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IL CAMPO MAGNETICO

Forze che si esercitano in un campo magnetico sulle cariche in movimento e sulle correnti.
1.
I fenomeni magnetici furono dapprima osservati e studiati su magneti naturali ed artificiali. Ma per capire la
natura dei processi che avvengono in un magnete, bisogna dapprima studiare fenomeni più semplici e più
fondamentali. Adotteremo il metodo deduttivo, ponendo alla base della nostra esposizione due risultati
sperimentali ottenuti nel XIX secolo:
a) Il campo magnetico esercita un’azione sulle cariche in movimento;
b) Le cariche in movimento creano un campo magnetico.
Cominciamo con una semplicissima esperienza. Produciamo in un tubo catodico un fascio rettilineo e ben
focalizzato di elettroni, che si spostano nel vuoto da sinistra a destra. Cadendo sullo schermo fluorescente il
fascio lascia come traccia una piccola macchia luminosa. Avviciniamo al fascio dal basso il polo nord di un
magnete rettilineo. Il fascio si sposterà lateralmente allontanandosi dal lettore. Se si avvicina al fascio il polo
sud dello stesso magnete, il fascio si sposterà in senso inverso cioè avvicinandosi al lettore. Ponendo il
magnete lateralmente, lo spostamento avverrà verso l’alto o verso il basso a seconda del lato dove si pone il
magnete e del polo che viene avvicinato al fascio. Questo esperimento ed altri analoghi dimostrano che un
elettrone in movimento è sottoposto ad una forza perpendicolare alla sua direzione di moto e alla direzione
dell’asse del magnete, cioè della retta che va da uno dei poli del magnete all’altro. Questa forza è proporzionale
alla velocità dell’elettrone. Analogamente si comporta qualunque altra particella carica che si muova in un
campo magnetico.
La legge che definisce la forza magnetica che si esercita su una carica puntiforme q in movimento in un campo
magnetico è stata ottenuta per mezzo di una generalizzazione dei dati sperimentali. Questa legge è espressa dalla
formula:
2.

 
Fm  qv  B
(1)
dove il vettore B non dipende né dal valore della carica q né dal suo movimento. Esso caratterizza soltanto il campo
magnetico nel quale si muove la carica q. Questo vettore è l’induzione magnetica. La forza magnetica è
perpendicolare al vettore velocità v della particella e al vettore intensità B del campo magnetico, ed il suo valore è
proporzionale al seno dell’angolo formato da questi vettori. Nei casi in cui B e v sono collineari, la forza magnetica
si annulla. La formula (1) è valida non soltanto per i campi magnetici costanti ma anche per i campi variabili,
qualunque sia la velocità v.
Notiamo in particolare che il campo magnetico non esercita nessuna azione sulle cariche elettriche immobili, il
che costituisce una differenza sostanziale fra campo magnetico e campo elettrico. La carica nello stato di quiete
serve da indicatore del campo elettrico e la carica mobile è l’indicatore del campo magnetico.
La formula (1) suggerisce un metodo di principio per la misurazione del campo magnetico B, consistente nel
determinare la forza che si esercita su una carica in movimento. E’ necessario per prima cosa assicurarsi, per mezzo
di una carica immobile, che non vi sia campo elettrico. Si determina poi la direzione della velocità v per la quale la
forza


Fm si annulla, il che avviene quando la velocità v è parallela o antiparallela al vettore Fm . Si sarà
determinata così, a meno del segno, la direzione del campo magnetico B. Infine resta da determinare la forza


Fm che si esercita su una carica che si sposta con velocità v  perpendicolare al vettore B. E’, evidentemente,



Fm  qv  B
 

Moltiplicando vettorialmente questa relazione per v  ed osservando che v   B  0, si ottiene

 Fm  v
B
(2)
qv 2
Questa formula definisce univocamente tanto il modulo quanto la direzione del vettore B. Che la grandezza B sia
un vettore (più esattamente uno pseudovettore) risulta direttamente dalla formula (2) che rappresenta questa
3.

Fm

e v .


In un campo elettrico E una carica q è sottoposta alla forza F  qE . Se i campi elettrici e magnetici
grandezza sotto forma di prodotto vettoriale dei vettori polari
agiscono sulle cariche indipendentemente, come conferma l’esperienza, sotto la loro azione simultanea
 

F  Fe  Fm , cioè

  
F  q( E  v  B)
una carica sarà sottoposta alla forza
(3)
Questa forza si chiama forza di Lorentz..
Nell’approssimazione non relativistica la forza F, come tutte le altre forze, non dipende dalla scelta del sistema di
riferimento (inerziale). Tuttavia il secondo termine della somma (3) cambia durante il passaggio da un sistema di
riferimento ad un altro. Per conseguenza il primo termine qE deve cambiare anch’esso. Quindi, la decomposizione
della forza totale F in forza elettrica e in forza magnetica dipende dalla scelta del sistema di riferimento. Questa
decomposizione è priva di senso se non è indicato il sistema di riferimento utilizzato.
4.
Gli esperimenti relativi all’azione esercitata dai campi magnetici sulle cariche in movimento diventano più
semplici sostituendo le cariche isolate con le correnti elettriche, quando intervengono simultaneamente
molte particelle cariche. Supponiamo, ad esempio, che la corrente sia dovuta al movimento di particelle
identiche di concentrazione n, che portano ciascuna la carica e. Si ha allora j= nev. Il numero delle
particelle contenute nell’elemento di volume dV è dN=ndV, e la forza che si esercita in un campo
magnetico sull’elemento di volume dV del corpo è

 
 
dF  ev  BdN  nev  BdV
ossia
  
dF  j  BdV
(4)
Questa formula resta valida anche nel caso generale in cui la corrente  passa attraverso un filo infinitamente
sottile, di sezione trasversale S. Prendiamo un segmento del filo di lunghezza infinitesima dl e calcoliamo la forza
dF alla quale esso è sottoposto. Se dV=Sdl è il volume di questo segmento del filo, si ha jdV=jSdl, ossia


j dV  dl
(5)
il senso del vetore dl coincide qui con quello della corrente. Il vettore jdV è detto elemento di corrente volumetrico

ed il vettore dl elemento di corrente lineare. Dalle relazioni (4) e (5)si ricava
 

dF  dl  B
(6)
La formula (6) che definisce la forza che si esercita in un campo magnetico su un elemento di corrente lineare è
stata stabilita da Ampère ed è nota come legge di Ampére. Per ottenere la forza che si esercita su un filo di
lunghezza finita è sufficiente integrare la (6) su tutta la lunghezza del filo
 

F   dl  B
5.
(7 )
Le forze che si esercitano sulle correnti in un campo magnetico si chiamano forze di Ampére..
Descriviamo qualche semplice esperienza dimostrativa in cui queste forze si manifestano nettamente.
Prendiamo un magnete a ferro di cavallo (vedi figura) e poniamo tra i suoi poli un’asta metallica AB
sospesa a due fili elettrici. Quando vi si fa scorrere una corrente continua, l’asta AB si sposta lateralmente,
in un senso che la fa uscire o entrare nello spazio tra i due poli del magnete a seconda della direzione della
corrente e del campo magnetico. Quando la direzione della corrente o la direzione del campo magnetico si
inverte, il senso dello spostamento dell’asta si inverte.
S
F
B
N
A
La ruota di Barlow (1776-1862). Questo apparecchio dimostrativo si compone di un disco di rame montato su un
asse orizzontale attorno al quale può ruotare (vedi figura). Il bordo inferiore del disco è immerso in una vaschetta
riempita di mercurio. L’asse del disco e la vaschetta sono collegati ad una sorgente elettrica. Si pone il disco tra i
poli di un magnete perpendicolarmente al campo magnetico. Quando si applica una tensione continua, una corrente
radiale scorre attraverso il disco e le forze di Ampère applicate al disco lo mettono in rotazione. Quando il senso
della corrente si inverte, il senso di rotazione del disco si inverte.
Questi esperimenti dimostrano che i magneti esercitano un’azione sulla corrente elettrica. Anche le correnti
esercitano un’azione sui magneti. Un esempio ne è dato dal celebre esperimento di Oersted (1777-1851). Oersted
dispose al di sopra di un ago magnetico un filo rettilineo parallelo all’ago. Questo poteva ruotare liberamente
attorno ad un asse verticale. Quando si faceva passare una corrente elettrica nel filo, l’ago veniva deviato e si
disponeva in una posizione perpendicolare al filo. Quando si invertiva il senso della corrente, l’ago ruotava di 180°.
Si osservano i medesimi effetti quando si disponeva il filo elettrico al di sotto dell’ago magnetico. L’esperimento di
Oersted, realizzato nel 1820, permise per la prima volta di stabilire un legame tra i fenomeni elettrici e quelli
magnetici.
I
N
S

I.
Campo magnetico di una carica in moto uniforme. Legge di Biot e Savart.
Enunciamo ora la legge che determina il campo magnetico creato da una carica puntuale q in movimento,
limitandoci al caso di moti uniformi a bassa velocità. La legge è stata stabilita generalizzando i dati
sperimentali ed è espressa dalla formula
  q 
B  03 v  r
r
dove r è il raggio vettore condotto dalla carica q al punto di osservazione. Il campo elettrico di una carica
immobile della stessa grandezza q e nello stesso punto di osservazione è determinato dall’espressione

E
Quindi
ossia
II.
1
4 0

q
rˆ
r2
  q 
B  03 v  r
r
  
BvE
(a)
(b)
(c)
Utilizziamo queste formule per il calcolo della forza di interazione di due cariche puntuali q1 e q2
in
movimento. Questa interazione si compone di una interazione elettrica (secondo la legge di Coulomb) e di


una interazione magnetica. In ciò che segue tratteremo solo l’interazione magnetica. Siano v1 e v2
le
velocità delle cariche in movimento. L’intensità del campo magnetico creato dalla carica q(1) nel punto dove si
trova la carica q(2) è

q  
B1  31 v1  r12
r12
dove r12 è il raggio vettore condotto dalla prima carica alla seconda. Questo campo esercita sulla carica q(2)
una forza

 qq 
 
F12  0 31 2 [v2  (v2  r12 )]
r12
(d)
Analogamente, la carica q(2) esercita sulla carica q(1) una forza

qq 

F21  2 3 1 [v1  (v2  r21 )]
r21
dove il raggio vettore
r21 è orientato dalla carica 2 verso la carica 1.
(e)



Se le velocità v(1) e v(2) sono parallele, equiverse e perpendicolari al vettore r12 , le forze F12 e F21
saranno
forze di attrazione reciproca se le cariche sono dello stesso segno, e forze di repulsione se sono di segni opposti. Il
modulo di queste forze è determinato dalla formula
F12  F21  F 
q1q2 v1v2
( 2 )
r122
c
(f)
Nel caso particolare in cui le velocità delle cariche sono uguali risulta
F
q1q2 v 2
( )
r122 c
(g)

v2

v1


q1
F21
F12
q2
Se le forze sono antiparallele, nelle medesime condizione due cariche dello stesso segno si respingeranno e cariche di
segni contrari si attireranno.


Nel caso generale le forze di interazione magnetica F12 e F21
non soddisfano al principio di uguaglianza
dell’azione e reazione. Le violazioni di questo principio sono particolarmente evidenti quando le velocità v(1) e v(2)

sono perpendicolari, e la velocità v(2) è diretta lungo il vettore r12 .

F12

v1
q1


r12

B1

v2
q2



In questo caso B2  v 2  r21  0 e per conseguenza F21  0 , mentre come si vede nella figura F21  0 . Ma
abbiamo già notato più volte che nel caso di interazioni che avvengono tramite campi, il principio di uguaglianza
dell’azione e della reazione non è necessariamente rispettato.
III.
La formula (g) mostra che il rapporto tra la forza di interazione magnetica delle cariche in movimento e la
2
forza della loro attrazione o repulsione coulombiana è dell’ordine di (v / c) . Le velocità degli elettroni nei
metalli percorsi da una corrente elettrica a regime non superano qualche centimetro per secondo e negli
elettroliti esse sono ancora più piccole. Il rapporto
(v / c) 2 è quindi molto piccolo e non supera pressappoco
10 20 . Perché allora i motori elettrici vengono messi in moto proprio dalle forze magnetiche (di Ampère9
rispetto alle quali le forze di interazione elettrostatica non giocano praticamente nessun ruolo? Il fatto è che al
trasporto della corrente partecipa un enorme numero di particelle cariche ed è questo che compensa la
2
piccolezza del fattore (v / c) . E’ importante anche osservare che l’azione del campo magnetico su una carica
mobile q dipende non dai valori di q e v presi separatamente, ma dal loro prodotto qv. Quando una corrente
circola, le cariche di segni contrari si muovono in direzioni opposte, e quindi il prodotto qv ha lo steso segno
per tutti i portatori di corrente. Le forze che si esercitano in un campo magnetico su particelle di differenti
segni si sommano aritmeticamente e non si sottraggono. I campi magnetici creati dalle cariche in moto
dipendono anch’essi dal prodotto qv, e di conseguenza i campi eccitati da cariche di segni contrari si sommano
aritmeticamente. E’ tutt’altro il comportamento delle cariche elettriche rispetto ai campi elettrici. Dato che le
forze che si esercitano sulle cariche di segni contrari hanno direzioni opposte, esse si sottraggono
aritmeticamente. D’altra parte, anche in un corpo elettricamente carico, le cariche di un dato segno sono in
larga misura compensate dalle cariche di segno contrario. Per quanto sia grande la carica elettrica di un corpo,
essa è infinitesima rispetto alla carica totale delle particelle dello stesso segno contenute nel corpo. Ecco
IV.
perché le forze magnetiche superano notevolmente le forze elettriche che si esercitano sulle cariche non
compensate dei corpi.
Stabiliamo ora una legge che permette di determinare il campo magnetico di un singolo elemento di corrente.
Come abbiamo fatto in elettrostatica, partiremo dal principio di sovrapposizione, che è una generalizzazione
dei dati sperimentali. Secondo questo principio, i campi magnetici creati da differenti cariche in
movimento si sommano vettorialmente, e il campo eccitato da ciascuna carica non è assolutamente
influenzato dall’esistenza delle altre. Il principio di sovrapposizione conduce per il campo magnetico di un
elemento volumetrico alla seguente espressione

 j  r
dB  3 dV
r
( h)
Analogamente per un elemento lineare di corrente
   
dB  3 dl  r
r
(i )
Queste relazioni esprimono la legge nota come legge di Biot (1774-1862) e Savart (1791-1841). Il campo
totale si ottiene integrando le espressioni (h) e (i) su tutte le correnti
 
B 0
4
 0
B
4
 
j r
 r 3 dV
 
dl  r
 r3
Le due espressioni sono valide solo per le correnti continue. Ma le correnti continue sono sempre delle correnti
chiuse. Nessuna delle grandezze osservate subirebbe modifiche se si aggiungesse al secondo membro della
formula (i) un termine arbitrario il cui integrale si annulli su un qualunque contorno chiuso. Perciò nel quadro
della teoria delle correnti continue la legge elementare di Biot-Savart è in via di principio sperimentalmente
incontrollabile, perché è impossibile isolare singoli elementi di correnti continue al fine di sottoporli agli
esperimenti. La legge di Biot-Savart espressa in forma integrale è invece sperimentalmente controllabile. Per
questa ragione la nostra esposizione della teoria del campo magnetico delle correnti continue si basa sulla legge
che determina il campo magnetico di una carica in movimento e non sulla legge elementare di Biot-Savart
come è generalmente in uso. In via di principio il campo creato da una carica in movimento può sempre essere
misurato, sebbene praticamente ciò sia un esperimento assai arduo. La verifica sperimentale del fatto che le
cariche macroscopiche mobili creano campi magnetici richiese sforzi notevoli. Per la prima volta vi riuscì nel
1871 Rowland (1848-1901), che lavorava nel laboratorio di Helmholtz (1821-1894).
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