,/,%5,',*,7$/, $'* (VDPL&RQFRUVL)RUPD]LRQHSURIHVVLRQDOH Sintesi di Scienze della Terra 6WRULDGHOO·8QLYHUVR 6LVWHPD6RODUHVWHOOHHJDODVVLH 6WUXWWXUDGHOOD7HUUDHVXDHYROX]LRQH )HQRPHQLVLVPLFLHYXOFDQLFL $WPRVIHUDPHWHRURORJLDFOLPD ,GURVIHUDPDULQDHFRQWLQHQWDOH *HRGHVLDHFDUWRJUDILD SIMONE EDIZIONI GIURIDICHE ® Gruppo Editoriale Simone Excerpt of the full publication 7877,,',5,77,5,6(59$7, 9LHWDWDODULSURGX]LRQHDQFKHSDU]LDOH 7XWWLLGLULWWLGLVIUXWWDPHQWRHFRQRPLFRGHOO·RSHUD DSSDUWHQJRQRDOOD(VVHOLEUL6S$DUW'/JVQ (ODERUD]LRQHGHOWHVWR*LXOLDQD*XHUUD &RRUGLQDPHQWRUHGD]LRQDOH1XQ]LR6LOYHVWUR *UDÀFDGLFRSHUWLQDDFXUDGL*LXVHSSH5DJQR 35(0(66$ ,OYROXPHLQGLUL]]DWRDFRORURFKHVLDFFLQJRQRDGDIIURQWDUHHVDPLLQWHUURJD]LRQLFRQ FRUVLSXEEOLFLVHOH]LRQLD]LHQGDOLRSURYHGLDPPLVVLRQHDOO·8QLYHUVLWjVLSURSRQHFRPH XWLOHVWUXPHQWRSHUXQUDSLGRHGHIÀFDFHVWXGLRGHOOH6FLHQ]HGHOOD7HUUDDQDOL]]DQGRLQ SDUWLFRODUHLVHJXHQWLDUJRPHQWL ³LQWURGX]LRQHDOOH6FLHQ]HGHOOD7HUUDJHRORJLDJHRÀVLFDJHRFKLPLFDSDOHRQWRORJLD ³SURFHVVLOLWRJHQHWLFL ³PRYLPHQWLHGHIRUPD]LRQLGHOOHURFFH ³VWUXWWXUDGHOOD7HUUD ³VLVPRORJLDHYXOFDQRORJLD ³GLQDPLFDGHOODOLWRVIHUD ³WHPSRJHRORJLFR ³JHRPRUIRORJLD ³D]LRQHJHRGLQDPLFDGHOO·DWPRVIHUDGHOOHDFTXHHGHOODFRPSRQHQWHELRWLFD ³O·DWPRVIHUD ³O·LGURVIHUD ³O·DVWURQRPLDLO6LVWHPD6RODUHOD/XQD ³JHRGHVLDRULHQWDPHQWRHFDUWRJUDÀD /·LQWHUDPDWHULDqULDVVXQWDLQXQDSUHFLVDHFRPSOHWDVLQWHVLHVDXVWLYDSHUFLzFKHULJXDU GDO·DSSURIRQGLPHQWRGHLFRQWHQXWLHUD]LRQDOPHQWHRUJDQL]]DWDQHOODSURSULDDUWLFROD]LRQH VWUXWWXUDOH/DWUDWWD]LRQHqLQWHJUDWDGDÀJXUHWDEHOOHJUDÀFLHVFKHPLHVWUHPDPHQWHXWLOL SHUPHJOLRLQTXDGUDUHHGDVVLPLODUHLFRQFHWWLIRQGDPHQWDOLGHOODGLVFLSOLQD Excerpt of the full publication Capitolo 1 – Introduzione alle Scienze della Terra 1. Il tetraedro di Howell Secondo il geofisico americano B. F. Howell, il vario e vasto mondo delle Scienze Naturali può essere rappresentato con un tetraedro, dove le quattro scienze fondamentali (Chimica, Fisica, Biologia e Geologia) corrispondono ai quattro vertici, mentre le scienze derivate ne costituiscono gli spigoli. La Geologia, la Geochimica, la Geofisica e la Paleontologia rappresentano le Scienze della Terra. Nel tetraedro di Howell, sebbene siano visibili in maniera immediata le relazioni esistenti tra le varie discipline, pur tuttavia non compaiono tutte. Quelle che non sono presenti in realtà risultano essere parte integrante delle discipline rappresentate e quindi in esse comprese. Il tetraedro di Howell 2. La Geologia È la scienza che rappresenta il punto di incontro tra varie discipline che, con il progredire delle scoperte scientifiche, si sono continuamente specializzate, rendendosi sempre più indipendenti da essa; sarebbe quindi più esatto parlare di «Scienze geologiche». È compito della Geologia non solo studiare l’aspetto attuale del nostro pianeta, ma anche comprendere quali fenomeni chimici e fisici da 4,5 miliardi di anni si siano succeduti fino a condurre la Terra alla sua attuale struttura. È facile intuire, quindi, quanto vasto sia il campo di studio di tale disciplina, che si compie attraverso l’analisi delle rocce, dei fossili, dei movimenti della crosta terrestre, delle eruzioni, dei terremoti, nonché mediante lo studio dei meccanismi che sono alla base dell’erosione provocata dall’acqua e dal vento, senza trascurare la conseguente sedimentazione dei detriti venutisi a formare. In particolare la Geologia studia la composizione della litosfera, i meccanismi della dinamica endogena ed esogena, i movimenti e le deformazioni della crosta terrestre, fornendo dati utili per la ricostruzione dell’evoluzione geologica della Terra, nonché strumenti per la gestione del territorio, la difesa dai rischi ambientali e lo sfruttamento delle risorse naturali. Capitolo 1: Introduzione alle Scienze della Terra 3. 5 La Geofisica e la Geochimica Studiano, rispettivamente, aspetti e proprietà fisiche (l’una) e composizione e proprietà chimiche (l’altra) dell’interno della Terra, della litosfera, dell’idrosfera e dell’atmosfera. In particolare la Geofisica studia l’interno della Terra, l’atmosfera e l’idrosfera attraverso ricostruzioni paleogeografiche e paleoclimatiche, occupandosi di sismologia, gravimetria, geomagnetismo, geotermia, meccanica delle rocce, nonché di meteorologia e climatologia, così da poter fornire dati e strumenti sia per la navigazione aerea e marittima, sia per il monitoraggio delle alterazioni atmosferiche. Senza dimenticare, altresì, che dalla Geofisica si ricavano anche informazioni utili per la difesa dai rischi ambientali e l’individuazione delle risorse naturali. La Geochimica, a sua volta, studia sia la litosfera (attraverso la Geochimica isotopica e i fossili) sia l’atmosfera e l’idrosfera (indagandone le proprietà e la composizione chimica). Inoltre provvede al monitoraggio delle alterazioni atmosferiche e fornisce dati utili per l’individuazione delle risorse idriche, minerarie ed energetiche. 4. La Paleontologia È una scienza che abbraccia sia la Biologia, sia le scienze geologiche, in quanto studia gli organismi viventi esistiti sulla Terra, dalle origini ai giorni nostri, conservati nelle rocce e restituiti a noi come fossili. Ed è proprio attraverso lo studio dei fossili che è stato possibile ordinare le specie in alberi filogenetici, al fine di ricostruire la storia evolutiva dei viventi. Sempre attraverso lo studio dei fossili, la Paleontologia data le rocce e ricostruisce gli ambienti dove gli organismi vivevano. Inoltre, offre strumenti per l’individuazione delle risorse naturali. 5. Il principio dell’attualismo Se per studiare gli avvenimenti che riguardano la storia dell’umanità occorre leggere un libro di storia, allo stesso modo per conoscere la storia della Terra bisogna «sfogliare» quel meraviglioso libro che è scritto tra gli strati delle rocce. È così che i geologi «leggono» gli avvenimenti che nel corso di milioni di anni si sono succeduti cambiando la morfologia del pianeta. I fenomeni geologici sono lunghi e graduali, il presente costituisce quindi la continuazione lenta, ma progressiva, del passato. Tale principio, oggi conosciuto come «principio dell’attualismo», fu espresso alla fine dell’Ottocento da C. Lyell nel suo Principles of geology. Lyell, infatti, affermava che le cause dei fenomeni geologici svoltisi in passato sono da ritenersi essenzialmente le stesse che ancora oggi agiscono. La storia della Terra veniva finalmente interpretata non più come una serie di catastrofi ricorrenti o eventi biblici disastrosi, bensì come un susseguirsi di eventi lenti, impercettibili, ma ben evidenti nel tempo. Excerpt of the full publication Capitolo 2 – I processi litogenetici 1. La litosfera Il guscio solido ma mobile che riveste la Terra viene definito litosfera (dal greco lítos, «pietra»). È formato da rocce, ossia aggregati di minerali, e costituisce le terre emerse, nonché i fondali marini e oceanici. Ha uno spessore medio di circa 100 km, che rapportato al diametro terrestre può essere considerato poco più che una «pellicola». Le tecniche di indagine per stabilire come i minerali e le rocce siano distribuiti nella massa della Terra sono di due tipi: dirette e indirette. I metodi diretti, quali trivellazioni petrolifere, perforazioni minerarie e analisi dei materiali vulcanici, permettono di analizzare direttamente i campioni di materiale proveniente dalla Terra, ma purtroppo solo quelli degli strati più superficiali, in quanto, con tali tecniche, difficilmente si riescono a superare i 7-8 km di profondità. Il pozzo più profondo del mondo si trova in Russia, nella Penisola di Kola, e raggiunge i 12 km. I metodi indiretti si basano, invece, su considerazioni e analogie derivanti dallo studio dei meteoriti e della propagazione delle onde sismiche. Analizziamo ora le forme in cui gli elementi sono tra loro combinati nella crosta terrestre. 2. I minerali La litosfera è costituita da rocce, che a loro volta sono aggregati di minerali. In generale sono considerati minerali unicamente i corpi solidi, cristallini e inorganici presenti nella litosfera, ossia nella parte esterna del pianeta; vengono così esclusi i corpi liquidi e gli amorfi, gli elementi e i composti appartenenti all’idrosfera, i depositi organici come carboni e petroli che, peraltro, hanno caratteristiche chimico-fisiche variabili da punto a punto. Proprietà essenziali per un minerale sono l’origine naturale (infatti non è un minerale l’NaCl che si ottiene per evaporazione forzata dell’acqua di mare, mentre lo è il salgemma che si ottiene per evaporazione naturale), l’omogeneità fisica e la composizione chimica costante, almeno entro stretti limiti. Tre soli minerali fanno eccezione: il mercurio che si trova allo stato liquido, l’opale e il vetro allo stato amorfo. I minerali si trovano nella maggior parte dei casi allo stato cristallino, con una struttura risultante dalla regolare disposizione nello spazio delle unità che li costituiscono. Essi presentano quindi una forma poliedrica esterna ben definita, in cristalli distinti con aspetto caratteristico. Un minerale può essere quindi definito un corpo solido, omogeneo, inorganico, presente nella litosfera naturalmente, con proprietà chimiche e fisiche costanti. I minerali e le rocce sono entrambi necessari all’uomo, in quanto è da essi che si ricavano prodotti e materiali indispensabili, nonché elementi chimici. 3. La cristallogenesi La formazione dei minerali in natura è molto simile alla cristallogenesi che in laboratorio permette la formazione dei cristalli. Essi si formano sostanzialmente in tre modi: — per il lento raffreddamento di masse fuse provenienti da eruzioni vulcaniche; Excerpt of the full publication Capitolo 2: I processi litogenetici 7 — per sedimentazione da soluzioni sature di un dato sale in seguito ad evaporazione; — per sublimazione da vapori, come nel caso dei cristalli di zolfo che si formano ai margini dei crateri vulcanici. Il processo di cristallizzazione è in genere di lunga durata, quindi qualsiasi variazione delle condizioni ambientali fisiche e chimiche si ripercuote sulla struttura del cristallo in formazione. Di solito gli ioni, gli atomi e le molecole si dispongono con grande regolarità, formando un reticolo cristallino che si ripete nello spazio in modo periodico. Un importante contributo alla definizione dei reticoli cristallini lo si deve agli studi compiuti dal fisico tedesco M. von Laue (1912), il quale, sottoponendo dei cristalli all’esame dei raggi X, mise in evidenza che si ottenevano spettri di diffrazione caratteristici per ogni specie cristallina. I raggi diffratti davano poi luogo, su una lastra fotografica, ad un insieme di macchie, in posizioni caratteristiche dalle quali si poteva risalire alla struttura del cristallo. Le caratteristiche strutturali di un cristallo dipendono dal tipo di legame (ionico, covalente, metallico, molecolare) che si crea tra gli atomi che lo compongono, nonché dalle dimensioni relative delle particelle che formano la cella elementare. Spesso, però, accade che un cristallo non sia facilmente riconoscibile perché durante i processi di formazione viene ostacolato dalla formazione contemporanea di altri cristalli vicini. Di conseguenza in alcuni casi si nota uno sviluppo maggiore di alcune facce rispetto ad altre e il cristallo finisce per discostarsi dalla forma regolare rappresentata dall’abito cristallino: per questo motivo i cristalli «perfetti» risultano piuttosto rari. Tuttavia, qualunque sia l’aspetto esteriore dei cristalli, se essi sono della stessa specie chimica hanno una caratteristica comune che permette di identificarli con certezza e classificarli. Tale caratteristica è stata definita dalla Legge della costanza degli angoli diedri stabilita da N. Stenone oltre tre secoli fa, secondo la quale «Nei cristalli della stessa specie chimica gli angoli diedri formati dalle facce corrispondenti sono uguali e costanti, purché misurati nelle identiche condizioni di temperatura». 4. Gli elementi di simmetria dei cristalli Conseguentemente alla forma geometrica, i cristalli presentano una struttura simmetrica derivante dalla disposizione degli elementi di simmetria, che si distinguono in: — elementi reali: facce, spigoli e vertici che realmente esistono; — elementi ideali: centro di simmetria, asse di simmetria, piano di simmetria che si possono tracciare idealmente. Il centro di simmetria è quel punto interno del cristallo rispetto al quale ad ogni faccia ne corrisponde un’altra opposta equidistante, identica e parallela; l’asse di simmetria è quella retta intorno alla quale, facendo ruotare il cristallo di 360°, esso occupa la stessa posizione iniziale; il piano di simmetria divide il cristallo in due parti, ciascuna delle quali è l’immagine speculare dell’altra. Infine, gli assi cristallografici sono un sistema di assi x, y, z in base ai quali è possibile definire la posizione e l’orientamento di una faccia di un cristallo. L’insieme di tutti gli elementi di simmetria di un cristallo definisce il grado di simmetria, a sua volta espresso mediante la Legge della costanza della simmetria, secondo la quale «Una determinata specie minerale può cristallizzare in forme cristalline diverse, le quali, però, presentano lo Excerpt of the full publication Scienze della Terra 8 stesso grado di simmetria ed appartengono quindi allo stesso sistema». In base agli elementi di simmetria i cristalli si classificano in 3 gruppi, 7 sistemi, 32 classi. La distinzione in gruppi si basa sui lati della cella elementare: se sono tutti e tre uguali abbiamo il gruppo monometrico, se due sono uguali e uno diverso il gruppo dimetrico, se tutti e tre sono diversi il gruppo trimetrico. All’interno di ogni gruppo la distinzione in sistemi si basa sugli angoli tra i lati della cella, uguali o diversi da 90°. Le classi, infine, sono determinate dalla presenza di uno o più elementi di simmetria. 5. Polimorfismo e isomorfismo Un’eccezione alla Legge della costanza della simmetria è data dal polimorfismo, fenomeno in base al quale alcuni minerali cristallizzano utilizzando reticoli diversi e dando così origine a forme cristalline diverse. Sono polimorfi, ad esempio, il carbonio, che, in base al sistema in cui cristallizza, dà origine al diamante o alla grafite, e il carbonato di calcio CaCO3, che può cristallizzare come calcite o aragonite. La diversa cristallizzazione è particolarmente influenzata dalle condizioni fisiche esistenti che determinano una diversa disposizione delle particelle (atomi, ioni, molecole) in un reticolo. Un fenomeno opposto al polimorfismo è quello dell’isomorfismo, per cui due o più sostanze di analoga costituzione chimica possono cristallizzare in forme simili. Sono isomorfe la calcite CaCO3, la magnesite MgCO3, la smithsonite ZnCO3, che cristallizzano in romboedri. Due sostanze isomorfe sono capaci di dare anche cristalli misti o miscele isomorfe, che si formano solo se i composti differiscono nella formula per non più di uno o due elementi e se gli ioni di questi elementi hanno all’incirca le stesse dimensioni. Questa capacità degli ioni di sostituirsi vicendevolmente è detta vicarianza. Il minerale olivina è una miscela isomorfa di forsterite (MgSiO4) e fayalite (FeSiO4). La sua formula (Mg,Fe)SiO4 indica che nel minerale lo ione ferro e lo ione magnesio possono essere presenti in tutti i rapporti percentuali. Si ricordi, infine, che anche la dolomite CaMg(CO3)2 è una miscela di carbonato di calcio e carbonato di magnesio. 6. Forme particolari di cristalli Spesso i cristalli non si trovano in forme perfettamente geometriche, ma in aggregati cristallini, formati da cristalli minuscoli e numerosi, addossati gli uni agli altri, in ammassi di forme particolari. Tali aggregati cristallini sono: — fibrosi, a guisa di fibre (es. amianto); — granulari, a forma di granuli; — saccaroidi, simili allo zucchero cristallizzato (es. il marmo); — lamellari, ossia cristalli appaiati (es. la mica). Spesso i minerali si associano in seguito a cause meccaniche e si rinvengono in coppie o in complessi, formando aggruppamenti cristallini regolari e irregolari. Gli aggruppamenti irregolari sono le druse e i geoidi: le druse hanno orientazione ed inclinazione diverse, ma poggiano su una base comune; i geoidi sono druse che tappezzano una cavità. Excerpt of the full publication Capitolo 2: I processi litogenetici 7. 9 Proprietà dei minerali I minerali hanno una struttura anatomica ordinata, che conferisce loro proprietà chimiche, fisiche, organolettiche diverse, le quali a loro volta possono fornire indicazioni utili per il riconoscimento dei minerali stessi. Alcune proprietà utili sono: il colore, il peso specifico, la durezza, la sfaldabilità, l’elasticità, la plasticità, la malleabilità, la lucentezza, le proprietà termiche, la suscettibilità magnetica, la conducibilità elettrica, le proprietà ottiche. La più importante di tutte, la principale è la durezza, che consiste nella resistenza di un minerale ad essere scalfito. Si misura in modo empirico comparando la durezza del minerale con quella di 10 minerali che costituiscono la Scala di Mohs, i quali sono disposti in ordine di durezza crescente. Ad esempio, se un minerale è scalfito dalla calcite ma scalfisce il gesso significa che ha una durezza tra 2 e 3. S CALA DI MOHS MINERALE 8. NUMERO DELLA SCALA OGGETTI DI RIFERIMENTO Talco 1 Gesso 2 unghia Calcite 3 moneta Fluorite 4 Apatite Ortoclasio 5 6 lama di temperino vetro Quarzo 7 filo di acciaio Topazio 8 Corindone 9 Diamante 10 Classificazione dei minerali Degli oltre 4.000 minerali finora conosciuti, molti sono estremamente rari. Il 90% appartiene alla classe dei Silicati, mentre quelli che costituiscono le rocce non sono più di qualche decina. Vengono classificati in dieci classi basate essenzialmente su criteri di cristallochimica, cioè sulla loro composizione chimica: Elementi nativi, Solfuri, Alogenuri, Ossidi e Idrossidi, Carbonati, Borati e Nitrati, Solfati, Molibdati e Tungstati, Fosfati e Vanadati, Silicati. I Silicati (circa 500) sono formati da silicio ed ossigeno, i due elementi più numerosi della crosta terrestre. Tutti i Silicati, tranne il quarzo (SiO 2), contengono uno o più elementi che ne completano la struttura, rendendoli elettricamente neutri. Excerpt of the full publication Scienze della Terra 10 9. Le rocce Sono i componenti solidi della litosfera. Si tratta di aggregati naturali di minerali formatisi per effetto di processi geologici che si sono susseguiti nel corso di migliaia di milioni di anni. Fa eccezione il ghiaccio che, pur essendo solido, fa parte dell’idrosfera. Sebbene la maggior parte delle rocce sia costituita da un miscuglio eterogeneo di minerali, esistono rocce formate da un unico minerale (calcite, salgemma, gesso). Masse solide di questo tipo, pur essendo in senso stretto dei minerali, quando formano unità geologiche indipendenti dovute a un determinato processo genetico sono considerate rocce. Per classificare le rocce si possono seguire diversi criteri basati sulla struttura o sulla composizione; quello fondamentale è imperniato sui processi di formazione o processi litogenetici, che sono di tre tipi: — processo magmatico, dal quale derivano le rocce ignee o magmatiche, a loro volta suddivise in effusive e intrusive; — processo sedimentario, che avviene in superficie in condizioni di bassa pressione e bassa temperatura e produce rocce sedimentarie; — processo metamorfico, consistente nella trasformazione di rocce preesistenti in seguito alla modificazione di parametri fisici, quali pressione o temperatura. Avviene in profondità e dà origine a rocce metamorfiche. rocce sedimentarie 10% 25% 65% rocce ignee rocce metamorfiche Spesso risulta difficile definire un confine fra i tre tipi, in quanto tutte le rocce terrestri sono in continua trasformazione, attraverso un processo definito ciclo litogenetico. L’attività vulcanica produce rocce magmatiche che emergono dall’interno della Terra, l’erosione le trasforma in sedimenti che, inghiottiti dal suolo, per opera del calore o della pressione si trasformano in rocce metamorfiche e possono nuovamente riaffiorare come rocce eruttive, permettendo al ciclo di ricominciare. 10. Rocce magmatiche o ignee Le rocce ignee o magmatiche che si formano dalla solidificazione di materiale fuso sono definite intrusive quando si formano in profondità, effusive quando sono prodotte dalla fuoriuscita di lava in superficie. Le rocce intrusive si formano per consolidamento di un magma in profondità sottoposto ad alta pressione e lento raffreddamento, condizioni queste che permettono la formazione di cristalli. Sono perciò costituite da un insieme di minerali cristallizzati e visibili ad occhio Excerpt of the full publication Capitolo 2: I processi litogenetici 11 nudo, la cui composizione varia naturalmente in base alla natura chimica del magma da cui derivano. Una tipica roccia ignea è il granito, osservando il quale si nota un insieme di cristalli diversi: il quarzo trasparente, l’ortoclasio opaco e spesso colorato, la mica biotite luccicante e di colore scuro, il plagioclasio bianco. Le rocce effusive si formano invece per consolidamento di un magma giunto in superficie; in questo caso il raffreddamento è veloce ed avviene in condizioni di bassa pressione, non permettendo una buona cristallizzazione dei minerali. Tipiche rocce effusive, più comunemente note come «lava», sono i basalti. In base alla composizione chimica le rocce magmatiche si possono distinguere in due gruppi, rocce acide o sialiche e rocce basiche o femiche, ricordando però che i termini «acido» e «basico» non hanno significato chimico: — le rocce sialiche sono ricche di silicati di alluminio, che formano la parte più superficiale della crosta terrestre e quindi anche i basamenti delle masse continentali. I magmi con alto contenuto di silice vengono definiti «acidi»; — le rocce femiche sono composte prevalentemente da silicati di ferro e di magnesio che conferiscono alla roccia un colore scuro. Il basalto è sicuramente la più diffusa, essendo il costituente dei fondali oceanici. Tali rocce vengono definite «basiche». 11. Rocce sedimentarie Sono composte da strati rocciosi disposti l’uno sopra l’altro, cosicché la loro caratteristica principale consiste nella stratificazione. Da almeno 3.800 milioni di anni sulla superficie terrestre si accumulano sedimenti prodotti per effetto dell’azione erosiva da parte di vari agenti atmosferici che si depositano per strati successivi. Una volta depositati, i sedimenti possono alterarsi, il compattamento elimina l’acqua e ulteriori cambiamenti nel corso del tempo danno luogo al processo di litificazione, trasformando il sedimento molle in strati di roccia dura e friabile come arenarie, calcari e argilliti. Le fasi del processo di sedimentazione sono dunque quattro: 1. degradazione ed erosione. Gli agenti esogeni portano alla frammentazione e solubilizzazione della roccia con formazione di minerali diversi da quelli d’origine. Si forma pertanto un materiale meno compatto e più facilmente aggredibile. Gli agenti erosivi portano via il materiale in frammenti definiti clasti; 2. trasporto. I materiali, una volta formatisi, possono essere trasportati dagli stessi agenti di erosione anche a chilometri di distanza; 3. sedimentazione. Quando agli agenti erosivi viene a mancare l’energia per trasportare i sedimenti, ha inizio la fase di accumulo del materiale e di precipitazione dei sali minerali in soluzione; 4. diagenesi. L’ultima fase del processo sedimentario conduce alla litificazione dei sedimenti, che consiste in una serie di processi fisici e chimici in seguito ai quali i sedimenti si trasformano in roccia dura, compatta e coerente. Le rocce sedimentarie si classificano in tre grandi gruppi a seconda della natura dei clasti: rocce detritiche o clastiche, rocce di origine chimica, rocce organogene. Le rocce clastiche si formano per deposizione meccanica di frammenti derivati dalla disgregazione delle rocce e si distinguono in conglomerati, arenarie e argille. I conglomerati 12 Scienze della Terra si dividono in puddinghe (se costituiti da ciottoli arrotondati e cementati tra loro) e brecce (se formate da ciottoli spigolosi); le arenarie derivano dalla cementazione delle sabbie; le argille sono formate da elementi così piccoli da non essere distinguibili ad occhio nudo. Le rocce di origine chimica si formano in seguito a deposizione di sostanze minerali disciolte nelle acque. Le evaporate come il salgemma, il gesso e alcuni calcari si formano per evaporazione delle acque salate. Alle rocce di origine chimica appartengono anche formazioni calcaree quali il travertino, le stalagmiti e le stalattiti che si formano per deposizione del carbonato di calcio contenuto nelle acque dolci. Le rocce residuali, invece, si formano in zone tropicali e sono costituite da ossidi di Fe e Al, che sono tra i materiali più resistenti all’azione chimica delle acque dilavanti. Quando l’alterazione è molto accentuata vengono dilavati anche gli ossidi e gli idrossidi di Fe e la roccia residuale risulta formata solo da ossidi e idrossidi di Al, come nel caso della bauxite. Le rocce organogene sono quelle che si formano dagli organismi viventi, sia per accumulo dei gusci mineralizzati di animali e piante, sia per la capacità che alcuni organismi posseggono di far precipitare direttamente i minerali contenuti nelle acque. Sono rocce molto diffuse, classificabili in calcaree, silicee e fosfatiche, in base alla natura mineralogica degli organismi che le compongono. Sebbene la parte organica scompaia durante il consolidamento della roccia, talvolta capita, come nel caso della lumachella, che siano presenti nella roccia anche resti fossili. 12. Rocce metamorfiche Sia le rocce magmatiche sia le sedimentarie in seguito a notevoli cambiamenti di pressione o temperatura, oppure in seguito a fenomeni magmatici, o per la copertura di altre rocce possono subire trasformazioni. L’insieme di queste trasformazioni viene definito metamorfismo e le rocce che ne derivano prendono il nome di rocce metamorfiche. Tali rocce sono diverse da quelle originarie, poiché hanno subíto una ricristallizzazione dei minerali che ha portato alla formazione di nuove associazioni mineralogiche stabili. Esistono due tipi principali di metamorfismo: il metamorfismo regionale e il metamorfismo di contatto. Il metamorfismo regionale è un processo che avviene su vasta scala ed ha luogo quando i sedimenti di una data regione sprofondano e vengono coperti da nuovi sedimenti. Più i sedimenti sono profondi, più sono soggetti ad alte temperature e pressioni e più si trasformano. Superiormente si formano le filladi, che ancora somigliano a rocce sedimentarie, più in profondità i micascisti e in seguito gli gneiss che hanno l’aspetto quasi granitico. La caratteristica fondamentale di questo tipo di metamorfismo è che si formano rocce con cristalli tutti orientati e quindi nell’insieme l’aspetto è scistoso, per cui tali rocce si possono tagliare in lastre o frammenti sottili più o meno regolari. Il metamorfismo di contatto, a sua volta, interessa zone limitate e consiste nella trasformazione prodotta dall’aumento della temperatura che le rocce subiscono in prossimità di un magma. Esempi famosi di questo tipo di roccia sono il marmo di Carrara e lo gneiss delle Alpi che, tagliato, viene usato per pavimenti e rivestimenti. 13. I combustibili fossili Grande importanza rivestono all’interno delle rocce sedimentarie le rocce organogene combustibili. Di solito, dopo la morte, la sostanza organica degli organismi si decompone attraverso processi di putrefazione, fermentazione e ossidazione, trasformandosi in anidride car- Capitolo 2: I processi litogenetici 13 bonica ed acqua che si disperdono nell’ambiente. In particolari condizioni la sostanza organica può parzialmente conservarsi, la qual cosa accade quando i resti organici non sono a contatto con l’ossigeno perché, ad esempio, sono coperti da materiale argilloso impermeabile. In questo modo si conservano nel corso delle ere geologiche e possono accumularsi originando i carboni fossili e i giacimenti di idrocarburi. In realtà, poiché per «minerale» e «roccia» s’intendono materiali inorganici, mentre i suddetti accumuli fossili sono di natura organica, essi non andrebbero collocati fra le rocce sedimentarie. Tuttavia, tenuto conto del processo da cui prendono origine, si ritiene opportuno associarli a tali rocce e definirli rocce organogene combustibili. In base al contenuto di carbonio e quindi all’età, si distinguono vari tipi di combustibili solidi, via via più antichi e pregiati: la torba, la lignite, il litantrace e l’antracite. La torba è il più recente e quindi a minor contenuto di carbonio, sicché nella combustione è quello che sviluppa meno calorie; la lignite e il litantrace sono più ricchi di carbonio e sviluppano più calorie; quello più pregiato è l’antracite, che rappresenta lo stadio più avanzato del processo di carbonizzazione dei vegetali. I giacimenti possono essere autoctoni, se si sono formati nel luogo stesso in cui vivono gli organismi, o alloctoni, quando l’accumulo avviene alle foci dei fiumi o in ambienti marini (la loro stratificazione è più irregolare di quella dei giacimenti autoctoni). Il petrolio, che può essere considerato una roccia liquida di colore bruno tendente al nero, è più leggero dell’acqua e quasi insolubile. In massa non è infiammabile, ma a contatto con l’ossigeno i suoi vapori bruciano, producendo calore e luce. Una volta estratto deve essere raffinato, ossia devono essere separati i vari componenti che trovano poi utilizzazioni diverse. Per lungo tempo chimici e geologi si sono interrogati sull’origine del cosiddetto «oro nero», per poi convenire sulla tesi secondo cui esso deriva dall’azione di decomposizione di batteri presenti nella fanghiglia dei fondali. Capitolo 3 – La struttura della Terra 1. La struttura interna della Terra Lo studio delle onde sismiche ha permesso di elaborare un modello di struttura interna della Terra, in base al quale il nostro pianeta, il cui raggio è in media di 6.378 km, viene suddiviso in tre gusci concentrici, separati da superfici di discontinuità. Dall’esterno verso l’interno i tre gusci sono: la crosta, il mantello e il nucleo. Esamineremo ora in dettaglio questi tre strati, tenendo presente che la crosta e la parte superiore del mantello formano la cosiddetta litosfera. La struttura interna della Terra La crosta o Sial, ovvero lo strato più esterno della litosfera, costituito da rocce in prevalenza chiare e leggere nella cui composizione prevalgono i silicati di alluminio, si divide in crosta continentale e crosta oceanica. La crosta continentale è spessa 30-60 km ed è costituita da rocce relativamente leggere, a base di granito e basalto, con una densità di 2,7g/cm3; la crosta oceanica non presenta lo strato di granito e forma il fondo degli oceani, è più sottile, circa 8-10 km, ed è costituita da rocce più dense, in media 3,0 g/cm3. Il mantello o Sima si trova sotto la crosta terrestre, dalla quale è separato per mezzo della discontinuità di Mohorovičić o, più semplicemente, Moho. Costituito da rocce tendenzialmente scure e pesanti formate da silicati di magnesio e di ferro, giunge fino ad una profondità di 2.900 km, occupando più dell’80% del volume della Terra. È suddiviso in mantello esterno e interno, che si distinguono per la loro composizione. Il mantello esterno è formato da tre strati diversi: il primo, che arriva a 100 km di profondità, fa parte della litosfera ed è formato da rocce cristalline; la parte intermedia, detta astenosfera, situata in un’area compresa fra i 100-250 km di profondità, è formata da rocce parzialmente fuse dalle quali provengono le lave basaltiche dei vulcani; lo strato più interno arriva fino a 900 km ed è costituito da materiale rigido. Il mantello interno, invece, ha una struttura molto uniforme Excerpt of the full publication Capitolo 3: La struttura della Terra 15 ed è costituito da materiale plastico in continuo movimento: al suo interno vi sono correnti convettive di materiale che si spostano da una zona all’altra, in maniera molto simile a un liquido che bolle. Questo strato termina con la discontinuità di Gutenberg. Il nucleo o Nife è la zona più interna della Terra, costituita da nichel e ferro con grandi percentuali di potassio e zolfo. Occupa il 15% circa del volume totale della Terra e si divide in due regioni: nucleo esterno e nucleo interno. Il nucleo esterno giunge a circa 5.000 km di profondità ed è prevalentemente liquido. Il nucleo interno arriva fino al centro della Terra e, a causa delle forti pressioni esercitate dagli strati soprastanti, seppure si trovi ad altissime temperature (oltre 6.000°), si presenta allo stato solido. 2. Il calore interno della Terra Dopo l’energia solare il calore interno della Terra è la nostra più grande fonte di energia. Si calcola che esso sia circa 3 ⋅ 1013 joule al sec, corrispondente a una quantità enorme di energia in grado, come vedremo, di far muovere le gigantesche «zolle» in cui è suddivisa la crosta terrestre e di sollevare le montagne. Tuttavia, essa non è che 1/5.000 di quella inviata dal Sole sulla Terra. Sulla superficie terrestre la temperatura risente delle variazioni termiche diurne e stagionali. Ad una profondità di 15-30 m tali variazioni non si avvertono più e la temperatura corrisponde a quella media annua della località in superficie. A partire da questo livello la temperatura aumenta di 1 °C ogni 33 m e l’aumento di temperatura in funzione della profondità prende il nome di gradiente geotermico. Se la temperatura in profondità continuasse a variare secondo il gradiente geotermico si giungerebbe a temperature di 200.000 °C e la Terra dovrebbe essere praticamente allo stato fuso, ma ciò è in contrasto con lo studio delle onde sismiche che si propagano nei solidi. Dal momento che le onde attraversano il mantello è certo che questo, nella sua parte più interna, si trova allo stato solido e ciò è stato spiegato dagli studiosi considerando che l’aumento di temperatura che dovrebbe condurre alla fusione è, invece, contrastato dall’enorme aumento della pressione che determina un innalzamento del punto di fusione. Una buona parte del calore terrestre deriva dall’energia immagazzinata all’atto della formazione del pianeta, risalente a 4,5 miliardi di anni fa, ma questa teoria, da sola, non spiega la grande quantità di calore ancora oggi residua: infatti, essendo le rocce cattive conduttrici, si è calcolato che il calore imprigionato a 400 km di profondità impiegherebbe circa 5 miliardi di anni per giungere in superficie. Oggi si ritiene che il flusso termico sia dovuto principalmente al decadimento di elementi radioattivi quali l’uranio (238U) e ( 232U), il torio (232Th) e il potassio (40K), abbondanti nella crosta terrestre. I nuclei di questi isotopi sono altamente instabili, per cui tendono a raggiungere la stabilità perdendo particelle di energia e trasformandosi in altri isotopi. La presenza di elementi radioattivi, il cui tempo di dimezzamento è di circa 109 anni, giustifica quindi la fusione della Terra primordiale ed il calore residuo attuale. Fra le rocce, le più ricche di elementi radioattivi sono quelle granitiche che formano le zolle continentali, ma la quantità di calore quasi simile tra la crosta oceanica e quella continentale fa ritenere che nella crosta oceanica ci sia una maggiore quantità di elementi radioattivi. Excerpt of the full publication Scienze della Terra 16 3. Le correnti convettive La Terra perde continuamente parte del calore che tende naturalmente a spostarsi da zone ad alta temperatura verso zone a bassa temperatura. Tale movimento prende il nome di flusso termico o flusso di calore che si misura in HFU (Heat Flow Unit = unità di flusso di calore), unità di misura equivalente a 1 microcaloria · cm–2 ⋅ sec–1. La fisica insegna che il calore può propagarsi per conduzione, irraggiamento e convezione. La propagazione per conduzione, però, a causa della scarsa conducibilità dei materiali rocciosi che compongono l’interno della Terra, è assai limitata, al pari della trasmissione per irraggiamento, a sua volta altamente improbabile su lunghe distanze nei materiali solidi. Pertanto l’unica forma possibile resta la convezione, che oltretutto è la modalità di trasferimento del calore propria dei fluidi. La spiegazione fornita dai geofisici riguardo al fenomeno della fusione del mantello, che è solido, è la seguente: prendiamo, ad esempio, un barattolo di conserva di pomodoro e capovolgiamolo per pochi istanti, vedremo che la conserva non si deforma e non fluisce; se però diamo un colpo secco sul fondo del vasetto la conserva si stacca. La stessa cosa accade ai materiali del mantello i quali, quando vengono sollecitati da una forza improvvisa e di breve durata come il passaggio di un’onda sismica, si comportano come corpi rigidi, ma fluiscono come liquidi, sia pure molto viscosi, quando una forza, anche piccola, come quella generata da una differenza di energia termica viene applicata con continuità per milioni di anni. La scoperta dell’espansione dei fondali oceanici e della tettonica a placche offre una prova diretta dei movimenti convettivi del mantello. Si ritiene che i moti convettivi siano responsabili di circa il 60% del flusso termico terrestre e che la convezione rappresenti uno dei meccanismi più importanti con cui la Terra si è raffreddata. 4. La gravità terrestre Tutti i corpi che si trovano sulla superficie terrestre o in prossimità di essa sono attratti verso il centro della Terra da una forza, detta forza di gravità, che gioca un ruolo importante e fondamentale nella dinamica del pianeta. Il ramo della Fisica che se ne occupa specificamente prende il nome di Gravimetria. La forza di gravità è diretta verso il centro della Terra e coincide quindi con il raggio terrestre, è verticale e si può mettere in evidenza con un filo a piombo. Sulla superficie terrestre varia in base ad alcuni fattori, tra i quali: — l’altitudine, come dimostra il fatto che la forza di gravità è minore in cima ad una montagna che non in pianura, in quanto l’intensità del campo gravitazionale diminuisce man mano che ci si allontana dal centro della Terra; — la latitudine, in quanto la Terra non è perfettamente sferica, ma schiacciata ai poli e quindi il raggio polare è di poco inferiore al raggio equatoriale, la qual cosa determina che la forza di gravità sia maggiore ai poli che non all’equatore; — la topografia del luogo, poiché il valore della forza di gravità viene modificato dalla presenza di masse rocciose, anche non affioranti, come ad esempio le radici dei rilievi montuosi. I gravimetri, strumenti precisi e sensibili, permettono di valutare con grande esattezza il valore della forza di gravità nei diversi punti del pianeta. Ciò ha consentito di stabilire che Excerpt of the full publication Capitolo 3: La struttura della Terra 17 esistono delle anomalie di gravità derivanti dalla presenza nel sottosuolo di masse rocciose particolarmente leggere (salgemma e idrocarburi) o pesanti (giacimenti metalliferi), di fratture, faglie e probabili focolai sismici. Proprio lo studio delle anomalie gravimetriche ha permesso di determinare con precisione la forma della Terra. Studiando zone dello stesso parallelo si è visto che esse presentavano diverse misure gravimetriche, più alte nelle zone oceaniche e più basse nelle zone continentali. Dopo vari studi si è giunti alla definizione del principio dell’isostasia, secondo il quale la crosta oceanica e la crosta continentale tendono a stabilire una condizione di equilibrio gravitazionale con le rocce del mantello che si comportano in modo plastico, sicché le rocce del mantello, se sottoposte per periodi molto lunghi a sollecitazioni costanti, si deformano secondo il principio di Archimede: più una massa rocciosa è alta, più riceve una spinta dal basso per «galleggiare» sul mantello sottostante, sicché le masse crostali più alte emergono maggiormente, ma sono anche più profonde. La superficie di separazione crosta-mantello assume così un andamento contrario a quello della superficie topografica: è vicina alla superficie sotto gli oceani, se ne allontana massimamente sotto le montagne. Il mantello, quindi, in seguito a variazioni della massa dei blocchi crostali dovute ad erosione, deposizione, formazione o fusione di ghiacciai, provoca un aggiustamento per isostasia, con spostamento verticale delle masse rocciose fino al nuovo raggiungimento dell’equilibrio. Un esempio è rappresentato dalla penisola scandinava, la quale si sta sollevando di 2 cm al secolo nella parte centrale, in seguito allo scioglimento dei ghiacciai avvenuto circa 20.000 anni fa. Tale fenomeno provocò una improvvisa diminuzione di peso, mettendo la penisola in una condizione di disequilibrio isostatico, che essa sta compensando con il sollevamento. Si calcola che per raggiungere l’equilibrio dovrà sollevarsi ancora di 200 m nella parte centrale. 5. Il magnetismo terrestre Nel 1600 il medico inglese W. Gilbert, nel suo libro De Magnete, affermò che la Terra può essere considerata come un enorme magnete, nei confronti del quale l’ago della bussola si comporta come un piccolissimo pezzetto di limatura di ferro che si dispone secondo le linee di forza di una calamita. In realtà oggi sappiamo che la Terra si comporta come se una barra magnetica fosse permanentemente localizzata nel suo nucleo e inclinata di 11°30' rispetto all’asse terrestre, quindi distante circa 2.000 km da quello geografico. Attualmente le linee di forza partono dall’isola Principe di Galles, nel Canada nordorientale, e giungono, dopo aver compiuto degli archi di circonferenza, nella Terra Vittoria in Antartide. L’orientamento delle linee di forza del campo magnetico si misura con la bussola, il cui ago magnetico si dispone tangente alle linee di forza del campo determinando l’angolo di declinazione magnetica, ossia l’angolo che il meridiano magnetico forma con il meridiano geografico. La declinazione aumenta alle alte latitudini e il suo valore sarebbe 0° se i poli geografici e magnetici coincidessero. La conoscenza della declinazione magnetica è indispensabile per correggere le direzioni di rotta lette con l’ago della bussola. Un altro dato importante è l’inclinazione magnetica, misurata con apposite bussole il cui ago è in grado di ruotare solo verticalmente, così da indicare, in ogni punto della Terra, l’angolo che le linee di forza creano con il suolo (corrispondente, dunque, all’inclinazione magnetica). L’inclinazione è uguale a 0° nei pressi dell’equatore magnetico, dove l’ago si dispone parallelamente al suolo, a 90° presso i poli magnetici, dove l’ago si dispone vertiExcerpt of the full publication 18 Scienze della Terra calmente, e ha valori intermedi alle altre latitudini. L’intensità di un campo magnetico si misura con il magnetometro, uno strumento che misura la forza esercitata dal campo magnetico terrestre su un piccolo magnete con caratteristiche standard. L’unità di misura dell’intensità magnetica nel S.I. è il Tesla (T). Con i dati ricavati dalle bussole e dai magnetometri si delinea la carta delle isolinee dell’intensità magnetica terrestre totale. Eventuali perturbazioni locali dell’andamento generale di queste isolinee indicano che nel sottosuolo vi sono elevate concentrazioni di materiale ferromagnetico, cosicché il loro monitoraggio è utile anche nella ricerca di eventuali giacimenti di minerali metallici ferromagnetici. Non bisogna dimenticare, inoltre, che il c.m.t. (campo magnetico terrestre) si estende anche al di sopra della superficie terrestre, in una zona che costituisce una sorta di scudo protettivo contro le radiazioni cosmiche chiamata magnetosfera. Il c.m.t. è soggetto a variazioni periodiche di direzione e intensità che si susseguono ad intervalli non regolari per periodi brevi, lunghi o lunghissimi. Le ultime teorie riguardanti la formazione del c.m.t. ipotizzano che esso sia il frutto del continuo movimento del ferro liquido che, situato nel nucleo esterno, agisce come il conduttore rotante della dinamo di una bicicletta. Spinto dal calore dovuto alla radioattività, il ferro liquido si rimescola continuamente e, a causa della sua carica elettrica, genera un campo elettromagnetico in costante cambiamento. I rilevamenti effettuati in strati successivi di rocce vulcaniche dimostrano che il campo magnetico varia, assumendo periodicamente polarità opposte. La presenza di strati di rocce vulcaniche con polarità alternata ai lati delle dorsali oceaniche conferma la teoria della formazione del fondo oceanico in corrispondenza di queste dorsali. Secondo lo stesso principio, il magnetismo delle rocce continentali aiuta a risalire all’antica posizione delle terre emerse. 6. Dinamica endogena ed esogena La superficie terrestre cambia continuamente, anche se lentamente, il proprio aspetto. La sua trasformazione è dovuta sia agli agenti esogeni sia a quelli endogeni. La Geodinamica, suddivisa in dinamica endogena e dinamica esogena, studia le cause e gli agenti di queste lente modificazioni. Nei prossimi cinque capitoli verranno esaminati i terremoti, i vulcani, i movimenti e le deformazioni delle rocce, la dinamica della litosfera e, infine, la geologia storica: tutti fenomeni che appunto costituiscono altrettanti argomenti di studio della dinamica endogena. Successivamente verranno presi in esame gli agenti morfogenetici esogeni, comprendenti le azioni e gli effetti degli agenti fisici, chimici e biologici che determinano la disgregazione, il trasporto e il deposito (quindi la trasformazione) dei sedimenti di una superficie rocciosa (dinamica esogena). Tra gli agenti esogeni vanno citate le forze dell’atmosfera, dell’idrosfera e della biosfera. Excerpt of the full publication Capitolo 4 – I terremoti 1. Cos’è un terremoto Il primo grande contributo alla comprensione del meccanismo che genera un terremoto lo si deve agli studi del sismologo americano H.F. Reid, che esaminò dettagliatamente le deformazioni del suolo in prossimità della faglia di San Andreas in California, in seguito al disastroso sisma che colpì San Francisco nel 1906. Oggi possiamo affermare che un terremoto o sisma (dal greco seismós, «scuotimento», «scossa») è la manifestazione di una serie di vibrazioni più o meno forti del suolo, accompagnate da emissioni di onde sonore a bassissima frequenza. Ciò accade perché i materiali di cui è costituito il pianeta sono continuamente soggetti a forze che li comprimono, li stirano, li mettono in movimento, per cui, deformandosi, accumulano energia potenziale. Secondo la teoria del rimbalzo elastico tale energia, una volta che la roccia è giunta al punto di rottura, si libera immediatamente e violentemente sotto forma di intense e rapide vibrazioni, con formazione di un piano di faglia e con un meccanismo molto simile a quello che fa scattare una molla. Il punto profondo in cui si verifica la liberazione di energia e dal quale partono le vibrazioni, simili ad onde sferiche, è detto ipocentro, mentre la sua proiezione sulla superficie terrestre si chiama epicentro. Nell’epicentro il sisma si avverte soprattutto con movimenti verticali (scosse sussultorie), nelle aree circostanti con movimento essenzialmente orizzontale (scosse ondulatorie). Un terremoto può durare da una frazione di secondo fino a 4-5 minuti, liberando rapidamente una quantità di energia che diventa sempre più bassa man mano che ci si allontana dall’ipocentro, la qual cosa non impedisce che un sisma possa essere registrato contemporaneamente da sismografi sparsi in tutto il mondo. Generalmente i terremoti di piccola entità avvengono con molta frequenza, quasi un milione l’anno, ma la maggior parte di essi è troppo debole per essere avvertita se non dagli appositi strumenti. Un sisma è sempre costituito da più scosse, anche quando ne avvertiamo una sola. È oggi accertato che esistono varie tipologie di terremoti, a seconda che si tratti di: • scossa principale seguita da repliche: l’energia di queste ultime è più bassa di quella della scossa principale e le scosse si diradano con il tempo; • scosse premonitrici – scossa principale – repliche: le scosse premonitrici, tutte di lieve entità, aumentano di frequenza man mano che si avvicina la scossa principale, mentre le repliche hanno un comportamento analogo a quelle del tipo precedente; • sciami di terremoti: non si evidenzia una scossa principale poiché hanno tutte la stessa energia. Le scosse divengono sempre più frequenti fino a raggiungere un massimo, poi progressivamente si diradano. Questa tipologia produce terremoti meno disastrosi. 2. Le onde sismiche Dall’ipocentro di un terremoto si propagano due tipi di onde: longitudinali e trasversali. Le onde longitudinali sono onde di compressione in quanto le particelle di materia investite oscillano avanti e indietro, ma sempre nella stessa direzione di propagazione dell’onda; tali Excerpt of the full publication ,QGLFH /DPLVXUDGHOWHPSR 3DJ ,IXVLRUDUL ª /DOLQHDGHOFDPELDPHQWRGLGDWD ª ,FDOHQGDUL ª /DFDUWRJUDÀD ª /DUDSSUHVHQWD]LRQHJHRJUDÀFDLQVFDOD ª &ODVVLÀFD]LRQHGHOOHFDUWHJHRJUDÀFKH ª &RPHVLFRVWUXLVFHXQDFDUWDJHRJUDÀFD ª ,OVLPEROLVPRFDUWRJUDÀFR ª Excerpt of the full publication ,/,%5,',*,7$/, (VDPL&RQFRUVL)RUPD]LRQHSURIHVVLRQDOH 8QDSUDWLFDHGDJHYROHVLQWHVLSHUIDFLOLWDUHORVWXGLRGLWXWWLLSULQFLSDOL DUJRPHQWLGL6FLHQ]HGHOOD7HUUDVHFRQGROHLQGLFD]LRQLIRUQLWHGDLSURJUDPPL PLQLVWHULDOLGHOOHVFXROHPHGLHVXSHULRUL /DWUDWWD]LRQHqLQWHJUDWDGDILJXUHWDEHOOHJUDILFLHVFKHPLSDUWLFRODUPHQWH XWLOLSHULQTXDGUDUHPHJOLRLFRQFHWWLIRQGDPHQWDOLGHOODPDWHULDHIDFLOLWDUQH O·DVVLPLOD]LRQHLQYLVWDGHOO·DSSURFFLRDGHVDPLLQWHUURJD]LRQLFRQFRUVL SXEEOLFLVHOH]LRQLD]LHQGDOLSURYHGLDPPLVVLRQHDOO·8QLYHUVLWj Excerpt of the full publication