la seconda fase dell`alto medioevo

“LA SECONDA FASE DELL’ALTO MEDIOEVO”
PROF. FRANCESCO MASTROBERTI
Università Telematica Pegaso
La seconda fase dell’Alto Medioevo
Indice
1
MAOMETTO E CARLO MAGNO ---------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
L’IMPERO CAROLINGIO -------------------------------------------------------------------------------------------------- 6
3
L’EUROPA DOPO VERDUN ----------------------------------------------------------------------------------------------- 8
4
FEUDALITÀ O FEUDALESIMO ------------------------------------------------------------------------------------------ 9
5
LA RINASCITA DELL’IMPERO E LA LOTTA PER LE INVESTITURE ------------------------------------- 12
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Maometto e Carlo Magno
La situazione politica in Europa alla metà del VII secolo poteva considerarsi
abbastanza stabile: in Europa i regni Franchi, Visigoti e Longobardi andavano consolidandosi
rispettivamente in Francia, Spagna ed in Italia; in Oriente due imperi si fronteggiavano e, senza
troppi attriti, si dividevano il controllo dei mari. Tuttavia nel 632 avvenne un fatto
apparentemente insignificante che nessuno, sia in occidente che in oriente, avrebbe pensato
così importante e denso si conseguenze: quell’anno moriva il profeta Maometto. Appena due
anni dopo, ossia nel 634 l’Islam scatenava un attacco senza precedenti che coinvolse
contemporaneamente Europa ed Asia: «la rapidità dei suoi successi – afferma Henri Perenne – può
essere paragonata soltanto a quella con cui si costituirono gli imperi mongoli di un Attila, o più
tardi, di un Genghiz Khan o di un Temerlano». Ma se quelle conquiste furono effimere, quella
dell’Islam fu prodigiosamente duratura. In poco tempo Bisanzio deve cedere gran parte dei suoi
possedimenti, compresa Gerusalemme che cade nel 638; così anche l’Impero persiano: gli eserciti
degli imperi sembrano disorientati di fronte alla foga e alla tenacia del nuovo nemico. Nasce e si
forma così, in breve tempo, la forza antagonista all’Europa e all’occidente: il mondo islamico.
Mentre i popoli germanici che invasero l’Impero romano d’occidente, chi prima chi dopo, si
avvicinarono alla cultura dei vinti venendone sopraffatti – il caso di Carlo Magno è emblematico –
gli islamici si presentano ai conquistatori con un identità fortissima e con la volontà ferrea di
sottomettere il vincitore alle loro leggi e, soprattutto, alla loro religione. Il fatto è che i germani, a
parte le virtù guerresche, avevano poco da trasmettere: usi tribali, una religione primordiale e quasi
nient’altro; l’Islam, invece, si faceva portatore di una cultura per nulla primitiva – anzi
notevolmente evoluta – unita alla incrollabile convinzione della loro superiorità rispetto ai popoli
sottomessi. L’Islam non si poteva blandire, affascinare, stupire con le vestigia della romanità, ma
solo combattere e vincere: altrimenti quel che restava del mondo occidentale e della sua cultura
sarebbe scomparso. Viene così a crearsi una situazione del tutto nuova, di scontro frontale tra due
civiltà inconciliabili – che sarebbe durato fino ai nostri giorni – e che rende il Mediterraneo, l’antico
mare nostrum dei romani, una frontiera pericolosa ed instabile. Sentiamo quello che afferma in
proposito il Perenne: «Con l’Islam un nuovo mondo irrompe su quelle coste del Mediterraneo dove
Roma aveva diffuso il sincretismo della sua civiltà. Si produce una lacerazione che durerà fino ai
giorni nostri. Sulle sponde del Mare nostrum si fronteggiano ormai due civiltà diverse ed ostili. E
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se ai giorni nostri la civiltà europea ha messo in subordine l’asiatica, nondimeno non l’ha
assimilata. Il mare che era stato fino ad allora il centro della cristianità ne diventa la frontiera.
L’unità mediterranea è infranta».
A farne le spese è soprattutto l’Italia e, in particolare il Mezzogiorno che per la sua
posizione geografica al centro del Mediterraneo, diventa improvvisamente l’avamposto della
frontiera, con tutte le immaginabile conseguenze negative che questo stato ha prodotto sul suo
sviluppo. Infatti per secoli il Mezzogiorno d’Italia è stato esposto – quasi sempre senza adeguata
difesa - alle continue incursioni degli arabi: non solo i pirati dell’Islam ostacolavano il commercio
marittimo, risorsa naturale per il Mezzogiorno ma addirittura assediavano di continuo città – come
capitò più volte a Bari e ad Otranto, chiedendo esosi riscatti. Per considerare quale fu lo stato di
questa «frontiera», basta vedere che quasi tutte le città costiere del meridione sono collocate in
collina, proprio per opporre una efficace difesa alle incursioni dei musulmani. Di recente il prof.
Raffaele Ajello ha posto l’accento su questa situazione e riprendendo gli studi di Giustino Fortunato
– importante meridionalista lucano – ha individuato proprio nella condizione geo-politica del
Mezzogiorno, una delle cause – quella «alto-medievale» - della sua marginalità rispetto al resto
dell’Italia e dell’Europa, ovvero della sua cronica arretratezza. Come potevano svilupparsi città,
commerci, traffici, in quelle difficili condizioni? Di fronte a ciò le risposte dei governi furono
sempre deboli ed inefficaci: invece di attrezzare una flotta in grado di aggredire gli islamici
andando a colpirli nelle loro basi, si preferì appigliarsi a deboli strumenti difensivi: il sistema di
avvistamento delle Torri, in funzione fino al Settecento, è significativo in proposito. Dopo la grande
battaglia di Lepanto, che nel 1571 inflisse una dura sconfitta agli arabi, la nobiltà napoletana tentò
di indicare al governo spagnolo le vie per una riscossa, ma restò inascoltata.
Per un secolo e mezzo l’espansione islamica fu inarrestabile. Egitto, Marocco, tutta
l’Africa Settentrionale, la Spagna passano nelle loro mani. Quindi danno il via alla conquista della
Francia e della Sicilia, roccaforti della cristianità e dell’Occidente. Sulla loro strada trovano solo la
resistenza dei re Franchi – Carlo Martello che li sconfigge a Poitiers nel 732 – Pipino il Breve e suo
figlio Carlo. E’ chiaro perché allora la Chiesa romana, di fronte all’incombente pericolo islamico,
abbia deciso di rompere gli indugi e di unirsi a filo doppio con l’unico sovrano che si era dimostrato
in grado di opporre una resistenza, Carlo Magno. Era un re barbaro, come gli altri rozzo ed
ignorante, ma era un grande guerriero e, quel che più contava, la sua dinastia aveva salvato
l’occidente e la cristianità. Inoltre c’era assoluto bisogno di compattare l’occidente sotto una
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bandiera, un’idea, uno scettro forte ed indiscutibile: in una parola occorreva resuscitare l’Impero
romano affidandone la guida ad un barbaro, ovviamente sotto l’egida della Chiesa. Perciò la
minaccia islamica ebbe l’effetto di accelerare il processo di integrazione tra il mondo germanico e
quello romano, portando alla costituzione del Sacro Romano Impero. Del resto le conquiste di Carlo
erano state tali che il suo dominio si estendeva su quasi tutta l’Europa: aveva anche cacciato i
Longobardi dall’Italia.
La notte di natale dell’anno 800 papa Leone consacra Carlo come imperatore del Sacro
Romano Impero. Carlo Magno riceve il suo titolo secondo l’uso in voga a Bisanzio cioè per
acclamatio. Il papa gli mette poi sul capo la corona e lo adora. Nelle forme l’incoronazione di Carlo
era nella perfetta legalità, ma in realtà si trattava di un «colpo di stato»: mentre l’impero romano era
essenzialmente laico, ora un imperatore veniva scelto e consacrato dalla Chiesa: «il patrizio che
proteggeva Roma – afferma il Perenne – diventa l’Imperatore che protegge la Chiesa. E’
significativo rilevare che il centro effettivo del nuovo impero non è più Roma, ma nel nord
dell’Europa: il baricentro dell’Impero si è spostato lontano dal mediterraneo, in Austrasia. Se tutto
ciò poté realizzarsi fu solo per la pressione islamica: senza Maometto Carlo Magno imperatore
sarebbe stato inconcepibile.
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2 L’impero Carolingio
L’impero carolingio è profondamente diverso dal regno dei Merovingi di Francia: mentre
quest’ultimo era laico, il primo era sacro. Carlo era stato consacrato dal papa ed era il protettore
della Chiesa. Mentre i re merovingi conferivano vescovati ai loro dignitari per ricompensa, Carlo
concede feudi ai vescovi. La stessa cancelleria imperiale diventa esclusivo appannaggio degli
ecclesiastici. E’ chiaro che fin quando Carlo è vivo con la sua autorità tiene a bada la chiesa; ma alla
sua morte i deboli suoi successori non sapranno fare altrettanto e l’equivoco sul quale era nato
l’Impero – ossia che tra il papa e l’Imperatore avesse la supremazia – produsse una serie continua di
attriti che porteranno alla crisi della lotta delle investiture.
L’Impero carolingio fu caratterizzato da una forte impronta germanica: in esso venne
ancora conservato il vecchio concetto barbarico di stato come esercito, come insieme di uomini
liberi (arimanni) capaci di portare armi e legati al proprio capo da un vincolo di fedeltà personale.
Per i franchi il potere era essenzialmente un fatto patrimoniale, derivava dalla ricchezza fondiaria:
ciò determinava una indistinzione tra il pubblico ed il privato. Sopravvisse anche l’antica assemblea
degli uomini liberi che veniva convocata ogni anno, in genere in primavera, sotto la presidenza
dell’Imperatore: vi dovevano partecipare tutti gli uomini liberi, ma in pratica vi presenziavano solo
gli alti dignitari dell’Impero. Ma il modello istituzionale su cui si reggeva l’Impero era quello
feudale, anche se la sua disciplina e la sua configurazione giuridica si formò più tardi, nel X-XI
secolo. Va in proposito precisato che nelle fonti il termine feudo compare solo in età postcarolingia: fu allora che vassallaggio e beneficio si legarono strutturalmente insieme e la loro
convergenza di fatto si trasformò in vincolo di diritto. Infatti nel corso dell’XI secolo il beneficio
venne trasformato in un diritto reale, nel senso che la concessione di esso comportava
automaticamente l’obbligo del servizio. Una spinta in tal senso avvenne nel 1037, quando
l’imperatore Corrado II emanò il famoso Edictum de Baneficiis. Questo disponeva che nessun
comandante di milizia (Miles), che fosse stato investito di un Beneficium su terre della Chiesa o
della Corona, potesse mai perderlo se non per propria colpa, accertata da un giudizio di pari o
dall’Imperatore; che alla morte del valvassore gli succedessero i figli (o i figli dei figli); che nessun
signore potesse cambiare senza il consenso del valvassore, un beneficium assegnato con altro
beneficium. Ma già prima il capitolare di Quiersy di Carlo il Calvo (877) aveva disposto
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l’ereditarietà dei feudi maggiori: in sostanza il feudo, grazie a questi provvedimenti diventava da
organo di diritto privato a organo di diritto pubblico.
L’impero era amministrato da Conti e Marchesi. Essi erano dei capi militari che
amministravano per conto dell’Imperatore, ma non erano suoi vassalli e potevano essere revocati ad
nutum. Il conte amministrava la giustizia con l’aiuto di alcuni collaboratori detti scabini o vicari:
essa consisteva essenzialmente nella conservazione delle consuetudini del gruppo, così come erano
state fissate in raccolte scritte. Conti e Marchesi erano controllati dai Vescovi e anche dai missi
dominaci, funzionari alle dirette dipendenze dell’Imperatore.
La consuetudine era dunque il diritto prevalente in quest’epoca. Esse venivano raccolte nei
capitolari (ordinanza regia divisa in capitoli), le fonti scritte del diritto in epoca carolingia: se ne
contano diversi dal Capitolare italicum al Capitolare missorum generale al Capitolare
ecclesiasticum. Quest’ultimo in particolare attesta l’attenzione per le questioni ecclesiastiche degli
imperatori carolingi. La prevalenza della consuetudine determinò una particolare importanza dei
notai.
Le vicende storiche dell’Impero carolingio sono note a tutti: morto Carlo Magno, il figlio
Ludovico il Pio riuscì a mantenere in piedi il sistema di governo che aveva ereditato, ma alla sua
morte i suoi tre figli iniziarono una dura guerra per la successione. Tale guerra finì con il trattato di
Verdun dell’843 dove l’Europa trovò un assetto abbastanza stabile, destinato ad avere conseguenze
secolari. La corona Imperiale venne data a Lotario che unì sotto il suo scettro i popoli germanici ed
italici della cd. Lotaringia.
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3 L’Europa dopo Verdun
Nel Trattato di Verdun dell'843 i tre figli sopravvissuti di Luigi (Ludovico) il Pio divisero
il l'Impero Carolingio, in tre regni. La guerra era iniziata allorché Lotario I, Il figlio maggiore
aveva dichiarato guerra ai fratelli fin dalla morte del padre nell'840. Dopo la sua sconfitta nella
battaglia di Fontenay (841) e l'alleanza tra i suoi fratelli, sigillata nel Giuramento di Strasburgo,
Lotario negoziò fino al trattato dell’843. I fratelli mantennero i loro regni - Lotario in Italia,
Ludovico II il Germanico in Baviera, e Carlo il Calvo in Aquitania. Il primogenito ricevette la parte
centrale dell'impero - quella che in seguito divenne Paesi Bassi, Lorena, Alsazia, Borgogna,
Provenza, e Italia - e il titolo imperiale come onore, senza avere più che un comando nominale.
Ludovico ricevette la parte orientale, gran parte di quella che divenne più tardi la Germania, sotto
forma di Sacro Romano Impero. Carlo ricevette la porzione occidentale, gran parte della quale
sarebbe divenuta la Francia. Le conseguenze di questa svolta furono notevoli e consistono: 1)
nell’indebolimento dell’autorità imperiale che si svuota di un reale contenuto politico per assumere
una dimensione onorifica; 2) nella frammentazione della lotaringia e dell’Italia che, anche per il
“peso” della corona imperiale, non formano una forte monarchia; 3) nell’aumento del peso politico
del Papa nell’ambito del Sacro Romano Impero, corrispondente alla vanificazione del potere
imperiale.
Con il Trattato di Verdun nasce l’Europa delle nazioni: la Francia, l’Italia, i Paesi Bassi, la
Germania avviando un processo che durerà circa mille anni e sarà completato con l’unificazione
politica di Italia e Germania. La debolezza della corona imperiale determinerà in Italia la forza
preponderante della Chiesa e la nascita, a partire dal XI secolo, delle autonomie cittadine e in
Germania la forza politica dei signori feudali. In tale situazione va ricercata la causa del ritardo del
processo di unificazione dei due paesi.
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4 Feudalità o Feudalesimo
E’ importante considerare la feudalità un’istituzione millennaira che ha caratterizzato
profondamente diritto, istituzioni e società fino alla rivoluzione francese e all’epoca napoleonica
(sua abolizione nel regno di Napoli con la fondamentale legge del 2 agosto 1806). Si parla di
feudalità ma anche di Feudalesimo: senza sottilizzare i due termini si possono considerare sinonimi.
La feudalità occidentale (esistono forme anche orientali: in Giappone ad esempio i guerrieri
Samurai erano inseriti in un sistema di tipo feudale) nasce dall’intreccio tra culture diverse
(germanica e romana), da esigenze politiche (controllo del territorio conquistato), militari
(l’importanza fino ad un certo periodo della cavalleria pesante, la forza feudale per eccellenza),
sociali (bisogno di protezione in un’epoca di grande insicurezza) ed economiche (prevalenza
dell’economia rurale su quella dei traffici e dunque prevalenza della campagna sulla città). Viene da
se che il contesto storico che ha determinato il sorgere e il consolidarsi delle feudalità fu quello
dell’alto medioevo mentre l’ultima fase del medio evo manifesta già un’insofferenza verso questo
istituto per il mutare delle condizioni sociali, politiche ed economiche. In ogni caso può ben dirsi
che le feudalità rappresenta un istituto fondamentale del medioevo, forse quello che meglio lo
rappresenta sul piano storico.
Già nell’epoca tardo romana troviamo delle situazioni che si avvicinano ai futuri rapporti
feudali. I piccoli proprietari, vessati dalle tasse disposte dall’Imperatore preferivano vendere la
titolarità della terra ad un patrono e riprenderne il possesso a titolo di affitto: il meccanismo di
alienazione della titolarità consentiva loro di continuare a beneficiare del fondo e di evitare il
pagamento delle tasse. Ne venne la costituzione di grandi possedimenti terrieri in capo a meri
titolari di diritto, i patroni. Questo sistema era incentrato tuttavia sullo status del bene mentre il
rapporto personale era regolato da strumenti giuridici civilistici come, ad esempio, la locatioconductio. In ogni caso il rapporto aveva una complessiva ed esclusiva dimensione privatistica
poiché risultavano alieni aspetti pubblicistici. Proprio in questo scorgiamo una delle più importanti
caratteristiche della feudalità medievale, ossia nella sua dimensione pubblicistica: il feudatario non
era per nulla un privato ma un soggetto pubblico cui il principe aveva concesso l’amministrazione
di un territorio, con beni e uomini ad esso annessi. Egli aveva ricevuto il beneficium per i servizi
prestati, essendo uno dei grandi dignitari del re conquistatore (e suo pari) e con esso aveva ricevuto
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anche alcuni privilegi come quelli di esercitare la giurisdizione sul feudo e di imporre e riscuotere le
tasse. Ma l’aspetto maggiormente qualificante il rapporto feudale era il rapporto personale che si
istaurava tra i soggetti coinvolti: essi contraevano un obbligo di fedeltà reciproca, consistente
principalmente nell’obbligo per il beneficiario di prestare aiuto in termini militari al concedente e
per quest’ultimo nell’assicurare al beneficiario la sua protezione. Si tratta evidentemente di una
concezione dei rapporti personali di “natura” germanica, derivata dalle condizioni di nomadismo
cui furono per lungo tempo costrette quelle popolazioni, condizioni che avevano favorito anzi
necessitato l’istaurarsi di rapporti molto forti tra uomini e uomini. L’inadempimento dell’obbligo di
fedeltà da parte dell’uno o dell’altro dei soggetti comportava il venir meno di tutti gli altri obblighi
(il concedente poteva attribuire ad un altro soggetto il feudo, mentre il beneficiario poteva legarsi ad
un altro signore). Schematizzando possiamo evidenziare tre elementi della feudalità: 1) elemento
reale, il beneficium; 2) l’elemento personale, il rapporto di fedeltà e 3) il privilegio.
Il feudo era concesso dall'imperatore ad un vassallo per ricompensarlo della fedeltà contro i
nemici o di un servizio prestato, o per obbligarlo per il futuro a tali comportamenti. A sua volta il
vassallo poteva concedere parte del feudo ai suoi sottoposti (valvassori), che a loro volta potevano
concederne parte ad altri sottoposti (valvassini). Il feudatario aveva diritti non solo sulla terra, ma
anche sulle persone: imponeva diritti e tributi, tasse di concessione, esigeva quote di raccolto,
amministrava la giustizia secondo norme di diritto consuetudinario, raccoglieva armati per le guerre
sue o del proprio signore, delegava a suoi sottoposti, sempre più spesso in forma ereditaria, questo o
quello dei suoi poteri. Non si trattava però di poteri assoluti, infatti, anche i villani godevano di
alcuni diritti inalienabili, come servirsi di terre, pascoli, boschi e acque comuni, che garantivano la
sussistenza minima delle famiglie (usi civici). I contadini però appartenevano ereditariamente al
feudo (servitù della gleba), al quale dovevano non solo conferire quote esose di raccolto e prestare
servizio militare, ma anche un numero, fissato per consuetudine, di giornate di lavoro per opere di
edificazione, manutenzione, ecc. Si costituirono, così, gli Ordini sociali feudali.
Dal X-XI secolo, i giovani villani potevano emanciparsi dalla servitù partecipando alle
spedizioni guerriere del signore (crociate, compagnie di ventura) o fuggendo in città, dove, trovando
lavoro come garzoni in una bottega artigiana, entravano nel meccanismo giuridico della società
corporativa comunale. Inizialmente, i feudi erano concessioni personali e il signore conservava la
proprietà del bene, il diritto di toglierlo ed, al momento della morte del beneficiario, di concederlo
ad altri. Carlo il Calvo col capitolare di Quierzy (877), riconobbe l'ereditarietà dei feudi (ormai
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affermatasi di fatto), sperando di vincolare a sé e ai propri successori i vassalli, ma l'ereditarietà si
trasformò in autonomia e contribuì all'instabilità del sistema feudale.
Il contratto feudale era suggellato con giuramenti di omaggio e di fedeltà, ma signore e
vassallo rimanevano uomini liberi e socialmente pari. Collegando la proprietà terriera ad un servizio
politico e militare, il feudalesimo, dopo la dissoluzione dell'impero carolingio, contribuì a
preservare l'Europa medievale dalla disintegrazione in una miriade di signorie indipendenti. Verso il
Mille si iniziò ad usare il termine "feudo" al posto di "beneficio". Il prevalere del termine germanico
su quello latino rifletteva il profondo cambiamento avvenuto nell'istituzione stessa. Il feudo si era
trasformato, infatti, in una concessione a carattere ereditario. La condizione era che l'erede del
vassallo fosse gradito al signore e che pagasse una tassa di successione. Il vassallo prestava
giuramento di fedeltà in caso di guerra, e rendeva, inoltre, uno speciale atto di omaggio al signore
che lo aveva investito del feudo, rendendo l'istituzione feudale più politica che militare.
Nel 1037, l'imperatore Corrado II il Salico, per fronteggiare le continue ribellioni dei suoi
vassalli, emanò la Constitutio de feudis (Statuto feudale) con la quale riconosceva definitivamente
l'ereditarietà dei feudi minori. I feudatari maggiori stabilivano una tassa sull'eredità e si riservavano
il diritto di assicurarsi la lealtà dell'erede del feudo. Quando un vassallo moriva e lasciava un figlio
maggiorenne e buon cavaliere, il signore non aveva motivo di obiettare alla successione, se l'erede
era minorenne o era una donna, aveva diritto di conservare il controllo del feudo fino alla maggiore
età dell'erede, o fino a che l'erede avesse sposato una persona a lui gradita.
La vedova di un vassallo aveva un diritto vitalizio di dote sul feudo del marito defunto pari a
un terzo del valore del feudo. Per tale motivo, il signore aveva la parola definitiva sulle seconde
nozze della donna. Nel caso di morte di un vassallo senza figli legittimi, se nessun erede incontrava
l'approvazione del signore, il feudo tornava al signore che poteva liberamente disporne (per tale
motivo si affermò l'investitura di vescovi-conti).
Questa molto in generale la descrizione del sistema feudale. Bisogna tuttavia specificare che
la feudalità ebbe vicende diverse nelle diverse aree geografiche. In Francia ad esempio si affermò il
principio secondo il quale “Il signore del mio signore non è mio signore”, in Inghilterra Guglielmo
il Conquistatore impose invece il giuramento di fedeltà anche ai Vassalli, nel Italia continuò ad
esistere una distinzione tra il feudo iure longobardorum e il feudo iure francorum. Insomma sotto il
profilo giuridico possiamo considerare l’esistenza di un diritto feudale comune e di diritti feudali
particolari, differenti a seconda delle aree geografiche.
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5 La rinascita dell’Impero e la lotta per le
investiture
Il sostanziale disfacimento del Sacro Romano Impero di Carlo Magno si interseca con
fenomeni storici di notevole portata ed in particolare con una nuova ondata di invasioni che nel IX
secolo sconvolge l’Europa. Ad una rinnovata pressione degli Arabi, risponde un fermento nel nord
del continente che vede protagoniste le popolazioni ungare e vichinghe. Gli arabi iniziano nell’827
la conquista della Sicilia che viene completata tre anni dopo con la presa di Palermo; nell’890 viene
addirittura invasa la Francia. Nei lughi dove si afferma l’Islam dal punto di vista giuridico si assiste
ad una diffusione del diritto giurisprudenziale il cui punto di riferimento diventa il Corano. Gli
Ungari nel 924 prendono Pavia, ma la loro dominazione ha poca importanza. Piuttosto
fondamentale è l’invasione vichinga: un nucleo di questa popolazione, dalla quale verranno fuori i
normanni, si stanzierà appunto in Normandia formando un ducato: di là partirà l’invasione
dell’Inghilterra e la conquista del Mezzogiorno d’Italia per mano degli Altavilla. Di fronte a tutte
queste vicende storiche la Chiesa sente di nuovo la necessità di difendersi e di difendere quella
civiltà cristiano-romana che aveva faticosamente costituito durante i secoli alto-medievali.
Testimonianza di ciò si ha con la renovatio imperii compiuta a favore della dinastia degli Ottoni: si
assiste cioè, con il passaggio alla dinastia sassone della corona imperiale, ad un rinnovo del patto
che aveva visto sorgere il Sacro Romano Impero. Ottone I (962-973) procede ad una limitazione
delle autonomia feudali, all’affermazione dell’autorità imperiale nei confronti della chiesa (in crisi
profonda, vivificata solo dalla nascita di grandi monasteri come quelli cistercensi) e alla
sottomissione dell’Italia meridionale. Egli scende in Italia, si cinge la testa della corona di re d’Italia
e si fa incoronare imperatore dal Papa. La sua politica venne continuata Ottone II che sposò
Teofanie, figlia di Niceforo Foca, Imperatore d’Oriente e da Ottone III che spostò la sede imperiale
a Roma. Ottone I fondò il suo potere politico sull'assegnazione di importanti poteri civili a vescovi,
che egli stesso nominava. I vescovi, infatti, non potevano avere prole legittima, a cui trasmettere i
benefici ricevuti. Inizialmente l’Imperatore assegnò poteri di districtus, ossia di comando, polizia ed
esazione, sulla città e sul territorio circostante. In seguito i poteri furono estesi ad interi comitati, a
spese del conte laico e creando dei veri e propri vescovi-conti. Così l’assegnazione della carica
vescovile, venne ad essere fondata sulla fedeltà all’Imperatore più che sulle doti morali del
candidato e ciò determinò situazioni degenerative che crearono una forte crisi nella Chiesa: si
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diffuse la pratica della simonia, ossia dell’assegnazione della carica vescovile a laici che versavano
forti somme di denaro sicuri di trarre beneficio dall’assegnazione del feudo connessa alla nomina a
Vescovo.
Questa situazione fu il contesto in cui si verificò la lotta per le investiture, iniziata da Papa
Gregorio VII con il famoso Dictatus Papae del 1075: si affermava che il Papa era l’unica autorità
religiosa universale ed in quanto tale poteva deporre l’Imperatore con la scomunica. Era
l’affermazione del principio teocratico. La lotta con l’Imperatore Enrico IV fu dura e senza
esclusione di colpi, com’è noto. Alla fine si giunse al Concordato di Worms (1122), concluso tra
Papa Callisto II ed Enrico V che fu un modello per la regolamentazione dei rapporti tra Chiesa e
l'Impero. Secondo il concordato, la Chiesa aveva il diritto di nominare i vescovi con anello e
pastorale. Le nomine, tuttavia, dovevano avvenire alla presenza dell'Imperatore, o di un suo
rappresentante, che poteva attribuire incarichi di ordine temporale ai vescovi mediante l'investitura
con lo scettro: un simbolo privo di connotazione spirituale.
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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Università Telematica Pegaso
La seconda fase dell’Alto Medioevo
Bibliografia
• C. Calisse, Storia del diritto italiano, in tre voll., Firenze 1903;
• G. Salvioli, Corso ufficiale di Storia del Diritto Italiano, vol. II, Napoli 1913;
• R. Trifone, Le fonti della storia del diritto italiano, Napoli 1943;
• G. Astuti, Lezioni di Storia del Diritto Italiano. Le fonti. Età Romano-Barbarica,
Padova Cedam 1953;
• F. Calasso, Medioevo del Diritto. I., Le fonti, Milano Giuffrè 1954;
• M. Bloch, La società feudale, trad. it. Torino Einaudi 1976;
• W. Kula, Teoria economica del sistema feudale: proposta di un modello, Torino
Einaudi 1977;
• H. Pirenne, Maometto e Carlomagno, Bari Laterza 1980;
• Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa. I. Le fonti, Milano Giuffrè 1982;
• M. Caravale, Ordinamenti giuridici dell’Europa medievale, Bologna 1994;
• E. Cortese, Il diritto nella storia medievale. I., L’Alto Medioevo, Roma 1995;
• R. Ajello, Origini e condizioni dell’attualità giuridica, Napoli Jovene 1998;
• Padoa Schioppa, Italia ed Europa nella storia del diritto, Bologna Il Mulino 2003;
• P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Roma, Laterza, 2004.
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