐵 ) = 𝑌𝐵 . Il mercato della moneta, invece, non è in equilibrio, perché, come il punto 𝐴, anche il punto 𝐵 si trova sopra la curva LM. Pertanto, permane una situazione di eccesso di offerta di moneta rispetto alla domanda: ̅ 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌𝐵 , 𝑟𝐵 ) < . 𝑃̅ 𝑃̅ 165 Come sappiamo, all’eccesso di offerta di moneta corrisponde un eccesso di domanda di titoli. Di conseguenza, la spinta alla crescita del prezzo dei titoli e alla diminuzione del tasso di interesse non si arresta: 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌𝐵 , 𝑟𝐴 > 𝑟𝐸 ) > → 𝑃𝐵 ↑ → 𝑟 ↓ . 𝑃̅ 𝑃̅ La caduta del tasso di interesse determina un aumento del livello degli investimenti, della domanda aggregata, e quindi del reddito: 𝑟 ↑ → 𝐼 ↑ → 𝐷𝐴 ↑ 𝑌 ↑. Per effetto di queste dinamiche, il sistema si sposta verso il punto 𝐶 (figura 68), in corrispondenza del quale il livello del reddito è superiore (𝑌𝐶 > 𝑌𝐵 ), mentre quello del tasso di interesse è inferiore (𝑟𝐶 < 𝑟𝐵 ) rispetto ai valori osservati nel punto 𝐵. Figura 68 – Le caratteristiche di stabilità dell’equilibrio IS-LM (3) La coppia di di 𝑌 e di 𝑟 corrispondente al punto 𝐶 si trova sulla LM. Ciò significa che il mercato della moneta è in equilibrio. Infatti: ̅ 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌𝐶 , 𝑟𝐶 ) = . 𝑃̅ 𝑃̅ Tuttavia, ora è il mercato dei beni a non essere più in equilibrio, perché il punto 𝐶 è situato al di sotto della curva IS. Come abbiamo visto in precedenza, tutte le combinazioni di 𝑌 e di 𝑟 che stanno al di sotto della curva IS contraddistinguono una situazione di eccesso di domanda di beni. Pertanto: 166 𝐷𝐴(𝑌𝐶 , 𝑟𝐶 ) > 𝑌𝐶 . L’eccesso di domanda spinge le imprese ad aumentare la produzione di beni. La corrispondente variazione del reddito però modifica l’equilibrio sul mercato della moneta, perché aumenta anche la quantità di moneta domandata. Di conseguenza, si registra un eccesso di domanda di moneta: ̅ 𝑀𝑑 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌 > 𝑌𝐶 , 𝑟𝐶 ) > (𝑌𝐶 , 𝑟𝐶 ) = , 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ e quindi ̅ 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌 > 𝑌𝐶 , 𝑟𝐶 ) > . 𝑃̅ 𝑃̅ Poiché il pubblico cercherà di soddisfare la domanda di moneta aggiuntiva offrendo titoli in cambio di moneta, si registra un eccesso di offerta di titoli che provoca una diminuzione del loro prezzo e un aumento del tasso di interesse: 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌 > 𝑌𝐶 , 𝑟𝐶 ) < → 𝑃𝐵 ↓ → 𝑟 ↑ . 𝑃̅ 𝑃̅ Figura 69 – Le caratteristiche di stabilità dell’equilibrio IS-LM (4) 167 Il sistema si sposta verso il punto 𝐷 indicato nella figura 69, in corrispondenza del quale, rispetto alla coppia di valori di 𝑌 e di 𝑟 che caratterizzava il punto 𝐶, sia il livello del reddito (𝑌𝐷 > 𝑌𝐶 ) che quello del tasso di interesse (𝑟𝐷 > 𝑟𝐶 ) sono più elevati. Questi esempi mostrano che il sistema, partendo da una posizione di squilibrio come quella indicata dal punto 𝐴, converge verso il punto di equilibrio 𝐸. In corrispondenza della combinazione 𝐸, entrambi i mercati sono in equilibrio e i valori del reddito e del tasso interesse rimarranno stabili. La seconda caratteristica rilevante dell’equilibrio IS-LM consiste nel fatto che non necessariamente il reddito di equilibrio (𝒀𝑬 ) determinato dalla intersezione tra la curva IS e la curva LM corrisponde all’equilibrio di piena occupazione (𝒀𝑷𝑶 ). Infatti, generalmente (𝑌𝐸 < 𝑌𝑃𝑂 ), come indicato nella figura 70. Figura 70 – L’equilibrio IS-LM e il reddito di piena occupazione Ricordiamo quali sono le caratteristiche del reddito di piena occupazione. Si tratta del reddito ottenuto impiegando tutti i lavoratori disposti a lavorare al salario che assicura l’equilibrio sul mercato del lavoro. Supponiamo che il mercato del lavoro sia rappresentato dalle curve di domanda e di offerta di lavoro tracciate nella figura 71. Assumiamo, inoltre, che il salario reale sia pari proprio a 𝑊 ⁄𝑃 0 . Secondo la teoria neoclassica, in corrispondenza di 𝑊 ⁄𝑃0 il sistema si trova in una situazione di piena occupazione (𝑁𝑃0 ), perché in base alla legge di Say le decisioni di produzione assicurano la creazione di un flusso di domanda aggregata capace di assorbire il reddito di piena occupazione. A giudizio di Keynes, invece, nelle economie contemporanee la legge di Say non vale, perché le decisioni di produzione sono condizionate dal livello della domanda aggregata. In altri termini, il livello della produzione, e quindi del reddito, dipendono dalle decisioni di consumo e di investimento. In coerenza con il 168 principio della domanda effettiva, nel modello IS-LM il reddito di equilibrio (𝑌𝐸 ) è determinato proprio dal livello della domanda aggregata. Per questo motivo, esso può essere inferiore al livello del reddito di piena occupazione (𝑌𝑃𝑂 ): 𝐷𝐴 → 𝑌 = 𝑌𝐸 < 𝑌𝑃𝑂 . In tal caso, il numero di lavoratori impiegati dalle imprese è pari a 𝑁𝐸 < 𝑁𝑃𝑂 , anche quando il salario reale è pari a 𝑊 ⁄𝑃 0 (figura 71). Figura 71 – La disoccupazione involontaria in corrispondenza del salario di equilibrio sul mercato del lavoro 4.4. Gli effetti della politica fiscale e della politica monetaria Secondo Keynes, le autorità di politica economica sono in grado di stimolare il livello della domanda aggregata, e quindi di espandere il livello dell’occupazione nei casi in cui il sistema si trovi in una situazione di disoccupazione involontaria come quella descritta poco sopra. A tal fine, le autorità di governo e la banca centrale possono manovrare gli strumenti della politica fiscale e della politica monetaria. 169 Per analizzare gli effetti prodotti dalla politica fiscale e dalla politica monetaria utilizziamo lo schema concettuale del modello IS-LM. Consideriamo, in primo luogo, i risultati di una manovra di politica fiscale. Le autorità di governo possono incidere sui livelli della domanda aggregata e dell’occupazione attraverso la spesa pubblica (𝐺) e la pressione fiscale (𝑇). In particolare, agendo sull’imposizione fiscale il governo può influenzare il livello del reddito disponibile, e quindi la capacità di spesa delle famiglie. Gli effetti di una variazione della spesa pubblica sono già stati descritti quando abbiamo esaminato i meccanismi di funzionamento del modello reddito-spesa. La figura 72 ci consente di ampliare l’analisi al contesto del modello IS-LM. Figura 72 - Gli effetti di un aumento della spesa pubblica nel modello reddito-spesa e nel modello IS-LM. Il grafico inferiore descrive l’equilibrio IS-LM per un dato valore della spesa pubblica. Per 𝐺 = ̅̅̅ 𝐺0 l’equilibrio IS-LM corrisponde al punto 𝐸, con 𝑌 = 𝑌𝐸 e 𝑟 = 𝑟𝐸 . 170 Il grafico superiore, invece, riproduce l’equilibrio sul mercato dei beni nel modello reddito-spesa. Ricordiamo che questo equilibrio è determinato in corrispondenza di un dato valore del tasso d’interesse, che ipotizziamo essere pari a 𝑟𝐸 , il valore, cioè, che definisce la posizione di equilibrio nell’ambito del modello IS-LM. ̅̅̅0 a ̅̅̅ ̅̅̅0 , non aumenta soltanto la spesa delle Se la spesa pubblica passa da 𝐺 𝐺1 > 𝐺 amministrazioni pubbliche, ma anche il livello della domanda aggregata e quello del reddito. Come si evince dall’esame del grafico superiore, l’incremento di 𝐺 determina uno spostamento verso l’alto della curva di domanda aggregata. Come sappiamo, nel modello reddito-spesa il livello del tasso di interesse è dato. In altre parole, esso non varia al variare del livello della spesa pubblica. Pertanto, l’aumento della domanda aggregata causa un incremento del reddito, che raggiunge un valore pari a 𝑌1 . Il grafico inferiore descrive gli effetti della variazione di 𝐺 nell’ambito del modello IS-LM. L’aumento di 𝐺 determina uno spostamento della IS verso destra, perché, a parità di tasso di interesse, la domanda aggregata cresce. In corrispondenza del tasso di ̅̅̅1 ) passa per il punto 1, in cui il livello del reddito è pari a 𝑌1 . Il interesse 𝑟𝐸 la 𝐼𝑆(𝐺 livello del reddito determinato in conseguenza dello spostamento della curva IS è uguale a quello definito nell’ambito del modello reddito-spesa, ove, per ipotesi, il tasso di interesse non varia (𝑟 = 𝑟𝐸 ). Tuttavia, nel modello IS-LM il sistema non può restare nella posizione individuata dal punto 1, perché in tale posizione è in equilibrio il mercato dei beni, ma non quello della moneta. In particolare, quando 𝑌 = 𝑌1 e 𝑟 = 𝑟𝐸 , sul mercato della moneta si registra un eccesso di domanda (il punto 1 si trova al di sotto della LM): ̅ 𝑀𝑑 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌1 , 𝑟𝐸 ) > (𝑌𝐸 , 𝑟𝐸 ) = , 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ e quindi ̅ 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌1 , 𝑟𝐸 ) > . 𝑃̅ 𝑃̅ Come sappiamo, a questo squilibrio sul mercato della moneta corrisponde un eccesso di offerta di titoli che determina una caduta del loro prezzo e un aumento del tasso di interesse: 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌1 , 𝑟𝐸 ) < → 𝑃𝐵 ↓ → 𝑟 ↑. 𝑃̅ 𝑃̅ L’aumento del tasso di interesse provoca una contrazione degli investimenti che produce un effetto restrittivo sul livello del reddito, parzialmente controbilanciato dall’effetto espansivo prodotto dall’iniziale incremento della spesa pubblica: 171 se 𝑟 ↑ → 𝐼 ↓ → 𝑌 ↓. Il sistema si sposta verso una combinazione (𝑌, 𝑟), quella individuata dal punto 2 nella parte inferiore della figura 72, caratterizzata da un valore del tasso di interesse maggiore e da un livello del reddito minore (𝑌2 < 𝑌1 , 𝑟2 > 𝑟𝐸 ) rispetto a quelli individuati nel punto 1. Pertanto, nell’ambito del modello IS-LM gli effetti espansivi di un dato incremento di spesa pubblica sono inferiori a quelli misurati nel contesto del modello reddito-spesa: 𝑑𝐺̅ → 𝑑𝑌 = 𝑌1 − 𝑌𝐸 (modello reddito-spesa) 𝑑𝐺̅ → 𝑑𝑌 = 𝑌2 − 𝑌𝐸 < (𝑌1 − 𝑌𝐸 ) (modello IS-LM). La ragione di questa differenza deriva dal fatto che nel modello reddito-spesa gli effetti della variazione del reddito sul tasso di interesse vengono trascurati, perché si assume che il tasso di interesse non vari al variare del reddito. Nel modello IS-LM, invece, si tiene conto dell’interdipendenza tra il mercato dei beni e quello della moneta: 𝑠𝑒 𝐺̅ ↑ → 𝑌 ↑ → ̅ 𝑀𝑑 𝑀 (𝑌 ↑) > 𝑃̅ 𝑃̅ → 𝑟 ↑ → 𝐼 ↓ → 𝑌 ↓. Le autorità possono influenzare il livello del reddito anche attraverso una manovra di politica monetaria. Figura 73 - Gli effetti di un aumento della quantità di moneta nel modello IS-LM 172 Nel modello IS-LM la politica monetaria coincide con la manovra della quantità di moneta. Poiché il livello dei prezzi è dato, le decisioni delle autorità monetarie riguardanti la quantità nominale di moneta (𝑀) determinano anche la quantità di moneta in termini reali Il modello IS-LM definisce la seguente relazione causale tra quantità di moneta (𝑀) e livello del reddito (𝑌): 𝑀 ↑ → 𝑟 ↓ → 𝐼 ↑ → 𝑌 ↑. Questa sequenza causale può essere illustrata con l’aiuto della figura 73. Partiamo dall’equilibrio IS-LM corrispondente al punto 𝐸. La LM che passa per il punto 𝐸 è definita in relazione a una quantità reale di moneta pari a ̅̅̅̅ 𝑀0 𝑃̅ . Supponiamo che le autorità monetarie decidano di espandere l’offerta di moneta portandola a un livello pari a ̅̅̅̅ 𝑀1 𝑃̅ > ̅̅̅̅ 𝑀0 𝑃̅ . Come abbiamo visto in precedenza, un aumento della quantità di moneta comporta uno spostamento della LM verso destra. Pertanto, in corrispondenza di 𝑟𝐸 , sul mercato della moneta si registra un eccesso di offerta di moneta (il punto 𝐸 si trova sopra la curva LM): ̅̅̅̅ 𝑀1 ̅̅̅̅ 𝑀0 𝑀𝑑 (𝑌𝐸 , 𝑟𝐸 ). > = 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ Simmetricamente, sul mercato dei titoli si registra un eccesso di domanda, perché la banca centrale offre moneta domandando titoli: 𝑑 ̅ ̅ 𝑀 𝐵𝑑 𝑀 > 0 → 𝑑 𝐵𝐶 = 𝑑 , 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ e quindi 𝑑 ̅̅̅ 𝐵𝑑 𝐵𝑑 𝐵𝑠 (𝑌𝐸 , 𝑟𝐸 ) > 𝐵𝐶 + → 𝑃𝐵 ↑ → 𝑟 ↓ . 𝑃̅ 𝑃̅ 𝑃̅ L’eccesso di domanda di titoli provoca un aumento del loro prezzo e una caduta del tasso di interesse. Pertanto, il sistema tende a spostarsi verso il punto 1 caratterizzato dalla combinazione (𝑌𝐸 , 𝑟1 < 𝑟𝐸 ). Tuttavia, in corrispondenza di questa coppia di valori di 𝑌 e di 𝑟 il sistema non è in equilibrio, perché il punto 1 si trova al di sotto della IS. Di conseguenza, sul mercato dei beni si registra un eccesso di domanda aggregata: 𝐷𝐴(𝑌𝐸 , 𝑟1 < 𝑟𝐸 ) > 𝐷𝐴(𝑌𝐸 , 𝑟𝐸 ) = 𝑌𝐸 , 173 e quindi 𝐷𝐴(𝑌𝐸 , 𝑟1 < 𝑟𝐸 ) > 𝑌𝐸 → 𝑌 ↑. Il livello del reddito aumenta per effetto dell’incremento degli investimenti. La crescita del reddito è accompagnata da un aumento della domanda di moneta che si traduce in un incremento del tasso di interesse. Pertanto, il sistema si sposta verso la nuova situazione di equilibrio corrispondente al punto 2 (𝑌2 , 𝑟2 ), in cui: ̅̅̅̅ 𝑀𝑑 𝑀1 (𝑌2 , 𝑟2 ) = , e ̅ 𝑃 𝑃̅ 𝐷𝐴(𝑌2 , 𝑟2 ) = 𝑌2 . In conclusione, pur specificando le determinanti del tasso di interesse e l’interdipendenza tra il mercato della moneta e quello dei beni, il modello IS-LM presenta ancora notevoli limiti. In particolare, esso: 1. fa riferimento al contesto di una economia chiusa agli scambi con l’estero, 2. si basa sull’assunzione che i salari monetari e i prezzi siano dati, e 3. identifica la moneta con le passività emesse dalla banca centrale, senza tenere in conto la presenza della moneta di origine bancaria. 174