la causalità nella fisica del xx secolo: una

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QUAESTIO. ANNUARIO DI STORIA DELLA METAFISICA, 2 (2002), pp. 25-48
Federico Laudisa
LA CAUSALITÀ NELLA FISICA DEL XX SECOLO:
UNA PROSPETTIVA FILOSOFICA
1. Introduzione
La denominazione «legge di natura» (o altre simili, come «legge scientifica», «legge naturale» o
semplicemente «legge») non è un termine tecnico che abbia la sua definizione in qualche
scienza sperimentale [...] L’espressione «legge di natura» è indubbiamente vaga. Quindi
qualsiasi spiegazione del suo significato che proponga una netta demarcazione tra asserzioni
considerabili come leggi e asserzioni non considerabili come tali è arbitraria. [...]
Pur tuttavia i membri della comunità scientifica si accordano abbastanza bene
sull’applicabilità del termine a una classe di asserzioni universali considerevoli, benché
vagamente delimitata. Vi è quindi una certa base per supporre che quando si applica tale
denominazione, almeno in quei casi in cui il consenso è sicuro, ciò sia regolato dalla
sensazione di una differenza nello status e nella funzione «obiettivi» di quella classe di
asserzioni.1
Così si esprimeva Ernst Nagel, nel suo ormai classico The Structure of Science (1961), a proposito
del concetto di legge naturale. La descrizione dell’ambiguo statuto della nozione di legge naturale
data da Nagel può essere riportata, sotto aspetti importanti, al caso della nozione di causalità
fisica: questa si rivela ricca di insidie teoriche quando si tenti di fornirne una definizione e una
teoria compiute dal punto di vista logico ed epistemologico, e svolge tuttavia un ruolo di primo
piano nell’indagine fisica.
Lo sviluppo della nozione di causalità nella storia della fisica moderna veniva per esempio
delineato nei suoi passaggi fondamentali in un articolo pubblicato nel 1966 da Thomas S. Kuhn.
L’analisi kuhniana si fondava in modo essenziale su una distinzione tra un concetto “ristretto” di
1
E. Nagel, The Structure of Science, Harcourt, Brace & World Inc., New York 1961, trad. it. La struttura della scienza,
Feltrinelli, Milano 1968, 35.
1
causa, che veniva identificato con il concetto aristotelico di causa efficiente, e un concetto
“ampio” di causa, che veniva invece identificato con il più generale concetto di spiegazione.
Nell’analisi di Kuhn, la rivoluzione scientifica del
XVII
secolo arrivò a ‘distillare’ il concetto di
causa efficiente dal complesso della dottrina causale aristotelica, continuando ad assegnare ad
esso un ruolo centrale nell’indagine del mondo naturale. Con la successiva evoluzione della fisica
moderna, secondo Kuhn, il concetto di causa - nel suo senso ristretto - subì un processo di
graduale dissolvenza nel concetto di spiegazione, una dissolvenza che arriva al suo punto finale
proprio nel XX secolo.
Il concetto ristretto di causa, benché sia stato una parte vitale della fisica dei secoli XVII e
XVIII,
ha visto declinare la sua importanza nel XIX ed è praticamente scomparso nel XX. Le
più importanti eccezioni vertono su fenomeni particolari che soltanto in apparenza violano la
teoria fisica attuale. Essi vengono spiegati isolando la causa particolare dell’anomalia e
scoprendo quell’elemento che si era trascurato nella soluzione iniziale del problema.
All’infuori di questi casi, la struttura della spiegazione fisica ha una notevole somiglianza con
quella che Aristotele aveva sviluppato nella sua analisi delle cause formali. Si deducono certi
effetti da un certo numero di proprietà specifiche o innate di entità con le quali la
spiegazione ha a che fare. Lo status logico di queste proprietà e le spiegazioni che ne sono
state dedotte corrispondono a quelle aristoteliche. La causa in fisica è di nuovo diventata
causa in senso ampio, cioè spiegazione.2
Uno sguardo retrospettivo più generale avrebbe potuto legittimare le conclusioni kuhniane
relative alla fisica. Nella prima metà del
XX
secolo il predominio dell’empirismo logico
nell’epistemologia e nella filosofia della scienza, vale a dire in quell’area della riflessione filosofica
nella quale si collocano naturalmente le discussioni sullo statuto e la rilevanza della nozione di
causalità, ha determinato una tendenza a negare il carattere fondamentale e primitivo della
causalità e ad esprimerne il contenuto nei termini di nozioni non causali - una tendenza che ha
naturalmente nella teoria humeana della causalità il suo punto di riferimento ideale. Insieme alla
2T.S. Kuhn , La nozione di causalità nello sviluppo della fisica, in La tensione essenziale, Einaudi, Torino, 1985 (ed. orig. The
Essential Tension, The University of Chicago Press, Chicago, 1977), 34. Vale la pena di ricordare che, secondo altri
eminenti studiosi, è proprio nel secolo di Galilei e Newton che si determina una vera e propria eliminazione delle
cause dall’orizzonte filosofico e scientifico. Proprio l’atteggiamento anticausale rappresenta per esempio per Stillman
Drake, studioso tra i più autorevoli della cinematica galileiana, uno dei principali elementi di modernità della
rivoluzione galileiana (si veda in particolare S. Drake, Cause, Experiment and Science, University of Chicago Press,
Chicago, 1981). Secondo altri studiosi, come William A. Wallace, argomentazioni e spiegazioni causali ricorrono
invece lungo l’intero sviluppo dell’opera galileiana: “il problema della causalità nella scienza [di Galileo] è chiaramente
non se egli abbia ricercato spiegazioni causali, ma come egli le abbia cercate e come abbia pensato che esse potessero
condurre a una conoscenza certa e indiscutibile del mondo fisico” (W.A. Wallace, The Problem of Causality in Galileo’s
Science, in «Review of Metaphysics», 36 (1983), 624). Per un sintetico quadro della questione, cfr. F. Laudisa, Causalità.
Storia di un modello di conoscenza, Carocci, Roma, 1999, 40-44, 106.
2
riflessione sui risultati della logica matematica del diciannovesimo secolo e degli inizi del
ventesimo, lo sviluppo dell’eredità humeana costituisce infatti uno dei tratti caratteristici
dell’empirismo logico. Il richiamo della riflessione filosofica humeana sulla causalità ha però
un’ulteriore motivazione, di carattere più teoretico che storico. Tale riflessione ha infatti due
componenti fondamentali, una ‘negativa’ e una ‘positiva’. Nel primo senso, Hume prende in
esame la nozione di causalità così come essa emerge nella nostra intuizione e nell’uso che di tale
nozione fanno tutti coloro che la impiegano quotidianamente in modo non problematico, e si
interroga sulla consistenza logica di tale nozione. Questo tipo di analisi può essere correttamente
definita anche come un’analisi concettuale: essa ha un esito ‘negativo’ perché porta a concludere
non soltanto che l’idea di connessione necessaria - costitutiva secondo Hume nella nozione di
causalità nel suo uso comune - non deriva da un’impressione originaria e dunque non soddisfa il
criterio di significanza enunciato all’inizio del Trattato, ma anche che - data una qualsiasi coppia di
eventi che riconosciamo come causalmente connessi - la tendenza a intendere l’idea di
connessione necessaria nei termini di una sorta di potere manifestato da un evento nei confronti
dell’altro è essa stessa infondata:
quando parliamo di una connessione necessaria fra oggetti, e supponiamo che questa
connessione dipenda dall’efficacia o energia della quale uno di questi oggetti sia dotato: in
tutte queste espressioni, così applicate, non c’è, in realtà, nessun significato distinto, e
adoperiamo parole comuni senza idee chiare e determinate.3
Hume tuttavia sviluppa anche un’analisi empirica della causalità, che si propone di isolare le
caratteristiche fondamentali di relazioni che si suppone esistano effettivamente ‘negli oggetti’ e
che si configura dunque come un’analisi ‘positiva’:
E a chi dice che le operazioni della natura sono indipendenti dal nostro pensiero e dai nostri
ragionamenti, si può consentire: infatti io ho osservato che gli oggetti hanno tra loro
relazioni di contiguità e di successione, e che oggetti simili hanno in molti casi una
somiglianza di relazioni: tutto ciò è indipendente e anteriore alle operazioni dell’intelligenza.4
Sulla base di questa distinzione nella dottrina causale di Hume, il principale contributo
all’analisi della causalità da parte di alcuni dei filosofi appartenenti alla tradizione dell’empirismo
logico si colloca più sul versante concettuale che non su quello empirico. Saranno piuttosto le
3
4
D. Hume, Trattato sulla natura umana, in Opere filosofiche, 4 voll., Laterza, Roma-Bari, 1987, vol. I, 177.
D. Hume, Trattato, cit. 183.
3
successive teorie regolariste a sviluppare la componente ‘positiva’ della riflessione humeana sulla
causalità, fondata sulla definizione di causa come di “un oggetto precedente e contiguo a un altro,
e tale che tutti gli oggetti somiglianti al primo sono posti in relazioni simili di precedenza e
contiguità con quegli oggetti che somigliano al secondo”.5
Se questa era dunque l’ispirazione fondamentale dell’epistemologia della prima metà del secolo
scorso6, il declino dell’empirismo logico nella sua versione più rigida nel secondo dopoguerra e la
sua cosiddetta “liberalizzazione”, storicamente coincidente con l’emigrazione negli Stati Uniti di
gran parte degli esponenti del movimento filosofico neoempirista, hanno reso possibile un
ripensamento delle questioni epistemologiche connesse alla nozione di causalità: accanto a un
affinamento e a un’evoluzione dinamica di approcci empiristi alla teoria della conoscenza nei
quali la causalità recuperava un ruolo preciso, sono state sviluppate analisi della causalità che
conferiscono a questa nozione una nuova centralità. Con l’ironia tipica di certi corsi e ricorsi
filosofici, tale centralità è stata non di rado giustificata proprio con il ricorso a esempi provenienti
dalla fisica (principalmente in connessione con la fisica relativistica e quella statistica)7, vale a dire
quella disciplina che nell’epoca neoempirista contribuiva a sostenere tacitamente ma diffusamente
un atteggiamento di agnosticismo causale se non di aperto scetticismo.
La fase di maggiore influenza dell’empirismo logico coincide storicamente anche con l’epoca
della nascita e del consolidamento di due teorie fisiche fondamentali - la teoria della relatività e la
teoria quantistica - che inducono a un profondo ripensamento di nozioni dotate di un’antica
tradizione filosofica e che coinvolgono quindi in modo sostanziale anche il concetto di causa.
Alla luce di questa circostanza, la struttura del presente lavoro è funzionale a un’analisi della
5
D. Hume, Trattato, cit. 184. Sulle teorie regolariste della causalità cfr. i riferimenti citati alla successiva nota 24.
Accanto al richiamo all’eredità humeana, non mancarono di manifestarsi anche posizioni esplicitamente anticausali,
come quella sostenuta da Bertrand Russell nel suo celebre saggio On the Notion of Cause, pubblicato originariamente
nel 1912, nel quale si sosteneva la necessità non tanto di ‘degradare’ la nozione di causalità quanto di eliminarla in
favore di nozioni ritenute più generali e più aderenti all’effettiva pratica scientifica come quella di dipendenza
funzionale. Sebbene l’idea di ridurre la causalità a una relazione di dipendenza funzionale fosse già stata avanzata da
Ernst Mach dapprima in un lavoro del 1872 sulla conservazione dell’energia e successivamente nel suo libro del 1883
dedicato alla storia della meccanica (E. Mach, Die Geschichte und die Wurzel des Satzes von der Erhaltung der Arbeit, Calve,
Praha 1872; IDEM, Die Mechanik in ihrer Entwicklung historich-kritisch dargestellt, Brockhaus, Leipzig 1883, trad. it. La
meccanica nel suo sviluppo storico-critico, Boringhieri, Torino 1968), l’articolo di Russell costituì l’espressione più nota e
vigorosa di tali posizioni., (On the Notion of Cause, in Mysticism and Logic, Allen & Unwin, London 1917, trad. it. Sul
concetto di causa, in Misticismo e logica, Longanesi, Milano 1964). La posizione di Russell sulla nozione di causalità (come
peraltro sulla quasi totalità dei problemi affrontati dal filosofo britannico) non è rimasta immutata nel tempo: si
vedano in proposito E.R Eames, Cause in the Later Russell, in C.D. Wade Savage, C.A. Anderson (eds.), Rereading
Russell: Essays in Bertrand Russell’s Metaphysics and Epistemology, Minnesota Studies in the Philosophy of Science,
Minnesota University Press, Minneapolis, 1989, 264-280, e P. Dowe, Physical Causation, Cambridge University Press,
Cambridge, 2000, 62-66.
6Va comunque ricordata la permanenza di un approccio neokantiano alla causalità, rappresentato principalmente in
una parte rilevante dell’opera di Ernst Cassirer: si vedano in proposito i saggi di D. Gawronsky, Cassirer’s Contribution
to the Epistemology of Physics e W.H. Werkmeister, Cassirer’s Advance beyond Neo-Kantianism, entrambi pubblicati in P.A.
Schilpp (ed.), The Philosophy of Ernst Cassirer, Todor Publ. C., New York 1949, 19582.
4
nozione di causalità che tenga conto della sua dimensione tanto scientifica quanto filosofica.
Dopo una sintetica presentazione della nascita e del consolidamento delle teorie relativistiche e
quantistiche8, introdurremo le nozioni di determinismo, predicibilità e causalità in una forma che
le renda adatte alla discussione del loro ruolo nelle teorie fisiche attuali. Come risulterà chiaro
dalle conclusioni di questa sezione, si tratta di nozioni concettualmente indipendenti e la
chiarificazione delle relazioni che sussistono tra loro è fondamentale per un’analisi del ruolo della
causalità sia in fisica relativistica sia in quella quantistica. Alla luce di queste premesse,
esamineremo il ruolo della causalità rispettivamente nella teoria della relatività speciale e nella
meccanica quantistica: come avremo modo di vedere, numerosi sono in questo ambito gli
argomenti infondati e le incomprensioni che nascono da una mancata distinzione tra
determinismo e causalità. Non mancheranno da questo punto di vista riferimenti ai testi di alcuni
dei filosofi del Novecento che, nella loro discussione sul significato e il ruolo della nozione di
causalità, hanno tenuto in maggior conto le indicazioni provenienti dal campo della fisica.
2 La rivoluzione concettuale nella fisica del Novecento: relatività e quanti
La trasformazione dell’immagine del mondo fisico che le teorie del ventesimo secolo hanno
determinato è stata talmente profonda ed estesa da influenzare ampi settori della cultura anche
extrascientifica. Le nuove modalità con cui la fisica guardava a nozioni come quelle di spazio e
tempo o a idee guida come quella di continuità della materia hanno indotto filosofi, letterati e
psicologi a ripensare profondamente concetti centrali del loro campo di indagine, anche se - è il
caso di sottolinearlo - il carattere necessariamente analogico e metaforico di tali riflessioni ha
generato talvolta confusioni e incomprensioni sull’autentica lezione che abbiamo appreso dalle
teorie relativistiche e quantistiche. Nel delineare brevemente le principali acquisizioni della fisica
del Novecento e la loro rilevanza concettuale, cercheremo dunque di attenerci al significato fisico
di tali acquisizioni, nella convinzione che non sia affatto necessario rivestire la teoria della
relatività e la meccanica quantistica di metafore ‘ad effetto’ per coglierne la profondità e
l’interesse anche quando siano esaminate con uno sguardo attento alle loro implicazioni
filosofiche.
7 Il riferimento è alle teorie della causalità che si fondano sulla centralità di alcune leggi fisiche di conservazione (cfr.
P. Dowe, Physical Causation, cit.) e alle teorie della causalità probabilistica (cfr. E. Eells, Probabilistic Causality,
Cambridge University Press, Cambridge 1991).
8 Ci riferiremo in particolare alla teoria della relatività speciale e alla meccanica quantistica non relativistica. Il ruolo
della causalità nella teoria quantistica dei campi - cioè la teoria che combina le suddette teorie in un senso adeguato è naturalmente un tema di grande interesse, ma che non tratteremo per ragioni di spazio e di complessità formale.
5
La teoria della relatività, una teoria che viene associata al nome di Albert Einstein ma il cui
sviluppo vede coinvolte altre grandi figure della fisica tra XIX e XX secolo come Poincaré e
Lorentz, deve il suo nome alla centralità del cosiddetto principio di relatività:
La teoria della relatività ristretta è fondata sul seguente postulato, al quale soddisfa anche la
meccanica di Galileo e Newton: se un sistema di coordinate è scelto in modo tale che le leggi
fisiche siano soddisfatte nella loro forma più semplice, le stesse leggi devono essere
soddisfatte se riferite ad ogni altro sistema di coordinate K′ che si muova di moto traslatorio
rettilineo uniforme rispetto al sistema K.9
Come si deduce anche da questo passo (contenuto nell’articolo di Einstein del 1916 che
introduce la teoria della relatività generale), il principio di relatività è in realtà alle origini stesse
della fisica moderna. Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632), Galileo esprime con la
massima chiarezza tale principio, ricorrendo alla celebre immagine di una nave in movimento
nella cui stiva immaginiamo di chiuderci in modo da non poter vedere la costa rispetto alla quale
la nave si sta muovendo: a condizione che la nave si muova di moto “uniforme e non fluttuante”
rispetto alla costa - argomenta Galileo - i fenomeni che si svolgono all’interno della stiva ci
appariranno regolati dalle stesse leggi che li regolano sulla terra ferma e non ci sarà possibile
distinguere, restando nella stiva, se siamo fermi nel porto o se invece stiamo navigando in mare
aperto.10 Nel contesto del Dialogo galileiano e della sua difesa dell’astronomia copernicana, questo
si traduce nel postulare l’impossibilità di stabilire se la Terra, assunta come sistema di coordinate,
sia in uno stato di quiete o di moto mediante osservazioni sul moto di corpi effettuate sulla Terra
stessa. L’assunzione di tale principio si giustifica con l’“accompagnamento” del moto della Terra
da parte dei corpi, e ciò per il fatto che il moto di questi ultimi si conserva in assenza di
impedimenti esterni. Il principio di relatività si giustifica dunque nei termini di una formulazione
del concetto di inerzia:
Questa legge [il principio di relatività] ha chiaramente origine nella legge di inerzia, secondo
cui, in assenza di forze, si ha un moto di traslazione. Perciò un sistema di corpi, tutti in moto
nello spazio con la stessa velocità costante, non soltanto è in quiete per quanto riguarda la
posizione reciproca dei corpi, ma è tale che su essi non agiscono nemmeno forze che si
manifestino come conseguenza del moto. Ma se i corpi del sistema esercitassero forze l’uno
sull’altro, i moti da esse causati sarebbero moti relativi, che avverrebbero proprio come se il
9
A. Einstein, I fondamenti della teoria della relatività generale, in Opere scelte (a cura di E. Bellone), Bollati Boringhieri,
Torino 1988, 283.
10 G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Einaudi, Torino 1975, 227 ss.
6
moto comune di traslazione non avesse luogo. Quindi, per un osservatore in moto con il
sistema, esso non potrebbe essere distinto da un sistema in quiete.11
Lo sviluppo rigoroso della fisica successiva portò poi ad esprimere formalmente l’intuizione di
Galileo. In una descrizione matematica astratta12 si introduce la nozione di spazio-tempo
galileiano, rappresentato da una struttura <U, T, ρ >, dove:
1. U è uno spazio affine quadrimensionale i cui elementi rappresentano eventi;
2. T è un’applicazione da U nell’insieme R del numeri reali che rappresenta il tempo e che
permette di definire la nozione di intervallo di tempo e dunque la relazione di contemporaneità tra
eventi (due eventi sono contemporanei quando il loro intervallo temporale è pari a 0);
3. ρ è una distanza tra eventi contemporanei.
Un caso particolare dell’insieme degli eventi è dato dal prodotto diretto R×R3, che rappresenta lo
spazio galileiano delle coordinate. Si definisce poi gruppo galileiano il gruppo di tutte le trasformazioni di
uno spazio galileiano che conservano la struttura dello spazio stesso: la traslazione dell’origine e la
rotazione degli assi di coordinate sono due esempi di tali trasformazioni.
Se questa è la struttura formale mediante la quale si rappresentano eventi in uno spazio-tempo,
la descrizione del moto di un sistema fisico all’interno di un tale spazio viene realizzata per mezzo
di adeguate equazioni del moto, la principale delle quali è l’equazione di Newton
F = m d2x/dt,
(1)
dove x ∈ R3, t ∈ R, e d2x/dt rappresenta l’accelerazione (derivata seconda rispetto al tempo t
della posizione x). L’equazione di Newton è un’equazione differenziale ordinaria e la teoria delle
equazioni differenziali ordinarie ci assicura - grazie a teoremi di esistenza e unicità - che,
nell’applicazione dell’equazione di Newton a casi concreti dotati di significato fisico, il moto del
sistema meccanico studiato viene determinato univocamente dalla posizione e velocità iniziali e
dalla particolare forza che agisce sul sistema. Inoltre è possibile mostrare che l’equazione di
Newton risulta invariante per trasformazioni galileiane, vale a dire essa conserva la stessa forma
quando venga scritta nei termini di coordinate x′ e t′ che siano le trasformate galileiane di x e t.
Siano per esempio x′ e t′ le coordinate di un sistema fisico S in un sistema di riferimento
11
M. Born, La sintesi einsteiniana, Boringhieri, Torino 1986, 93. Nel caso specifico di Galileo, si tratta di una
formulazione del concetto di inerzia ancora estremamente embrionale, dal momento che non esiste ancora un’analisi
rigorosa del concetto di forza: cfr. R.S. Wallace, The Construction of Modern Science. Mechanisms and Mechanics, Wiley &
Sons, New York 1971, trad. it. La rivoluzione scientifica del XVII secolo, Il Mulino, Bologna 1984, 25-35. Sulla dibattuta
questione se Galileo stesso consideri inerziale sia il moto rettilineo uniforme sia il moto circolare uniforme cfr. S.
Bordoni, Eleveremo questa congettura... Percorso storico verso la teoria della relatività ristretta, La Goliardica, Pavia 1995, pp.
102-114.
12Cfr. p.es. V.I. Arnold, metodi matematici della meccanica classica, Editori Riuniti, Roma 1979, cap. I.
7
inerziale13 K′ in moto rettilineo uniforme con velocità u rispetto al sistema di riferimento K di
coordinate x e t (si tratta intuitivamente di una traslazione dell’origine degli assi di coordinate). Le
trasformazioni galileiane associate a questa traslazione hanno allora la forma 14
x′ = x − ut,
(2)
t′ = t.
(3)
A questo punto l’equazione di Newton in K′ diventerà, per le (2)-(3) e per le proprietà del calcolo
differenziale15,
F = m d2x′/dt′ = m d2(x − ut )/dt′ = m d2x/dt.
Si recupera cioè la stessa forma per l’equazione di Newton anche in K′. Questa circostanza
esprime il principio di relatività galileiana, in base al quale le leggi del moto sono valide nella
stessa forma in ogni sistema di riferimento inerziale.
Alla luce dunque della centralità di un generale principio di relatività, la tensione fondamentale
che porterà all’introduzione della teoria einsteiniana della relatività - nella forma ‘ristretta’ o
‘speciale’, cioè riguardante i soli sistemi di riferimento inerziali16 - consiste nel fatto che le leggi
dell’elettromagnetismo, che descrivono i fenomeni elettrici, magnetici e ottici e che si riassumono
nelle celebri equazioni introdotte da Maxwell nella seconda metà del XIX secolo, risultano non
invarianti per trasformazioni di Galileo. Un modo intuitivo per comprenderne il motivo chiama
in causa la luce, che in base alla teoria di Maxwell risulta una particolare forma di radiazione
elettromagnetica. Come ogni radiazione, essa viene concepita come propagantesi in un mezzo,
che nel caso della luce veniva definito ‘etere’. Ora se indichiamo con c la velocità della luce nel
vuoto nel sistema di riferimento K in quiete rispetto all’etere, e supponiamo di considerare un
sistema di riferimento K′ in moto di velocità u rispetto a K, l’applicazione della trasformazione
galileiana (2) porta a un’espressione c′ = c − u per la velocità della luce in K′ , e questo implica a
sua volta che le leggi di Maxwell avranno forma diversa in K e in K′.
Di fronte alla conseguente alternativa tra teoria elettromagnetica di Maxwell e principio di
relatività galileiano, Einstein scelse allora di enunciare un diverso principio di relatività, espresso
formalmente non più dalle trasformazioni di Galileo ma dalle cosiddette trasformazioni di
13 Un sistema di riferimento inerziale è un sistema di riferimento in cui le relazioni spaziali sono regolate dalla
geometria euclidea e nel quale esiste un tempo universale rispetto al quale i sistemi fisici definiti soddisfano la prima
legge di Newton, cioè la legge di inerzia.
14 L’uguaglianza nella (3) esprime il fatto che in meccanica classica il tempo non dipende dal moto.
15 Infatti, in generale (i) la derivata di una somma è uguale alla somma delle derivate e (ii) la derivata di una costante è
pari a 0. Dunque, per (i)-(ii) e per la (3) si ottiene d2(x − ut )/dt′ = d2x /dt′ = d2x /dt.
16 Come noto, la generalizzazione a sistemi di riferimento non inerziali e la conseguente formulazione di una nuova
teoria della gravitazione porterà successivamente Einstein alla formulazione della teoria della relatività generale.
8
Lorentz17, rispetto alle quali le equazioni di Maxwell risultano effettivamente invarianti.
L’assunzione della teoria di Maxwell (riassunta nel postulato della costanza della velocità della
luce) e l’assunzione di un principio di relatività generalizzato conduceva dunque alla modifica
delle equazioni newtoniane del moto, nonché a conseguenze come la dipendenza della relazione
di simultaneità dal sistema di riferimento scelto, la contrazione delle lunghezze, la dilatazione dei
tempi - quelle conseguenze che tanto scossero l’immaginazione dei contemporanei.18 Il quadro
teorico venne infine completato con la cosiddetta interpretazione geometrica del matematico H.
Minkowski, che formula rigorosamente le fondamentali proprietà metriche dello spazio-tempo
della relatività speciale. Con la definizione di queste proprietà metriche è possibile definire una
nuova nozione di separazione tra eventi dello spazio-tempo nei termini della nozione di intervallo
spazio-temporale: tale nozione generalizza la nozione classica di distanza spaziale e, per le
modalità stesse con cui viene definita, rende invariante per trasformazioni di Lorentz - cioè della
stessa forma in qualsiasi sistema di riferimento inerziale - la separazione spazio-temporale tra due
eventi qualsiasi.19
La transizione dal XIX al XX secolo è la fase storica che vede l’origine anche della teoria
quantistica, nata per rendere conto di particolari fenomeni che emergevano dallo studio delle
interazioni tra materia e radiazione, uno dei principali capitoli della fisica di fine Ottocento. Nelle
indagini su quel sistema fisico idealizzato noto come corpo nero, vale a dire un corpo in grado di
assorbire tutta la radiazione incidente su di esso, la distribuzione dell’energia in funzione della
frequenza della radiazione non risultava spiegabile nei termini di alcuna legge o generalizzazione
allora disponibile. Nel suo celebre lavoro del 190020Planck riuscì a ottenere la corretta legge di
distribuzione, costruendo un modello di oscillatori armonici risonanti in una cavità e assumendo
che l’energia degli oscillatori (la cui frequenza è indicata con ν) fosse un multiplo intero della
quantità Eν = hν, dove h è una costante. Tale costante - successivamente nota come costante di
Planck - ha le dimensioni di un’azione (energia × tempo). La natura quantica di tale energia fu
cinque anni più tardi estesa da Einstein 21all’energia di tutta la radiazione elettromagnetica, con la
conseguente attribuzione di aspetti corpuscolari alla radiazione stessa: si apriva così la strada a
17
Come noto, questo insieme di trasformazioni fu proposto per la prima volta dal fisico olandese H. Lorentz, che
tuttavia le inquadrava in uno schema teorico che continuava ad assicurare alla nozione di etere (e dunque all’idea di
esistenza di un sistema di riferimento assoluto) una posizione centrale: cfr. D. Bohm, The Special Theory of Relativity,
Routledge, London 1965, 19962, 23-30.
18A. Einstein, Relatività: esposizione divulgativa, Boringhieri, Torino 1967.
19Per un’introduzione sintetica ma rigorosa alla relatività speciale si veda W. Rindler, Introduction to Special Relativity,
Oxford University Press, Oxford 1982.
20M. Planck, Zur Theorie des Gesetzes der Energieverteilung im Normalspectrum, «Verhandlungen der Deutschen
Physikalischen Gesellschaft» 2 (1900), 237-45.
9
quel dualismo onda/corpuscolo che costituisce una delle caratteristiche più singolari della teoria
quantistica. La deroga alla fondamentale continuità dei processi fisici rappresentata dall’ipotesi di
Planck trovò successivamente uno sviluppo - in una serie di lavori pubblicati da Niels Bohr nel
1913 - nella quantizzazione delle orbite permesse nel modello ‘planetario’ dell’atomo, una
quantizzazione che consentì di spiegare un rilevante numero di fenomeni spettroscopici osservati
ma di cui non era possibile fornire una spiegazione nei termini delle teorie classiche esistenti.
Un passaggio cruciale nello sviluppo della teoria quantistica fu rappresentato dall’opera di
Louis de Broglie, che negli anni 1923-25 propose sostanzialmente di estendere la forma di
dualismo introdotta per la radiazione eletromagnetica anche alla materia, formulando gli elementi
essenziali di una meccanica ondulatoria per tutti i fenomeni atomici. L’intuizione di de Broglie fu
portata a compimento con la formulazione nel 1926 dell’equazione fondamentale del moto,
dovuta a Ernst Schrödinger, che descrive l’evoluzione temporale della funzione di stato, l’entità
formale che rappresenta lo stato fisico del sistema in esame. La formulazione delle relazioni di
indeterminazione a opera di Werner Heisenberg (1927) - in base alle quali esiste un limite
inferiore alla precisione con cui determinate coppie di quantità fisiche possono essere
congiuntamente misurate - e l’interpretazione probabilistica di Max Born della funzione di stato
(1929) - in base alla quale il ruolo fondamentale della funzione d’onda non è altro che quello di
prescrivere la probabilità di ottenere un certo risultato qualora si effettui un’adeguata misura della
quantità fisica in esame - condussero la teoria verso una sistemazione formale organica, che fu
raggiunta tra la fine degli anni ‘20 e l’inizio degli anni ‘30 principalmente attraverso l’opera di Paul
Dirac e John von Neumann.22
Nell’interpretazione usuale della struttura formale della teoria, la meccanica quantistica diverge
radicalmente dalle teorie classiche sia nel trattamento dei moti e delle interazioni dei sistemi
microfisici sia nella nozione di misura delle quantità fisiche sui sistemi stessi. La teoria associa
infatti allo stato di un sistema fisico quantistico una funzione complessa dipendente dal tempo menzionata sopra e definita funzione di stato (o più precisamente vettore di stato, dal momento che
l’insieme degli stati ha la struttura matematica di uno spazio vettoriale). L’evoluzione dinamica del
sistema viene descritta mediante un’equazione differenziale - l’equazione di Schrödinger - ma al
contrario del caso classico la funzione di stato è connessa soltanto indirettamente ai valori delle
variabili dinamiche del sistema, nel senso che essa fornisce soltanto la probabilità di trovare uno
dei valori possibili di tali variabili qualora si effettui un’adeguata misura delle variabili stesse sul sistema.
21
A. Einstein, Über einen die Erzeugung und Verwandlung des Lichtes betreffenden heuristischen Gesichtspunkt, «Annalen der
Physik» 17 (1905), 132-48 (trad. it. Un punto di vista euristico relativo alla generazione e alla trasformazione della luce, in A.
Einstein, Opere scelte, Bollati Boringhieri 1988).
22
L’opera storica di riferimento per la nascita e lo sviluppo della teoria quantistica è J. Mehra, H. Rechenberg, The
Historical Development of Quanttum Theory, 6 voll., Springer, Berlin-New York 1982-88.
10
Inoltre l’evoluzione di un sistema quantistico nel corso di un processo di misura non viene
descritta dall’equazione di Schrödinger (un’equazione lineare e deterministica), ma mediante il
cosiddetto postulato di riduzione dello stato, che implica che l’evoluzione durante una misura è di
tipo non lineare e stocastico. La coesistenza di questi due tipi di evoluzione degli stati costituisce
tuttora un problema fondazionale aperto nella teoria, oltre al fatto che per il processo di
riduzione degli stati non esiste una formulazione Lorentz-covariante (cioè relativisticamente
soddisfacente).
3 Determinismo, causalità, predicibilità
Non si sopravvaluta certamente la rilevanza della nozione di causalità se si ricorda che la
tradizione di pensiero relativa all’idea di causa risale alle origini stesse della filosofia occidentale,
quando la nozione di spiegazione puramente razionale in termini di cause emerge come uno dei
principali strumenti per sviluppare e consolidare l’autonomia e la specificità del pensiero
filosofico: l’indagine scientifica moderna, che si distingue sempre più nettamente dalle
speculazioni filosofico-naturali a partire dal XVII secolo, si trova comunque ad ereditare la
centralità dei concetti e delle dottrine causali, sia pure in un processo che ne modifica
gradualmente forme e modalità di espressione.
In una discussione puramente concettuale sul ruolo della causalità nella fisica del XX secolo è
tuttavia opportuno mettere in evidenza una questione preliminare, dalla cui considerazione
dipende la plausibilità stessa di tale discussione. La storia del pensiero filosofico e scientifico degli
ultimi quattro secoli è pervasa dalla tendenza a sovrapporre la nozione di causalità (espressa per
esempio nella forma del principio “per ogni evento a esiste un evento fisico b che causa, produce
o determina a”) a nozioni come quelle di determinismo e predicibilità, nozioni che - pur essendo
strettamente connesse con la causalità - ne sono logicamente indipendenti. È allora il caso di
ricordare le caratteristiche principali di queste nozioni nonché di chiarire i motivi della loro
reciproca indipendenza logica.
La nozione di causalità si esprime nella forma più generale semplicemente in una relazione di
dipendenza regolare tra (classi di) eventi, e le svariate teorie della causalità che sono state
formulate si differenziano proprio su come debba essere caratterizzata tale dipendenza. La
nozione di determinismo è invece relativa a una precisa modalità di evoluzione degli stati di un
sistema fisico in funzione del tempo e di certe particolari condizioni presenti a un certo istante
‘iniziale’. Una teoria che descrive l’evoluzione nel tempo di un dato sistema S è deterministica
quando, dati un certo stato s(t0) di S all’istante t0 e una certa legge dinamica L, lo stato s(t) a un
istante t rimane univocamente determinato da s(t0) e L (dove t è successivo a t0). Se la legge dinamica
11
coinvolta risulta invariante per inversione temporale (cioè conserva la stessa forma qualora alla
variabile temporale t che compare in essa si sostituisca − t), allora la determinazione può valere
anche nel caso in cui t sia precedente a t0.
In generale, non esiste alcuna equivalenza logica tra le due nozioni. Infatti, il determinismo non
implica il sussistere di una relazione di causalità: il fatto che la congiunzione di uno stato s(t0) e
della legge dinamica adeguata determini univocamente qualsiasi stato s(t) a un istante t diverso da
t0 non autorizza a sostenere che s(t0) sia la causa - in un qualsiasi significato intuitivo del termine del fatto che al tempo t lo stato del sistema sia s(t). Viceversa, l’ipotetica esistenza di una relazione
di causalità tra una data coppia di eventi a e b tale che a è causa di b non implica che sistemi fisici
che siano dotati delle proprietà esemplificate dagli eventi a e b manifestino una dinamica
deterministica.23
Su cosa si fonda allora questa sovrapposizione tra determinismo e causalità? Una risposta
plausibile è che in entrambe le condizioni esiste una relazione che potremmo definire di
necessitazione: tra lo stato s(t0) e lo stato s(t) nel caso del determinismo e tra l’evento a (la causa) e
l’evento b (l’effetto) nel caso della causalità. Se infatti nel primo caso riteniamo di aver specificato
s(t0) e a un istante diverso da t0 lo stato del sistema non è quello che prescriverebbe la legge
dinamica, siamo indotti a ritenere che la nostra specificazione di s(t0) non fosse in realtà completa.
Analogamente, se nel secondo caso riteniamo di aver accertato il verificarsi di a e non accertiamo
il verificarsi di b, allora siamo indotti a ritenere che eventi a noi sconosciuti si siano ‘interposti’
all’azione causale di b.
Tale necessità è stata talvolta associata anche all’idea di legge fisica, così da giustificare tesi come
quella espressa da Moritz Schlick in un articolo sul quale torneremo in relazione alla causalità in
meccanica quantistica, pubblicato nel 1931 e intitolato La causalità nella fisica contemporanea: nella
prospettiva di Schlick “«causalità» non è che un altro termine per indicare l’esistenza di una legge.
Il contenuto del principio di causalità è costituito evidentemente dall’affermazione che tutto nel
mondo si svolge secondo leggi; è dunque la stessa identica cosa se asseriamo la validità del
principio di causalità o la sussistenza del determinismo.”24
23
Sull’inequivalenza logica tra determinismo e predicibilità si veda p. es. J. Earman, A Primer on Determinism, Reidel,
Dordrecht 1986, 5-10.
24
M. Schlick, Die Kausalität in der gegenwärtigen Physik, «Die Naturwissenschaften» 19 (1931) (trad. it La causalità nella
fisica contemporanea, in Tra realismo e neopositivismo, Il Mulino, Bologna 1974, 40). In posizioni come quella di Schlick, il
collegamento con la nozione di legge si giustifica anche in relazione alla concezione regolarista della causalità tipica
dell’empirismo. In questa concezione (si veda p. es. A.J. Ayer, Language, Truth and Logic, Gollancz, London 1936, trad.
it. Linguaggio, verità e logica, Feltrinelli, Milano 1975, cap. 2), l’asserzione di una connessione causale tra un evento x e
un evento y nei termini di una determinata successione regolare equivale precisamente ad enunciare l’esistenza di una
legge, che prescrive che ogni volta che si verifica un evento (di tipo) x, allora si verifica un evento (di tipo) y.
Sull’argomento cfr. Laudisa, Causalità. Storia di un modello di conoscenza, cit., 80-86, M. Kistler, Causalité et lois de la nature,
Vrin, Paris 1999, 17-33 e, sempre di Kistler, il contributo al presente volume.
12
L’assunzione di equivalenza tra causalità e determinismo, oltre ad essere logicamente
insostenibile, ha costituito anche la principale motivazione per un’ulteriore assunzione di
equivalenza - quella tra determinismo e predicibilità - codificata nella celebre immagine di
Laplace, contenuta nella prefazione al suo trattato su quella che è nota come teoria classica della
probabilità 25. Tale identificazione venne condivisa anche da filosofi pienamente consapevoli della
rilevanza della teoria della probabilità per la scienza moderna, come C.S. Peirce. Nel suo saggio
Esame della dottrina della necessità (pubblicato nel 1892), il filosofo americano definisce necessitarismo
la “credenza comune che ogni singolo fatto dell’universo sia determinato con precisione da una
legge”26, collegandola all’idea della predicibilità illimitata:
La proposizione in questione [cioè il necessitarismo] è che lo stato di cose esistente in un
momento qualunque, insieme con certe leggi immutabili, determina completamente lo stato
di cose in ogni altro momento (poiché una limitazione al tempo futuro non è sostenibile).
Così, dato lo stato dell’universo nella nebulosa originaria, e date le leggi della meccanica, una
mente sufficientemente capace potrebbe dedurre da questi dati la forma precisa di ogni
ghirigoro di ogni lettera che sto ora scrivendo.27
Questa assunzione di equivalenza è stata ripresa e generalizzata, sia pure in un contesto
diverso, anche in tempi più recenti come nel caso di K.R. Popper, che nel suo libro L’universo
aperto, propone la seguente definizione:
Il determinismo scientifico è la dottrina secondo la quale lo stato di qualsiasi sistema fisico
chiuso a qualsiasi istante futuro può essere predetto, anche dall’interno del sistema, con
qualsiasi grado specificato di precisione, deducendo la predizione dalle teorie, in
25
“Dovremmo considerare lo stato presente dell’universo come l’effetto del suo stato antecedente e la causa del suo
stato successivo. Un’intelligenza che conoscesse tutte le forze operanti in natura in un dato istante e le posizioni
istantanee di tutte le cose dell’universo, sarebbe in grado di comprendere in un’unica formula i moti dei più grandi
corpi e quelli dei più leggeri atomi al mondo, a condizione che il suo intelletto fosse sufficientemente potente da
sottoporre ad analisi tutti i dati: per tale intelligenza, niente sarebbe incerto, il futuro e il passato sarebbero presenti
davanti ai suoi occhi. Dovremmo considerare lo stato presente dell’universo come l’effetto del suo stato antecedente
e la causa del suo stato successivo. Un’intelligenza che conoscesse tutte le forze operanti in natura in un dato istante e
le posizioni istantanee di tutte le cose dell’universo, sarebbe in grado di comprendere in un’unica formula i moti dei
più grandi corpi e quelli dei più leggeri atomi al mondo, a condizione che il suo intelletto fosse sufficientemente
potente da sottoporre ad analisi tutti i dati: per tale intelligenza, niente sarebbe incerto, il futuro e il passato sarebbero
presenti davanti ai suoi occhi.” P.S. Laplace, Essai philosophique sur les probabilités, in Oeuvres Complètes, Paris 1814 (trad.
it. Saggio filosofico sulle probabilità, in Opere, UTET, Torino 1967). Come ricorda Mauro Dorato nel suo libro Futuro aperto e
libertà. Un’introduzione alla filosofia del tempo, Laterza, Roma-Bari 1997, 274, la definizione laplaciana era stata anticipata
da Ruggero Boschovich nel 1758.
26
C.S. Peirce, The doctrine of necessity examined, in «The Monist», 2 (1892), pp. 321-37, trad. it. Esame della dottrina della
necessità, in Scritti di filosofia (a cura di W.J. Callaghan), Cappelli, Bologna 1978, 194.
27
Peirce, Esame della dottrina della necessità, cit., 195, corsivo nell’originale.
13
congiunzione con condizioni iniziali il cui grado di precisione richiesto può essere sempre
calcolato. 28
L’assunzione di equivalenza tra determinismo e predicibilità risulta tuttavia anch’essa
infondata. In primo luogo, chi sostenga una tale equivalenza è tenuto a intendere la predicibilità
in senso ‘assoluto’, nel senso di escludere dalla definizione di questa condizione la possibilità di
predire non stati o valori precisi di quantità fisiche bensì probabilità di ottenere quegli stati o quei
valori. In secondo luogo, esistono fenomeni fisici ben noti e descritti formalmente dalle teorie dei
sistemi dinamici non lineari - sono sufficienti tre corpi in reciproca in interazione gravitazionale che rappresentano un controesempio alla tesi dell’equivalenza tra determinismo e predicibilità: i
sistemi fisici coinvolti in tali fenomeni obbediscono infatti in linea di principio a una dinamica
deterministica, ma la predicibilità delle loro traiettorie decresce molto rapidamente al passare del
tempo, a causa dell’elevata sensibilità di questi sistemi al mutamento delle condizioni iniziali:
l’intervallo temporale entro il quale è possibile fare previsioni affidabili è dunque estremamente
breve nella scala adeguata.29
4 Causalità e teoria della relatività30
Una discussione del ruolo della causalità nella teoria della relatività speciale deve
necessariamente partire da quello che è ragionevole considerare come il nucleo essenziale della
teoria, vale a dire la formulazione di una nuova geometria dello spazio-tempo (spazio-tempo di
Minkowski). Come abbiamo accennato in precedenza, tale geometria è caratterizzata da specifiche
proprietà metriche mediante le quali si introduce una diversa nozione di separazione tra eventi dello
spazio-tempo.
28
K.R. Popper, The Open Universe, Unwin, London 1982 (trad. it. L’universo aperto, Il Saggiatore 1992, 41). Sulla base
dell’assunzione secondo cui la validità del determinismo metterebbe in pericolo la fondamentale libertà dell’essere
umano, lo scopo finale dell’argomento sviluppato da Popper nel libro è quello di mostrare che in effetti il
determinismo deve cadere se crediamo nei risultati della fisica contemporanea. Il carattere ‘scientifico’ del
determinismo che ricorre nella definizione popperiana è inoltre connesso alla richiesta di quantificare il grado di
precisione con cui possono essere stabilite le condizioni iniziali. Questa richiesta ha lo scopo, nell’argomentazione di
Popper, di bloccare gli argomenti di chi tentasse di vanificare la definizione popperiana di determinismo
semplicemente asserendo che le condizioni iniziali non possono essere stabilite di fatto con precisione assoluta.
29
Cfr. la voce Determinism di J. Butterfield in E. Craig (ed.) Routledge Encyclopedia of Philosophy, Routledge, London 1996
e, per un’introduzione divulgativa alle teorie dei sistemi dinamici non lineari (talvolta noti come sistemi caotici), D.
Ruelle, Caso e caos, Bollati Boringhieri, Torino 1992.
30
Non faremo qui cenni al problema della connessione tra relatività e determinismo, dal momento che esso ha a che
fare con la distinta nozione di determinismo come ‘determinatezza’ delle proprietà dei sistemi fisici, una nozione a
sua volta legata al problema di come rendere conto della realtà del divenire in un universo relativistico. Per
un’approfondita discussione di questo problema si veda M. Dorato, Futuro aperto e libertà. Un’introduzione alla filosofia del
tempo, cit., in particolare alle pp. 158-70.
14
La nozione fondamentale da questo punto di vista è quella di intervallo spazio-temporale, che per
il modo stesso in cui viene costruita risulta invariante per trasformazioni di Lorentz. Dati due
eventi a e b in uno spazio-tempo di Minkowski, l’intervallo spazio-temporale che li separa può
essere di tre tipi: di tipo tempo, di tipo spazio e di tipo luce. Se la distanza spaziale (misurata in un
dato sistema di riferimento K) che separa a da b è minore della distanza (sempre misurata in K) che
un raggio di luce può percorrere nell’intervallo di tempo che separa a da b l’intervallo è di tipo
tempo, mentre se la distanza spaziale che separa a da b è maggiore della distanza che un raggio di
luce può percorrere nell’intervallo di tempo che separa a da b l’intervallo è di tipo spazio. Se
infine la distanza spaziale che separa a da b è uguale alla distanza che un raggio di luce può
percorrere nell’intervallo di tempo che separa a da b, l’intervallo è di tipo luce. A ogni evento e in
uno spazio-tempo di Minkowski M (dotato di un’orientazione temporale fissata) possono allora
essere associati l’insieme F e l’insieme P degli eventi tali che: per ogni evento f di F e per ogni
evento p di P l’intervallo tra e e f e l’intervallo tra p e e sono di tipo tempo. L’insieme F
rappresenta l’insieme degli eventi futuri rispetto a e mentre l’insieme P rappresenta l’insieme degli
eventi passati rispetto a e. Poiché l’intervallo spazio-temporale è Lorentz-invariante (cioè ogni
osservatore inerziale concorderà su quale tipo di intervallo separi due eventi dello spazio-tempo
di Minkowski), F e P possono essere definiti rispettivamente il futuro assoluto e il passato assoluto di e.
Dal punto di vista geometrico, per ogni evento e in uno spazio-tempo di Minkowski M gli
elementi del futuro e del passato assoluti di e compongono due ‘coni’ rovesciati l’uno rispetto
all’altro, i cui vertici coincidono con l’evento e e la cui superficie è composta di eventi separati da
e da un intervallo di tipo luce.31
Se questi sono gli elementi fondamentali della geometria spazio-temporale prescritta dalla
teoria della relatività speciale, cosa ha a che fare tale geometria con la causalità? Secondo
un’opinione molto diffusa sui fondamenti della teoria della relatività, la struttura dello spaziotempo di Minkowski è centrale perché essa non è altro che la struttura causale degli eventi. In
questa prospettiva, il nucleo della teoria sarebbe costituito dalle condizioni di connettibilità
causale tra eventi: nel caso di due eventi a e b separati da un intervallo di tipo tempo, risulta
possibile mettere in atto tra a e b una comunicazione materiale - tipicamente mediante un raggio
di luce emesso da a in direzione di b. Viceversa, nel caso di due eventi separati da un intervallo di
tipo spazio, la possibilità di una simile comunicazione è bloccata dal momento che essa
richiederebbe l’invio di un segnale materiale capace di superare la velocità della luce; una
separazione di tipo spazio tra due eventi, implicando questa forma di non-connettibilità causale,
31
Intuitivamente, in una rappresentazione bidimensionale di M con una coordinata temporale e una sola coordinata
spaziale, la superficie dei coni è individuata da raggi di luce che raggiungono l’evento e e che proseguono nello
spazio: cfr. Rindler, Introduction to Special Relativity, cit., cap. IV.
15
rappresenta dunque una condizione relativisticamente soddisfacente di isolamento reciproco tra
gli eventi stessi. Nelle parole del filosofo della scienza Graham Nerlich
quasi tutti coloro che hanno un’opinione qualificata su quali siano i fondamenti concettuali
della relatività speciale ritengono che essi consistano nella causalità. La causa è definita come
il concetto fondamentale della teoria. La tesi (asserzione, postulato) della relatività speciale
che fa uso di questo concetto è definito principio del limite: niente ha una velocità superiore a
quella della luce (compresi i processi causali).32
La visione comunemente diffusa viene per esempio così descritta dal fisico e filosofo Rafael
Martínez:
Da questa nuova struttura topologica dello spazio-tempo relativista deriva il principale
rapporto che questa teoria fisica sembra presentare con le nozioni causali. Infatti, le
differenze fra le diverse regioni dello spazio-tempo possono facilmente essere rappresentate
in termini di nozioni causali, considerando la possibilità di stabilire connessioni causali
materiali tra gli eventi, attraverso un qualche tipo di segnali fisico, sia esso un’onda
elettromagnetica o il trasporto di un oggetto materiale. Se tale processo di comunicazione
fisica risulta possibile [...] risulterà anche fisicamente possibile stabilire un qualche possibile
rapporto fra gli eventi considerati.33
Quali sono allora, se esistono, le principali controindicazioni di questa interpretazione? In primo
luogo, essa accorda un ruolo improprio a quello che Nerlich definisce ‘principio del limite’ e che è opportuno sottolinearlo - non è uno dei postulati della relatività speciale. Ciò comporta la difesa
della tesi che “il carattere causale della relatività dipende direttamente dalla premessa che nessun
segnale può propagarsi più velocemente della velocità della luce”34, una tesi che non segue dai
postulati della teoria. In secondo luogo, essa fa dipendere il significato della teoria della relatività
speciale da una nozione altamente controversa come quella di causalità, inducendo a ritenere che
non si possano formulare teorie relativistiche se non in termini causali. Quando la relatività
speciale viene presentata principalmente come la teoria che descrive la struttura causale degli
eventi, si trascura il fatto che una simile presentazione assume tacitamente una nozione di causalità
32
G. Nerlich, Special Relativity is not Based on Causality, «British Journal for the Philosophy of Science» 33 (1982) 361.
Come si desume dal titolo dell’articolo, Nerlich sostiene che in realtà l’interpretazione appena citata sia sbagliata e il
seguito dell’articolo si propone di spiegare perché essa debba essere abbandonata.
33
R. Martinez, Immagini del dinamismo fisico. Causa e tempo nella storia della scienza, Armando, Roma 1996, 183.
34
L. Sartori, Understanding Relativity. A Simplified Approach to Einstein’s Theories, University of California Press, Berkeley
1996, 148.
16
con certe condizioni, sfruttando poi il fatto che relazioni causali di quel tipo risultano invarianti
quando siano realizzate in uno spazio-tempo relativistico. Il patrimonio teorico fondamentale
della teoria della relatività speciale - cioè la geometria di uno spazio-tempo di Minkowski con la
sua struttura a coni di luce e le relative invarianze - è definibile in modo del tutto indipendente da
nozioni causali: il fatto poi che una condizione sovente ritenuta irrinunciabile per una nozione
sensata di causalità come la precedenza temporale della causa rispetto all’effetto si traduca nel
requisito di un intervallo di tipo tempo tra evento-causa ed evento-effetto, e che tale intervallo
risulti Lorentz-invariante, rafforza certamente la plausibilità della condizione di precedenza
temporale ma non dimostra affatto che la teoria della relatività speciale dipenda dalla nozione di
causalità per la sua stessa formulazione. Come afferma ancora Nerlich, “la relatività speciale può
essere considerata come una teoria che ci parla non della relazione della materia con la luce, ma
dell’interessante unione di relazioni di tipo spazio, di tipo tempo e di tipo luce nello spazio
tempo.”35 La centralità della nozione di causalità per la teoria della relatività è invece alla base
della cosiddetta teoria causale del tempo, evocata in alcuni scritti di Leibniz e riproposta nel XX secolo
principalmente da Hans Reichenbach36. Nella teoria causale del tempo si tenta di ridurre l’ordine
temporale degli eventi a un qualche tipo di relazione causale tra gli eventi stessi e nella quale,
dunque, la causalità risulta una nozione più fondamentale di quella di temporalità. Bisogna
sottolineare tuttavia ancora una volta che la teoria causale del tempo non discende in alcun modo
dalla teoria della relatività speciale e che dunque essa necessita di argomenti indipendenti per
essere difesa37.
5 Causalità e meccanica quantistica
L’analisi del ruolo della causalità nei fondamenti della meccanica quantistica dipende anch’essa
dalla distinzione tra determinismo e causalità e particolarmente utile da questo punto di vista è
una rapida rassegna preliminare sul significato di determinismo in meccanica classica e
quantistica.
Nelle usuali formulazioni astratte della meccanica classica, l’insieme dei possibili stati di un
sistema classico C è rappresentato da uno spazio astratto Σ, ogni elemento del quale è costituito
da una coppia di valori di posizione e velocità. Se oltre allo stato iniziale di C conosciamo la sua
35
G. Nerlich, Special Relativity is not Based on Causality, cit., 387.
H. Reichenbach, Philosophie der Raum-Zeit-Lehre, De Gruyter, Berlin-Leipzig 1928 (trad. it. Filosofia dello spazio e del
tempo, Feltrinelli, Milano 1977), The Direction of Time, University of California Press, Berkeley 1956.
37Una presentazione della teoria causale del tempo e delle sue principali versioni si può trovare in B. van Fraassen,
Introduction to the Philosophy of Time and Space, Random House, New York 1970, Columbia University Press, New York
19852, 170-98.
36
17
massa m e l’eventuale forza F che agisce su di esso, possiamo descrivere l’evoluzione di C nel
futuro (e nel passato!) mediante le equazioni newtoniane del moto. Una traiettoria γ nello spazio
Σ rappresenta dunque una possibile “storia” di C e, come abbiamo ricordato in precedenza, la
formulazione matematica delle equazioni newtoniane del moto comporta l’esistenza e l’unicità
delle γ, noto lo stato iniziale e le forze operanti sul sistema in esame. In meccanica quantistica
l’insieme dei possibili stati di un sistema quantistico Q è invece rappresentato da uno spazio
astratto Η (un particolare spazio vettoriale definito spazio di Hilbert) i cui elementi (vettori di stato)
- pur non essendo coppie di valori di variabili dinamiche come la posizione e velocità del caso
classico - sono indirettamente connessi alle quantità misurabili su Q, nel senso che prescrivono la
probabilità di ottenere uno dei possibili valori di una quantità specificata qualora si effettui una
misura. L’evoluzione di un vettore di stato tuttavia è descritta dall’equazione di Schrödinger, che
risulta un’equazione perfettamente deterministica. Dunque, in assenza di misure, sia la meccanica
classica sia la meccanica quantistica soddisfano una condizione di determinismo dinamico.
Da dove nasce allora l’indeterminismo in meccanica quantistica? Non dalla violazione del
determinismo dinamico, ma dalla violazione di quella condizione che potremmo definire
determinismo (o determinatezza) delle proprietà: se disponiamo di una conoscenza massimale dello stato
di un sistema fisico, le probabilità di ottenere un risultato nella misura di una data quantità fisica
rilevante per il sistema sono limitate ai soli valori 0 e 1. In meccanica classica, infatti, la
specificazione di uno stato puro di un sistema (uno stato che rappresenta cioè una quantità
massimale di informazione sul sistema stesso) determina probabilità di risultati di misura limitate
ai valori 0 e 1, mentre nella formulazione usuale della meccanica quantistica i sistemi fisici in
essame possono trovarsi in stati che risultano puri nel senso appena specificato ma che
determinano probabilità di risultati di misura in generale diversi da 0 e da 1.38 Le relazioni di
indeterminazione di Heisenberg, alle quali si fa spesso riferimento quando si parla di
determinismo e indeterminismo in meccanica quantistica, intervengono invece quando si analizzi
la possibilità di determinare non un certo vettore di stato bensì un certo stato meccanico di un
sistema fisico quantistico, vale a dire un’ipotetica coppia di valori di posizione e velocità del
sistema stesso a un certo istante. Il significato delle relazioni di indeterminazione è appunto
38
Questa è la circostanza che usualmente induce ad affermare che la probabilità che emerge in meccanica quantistica
è una probabilità intrinseca e non epistemica, cioè una probabilità che non dipende soltanto dall’ignoranza di tutti i
fattori in gioco nella determinazione delle proprietà dei sistemi fisici (come nel caso della formulazione del concetto
di stato in meccanica statistica classica). Questa concezione della probabilità quantistica non è tuttavia una necessità
logica, dal momento che esistono interpretazioni della meccanica quantistica perfettamente consistenti, come la
cosiddetta meccanica bohmiana, nelle quali una sottoclasse di proprietà particolarmente importanti (le posizioni dei
sistemi fisici in esame) sono assunte come perfettamente determinate e nelle quali l’interpretazione della probabilità
non si discosta dall’interpretazione usuale nelle teorie classiche: cfr. J. Cushing, A. Fine, S. Goldstein (eds.), Bohmian
Mechanics and Quantum Theory: An Appraisal, Kluwer, Dordrecht 1996.
18
quello di limitare tale possibilità, cioè di porre un limite inferiore (numericamente determinato)
alla possibilità di misurare congiuntamente e in modo esatto posizione e velocità del sistema in esame
a un certo istante.
Fatte queste precisazioni e richiamando quanto sostenuto in precedenza riguardo
all’indipendenza logica di causalità, determinismo e predicibilità, possiamo allora fare qualche
esempio dell’infondatezza di affermazioni sul presunto carattere ‘acausale’ della meccanica
quantistica: gli esempi sono tratti da lavori non recenti, ma sono ugualmente significativi perché
riportano o presuppongono tesi che sono tuttora comuni.
In un passo di un articolo del 1929, citato da Schlick nel suo già citato lavoro del 1931 sulla
causalità nella fisica contemporanea, Max Born afferma:
L’impossibilità di misurare esattamente tutti i dati di uno stato impedisce la
predeterminazione dello svolgimento successivo. Di conseguenza, il principio di causalità
perde, nella sua comune formulazione, ogni senso. Infatti, se è impossibile per principio
conoscere tutte le condizioni (cause) di un processo, diventa un modo di dire vuoto che ogni
evento ha una causa.39
L’impossibilità cui Born si riferisce nel testo è naturalmente quella sancita dalle relazioni di
indeterminazione di Heisenberg. Sostenere tuttavia che questo implichi la perdita di senso del
principio di causalità è un non sequitur: se anche fosse possibile ‘misurare tutti i dati di uno stato’ a
un certo istante t e determinare lo stato del sistema a un diverso istante t′, resterebbe vero che tra
lo stato a t e lo stato a t′ non esiste una relazione causale ma soltanto una relazione di
determinazione che passa attraverso l’adeguata legge dinamica coinvolta.
Lo stesso punto viene sostenuto in modo ancora più trasparente in un altro testo di Schlick,
intitolato Lineamenti di filosofia della natura e pubblicato postumo nel 1948, nel quale si esplicita
nuovamente l’ulteriore identificazione con la predicibilità:
Sulla base del principio di indeterminazione, perde ogni legittimità il dire che lo stato di un
sistema potrebbe essere accertato ogni volta con la massima precisione mediante una
misurazione. Dato però che una simile determinazione costituisce il presupposto
dell’applicazione rigorosa del principio di causalità, ne segue che la scienza moderna deve
rinunciare alla validità ineccepibile di questo principio. Essa deve accontentarsi di fare
previsioni probabili: non è più rigidamente deterministica.40
39
40
M. Schlick, La causalità nella fisica contemporanea, cit. 55-6.
M. Schlick, Tra realismo e neopositivismo, cit. 278-9.
19
Soltanto un anno dopo la pubblicazione del saggio di Schlick sulla causalità nella fisica
contemporanea, John von Neumann pubblicava il suo trattato sui fondamenti matematici della
meccanica quantistica41. Questo libro conteneva un teorema che è rilevante per la nostra
discussione ma il cui fraintendimento costituisce un vero e proprio capitolo di storia della fisica.
In base a questo teorema, una certa reinterpretazione deterministica della meccanica quantistica è
in contraddizione con la formulazione matematica di quest’ultima. Senza entrare in dettagli
formali, basti ricordare che ciò che il teorema dimostra non è l’impossibilità di qualsiasi
reinterpretazione deterministica42, bensì l’impossibilità di una ‘riduzione’ deterministica della
meccanica quantistica analoga a quella ‘riduzione’ meccanica della termodinamica (con lo
sviluppo della meccanica statistica) che era stata uno dei principali successi della fisica di fine
Ottocento. Tuttavia, ancora nel 1959 il filosofo e matematico Friedrich Waismann, che aveva
fatto parte del movimento filosofico neoempirista, in un suo saggio intitolato Decadenza e caduta
della causalità indicava il 1927 (l’anno della formulazione delle relazioni di Heisenberg) come
l’anno che “vide le esequie della nozione di causalità”43e così si esprimeva sul significato generale
del teorema di von Neumann:
L’unica teoria attualmente nota capace di collegare e unificare un campo enormemente
esteso di fenomeni la teoria quantistica, è in stridente contraddizione logica con la causalità.
[...] Ciò che von Neumann ha dimostrato è questo: data la meccanica quantistica nella sua
forma attuale, non è possibile modificarla, completarla o estenderla, per esempio
introducendo parametri ipotetici, tali da trasformarla in una teoria deterministica, poiché ogni
estensione siffatta renderebbe la teoria così modificata autocontraddittoria44.
Dovrebbe a questo punto risultare chiaro che la limitata validità del determinismo delle proprietà
o la circostanza della determinazione soltanto parziale di uno stato meccanico iniziale in
meccanica quantistica non hanno tuttavia di per sé conseguenze dirette sulla validità o meno di
un generale principio di causalità nella meccanica quantistica stessa. Risulta cioè perfettamente
consistente dal punto di vista logico porsi il problema dell’applicabilità di particolari teorie causali
41 J. von Neumann, Mathematische Grundlagen der Quantenmechanik, Springer, Berlin 1932 (trad. it. I fondamenti matematici
della meccanica quantistica, Il Poligrafo, Padova 1998).
42
La citata meccanica bohmiana è un diretto controesempio a questa interpretazione. Sui presupposti fisici e
filosofici del teorema di von Neumann si veda R. Giuntini, F. Laudisa, The Impossibile Causality: the No Hidden Variables
Theorem of John von Neumann, in M. Rédei, M. Stöltzner (eds.), John von Neumann and the Foundations of Quantum Physics,
Kluwer, Dordrecht 2001, 173-88.
43 F. Waismann, The Decline and Fall of Causality, in A.C. Crombie (ed.), Turning Points in Physics, North-Holland,
Amsterdam, pp. 84-154 (trad. it. Decadenza e caduta della causalità, in Analisi linguistica e filosofia, Ubaldini, Roma, 1970,
214).
20
al caso di sistemi fisici quantistici, dal momento che un simile programma di ricerca non è
immediatamente contraddittorio.
Ma quali sono le situazioni fisicamente significative nelle quali è possibile indagare
sensatamente sul significato della causalità in meccanica quantistica? Sono le situazioni nelle quali
emerge il fenomeno tipicamente quantistico della non-località, nelle quali cioè eventi fisici che
consideriamo spaziotemporalmente isolati l’uno dall’altro manifestano un’influenza reciproca che
- a differenza di ogni altra forza nota in natura - non diminuisce con la distanza. L’analisi
filosofica e fondazionale di questa condizione di non-località ha condotto a un’immagine del
mondo microfisico che si discosta radicalmente da quella suggerita dalle teorie fisiche classiche e
sul cui impatto filosofico così si esprime per esempio Bernard d'Espagnat:
[La fisica quantistica] confuta una concezione del mondo che ha funzionato per secoli come
orientamento generale per gli scienziati. Ci riferiamo alla concezione secondo cui un sistema
fisico esteso può - e dovrebbe - essere sempre analizzato nelle sue parti. ... Più in particolare,
si può dire che la regola di ispirazione cartesiana, secondo cui un sistema fisico esteso può, e
dovrebbe, essere diviso dal pensiero in elementi più o meno localizzati (connessi da forze) è
una delle regole implicite ma fondamentali dell'intera fisica classica.45
La condizione di non-località quantistica sembra dunque mettere in luce l'esistenza di una
forma di connessione tra eventi che hanno luogo in regioni spaziotemporali isolate l'una rispetto
all'altra. Le indagini sulla non-località quantistica hanno origine con il celebre articolo del 1935 di
Einstein, Podolsky, Rosen nel quale gli autori si propongono di dimostrare l’incompletezza della
meccanica quantistica. La situazione fisica presa in esame (nella forma matematicamente più
semplice proposta da David Bohm nel 1951) è quella dei cosiddetti esperimenti EPR-Bohm di
correlazione, nei quali un sistema composto S1+S2 di due particelle di spin-1/2 viene preparato
alla sorgente in uno stato di spin totale pari a 0 (il cosiddetto stato di singoletto). Le due particelle
vengono poi emesse dalla sorgente in direzioni opposte e, quando esse occupano due regioni
spaziotemporali R1 e R2 separate da un intervallo di tipo spazio, su ciascuna di esse viene
misurato lo spin in una direzione prescelta a un certo istante (con +1 o −1 come soli possibili
risultati) .
44
Waismann, Decadenza e caduta della causalità, cit., 257.
d’Espagnat, Veiled Reality. An Analysis of Present-Day Quantum Mechanical Concepts, Addison-Wesley, Reading (Mass.)
1995, 111. Per un’introduzione alla non-località quantistica si veda G.C. Ghirardi, I fondamenti concettuali e le implicazioni
epistemologiche della meccanica quantistica, in G. Boniolo (a cura di), Filosofia della fisica, Bruno Mondadori, Milano 1997,
337-607.
45B.
21
Se n rappresenta una qualsiasi direzione spaziale, lo stato di singoletto Ψ del sistema S1+S2
preparato al tempo t0 è esprimibile nella forma
Ψ = 1/√2 (|1,+>n |2,−>n − |1,−>n |2,+>n).
In base alle regole formali della meccanica quantistica sappiamo che:
• (SR) se lo stato di S1+S2 è Ψ, allora
ρ1(Ψ) = stato (ridotto) di S1 = 1/2 (P|1,+>n + P |1,−>n ),
ρ2(Ψ) = stato (ridotto) di S2 = 1/2 (P|2,+>n + P |2,−>n ),
dove P|1,+>n e P|1,−>n rappresentano i proiettori ortogonali sui sottospazi generati rispettivamente
dai vettori |1,+>n e |1,−>n e, per ogni n,
Prob ρ1(Ψ) (spin n di S1 = +1) = Prob ρ1(Ψ) (spin n di S1 = −1) = 1/2
Prob ρ2(Ψ) (spin n di S2 = +1) = Prob ρ2(Ψ) (spin n di S2 = −1) = 1/2
• (AC) Se si effettua a un tempo t una misura dello spin di S1 nella direzione n e si ottiene il
risultato +1, una misura dello spin di S2 nella direzione n a un tempo t′ > t darà con certezza il
risultato − 1 (ANTICORRELAZIONE), cioè
Prob Ψ [(spin n di S1 = +1) & (spin n di S2 = −1)] = 1, per ogni n.
Supponiamo ora di effettuare al tempo t1 > t0 una misura dello spin di S1 e di ottenere il risultato
+1. Allora, per la condizione (AC) di anticorrelazione, una misura dello spin di S2 nella direzione
n a un tempo t2 > t1 darà con certezza il risultato − 1.
Definiamo ora la nozione di proprietà oggettiva di un microsistema mediante la seguente
condizione:
OGGETTIVITÀ
Se, senza interagire con un sistema fisico S, possiamo predire con certezza - o con probabilità
pari a 1 - il valore q di una quantità Q relativa a S, allora q rappresenta una proprietà oggettiva di
S (denotata da [q]).
22
Da quanto detto consegue allora che all’istante t2 > t1 [spin n = −1] rappresenta una proprietà
oggettiva di S2. Ma può la proprietà [spin
n
= −1] di S2 essere stata in qualche modo “creata”
dalla misura dello spin su S1? La risposta è negativa se assumiamo la seguente condizione:
LOCALITÀ
Nessuna proprietà oggettiva di un sistema fisico S può essere influenzata da operazioni condotte
su sistemi fisici isolati da S.
Per la condizione di località, la proprietà [spin n = −1] era oggettiva per S2 anche in un tempo t′
tale che t0 > t′ >t1. Ma al tempo t′ lo stato di S1+S2 è lo stato di singoletto Ψ e dunque per (SR)
lo stato di S2 è lo stato ridotto ρ2(Ψ) = 1/2 (P|2,+>n + P
proprietà di S2 [spin
n
|2,−>n
), uno stato che assegna alla
= −1] una probabilità pari a 1/2. Se ora consideriamo la seguente
condizione:
COMPLETEZZA
Qualsiasi proprietà oggettiva di un sistema fisico S deve essere rappresentata all’interno della
teoria fisica che descrive S.
consegue che esistono proprietà oggettive di sistemi fisici, come [spinn = −1] per S2, che la
meccanica quantistica non rappresenta come tali e dunque la meccanica quantistica è incompleta.
In una forma logicamente equivalente, l’argomento di EPR-Bohm stabilisce che la
congiunzione della condizione di località e della condizione di completezza implica una
contraddizione (data dall’attribuzione di due stati allo stesso sistema nello stesso istante). Dunque
completezza e località sono alternative l’una all’altra: o si decide di assumere la località
abbandonando la completezza o si assume la completezza abbandonando la località. Nel 1964
John S. Bell dimostra infine con un celebre teorema che ogni teoria che sia in grado di riprodurre
le predizioni della meccanica quantistica deve essere non locale: in particolare, nel caso che si
assuma l’incompletezza della meccanica quantistica, ogni ipotetico ‘completamento’ della teoria
che possa riprodurre le predizioni della meccanica quantistica darà comunque luogo a una teoria
non locale46.
46
Cfr. T. Maudlin Quantum Non-Locality and Relativity, Blackwell, Oxford 1994, 128-136. Inoltre, in base al teorema di
Bell, qualunque teoria che assuma l’esistenza di eventi che (i) sono causalmente rilevanti per ottenere +1 or -1 nella
misura di spin su S1 [S2], (ii) sono collocati nel cono di luce passato di [S2], e (iii) rendono irrilevanti gli eventi
causalmente rilevanti nel cono di luce passato di S2 [S1] (ma non nell’intersezione dei coni di luce passati di S1 e S2),
fornirà predizioni che sono in disaccordo con quelle della meccanica quantistica.
23
La meccanica quantistica manifesta dunque una connessione non locale tra eventi collocati in
regioni spaziotemporali isolate, una connessione superluminale dal momento che tali regioni
sono separate da un intervallo di tipo spazio. È possibile allora ammettere per ipotesi il carattere
causale di tale connessione? Molte tra le analisi e le discussioni sul problema della non-località in
meccanica quantistica, pur nella varietà di posizioni, hanno trascurato il problema della natura
dello spaziotempo entro cui si manifesterebbero ipotetiche relazioni causali. D'altra parte, un
potenziale studio di relazioni causali in meccanica quantistica che siano anche relativisticamente
soddisfacenti dovrebbe tenere conto delle difficoltà intrinseche legate al concetto di causa - sul
piano filosofico - e alla meccanica quantistica relativistica - sul piano fisico. Nelle pagine che
seguono ci limiteremo a chiarire la rilevanza degli aspetti spaziotemporali nelle correlazioni non
locali per il problema di ipotetiche relazioni causali “non classiche” tra eventi nel dominio della
microfisica.
Nella terminologia introdotta da Maudlin, eventi correlati come quelli degli esperimenti di
EPR-Bohm si implicano causalmente a vicenda:. La generalità della definizione, in base alla quale
questo tipo di implicazione non distingue necessariamente l’evento causa dall’evento effetto, ha
una precisa giustificazione: la separazione di tipo spazio tra i due eventi implica che
l’ordinamento temporale tra essi non è Lorentz-invariante. La prima opzione potrebbe essere
quella di ‘dissolvere’ il problema, sostenendo che la distinzione stessa tra causa ed effetto risulta
inapplicabile alle situazioni di tipo EPR-Bohm. Se si decide invece di mantenere il significato di
una distinzione tra causa ed effetto, una diversa opzione consiste nel sostenere che sia
l’ordinamento temporale stesso associato a un dato sistema di riferimento a definire qual’è la causa
e quale l’effetto, con la naturale conseguenza che la relazione causa-effetto - sia pure non dissolta
- risulta essa stessa non invariante ma dipendente dal sistema di riferimento scelto.
Quale che sia l’opzione scelta, la dipendenza superluminale tra eventi di misura in esperimenti
di correlazione EPR-Bohm riceve una connotazione ‘causale’ talmente debole da risultare vuota:
dal momento che la non-invarianza dell’ordinamento temporale obbliga ad abbandonare
condizioni tipiche come la precedenza della causa rispetto all’effetto, le proprietà ‘causali’ della
dipendenza superluminale risultano infatti talmente generali da indurre a ritenere che si stia
semplicemente attribuendo un altro nome al fenomeno che si sta studiando. 47
Esiste poi un’ulteriore difficoltà per una caratterizzazione univoca di relazioni causali in
situazioni EPR-Bohm in ambito relativistico. Supponiamo di avere attribuito a un sistema fisico,
mediante una misura, una proprietà P - corrispondente a una data quantità fisica P - e
supponiamo che lo stato del sistema non fosse un autostato della quantità fisica da misurare.
47Cfr.
J. Berkovitz, The Nature of Causality in Quantum Phenomena, «Theoria» 15 (2000), 87-122, e F. Laudisa, Nonlocality
and Theories of Causation, in J. Butterfield, T. Placek (eds.) Non-Locality and Modality, Kluwer, Dordrecht 2002, 223-34.
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Quest'ultima circostanza ci impedisce, secondo la meccanica quantistica ordinaria, di assumere
che il sistema soddisfasse la proprietà P anche prima della misura, poiché ciò sarebbe possibile
soltanto nel caso in cui lo stato del sistema sia un autostato di P. Per attribuire P nelle situazioni
in cui la misura è dunque effettuata sul sistema preparato in stati diversi da un qualsiasi autostato
di P, la meccanica quantistica ordinaria prevede un processo di “riduzione dello stato”, che
avrebbe luogo all'atto della misura con la quale verifichiamo se il sistema possiede o meno la
proprietà P. Ora, la meccanica quantistica associa a questo processo di riduzione una transizione
di stato istantanea e tale descrizione non è relativisticamente covariante, vale a dire lo stato
“ridotto” non può essere descritto da una funzione d'onda che sia una trasformata di Lorentz
della funzione d'onda che descriveva lo stato prima della misura, cioè prima della riduzione. Ma
questa tensione tra teoria della relatività speciale e meccanica quantistica, vale a dire la non
invarianza relativistica del processo di riduzione degli stati, tipico della descrizione quantistica dei
processi di misura, si riflette anche sul problema dello status di relazioni causali in situazioni di
tipo EPR-Bohm, dal momento che tale processo di riduzione è il processo mediante il quale
determinati sistemi fisici in determinati stati acquisiscono proprietà, quelle proprietà che si
manifestano in quegli eventi che dovrebbero essere interpretati come causalmente correlati.48
48
F. Laudisa, Nonlocality and Theories of Causation, cit. 229-31.
25
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