1. L’ascesa della Macedonia e l’impero di Alessandro Magno Intorno alla metà del IV secolo a.C. il re macedone Filippo II minacciò le poleis greche. La Macedonia, una regione montuosa del nord, era guidata da una monarchia, con un re eletto dagli aristocratici, gli etèri, e un popolo che costituiva il nerbo dell’esercito, i pezeteri. La falange macedone, modellata su quella tebana, ma dotata di lance più lunghe, le sarisse, era una formidabile macchina da guerra. Le poleis greche, per difendersi dall’imperialismo macedone, si riunirono in una lega, costituita dall’oratore ateniese Demostene, ma nella battaglia di Cheronea (338 a.C.) furono schiacciate dalla superiorità nemica. Da quel momento, secondo la tradizione, finì la loro libertà. In realtà Filippo con una conferenza di pace, istituì la Lega di Corinto per affrontare, forte dell’appoggio dell’intero mondo greco, il potente Impero persiano. Filippo, però, morì assassinato. Gli successe il figlio Alessandro. Egli si dimostrò subito abile e spietato quando, in seguito alla falsa notizia della sua morte, Tebe si ribellò. Alessandro la distrusse (335 a.C.), distribuendo le terre a greci a lui fedeli. Subito dopo diede inizio alla sua formidabile impresa. Fece tappa a Troia per rendere omaggio ad Achille e, poi, alla guida di 40 mila uomini, vinse ripetutamente l’esercito persiano di Dario III, liberò le città greche dell’Asia Minore, conquistò l’Egitto e fondò Alessandria, la futura capitale culturale del mondo mediterraneo. Dopo aver occupato le quattro capitali dell’Impero persiano, cominciò a organizzare il suo immenso impero servendosi di funzionari macedoni. Si dedicò quindi alla politica di fusione tra il mondo greco e quello persiano: sposò prima Rossane, figlia di un satrapo, poi Statira, figlia di Dario; favorì l’unione tra aristocratici macedoni e donne persiane; trasformò la sua monarchia in senso orientale, facendosi venerare come una divinità. Arrivato aiconfini dell’India, cedendo ai desideri del suo esercito spossato, tornò indietro, ma a Babilonia, nel 323 a.C., a soli 33 anni, morì (forse di malaria) 1 2. La civiltà ellenistica Alla morte di Alessandro, l’immenso impero fu diviso tra i suoi generali, i diadochi. Vennero così a formarsi, tra gli altri, tre grandi regni, quello dei Seleucidi, con capitale Antiochia, quello dei Tolomei, con capitale Alessandria, quello di Macedonia (Antigonidi), con capitale Pella, ed uno più piccolo, il regno di Pergamo. Tutti ebbero una durata secolare e finirono per essere inglobati dall’impero romano. Erano monarchie ereditarie, governate in modo assoluto attraverso funzionari greco - macedoni. Il re, considerato sacro e filantropo, era affiancato da un “consiglio di amici” e si avvaleva di un primo ministro, di un amministratore delle finanze e di cancellieri. L’esercito era composto di mercenari ben addestrati. Le poleis greche continuarono a sopravvivere anche in età ellenistica. Pur essendo subordinate alle monarchie, mantennero una certa indipendenza grazie all’unione in leghe e a un rapporto di contrattazione con i re, che concessero loro notevoli autonomie. I monarchi, essendo proprietari di gran parte delle terre dei regni ellenistici, erano anche i principali attori economici. I canoni di affitto e le imposte sulle diverse attività manifatturiere costituivano, accanto ai diritti sulle miniere e sui boschi e ai bottini di guerra, le entrate del fisco, che servivano a pagare l’esercito, le spese di corte, la burocrazia e le iniziative culturali. L’economia del mondo ellenistico era molto fiorente, grazie allo sviluppo del commercio tra l’Oriente asiatico e il Mediterraneo. Una rete di vie di comunicazione efficiente e il fiorire di molte città, insieme alla massiccia diffusione della moneta, avevano dato vita a una società ricchissima, ma fortemente polarizzata, con conflitti aspri e frequenti. La lingua greca costituì lo strumento di comunicazione e di cultura, assai avanzata grazie al mecenatismo dei sovrani, che permise la nascita di nuove istituzioni, come la biblioteca e il museo di Alessandria, o la formazione di brillanti figure di intellettuali, come Archimede, Euclide, Aristarco, Eratostene. 3. L’eredità culturale dei greci Il pensiero greco è alla base della cultura dell’Occidente: la filosofia, la storia, la tragedia, la commedia, la matematica, la medicina, l’architettura sono un frutto della cultura greca o ne hanno subito il decisivo influsso. Il termine chiave del sapere greco è logos, che significa “parola, discorso” e insieme “pensiero, ragionamento”; per i greci, infatti, il parlare delle cose si deve fondare sulla ragione. In origine , l’esigenza di una spiegazione della realtà era soddisfatta dal mito, il racconto orale 2 sull’origine del mondo e sulle gesta degli dei nel VI sec. a.C. nacque in Grecia la filosofia, che tenta di rispondere alle domande fondamentali dell’uomo attraverso la razionalità e si presenta, a differenza del mito, come un sapere discutibile, modificabile e contestabile. Dalle città dell’Asia Minore del VI secolo a.C., passando attraverso la Magna Grecia, la filosofia approdò nelle poleis dove raggiunse il suo apogeo. Dai sofisti, che sostenevano che l’uomo è la misura di tutte le cose, si passò alla ricerca della verità di Socrate, poi di platone, infine di Aristotele. In età ellenistica la filosofia cominciò a dedicarsi alla ricerca della felicità e si affermarono due correnti, lo stoicismo e l’epicureismo. Dal mito presero origine anche le historìe, ovvero la scrittura della storia, e il genere letterario più caratteristico della Grecia antica, la tragedia. La storiografia che si distingue per la ricerca delle cause all’origine degli eventi e il cui metodo passa attraverso l’analisi dei documenti e delle testimonianze (le fonti), ebbe due padri: Erodoto, che raccontò le guerre persiane nelle Storie, e Tucidide, l’autore della Guerra del Peloponneso. La tragedia, insieme alla commedia, era legata invece alle grandi feste religiose, durante le quali i greci si recavano a teatro per interi giorni. Le tragedie erano lo specchio della vita delle poleis, che potevano raccontare vicende reali ma anche miti antichi che rispecchiavano i problemi dei cittadini tre furono i grandi tragediografi: Eschilo, Sofocle ed Euripide. 4. Le culture dell'Europa preistorica L’Europa continentale ebbe uno sviluppo culturale assai più tardo e lento rispetto al Vicino Oriente. Le prime consistenti comunità stanziali dedite all’agricoltura e all’allevamento, numero e soprattutto nel sud del continente, risalgono al V millennio a.C. Nel III millennio comparve la metallurgia e alla fine del II millennio ebbe infine inizio l’età del ferro. Gli studiosi hanno ricostruito l’esistenza di più culture: tra il XIV e l’VIII secolo a. C. era diffusa la cultura dei campi d’urne. Più tardi, nell’area centrale europea, si affermò la cultura di Hallstat, in cui erano già forti le differenziazioni sociali. La popolazione dei celti ebbe origine nell’area danubiana già nel II millennio a.., ma solo nel V secolo a.C. cominciò a esistere una civiltà interamente celtica, chiamata cultura di La Tène. Nel loro processo di espansione, i celti via via occuparono buona parte dell’Europa, dove dominarono incontrastati fino al I secolo a.C. I celti erano organizzati in tribù; la loro società era articolata in gruppi sociali ben distinti: aristocratici guerrieri, liberi non nobili, schiavi. 3 5. L’Italia dalla preistoria alla dominazione etrusca Le prime testimonianze della presenza dell’uomo in Italia risalgono a 100 mila anni fa, ma il Neolitico ebbe inizio solo nel VI millennio a.C. Alla metà del III millennio a.C. giunse da fuori la metallurgia del rame; la successiva età del bronzo coincise con tutto il II millennio a.C. Le prime civiltà con una forte identità comparvero in area padana, con gruppi umani che vivevano su palafitte e poi nelle terramare (XVII – X sec. a.C.). dopo il 1500 a.C. si affermò anche la cultura appenninica, basata sulla pastorizia e la transumanza. Alla fine del II millennio a.C. comparvero nuove popolazioni, come i villanoviani, che commerciavano sul mar Egeo e che introdussero la cultura del ferro. In Sardegna già nel III millennio a.C. esisteva la civiltà nuragica, così chiamata per le tipiche costruzioni in tronco di cono, i nuraghi. I greci arrivarono nella penisola a partire dall’VIII secolo a.C., con la seconda colonizzazione, fondando in Magna Grecia e in Sicilia poleis ricche e assai evolute. La conquista dei territori non avvenne pacificamente, anzi si registrarono scontri armati con le popolazioni indigene. Furono i greci, insieme agli etruschi, a trasmettere alle popolazioni italiche la scrittura e la civiltà urbana. L’origine degli etruschi è ancora oggi dibattuta. La tesi della provenienza dalla Lidia (Erodoto) è meno accreditata di quella dell’origine autoctona. Certo è che ebbero contatti frequenti con la Grecia e il Vicino Oriente. Nell’VIII secolo a.C. gli etruschi avevano già fondato molte città tutte indipendenti e, talvolta, federate tra loro, rette inizialmente da un re chiamato lucumòne. Fra il VII e il VI secolo a.C. arrivarono a dominare la penisola italica dal Po fino alla Campania. Nel V secolo a.C. cominciò la loro decadenza: la nascente potenza romana li assorbì. Le città etrusche erano all’avanguardia (opere fognarie, acquedotti, strade perpendicolari lastricate), con una ricca economia: agricoltura irrigua, raffinata tecnologia metallurgica, miniere, commerci con il Mediterraneo. Il governo della città era in mano all’aristocrazia; il popolo, i semiliberi e gli schiavi lavoravano; il potente clero esercitava l’arte divinatoria. Le conoscenze che abbiamo della civiltà etrusca derivano soprattutto dalle loro splendide necropoli, con le tombe a ipogeo; attraverso queste testimonianze sappiamo anche della libertà e dell’importanza che la donna aveva nella società etrusca. 6. Le origini della città di Roma e l'età della monarchia All'inizio del I millennio a.C. il Lazio era abitato da diverse popolazioni: tra queste i latini, che si distribuivano tra il corso del fiume Tevere e i colli Albani. Subendo gli influssi delle più evolute civiltà etrusca (a nord) e greca (a sud), essi cominciarono a urbanizzarsi. Alba Longa era la più 4 forte città latina finché, a metà dell'VIII secolo a.C., sulle rive del Tevere venne fondata Roma (da Romolo, secondo il mito). Già nel VI secolo a.C. Roma era fiorente e sfruttava la sua favorevole posizione centrale nella penisola italica, vicino al mare e lungo il corso del Tevere, su cui viaggiavano i carichi di sale, preziosissimo in quell'epoca. Fino al termine del VI secolo a.C. si alternarono, secondo la tradizione, sette re (latini, sabini ed etruschi: Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio e Anco Marzio, di origine latina e sabina; Tarquinio Prisco, Servio Tullio – latino -, Tarquinio il Superbo) che diedero alla città le prime mura, templi, fognature, ma soprattutto le istituzioni politiche. 7. La società e le istituzioni fra monarchia e repubblica La monarchia cadde nel 509 a.C. , sostituita da una repubblica aristocratica basata sul senato, i cui membri provenivano dalle grandi famiglie nobiliari. La società romana era fondata sulla famiglia (familia); un gruppo di famiglie che discendevano da un antenato comune formava una gens: da questa organizzazione gentilizia emerse l'aristocrazia patrizia, la cui ricchezza derivava da grandi proprietà agricole. I patrizi governavano Roma attraverso uno stuolo di clienti (clientes), che lavoravano per loro e li sostenevano politicamente, ricevendone in cambio protezione e sussistenza. La maggioranza della popolazione romana era tuttavia costituita dalla plebe, generalmente povera, che talvolta riusciva però a raggiungere una certa ricchezza. Tra la fine dell'età monarchica e l'inizio dell'età repubblicana (VI-V secolo a.C. ) fu varata una riforma istituzionale basata sul censo, che la tradizione attribuisce però al re Servio Tullio (riforma serviana). Vennero istituite sei classi di censo che dovevano fornire all'esercito 193 centurie, la maggior parte delle quali spettava alla classe più ricca. Le centurie servivano anche per eleggere i magistrati e votare le leggi. L'economia romana era sostanzialmente agricola, ma in città erano sviluppati l'artigianato e l'edilizia. La concezione religiosa dei romani era assai tollerante ed era finalizzata a ottenere la pace con gli dèi e la loro protezione sulla città. Ogni azione veniva intrapresa solo dopo aver accertato la volontà degli dèi con cerimonie specifiche, presiedute da diversi collegi sacerdotali (flàmini, vestali, pontefici). 8. Roma repubblicana e l'egemonia sul Lazio Le magistrature a Roma erano elettive, collegiali, temporanee e gratuite. I principali magistrati erano: i due consoli, che detenevano il potere esecutivo e conducevano le guerre; i quattro questori, che gestivano l'erario dello Stato; i due censori, che censivano la popolazione e controllavano il senato; i pretori, che amministravano la giustizia; il dittatore, che in casi eccezionali veniva eletto per risolvere problemi gravissimi e aveva tutti i poteri. Tutte le decisioni, soprattutto quelle di politica estera, passavano tutta via attraverso il senato i cui membri (prima 100 poi 300), in carica a vita, provenivano dalle file degli aristocratici. 5 Dall'inizio dell'età repubblicana fino ai primi decenni del IV secolo a.C. Roma combatte molte guerre, contro i latini, i volsci, gli equi, finché riuscì a sottomettere l'intero Lazio. Una sola vota rischiò di essere distrutta, nel 390 a.C., quando i galli sènoni saccheggiarono la città e se ne andarono solo dopo il pagamento di un ricco riscatto. 9. Patrizi e plebei Fino all'inizio del V secolo a.C. Roma rimase saldamente nelle mani dell'aristocrazia, ma i plebei, soprattutto quelli più ricchi, cominciarono a premere perché fosse permesso loro di partecipare alla vita pubblica accedendo alle magistrature. La prima conquista, ottenuta con la cosiddetta secessione sul Monte Sacro, fu l'istituzione del tribunato della plebe (prima 2 e poi 10 tribuni), una magistratura plebea che aveva il compito di difendere gli interessi popolari di fronte al senato. I tribuni erano inviolabili nella persona e portatori del diritto di veto con cui potevano bloccare le leggi ritenute contrarie agli interessi della plebe; furono riconosciuti e potevano presentare leggi popolari, i plebisciti. Poi furono istituiti gli edili (2 plebei e 2 patrizi), che avevano il compito di controllare i mercati e di gestire gli spettacoli pubblici. A metà del V secolo a.C. i plebei ottennero le prime leggi scritte, le XII tavole e una legge che aboliva il divieto di matrimoni misti tra patrizi e plebei. Il IV secolo a.C. portò nuove leggi che permisero ai plebei di concorrere per tutte le magistrature, anche per il consolato e il pontificato. All’inizio del III secolo ai plebisciti fu riconosciuto valore di legge per tutti i cittadini: a Roma era dunque in vigore un ordinamento misto patrizio-plebeo. 10. L’Italia nelle mani di Roma Fra la metà del IV e la metà del III secolo a.C. i romani si dedicarono a guerre di conquista che li portarono a dominare l’Italia da Rimini allo stretto di Messina. Ci vollero tre guerre per piegare la federazione dei sanniti, che occupava una territorio corrispondente circa alle attuali regioni della Campania, dell’Abruzzo-Molise e a parte della Puglia. Poi i romani guardarono a nord, sottomisero l’intera Etruria e strapparono ai galli boi e sènoni i loro territori. Quindi rivolsero i propri disegni di egemonia alla Magna Grecia, dove sconfissero la potente città di Taranto, che aveva chiesto aiuto a Pirro, re dell’Epiro, che fu definitivamente sconfitto a Benevento. Roma si dedicò quindi a organizzare l’amministrazione dei suoi domini, che furono divisi in municipi (i cui cittadini erano anche cittadini di Roma), colonie (gestite direttamente da Roma), città federate (con cui Roma stabiliva un patto d’alleanza). La realizzazione di un capillare sistema di strade e l’istituzione di una moneta comune a tutte le città italiche furono potenti strumenti di unificazione. 11. La nuova nobiltà al governo di Roma Dopo la conquista dell'Italia e fino alla metà del II secolo a.C. Roma condusse guerre di conquista che la portarono a dominare il Mediterraneo. Questo portò a significative trasformazioni nella società romana: fra i plebei, che con una serie di leggi avevano ottenuto un'equiparazione politica e giuridica con i patrizi, si formò una minoranza che si era arricchita con i commerci, le manifatture e i lavori pubblici. Questa nuova classe sociale prese il nome di nobiltà: al suo interno l'antica aristocrazia patrizia favorì l'ingresso in senato della famiglie plebee più in vista. Il senato, infatti, poteva essere raggiunto attraverso la carriera politica (cursus honorum), ovvero il percorso delle quattro magistrature più importanti: questura, edilità, 6 pretura e consolato. 12. Roma Cartagine nel Mediterraneo: le guerre contro All'inizio del III secolo a.C. Cartagine era una formidabile potenza, più economica che militare, e controllava l'Africa settentrionale, le coste spagnole del Mediterraneo, la Sardegna, la Corsica e la Sicilia. Le sue strutture politico- amministrative (il senato, le magistrature) erano simili a quelle romane, ma la classe dirigente cartaginese era formata soprattutto da mercanti; l'esercito era composto da soldati mercenari al comando di un cartaginese. L’occasione dello scontro con Roma fu il controllo della Sicilia, erra ricca per risorse agricole e minerarie, in cui sia Cartagine sia i greci avevano fondato diverse colonie. Per impedire che Cartagine si impadronisse del tutto dell’isola, Roma diede inizio alla prima guerra punica (264 – 241 a.C.) e la vinse, nonostante non avesse mai combattuto sul mare. Ciò fu possibile perché Roma dotò le proprie navi da guerra di un “corvo”, una sorta di passerella che permetteva ai legionari di agganciare le navi avversarie e salirvi per affrontate i cartaginesi combattendo corpo a corpo, come sulla terraferma. La Sicilia divenne la prima provincia romana, seguita dalla Sardegna e dalla Corsica. Cartagine si volse allora alla conquista della Spagna: il generale cartaginese Annibale espugnò Sagunto, alleata dei romani, provocando l’intervento di Roma e l’inizio della seconda guerra punica (218 – 202 a.C.). Annibale raggiunse l’Italia attraverso le Alpi e sconfisse i romani quattro volte (presso i fiumi Ticino e Trebbia, sul lago Trasimeno e a Canne). Poi si fermò a Capua, dove progettava di organizzare una coalizione di popolazioni italiche contro Roma. Il disegno di Annibale non ebbe successo e Roma si riorganizzò, affidando la guerra a Scipione, poi detto l’Africano perché portò la guerra in Africa, dove sconfisse definitivamente Annibale a Zama (202). I cartaginesi dovettero consegnare la flotta, pagare i danni di guerra e subordinare la propria politica estera al giudizio di Roma. Allo scadere del III secolo a.C. Roma era padrona incontrastata del Mediterraneo orientale. 13. La repubblica e il suo impero L’imperialismo romano proseguì con la sconfitta dei liguri e dei galli a nord. Nell’area greca Roma venne a scontrarsi con i ricchissimi ma ormai fragili regni ellenistici. Quando il re di macedonia volle limitare l’autonomia delle poleis greche, queste chiamarono in loro aiuto Roma, che subito intervenne sconfiggendo Filippo a Cinocefale nella seconda guerra macedonica (la prima era stata affrontata senza troppo impegno da parte di Roma, nel 215-105 a.C.). contro Roma si schierò allora il re di Siria, Antioco III, anch’egli sconfitto, e più tardi, nella terza guerra macedonica, il figlio di Filippo V, Perseo: la battaglia di Pidna segnò il tramonto definitivo del regno macedone, che venne smembrato; dopo vent’anni (148 a.C.) la Macedonia divenne provincia romana. Nel 149 Roma assediò Cartagine (terza guerra punica) e nel 146 a.C. la rase al suolo, trasformando il suo territorio in provincia d’Africa; nello stesso anno distrusse Corinto e la Grecia venne accorpata alla provincia di Macedonia. Più tardi fu la volta di Numanzia, in Spagna. Infine il re di Pergamo, morto senza eredi, lasciò a Roma il suo regno, che divenne la provincia d’Asia. Roma conquistò anche la Gallia meridionale anch’essa ridotta a provincia (Gallia Narbonense, 125 a. C.). 7 Il dominio romano era a questo punto immenso e doveva essere governato: le province vennero affidate a governatori (pretori, propretori, proconsoli), che svolgevano le funzioni politicomilitari, quelle giudiziarie e quelle fiscali. Per ciascuno dei governatori si apriva uno spazio di potere amplissimo, con grandi possibilità di arricchimento personale perché le province dovevano versare a Roma numerose imposte (fondiarie, personali, indirette); l’esazione delle imposte venne affidata ai pubblicani, provenienti dalla classe dei cavalieri. Per limitare abusi di potere, alla metà del II secolo a.C. venne creato un tribunale per giudicare i reati di malgoverno nelle province. 14. La repubblica dopo le conquiste L’enorme ricchezza che confluì a Roma tra la metà del III secolo a.C. e la metà del II secolo a.C. generò cambiamenti strutturali nella società e grandi diseguaglianze economiche. Ad arricchirsi furono soprattutto l’aristocrazia senatoria, che trasse profitto dalle nuove conquiste territoriali e dell’accaparramento dell’agro pubblico, e i cavalieri, una classe sociale “chiusa”, a cui si accedeva con un reddito annuo di almeno 400 mila sesterzi. I cavalieri erano esclusi dalle cariche politiche, ma gestivano tutti gli appalti dello stato, dalla riscossione delle imposte all’allestimento delle flotte commerciali e militari. Ad impoverirsi furono invece i piccoli proprietari terrieri, che per combattere in guerra dovevano abbandonare i loro poderi: al ritorno li trovavano incolti e in rovina ed erano costretti a venderli per far fronte ai debiti. Le campagne si svuotarono così di cittadini liberi per riempirsi di schiavi catturati in battaglia, che lavoravano al servizio dei latifondisti aristocratici. Roma, invasa da questi nuovi proletari,m diventava sempre più popolosa e caotica e le classi dominanti, per tenere sotto controllo il malcontento delle masse, le imbonivano con distribuzioni gratuite di grano, giochi e spettacoli (panem et cicercenses). Un altro elemento di grave tensione in Italia erano i municipi senza diritto di voto, gli alleati italici che, pur avendo combattuto le guerre di Roma, non si vedevano ancora riconosciuta la piena cittadinanza e cominciavano a far sentire il loro malcontento. Questa complessa trasformazione socioeconomica si accompagnò ache a profondi cambiamenti culturali: dopo la conquista, l’apertura al mondo ellenistico, sostenuta dal potente circolo degli Scipioni che introdusse a Roma la filosofia ellenistica (scetticismo, epicureismo, stoicismo), mise in crisi gli antichi e sobri costumi tradizionali romani (il mos maiorum). 15. Riforme mancate e guerra civile: la repubblica in crisi Dopo aver conquistato il Mediterraneo, nella seconda metà del II secolo a.C. Roma si trovò di fronte a una crisi complessa: i piccoli e medi proprietari (che costituivano il nerbo dell’esercito) erano impoveriti, l’aristocrazia senatoria era invece sempre più ricca, i cavalieri rivendicavano il 8 potere politico, gli italici reclamavano la cittadinanza romana. In questa situazione il senato era diviso in una maggioranza conservatrice, gli ottimati, e una minoranza, i popolari, che si rendeva conto della necessità di introdurre alcune riforme per migliorare la situazione dei ceti più poveri. Ne facevano parte i due fratelli Gracchi, Tiberio e Gaio, i quali, eletti tribuni della plebe, per riequilibrare la situazione socio-economica proposero una riforma agraria che impediva ai latifondisti di possedere più di 1000 iugeri di agro pubblico e che doveva ridistribuire le terre ai contadini in misura di 30 iugeri a testa. Entrambi morirono per il loro tentativo riformista, vittime delle trame del senato. La politica dei popolari fu ripresa con più fortuna da Caio Mario, un homo novus che si affermò grazie anche alla vittoria contro Giugurta in Numidia. Le sue riforme si concentrarono sull'esercito, trasformato in un esercito professionale. In seguito ad alcuni disordini si ritirò dalla vita politica. Un altro popolare, il tribuno Druso, tentò di aprire il senato ai cavalieri e di concedere la cittadinanza agli italici. Dopo il suo assassinio, gli italici insorsero e si scatenò la guerra sociale (da socii, alleati). Essa, dal punto di vista militare, fu vinta dai romani, ma il senato fu costretto a fare cocnessioni politiche estendendo la cittadinanza romana a tutti gli alleati nella penisola italica. Negli anni Ottanta del I secolo a. C. si affermò un altro uomo forte, Silla, appartenente alla fazione degli ottimati. Egli si impose attraverso un colpo di stato, rendendo evidente l’importanza dell’esercito come nuovo centro di potere. Fra Silla e i popolari scoppiò una sanguinosa guerra civile: Silla vinse, decimò i nemici per mezzo delle liste di proscrizione ed assunse la dittatura a tempo indeterminato per riformare lo Stato in senso conservatore. Rafforzò i poteri del senato, limitò quelli del tribunato della plebe, distribuì le terre ai suoi veterani. 16. Gli anni di Pompeo e Crasso A Roma continuarono ad affermarsi personalità dal forte profilo politico: Pompeo, che sconfisse il popolare Sertorio in Spagna, e Crasso, che domò la rivolta degli schiavi guidati da Spartaco. Divenuti consoli, Pompeo e Crasso smantellarono le leggi di Silla, mentre la corruzione delle classi dirigenti si allargava. Successivamente Pompeo ottenne il comando militare con poteri eccezionali per combattere dapprima i pirati, che rendevano la navigazione nel Mediterraneo pericolosa, quindi Mitridate, re del Ponto, che minacciava i domini romani in Oriente già dal tempo della guerra sociale. Mentre Pompeo conduceva la sua trionfale campagna contro il re del Ponto, a Roma le ambizioni di Crasso erano contrastate dai senatori guidati da Catone. Cominciavano altrsì a farsi strada Cicerone, che divenne console e contribuì a far fallire un colpo di stato (congiura) del 9 rivoluzionario Catilina, e Giulio Cesare, il quale grazie a Crasso intraprese i l cursus honorum. Al suo ritorno dall'Oriente, Pompeo amantellò l'esercito in segno di rispetto per Roma, ma il senato pensò invece di umiliarlo non riconoscendo in pratica le sue conquiste. 17. cesare padrone di Roma Cesare propose a Pompeo e a Crasso un patto privato, il primo triumvirato, per conquistare le magistrature consolari e poi governare le province più ricche. Pompeo ottenne il riconoscimento delle sue conquiste in Oriente e il proconsolato in Spagna, Crasso il proconsolato in Oriente. Cesare volle per sé un proconsolato di sette anni in Gallia, dove allargò il dominio di Roma sottomettendo tribù ostili e divenendo immensamente ricco. Egli inoltre si spinse nei territori dei germani e per la prima volta in Britannia. Il triumvirato andò in frantumi con la morte di Crasso. Roma si trovò nell'anarchia, con un senato incapace di governare. Gli aristocratici però fecero in modo che Pompeo fosse eletto console sine collega, con grandi poteri quindi, per riportare l'ordine. Anche Cesare, di ritorno dalla Gallia, desiderava rientrare a Roma come console. Il senato glielo impedì e allora egli ientrò in Italia con un esercito, violando il confine sacro di Roma. Sconfitti Pompeo e i suoi seguaci, Cesare si trovò padrone incontrastato di Roma. La suo politica fu improntata alla pacificazione e alla clemenza. Per formalizzare il suo immenso potere assunse su di sé le magistrature più importanti e ottenne la dittatura a tempo indeterminato per riformare lo Stato. Prima che una congiura aristocratica lo conducesse alla morte, nel 44 a. C., egli avviò un profondo cambiamento della società e delle istituzioni: ampliò il senato a 900 membri, molti provenienti dal ceto equestre e dall'aristocrazia provinciale, ridusse i conflitti sociali e riassorbì la disoccupazione attraverso la promozione di grandi lavori pubblici, migliorò l'amministrazione, ampliò il diritto di cittadinanza, cercò di romanizzare profondamente le province. L'assassinio di Cesare non riaprì la strada alla legalità repubblicana, bensì la fine della repubblica. 10