Luigi NEGRI Illuminismo all'opera: la Rivoluzione francese tratto da La Chiesa nel mondo, schede di Litterae Communionis, 1988. La Rivoluzione francese rappresenta l'accesso del cosiddetto «terzo stato» alla vita politica della Francia, e perciò la costruzione di una Francia borghese. Ma, come sottolinea Joseph Lortz nel secondo volume della sua Storia della Chiesa, la borghesia non si accontentò di insediarsi alle leve dello Stato, ma intese coincidere con il Paese e cambiarne le basi sociali. Perché infatti sono state giustiziate le suore di clausura? Perché sono stati distrutti i monumenti della Francia cristiana? Perché è stato sostituito al culto religioso cattolico il culto della dea ragione? Perché il vero nemico non era la nobiltà ma la Chiesa. Bisognava distruggere le basi religiose dell'antico ordine, sostituendole con basi totalmente razionali su cui fondare un nuovo ordine. La Rivoluzione francese è, dunque, il primo tentativo consistente di distruggere l'Europa cristiana e di sostituirla con l'Europa atea, espressione della modernità. In questo senso essa è stata determinante per la vita dell'Europa fino ad oggi. Non c'è nessuno Stato totalitario, infatti, che non sia in qualche modo una riproduzione della Rivoluzione francese. Si possono individuare tre caratteristiche della Rivoluzione francese. 1. L'uomo è il cittadino. La Rivoluzione francese è nota come il punto di formulazione dei diritti fondamentali dell'uomo e del cittadino. Gli «immortali» principi dell'89 (libertà, eguaglianza, fraternità) sono una realtà complessa che emerge nel contesto dell'Illuminismo, ma che ha radici ben più profonde nella permanenza della tradizione cristiana. Di fatto la Rivoluzione francese nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, fa una grave equiparazione: l'uomo è il cittadino, cioè l'uomo assume il suo valore, riceve la consistenza in quanto è cittadino. Perciò nel momento supremo della dichiarazione dei diritti della persona, di fatto la si distrugge, legandola allo Stato in modo tale da annientarla proprio in quanto persona. Nel Sillabo, che è la raccolta degli errori dell'età moderna e contemporanea, scritto da Papa Pio IX, si condanna al punto 39 la seguente proposizione: «Lo Stato, come origine e fonte di tutti i diritti, gode di un diritto che non ammette confini» secondo la quale i confini dello Stato non si delimitano neanche di fronte alla coscienza della persona e ai suoi diritti e rapporti primari. Con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino si avvia, dunque, la riduzione della radice dell'umano al contesto sociale. In realtà la radice dell'umano è il suo rapporto con Dio e proprio per questo si può esistere nella storia senza essere schiacciati. 2. L'identificazione società-Stato. Lo Stato francese tende ad assorbire in sé tutta la realtà della vita sociale. Mentre la caratteristica fondamentale della società prima della Rivoluzione francese era il pluralismo (sbrigativamente definito dagli storiografi laicisti, ad esempio da Benedetto Croce, come «particolarismo») nel nuovo contesto culturale esso è visto come elemento da eliminare. Le diverse tradizioni culturali e religiose della grande «res publica» cristiana, in cui convivevano forme di vita, di governo e di associazione diverse, sono particolarismi da sconfiggere. La ricchezza della vita sociale deve essere forzatamente incanalata dentro un'unica struttura che è quella dello Stato. Esso poi, in definitiva, si identifica con chi detiene il potere, singolo o assemblea che sia. E', dal punto di vista sociale, un regresso, perché lo Stato (come ha insegnato il cristianesimo nei primi secoli) non è il punto di riferimento ultimo della vita sociale, ma solo il suo punto normativo. Anzi, lo Stato serve nella misura in cui si modella di fronte alla dimensione della coscienza personale, che è sempre una dimensione religiosa e inviolabile; lo Stato ha il compito di servire il bene comune che è la libertà nella varietà delle sue espressioni. L'identificazione società-Stato, anche se verrà teorizzata solo da Hegel nei Lineamenti di filosofia del diritto del 1821, è già ampiamente praticata nella Rivoluzione francese. Tutto ciò che è al di fuori dello Stato infatti non esiste. Più tardi Mussolini dirà: «Tutto nello Stato attraverso lo Stato e con lo Stato: niente fuori dallo Stato». Tale identificazione è già un nucleo teorico dell'Illuminismo attuato dalla Rivoluzione francese. 3. La riduzione della vita religiosa a struttura dello Stato. La vita religiosa è ridotta ad un'opinione personale delle coscienze rispetto alla quale lo Stato è sostanzialmente indifferente. Ma nel momento in cui essa tende ad esprimersi pubblicamente come un fatto sociale deve ricevere dallo Stato ed esclusivamente da esso la sua legittimità. Chi non riconosce questo diritto dello Stato deve essere perseguitato come nemico del popolo. I numerosi preti e religiosi contemplativi ghigliottinati sono stati condannati come nemici del popolo. La distruzione dei luoghi di culto, della vita sociale cristiana, delle espressioni caritative, sociali ed educative, è stata chiamata «separazione della Chiesa dallo Stato». La Chiesa non è mai stata legata forzatamente allo stato: secondo la distinzione di Papa Gelasio la dimensione religiosa non si identifica con quella politica in quanto si pone molto di più all'origine come sostegno di tutto; se la Chiesa interviene nella vita politica lo fa esclusivamente per questioni dogmatico-morali. Con l'espressione «separazione della Chiesa dallo Stato» si persegue in realtà l'assimilazione della vita religiosa alla struttura dello Stato. Per documentare questa affermazione basta rileggere alcuni brani della Costituzione civile del clero. Questo documento doveva regolare la vita dei sacerdoti; fu votato in Francia il 12 luglio 1790, da un'assemblea di borghesi, massoni, liberali, illuministi che pure ostentavano grande rispetto per la Chiesa, in un'aula in cui sicuramente dominava ancora il crocefisso, dopo una discussione a cui erano presenti molti arcivescovi e molti sacerdoti come delegati del «primo stato». In questo documento si prevedeva ad esempio che l'elezione dei vescovi avvenisse alla base (borghese) e senza alcun nesso con la interezza della Chiesa cattolica. Si vuole così ridurre quella francese ad una «Chiesa nazionale». In base alla riduzione del fatto religioso alla struttura dello Stato, l'ecclesiastico diventa un funzionario della «pubblica moralità»; così infatti viene definito nel documento sopra ricordato. E' lo Stato che stabilisce se la religione deve continuare ad esistere ed è dalla vita dello Stato che la struttura religiosa deriva la sua legittimità e la possibilità di esercitare le proprie funzioni. E' un vanto per la chiesa cattolica di Francia che la Costituzione civile del clero sia stata votata soltanto da quattro tra gli oltre duecento vescovi francesi e che sia stata sottoscritta da poco meno di un quarto dei sacerdoti francesi (anche questo quarto si ridusse a poche centinaia quando Papa Pio VI la condannò); ma è significativo soprattutto che sia stata rifiutata dal complesso del mondo cattolico francese, che continuò ad andare a Messa dai cosiddetti preti «refrattari» (che non avevano firmato), i quali, sfuggiti ai grandi massacri o alle deportazioni forzate, continuarono ad esercitare il loro ministero e a sentire la Chiesa della Costituzione civile come una caricatura della vera Chiesa francese. Con la Rivoluzione francese, pertanto, la rottura con il passato è radicale. I secoli che vanno dalla Rivoluzione francese ad oggi vedranno il tentativo di attuare questo progetto e nello stesso tempo l'organizzarsi di una resistenza ad esso.