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Sintesi di
Scienze della Terra
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SIMONE
EDIZIONI GIURIDICHE
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Gruppo Editoriale Simone
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Capitolo 1 – Introduzione alle Scienze della Terra
1.
Il tetraedro di Howell
Secondo il geofisico americano B. F. Howell, il vario e vasto mondo delle Scienze Naturali
può essere rappresentato con un tetraedro, dove le quattro scienze fondamentali (Chimica,
Fisica, Biologia e Geologia) corrispondono ai quattro vertici, mentre le scienze derivate ne
costituiscono gli spigoli. La Geologia, la Geochimica, la Geofisica e la Paleontologia
rappresentano le Scienze della Terra. Nel tetraedro di Howell, sebbene siano visibili in
maniera immediata le relazioni esistenti tra le varie discipline, pur tuttavia non compaiono
tutte. Quelle che non sono presenti in realtà risultano essere parte integrante delle discipline
rappresentate e quindi in esse comprese.
Il tetraedro di Howell
2.
La Geologia
È la scienza che rappresenta il punto di incontro tra varie discipline che, con il progredire
delle scoperte scientifiche, si sono continuamente specializzate, rendendosi sempre più indipendenti da essa; sarebbe quindi più esatto parlare di «Scienze geologiche». È compito
della Geologia non solo studiare l’aspetto attuale del nostro pianeta, ma anche comprendere
quali fenomeni chimici e fisici da 4,5 miliardi di anni si siano succeduti fino a condurre la
Terra alla sua attuale struttura. È facile intuire, quindi, quanto vasto sia il campo di studio di
tale disciplina, che si compie attraverso l’analisi delle rocce, dei fossili, dei movimenti della
crosta terrestre, delle eruzioni, dei terremoti, nonché mediante lo studio dei meccanismi che
sono alla base dell’erosione provocata dall’acqua e dal vento, senza trascurare la conseguente sedimentazione dei detriti venutisi a formare. In particolare la Geologia studia la
composizione della litosfera, i meccanismi della dinamica endogena ed esogena, i movimenti e le deformazioni della crosta terrestre, fornendo dati utili per la ricostruzione dell’evoluzione geologica della Terra, nonché strumenti per la gestione del territorio, la difesa
dai rischi ambientali e lo sfruttamento delle risorse naturali.
Capitolo 1: Introduzione alle Scienze della Terra
3.
5
La Geofisica e la Geochimica
Studiano, rispettivamente, aspetti e proprietà fisiche (l’una) e composizione e proprietà
chimiche (l’altra) dell’interno della Terra, della litosfera, dell’idrosfera e dell’atmosfera.
In particolare la Geofisica studia l’interno della Terra, l’atmosfera e l’idrosfera attraverso
ricostruzioni paleogeografiche e paleoclimatiche, occupandosi di sismologia, gravimetria,
geomagnetismo, geotermia, meccanica delle rocce, nonché di meteorologia e climatologia,
così da poter fornire dati e strumenti sia per la navigazione aerea e marittima, sia per il
monitoraggio delle alterazioni atmosferiche. Senza dimenticare, altresì, che dalla Geofisica
si ricavano anche informazioni utili per la difesa dai rischi ambientali e l’individuazione
delle risorse naturali.
La Geochimica, a sua volta, studia sia la litosfera (attraverso la Geochimica isotopica e i
fossili) sia l’atmosfera e l’idrosfera (indagandone le proprietà e la composizione chimica).
Inoltre provvede al monitoraggio delle alterazioni atmosferiche e fornisce dati utili per l’individuazione delle risorse idriche, minerarie ed energetiche.
4.
La Paleontologia
È una scienza che abbraccia sia la Biologia, sia le scienze geologiche, in quanto studia gli
organismi viventi esistiti sulla Terra, dalle origini ai giorni nostri, conservati nelle rocce e
restituiti a noi come fossili. Ed è proprio attraverso lo studio dei fossili che è stato possibile
ordinare le specie in alberi filogenetici, al fine di ricostruire la storia evolutiva dei viventi.
Sempre attraverso lo studio dei fossili, la Paleontologia data le rocce e ricostruisce gli ambienti dove gli organismi vivevano. Inoltre, offre strumenti per l’individuazione delle risorse naturali.
5.
Il principio dell’attualismo
Se per studiare gli avvenimenti che riguardano la storia dell’umanità occorre leggere un
libro di storia, allo stesso modo per conoscere la storia della Terra bisogna «sfogliare» quel
meraviglioso libro che è scritto tra gli strati delle rocce. È così che i geologi «leggono» gli
avvenimenti che nel corso di milioni di anni si sono succeduti cambiando la morfologia del
pianeta. I fenomeni geologici sono lunghi e graduali, il presente costituisce quindi la continuazione lenta, ma progressiva, del passato. Tale principio, oggi conosciuto come «principio dell’attualismo», fu espresso alla fine dell’Ottocento da C. Lyell nel suo Principles of
geology. Lyell, infatti, affermava che le cause dei fenomeni geologici svoltisi in passato
sono da ritenersi essenzialmente le stesse che ancora oggi agiscono. La storia della Terra
veniva finalmente interpretata non più come una serie di catastrofi ricorrenti o eventi biblici
disastrosi, bensì come un susseguirsi di eventi lenti, impercettibili, ma ben evidenti nel
tempo.
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Capitolo 2 – I processi litogenetici
1.
La litosfera
Il guscio solido ma mobile che riveste la Terra viene definito litosfera (dal greco lítos,
«pietra»). È formato da rocce, ossia aggregati di minerali, e costituisce le terre emerse,
nonché i fondali marini e oceanici. Ha uno spessore medio di circa 100 km, che rapportato
al diametro terrestre può essere considerato poco più che una «pellicola». Le tecniche di
indagine per stabilire come i minerali e le rocce siano distribuiti nella massa della Terra
sono di due tipi: dirette e indirette.
I metodi diretti, quali trivellazioni petrolifere, perforazioni minerarie e analisi dei materiali
vulcanici, permettono di analizzare direttamente i campioni di materiale proveniente dalla
Terra, ma purtroppo solo quelli degli strati più superficiali, in quanto, con tali tecniche,
difficilmente si riescono a superare i 7-8 km di profondità. Il pozzo più profondo del mondo
si trova in Russia, nella Penisola di Kola, e raggiunge i 12 km. I metodi indiretti si basano,
invece, su considerazioni e analogie derivanti dallo studio dei meteoriti e della propagazione delle onde sismiche. Analizziamo ora le forme in cui gli elementi sono tra loro combinati
nella crosta terrestre.
2.
I minerali
La litosfera è costituita da rocce, che a loro volta sono aggregati di minerali. In generale
sono considerati minerali unicamente i corpi solidi, cristallini e inorganici presenti nella
litosfera, ossia nella parte esterna del pianeta; vengono così esclusi i corpi liquidi e gli
amorfi, gli elementi e i composti appartenenti all’idrosfera, i depositi organici come carboni
e petroli che, peraltro, hanno caratteristiche chimico-fisiche variabili da punto a punto. Proprietà essenziali per un minerale sono l’origine naturale (infatti non è un minerale l’NaCl
che si ottiene per evaporazione forzata dell’acqua di mare, mentre lo è il salgemma che si
ottiene per evaporazione naturale), l’omogeneità fisica e la composizione chimica costante,
almeno entro stretti limiti. Tre soli minerali fanno eccezione: il mercurio che si trova allo
stato liquido, l’opale e il vetro allo stato amorfo. I minerali si trovano nella maggior parte
dei casi allo stato cristallino, con una struttura risultante dalla regolare disposizione nello
spazio delle unità che li costituiscono. Essi presentano quindi una forma poliedrica esterna
ben definita, in cristalli distinti con aspetto caratteristico.
Un minerale può essere quindi definito un corpo solido, omogeneo, inorganico, presente
nella litosfera naturalmente, con proprietà chimiche e fisiche costanti. I minerali e le
rocce sono entrambi necessari all’uomo, in quanto è da essi che si ricavano prodotti e materiali indispensabili, nonché elementi chimici.
3.
La cristallogenesi
La formazione dei minerali in natura è molto simile alla cristallogenesi che in laboratorio
permette la formazione dei cristalli. Essi si formano sostanzialmente in tre modi:
— per il lento raffreddamento di masse fuse provenienti da eruzioni vulcaniche;
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Capitolo 2: I processi litogenetici
7
— per sedimentazione da soluzioni sature di un dato sale in seguito ad evaporazione;
— per sublimazione da vapori, come nel caso dei cristalli di zolfo che si formano ai margini
dei crateri vulcanici.
Il processo di cristallizzazione è in genere di lunga durata, quindi qualsiasi variazione delle
condizioni ambientali fisiche e chimiche si ripercuote sulla struttura del cristallo in formazione. Di solito gli ioni, gli atomi e le molecole si dispongono con grande regolarità, formando un reticolo cristallino che si ripete nello spazio in modo periodico. Un importante
contributo alla definizione dei reticoli cristallini lo si deve agli studi compiuti dal fisico
tedesco M. von Laue (1912), il quale, sottoponendo dei cristalli all’esame dei raggi X, mise
in evidenza che si ottenevano spettri di diffrazione caratteristici per ogni specie cristallina. I
raggi diffratti davano poi luogo, su una lastra fotografica, ad un insieme di macchie, in
posizioni caratteristiche dalle quali si poteva risalire alla struttura del cristallo. Le caratteristiche strutturali di un cristallo dipendono dal tipo di legame (ionico, covalente, metallico,
molecolare) che si crea tra gli atomi che lo compongono, nonché dalle dimensioni relative
delle particelle che formano la cella elementare. Spesso, però, accade che un cristallo non
sia facilmente riconoscibile perché durante i processi di formazione viene ostacolato dalla
formazione contemporanea di altri cristalli vicini. Di conseguenza in alcuni casi si nota uno
sviluppo maggiore di alcune facce rispetto ad altre e il cristallo finisce per discostarsi dalla
forma regolare rappresentata dall’abito cristallino: per questo motivo i cristalli «perfetti»
risultano piuttosto rari.
Tuttavia, qualunque sia l’aspetto esteriore dei cristalli, se essi sono della stessa specie chimica hanno una caratteristica comune che permette di identificarli con certezza e classificarli. Tale caratteristica è stata definita dalla Legge della costanza degli angoli diedri stabilita da N. Stenone oltre tre secoli fa, secondo la quale «Nei cristalli della stessa specie
chimica gli angoli diedri formati dalle facce corrispondenti sono uguali e costanti, purché
misurati nelle identiche condizioni di temperatura».
4.
Gli elementi di simmetria dei cristalli
Conseguentemente alla forma geometrica, i cristalli presentano una struttura simmetrica
derivante dalla disposizione degli elementi di simmetria, che si distinguono in:
— elementi reali: facce, spigoli e vertici che realmente esistono;
— elementi ideali: centro di simmetria, asse di simmetria, piano di simmetria che si possono tracciare idealmente. Il centro di simmetria è quel punto interno del cristallo rispetto
al quale ad ogni faccia ne corrisponde un’altra opposta equidistante, identica e parallela;
l’asse di simmetria è quella retta intorno alla quale, facendo ruotare il cristallo di 360°,
esso occupa la stessa posizione iniziale; il piano di simmetria divide il cristallo in due
parti, ciascuna delle quali è l’immagine speculare dell’altra.
Infine, gli assi cristallografici sono un sistema di assi x, y, z in base ai quali è possibile
definire la posizione e l’orientamento di una faccia di un cristallo. L’insieme di tutti gli
elementi di simmetria di un cristallo definisce il grado di simmetria, a sua volta espresso
mediante la Legge della costanza della simmetria, secondo la quale «Una determinata
specie minerale può cristallizzare in forme cristalline diverse, le quali, però, presentano lo
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Scienze della Terra
8
stesso grado di simmetria ed appartengono quindi allo stesso sistema». In base agli elementi di simmetria i cristalli si classificano in 3 gruppi, 7 sistemi, 32 classi. La distinzione
in gruppi si basa sui lati della cella elementare: se sono tutti e tre uguali abbiamo il gruppo
monometrico, se due sono uguali e uno diverso il gruppo dimetrico, se tutti e tre sono diversi
il gruppo trimetrico. All’interno di ogni gruppo la distinzione in sistemi si basa sugli angoli
tra i lati della cella, uguali o diversi da 90°. Le classi, infine, sono determinate dalla presenza di uno o più elementi di simmetria.
5.
Polimorfismo e isomorfismo
Un’eccezione alla Legge della costanza della simmetria è data dal polimorfismo, fenomeno in base al quale alcuni minerali cristallizzano utilizzando reticoli diversi e dando così
origine a forme cristalline diverse. Sono polimorfi, ad esempio, il carbonio, che, in base al
sistema in cui cristallizza, dà origine al diamante o alla grafite, e il carbonato di calcio
CaCO3, che può cristallizzare come calcite o aragonite. La diversa cristallizzazione è particolarmente influenzata dalle condizioni fisiche esistenti che determinano una diversa disposizione delle particelle (atomi, ioni, molecole) in un reticolo. Un fenomeno opposto al polimorfismo è quello dell’isomorfismo, per cui due o più sostanze di analoga costituzione
chimica possono cristallizzare in forme simili. Sono isomorfe la calcite CaCO3, la magnesite MgCO3, la smithsonite ZnCO3, che cristallizzano in romboedri. Due sostanze isomorfe
sono capaci di dare anche cristalli misti o miscele isomorfe, che si formano solo se i composti differiscono nella formula per non più di uno o due elementi e se gli ioni di questi elementi hanno all’incirca le stesse dimensioni. Questa capacità degli ioni di sostituirsi vicendevolmente è detta vicarianza. Il minerale olivina è una miscela isomorfa di forsterite (MgSiO4) e fayalite (FeSiO4). La sua formula (Mg,Fe)SiO4 indica che nel minerale lo ione ferro
e lo ione magnesio possono essere presenti in tutti i rapporti percentuali. Si ricordi, infine,
che anche la dolomite CaMg(CO3)2 è una miscela di carbonato di calcio e carbonato di
magnesio.
6.
Forme particolari di cristalli
Spesso i cristalli non si trovano in forme perfettamente geometriche, ma in aggregati cristallini, formati da cristalli minuscoli e numerosi, addossati gli uni agli altri, in ammassi di
forme particolari.
Tali aggregati cristallini sono:
— fibrosi, a guisa di fibre (es. amianto);
— granulari, a forma di granuli;
— saccaroidi, simili allo zucchero cristallizzato (es. il marmo);
— lamellari, ossia cristalli appaiati (es. la mica).
Spesso i minerali si associano in seguito a cause meccaniche e si rinvengono in coppie o in
complessi, formando aggruppamenti cristallini regolari e irregolari. Gli aggruppamenti
irregolari sono le druse e i geoidi: le druse hanno orientazione ed inclinazione diverse, ma
poggiano su una base comune; i geoidi sono druse che tappezzano una cavità.
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Capitolo 2: I processi litogenetici
7.
9
Proprietà dei minerali
I minerali hanno una struttura anatomica ordinata, che conferisce loro proprietà chimiche,
fisiche, organolettiche diverse, le quali a loro volta possono fornire indicazioni utili per il
riconoscimento dei minerali stessi. Alcune proprietà utili sono: il colore, il peso specifico, la
durezza, la sfaldabilità, l’elasticità, la plasticità, la malleabilità, la lucentezza, le proprietà
termiche, la suscettibilità magnetica, la conducibilità elettrica, le proprietà ottiche. La più
importante di tutte, la principale è la durezza, che consiste nella resistenza di un minerale
ad essere scalfito. Si misura in modo empirico comparando la durezza del minerale con
quella di 10 minerali che costituiscono la Scala di Mohs, i quali sono disposti in ordine di
durezza crescente. Ad esempio, se un minerale è scalfito dalla calcite ma scalfisce il gesso
significa che ha una durezza tra 2 e 3.
S CALA DI MOHS
MINERALE
8.
NUMERO DELLA SCALA OGGETTI DI RIFERIMENTO
Talco
1
Gesso
2
unghia
Calcite
3
moneta
Fluorite
4
Apatite
Ortoclasio
5
6
lama di temperino
vetro
Quarzo
7
filo di acciaio
Topazio
8
Corindone
9
Diamante
10
Classificazione dei minerali
Degli oltre 4.000 minerali finora conosciuti, molti sono estremamente rari. Il 90% appartiene alla classe dei Silicati, mentre quelli che costituiscono le rocce non sono più di qualche
decina. Vengono classificati in dieci classi basate essenzialmente su criteri di cristallochimica, cioè sulla loro composizione chimica: Elementi nativi, Solfuri, Alogenuri, Ossidi e
Idrossidi, Carbonati, Borati e Nitrati, Solfati, Molibdati e Tungstati, Fosfati e Vanadati,
Silicati.
I Silicati (circa 500) sono formati da silicio ed ossigeno, i due elementi più numerosi della
crosta terrestre. Tutti i Silicati, tranne il quarzo (SiO 2), contengono uno o più elementi che
ne completano la struttura, rendendoli elettricamente neutri.
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Scienze della Terra
10
9.
Le rocce
Sono i componenti solidi della litosfera. Si tratta di aggregati naturali di minerali formatisi per effetto di processi geologici che si sono susseguiti nel corso di migliaia di milioni di
anni. Fa eccezione il ghiaccio che, pur essendo solido, fa parte dell’idrosfera.
Sebbene la maggior parte delle rocce sia costituita da un miscuglio eterogeneo di minerali,
esistono rocce formate da un unico minerale (calcite, salgemma, gesso). Masse solide di questo tipo, pur essendo in senso stretto dei minerali, quando formano unità geologiche indipendenti dovute a un determinato processo genetico sono considerate rocce. Per classificare le
rocce si possono seguire diversi criteri basati sulla struttura o sulla composizione; quello fondamentale è imperniato sui processi di formazione o processi litogenetici, che sono di tre tipi:
— processo magmatico, dal quale derivano le rocce ignee o magmatiche, a loro volta suddivise in effusive e intrusive;
— processo sedimentario, che avviene in superficie in condizioni di bassa pressione e
bassa temperatura e produce rocce sedimentarie;
— processo metamorfico, consistente nella trasformazione di rocce preesistenti in seguito
alla modificazione di parametri fisici, quali pressione o temperatura. Avviene in profondità e dà origine a rocce metamorfiche.
rocce sedimentarie
10%
25%
65%
rocce ignee
rocce metamorfiche
Spesso risulta difficile definire un confine fra i tre tipi, in quanto tutte le rocce terrestri sono
in continua trasformazione, attraverso un processo definito ciclo litogenetico. L’attività vulcanica produce rocce magmatiche che emergono dall’interno della Terra, l’erosione le trasforma in sedimenti che, inghiottiti dal suolo, per opera del calore o della pressione si trasformano in rocce metamorfiche e possono nuovamente riaffiorare come rocce eruttive,
permettendo al ciclo di ricominciare.
10. Rocce magmatiche o ignee
Le rocce ignee o magmatiche che si formano dalla solidificazione di materiale fuso sono
definite intrusive quando si formano in profondità, effusive quando sono prodotte dalla fuoriuscita di lava in superficie.
Le rocce intrusive si formano per consolidamento di un magma in profondità sottoposto ad
alta pressione e lento raffreddamento, condizioni queste che permettono la formazione di
cristalli. Sono perciò costituite da un insieme di minerali cristallizzati e visibili ad occhio
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Capitolo 2: I processi litogenetici
11
nudo, la cui composizione varia naturalmente in base alla natura chimica del magma da cui
derivano. Una tipica roccia ignea è il granito, osservando il quale si nota un insieme di
cristalli diversi: il quarzo trasparente, l’ortoclasio opaco e spesso colorato, la mica biotite
luccicante e di colore scuro, il plagioclasio bianco.
Le rocce effusive si formano invece per consolidamento di un magma giunto in superficie;
in questo caso il raffreddamento è veloce ed avviene in condizioni di bassa pressione, non
permettendo una buona cristallizzazione dei minerali. Tipiche rocce effusive, più comunemente note come «lava», sono i basalti.
In base alla composizione chimica le rocce magmatiche si possono distinguere in due gruppi, rocce acide o sialiche e rocce basiche o femiche, ricordando però che i termini «acido» e
«basico» non hanno significato chimico:
— le rocce sialiche sono ricche di silicati di alluminio, che formano la parte più superficiale della crosta terrestre e quindi anche i basamenti delle masse continentali. I magmi con
alto contenuto di silice vengono definiti «acidi»;
— le rocce femiche sono composte prevalentemente da silicati di ferro e di magnesio che
conferiscono alla roccia un colore scuro. Il basalto è sicuramente la più diffusa, essendo
il costituente dei fondali oceanici. Tali rocce vengono definite «basiche».
11. Rocce sedimentarie
Sono composte da strati rocciosi disposti l’uno sopra l’altro, cosicché la loro caratteristica
principale consiste nella stratificazione. Da almeno 3.800 milioni di anni sulla superficie
terrestre si accumulano sedimenti prodotti per effetto dell’azione erosiva da parte di vari
agenti atmosferici che si depositano per strati successivi. Una volta depositati, i sedimenti
possono alterarsi, il compattamento elimina l’acqua e ulteriori cambiamenti nel corso del
tempo danno luogo al processo di litificazione, trasformando il sedimento molle in strati di
roccia dura e friabile come arenarie, calcari e argilliti.
Le fasi del processo di sedimentazione sono dunque quattro:
1. degradazione ed erosione. Gli agenti esogeni portano alla frammentazione e solubilizzazione della roccia con formazione di minerali diversi da quelli d’origine. Si forma
pertanto un materiale meno compatto e più facilmente aggredibile. Gli agenti erosivi
portano via il materiale in frammenti definiti clasti;
2. trasporto. I materiali, una volta formatisi, possono essere trasportati dagli stessi agenti
di erosione anche a chilometri di distanza;
3. sedimentazione. Quando agli agenti erosivi viene a mancare l’energia per trasportare i
sedimenti, ha inizio la fase di accumulo del materiale e di precipitazione dei sali minerali
in soluzione;
4. diagenesi. L’ultima fase del processo sedimentario conduce alla litificazione dei sedimenti, che consiste in una serie di processi fisici e chimici in seguito ai quali i sedimenti
si trasformano in roccia dura, compatta e coerente.
Le rocce sedimentarie si classificano in tre grandi gruppi a seconda della natura dei clasti:
rocce detritiche o clastiche, rocce di origine chimica, rocce organogene.
Le rocce clastiche si formano per deposizione meccanica di frammenti derivati dalla disgregazione delle rocce e si distinguono in conglomerati, arenarie e argille. I conglomerati
12
Scienze della Terra
si dividono in puddinghe (se costituiti da ciottoli arrotondati e cementati tra loro) e brecce
(se formate da ciottoli spigolosi); le arenarie derivano dalla cementazione delle sabbie; le
argille sono formate da elementi così piccoli da non essere distinguibili ad occhio nudo.
Le rocce di origine chimica si formano in seguito a deposizione di sostanze minerali disciolte nelle acque. Le evaporate come il salgemma, il gesso e alcuni calcari si formano per
evaporazione delle acque salate. Alle rocce di origine chimica appartengono anche formazioni calcaree quali il travertino, le stalagmiti e le stalattiti che si formano per deposizione
del carbonato di calcio contenuto nelle acque dolci. Le rocce residuali, invece, si formano in
zone tropicali e sono costituite da ossidi di Fe e Al, che sono tra i materiali più resistenti
all’azione chimica delle acque dilavanti. Quando l’alterazione è molto accentuata vengono
dilavati anche gli ossidi e gli idrossidi di Fe e la roccia residuale risulta formata solo da
ossidi e idrossidi di Al, come nel caso della bauxite.
Le rocce organogene sono quelle che si formano dagli organismi viventi, sia per accumulo dei
gusci mineralizzati di animali e piante, sia per la capacità che alcuni organismi posseggono di far
precipitare direttamente i minerali contenuti nelle acque. Sono rocce molto diffuse, classificabili
in calcaree, silicee e fosfatiche, in base alla natura mineralogica degli organismi che le compongono. Sebbene la parte organica scompaia durante il consolidamento della roccia, talvolta capita,
come nel caso della lumachella, che siano presenti nella roccia anche resti fossili.
12. Rocce metamorfiche
Sia le rocce magmatiche sia le sedimentarie in seguito a notevoli cambiamenti di pressione
o temperatura, oppure in seguito a fenomeni magmatici, o per la copertura di altre rocce
possono subire trasformazioni. L’insieme di queste trasformazioni viene definito metamorfismo e le rocce che ne derivano prendono il nome di rocce metamorfiche. Tali rocce sono
diverse da quelle originarie, poiché hanno subíto una ricristallizzazione dei minerali che ha
portato alla formazione di nuove associazioni mineralogiche stabili. Esistono due tipi principali di metamorfismo: il metamorfismo regionale e il metamorfismo di contatto.
Il metamorfismo regionale è un processo che avviene su vasta scala ed ha luogo quando i
sedimenti di una data regione sprofondano e vengono coperti da nuovi sedimenti. Più i
sedimenti sono profondi, più sono soggetti ad alte temperature e pressioni e più si trasformano. Superiormente si formano le filladi, che ancora somigliano a rocce sedimentarie, più
in profondità i micascisti e in seguito gli gneiss che hanno l’aspetto quasi granitico. La
caratteristica fondamentale di questo tipo di metamorfismo è che si formano rocce con cristalli tutti orientati e quindi nell’insieme l’aspetto è scistoso, per cui tali rocce si possono
tagliare in lastre o frammenti sottili più o meno regolari.
Il metamorfismo di contatto, a sua volta, interessa zone limitate e consiste nella trasformazione prodotta dall’aumento della temperatura che le rocce subiscono in prossimità di un
magma. Esempi famosi di questo tipo di roccia sono il marmo di Carrara e lo gneiss delle
Alpi che, tagliato, viene usato per pavimenti e rivestimenti.
13. I combustibili fossili
Grande importanza rivestono all’interno delle rocce sedimentarie le rocce organogene combustibili. Di solito, dopo la morte, la sostanza organica degli organismi si decompone attraverso processi di putrefazione, fermentazione e ossidazione, trasformandosi in anidride car-
Capitolo 2: I processi litogenetici
13
bonica ed acqua che si disperdono nell’ambiente. In particolari condizioni la sostanza organica può parzialmente conservarsi, la qual cosa accade quando i resti organici non sono a
contatto con l’ossigeno perché, ad esempio, sono coperti da materiale argilloso impermeabile. In questo modo si conservano nel corso delle ere geologiche e possono accumularsi
originando i carboni fossili e i giacimenti di idrocarburi. In realtà, poiché per «minerale»
e «roccia» s’intendono materiali inorganici, mentre i suddetti accumuli fossili sono di natura organica, essi non andrebbero collocati fra le rocce sedimentarie. Tuttavia, tenuto conto
del processo da cui prendono origine, si ritiene opportuno associarli a tali rocce e definirli
rocce organogene combustibili.
In base al contenuto di carbonio e quindi all’età, si distinguono vari tipi di combustibili
solidi, via via più antichi e pregiati: la torba, la lignite, il litantrace e l’antracite. La torba
è il più recente e quindi a minor contenuto di carbonio, sicché nella combustione è quello
che sviluppa meno calorie; la lignite e il litantrace sono più ricchi di carbonio e sviluppano
più calorie; quello più pregiato è l’antracite, che rappresenta lo stadio più avanzato del
processo di carbonizzazione dei vegetali.
I giacimenti possono essere autoctoni, se si sono formati nel luogo stesso in cui vivono gli
organismi, o alloctoni, quando l’accumulo avviene alle foci dei fiumi o in ambienti marini
(la loro stratificazione è più irregolare di quella dei giacimenti autoctoni). Il petrolio, che
può essere considerato una roccia liquida di colore bruno tendente al nero, è più leggero
dell’acqua e quasi insolubile. In massa non è infiammabile, ma a contatto con l’ossigeno i
suoi vapori bruciano, producendo calore e luce. Una volta estratto deve essere raffinato,
ossia devono essere separati i vari componenti che trovano poi utilizzazioni diverse. Per
lungo tempo chimici e geologi si sono interrogati sull’origine del cosiddetto «oro nero», per
poi convenire sulla tesi secondo cui esso deriva dall’azione di decomposizione di batteri
presenti nella fanghiglia dei fondali.
Capitolo 3 – La struttura della Terra
1.
La struttura interna della Terra
Lo studio delle onde sismiche ha permesso di elaborare un modello di struttura interna della
Terra, in base al quale il nostro pianeta, il cui raggio è in media di 6.378 km, viene suddiviso
in tre gusci concentrici, separati da superfici di discontinuità. Dall’esterno verso l’interno i
tre gusci sono: la crosta, il mantello e il nucleo. Esamineremo ora in dettaglio questi tre
strati, tenendo presente che la crosta e la parte superiore del mantello formano la cosiddetta
litosfera.
La struttura interna della Terra
La crosta o Sial, ovvero lo strato più esterno della litosfera, costituito da rocce in prevalenza
chiare e leggere nella cui composizione prevalgono i silicati di alluminio, si divide in crosta
continentale e crosta oceanica. La crosta continentale è spessa 30-60 km ed è costituita da
rocce relativamente leggere, a base di granito e basalto, con una densità di 2,7g/cm3; la crosta
oceanica non presenta lo strato di granito e forma il fondo degli oceani, è più sottile, circa 8-10
km, ed è costituita da rocce più dense, in media 3,0 g/cm3.
Il mantello o Sima si trova sotto la crosta terrestre, dalla quale è separato per mezzo della
discontinuità di Mohorovičić o, più semplicemente, Moho. Costituito da rocce tendenzialmente scure e pesanti formate da silicati di magnesio e di ferro, giunge fino ad una
profondità di 2.900 km, occupando più dell’80% del volume della Terra. È suddiviso in
mantello esterno e interno, che si distinguono per la loro composizione. Il mantello esterno
è formato da tre strati diversi: il primo, che arriva a 100 km di profondità, fa parte della
litosfera ed è formato da rocce cristalline; la parte intermedia, detta astenosfera, situata in
un’area compresa fra i 100-250 km di profondità, è formata da rocce parzialmente fuse dalle
quali provengono le lave basaltiche dei vulcani; lo strato più interno arriva fino a 900 km ed
è costituito da materiale rigido. Il mantello interno, invece, ha una struttura molto uniforme
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Capitolo 3: La struttura della Terra
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ed è costituito da materiale plastico in continuo movimento: al suo interno vi sono correnti
convettive di materiale che si spostano da una zona all’altra, in maniera molto simile a un
liquido che bolle. Questo strato termina con la discontinuità di Gutenberg.
Il nucleo o Nife è la zona più interna della Terra, costituita da nichel e ferro con grandi
percentuali di potassio e zolfo. Occupa il 15% circa del volume totale della Terra e si divide
in due regioni: nucleo esterno e nucleo interno. Il nucleo esterno giunge a circa 5.000 km di
profondità ed è prevalentemente liquido. Il nucleo interno arriva fino al centro della Terra e,
a causa delle forti pressioni esercitate dagli strati soprastanti, seppure si trovi ad altissime
temperature (oltre 6.000°), si presenta allo stato solido.
2.
Il calore interno della Terra
Dopo l’energia solare il calore interno della Terra è la nostra più grande fonte di energia.
Si calcola che esso sia circa 3 ⋅ 1013 joule al sec, corrispondente a una quantità enorme di
energia in grado, come vedremo, di far muovere le gigantesche «zolle» in cui è suddivisa
la crosta terrestre e di sollevare le montagne. Tuttavia, essa non è che 1/5.000 di quella
inviata dal Sole sulla Terra. Sulla superficie terrestre la temperatura risente delle variazioni termiche diurne e stagionali. Ad una profondità di 15-30 m tali variazioni non si avvertono più e la temperatura corrisponde a quella media annua della località in superficie. A
partire da questo livello la temperatura aumenta di 1 °C ogni 33 m e l’aumento di temperatura in funzione della profondità prende il nome di gradiente geotermico. Se la temperatura in profondità continuasse a variare secondo il gradiente geotermico si giungerebbe
a temperature di 200.000 °C e la Terra dovrebbe essere praticamente allo stato fuso, ma
ciò è in contrasto con lo studio delle onde sismiche che si propagano nei solidi. Dal momento che le onde attraversano il mantello è certo che questo, nella sua parte più interna,
si trova allo stato solido e ciò è stato spiegato dagli studiosi considerando che l’aumento
di temperatura che dovrebbe condurre alla fusione è, invece, contrastato dall’enorme aumento della pressione che determina un innalzamento del punto di fusione.
Una buona parte del calore terrestre deriva dall’energia immagazzinata all’atto della formazione del pianeta, risalente a 4,5 miliardi di anni fa, ma questa teoria, da sola, non
spiega la grande quantità di calore ancora oggi residua: infatti, essendo le rocce cattive
conduttrici, si è calcolato che il calore imprigionato a 400 km di profondità impiegherebbe circa 5 miliardi di anni per giungere in superficie. Oggi si ritiene che il flusso termico
sia dovuto principalmente al decadimento di elementi radioattivi quali l’uranio (238U) e
( 232U), il torio (232Th) e il potassio (40K), abbondanti nella crosta terrestre. I nuclei di questi isotopi sono altamente instabili, per cui tendono a raggiungere la stabilità perdendo
particelle di energia e trasformandosi in altri isotopi. La presenza di elementi radioattivi,
il cui tempo di dimezzamento è di circa 109 anni, giustifica quindi la fusione della Terra
primordiale ed il calore residuo attuale. Fra le rocce, le più ricche di elementi radioattivi
sono quelle granitiche che formano le zolle continentali, ma la quantità di calore quasi
simile tra la crosta oceanica e quella continentale fa ritenere che nella crosta oceanica ci
sia una maggiore quantità di elementi radioattivi.
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Scienze della Terra
16
3.
Le correnti convettive
La Terra perde continuamente parte del calore che tende naturalmente a spostarsi da zone ad
alta temperatura verso zone a bassa temperatura. Tale movimento prende il nome di flusso
termico o flusso di calore che si misura in HFU (Heat Flow Unit = unità di flusso di
calore), unità di misura equivalente a 1 microcaloria · cm–2 ⋅ sec–1. La fisica insegna che il
calore può propagarsi per conduzione, irraggiamento e convezione. La propagazione per
conduzione, però, a causa della scarsa conducibilità dei materiali rocciosi che compongono
l’interno della Terra, è assai limitata, al pari della trasmissione per irraggiamento, a sua
volta altamente improbabile su lunghe distanze nei materiali solidi. Pertanto l’unica forma
possibile resta la convezione, che oltretutto è la modalità di trasferimento del calore propria
dei fluidi. La spiegazione fornita dai geofisici riguardo al fenomeno della fusione del mantello, che è solido, è la seguente: prendiamo, ad esempio, un barattolo di conserva di pomodoro e capovolgiamolo per pochi istanti, vedremo che la conserva non si deforma e non
fluisce; se però diamo un colpo secco sul fondo del vasetto la conserva si stacca. La stessa
cosa accade ai materiali del mantello i quali, quando vengono sollecitati da una forza improvvisa e di breve durata come il passaggio di un’onda sismica, si comportano come corpi
rigidi, ma fluiscono come liquidi, sia pure molto viscosi, quando una forza, anche piccola,
come quella generata da una differenza di energia termica viene applicata con continuità per
milioni di anni.
La scoperta dell’espansione dei fondali oceanici e della tettonica a placche offre una prova
diretta dei movimenti convettivi del mantello. Si ritiene che i moti convettivi siano responsabili di circa il 60% del flusso termico terrestre e che la convezione rappresenti uno dei
meccanismi più importanti con cui la Terra si è raffreddata.
4.
La gravità terrestre
Tutti i corpi che si trovano sulla superficie terrestre o in prossimità di essa sono attratti verso
il centro della Terra da una forza, detta forza di gravità, che gioca un ruolo importante e
fondamentale nella dinamica del pianeta. Il ramo della Fisica che se ne occupa specificamente prende il nome di Gravimetria. La forza di gravità è diretta verso il centro della
Terra e coincide quindi con il raggio terrestre, è verticale e si può mettere in evidenza con un
filo a piombo.
Sulla superficie terrestre varia in base ad alcuni fattori, tra i quali:
— l’altitudine, come dimostra il fatto che la forza di gravità è minore in cima ad una montagna che non in pianura, in quanto l’intensità del campo gravitazionale diminuisce man
mano che ci si allontana dal centro della Terra;
— la latitudine, in quanto la Terra non è perfettamente sferica, ma schiacciata ai poli e
quindi il raggio polare è di poco inferiore al raggio equatoriale, la qual cosa determina
che la forza di gravità sia maggiore ai poli che non all’equatore;
— la topografia del luogo, poiché il valore della forza di gravità viene modificato dalla
presenza di masse rocciose, anche non affioranti, come ad esempio le radici dei rilievi
montuosi.
I gravimetri, strumenti precisi e sensibili, permettono di valutare con grande esattezza il
valore della forza di gravità nei diversi punti del pianeta. Ciò ha consentito di stabilire che
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Capitolo 3: La struttura della Terra
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esistono delle anomalie di gravità derivanti dalla presenza nel sottosuolo di masse rocciose
particolarmente leggere (salgemma e idrocarburi) o pesanti (giacimenti metalliferi), di fratture, faglie e probabili focolai sismici. Proprio lo studio delle anomalie gravimetriche ha
permesso di determinare con precisione la forma della Terra. Studiando zone dello stesso
parallelo si è visto che esse presentavano diverse misure gravimetriche, più alte nelle zone
oceaniche e più basse nelle zone continentali. Dopo vari studi si è giunti alla definizione del
principio dell’isostasia, secondo il quale la crosta oceanica e la crosta continentale tendono a stabilire una condizione di equilibrio gravitazionale con le rocce del mantello che si
comportano in modo plastico, sicché le rocce del mantello, se sottoposte per periodi molto
lunghi a sollecitazioni costanti, si deformano secondo il principio di Archimede: più una
massa rocciosa è alta, più riceve una spinta dal basso per «galleggiare» sul mantello sottostante, sicché le masse crostali più alte emergono maggiormente, ma sono anche più profonde. La superficie di separazione crosta-mantello assume così un andamento contrario a quello
della superficie topografica: è vicina alla superficie sotto gli oceani, se ne allontana massimamente sotto le montagne. Il mantello, quindi, in seguito a variazioni della massa dei
blocchi crostali dovute ad erosione, deposizione, formazione o fusione di ghiacciai, provoca
un aggiustamento per isostasia, con spostamento verticale delle masse rocciose fino al nuovo raggiungimento dell’equilibrio. Un esempio è rappresentato dalla penisola scandinava,
la quale si sta sollevando di 2 cm al secolo nella parte centrale, in seguito allo scioglimento
dei ghiacciai avvenuto circa 20.000 anni fa. Tale fenomeno provocò una improvvisa diminuzione di peso, mettendo la penisola in una condizione di disequilibrio isostatico, che essa
sta compensando con il sollevamento. Si calcola che per raggiungere l’equilibrio dovrà
sollevarsi ancora di 200 m nella parte centrale.
5.
Il magnetismo terrestre
Nel 1600 il medico inglese W. Gilbert, nel suo libro De Magnete, affermò che la Terra può
essere considerata come un enorme magnete, nei confronti del quale l’ago della bussola si
comporta come un piccolissimo pezzetto di limatura di ferro che si dispone secondo le linee
di forza di una calamita. In realtà oggi sappiamo che la Terra si comporta come se una barra
magnetica fosse permanentemente localizzata nel suo nucleo e inclinata di 11°30' rispetto
all’asse terrestre, quindi distante circa 2.000 km da quello geografico. Attualmente le linee
di forza partono dall’isola Principe di Galles, nel Canada nordorientale, e giungono, dopo
aver compiuto degli archi di circonferenza, nella Terra Vittoria in Antartide.
L’orientamento delle linee di forza del campo magnetico si misura con la bussola, il cui ago
magnetico si dispone tangente alle linee di forza del campo determinando l’angolo di declinazione magnetica, ossia l’angolo che il meridiano magnetico forma con il meridiano
geografico. La declinazione aumenta alle alte latitudini e il suo valore sarebbe 0° se i poli
geografici e magnetici coincidessero. La conoscenza della declinazione magnetica è indispensabile per correggere le direzioni di rotta lette con l’ago della bussola.
Un altro dato importante è l’inclinazione magnetica, misurata con apposite bussole il cui
ago è in grado di ruotare solo verticalmente, così da indicare, in ogni punto della Terra,
l’angolo che le linee di forza creano con il suolo (corrispondente, dunque, all’inclinazione
magnetica). L’inclinazione è uguale a 0° nei pressi dell’equatore magnetico, dove l’ago si
dispone parallelamente al suolo, a 90° presso i poli magnetici, dove l’ago si dispone vertiExcerpt of the full publication
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Scienze della Terra
calmente, e ha valori intermedi alle altre latitudini. L’intensità di un campo magnetico si
misura con il magnetometro, uno strumento che misura la forza esercitata dal campo magnetico terrestre su un piccolo magnete con caratteristiche standard. L’unità di misura dell’intensità magnetica nel S.I. è il Tesla (T). Con i dati ricavati dalle bussole e dai magnetometri si delinea la carta delle isolinee dell’intensità magnetica terrestre totale. Eventuali
perturbazioni locali dell’andamento generale di queste isolinee indicano che nel sottosuolo
vi sono elevate concentrazioni di materiale ferromagnetico, cosicché il loro monitoraggio è
utile anche nella ricerca di eventuali giacimenti di minerali metallici ferromagnetici. Non
bisogna dimenticare, inoltre, che il c.m.t. (campo magnetico terrestre) si estende anche al di
sopra della superficie terrestre, in una zona che costituisce una sorta di scudo protettivo
contro le radiazioni cosmiche chiamata magnetosfera. Il c.m.t. è soggetto a variazioni periodiche di direzione e intensità che si susseguono ad intervalli non regolari per periodi
brevi, lunghi o lunghissimi. Le ultime teorie riguardanti la formazione del c.m.t. ipotizzano
che esso sia il frutto del continuo movimento del ferro liquido che, situato nel nucleo esterno, agisce come il conduttore rotante della dinamo di una bicicletta. Spinto dal calore dovuto alla radioattività, il ferro liquido si rimescola continuamente e, a causa della sua carica
elettrica, genera un campo elettromagnetico in costante cambiamento. I rilevamenti effettuati in strati successivi di rocce vulcaniche dimostrano che il campo magnetico varia, assumendo periodicamente polarità opposte. La presenza di strati di rocce vulcaniche con polarità alternata ai lati delle dorsali oceaniche conferma la teoria della formazione del fondo
oceanico in corrispondenza di queste dorsali. Secondo lo stesso principio, il magnetismo
delle rocce continentali aiuta a risalire all’antica posizione delle terre emerse.
6.
Dinamica endogena ed esogena
La superficie terrestre cambia continuamente, anche se lentamente, il proprio aspetto. La
sua trasformazione è dovuta sia agli agenti esogeni sia a quelli endogeni. La Geodinamica,
suddivisa in dinamica endogena e dinamica esogena, studia le cause e gli agenti di queste
lente modificazioni.
Nei prossimi cinque capitoli verranno esaminati i terremoti, i vulcani, i movimenti e le
deformazioni delle rocce, la dinamica della litosfera e, infine, la geologia storica: tutti fenomeni che appunto costituiscono altrettanti argomenti di studio della dinamica endogena.
Successivamente verranno presi in esame gli agenti morfogenetici esogeni, comprendenti le
azioni e gli effetti degli agenti fisici, chimici e biologici che determinano la disgregazione,
il trasporto e il deposito (quindi la trasformazione) dei sedimenti di una superficie rocciosa
(dinamica esogena). Tra gli agenti esogeni vanno citate le forze dell’atmosfera, dell’idrosfera e della biosfera.
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Capitolo 4 – I terremoti
1.
Cos’è un terremoto
Il primo grande contributo alla comprensione del meccanismo che genera un terremoto lo si
deve agli studi del sismologo americano H.F. Reid, che esaminò dettagliatamente le deformazioni del suolo in prossimità della faglia di San Andreas in California, in seguito al disastroso sisma che colpì San Francisco nel 1906. Oggi possiamo affermare che un terremoto
o sisma (dal greco seismós, «scuotimento», «scossa») è la manifestazione di una serie di
vibrazioni più o meno forti del suolo, accompagnate da emissioni di onde sonore a bassissima frequenza. Ciò accade perché i materiali di cui è costituito il pianeta sono continuamente
soggetti a forze che li comprimono, li stirano, li mettono in movimento, per cui, deformandosi, accumulano energia potenziale. Secondo la teoria del rimbalzo elastico tale energia,
una volta che la roccia è giunta al punto di rottura, si libera immediatamente e violentemente sotto forma di intense e rapide vibrazioni, con formazione di un piano di faglia e con un
meccanismo molto simile a quello che fa scattare una molla. Il punto profondo in cui si
verifica la liberazione di energia e dal quale partono le vibrazioni, simili ad onde sferiche, è
detto ipocentro, mentre la sua proiezione sulla superficie terrestre si chiama epicentro.
Nell’epicentro il sisma si avverte soprattutto con movimenti verticali (scosse sussultorie),
nelle aree circostanti con movimento essenzialmente orizzontale (scosse ondulatorie). Un
terremoto può durare da una frazione di secondo fino a 4-5 minuti, liberando rapidamente
una quantità di energia che diventa sempre più bassa man mano che ci si allontana dall’ipocentro, la qual cosa non impedisce che un sisma possa essere registrato contemporaneamente da sismografi sparsi in tutto il mondo. Generalmente i terremoti di piccola entità avvengono con molta frequenza, quasi un milione l’anno, ma la maggior parte di essi è troppo
debole per essere avvertita se non dagli appositi strumenti.
Un sisma è sempre costituito da più scosse, anche quando ne avvertiamo una sola. È oggi
accertato che esistono varie tipologie di terremoti, a seconda che si tratti di:
• scossa principale seguita da repliche: l’energia di queste ultime è più bassa di quella
della scossa principale e le scosse si diradano con il tempo;
• scosse premonitrici – scossa principale – repliche: le scosse premonitrici, tutte di lieve
entità, aumentano di frequenza man mano che si avvicina la scossa principale, mentre le
repliche hanno un comportamento analogo a quelle del tipo precedente;
• sciami di terremoti: non si evidenzia una scossa principale poiché hanno tutte la stessa
energia. Le scosse divengono sempre più frequenti fino a raggiungere un massimo, poi
progressivamente si diradano. Questa tipologia produce terremoti meno disastrosi.
2.
Le onde sismiche
Dall’ipocentro di un terremoto si propagano due tipi di onde: longitudinali e trasversali. Le
onde longitudinali sono onde di compressione in quanto le particelle di materia investite
oscillano avanti e indietro, ma sempre nella stessa direzione di propagazione dell’onda; tali
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