Chiesa superiore

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Il SACRO SPECO
Pio II, visitando il Monastero di San Benedetto nel 1461, lo definì “nido di rondini”.
Incassato nella roccia a strapiombo sulla valle sottostante, tale appare al visitatore che percorre il Bosco Sacro. Pareti,
volte e scale, perfettamente integrate nella pietra cui si appoggiano, con la loro irregolarità, garantiscono un’autentica
suggestione in chi si avvicina per visitarlo.
Composto da due Chiese sovrapposte e da Cappelle e grotte, interamente affrescate in epoche diverse, costituisce
un monumento unico, per bellezza e spiritualità, tra quanti la storia della Chiesa e dell’Arte hanno abbondantemente
dotato il nostro Paese.
Chiesa superiore
La Chiesa Superiore è la struttura più alta del Sacro Speco e fu l’ultima parte del santuario ad essere costruita. Il suo
interno è formato da due Campate irregolari, sia in pianta che in elevazione, conseguenza delle varie modifiche
apportate.
La Campata più esterna, vicino all’ingresso, è rettangolare ed è molto più alta di quella interna; le separa un arco, al di
sopra del quale sta l’affresco della “Crocifissione”. La prima Campata è tagliata da un arco trasversale, che poggia su
mensole decorate con motivi a foglie: da qui partono i costoloni della prima crociera verso l’entrata, che si
interrompono dal lato della parete della “Crocifissione”, dopo aver appena accennato alla linea curva di un altra
crociera, mai realizzata.
La seconda Campata presenta una crociera molto più bassa, senza costoloni. Alcuni gradini immettono nel Transetto,
un tempo separato dalla Chiesa tramite un muro e che, oggi, costituisce una specie di iconostasi. L’abside è scavata
nella roccia e di fianco ha un piccolo spazio rettangolare, al quale si accostano le cappelle quadrangolari del braccio
destro del Transetto.
Ogni spazio disponibile è affrescato e ciò in parte nasconde le incongruenze presenti. Una anomalia vistosa, ad
esempio, è costituita dal pulpito che si trova, per chi entra, sulla parete sinistra della prima Campata, cioè in fondo
alla Chiesa, alle spalle dei fedeli. All’esterno, inoltre, sul lato destro, in corrispondenza della prima Campata, ci sono i
resti di una facciata; si vedono, infatti, nell’intercapedine tra il fianco della Chiesa e il monastero, una porta murata,
con spigoli smussati e una lunetta trilobata, sormontata da un rosone polilobato, al di sopra del quale sta una cornice
di archetti intrecciati, in pietra.
È molto probabile che la facciata terminasse a capanna e che la porta stessa avesse una copertura, come dimostrano
gli incassi a solco e le mensole. Sopra il rosone, invece del calcare, c’è il tufo e questo fa supporre un innalzamento
della struttura. L’ipotesi più accreditata è, quindi, che la Chiesa Superiore fosse costituita inizialmente solo dal vano
della prima Campata, con ingresso e pulpito nella parete di fronte: poteva essere uno spazio di stretta clausura, visto
che tutti gli altri luoghi erano accessibili ai numerosi pellegrini.
Questo ambiente potrebbe essere stato collegato col monastero che l’abate Bartolomeo II (1318-1343) aveva
ingrandito creando il chiostro. Gli ambienti più antichi, un tempo esclusi, potrebbero essere stati inglobati e potrebbe
essere stata demolita la parete corrispondente a quella dell’attuale arco con l’affresco della “Crocifissione”. Le volte
della prima Campata sarebbero state rialzate e si sarebbe tentato di dividere lo spazio per ottenere tre campate
uguali, ma, e non si conosce il perché, i lavori si interruppero e tutto rimase come oggi si vede.
Questo sembra confermato anche dalle decorazioni: nella prima Campata lavorarono i Senesi, chiamati dall’abate
Bartolomeo da Siena (1363-1369) e, intorno al 1430, quando si decise di sospendere i lavori, i maestri umbromarchigiani ornarono la parete più interna della Chiesa ed il Transetto.
I Campata
Chi entra nella Chiesa Superiore del Monastero di San Benedetto, non può non essere colpito dalla “Crocifissione”,
opera davvero imponente del Maestro trecentesco del Sacro Speco, dipinta nella parete di fronte all’ingresso.
Il corpo di Gesù, disegnato con veridicità e con seria partecipazione, è accompagnato da numerosi particolari, che
costituiscono mere “isole” compositive e cromatiche, non stonate rispetto all’unità dell’opera.
Un sapiente gioco di sguardi e di gesti, infatti, ricompone il tutto e lo spettatore stesso ne è coinvolto. La sua
attenzione è attratta dal volto sereno di Gesù morto e poi scorge i tanti episodi secondari, ma importanti, quali il
gruppo delle pie donne, quello degli armati e dei notabili, che si muovono sul pendio o tra le croci, gli angeli sgomenti,
i ladroni vigorosamente legati, la Maddalena che tende la mano, giovani del tutto indifferenti, i soldati che giocano a
dadi per spartirsi le vesti e colei che regge il corpo di Maria svenuta, di giottesca ispirazione. La parete, a destra di chi
entra, è divisa in tre zone o registri.
Nel registro inferiore sono rappresentati: “Il Tradimento di Giuda” con conseguente “Fuga degli Apostoli” e, ancora più
a destra, “La Flagellazione”. In questi affreschi è evidente l’impostazione generale del Maestro trecentesco, ma anche
la mano degli Aiuti. Ne “La Flagellazione” la prospettiva appare trascurata, soprattutto se si guarda la colonna di un
piccolo loggiato a volta, alla quale è legato Gesù.
Nel registro mediano, è rappresentato “Il Giudizio di Pilato” e “Il Viaggio al Calvario”, con grande ricchezza di
particolari ed imponente movimento di personaggi. Ne “Il Giudizio” è descritta la città trecentesca con mura merlate
alla guelfa, terrazze e loggette; Pilato è rappresentato come un giudice medioevale di fronte a Cristo in veste regale.
Ne “Il Viaggio al Calvario” si assiste al galoppo di Armati tra soldati e popolani e al centro Trombettieri schierati in
duplice fila, che introducono al camminare di Gesù, preceduto e seguito da persecutori, ladroni e soldati. L’affresco
del terzo registro, rappresenta “La Pentecoste”, descritta secondo il modo tradizionale: i dodici Apostoli, identificabili
dal nome sottoscritto, sono seduti, in atto di ricevere le lingue di fuoco. Anche la parete di sinistra, a destra della
Crocifissione, è divisa in tre zone.
Nel primo registro è rappresentata: “L’entrata in Gerusalemme di Gesù”, accolto da fanciulli in festa e da canti di
giovani, ma nelle facce dei Notabili della città è evidente il presentimento della imminente sciagura. Un poco più
avanti sta l’affresco delle “Marie al Sepolcro”, nel quale il Maestro ha ripreso le Marie di Duccio da Boninsegna. Nel
secondo registro l’affresco rappresenta “L’Incontro di Cristo con la Maddalena”.
La donna è tesa verso Gesù, che inalbera la rossa bandiera crociata e le impedisce il contatto. Accanto a questo, un
altro affresco rappresenta “L’incredulità di Tommaso”. Nel terzo registro è rappresentata “L’Ascensione, tra Angeli in
festa, Maria, i Discepoli e le Pie Donne”. Nelle vele della volta sono dipinti i quattro dottori della Chiesa Latina, assisi
su cattedre gotiche che, nel dorsale, hanno il busto di un evangelista.
II Campata
La seconda Campata della Chiesa Superiore del Monastero di San Benedetto è un ambiente più antico rispetto alla
Prima Campata e lo dimostra la volta, molto più bassa e priva di costoloni.
C’è chi lo ritiene il nucleo originario della costruzione, in seguito ampliata con la Prima Campata, molto più alta, dalla
quale lo separava il muro, successivamente abbattuto e sostituito con l’arco, al di sopra del quale, nella controparete,
è dipinta la “Crocifissione”.
Gli affreschi, che riempiono tutti gli spazi, sono attribuiti a pittori di Scuola Umbro-Marchigiana, che vi operarono
sin dai primi anni del 1400. Nella parete di fondo, in un affresco molto deteriorato, è rappresentato “San Benedetto in
cattedra”, con abiti pontificali, insieme a santi e a membri della famiglia Anicia.
Nella parete a sinistra sono tre affreschi: “San Benedetto tentato dal diavolo”, “San Benedetto che rotola fra le spine”
e “San Benedetto che prega nella grotta”. Nella lunetta, vicino all’ingresso, si vede, a destra, “Il miracolo del veleno” e
a sinistra “La guarigione del monaco indemoniato”, opere di mano diversa rispetto alle altre descritte, che presentano
figure di scarsa plasticità, in ambienti architettonicamente curati, ma scarsamente prospettici.
Nelle vele della volta sono dipinti “San Mauro”, “San Gregorio Magno”, “San Romano”, “San Martino” e, al centro,
“L’Agnello”.
Transetto
Al Transetto della Chiesa Superiore del Monastero di San Benedetto si accede attraverso alcuni gradini, costruiti
durante i lavori di restauro del 1853, per collegare questo ambiente con le due Campate; tale ingresso fu chiuso, in
epoca imprecisata, da un muro, al quale fu addossato un altare.
È rimasta documentazione di ciò in due litografie, ancor oggi ben conservate.
Il restauro inserì i gradini in una specie di iconostasi, tuttora visibile, secondo il “gothic revival”, espressione culturale
vigente nella seconda metà del XIX secolo.
Ogni spazio del Transetto fu affrescato dagli artisti di Scuola Umbro-Marchigiana, presenti al Sacro Speco nei primi
anni del 1400. Nella prima Cappella a sinistra si possono ammirare: una “Crocifissione”, “Santa Caterina del Monte
Sinai” e i “Padri del deserto”. Davanti alla stessa Cappella si vede una “Madonna col Bambino, San Pietro e San Paolo”
e un “San Cristoforo”. Dietro l’altare sta una “Crocifissione”. Nell’arco tra l’altare e le altre due cappelle di destra è
dipinto l’ “Ultimo colloquio di San Benedetto e Santa Scolastica”, nel quale è stato notato l’influsso di Ottaviano Nelli
di Gubbio e di Lorenzo Salimbeni di San Severino Marche, dai quali il Maestro Umbro trasse ispirazione.
Nelle pareti laterali della prima Cappella a destra, di quella cioè, più vicina all’altare, stanno una “Crocifissione” e la
“Morte di San Mauro”. Nella parete del Transetto, davanti a questa prima cappella è raffigurato “Il martirio di San
Placido”, opera propria del Maestro Umbro, che descrive nei dettagli più crudi le torture e l’accanimento degli aguzzini
contro il martire; mentre nella volta del transetto, l’affresco rappresenta “Sant’Agostino, San Francesco, San Bernardo
e San Domenico”.
In una parete laterale della seconda cappella di destra, quella, cioè, più lontana dall’altare, l’affresco rappresenta “Il
martirio di San Paolo”, nell’altra parete è descritta una “Madonna con bambino, San Pietro e San Paolo” e nella
vetrata dell’altra parete, c’è una “Madonna con Bambino”.
Nella volta della stessa cappella sono affrescati i quattro evangelisti. Nella volta del transetto, davanti alla cappella
appena descritta, sono raffigurati gli Apostoli. Nella parete del Transetto, davanti alla stessa cappella è rappresentato
il “Miracolo dello storpio”, nel quale colpisce il gioco simmetrico dei colori e la raffinatezza delle forme.
Chiesa Inferiore
Tra il 1244 e il 1276, l’abate Enrico ristrutturò il Sacro Speco, come si legge nel Chronicon, trasformandone
completamente l’aspetto.
A questo periodo risale la creazione del vasto piano della Chiesa Inferiore, un ampio spazio rettangolare, diviso in tre
vani, coperti da volte a crociera, uno rettangolare e due quadrati.
Alterò profondamente l’interno dello Speco l’inserimento della pianta “ad quadratum”, bernardina, che i Cistercensi,
in quel tempo, andavano diffondendo in Europa e presente nel Lazio a Fossanova e a Casamari. L’accesso alla Chiesa
Inferiore avviene oggi dal transetto della Chiesa Superiore tramite una scala, a sinistra della quale (sulla parete
settentrionale) sta un affresco di matrice bizantina, che raffigura il testo della bolla del 4 Luglio 1202, con la quale il
papa Innocenzo III concedeva speciali favori ai monaci residenti nello Speco.
Nell’affresco tale testo è sorretto a destra dallo stesso Innocenzo III e, a sinistra, da San Benedetto, che è seduto, e
che, inginocchio davanti a lui, ha l’abate Romano. Sia Innocenzo III che l’abate Romano hanno l’aureola quadrata, ad
indicare che erano ancora in vita nel momento in cui fu fatto il dipinto e poiché morirono entrambi nel 1216, tale fatto
è significativo per le opere di ristrutturazione che lo Speco subì in quegli anni.
Successivamente il Conxolus affrescò, sopra il testo della bolla, un altro Innocenzo III, con piviale rosso, pallio e tiara
ad una sola corona e ricoprì l’affresco con una pittura, ancora conservata, che raffigura San Benedetto.
Di questo artista non si sa molto: probabilmente era romano e a lui, e ai suoi Aiuti si attribuisce la maggior parte degli
affreschi della Chiesa Inferiore, nei quali, come disse F. Hermanin, è evidente che “guardò la vita e la prese
direttamente a modello”. Nell’absidina, vicino al bellissimo affresco della “Madonna con Bambino tra due Angeli”,
su fondo azzurro, ci ha lasciato il suo nome; si legge, infatti: “Magister Conxolus pinxit hoc opus”.
L’immagine, stesa sulla superficie concava, produce effetti ottici notevoli, perché sembra che si muova con colui che la
guarda. Tale fenomeno, dai critici non sempre giudicato positivamente, risulta, invece, nuovo ed estroso, anche
perché le eventuali tecniche correttive non avrebbero risolto dalla radice il problema. L’ispirazione dell’artista è di
origine bizantina, poiché il trono suggerisce la descrizione della Madonna come Madre della Chiesa, ma l’opera
nella sua realizzazione è cosmatesca e tardo duecentesca, avvicinabile alla raffigurazione dei troni di Cimabue.
L’ovale del viso, la diversa grandezza degli occhi, il naso diritto, la piccola bocca, il collo cilindrico mostrano
nell’insieme dolcezza e serenità, svelate dal movimento della mano, che nel Bambino, sereno e greve, indica la loro
ultima origine.
Terza campata
Nella Terza Campata della Chiesa Inferiore, a sinistra, si trova una grotta nella quale è allestito permanentemente un
presepio.
Nella parete a destra sono dipinte le storie di San Benedetto: “Il miracolo del vaglio”, “Il viaggio verso la chiesa di
Affile” “La vestizione”, “Il ritiro in orazione dentro la grotta”. Particolare attenzione merita il primo di essi, nel quale
colpiscono i volti, opera esclusiva del Conxolus, descritti con forte plasticità.
E’ evidente nel Santo lo stupore per l’avvenuto miracolo e nella nutrice, che tiene il vaglio, l’incipiente vecchiaia, per le
rughe poste intorno agli occhi rotondi. Nel secondo affresco è messa in risalto la figura di San Benedetto teso verso la
chiesa di Affile, chiesa descritta con forte accentuazione plastica dal Conxolus, che non dipinse molti edifici sacri, ma
che dimostra di conoscere bene le opere di Giotto dove tali edifici sono presenti.
Nell’affresco della “Vestizione di San Benedetto ad opera dell’abate Romano”, l’episodio è descritto in un paesaggio
sassoso, nel quale si erge la chiesa di Santa Croce, che lega questo al dipinto precedente. I colori, la consistenza dei
personaggi, le modalità espressive sono del Magister; la sua mano è evidente nella testa rotonda, negli occhi grandi,
nel collo robusto di San Romano.
Nell’ultimo episodio San Benedetto è descritto in preghiera, dentro la grotta immersa in un paesaggio realisticamente
rappresentato, del quale sono con accuratezza descritti gli alberi e la campagna circostante.
Anche qui il campanile a vela, con campana e corda, stabilisce la connessione agli altri tre dipinti e mette in evidenza la
volontà del Conxolus di rappresentare con realismo gli episodi della vita del Santo.
Nella parete a sinistra della scala che porta alla Chiesa Superiore è dipinto il “Papa Innocenzo III”, “San Benedetto in
cattedra e l’abate Romano” e a destra, nell’absidiola, la “Madonna in trono col Bambino e Angeli”, rappresentata a
mezzo busto, seduta su un trono con schienale a baldacchino di fattura cosmatesca, con la dicitura: “Magister
Conxolus pinxit hoc opus”.
Seconda Campata
La Seconda Campata della Chiesa Inferiore si trova allo stesso livello della Prima Campata e ad un livello più basso
rispetto alla Terza Campata, poiché segue il digradare della roccia.
A sinistra, vicino all’ingresso che porta alla Grotta della Preghiera, vi è un affresco che rappresenta “Cristo benedicente
tra Angeli”.
Nella parete a destra della scala è dipinto “Il funerale di San Benedetto”, dove è evidente il rapporto del Conxolus e
dei suoi Collaboratori più stretti con altri autori coevi, quali Pietro Cavallini e il primo Giotto.
Nella stessa parete sono affrescati i santi “Stefano, Tommaso e Nicola”. Nella volta sono dipinti papi, vescovi e monaci
santi, San Benedetto, San Gregorio, San Silvestro, San Lorenzo e altri santi dell’Ordine.
Prima campata
La Prima Campata della Chiesa Inferiore è situata vicino alla Scala Santa, posta sulla sinistra di chi si mette di fronte
alla Chiesa.
Nella parete di fondo sono rappresentati gli episodi de “L’offerta del pane”, “Il pane avvelenato sottratto dal corvo”
e “Cristo benedicente tra angeli, con San Benedetto e Santa Scolastica”. Il primo di essi, a sinistra di una finestra, è
ambientato in una grotta, dove San Benedetto, seduto, riceve, in un ampio lino, da una donna vestita di rosa, il
pane avvelenato, dono del prete Fiorenzo, con grande sconcerto di Mauro e di Placido.
L’autore, che non è Conxolus e neppure il suo primo Collaboratore, ma un artista della sua stessa bottega, segue lo
schema di altri episodi dipinti in questa Campata, ma sa bene esprimere lo stupore dei due nel gesto delle mani e
nello sguardo pieno di domanda rivolto al Santo. A destra della finestra è raffigurato San Benedetto che comanda
ad un corvo di portar via il pane avvelenato. Nella parete a sinistra, sopra l’ingresso della Scala Santa, è affrescato il
“Cristo benedicente tra Angeli”, che fuoriesce dal rotondo scudo.
Quest’opera presenta forti analogie con opere di Cimabue; in un angelo, inoltre, si riconosce il modello del Conxolus
e nell’altro un modello bizantino. Nella volta è dipinto Cristo con aureola cruciforme dentro una cornice di rami e di
fiori, con Arcangeli che si alternano ai Santi Pietro, Giovanni Evangelista, Paolo e Andrea, considerati “i pilastri del
cielo” nella cosmografia di Cosma Indicopleuste, mercante e viaggiatore egiziano del VI secolo.
Nella lunetta della parete dove si apre la porta del Coro, è descritto il “Miracolo del salvataggio di San Placido”, che si
fa fatica ad attribuire al Conxolus. E’ più facile vedervi la mano di un suo Collaboratore, che usa una minore
consistenza plastica e un attento studio psicologico, evidente negli stretti occhi a mandorla, negli ovali allungati e nei
riflessi che convenzionalmente segnano la direzione della luce.
Viene descritto San Mauro, che inconsapevolmente corre sull’acqua del lago, appena San Benedetto gli fa cenno di
salvare San Placido, inavvertitamente cadutovi. Anche ne “Il Miracolo del falcetto” è presente la mano del secondo
Collaboratore, per la fisionomia dei visi, molto rassomiglianti a quelli dell’episodio del pane avvelenato.
La scena è vivace ed espressiva, benché il lago sia rappresentato come una bianca macchia rettangolare, dai bordi
ondulati: a sinistra sta il Goto che porge al santo il bastone senza falcetto, a destra San Benedetto immerge nell’acqua
il bastone, al quale il falcetto miracolosamente si unisce.
Grotta
La Grotta di San Benedetto, chiamata anche “Grotta della Preghiera”, è il principale punto di riferimento di tutto il
sacro complesso.
E’ un anfratto del monte Taleo, dove, come dice san Gregorio Magno nel II libro dei “Dialoghi”, San Benedetto si
ritirò a vita eremitica per tre anni, ignoto a tutti, fuorché a Dio e al monaco Romano, che dall’orlo della roccia
sovrastante, mediante una lunga corda, mandava al Santo il cibo essenziale per la sopravvivenza.
In seguito al tentativo di avvelenamento da parte di Fiorenzo, parroco della chiesa di San Lorenzo, situata sulla riva
sinistra dell’Aniene, San Benedetto abbandonò la grotta ed essa rimase per circa seicento anni solo luogo di preghiera
per quei religiosi che vivevano nel vicino monastero di Santa Scolastica.
Nel 1090 l’abate di tale monastero, Giovanni V, dette al monaco Palombo, che gliene aveva fatto richiesta, il
permesso di stabilirsi nelle immediate vicinanze della grotta e di condurvi vita eremitica. Dopo il 1193 al Sacro
Speco si insediò una comunità di dodici monaci, con una propria amministrazione, guidati da un priore dipendente
dall’abate di Santa Scolastica, e la roccia nella quale la grotta è inserita subì adattamenti e modifiche strutturali, per
agevolarne l’accesso e consentire il normale svolgimento della vita monastica.
Il papa che, in quel periodo, maggiormente ebbe a cuore l’esperienza benedettina, fino a riformarla, fu Innocenzo III,
che andò spesso a Subiaco e valorizzò lo Speco. Ancor oggi è possibile ammirare, all’interno della grotta, un paliotto
d’altare di quell’epoca, opera cosmatesca, testimonianza del gusto che i marmorari romani allora diffondevano.
Alla fioca luce delle dodici lampade si può vedere, inoltre, la bianca statua opera di Antonio Raggi, allievo del Bernini,
che raffigura il giovane Benedetto in preghiera, con le braccia sul petto e gli occhi rivolti alla croce. La nuda roccia
accresce la profonda suggestione del luogo, nel quale non fu e non è difficile “cercare” e trovare Dio.
Cappella di San Gregorio
La Cappella di San Gregorio è un piccolo ambiente absidato, in parte stretto alla roccia, con volta a crociera non
costolonata, al quale si accede dalla Chiesa Inferiore, attraverso una scala a chiocciola, che sostituisce le funzioni di un
antico passaggio voluto dall’abate Giulio Graziani nel 1595.
A destra della finestra si trova, in un pannello rettangolare bruno-oliva, l’affresco che rappresenta San Francesco
d’Assisi, che ha in mano una carta, nella quale si legge: PAX HUIC DOMUI. Ai suoi piedi è raffigurato un piccolo
monaco, con tonaca rosso cupo, che è, forse, il committente dell’opera. Si nota la grande intensità spirituale che
l’autore, detto “il Maestro di Frate Francesco”, volle imprimere nel suo personaggio principale.
L’opera è anteriore al 1224, anno in cui San Francesco ebbe le stimmate, che qua non figurano, come non figura
l’aureola, ad indicare che il santo, in quel tempo, era ancora vivo. Dello stesso autore è l’altro affresco, posto a
sinistra della finestra, che rappresenta il cardinale Ugolino, vescovo di Ostia, divenuto poi papa col nome di
Gregorio IX, dipinto nell’atto di consacrare la cappella a San Gregorio Magno.
Molti riconoscono, nella figura che si trova accanto ad Ugolino, lo stesso San Francesco, che avrebbe assistito a tale
consacrazione. Ugolino è dipinto secondo una formula compositiva, cara al Maestro di frate Francesco, desunta da
una matrice culturale bizantina: la curvatura della figura, nel rispetto della cornice d’arco.
Nell’iscrizione posta sotto l’affresco si legge la data: il secondo anno del pontificato di Gregorio IX (1227-1241); in
tale periodo operò al Sacro Speco questo maestro, autore anche di altri dipinti della Cappella di San Gregorio. Il suo
tocco si riconosce nell’affresco, che sta a destra della finestra, in alto, dove è rappresentato, su fondo color oliva,
bordato di una fascia verde e di un listello, profilato di porpora, a T rossi e bruni, “San Michele Arcangelo”, che scuote
il turibolo, piegato, a seguire la curva della cornice d’arco.
Un’altra opera, attribuita al Maestro di frate Francesco e presente in questa Cappella, è “San Gregorio e Giobbe
piagato e afflitto”, sottoposto a tardivi restauri, che ne hanno irrigidito i profili di alcuni particolari. San Gregorio,
assistito dallo Spirito Santo rappresentato sotto forma di colomba, con il piviale rosso, il pallio e la tiara bordati e
ricamati con oro e perle, si curva su Giobbe seminudo e ricoperto di piaghe.
In tale opera, prescindendo dalle parti mal restaurate, è possibile trovare forza espressiva e sofferenza coinvolgente,
soprattutto nella figura del vecchio Giobbe, che richiama il san Giovanni della “Crocifissione”, opera rappresentata
nella parte alta dell’abside, irrimediabilmente deteriorata e forse ingiustamente attribuita ad altri autori. Nella zona
sottostante è dipinto il “Salvatore benedicente” che ha ai lati san Pietro e san Paolo.
Nella volta sono affrescati i simboli degli evangelisti e quattro cherubini, dei primi anni del 1200, di autori
bizantineggianti. L’ex voto, a destra della finestra, è la “Pietà”, opera quattrocentesca, attribuibile forse ad
Antoniazzo Romano.
Scala Santa
La Scala Santa fu fatta costruire dall’abate Giovanni V (1060-1121) per sostituire lo stretto sentiero, lungo il pendio
del monte Taleo, che San Benedetto percorreva per passare dallo Speco o “Grotta della preghiera” alla “Grotta dei
Pastori” ed incontrarvi le persone desiderose di ascoltare le sue parole.
Oggi, a causa delle modifiche subite da tutto il complesso nel corso dei secoli, l’originaria Scala Santa è ridotta ad un
piccolo tratto, ma conserva tale nome quella che ha inizio dalla Cappella della Madonna. Ad occidente la Scala rasenta
la roccia e ad oriente il muro esterno, dove sta una monofora. La copertura presenta una vasta crociera, ma la roccia
rende tutto un po’ asimmetrico, perché condiziona lo spazio, peraltro affrescato in ogni sua parte.
Prima di arrivare alla Grotta di San Benedetto, sulla sinistra, si ha l’accesso ad una scala a chiocciola, che porta alla
cappella di San Gregorio, correzione fatta durante il restauro del 1925-31. Gli affreschi della Scala Santa, pur nella
asimmetria delle pareti, presentano tre episodi descritti dal Maestro Trecentesco del Sacro Speco, da un suo
Collaboratore e un Aiuto, su temi ricorrenti e letterariamente trattati in quegli anni.
Il primo episodio, “L’incontro dei Tre Vivi e dei Tre Morti, rappresenta tre giovani, due dei quali, intenti a discorrere
tra loro, col falco e la civetta tranquillamente appollaiati sui rispettivi guanti, incuranti o indifferenti a quanto San
Benedetto mostra loro, a differenza di un loro amico, interessato alle parole del Santo, che gli indica l’inevitabile
destino dell’uomo: la corruzione del corpo (le tre bare, infatti, mostrano non tre morti, ma tre fasi diverse della
trasformazione di un solo corpo operata dalla morte); alle sue spalle un monastero turrito, nella solitudine della
campagna, propone, quale contropartita di salvezza, la vita ascetica.
Su un pannello irregolare il cui bordo superiore, curvilineo, muove la scena che si stende lungo le rampe, è
affrescata “La Cavalcata della Morte”. La morte, con spada sguainata, procede a ritmo sostenuto, incurante di
quanti travolge nel suo passare (nobili, monaci, giovani, dame), desiderosa di colpire due cacciatori del tutto ignari
del suo arrivo. Qui è evidente la presenza di un Collaboratore del Maestro, ben più esperto dell’Aiuto, la cui mano è
palese nel “Battesimo di Gesù”, soprattutto nella faccia smunta di Cristo e di san Giovanni, dipinto nel sott’arco,
vicino alla rappresentazione di un bosco lussureggiante.
La mano del Maestro, invece, si evidenzia nell’allineamento del bosco, del lago e delle pietre e nell’impaginazione
globale dell’affresco.
Cappella della Madonna
La Cappella della Madonna, risultato costruttivo di un rifacimento del XIV secolo, è situata sotto la Cappella di San
Gregorio.
La sua ampia apertura immette nella Scala Santa. Nonostante l’irregolarità delle pareti, che seguono l’andamento
della roccia, fu interamente affrescata dal Maestro trecentesco del Sacro Speco, dal suo Collaboratore e dagli Aiuti,
tanto bene da coinvolgere lo spettatore nei fatti rappresentati.
Nella vela di volta è dipinta “l’Annunciazione” e nel prospetto sottostante la “Natività” e “l’Adorazione dei Magi”; se si
ruota di 180 gradi, nella vela opposta si vede la “Presentazione al Tempio” e nei sottarchi della volta d’ingresso la
“Strage degli Innocenti” e la “Fuga in Egitto”. “L’Annunciazione” è raffigurata dentro un’edicola triabsidata, che,
inserita tra i costoloni della crociera, dà l’impressione di una finestra ogivale, la cui profondità è accentuata dal cielo
stellato.
L’ampio seggio ligneo, ornato e traforato, è in asse con la Vergine, ma non è da ogni parte visibile; come le absidi,
evidenti solo a chi le guarda da destra, in una prospettiva dinamica e rotatoria imposta dalla struttura stessa della
Cappella.
Nella parete ogivale sottostante, dall’oculo incorniciato, parte in verticale una linea immaginaria che divide la scena
della “Natività” da quella dell’ “Adorazione dei Magi”, ben visibili entrambe soprattutto da chi sta a sinistra.
Nella prima, una sottile tettoia lignea sostituisce la grotta-montagna di tradizione bizantina, mentre il bue e l’asinello
sono piccoli e quasi lontani; San Giuseppe, pensoso, siede vicino alla Vergine, ben modellato nel corpo, nonostante lo
spazio ristretto; l’angelo e i pastori occupano spazi che ne lasciano presagire altri più ampi: il piccolo Gesù si impone
non solo perché è al centro della scena, ma perché un fascio radioso lo investe.
Il Collaboratore del Maestro ha lasciato la sua impronta nell’Adorazione dei Magi, soprattutto nel Re inginocchiato,
senza corona, nel bambino che gioca con i suoi capelli e negli altri due Magi, ben contenuti nell’ansa della roccia.
La “Presentazione di Gesù al Tempio” è dipinta nella vela di volta, tra i costoloni ai quali perfettamente si adattata.
Nella “Strage degli Innocenti” l’uso di modelli convenzionali non contrasta con la descrizione, quasi recitativa, della
morte inflitta dai soldati e con la disperazione delle madri, espressa in forme diverse. L’irregolarità della parete offre
adeguato spazio alla “Fuga in Egitto”, con tre figure separate da due alberi, secondo gli schemi del Maestro. Da
segnalare, inoltre, la scena della “Dormitio Mariae”, alla quale, sul lato opposto corrisponde la “Crocifissione”; la scena
dell’ “Assunzione”, alla quale corrisponde “Maria in trono” e la scena della “Madonna della Misericordia”, alla quale
corrisponde l’ “Incoronazione”: testimonianza del culto mariano vivo nel Trecento. Nella volta di accesso alla Cappella
sono presenti in medaglioni mistilinei “San Giovanni Battista”, “San Lorenzo”, “Santo Stefano” ed altri Santi, nonché i
busti dei Profeti, secondo l’uso dei pittori umbri di quegli anni.
Grotta dei Pastori
La Grotta dei Pastori è posta ad un livello inferiore rispetto alla Grotta di San Benedetto. Qui, secondo la narrazione
fatta da San Gregorio Magno nel II libro dei Dialoghi, il Santo scendeva per incontrare i pastori e quanti abitavano
nella valle dell’Aniene, che accorrevano per ascoltare le sue parole.
Una lapide ricorda i nomi dei Benedettini più famosi, che diffusero la fede in Europa e nel mondo. Nel VII secolo sulla
viva roccia fu steso uno strato di intonaco per affrescarvi una Madonna che porta il Bambino ritto sul grembo,
secondo l’uso degli artisti di Bisanzio.
Ai fianchi della Vergine stanno due santi; su quello a destra si legge: S.LV e più a destra: S. SIL.. Tale affresco è stato
considerato una prova evidente degli scambi artistico-culturali allora esistenti tra l’Oriente Bizantino e l’Occidente
Romano, favoriti dai frequenti passaggi in occidente di monaci orientali e, in oriente, di monaci benedettini.
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