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promossa dalla Fondazione Ambrosiana Paolo VI
Questa storia degli ebrei è sostanzialmente la storia
del secondo millennio, preceduta da una presentazione della diffusione dell’ebraismo in Europa, degli itinerari in essa seguiti e da una mappatura delle sue comunità, con particolare attenzione a quelle italiane.
La trattazione si svolge attorno alle vicende dei due
grandi ceppi etnico-culturali e religiosi dei sefarditi e
degli ashkenaziti, indagate soprattutto nei loro aspetti
religiosi.
Sefardita è la prima grande diaspora ebraica che, dopo
quell’età dell’oro che fu la Spagna delle tre religioni, ha
invaso l’Europa e l’area euro-mediterranea: in seguito
alle persecuzioni contro gli ebrei nella penisola iberica
e alla loro espulsione nel 1492 essi si irraggiarono in
Francia, Olanda, Germania, Italia, e per ragioni di fede
e di mercato passarono nel Balcano e nell’ecumene
ottomana.
Gli ashkenaziti, ebrei dell’Europa centrale (Ashkenaz è
il nome ebraico della Germania), dalle loro sedi originarie nel ’500 si diffusero nella tollerante Polonia, e poi in
tutta l’Europa dell’Est. Accanto al Chassidismo, figlio
di questo ebraismo polacco-galiziano, parzialmente
dato in eredità all’Impero asburgico, successivamente
si manifestarono altri movimenti anche fuori di questi
confini territoriali e fuori della tradizionale ortodossia
ebraica. La Riforma rappresenta l’incontro-confronto
di questo ebraismo con i prodotti della cultura laica,
illuministica e poi risorgimentale dell’Occidente.
Gli ebrei diventano, tra ’700 e ’800, dei protagonisti
nella realtà economica, culturale e, in parte, anche
in quella politica dell’Occidente: da una parte essi
partecipano a tutte le lotte di liberazione (risorgimenti
nazionali), avvenute in Europa; di segno opposto sono
le persecuzioni antiebraiche dei tempi moderni, dirette
contro il potere vero o presunto dell’elemento ebraico
nella società, di cui la Shoah è il culmine.
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Storia religiosa
degli Ebrei di Europa
Storia religiosa degli Ebrei di Europa
collana europa ricerche - 18
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Europa ricerche
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Collana promossa dalla
Fondazione Ambrosiana Paolo VI
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Si ringrazia
per la concessione del patronato
e per il contributo dato alla realizzazione
della XXIX settimana europea su
«Storia religiosa degli Ebrei di Europa»,
di cui questo volume è frutto.
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Storia religiosa
degli Ebrei di Europa
A cura di
Luciano Vaccaro
CENTRO AMBROSIANO
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ISBN 978-88-8025-950-3
Il contributo di Maurice-Rubens Hayoun
è stato tradotto da Laura Tasso.
In copertina: Frontespizio di un’antica miniatura del Seder dell’Haggadah di Pesach.
Copyright © 2013 - ITL spa - Via Antonio da Recanate, 1 - 20124 Milano
Proprietà letteraria riservata - Printed in Italy
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Tel. 0039.0332.46.21.04 - Fax 0039.0332.46.34.63 - E-mail: [email protected]
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Myriam Silvera
Nuovi cristiani e marrani:
alcune prospettive storiografiche su cui rimeditare
Da alcuni ritenuto pura proiezione dei sogni romantici
di storici imputati di utilizzare le fonti inquisitoriali senza
la dovuta cautela metodologica, il tema dei conversos, che
in modi diversi hanno continuato a mantenere un qualche
legame con la tradizione ebraica, è sempre all’attenzione del
mondo accademico, indagato da uno sguardo più cauto rispetto al passato, e aperto ad accogliere le conclusioni più
complesse. Spogliato della sua connotazione spregiativa,
cioè del rimando alla duplicità ed all’ipocrisia, il termine
«marrano» viene da molti riutilizzato1. Se le metodologie
proposte per la verifica dell’accertata adesione al cripto-giudaismo del «marrano», ci conducono nel cuore del dibattito
storiografico, per una più compiuta comprensione del tema
qui proposto, dobbiamo prima procedere alla ricostruzione
delle principali tappe della persecuzione anti-ebraica e anticonversa nella penisola iberica. In seguito passeremo all’esame di alcune espressioni della così detta “religione marrana”,
sino a considerare – in conclusione – come un certo tipo di
spiritualità – che è eredità di quel contesto – si sia incontrata
o scontrata, nel XVII secolo, con l’ebraismo delle comunità
ebraiche ufficiali, in particolare ad Amsterdam.
Fernando del Pulgar, autore della Crónica de los Reyes
Católicos, descrive con grande efficacia la situazione di alcune famiglie converse a Toledo negli anni ’80 del Quattrocento: «Si trovavano nella città di Toledo alcuni uomini
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e donne che nascostamente praticavano alcuni riti ebraici.
Questi, con grande ignoranza e pericolo per le loro anime,
non osservavano [di fatto] né l’una né l’altra legge, perché non
si circoncidevano come ebrei, secondo quanto prescritto nel
Vecchio Testamento, e, per quanto osservassero il sabato e si
astenessero dal cibo nel corso di alcuni digiuni degli ebrei,
tuttavia non osservavano tutti i sabati e non si astenevano dal
cibo in tutti i digiuni […] cosicché trasgredivano l’una e l’altra legge. E in alcune famiglie si dava il caso di un marito che
osservava alcune cerimonie ebraiche, mentre la moglie era
buona cristiana e un figlio [o una figlia] era buon cristiano, e
un altro figlio nutriva opinioni ebraiche»2.
Sino al 1492, i conversos divenuti cattolici praticanti e i
conversos giudaizzanti, di cui ci è stato appena tratteggiato
un vivace campione, vivevano accanto alle comunità ebraiche ufficiali, pur notevolmente ridotte.
Il periodo di relativa convivenza sociale e culturale che
Maurice-Ruben Hayoun ci ha presentato nel suo intervento
subisce una battuta d’arresto alla fine del XIV secolo: la data
del 1391 segna infatti una tappa molto dolorosa. Approfittando della morte improvvisa del re Giovanni I di Castiglia
e della minore età del suo successore, l’arcidiacono Ferrán
Martínez dà il via ad una violenta persecuzione contro gli
ebrei di Siviglia3. Le motivazioni del sommovimento popolare sono di carattere sociale ed economico – gli ebrei
detengono spesso il ruolo di esattori delle tasse – ma sembrano anche fortemente orientate dalla polemica religiosa4.
La folla attaccò i quartieri ebraici, distrusse le sinagoghe,
costrinse alla conversione, uccise i refrattari. Un bilancio,
fornito da Hasdai Crescas in una lettera alla comunità di
Avignone, contava 25.000 ebrei convertiti su un totale di
35.000; i restanti sarebbero stati uccisi o venduti come schiavi ai musulmani. Scriveva Crescas, richiamandosi al libro
delle Lamentazioni (2, 4): «Il Signore ha teso il suo arco
come un nemico contro la comunità di Siviglia»5. Il movimento si estese alla comunità di Valencia, che fu totalmente
distrutta, di Barcellona, Burgos, Toledo, Gerona, Lerida6.
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Negli anni 1412-1415 la predicazione del domenicano
Vicente Ferrer e le intimidazioni che accompagnarono la
disputa di Tortosa, furono l’occasione di nuove campagne
conversionistiche. La disputa di Tortosa – ultima e più aspra
delle controversie concernenti il Talmud7 – vide a confronto, nelle sue 69 sedute tenutesi tra il 7 febbraio 1413 e il
13 novembre 1414, da un lato, Benedetto XIII e Girolamo
de Santa Fe8, dall’altro, una folta delegazione del rabbinato
aragonese tra cui Yosef Albo, celebre autore del Sefer haiqqarim (Il libro dei princìpi), e Astruk ha-Levi, voce spesso
presente nella protratta controversia. A partire dalla quindicesima sessione il rabbinato, convinto che a nulla potessero
valere le argomentazioni di difesa, scelse di rispondere con
il silenzio, tattica che accrebbe il timore, lo sgomento e lo
sconforto dei fedeli. Conversioni di interi gruppi familiari
si verificarono spesso al termine delle singole sedute. Il fenomeno riguardava ora persone di alto livello sociale e culturale. La disputa di Tortosa è essenziale per comprendere
la crisi spirituale che permeò la tradizione ebraica in questo
periodo9; essa si concluse con una sentenza di condanna per
il Talmud, e con l’ordine della sua censura.
La situazione della Spagna ebraica presenta parziali segnali di ripresa nel trentennio successivo al 1415; a Saragozza,
per esempio, sotto la direzione del citato Hasdai Crescas10. Per
quanto riguarda i conversos, essi si trovano ora le porte aperte
a tutti i livelli della società, mentre i legami matrimoniali contribuiscono a creare alleanze con la nobiltà spagnola.
Ma il processo di integrazione si arresta a partire dal
1449, quando a Toledo scoppia una rivolta anti-conversa: la
città rifiuta di assolvere a una nuova imposizione fiscale, il
cui importo viene invece anticipato da alcuni nuovi cristiani. Ne seguono gravi e drammatici disordini. Nel giugno
dello stesso anno, il gran siniscalco Pero Sarmiento vara un
editto, la Sentencia-Estatuto, che esclude la partecipazione
dei conversos ad incarichi pubblici e privati, esclusione determinata esclusivamente in base alla discendenza genealogica. Così è riportato in uno dei passi più significativi del
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testo: «Noi Pero Sarmiento, repostero mayor di nostro Signore il Re e del suo consiglio, e del suo assistente e giudice
supremo della nobilissima e realissima città di Toledo […]
dichiariamo […] che i conversos della stirpe dei giudei, in
quanto sospetti nella fede di nostro Signore e Salvatore Gesù
Cristo – la quale frequentemente ingiuriano con leggerezza
giudaizzando – non possono aver incarichi, né benefici pubblici né privati tali per cui possano arrecare ingiurie, offese
o maltrattamenti ai puri cristiani vecchi, né possono fungere
da testimoni contro di essi»11.
I promotori della Sentencia-Estatuto furono in un primo momento severamente condannati da papa Niccolò V
con la bolla che reca il significativo titolo di Humani generi
inimicus12, ma un anno dopo questa fu revocata, mentre i
provvedimenti discriminatori nei confronti dei conversos si
affermarono progressivamente, venendo infine adottati alla
metà del XVI secolo in tutta la Spagna. Per fare qualche
esempio: nel 1466 vengono applicati nei confronti di 6 cappellani e 2 sacrestani della cattedrale di Cordova; nel 1486 si
rivolgono contro diversi religiosi dell’ordine dei Geronimiti,
dove altissima era la percentuale dei conversos13; nel 1502
sono adottati all’interno del monastero benedettino di Montserrat; nel 1498 all’interno della corporazione dei fabbricanti
di candele di Barcellona, nel 1537 all’interno della corporazione dei chirurghi14.
Scrive in proposito Anna Foa: «In un mondo permeato
dalla concezione cristiana secondo cui tutti gli uomini sono
uguali, e in cui il battesimo appare in grado di cancellare
ogni macchia, vediamo apparire nel Quattrocento un’idea
del tutto nuova, quella della purezza del sangue. Esiste una
contraddizione profonda tra l’idea della conversione e una
concezione che sottolinea il sangue, a dispetto della fede religiosa che si professa. Anche se le discriminazioni nascono
dal sospetto di criptogiudaismo, esse finiscono per assumere
un sapore decisamente razzista. Ebreo resta, a dispetto della
conversione, colui nelle cui vene scorre sangue ebraico»15.
Il fondamentale lavoro di Albert Sicroff16 si sofferma
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sulle reazioni che il primo statuto del 1449 provocò in ambito cattolico e tra i conversos. Chi ne contestava la legittimità – come fece il papa in un primo momento – sosteneva
che la logica ad esso sottostante fosse profondamente in
contrasto con il pensiero paolino e si richiamava soprattutto a Galati 3, 27-28: «Poiché quanti siete stati battezzati
in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né
greco; non c’è più schiavo né libero: non c’è più uomo né
donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù»17.
Alonso de Cartagena, figlio del converso Pablo de Santa Maria, scriveva nello stesso anno 1449 il Defensorium
Unitatis Christianae, opera che, scrive Netanyahu, è «sì una
difesa, ma una difesa della Chiesa, non dei conversos in sé e
per sé, ed è una difesa concepita come protezione dinanzi a
un attacco, piuttosto che come un’apologia»18.
Il problema della eventuale continuità politica e strategica
tra gli statuti di limpieza de sangre, e la creazione dell’Inquisizione nel 1478 è stato a lungo dibattuto. Di contro a
una lettura che vede i due provvedimenti interagire lungo
direttive autonome e non combacianti – il secondo mirante
alla limpieza de fe – alcuni storici, Benzion Netanyahu tra i
primi, ne individuano la perfetta coerenza. La limpieza de fe,
l’obiettivo teso a sradicare l’eresia giudaizzante dal gruppo
dei conversos, sarebbe infatti puro pretesto dietro a cui l’Inquisizione mascherava il progetto di emarginare i conversos
dal corpo della società spagnola.
Quando sorge l’Inquisizione in Spagna, sostiene Netanyahu,
i conversos sono ormai perfettamente assimilati dal punto di
vista religioso al contesto circostante: lo scopo dell’Inquisizione – egli scrive – non è «sradicare un’eresia ebraica dal
mezzo del gruppo dei marrani [= conversos], ma di sradicare
il gruppo dei marrani dall’interno del popolo spagnolo»19. Vedremo più oltre come analoghe osservazioni saranno portate
avanti a proposito dell’Inquisizione portoghese.
Il periodo della compresenza in Spagna di ebrei e
conversos ha termine con l’espulsione dei primi, a seguito
del decreto emanato il 31 marzo 149220.
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La specificità del contesto portoghese: i nuovi cristiani
È ora opportuno fare qualche cenno alla sorte del gruppo
che si rifugiò in Portogallo, perché fu proprio in questa sede
che, secondo Révah, il fenomeno del marranesimo si espresse più compiutamente21. Mentre infatti in Spagna le conversioni hanno luogo nel corso di un intero secolo, in Portogallo
la conversione avviene simultaneamente e per tutto o quasi
il nucleo colà residente; la coesione delle relazioni sociali
e familiari avrebbe quindi favorito la protratta pratica del
cripto-giudaismo portoghese.
A seguito dei negoziati tra un’ambasciata di ebrei spagnoli e Giovanni II, e nonostante la contrarietà degli ebrei
residenti, nel 1492 giunsero in Portogallo circa 50.000 ebrei,
computo avanzato sulla base della tassazione prevista per i
nuovi arrivati. Questi furono infatti suddivisi in tre classi: a
600 famiglie abbienti, in grado di rispondere alle richieste
economiche del sovrano, fu concesso un permesso permanente; gli artigiani esperti nella fabbricazione di armi furono
accolti in cambio di una tassa di 4 cruzados a persona; i più
poveri – cui era imposta la somma di 8 cruzados – ebbero
invece un permesso di soggiorno limitato a otto mesi; dopo, sarebbero stati ridotti in schiavitù22. Effettivamente nel
marzo 1493 numerosi rifugiati appartenenti al terzo gruppo
furono dichiarati «prigionieri del re» e in tale situazione permarranno sino al 1495, quando al resto della comunità verrà
infine consentito di riscattarli23.
Il 5 dicembre 1496 fu emesso il decreto di espulsione di
tutti gli ebrei, da diversi storici erroneamente posto in relazione con una clausola contenuta nel contratto di matrimonio
tra Manuele I e l’infante Isabella di Aragona24. La partenza
sarebbe dovuta avvenire entro il 30 ottobre dell’anno successivo, ma, all’avvicinarsi della scadenza, la fuoriuscita dal
Regno venne impedita, mentre nella città di Lisbona si verificavano violenti disordini. Gli ebrei furono infine ammassati
in un palazzo, verosimilmente situato nell’attuale Praça do
Rossio e lasciati in piedi, senza cibo, né bevande per quattro
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giorni, al termine dei quali tutti – eccetto quaranta – cedettero al battesimo (di qui la caratterizzazione di «battezzati in piedi»)25. Ai nuovi cristiani fu garantito un periodo
di vent’anni in cui non si sarebbe fatta alcuna indagine sul
comportamento in materia di religione, e non sarebbe stata
messa in atto alcuna forma di discriminazione. Il permesso di emigrare dal Regno fu concesso eccezionalmente nel
1506 dopo il tragico massacro di Lisbona, da poco ricordato
con un significativo monumento, opera dell’architetto Graça
Bachmann, davanti alla chiesa di São Domingos26.
I più influenti tra i nuovi cristiani fecero numerosi tentativi
per scongiurare la creazione dell’Inquisizione che, autorizzata
da papa Clemente VII nel dicembre 1531, fu ritardata al maggio 1536; nel 1544, inoltre, l’attività di tutti i tribunali portoghesi fu sospesa da Paolo III; venne poi ripresa nelle città di
Lisbona e di Evora nel luglio del 1547, preceduta da un’amnistia generale che avrebbe riguardato 1.800 prigionieri.
La recrudescenza delle persecuzioni inquisitoriali che si
verificò in seguito portò al contro-esodo verso la Spagna, dove basso era divenuto il numero dei processi per cripto-giudaismo e, progressivamente, all’emigrazione verso il Nord
Europa e la Francia sud-occidentale (Bordeaux, Bayonne,
Dax, Saint Juan de Luz). Nel 1536, data della istituzione
del tribunale, viene emanato e diffuso tra la popolazione il
primo «Monitorio» portoghese, contenente i capi d’accusa
che avrebbero contraddistinto i presunti giudaizzanti, i quali
dovevano essere immediatamente segnalati alle autorità inquisitoriali. Révah osserva che, nel corso del tempo, diverse
usanze qui descritte cessano di avere un reale riscontro presso la popolazione dei nuovi cristiani, per esempio: la macellazione rituale non viene più praticata. Per descrivere questo
progressivo depauperamento rispetto alla tradizione ebraica,
Révah conia il termine di «marranesimo normale»: «Nel
marranesimo normale», egli scrive, «la tradizione ebraica si
è 1. parzialmente conservata, 2. considerevolmente impoverita, 3. leggermente modificata» (cfr. infra nota 78).
Avremo occasione di approfondire questo argomento nel
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seguito del nostro intervento. Per ora, facciamo un passo indietro verso la situazione spagnola della fine del Trecento e
dei tre decenni successivi.
«Averroismo» tra ebrei e conversos
Non tutti i conversos furono anusim [in ebraico: «costretti»], ricordava Francisco Márquez Villanueva27: la conversione – anche se si tende a dimenticarlo – fu per molti una scelta
volontaria. Superato il periodo delle persecuzioni e delle violenze, quali furono i fattori che favorirono il passaggio al cattolicesimo? Nel tentare una risposta, vale la pena riprendere,
ancora una volta28, la lettera che Jehoshua ha-Lorki, scrisse
al suo ex-correligionario Salomon ha-Levi divenuto Pablo
de Santa Maria (più tardi sarà vescovo della città di Burgos)
contestandogli la scelta della conversione avvenuta nel 1390.
La lettera è tanto più significativa in quanto anni dopo sarà
seguita dalla conversione dello stesso mittente, poi principale
animatore della disputa di Tortosa29: «Forse la tua anima bramava ricchezza e onori? O forse la meditazione filosofica ti ha
spinto a cambiare radicalmente ed a ritenere vane e illusorie
le prove della fede, e così ti sei rivolto verso cose più atte a
gratificare il corpo e a soddisfare l’intelletto, senza timore né
apprensione? O quando hai osservato la sventura del nostro
popolo, la moltitudine di disgrazie che di recente ci hanno
colpito, distrutto e sterminato, e il Signore che ha rivolto il
suo volto altrove [Dt 31, 17], consegnandoci come pasto agli
uccelli del cielo e alle bestie dei campi, allora hai pensato che
il nome di Israele non sarà mai più ricordato? O forse ti sono
stati rivelati i segreti della profezia e i principi della fede, che
non erano stati rivelati durante tutto il periodo dell’Esodo, e
hai visto che i nostri antenati non ereditarono altro che falsità,
che non compresero adeguatamente il proposito della Torà e
della Profezia, e tu hai scelto ciò che è veritiero e certo?»30.
Su questo brano, davvero centrale per comprendere la crisi spirituale dell’ebraismo spagnolo di inizio Quattrocento,
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aveva soffermato la sua attenzione Yitzhac Baer che, in relazione alla terza delle ipotesi avanzata da ha-Lorki – l’imputazione della conversione alle «sventure» del popolo ebraico – aveva formulato osservazioni molto acute: «[Il motivo
della disgrazia nazionale] sarebbe risultato decisivo per i
liberi pensatori che da tempo andavano vacillando. Anche
tra quegli uomini il cui cuore seguiva fedele il suo Dio, ci
furono coloro che si piegarono dinanzi al vento della Storia.
Il grande disastro della comunità ebraica spagnola – allora
la più numerosa del popolo ebraico – sembrava attestare agli
occhi di tutti che Dio aveva nascosto il suo volto agli ebrei e
che li aveva abbandonati alle perversità dei tempi»31.
Baer sembrava suggerire che in alcuni casi la conversione
potesse esser stata motivata non tanto da una opzione in favore del cattolicesimo, quanto da una fuga dall’ebraismo e in
particolare dal suo Dio, adirato contro il popolo di Israele; con
la sua fuga, il converso confermerebbe quasi paradossalmente
di continuare a riconoscere il Dio dell’Antica Alleanza. Osserviamo che simile opzione porta altresì a tener conto di una
possibile confluenza di tematiche derivanti da contesti teologici differenti: da parte ebraica, l’interrogazione sui motivi delle
disgrazie che si abbattono sul popolo d’Israele e la costante auto-imputazione delle colpe derivanti dalla mancata osservanza
della Legge; da parte cattolica, le accuse spesso avanzate nei
sermoni contro gli ebrei, che dipingevano a fosche tinte l’ira
divina per il mancato riconoscimento di Gesù come Messia.
Ancora, la seconda motivazione proposta nella lettera indica nella «meditazione filosofica» la causa dell’abbandono della
fede ebraica. Si tratta di un argomento che ha a lungo soffermato l’attenzione della storiografia e che individua il diffondersi
presso gli ebrei spagnoli di tendenze razionaliste e scettiche,
spesso denominate «averroiste», caratterizzate dal rifiuto della
fede nell’immortalità dell’anima, dalla negazione del principio
della retribuzione, dal diniego della provvidenza.
«Nel XV secolo, come nei periodi precedenti», scriveva Baer, «l’averroismo religioso era operante in quanto forza storica che minava alle fondamenta l’unità nazionale e
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religiosa ebraica. Nel periodo in esame, tuttavia, il pericolo
era tra i maggiori a causa della presenza dei conversos»32.
Oppure, intervenendo a proposito degli ebrei che prestavano i loro servigi a corte: «Un piccolo numero di questi
[cortigiani ebrei] non sentivano alcuna propensione all’indirizzo della religione e della tradizione, fatta eccezione per le
relazioni sociali che li univano al loro popolo. La giustificazione della loro posizione […] va ritrovata in una concezione filosofica ispirata al pensiero di Maimonide e di Averroè
[…] La prospettiva averroista influì notevolmente per molti
aspetti della vita sociale e religiosa degli ebrei di Spagna, e si
dimostrò decisiva nelle ore critiche della loro storia»33.
Nell’indicare come importante fattore della crisi del
Quattrocento la diffusione di concezioni di tipo averroista,
Yitzhac Baer, nella sua storia degli ebrei di Spagna, “inaugurava” probabilmente questo filone di ricerca; le fonti cui egli
faceva riferimento provenivano dalle polemiche contenute
in opere di autorità rabbiniche dell’epoca, per esempio dalla
Akedat Yitzhac (il «sacrificio» – o, alla lettera, la «legatura»
– di Isacco) di Yitzhac Aramà. La polemica di Aramà si
estende a coloro che, nel paragonare le leggi della Torà alle
leggi morali naturali privilegiano le seconde34, a coloro che
invitano a studiare il pensiero di Aristotele, abbandonando le
discussioni halakhiche35, a coloro che respingono l’interpretazione letterale della Torà a favore del suo significato allegorico e filosofico. Tutti costoro – secondo Aramà – «convertono
la parola del Dio vivente in costruzioni filosofiche».
Diversi storici sono intervenuti a proposito dell’«ipotesi
averroista» avanzata da Baer.
In tempi più recenti vi è ritornato – criticamente – José
Faur36: a suo avviso questa tesi sembra nutrirsi dell’equivoco
secondo cui ogni forma di irreligiosità e di mancata osservanza dei precetti coincida con l’osservanza e la conoscenza
del pensiero di Averroè. Questo filosofo, poi, in che lingua
sarebbe stato conosciuto? In ebraico, in arabo, in latino?
L’etichetta averroista sarebbe nata, sostiene Faur, a partire
dallo studio di Ernest Renan, Averroès et l’averroïsme, dove
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l’autore aveva evidenziato la mancanza di fede e di osservanza religiosa tra i pensatori averroisti del XVI secolo. Da
qui sarebbe sorta la corrispettiva conclusione – tutt’altro che
assiomatica – che ogni espressione di irreligiosità vada riportata a un orientamento filosofico ben preciso. Nella Spagna
del Quattrocento, si osserverebbero invece, sempre secondo
Faur, diverse forme di irreligiosità di carattere popolare, non
supportate da una precisa matrice filosofica. Così, per esempio, a proposito della concezione della mortalità dell’anima.
In questa polemica, merita di essere citato l’approfondito studio di Márquez Villanueva secondo cui «la tradizione
averroista […] è rimasta viva in Spagna, pur nel calore delle
fiamme dell’Inquisizione»; avrebbero contribuito alla sua
formazione e alla sua specifica declinazione sia influenze
culturali provenienti dalle università italiane, e da quella
di Padova in particolare, sia l’incidenza della traduzione in
spagnolo della Guida dei Perplessi iniziata nel 1419. Scetticismo e irreligiosità – osserva sempre Márquez Villanueva
– sarebbero stati presenti tra la composita popolazione dei
conversos e non solo nelle formulazioni più colte: lo storico
ispanista intitola il suo articolo riprendendo un’affermazione
molto diffusa a livello popolare «[en esta vida] no hay sino
nasçer e morir como bestias»37.
La riflessione sulla diffusione di queste correnti eterodosse è stata recentemente ripresa da Yosef Kaplan che ha
precisato l’orizzonte dei pensatori contro cui si accanivano i
rappresentanti dell’ortodossia38.
Kaplan si vale dello studio di Dov Schwartz39 che descrive un circolo di otto filosofi, vissuti nella Spagna della
seconda metà del XIV secolo e riuniti dal comune interesse
per Abraham Ibn Ezra. Essi, definiti da Schwartz «neoplatonici»40, sembrano tuttavia partecipi dei medesimi orientamenti in materia religiosa dei cosiddetti “averroisti”. Così
Kaplan presenta alcuni aspetti del loro pensiero: «Utilizzavano la terminologia filosofica dei traduttori in ebraico di
Maimonide e scrivevano in uno stile raffinatamente esoterico. Esprimevano di solito le loro vere opinioni su argomenti
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delicati, non nel cuore della discussione, bensì in margine ad
essa. Ricorrevano a un linguaggio ambiguo e confondevano
le loro posizioni contraddicendosi intenzionalmente». Questi
pensatori – continua la descrizione di Kaplan – dipingevano
l’esercizio intellettuale come lo strumento essenziale atto a
raggiungere la conoscenza divina; ciò poteva tradursi in una
dispensa dall’osservanza dei comandamenti o, quanto meno,
in una neutra indifferenza verso la normativa ebraica41.
In ultima istanza l’indifferenza dell’adesione a qualunque
fede religiosa, avrebbe reso più facile la transizione al cattolicesimo? Oppure i presunti averroisti avrebbero ritenuto il cristianesimo ancor meno razionale dell’ebraismo e per questo
si sarebbero ben guardati dal convertirsi? Se la discussione
permane aperta, resta indubbio che una notevole libertà nell’interpretare la tradizione – libertà che poteva giungere sino
alle conclusioni più radicali – fu eredità di molti conversos.
Se passiamo dall’ambito delle motivazioni che possono
aver indotto alla conversione, al modo in cui questa sarebbe
stata vissuta dai singoli individui, ci troviamo dinanzi a un
quadro molto articolato e fitto di orientamenti diversi, talvolta confluenti l’uno nell’altro.
Grande fortuna ha avuto la tipologia dei conversos proposta da José Faur: accanto al convertito divenuto cristiano
credente a tutti gli effetti (1), si situa il giudaizzante (2), il
giudeo-cristiano (3), l’indifferente o scettico che prende le
distanze da entrambe le religioni (4)42.
La tesi di Faur andrebbe letta non tanto attenendosi alla delimitazione di ogni singola opzione entro rigidi confini, quanto piuttosto ponendo l’accento sulla declinazione al plurale
delle differenti scelte in ambito filosofico e religioso. In altri
termini, l’interesse della sua classificazione non risiede tanto
nella descrizione di ogni singolo tipo nella sua specificità,
quanto nel fatto che “i tipi” siano molteplici. Molto opportuna
giunge allora l’ulteriore suddivisione proposta da David Gitlitz di ognuna delle categorie enucleate. Nel tipo 1 confluirebbero cattolici zelanti (1a) e cattolici riformatori (1b), cristiani
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eterodossi (1c) e cristiani inseriti nelle strutture ecclesiastiche
o «christian professionals» (1d). Il tipo 2 racchiuderebbe giudaizzanti osservanti (2a), giudaizzanti accomodanti o concilianti (2b), giudaizzanti anti-cattolici (2c) la cui identità si
affermerebbe esclusivamente in relazione alla loro polemica
anticristiana. Quanto al terzo tipo, accanto a coloro che avrebbero osservato contemporaneamente riti cattolici e riti ebraici
e sostenuto concezioni provenienti dall’uno e dall’altro ambito
confessionale (3a), Gitlitz propone di aggiungere la figura del
sincretico consapevole (3b). Infine il quarto tipo delinea un
non credente di orientamento averroista secondo le linee che
abbiamo sopra enucleato43.
A integrazione e complemento di questa “tassonomia”,
per restituire di nuovo un quadro fluido e dinamico, giungono gli studi di David Graizbord e di Natalia Muchnick dedicati a figure che trapassano valichi e frontiere identitarie, i
«passeurs de frontières»44.
Altra e in questo caso contraria occasione di riflettere
sull’universo plurale dei conversos viene da Márquez Villanueva, secondo cui nello studio dei conversos vi sarebbe
stata una sopravalutazione dell’elemento religioso e la falsa
indicazione di un costante conflitto tra appartenenze confessionali diverse: «È ingannevole pretendere», scrive, «che sia i
vecchi che i nuovi cristiani abbiano vissuto solo in funzione
della loro identità religiosa, catechizzati in questa e non [invece] in prima istanza affannati in larga maggioranza nelle
opprimenti incombenze della vita quotidiana»45.
Oltrepassano parimenti la classificazione di Faur-Gitlitz,
sovente contestandola, gli studiosi dediti alla descrizione
delle reti familiari, commerciali ed economiche dei conversos; la comunanza di queste renderebbe le scelte religiose un
“sottoprodotto”; mentre la denominazione più in uso diventa
homens de negócios e, fuori dal Portogallo, si parla di membri
della nação portuguesa. Molti sono gli studi in questo ambito, ci limitiamo qui a segnalare i lavori di Jonathan Israel e
di Francesca Trivellato. Carsten Wilke46 presenta una buona
sintesi bibliografica di queste ricerche, proponendo egli stesso
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una maggiore attenzione alle nuove prospettive di carattere
antropologico. Il lavoro di Wilke è spesso citato come esempio
da seguire da Federica Ruspio, che lamenta la mancata comunicazione tra studiosi di specializzazioni diverse: «non si può
fare a meno di sottolineare la debolezza persistente nel dialogo
tra i due approcci, tuttora distinti tra una storia intellettuale e
della mentalità e una dei soggetti sociali ed economici»47.
Vero e falso cripto-giudaismo
Il dibattito della storiografia moderna e contemporanea,
come abbiamo anticipato, si concentra soprattutto sull’ipotesi del converso giudaizzante, il secondo modello proposto da
Faur. Dobbiamo accogliere alla lettera le accuse dell’Inquisizione e ritenere reali le accuse di cripto-giudaismo? Importanti
osservazioni critiche a riguardo erano state formulate da Ellis
Rivkin, in un articolo dal titolo The Utilization of non-Jewish
Sources for the Reconstruction of Jewish History48. Lo storico
aveva invitato a confrontare e analizzare le accuse rivolte agli
ebrei nel corso della storia alla luce delle «necessità strutturali» della società non ebraica. Le accuse di avvelenamento dei
pozzi, di omicidio rituale, di profanazione dell’ostia sono nate e
si sono intensificate, secondo Rivkin, a partire dal XII secolo,
quando il sistema feudale iniziava a mostrare segnali di crisi.
Così, l’Inquisizione con i suoi processi ai presunti giudaizzanti
viene istituita nel 1478 come reazione alla nuova classe borghese emergente. Se lo storico respinge la fondatezza del primo
tipo di imputazioni, dovrebbe al pari invalidare le accuse di
cripto-giudaismo dell’Inquisizione. Perché non interpretare
le une e le altre nello stesso modo? Perché non applicare a
entrambe la medesima metodologia di verifica? Le ammissioni di giudaizzare rese dai conversos dinanzi all’Inquisizione
dovrebbero essere lette con cautela analoga a quella con cui
leggiamo le dichiarazioni di colpevolezza degli ebrei che, sotto
tortura, confessarono nel 1491 di aver ucciso il «Niño de La
Guardia»49. Secondo Rivkin, in conclusione: «I conversos […]
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non furono perseguitati a causa del loro giudaismo segreto,
l’Inquisizione non fu istituita per eliminare una minaccia alla
fede cattolica, i documenti dell’Inquisizione non possono essere utilizzati come testimonianza della vita religiosa dei conversos, ma costituiscono solo una fonte di ciò che l’Inquisizione
voleva che il popolo credesse a proposito dei conversos»50.
E giungiamo con ciò al dibattuto tema della reale o
presunta “marranicità” o “giudaizzazione” degli imputati
dell’Inquisizione.
Uno dei motivi primari dell’operato dell’Inquisizione era
l’odio razziale – sosteneva Netanyahu già nella sua monografia dedicata a Isaac Abravanel51. Come abbiamo visto, le
sue tesi furono sviluppate in The marranos of Spain del 1966
dove egli affermava che, se non fosse intervenuta l’Inquisizione, in Spagna si sarebbe perduta ogni traccia di ebraismo.
«Non è stato un potente movimento marrano», scriveva, «a
causare l’istituzione dell’Inquisizione, ma è stata l’istituzione della Inquisizione a provocare una temporanea rinascita
del marranesimo spagnolo»52.
A dimostrazione del fatto che i conversos prima del 1478
si erano perfettamente assimilati, Netanyahu si volge all’esame di alcune opere di polemica anti-cristiana, che attestano
le preoccupazioni dei loro autori per la crescente attrazione
dei figli d’Israele verso il cattolicesimo. Ma il capitolo che ha
maggiormente coinvolto la storiografia successiva è stato quello dedicato alle dichiarazioni di non ebraicità, pronunciate dal
rabbinato, relative a singoli conversos: i responsa di importanti
autorità in ambito halakhico residenti in Spagna concorrevano
ad attestare l’infondatezza delle accuse di cripto-giudaismo
mosse dall’Inquisizione. Anche per i rabbini, dunque, i conversos sarebbero stati cattolici a tutti gli effetti53.
Il dibattito Saraiva-Révah
Parte delle obiezioni che Netanyahu formulava a riguardo
dei presunti cripto-giudaizzanti spagnoli vengono avanzate da
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António José Saraiva a proposito dei nuovi cristiani portoghesi, che sarebbero stati pretestuosamente accusati di giudaizzare dall’Inquisizione portoghese. Secondo Saraiva, storico di
dichiarato orientamento marxista, l’Inquisizione incarnerebbe l’ostilità della vecchia aristocrazia feudale verso la classe dei nuovi cristiani, che coincideva con la nuova borghesia
in espansione. Le imputazioni di cripto-giudaismo rivolte ai
disgraziati prigionieri sarebbero dunque pure macchinazioni
dell’Inquisizione; in realtà attraverso la prigionìa, la confisca
dei beni, i processi e le condanne, l’apparato inquisitoriale si
farebbe garante della classe economica e sociale che rappresenta e, con ciò, del suo proprio potere. «Lo storico scrupoloso
che prende alla lettera i documenti emanati dall’Inquisizione
rischia di perdersi in un erudito labirinto»54, scriveva Saraiva,
delineando un’immagine che dopo di lui avrà molta fortuna.
Nelle tesi di Saraiva l’Inquisizione si trasforma così in
una «fabbrica» di marrani55. Si entra cattolici a tutti gli effetti, si esce giudaizzanti, costretti a confessare pratiche e
riti appresi dalla stessa Inquisizione. Quali sarebbero stati i
mezzi di cui questa si sarebbe servita nell’opera di “educazione al giudaismo”? Secondo Saraiva bisogna rivolgersi in
primo luogo al «Monitorio» che segnalava feste e riti ebraici
(indizi di colpevolezza) che veniva diffuso tra la popolazione
per incoraggiare le delazioni.
Per Révah, che aveva difeso l’autenticità della religione
marrana, a suo avviso venutasi strutturando proprio in Portogallo a partire dal Cinquecento (per gli ebrei portoghesi
– lo ricordiamo – ci fu un’unica conversione in massa nel
1497, e non quel progressivo smembramento dalle comunità
ebraiche che si era verificato in Spagna), la pubblicazione del
libro di Saraiva costituì un grave colpo. Reagì in una lunga
intervista pubblicata nel supplemento letterario del «Diário
de Lisboa» (6 maggio 1971), accusando Saraiva di demagogia e di non avere mai esaminato un solo processo dei 30.000
conservati nell’Arquivo da Torre do Tombo a Lisbona56.
Saraiva avrebbe applicato la teoria della lotta di classe
in modo schematico e grossolano («simplista») sosteneva
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Révah, obiettando tra l’altro che tra gli indagati per criptogiudaismo vi furono molti individui appartenenti alle classi
più povere57. Saraiva scelse di replicare attraverso le voci di
due personaggi, David e Alfonso che, sempre nel «Diário
de Lisboa» “vivisezionavano” le critiche di Révah. «Che
cosa può capire della lotta di classe un illustre Professore
del Collège de France quale era Révah? Ha poco da vantarsi
poi di aver studiato 1.000 processi conservati all’Arquivo da
Torre do Tombo, che ne è degli altri 29.000 là racchiusi? […]
E poi a che vale tutto quello studio se non si trova nei suoi
scritti una sola idea, che sia un’idea?». Attraverso «David»
Saraiva paragonava Révah a un paleontologo che, volendo
ricostruire lo scheletro di un dinosauro si procurava 30.000
ossicini, ma poi non sapeva come connetterli…
1. Da poco sappiamo che mentre polemizzava con Saraiva,
Révah continuava a riflettere profondamente sulle tesi del suo
antagonista. È infatti uscito nel 2004 un libro dedicato a Uriel
da Costa et les marranes de Porto58 che raccoglie le sue lezioni di quegli stessi anni 1969-1971. Qui vediamo che Révah
stava perfezionando un sistema di verifica delle confessioni
degli imputati, ipotizzando che per parte di essi, la dichiarazione di “giudaicità” fosse effettivamente “fabbricata” in
base alle accuse che partivano dall’Inquisizione stessa. Ai
suoi allievi Révah diceva: «Abbiamo insistito con costanza su
due concetti: 1. nella trasmissione del contenuto religioso del
marranesimo attraverso i secoli c’è stata una bizzarra ma innegabile concomitanza tra – da un lato – gli Editti di fede e le
sentenze lette per ordine del Sant’Uffizio e – dall’altro – la tradizione clandestina degli stessi marrani. 2. Quando i marrani
incarcerati si decidevano a confessare, al momento di descrivere la loro religione eretica erano propensi a farlo secondo
determinate modalità: a) utilizzando le formule presenti nel
Monitorio propagato nel 1536 […] ripreso nell’editto di fede
letto periodicamente nelle chiese portoghesi, b) utilizzando
le formule richiamate nelle sentenze lette pubblicamente nel
corso degli auto da fé, c) utilizzando le formule ricorrenti nell’interrogatorio in genere, d) utilizzando le formule estratte
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dagli inquisitori […] e presentate agli accusati […] nell’interrogatorio in specie […]»59.
Sempre affermando la realtà del cripto-giudaismo portoghese, Révah riconosceva che, nella sua espressione, il marranesimo risultava fortemente condizionato dalle pre-conoscenze della stessa Inquisizione. Ne derivava al tempo stesso
che l’autenticità della confessione doveva essere commisurata alle diverse forme di documentazione sopra elencate.
Un efficace esempio è costituito dall’analisi che Révah
fa delle dichiarazioni rese agli inquisitori del Tribunale di
Coimbra da Leonor de Pina, una parente di Uriel da Costa.
Quando parla del sabato, non dice nulla di nuovo rispetto
al Monitorio e alle domande formulate nell’interrogatorio
in genere.
«Monitorio del 1536: Osservano lo shabbat alla maniera
e al modo giudaico, non compiendo alcuna opera e non lavorando in quel giorno, abbigliandosi ed ornandosi di vestiti,
biancheria e gioielli da festa, ordinando e pulendo le loro
case il venerdì, preparando il cibo il venerdì per il sabato,
accendendo o facendo accendere candelabri puliti con stoppini nuovi il venerdì, non un altro giorno, e lasciandoli accesi
tutta la notte, fino a che non si spengano da soli: tutto questo
per onorare, celebrare e osservare lo shabbat?».
«Interrogatorio in genere: Quanti shabbat [sic] ha osservato veramente o ha desiderato osservare, vestendosi in quel
giorno con camicie pulite e con i migliori abiti che possedeva, cominciando a osservare dal venerdì sera, facendo
spazzare la casa, pulire i candelabri, mettervi l’olio pulito
e gli stoppini nuovi, e lasciandoli accesi fino a che non si
spengessero da soli?».
Una prima risposta di Leonor sembrerebbe conformarsi
ai due modelli proposti:
«Leonor de Pina, Udienza del 22 marzo 1619: Da circa
sette o otto anni, il sabato lavoravo di meno rispetto agli
altri giorni, perché mi sembrava di peccare lavorando in
quel giorno, ero nell’errore e credevo nella Legge di Mosè,
considerandola come buona e sperando di trovarvi la mia
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salvezza. Se lavoravo un po’ il sabato, era per dissimulare
e per far credere alle mie serve vecchie cristiane che non
rispettavo il riposo sabbatico. Durante quello stesso periodo, siccome consideravo il sabato come un giorno festivo,
indossavo una camicia pulita».
Révah non escludeva che confessioni “conformiste” si
potessero verificare, soprattutto nel caso dell’imputato cattolico a tutti gli effetti, o comunque del tutto estraneo al
cripto-giudaismo, intenzionato a scongiurare una condanna
in quanto negativo. Il caso di Leonor de Pina era però diverso. Venendo a parlare dei digiuni, la sua testimonianza
si arricchiva e l’imputata confessava di essersi astenuta dal
cibo nei giorni del 17 di Tammuz e del 9 di Av, date legate
in prima istanza alla distruzione del Primo e del Secondo
Tempio60. Ora, di questi digiuni non si trova indicazione
alcuna nel Monitorio. Non solo, Leonor aggiungeva ancora
che soleva osservare un periodo di semi-lutto tra queste due
date, non mangiando carne e non indossando abiti nuovi,
norme proprie dell’ebraismo rabbinico61. Da ciò si poteva
inferire che il suo cripto-giudaismo non fosse di «fabbrica»,
ma attestasse precise tradizioni trasmesse entro l’ambito sociale e familiare.
«Leonor de Pina, Udienza del 12 luglio 1619. Circa otto
anni fa, quando Gabriel da Costa mi apprese le cose della
Legge di Mosè, tra le cerimonie che mi insegnò e che ho
confessato dinanzi a questo tribunale vi era la seguente: nel
mese di luglio avrei dovuto digiunare due giorni all’interno di un periodo di tre settimane, l’uno all’inizio e l’altro
alla fine, per onorare un massacro di ebrei accaduto in una
certa regione (non mi ricordo di questa regione) perché il
massacro era cessato in questo periodo dell’anno. Nel corso
di queste tre settimane era opportuno non mangiare carne
e non indossare biancheria pulita, tutto ciò in onore della
Legge di Mosè»62.
La confessione fatta da Leonor a riguardo dell’osservanza
delle tre settimane di semi-lutto potrebbe forse essere indicata come “elemento dialogico” all’interno del rapporto
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inquisitore-imputato, utilizzando in questo caso la terminologia proposta da Carlo Ginzburg63.
Il cammino dei due storici è stato certamente indipendente,
considerando anche che è giunto a maturazione in tempi diversi. Il movente di Révah che – lo ricordiamo morì nel 1973 – furono essenzialmente le critiche di Saraiva, che lo coinvolsero
più delle stesse obiezioni mosse da Rivkin e da Netanyahu.
Saraiva, dal canto suo, anni dopo, ed esattamente nel
1985, avrebbe avuto occasioni di esprimere a riguardo di
Révah espressioni più benevole che nel passato. Ce lo riferisce Yosef Kaplan, il quale, in occasione di un convegno tenutosi a Gerusalemme, accompagnò l’ospite a visitare la città
e rispose alle sue numerose curiosità e domande. A un certo
momento Saraiva avrebbe dichiarato circa questo: «Lei sa
senz’altro che ho avuto con Révah un serio contenzioso. Non
è stato per niente cortese nei miei riguardi, mi ha persino insultato pesantemente. Ma, in fondo, aveva ragione! Io non tenevo conto dell’elemento di irrazionalità nell’ebraismo!»64.
Personalmente lo interpreto come un “ammorbidimento”
che non compromette affatto le tesi di fondo dello storico
portoghese, ma che lascia la porta aperta, forse, anche a una
definizione di identità non esclusivamente prodotto della
realtà materiale circostante.
Le tesi di Saraiva oggi: Herman Prins Salomon
Lo studioso Herman Prins Salomon, autore di importanti pubblicazioni ed edizioni di testi sulla cultura e sulla
storia della comunità ebraica di Amsterdam65, aveva preso
posizione in favore delle tesi saraiviane sin dalla prima edizione di Inquisição e Cristão novos66. Più recentemente ha
curato la traduzione inglese del libro, in collaborazione con
I.I. Sassoon, aggiungendovi note e commenti e scegliendo
come titolo, significativamente, The Marrano’s Factory, la
fabbrica di marrani, definizione che, come abbiamo visto, lo
storico portoghese attribuiva all’Inquisizione portoghese67.
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La tesi di Salomon concernente l’inesistenza di una autentica tradizione di cripto-giudaismo nella penisola iberica
giunge ad abbracciare il tema della fondazione delle prime comunità ebraiche del Nord Europa e di Amsterdam in
particolare. I primi conversos giunti nelle Province Unite
erano – secondo Salomon – cattolici praticanti in fuga dalle
persecuzioni inquisitoriali, alla ricerca di più sicure condizioni di vita e di migliori opportunità di scambi commerciali. Salomon si sofferma analiticamente su uno dei miti
fondanti della comunità ebraica di Amsterdam, mito che
vede i futuri membri della congregazione di Bet Ja’acov
celebrare clandestinamente in una casa privata la funzione
del Kippur, destando il sospetto delle autorità locali: a suo
avviso questa narrazione andrebbe decriptata, gli avvenimenti andrebbero situati nel mese di dicembre e non verso
settembre-ottobre e nella riunione clandestina sarebbe stata celebrata una messa natalizia, e non una funzione dello Yom Kippur. Una irruzione della polizia in una casa di
“portoghesi” durante il Natale del 1596, testimoniata da un
prete di nome Barthelmeus Cornelisz e conservata presso
gli Archivi Municipali della città, conforterebbe l’ipotesi di
Salomon68, che conclude tratteggiando la singolare forma di
marranesimo dei primi Nuovi Cristiani portoghesi di Amsterdam: adesione esteriore al calvinismo, pratica nascosta
del cattolicesimo…
Coerenti con la visione dell’Inquisizione come «fabbrica di marrani», le ricerche di Salomon si volgono anche ai
diversi testi conservati del Monitorio, documenti che, a suo
avviso, risultano essenziali nel forgiare l’immagine del cripto-giudaismo. Con un attento esame filologico Salomon dimostra che il testo del Monitorio del 1536, il primo ad essere
promulgato in Portogallo, fu redatto a imitazione dei precedenti e ne raffronta due, diffusi l’uno a Valencia nel 1512
e l’altro nelle isole Canarie nel 152469. Così, per esempio,
il termine sabbadejar, azione che accompagnerebbe la preghiera ebraica secondo il Monitorio del 1536 e nei seguenti,
trova la sua spiegazione in un’alterata trasmissione del verbo
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cabotejar (muovere la testa) correttamente riportato nel testo
di Valencia. Attraverso numerosi altri confronti70 Salomon
conclude che il testo, riprendendo precedenti versioni, non
rispecchia affatto il presunto quadro del cripto-giudaismo
portoghese, del resto a suo avviso inesistente.
La posizione di Salomon è analiticamente riaffermata in
un corposo studio pubblicato in diversi numeri della rivista
«Sefarad» e dedicato ai processi inquisitoriali per criptogiudaismo nell’area di Quintanar de las Orden e di Alcázar
de San Juan (rispettivamente sotto la giurisdizione del Tribunale di Cuenca e di Toledo), precedentemente oggetto di
una pubblicazione di Charles Amiel71. Salomon nega che vi
sia in queste regioni una tradizione familiare di marranesimo e analizza riti, usi, feste e preghiere “confessate” dagli
imputati, evidenziandone inautenticità e contraddizioni. Le
conclusioni risultano orientate da una estrema fedeltà alle
tesi saraiviane (così a me pare): «Questo credo nella realtà del marranesimo ha esso stesso in certo senso preso le
sembianze di una fede religiosa ed i suoi credenti (storici
professionisti) potrebbero quasi essere scambiati per apologisti. Il compito che lo storico “marranista” si auto-impone
è di illustrare la realtà del marranesimo tramite i documenti
prodotti dall’Inquisizione».
Il percorso che conduce Salomon alle sue conclusioni conosce tuttavia momenti nuovi e interessanti. Come per esempio quando lo studioso si chiede come mai Ana del Campo
nel descrivere la storia della regina Ester – fonte del digiuno
confessato – affermi che la regina «chiedeva perdono» per i
peccati del suo popolo, richiesta non presente nel testo biblico, né attestata in altre fonti ebraiche e che si ritrova invece
nel Flos Sanctorum di Alonso de Villegas72.
Se per Salomon ciò dimostra che la matrice del presunto marranesimo dell’imputato è esclusivamente letteraria e
che egli attinge dove può per scongiurare una condanna in
quanto negativo, da un altro punto di vista si conferma come
la documentazione relativa a usanze, feste, riti ebraici che i
conversos potevano reperire era molteplice e varia73.
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Verso una riscrittura della «religione marrana»?
Com’è noto, la prima e più esaustiva trattazione della «religione» dei marrani fu intrapresa da Cecil Roth74. Gli interventi
dello storico inglese – parzialmente anche tradotti in italiano
– meritano di essere letti alla fonte; ci limitiamo per ora a enuclearne singoli e parziali momenti. Intanto occorre sottolineare che Roth per primo si è soffermato sul contesto «sincretico»
delle usanze marrane, nel senso che si sarebbero «rivestite»
esternamente di forme di pensiero cattoliche75. Di qui l’adorazione per «i santi» Mosè, Ester, Tobia, o la predilezione per
la preghiera di Geremia, tratta dall’ultimo capitolo del libro di
Barukh. Sempre Roth, per primo, ha evidenziato la particolarità del culto offerto alla regina Ester. Egli sosteneva che i
giudaizzanti avrebbero trovato una sorta di compensazione rispetto ai numerosi compromessi della loro vita quotidiana nel
ricordo di personalità che in qualche modo avevano condiviso,
nel passato, il destino di chi è costretto a fingere, e che tuttavia
si è reso meritevole, proprio in grazia della simulazione, della
salvezza dell’intero popolo ebraico. È il caso di Ester, la cui
identificazione con la religione ebraica è molto blanda, ma
che riesce a far revocare il decreto che votava allo sterminio
la popolazione ebraica del Regno di Persia, preparato dal malvagio Haman. «La preghiera di Ester» è spesso testimoniata
all’interno delle frammentarie forme di liturgia confessate; si
tratta di Ester 16, 14-30, presente nella versione accolta nel
canone biblico cattolico, ma non nella Bibbia ebraica; il giorno
di digiuno che fece la regina, insieme ai suoi correligionari,
prima di presentarsi dinanzi al sovrano e marito Assuero, veniva sovente imitato, e spesso prolungato a tre giorni.
La pratica dei digiuni era generalmente osservata, sopratutto il lunedì e il giovedì. Roth76 non ne conosce precisamente l’origine. Poiché sono attestati per esempio nel Monitorio
del 153677, sarebbe importante determinare se erano in uso
nel contesto spagnolo e portoghese precedente l’istituzione
dell’Inquisizione o se sono stati in qualche modo ricordati o
ravvivati tramite i suoi editti.
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Sulle origini di quest’uso abbiamo tre diverse indicazioni, risalenti a tempi diversi, antichi e più recenti: l’astensione dal cibo nei due giorni della settimana (e nel primo
della successiva: ad esempio lunedì-giovedì-lunedì) dovevano anticamente essere praticati in casi di siccità (Mishnà,
Ta’anit, cap. 1); lo Shulkhan Arukh Orah Hayim 492 prevede poi che quando il fedele si fosse trovato a compiere un
qualche peccato nel corso delle feste di Pesach o di Succot,
lo avrebbe espiato con un digiuno, al termine di queste, il
lunedì, giovedì e lunedì seguente, oppure il giovedì, lunedì
e giovedì seguente (dipende da quale dei due giorni seguiva immeditamente nel calendario). La tradizione ebraica
conosce poi digiuni relativi prevalentemente a trasgressioni sessuali, sempre in quei due giorni, nel corso delle sei
settimane comprese tra la lettura delle parashot Shemot e
Mishpatim, donde il nome di Shovavim (Shemot, Vaerà, Bo,
Be-shalakh, Itrò, Mishpatim).
Se la storia di quest’uso presso i giudaizzanti iberici necessita ancora di approfondimenti, si osserva tuttavia con
chiarezza l’estensione della loro durata, da un tempo limitato
previsto, all’arco di tutto l’anno. Probabilmente ciò potrebbe
essere messo in relazione con il forte clima penitenziale dominante tra ’500 e ’600, ma anche rapportato allo specifico
contesto spirituale del marrano, per il quale l’espiazione non
è mai completa: di qui la protratta mortificazione tramite i
digiuni. Sembra mancare, in altri termini, l’idea del possibile
riscatto dell’individuo, un progetto, una scelta della via da
seguire per un possibile recupero; la tradizionale teshuvà non
sembra mai raggiunta…
Non è un caso, a mio avviso, che tra i primi libri ebraici
pubblicati ad Amsterdam si contino ben due diverse edizioni delle Hilkhot Teshuvà di Maimonide, le Norme sul
pentimento estratte dal suo Mishnè Torà. Il rabbinato di
Amsterdam sapeva che l’educazione dei nuovi arrivati doveva partire dalla teshuvà, oltre che, naturalmente, dalla
milà, la circoncisione.
Il quadro della religiosità marrana si è arricchito grazie
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alle numerose ricerche di I.S. Révah, ma anche alle riflessioni di Yosef Haim Yerushalmi, di Yirmiahu Yovel, di Charles
Amiel e di David Gitlitz, autore quest’ultimo di un amplissimo repertorio di riti e usanze78.
In generale l’indagine ha tratto vantaggio dalla delimitazione cronologica e da una precisa localizzazione geografica. Così la corposa edizione curata da Pier Cesare Ioly
Zorattini dei Processi del S. Uffizio di Venezia contro ebrei
e giudaizzanti ha messo ben in evidenza la specificità del
cripto-giudaismo locale79. Questo viene poi dettagliatamente ripreso in un articolo scritto dallo stesso autore, Derekh
teshuvà: la contiguità con la comunità ebraica, a Venezia,
rende possibile per esempio l’acquisto clandestino, entro le
mura del ghetto, di carne macellata ritualmente. Lo stesso
contesto è studiato, declinato al femminile, da Maddalena
Cotrozzi Del Bianco che sottolinea la fedeltà delle donne
ai precetti loro consacrati, come il prelievo della challà e
l’accensione dei lumi sabbatici80.
Tra i lavori più recenti si segnala la tesi già ricordata di
dottorato di Claude B. Stuczynski dedicata all’analisi del
tipo di «religiosità marrana» che si riscontra a Bragança
verso la seconda metà del XVI secolo: l’autore vi propone
alcune chiavi di interpretazione applicabili in generale al
contesto del cripto-giudaismo, quali la reinterpretazione
del concetto di «religione marrana» o la revisione del suo
presunto sincretismo, ipotizzato, come abbiamo visto per
primo da Roth, ma anche da molti degli autori sopra menzionati. Soprattutto vi è da cogliere l’invito a tener conto
delle riserve relative alla documentazione inquisitoriale,
senza tuttavia concludere, in ogni circostanza, in favore del
più totale relativismo, ripercorrendo con ciò le osservazioni
di Carlo Ginzburg. Scrive Stuczynski nella sua presentazione: «Proprio per via della mia simpatia per quelle tesi
che mettono in discussione le fonti inquisitoriali e sollevano
innumerevoli obiezioni al loro utilizzo come fonti storiche
per la ricostruzione della religiosità dei “Nuovi Cristiani”,
credo che questo studio possa dimostrare che non tutti i
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documenti dell’inquisizione sono una rappresentazione distorta da parte dell’interrogante o da parte dell’imputato.
[…] All’interno di queste fonti monofoniche, possono esssere ritrovate significative voci polifoniche».
“Vero” e “finto” ebreo
Direttamente o indirettamente – attraverso la polemica
Saraiva-Révah – abbiamo visto alcuni aspetti della tradizione marrana. Sappiamo tuttavia che talvolta la fedeltà al giudaismo si esprimeva all’interno della coscienza individuale,
senza essere supportato dalla pratica di alcun rituale. In taluni casi sarebbe stata la sola “fede” nella Legge di Mosè a
contraddistinguere l’identità marrana; in altri, sarebbe bastata la sola “intenzione” di osservare la Legge a definire il cripto-giudaismo. In altri casi ancora si sarebbe trattato di una
dichiarazione di appartenenza, a volte caratterizzata da un
unico denominatore: la polemica anti-cristiana. Révah, ispirandosi alle parole dello scrittore portoghese João de Barros,
risalenti al 1531 circa, aveva proposto per il marranesimo la
definizione di «ebraismo potenziale» che, all’incontro con
le comunità ufficiali diveniva «ebraismo reale»81. Di questo ebraismo potenziale meriterebbe di essere sottolineata
la dimensione utopica: l’ebraismo è visto come una radicale
alternativa al modo di vita quotidiano, ma anche come sogno,
come proiezione di ideali diversi legati e dipendenti dalle
singole storie individuali.
Ebreo potenziale ed ebreo reale sono efficacemente richiamati in una interessante testimonianza di Isaac Orobio
de Castro. Nel 1663, Orobio che era stato prigioniero dell’Inquisizione a Siviglia tra il 1654 e il 1656, e che ora è medico ad Amsterdam scrive a Juan de Prado, una personalità
oggetto di molti studi – soprattutto in ambito spinoziano82.
Prado, che vive ad Anversa, ha verosimilmente rimproverato ad Orobio, ora rappresentante dell’ortodossia ebraica
ad Amsterdam, di aver nascosto la sua ebraicità quando si
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trovava nella penisola iberica; giustificandosi, Orobio ribatte
a Prado, attraverso un sottile gioco dei concetti di «libertà» e
di «prigionia», di autenticità e di simulazione, di ebreo nella verità e cristiano nella menzogna: «Non è la stessa cosa
rinfacciarmi il fatto che in Spagna io abbia finto di essere
cristiano, perché la vita è un bene molto caro. Ma non l’ho
mai finto bene e così si è scoperto che io altro non ero se non
ebreo. E se là, a rischio della mia libertà, dell’onore, dei miei
beni e persino della vita ero ebreo nella verità e cristiano
nella menzogna, è più che verosimile che, dove godo della
libertà, grazie alla divina Misericordia, sarò ebreo vero; che
solo a Vostra Signoria è capitato di essere finto cristiano e
vero ebreo dove non poteva essere ebreo, e di essere finto
ebreo dove poteva esserlo per davvero»83.
In questo contesto che delinea una situazione di libertà
(Amsterdam) contrapposta a una situazione dove l’incolumità personale risulta gravemente compromessa, l’accezione di
«finto cristiano» sembra essere la stessa per ciascuno dei due
contendenti. «Finto ebreo» è invece valida solo per Prado, che
vorrebbe rientrare nel seno della comunità di Amsterdam, pur
avendone deriso le usanze84. Ma che dire del «vero ebreo»?
Il termine – nelle due situazioni geografiche qui richiamate
– si declina molto diversamente. Quel «vero ebreo» che Prado avrebbe potuto essere ad Amsterdam, non è quello stesso
«vero ebreo» che era stato in Spagna. Nella penisola iberica la
definizione di ebreo pareva essere affidata alla auto-percezione soggettiva, alla coscienza individuale, ad Amsterdam “il
vero ebraismo” è attestato entro un contesto sociale e istituzionale. Ecco perché molte volte l’ebraismo potenziale poteva
soccombere all’incontro con l’ebraismo reale.
I rabbini, i maestri, gli educatori delle comunità ebraiche
della diaspora avevano di fronte compiti molto ardui. I più
sensibili sapevano di dover accogliere con pazienza «i nuovi
ebrei»85, e di dover reinterpretare e riformulare quella dimensione individualista, talvolta nutrita di uno sguardo utopico
all’indirizzo delle comunità “libere”, che aveva confortato il
cripto-giudaismo nella penisola iberica.
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Note
* Ringrazio i Proff. Pier Cesare Ioly Zorattini e Claude B.
Stuczynski per la loro cortese lettura di questo testo.
1
I.S. Révah, Antonio Enríquez Gómez, un écrivain marrane (v.
1600-1663), Édition établie, presentée et annotée par C.L. Wilke,
préface de G. Nahon, traduction des sources espagnoles par M. Escamilla-Colin et B. Perez, Chandeigne, Paris 2003; N. Wachtel, La foi
du souvenir. Labirintes marranes, Seuil, Paris 2001, (in italiano: La
fede del ricordo: ritratti e itinerari di marrani in America, XVI-XX
secolo, trad. di S. Vacca, Einaudi, Torino 2003). Per la storia e l’etimologia del termine si rinvia a A. Farinelli, Marrano. Storia di un
vituperio, Olschki, Genève 1925.
2
Citato in S. Pastore, Un’eresia spagnola: spiritualità conversa,
alumbradismo e Inquisizione, 1449-1559, L.S. Olschki, Firenze 2004,
p. 27. Cfr. anche F. Márquez Villanueva, Sobre el concepto de judaizante, in “Encuentros” and “Desencuentros”. Spanish Jewish Cultural Interaction Throughout History, edited by C. Carrete Parrondo,
M. Dascal, F. Márquez Villanueva, A. Sáenz Badillos, University
Publishing Projects, Tel Aviv 2000, pp. 519-542 (in part. 527-528).
3
Cfr. Y. Baer, Historia de los Judíos en la España christiana,
trad. J.L. Lacave, Altalena, Madrid 1981, pp. 531-610. Per la “voce”
dello stesso Baer ci atteniamo alla traduzione inglese del 1961-1966,
che egli considerava come una terza edizione (I e II ediz. in ebraico
nel 1945 e 1959). Cfr. anche L. Suárez Fernández, La Expulsión
de los Judíos de España, Editorial Mapfre, Madrid 1992 (I ediz.
1991), pp. 165-206. Per altre indicazioni bibliografiche vedi le note
successive.
4
Per l’analisi delle condizioni sociali e economiche che determinarono gli avvenimenti cfr. Ph. Wolff, The 1391 Pogrom in Spain.
Social Crisis or not?, in «Past and Present», 50, 1971, pp. 4-18; per
il periodo successivo cfr. A. MacKay, Popular Movements and
Pogroms in fifteenth Century Castille, in «Past and Present», 55,
1972, pp. 33-67.
5
Alla lettera fa spesso riferimento Baer, Historia de los Judíos, p.
532. Cfr. anche un altro contesto, citato a p. 539, dove Crescas ricorda
la morte del figlio nel corso dei massacri e il martirio di numerosi altri
fedeli: «Lucharon con los judíos que estaban en la torre (del castillo)
con arqueros y ballesteros y los batieron y dispersaron en la dicha torre. Muchos murieron mártires, entre ellos mi único hijo, un inocente
corderillo sin mácula; lo ofreceré como holocausto, revindicaré sobre
mí el juicio de Dios y me confortaré con la hermosura de su suerte y
la dulzura de su destino. Muchos de ellos se degollaron a sí mismos y
otros se arrojaron desde la torre… algunos salieron de allí y murieron
mártires en la calle».
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6
Cfr. C. Roth, A Hebrew Elegy on the Martyrs of Toledo, 1391,
in «Jewish Quarterly Review», 39 (1948), 2, pp. 123-150; D. Pagis,
Elegies on the Massacres of 1391 in Spain, in «Tarbiz», 37 (1968), pp.
370-371 (in ebraico). V. anche C. Del Valle, N. Roth, A. Schippers,
Elegías hebreas sobre las persecuciones de 1391 en España, in
«Iberia Judaica», 3, 2011, pp. 77-113.
7
I protocolli latini della disputa sono stati pubblicati da A. Pacios López, La Disputa de Tortosa, I: Estudio histórico-doctrinal; II:
Actas, Madrid-Barcelona 1957. Fondamentali le pagine dedicate da
Baer, Historia de los Judíos, pp. 611-684. V. anche A. Poznanski, Le
colloque de Tortose et de San Mateo (7 février 1413 - 13 novembre
1414), in «Revue des Études Juives», 147, 1922, pp. 2-39; 148, 1922,
pp. 160-168; 149, 1922, pp. 74-88; 150, 1922, pp. 187-204; 151, 1923,
pp. 37-46. Cfr. anche The Tortosa Disputation Regesta of Documents
from the Archivo de la Corona de Aragon: Fernando 1. 1412-1416,
compiled by G. Escriva, introduction by Yom Tov Assis, Ginzei am
Olam, Jerusalem 1998 (Sources for the History of the Jews in Spain,
6). C. Del Valle Rodríguez, La disputa de Tortosa: la antigua versíon
original hispana de las Actas, in «Iberia Judaica», 2, 2010, pp. 203215. Moshe Orfali ritiene che il termine «catechesi» sia più adatto di
quello di «disputa», cfr. M. Orfali, The Portuguese Edition (1565) of
Hieronymus de Sancta Fide’s “Contra Iudaeos”, in Contra Iudaeos.
Ancient and Medieval Polemics between Christians and Jews, edited
by O. Limor, G.G. Stroumsa, J.C.B. Mohr, Tübingen 1996, pp. 239256 (in part. 239). Cfr. anche M. Orfali, Jerónimo de Santa Fe y la
polémica cristiana contra el Talmud, in «Annuario di Studi Ebraici», 10 (1980-1984), pp. 157-178, e M. Orfali, El tratado «De Iudaicis
erroribus ex Talmut» de Jerónimo de Santa Fe, introducción general,
estudio y análisis de las fuentes por M. Orfali, CSIC, Madrid 1987.
8
Ex Jehoshua ha-Lorki di cui si parlerà più avanti. L’acronimo
di Mestre Geronimo de Santa Fe, diveniva per i suoi avversari, in
ebraico, «megadef», il blasfemo.
9
La bolla di Benedetto XIII contro il Talmud, datata 11 maggio
1415, è pubblicata in Orfali, El tratado “De Iudaicis erroribus ex
Talmut”, pp. 194-200.
10
Cfr. Baer, Historia de los Judíos, pp. 558-562; cfr. anche Suárez
Fernández, La Expulsión, pp. 228-251.
11
Tutto il documento è pubblicato in E. Benito Ruano, La “Sentencia-Estatuto” de Pero Sarmiento contra los conversos toledanos,
in «Revista de la Universidad de Madrid», 6 (1957), pp. 277-306.
12
Cfr. V. Beltrán de Heredia, Las bulas de Nicolás V, in «Sefarad»,
21 (1961), pp. 22-47. L’autore di questo articolo non si distingue per
simpatia all’indirizzo degli ebrei, e giustifica tanto l’istituzione dell’Inquisizione, quanto il decreto di espulsione; cfr. ibidem, p. 23
per l’attitudine degli ebrei a rispettare la legge solo in ciò che a loro
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converrebbe, e ibidem, p. 36: «La implantación del Tribunal del Santo
Oficio era una necesidad imperiosa, si se quería garantizar la pureza
de la fe y el orden público, condiciones imprescindibles para llegar a
la unidad nacional. La expulsión de los judíos que vino después era sí
otra medida radical, tantas veces censurada, pero también necesaria
para poner a salvo valores de índole superior».
13
Cfr. S. Pastore, voce Geronimiani, in Dizionario Storico dell’Inquisizione, diretto da Adriano Prosperi, con la collaborazione di
Vincenzo Lavenia e John Tedeschi, Scuola Normale Superiore, Pisa
2010, II, pp. 662-665.
14
J. Edwards, The beginnings of a scientific theory of race?
Spain 1450-1600, in Actas del Congreso Internacional de Ciéncias
Históricas, Comité International des Sciences Historiques, Madrid,
pp. 625-636 (in part. p. 628), ripubblicato in J. Edwards, Religion
and Society in Spain, c. 1492, Variorum, Aldershot 1996 (Collected
Studies Series, 520).
15
A. Foa, Ebrei in Europa dalla peste nera all’emancipazione,
XIV-XVIII secolo, Laterza, Bari 1992, p. 139. Numerosi paralleli sono stati evidenziati tra queste sanzioni e le leggi razziste del 1938. Mi
limito a fornire qui le linee guida per un eventuale approfondimento. Dopo un intervento “pioniere” di C. Roth, Marranos and Racial
Antisemitism: A Study in Parallels, in «Jewish Social Studies», 3
(1940), pp. 239-248, l’argomento è stato ripreso da Y. Yerushalmi,
Assimilation and Racial Anti-Semitism: the Iberian and the German Models, New York 1982 (Leo Baeck Memorial Lecture, 26),
pubblicato in traduzione francese in Sefardica. Essais sur l’histoire
des Juifs, des marranes et des nouveaux-chrétiens d’origine hispano-portugaise, Chandeigne, Paris 1998, pp. 255-292 e pp. 344-361. Il
medesimo contributo è ora anche disponibile in traduzione italiana,
presso Giuntina, a cura e con prefazione di D. Bidussa. Il tema è
parimenti analizzato da J. Edwards, The beginnings of a scientific
theory of race? Interessanti analisi si trovano anche in G. Anidjar,
Lines of Blood. Limpieza de Sangre As Political Theology, in Blood
in History and Blood histories, a cura di M. Gadebusch Bondio, Edizioni del Galluzzo, Firenze 2005, pp. 119-136. J. Hernández Franco,
El pecado de los padres. Construcción de la identidad conversa
en Castilla a partir de los discursos sobre limpieza de sangre, in
«Hispania. Revista Española de Historia», 217, 2004, pp. 515-542.
16
A.A. Sicroff, Les controverses des statuts de «pureté de sang»
en Espagne du XVe au XVIIe siècle, Didier, Paris 1960.
17
Ibidem, p. 45. Cfr. anche I Cor 12, 13 e Col 3, 11. Utilizzo La
Bibbia di Gerusalemme, Dehoniana, Bologna 1999 (XVI ed.).
18
B. Netanyahu, The Origins of the Inquisition in Fifteenth Century Spain, Random House, New York 1995, pp. 516-577 (in part.
528): «It is a defense, to be sure, but a defense of the Church, not of
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the conversos per se, and it is a defense in the sense of protection
against attack and not in the sense of an apology».
19
B. Netanyahu, The Marranos of Spain. From the Late XIVth
to the Early XVIth Century. According to Contemporary Hebrew
Sources, American Academy for Jewish Research, New York 1966,
p. 4: «The aim of the Inquisition […] was not to eradicate a Jewish
heresy from the midst of the Marrano group, but to eradicate the
Marrano group from the midst of the Spanish people». In direzione
opposta alle tesi di Netanyahu va il corposo lavoro di Haim Beinart,
Records of the Trials of the Spanish Inquisition in Ciudad Real, Edited with Introduction and Notes, 3 voll., The Israel National Academy of Sciences and Humanities, Jerusalem 1974-1981, vol. one:
1483-1485; vol. two: The Trials of 1494-1512 in Toledo, vol. three:
The Trials of 1512-1527 in Toledo.
20
Il decreto contiene un preciso riferimento alla necessità di salvaguardare le nuove scelte religiose dei conversos, scelte costantemente minacciate dalla presenza degli ebrei nei medesimi luoghi: «Gli
Ebrei cercano con tutti i mezzi possibili di sottrarre i fedeli cristiani
alla nostra Santa Fede Cattolica, di distoglierli, di sviarli e di attirarli
alla loro fede e opinioni dannate: li istruiscono delle cerimonie ed
osservanze della loro Legge, organizzano delle riunioni dove dicono
e insegnano loro ciò che devono credere e praticare seguendo la loro
Legge, si occupano della circoncisione loro e dei loro figli, danno
loro i libri di preghiere, li informano dei digiuni da rispettare, […] li
informano dell’arrivo della Pasqua […] danno loro, portandoglielo da
casa, il pane azzimo», Foa, Ebrei in Europa, p. 131. Su questo argomento cfr. in particolare M. Kriegel, La definitiva soppressione del
pluralismo religioso nella Spagna dei re cattolici: limiti e efficacia
dell’approccio «intenzionalista», in Oltre il 1492, a cura di A. Foa,
M. Silvera, K.R. Stow, numero monografico de «La Rassegna Mensile
di Israel», 58 (1992), 1-2, pp. 1-12. Kriegel confronta l’editto di espulsione del 1492 con l’editto di espulsione dei musulmani dalla Castiglia nel 1502. Quest’ultimo, nel fare esplicita menzione al precedente
provvedimento contro gli ebrei sottolinea la nefasta influenza delle
comunità musulmane sui moriscos: «Considerando che così come la
causa maggiore di sovversione di molti cristiani nel nostro regno è
risultata essere la vita in comune e la comunicazione con gli ebrei, così
vi è un grande pericolo nella comunicazione dei suddetti musulmani
(moros) del nostro regno con i nuovi convertiti e [questi musulmani]
saranno la causa per cui i nuovi convertiti saranno attratti e indotti a
lasciare la nostra fede e a tornare ai precedenti errori», ibidem, p. 4,
nota 5. V. anche H. Beinart, The Expulsion of the Jews from Spain,
translated by Jeffrey M. Green, The Littman Library of Jewish Civilization, Oxford-Portland (OR) 2002, in particolare capitolo 3, The Fate
of Jewish Communal Property, pp. 55-117.
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21
I.S. Révah, Les marranes, in «Revue des Études Juives», s.
III, 118, 1959-1960, pp. 29-77; ripubblicato in I.S. Révah, Des Marranes à Spinoza, Textes réunis par H. Méchoulan, P.-F. Moreau et
C.L. Wilke, Vrin, Paris 1995, pp. 29-77. Già nel 1959 ne apparve una
traduzione italiana a cura di D. Lattes ne «La Rassegna mensile di
Israel», 25 (1959), 2, pp. 75-84, e 3-4, pp. 132-140. Cfr. anche dello
stesso I.S. Révah, Les marranes portugais et l’Inquisition au XVIe
siècle, in The Sephardi Heritage. Essays on the History and Cultural Contribution of the Jews of Spain and Portugal, I: The Jews
of Spain and Portugal Before and After the Expulsion of 1492, ed.
R.D. Barnett, London 1971, pp. 479-526; ripubblicato in I.S. Révah,
Études portugaises, éd. C. Amiel, Fundação Calouste Gulbenkian,
Paris 1975 (Civilização portuguesa, 3), pp. 185-228.
22
Cfr. C.L. Wilke, Histoire des juifs portugais, Chandeigne,
Paris 2007, pp. 67-70.
23
Per la sorte dei bambini sotto gli otto anni venduti al proprietario dell’isola di São Tomé cfr. E. Lipiner, Os baptizados em pé:
estudo acerca da origem e da luta dos Cristãos-novos em Portugal,
Vega, Lisboa 1998.
24
Per una più puntuale ricostruzione storica si vedano G. Marcocci,
I custodi dell’ortodossia. Inquisizione e Chiesa nel Portogallo del Cinquecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2004; F. Soyer, The
Persecution of the Jews and Muslims of Portugal. King Manuel I and
the End of Religious Tolerance (1496-7), Brill, Leiden-Boston, 2007.
25
Lipiner, Os baptizados em pé.
26
Y.H. Yerushalmi, The Lisbon Massacre of 1506 and the Royal
Image in the «Shebet Yehudah», Hebrew Union College-Jewish Institute of Religion, Cincinnati 1976 (Hebrew Union College Annual.
Supplement, 1), anche in traduzione francese in Y.H. Yerushalmi,
Sefardica: essais sur l’histoire des juifs, des marranes & des nouveaux-chrétiens d’origine hispano-portugaise, Chandeigne, Paris
1998, pp. 35-173; cfr. anche S. Bastos Mateus, P. Mendes Pinto,
Lisboa 19 de Abril de 1506: o massacre dos Judeus, Aletheia Editores, Lisboa 2007. Per la storia dell’Inquisizione si veda ora G. Marcocci, J.P. Paiva, História da Inquisição Portuguesa, 1536-1821, A
Esfera dos Livros, Lisboa 2013.
27
Márquez Villanueva, Sobre el concepto de judaizante, p. 521.
Netanyahu individuava una profonda differenza tra le conversioni del
1391 e quelle del 1412-15, cfr. il suo The Marranos of Spain, p. 95:
«For what must be borne in mind […] is that, contrary to common notion, the camp of the Marranos was far from consisting only of forced
converts. It had been basically created in two stages and through two
processes, manifestly different. The first stage was that of 1391; the
second that of 1412-1415 – and the difference between the two in
the nature of the conversions was enormous indeed. While most of
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the converts in the first stage were forced, most of the second were
voluntary, neither physical compulsion nor direct threat of death
having been the cause of their conversion».
28
Cfr. Baer, Historia de los judíos, pp. 570-580, e, tra le fonti più
recenti, M. Glatzer, Crisis de fe judía en España a fines del siglo XIV
y principios del XV, in Judíos. Sefarditas. Conversos. La expulsión
de 1492 y sus consecuencias. Ponencias del Congreso Internacional celebrado en Nueva York en novembre de 1992, editado por Á.
Alcalá, Ámbito, Valladolid 1995, pp. 55-68; B.R. Gampel, A Letter
to a Wayward Teacher: The Transformations of Sephardic Culture
in Christian Iberia, in Cultures of The Jews. A New History, ed. by
D. Biale, Schocken Books, New York 2002, pp. 389-447.
29
Cfr. supra, note 7 e 8.
30
La lettera e parte della risposta di Santa Maria furono pubblicate già da L. Landau: J. de Santa Fe, Das apologetische Schreiben
des Josua Lorki an den Abrünningen Don Solomon ha-Lewi, hrsg. L.
Landau, Verlag von Teitelbaum & Boxenbaum, Antwerpen 1906 (non
vidi); riprendo la citazione da Baer, Historia de los judíos, pp. …
31
Baer, Historia de los judíos, p. 574-575.
32
Scelgo l’edizione inglese per la citazione dello storico (cfr. supra
nota 3): Y. Baer, A History of the Jews in Christian Spain, Jewish
Publication Society of America, Philadelphia 1961, p. 258: «In the
Fifteenth century, as in previous ages, religious Averroism existed as
a historical force undermining the foundations of Jewish national and
religious unity. In the period under discussion, however, the danger
was all the greater because of the presence of the conversos».
33
Ivi, I, p. 240.
34
Ibidem, p. 255 e p. 486.
35
Ibidem, p. 256.
36
J. Faur, In the Shadow of History. Jews and Conversos at the
Dawn of Modernity, State University Press, New York 1992, in part.
p. 235, nota 55.
37
F. Márquez Villanueva, «Nasçer e morir como bestias» (criptojudaísmo y criptoaverroísmo), in Los judaízantes en Europa y la
literatura castellana del Siglo de Oro, editado por F. Díaz Esteban,
Letrúmero, Madrid 1994, pp. 273-293. A p. 291 la citazione sopra riportata: «La tradición averroísta […] ha permanecido viva en España,
al calor de las mismas llamas inquisitoriales». Cfr. anche ibidem,
poco sopra: «Lo que por razones de terminología llamaré la “España
criptoaverroísta” ha estado ahí siempre, proyectando una sombra de
inquietudes, disidencias y anticipos en el seno de la España inquisitorial a modo de complemento funcional obligado de ésta».
38
Y. Kaplan, Foi et scepticisme dans la diaspora des nouveaux-chrétiens des débuts de l’Europe moderne, in La Diaspora
des «Nouveaux-Chrétiens», Centro cultural Calouste Gulbenkian,
147
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Lisboa 2004 (Arquivos do Centro Cultural Calouste Gulbenkian,
48), pp. 21-40.
39
D. Schwartz, The Philosophy of a Fourteenth-Century Jewish
Neoplatonic Circle, The Bialik Institute, Jerusalem 1996 (in ebraico).
40
Ho avuto recentemente occasione di discutere con Mauro
Zonta di questa definizione, che a nostro comune avviso non va interpretata alla lettera.
41
Kaplan, Foi et scepticisme, p. 28.
42
J. Faur, Four classes of Conversos: a typological study, in «Revue des Études Juives», 149, 1990, pp. 113-124, poi confluito in In
the Shadow of History, cap. 3, pp. 41-52. La prima categoria viene
chiamata da Faur «Faithful Christian Converso», la quarta «the Religiously Apathetic Converso». Numerose sono le osservazioni di Faur
che meriterebbero di essere riportate; per esempio nella premessa di
questo terzo capitolo precisa che, per quanto suddivisi dal punto di
vista ideologico, questi quattro gruppi erano uniti da legami familiari, professionali e politici (p. 43). Ancora, egli osserva che alcuni
conversos di alto livello sociale e culturale erano convinti, proprio a
causa delle loro origini ebraiche, della loro superiorità «gerarchica»
rispetto ai correligionari di origine gentile (p. 48). Approfondisce
questo argomento Pastore, Un’eresia spagnola. A proposito poi della
quarta categoria e in particolare della diffusa credenza nella mortalità dell’anima, Faur tratteggia una figura singolare: colui che, in base
al proprio sentimento di colpevolezza, ritiene che a lui non spetti l’aldilà, dunque, in questo caso, una negazione che parte da presupposti
soggettivi. La tipologia dei conversos era stata già anticipata da J.
Caro Baroja, Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea,
Ediciones ISTMO, Madrid 1978 (I ed. 1962), II, pp. 293-316. Articolata è qui anche la caratterizzazione di coloro che, dopo la conversione, si dirigevano con ostilità verso gli ex-correligionari.
43
D. Gitlitz, Secrecy and Deceit. The Religion of the CriptoJews, Jewish Publication Society, Philadelphia 1996, pp. 83-90.
44
D.L. Graizbord, Souls in Dispute. Converso Identities in Iberia and the Jewish Diaspora, 1580-1700, University of Pennsylvania
Press, Philadelphia 2004; D.L. Graizbord, A Historical Contextualization of Sephardi Apostates and Self-Styled Missionaries of the
Seventeenth Century, in «Jewish History», 19 (2005), pp. 287-313; N.
Muchnik, Du judaïsme au catholicisme. Les aléas de la foi au XVIIe
siècle, in «Revue Historique», 623, 2002, 3, pp. 571-609. L’espressione «passeurs de frontières» è presa da un altro lavoro della stessa
autrice: N. Muchnik, Juan de Prado o las peregrinaciones de un
«passeur de frontières», in Familia, Religión y negocio. El sefardismo en las relaciones entre el mundo ibérico y los Países Basos en
la Edad Moderna, edited by J. Contreras, B. García García, I. Pulido,
Fundación Carlos Amberes, [Madrid] 2003, pp. 237-268.
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45
Márquez Villanueva, Sobre el concepto de judaizante, p. 526:
«es engañoso assumir que lo mismo nuevos que viejos cristianos vivieran sólo pendientes de su identidad religiosa, catequizados a fondo
en ésta y no primordialmente atentos en su mayoría a los abrumadores ajetreos de la vida cotidiana».
46
J. Israel, European Jewry in the Age of Mercantilism, 15501750, Clarendon Press, Oxford 1985; F. Trivellato, The Familiarity
of Strangers. The Sephardic Diaspora, Livorno and Cross-Cultural Trade in the Early Modern Period, Yale University Press, New
Heaven 2009; C. Wilke, L’historien de la «Nation portugaise» devant le défi de la mobilité: l’étude des réseaux nouveaux-chrétiens
depuis I.S. Révah, in La Diaspora des «Nouveaux-Chrétiens», pp.
41-53. Cfr. anche Atlantic diasporas. Jews, conversos, and cryptoJews in the age of mercantilism, 1500-1800, edited by R. Kagan,
Ph. Morgan, Johns Hopkins University Press, Baltimore 2009, e in
particolare il saggio di D. Studnicki-Gizbert, “La Nación” among
the Nations. Portuguese and Other Maritime Trading Diasporas in
the Atlantic, Sixteenth to Eighteenth Centuries, pp. 75-98.
47
F. Ruspio, La Nazione portoghese. Ebrei ponentini e nuovi
cristiani a Venezia, Silvio Zamorani editore, Torino 2007, p. 26.
48
E. Rivkin, The Utilization of non-Jewish Sources for the
Reconstruction of Jewish History, in «Jewish Quarterly Review»,
48 (1957), 2, pp. 183-203.
49
Rivkin osserva che quando Baer trattava di questo episodio
nella sua storia degli ebrei di Spagna metteva l’indice sulla procedura
inquisitoriale seguita in questo caso, senza realizzare che in tal modo
stava mettendo in seria discussione l’intero corpus della documentazione dell’Inquisizione.
50
Rivkin, The Utilization of non-Jewish Sources, pp. 92-93: «The
Conversos […] were not persecuted because of their secret Judaism;
the Inquisition was not established / to destroy a menace to the Catholic faith: the documents of the Inquisition cannot be used as evidence
for the religious life of the Conversos, but are a source only for what
the Inquisition wanted the people to believe about the Conversos».
51
B. Netanyahu, Don Isaac Abravanel statesman and philosopher,
Jewish Publication Society of America, Philadelphia 1953, p. 275.
52
Netanyahu, The Marranos of Spain, p. 3.
53
Sull’utilizzazione dei responsa da parte di Netanyahu sono
tra gli altri intervenuti Gerson D. Cohen nella recensione al volume
pubblicata in «Jewish Social Studies» (July 1967, pp. 178-184) e
Yosef Haim Yerushalmi nel primo capitolo della sua monografia
su Isaac Cardoso: Dalla corte al ghetto. La vita, le opere, le peregrinazioni del marrano Cardoso nell’Europa del Seicento, pres.
di M. Luzzati e M. Olivari, Garzanti, Milano 1991 (I ed. inglese
1971). Netanyahu è di nuovo intervenuto in risposta alle obiezioni
149
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mossegli in The Historical Significance of the Hebrew Sources concerning the Marranos, in Hispania Judaica: Studies in the History,
Language, and Literature of the Jews in the Hispanic World, I, ed.
J.M. Solà-Solé, S.G. Armistead, J.H. Silverman, Puvill, Barcelona
1980, ripubblicato in B. Netanyahu, Toward the Inquisition Essays
on Jewish and Converso History in Late Medieval Spain, Cornell
University Press, Ithaca and London 1997, pp. 156-182. Cfr. anche
M. Orfali Levi, Los conversos españoles en la literatura rabínica:
problemas jurídicos y opiniones legales durante los siglos XII-XVI,
Universidad Pontificia de Salamanca-Universidad de GranadaFederación Sefardí de España, Salamanca 1982.
54
J.A. Saraiva, Inquisição e Cristãos-Novos, Estampa, Lisboa
1985 (I ed. 1969), p. 17: «O historiador escrupuloso que toma à letra
os documentos emanados da Inquisição se arrisca a transviar-se num
sábio labirinto».
55
Vedi infra il paragrafo dedicato a Herman Salomon.
56
Entrevista com o Prof. I.S. Révah conduzida por Abílio Diuiz
Silva, in «Diário de Lisboa» (6 maggio 1971): Révah: «A minha
reacção perante o livro foi e continua a ser uma reacção de indignação. Trata-se de um libelo demagógico contra a Inquisição. […]
A radical incompetência na matéria de A.J. Saraiva aparecerá claramente quando dissermos que ele não compulsou um único processo
dos arquivos inquisitoriais ibéricos, cuya fabulosa abundancia é capaz de fazer desanimar o mais corajoso dos investigadores».
57
A questa obiezione Saraiva replicherà che, se è vero che non
tutti i conversos si potevano identificare con l’alta borghesia, questa era però largamente rappresentata dai conversos. Sul dibattito
Saraiva-Révah ha offerto un ampio resoconto G. Nahon, Les Sephardim, les Marranes, les inquisitions péninsulaires et leurs archives dans les travaux récents de I.S. Révah, in «Revue des Études
Juives», 132, 1973, pp. 5-48.
58
I.S. Révah, Uriel da Costa et les marranes de Porto. Cours au
Collège de France 1966-1972, par C.L. Wilke, Centre Culturel Calouste Gulbenkian, Paris 2004. Nel corso di queste lezioni la polemica contro Saraiva era diretta a contestare la presentazione di Uriel da
Costa nell’Inquisição e Cristão-Novos, come di un individuo senza
alcun legame familiare con il cripto-giudaismo.
59
Ibidem, p. 515. L’interrogatorio in specie conteneva, mascherati, gli estremi delle accuse fornite dai testimoni/delatori a carico
degli imputati.
60
Molti altri sono gli avvenimenti richiamati in queste due date.
Per il tema che stiamo ora seguendo segnaliamo che con il 9 di Av viene fatta coincidere la data della cacciata degli ebrei di Spagna o, visto
che si sarebbe trattato del 2 di agosto, della data in cui l’ultima nave
si allontanò dalle coste spagnole, mentre il 17 di Tammuz ricorda i
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massacri del 1391. Entrambe le date si ricollegano ad episodi biblici:
il 17 di Tammuz al vitello d’oro e alla rottura delle prime Tavole della
Legge, il 9 di Av al ritorno degli esploratori forieri di cattive notizie.
Il Talmud babilonese, Ta’anit, f. 26a-b cita cinque motivazioni per
ciascuno dei due digiuni.
61
La tradizione ebraica chiama questo periodo «ben hametzarim», letteralmente: «tra le ristrettezze», da Lamentazioni 1, 3.
62
Révah, Uriel da Costa, p. 522. Le vaghe reminiscenze di Leonor sembrano in relazione al 17 di Tammuz, al 9 di Av e a Lag Baomer,
una ricorrenza che si celebra 33 giorni dopo l’inizio della pasqua.
63
Cfr. per es. C. Ginzburg, Storia notturna. Una decifrazione
del sabba, Einaudi, Torino 1989, p. 72: «Molto spesso gli imputati,
opportunamente guidati dalla suggestione o dalla tortura, confessavano una verità che i giudici non si curavano di cercare, dato che la
possedevano già. La convergenza forzata tra le risposte degli uni e le
domande o le aspettative degli altri rende gran parte di questi documenti monotoni e prevedibili. Solo in casi eccezionali riscontriamo
uno scarto tra domande e risposte che fa affiorare uno strato culturale sostanzialmente non contaminato dagli stereotipi dei giudici. La
mancanza di comunicazione tra gli interlocutori esalta allora (per
un paradosso solo apparente) il carattere dialogico dei documenti,
nonché la loro ricchezza etnografica».
64
Kaplan, Foi et scepticisme, pp. 21-22.
65
S. Levi Mortera, Tratado da verdade da Lei de Moisés escrito pelo seu próprio punho em Português, edição facsimilada, leitura do autógrafo (1659), introdução e comentário por H.P. Salomon, Universidade,
Coimbra 1988; U. da Costa, Exame das tradições farisaicas acrescentado com Semuel da Silva Tratado da Imortalidade da alma, introdução, leitura, notas e cartas genealógicas por H.P. Salomon, I.S.D. Sassoon, Ed. APPACCDM Distrital de Braga, Braga 1995 (questa edizione
portoghese è aggiornata rispetto alla prima edizione inglese).
66
Si veda la breve recensione di Salomon all’opera, pubblicata in
«The American Sephardi», 4 (1970), p. 103.
67
J.A. Saraiva, The Marrano Factory: The Portuguese Inquisition and Its New Christians 1536-1765, edited by H.P. Salomon,
I.S.D. Sassoon, Brill, Leiden-Boston 2001.
68
H.P. Salomon, Myth or Anti-myth? The oldest account concerning the origin of portuguese Judaism in Amsterdam, in «Lias», 16
(1989), 2, pp. 275-316. Sul resoconto si era soffermato anche R. Cohen,
Memoria para os siglos futuros: Myth and Memory on the Beginnings of the Amsterdam Sephardi Community, in «Jewish History»,
2 (1987), pp. 67-72. Vi ritorna anche O. Vlessing, New Light on the
Earliest History of the Amsterdam Portuguese Jews, in Dutch Jewish
History, 3. Proceedings of the Fifth symposium on the History of the
Jews in the Netherlands, Jerusalem, November 25-28, 1991, edited
151
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by J. Michman, The Institute for Research on Dutch Jewry, Hebrew
University of Jerusalem, Jerusalem 1993, pp. 43-75.
69
H.P. Salomon, The «Monitorio do Inquisidor Geral» of 1536.
Background and Sources of some «Judaic» Customs listed therein,
in «Arquivos do Centro cultural Portugues», 17 (1982), pp. 41-64.
70
Salomon evidenzia che il testo del 1536 contiene una “correzione” rispetto ai precedenti, più vicina alla tradizione ebraica. Tale
variante – riguardante la spiegazione dell’usanza di tenere una brocca con dell’acqua accanto al letto del defunto – secondo Salomon non
deriva tuttavia da una tradizione “viva”, bensì da una fonte letteraria. Sul Monitorio è successivamente intervenuto anche Ch. Amiel,
Crypto-Judaïsme et Inquisition. La matière juive dans les édits de la
foi des Inquisitions ibériques, in «Revue de l’Histoire des Religions»,
1993, 2, pp. 145-168.
71
H.P. Salomon, Spanish Marranism Re-examined, in «Sefarad»,
2007, 1, pp. 111-154; ivi, 2007, 2, pp. 367-414; ivi, 2008, 1, pp. 105-169;
ivi, 2008, 2, pp. 413-459; ivi, 2009, 1, pp. 131-158; la ricerca era stata
anticipata in H.P. Salomon, Reaberto o debate entre I.S. Révah e A.J.
Saraiva sobre o criptojudaísmo peninsular?, in «Cadernos de Estudos
Sefarditas», 5, 2005, pp. 89-114. Lo studio di Amiel era apparso nel
2001, cfr. Ch. Amiel, Les cent voix de Quintanar. Le modèle castillan
du marranisme, in «Revue de l’Histoire des Religions», 2001, 2,
pp. 195-280; ivi, 2001, 3, pp. 487-577.
72
«Sefarad», 2007, 2, pp. 367-414: 411. Salomon rinvia alle pp. 290294 della II parte dell’opera, nell’edizione di Barcellona del 1587.
73
Anche Amiel nel suo articolo sopra citato indicava diversi testi
largamente utilizzati dai cripto-giudaizzanti, come ad esempio La
Torre de David di Jerónimo de Lemos o Espejo de consolación di
Juan de Dueñas.
74
C. Roth, The Religion of the Marranos, in «Jewish Quarterly
Review», 22 (1931), 1, pp. 1-33; C. Roth, A History of the Marranos,
The Jewish Publication Society of America, Philadelphia, 19715 (prima ed. 1932); in italiano C. Roth, Storia dei Marrani, prefaz. di H.P.
Salomon, trad. di A.M. Tedeschi Falco, Serra e Riva, Milano 1991
(altra edizione italiana con prefazione di M. Morselli, Marietti, Genova 2002). Cfr. in particolare il capitolo La religione dei marrani.
75
Questo concetto è criticamente rivisto da C.B. Stuczynski, A
“Marrano Religion”? The Religious Behavior of New Christians
of Bragança convicted by the Coimbra Inquisition in the Sixteenth
Century (1541-1605), cap. 9 [tesi di dottorato presso la Bar Ilan University, Ramat Gan 2005].
76
Roth, The Religion of the Marranos, p. 27: «Without any biblical authority, it had been customary in former ages for certain
ultra-pietists to fast twice every week, on Mondays and Thursdays,
in atonement for their presumed sins».
152
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77
Cfr. il testo nell’appendice all’articolo di Salomon, The «Monitorio do Inquisidor Geral», f. 5.
78
Per la definizione di «marranesimo normale» v. I.S.
Révah, L’hérésie marrane dans l’Europe catholique du XV e au
XVIIIe siècle, in Hérésies et sociétés dans l’Europe préindustrielle,
XIe-XVIIIe siècles, éd. Jacques Le Goff, Mouton, Paris-La Haye 1968,
pp. 327-337: 331. Gli altri studi di Révah, Yerushalmi e Gitlitz sono
stati già ripetutamente citati. Y. Yovel, Spinoza and Other Heretics.
The Marrano of Reason, Princeton University Press, Princeton 1989;
Y. Yovel, The Other Within. The Marranos. Split Identity and Emerging Modernity, Princeton University Press, Princeton-Oxford 2009.
79
Si tratta di 14 volumi apparsi tra il 1980 e il 1999 editi da L.S.
Olschki editore (Firenze).
80
L’identità dissimulata. Giudaizzanti iberici nell’Europa cristiana dell’età moderna, a cura di P.C. Ioly Zorattini, L.S. Olschki
editore, Firenze 2000; il saggio Derekh Teshuvà è alle pp. 195-248.
Nello stesso volume, alle pp. 249-279: M. Cotrozzi del Bianco, O
Señor guardara miña alma. Aspetti della religiosità femminile nei
processi del S. Uffizio veneziano. Sul ruolo delle donne nella trasmissione del cripto-giudaismo cfr. R. Levine Melammed, Heretics or
Daughters of Israel? The Crypto-Jewish Women of Castile, Oxford
University Press, New York 2002 (non vidi) e J. Edwards, Religiosità
maschile e femminile presso «i nuovi cristiani» spagnoli fra il 1450
e il 1550, in Oltre il 1492, pp. 13-22 (negli uomini sarebbe invece
preponderante la trasmissione “ideologica”).
81
Révah, Les marranes, p. 55. Per la riflessione sul marranesimo
a noi contemporanea dobbiamo far riferimento a due articoli pubblicati nella rivista «Annales, Histoire, Sciences», 57 (2002), 2: alle pp.
323-334, M. Kriegel, Le marranisme. Histoire intelligible et mémoire
vivante; alle pp. 335-345, J. Revel, Une condition marrane? Si veda
inoltre, nello stesso contesto, pp. 349-371, il contributo di J.-P. Dedieu,
R. Millar Carvacho, Entre histoire et mémoire. L’Inquisition à l’époque moderne: dix ans d’historiographie. Sul tema dell’attendibilità
delle fonti inquisitoriali v. anche D. Graizbord Religion and Ethnicity
among the “Men of the Nation”: Toward a Realistic Interpretation,
in «Jewish Social Studies», 15 (2008), 1, pp. 32-65: 38-39. Recentissimo è il saggio di N. Muchnik, Being against, being with: Marrano
self-identification in inquisitorial Spain (Sixteenth-Eighteenth Centuries). An essay, in «Jewish History», 25 (2011), 2, pp. 153-174.
82
Su Juan de Prado cfr. N. Muchnik, Une vie marrane. Les pérégrinations de Juan de Prado dans l’Europe du XVIIe siècle, Honoré
Champion, Paris 2005, e Muchnik, Juan de Prado o las peregrinaciones de un «passeur de frontières», pp. 237-268. Sui rapporti tra
Spinoza e Prado, cfr. I.S. Révah, Spinoza et le Dr. Juan de Prado,
Mouton, Paris-La Haye 1959, in part. pp. 61-68, dove sono pubblicati
153
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i rapporti resi al tribunale dell’Inquisizione di Madrid da Thomás
Solano y Robles e dal capitano Miguel Pérez de Mantranilla. Cfr.
anche P.-F. Moreau, Les prophètes des autres peuples. Note sur Juan
de Prado et Spinoza, in Mémorial I.S. Révah, Études sur le marranisme, l’hétérodoxie juive et Spinoza, édité par H. Méchoulan, G.
Nahon, E. Peeters, Paris-Louvain 2001, pp. 309-314. Yovel, Spinoza
and Other Heretics, pp. 57-80: 67, ricordando il dibattito storiografico tra chi sosteneva fosse stato Prado ad influenzare Spinoza e chi
invece affermava il contrario, Yovel propone di impostare diversamente la questione alla ricerca del comune terreno “psico-culturale”
dei due, nel caso specifico il marranesimo.
83
I. Orobio de Castro, Carta Apologética del Doctor Ishack
Orobio de Castro al Doctor Prado, pubblicata in Révah, Spinoza et
le Dr. Juan de Prado, p. 132, sulla base della copia conservata alla
Bibliothèque National de France: «No es lo mismo darme en cara
con que, en España, fingi el ser Christiano, porque la vida es muy
amable; mas nunca lo fingi bien y assí se descubrió que no era sino
Judio. Y si allá, con los riesgos de libertad, honrra y hacienda, y aun
de la vida, era Judio en verdad y Christiano en mentira, bien se deja
creer que adonde, por la divina misercordia, gozo libertad, seré Judio
verdadero; que solo a Vmd aconteció ser Christiano fingido y Judio
verdadero en donde no podia ser Judio, y ser Judio fingido en donde
podia serlo verdadero».
84
I.S. Révah, Aux origines de la rupture Spinozienne: nouveau
documents sur l’incroyance dans la communauté Judéo-Portugaise
à Amsterdam à l’époque de l’excommunication de Spinoza, in «Revue
des Études Juives», 123, 1964, pp. 359-431, ripubblicato – senza le
appendici – in Révah, Des Marranes à Spinoza, pp. 221-283.
85
Su questo tema cfr. Y.H. Yerushalmi, The Re-education of Marranos in the Seventeenth Century, in The Third Annual Rabbi Louis
Feinberg Memorial Lecture in Judaic Studies (March 26, 1980), University of Cincinnati, Cincinnati 1980; sui «nuovi ebrei» di Amsterdam cfr. Y. Kaplan, From New Christians to New Jews, The Zalman
Shazar Center, Jerusalem 2003 (in ebraico); sulle indicazioni delle
autorità rabbiniche riguardo al modo di avvicinarsi al corpus dei 613
precetti, cfr. il mio Il timore di Dio e il «giogo della Legge» nella
Amsterdam ebraica del Seicento: le risposte di Saul Levi Mortera e
di Menasseh ben Israel, in Mémorial I.S. Révah, pp. 433-443.
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Indice
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p. 5 Luigi Mistò
Presentazione
7 Card. Dionigi Tettamanzi
Messaggio dell’Arcivescovo di Milano
(3 settembre 2007)
9 Sante Graciotti
Introduzione
17 Anna Foa
Diffusione dell’ebraismo in Europa:
itinerari e finale mappatura delle comunità
51 Amedeo Spagnoletto
Le tradizioni rituali degli ebrei di Roma
e delle altre regioni italiane
75 Maurice-Ruben Hayoun
Filosofia e mistica ebraiche
nella Spagna del XII e del XIII secolo
93 Giancarlo Lacerenza
La diaspora sefardita nell’area euromediterranea
115 Myriam Silvera
Nuovi cristiani e marrani:
alcune prospettive storiografiche su cui rimeditare
155 Darko Tanasković
Gli ebrei nell’ecumene ottomana
179 Giuseppe Veltri
Tre tipi di religiosità ashkenazita
215 Roberto Della Rocca
Fede e ritualismo (Thorah e Halakah)
nella vita religiosa dell’ebreo europeo
225 Daniela Mantovan
Diffusione di Ashkenaz in Polonia
e nell’Europa orientale
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p. 249 Catherine Horel
Dal chassidismo al sionismo.
Unità e diversità dell’ebraismo nell’Impero asburgico
267 Bruno Di Porto
Il movimento di riforma
nel contesto dell’ebraismo contemporaneo
327 Laura Novati
La lettura, la Scrittura,
il canone nella tradizione occidentale
349 Marco Grusovin
Misticismo, Qabbalà, esoterismo:
dalla lettera alla verità nascosta
381 Giuseppe Laras
Le persecuzioni antiebraiche: cause ed effetti
sulla religiosità degli ebrei d’Europa
391 Armando Pitassio
Gli ebrei e il nation-building in Europa
tra il XVIII e il XX secolo
423 Haim Baharier
Religione, legge, etica:
convergenze e conflittualità nel pensiero ebraico
429 Silvano Facioni
Religione e filosofia:
percorsi di metodo nella tradizione ebraica
449 Laura Quercioli Mincer
Fra l’Uno e il Nulla. Ricerca di Dio e silenzio di Dio
nella letteratura ebraica del Novecento
475 Massimo Giuliani
Shoà e Stato d’Israele
nel pensiero ebraico religioso contemporaneo
491 Pier Francesco Fumagalli
Dialogo ebraico-cristiano
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Elenco degli Autori
Luigi Mistò
Segretario dell’Amministrazione
del Patrimonio della Sede Apostolica
Card. Dionigi Tettamanzi
Già Arcivescovo di Milano
Sante Graciotti
Accademia dei Lincei - Roma
Anna Foa
Università degli Studi di Roma «La Sapienza»
Amedeo Spagnoletto
Liceo Ebraico «R. Levi» - Roma
Maurice-Ruben Hayoun
Université de Genève
Giancarlo Lacerenza
Università degli Studi di Napoli «L’Orientale»
Myriam Silvera
Università degli Studi di Roma «La Sapienza»
Darko Tanasković
Università di Belgrado,
già Ambasciatore di Serbia presso la Santa Sede
Giuseppe Veltri
Martin-Luther-Universität Halle-Wittenberg
Roberto Della Rocca
Dipartimento Educazione e Cultura
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Roma
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Daniela Mantovan
Hochschule für Jüdische Studien Heidelberg
Catherine Horel
Université de Paris I Panthéon-Sorbonne
Bruno Di Porto
Università degli Studi di Pisa
Laura Novati
Consiglio direttivo di Biblia - Settimello (FI)
Marco Grusovin
Studio Teologico Interdiocesano di Gorizia, Trieste e Udine
Giuseppe Laras
Università degli Studi di Milano
Armando Pitassio
Università degli Studi di Perugia
Haim Baharier
Centro Binah - Milano
Silvano Facioni
Università della Calabria - Arcavacata di Rende (CS)
Laura Quercioli Mincer
Università degli Studi di Genova
Massimo Giuliani
Università degli Studi di Trento
Pier Francesco Fumagalli
Veneranda Biblioteca Ambrosiana - Milano
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«Europa Ricerche» nuova serie
(Ed. ITL - Centro Ambrosiano)
1. L’Europa e l’evangelizzazione del Nuovo Mondo, a cura di L.
Vaccaro, ITL-Centro Ambrosiano, Milano 1995, pp. 376.
Autori: F. Citterio, F. Cantù, F. Morales Padrón, J. López Gay
SJ, A. de la Hera, P. Castañeda Delgado, J.A. Barreda, F. Pease
G.Y., J.A. de Freitas Carvalho, L. Guarnieri Calò Carducci,
L. Mattos Cárdenas, M.-C. Bénassy, W. Henkel OMI, C.M.
Martini, J.M. Mejía.
2. Storia religiosa dei popoli nordici, a cura di F. Citterio e L.
Vaccaro, ITL-Centro Ambrosiano, Milano 1995, pp. 328.
Autori: M. Giordano Lokrantz, W. Kenney, M. Klinge, C.F.
Hallencreutz, J. Kristjánsson, T. Nyberg, J. Nybo Rasmussen,
Chr. Krötzl, M. Schwarz Lausten, O. Garstein, P. Annala, K. de
Fine Licht, A. Alpago Novello, L. Bini, T. Tscherning.
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549
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3. Storia religiosa della Svizzera, a cura di F. Citterio e L. Vaccaro,
ITL-Centro Ambrosiano, Milano 1996, pp. 512.
Autori: G. Bedouelle, V. Reinhardt, H. Maurer, F. Morenzoni,
G. Chiesi, N. Morard, M.R. Silini, A. Moretti, R. Bodenmann,
C. di Filippo Bareggi, C. Santschi, U. Fink, M. Turchetti, F.
Panzera, F. Python, V. Conzemius, Ph. Chenaux, C. Cattaneo,
R. Astorri, F. Beretta, P. Burri, W. Vogler, P. Braun, G. Rumi.
4. Storia religiosa dell’Austria, a cura di F. Citterio e L. Vaccaro,
ITL-Centro Ambrosiano, Milano 1997, pp. 524.
Autori: C. Mozzarelli, R. Härtel, W. Maleczek, J. Rainer, D.
Caccamo, G. Klingenstein, C. Donati, P. Hersche, E. Brambilla,
M. Verga, P. Vismara Chiappa, E. Garms Cornides, H. Karner,
S. Malfèr, O. Weiss, A. Zanotti, G. Rumi.
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5.Storia religiosa della Spagna, a cura di A. Borromeo, ITLCentro Ambrosiano, Milano 1998, pp. 520.
Autori: F. Citterio, L. Vaccaro, A. Borromeo, L. Navarra, J.
Fernández Conde, A. Mur Raurell, F. Cantù, M. Marcocchi,
A. Caprioli, J.I. Tellechea Idígoras, A.D. Wright, Q. Aldea, H.
Kamen, J.L. González Novalín, F. Vian, V. Gérard Powell, M.
Barrio Gozalo, J. Martín Tejedor, J. Andrés Gallego.
6. Storia religiosa di Belgio, Olanda e Lussemburgo, a cura di L.
Vaccaro, ITL-Centro Ambrosiano, Milano 2000, 2 voll., pp. 648.
Autori: P. Macchi, J.A. de Kok, R. Aubert, D. Misonne, J.
Pycke, J. Kuys, G. de Baere, B. Ridderbos, M.-É. Henneau,
J.-P. Massaut, W. Bergsma, E. Schulte, M. Lamberigts, Th.
Clemens, J. Roegiers, F.R.J. Knetsch, S. de Blaauw, P. van
Kessel, A. Tihon, G. Hellinghausen, H. de Valk, D. Vanysacker,
J. Grootaers.
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7.Storia religiosa dell’Irlanda, a cura di L. Vaccaro e C.M.
Pellizzi, ITL-Centro Ambrosiano, Milano 2001, pp. 592.
Autori: P. Macchi, D.A. Kerr SM, A. Morganti, A.P. Smyth,
M.T. Flanagan, J.A. Watt, M. Sughi, B. Bradshaw SM, D.C.
Downey, C. Lennon, R. Gillespie, H. Fenning OP, D. Keogh,
E. Larkin, G. Moran, M.N. Harris, D.N. Doyle, K. Milne, T.
Bartlett, M. Hurley SJ, J.S. Donnelly Junior, C.M. Pellizzi, F.J.
MacKiernan, S.B. Brady.
8.Storia religiosa della Grecia, a cura di L. Vaccaro, ITL-Centro
Ambrosiano, Milano 2002, pp. 528.
Autori: G. Fedalto, M. Simonetti, A. Carile, E. Follieri, G.
Podskalsky SI, Chr. A. Maltezou, Z.N. Tsirpanlis, G. Stathis,
A. Argyriou, G. Ploumidis, I.K. Hassiotis, C. Capizzi SI, G.
Galavaris, E. Morini, R. D’Antiga, Y. Spiteris OFM Cap., D.
Argyros, D. Salachas, C.D. Fonseca, G. Zervòs.
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9. L’Europa dei pellegrini, a cura di L. Vaccaro, ITL-Centro
Ambrosiano, Milano 2004, pp. 496.
Autori: G. Colombo, N. Bux, F. Cardini, C. Alzati, M.
Loconsole, K. Elm, A. Benvenuti, Th. Szabó, G. Otranto, G.
Signori, A. Fucelli, F. Grimaldi, L. Zanzi, G. Palumbo, E.
Fattorini, L. Scaraffia, S.K. Samir SJ, M. Garzaniti.
10.L’Europa e l’evangelizzazione delle Indie Orientali, a cura di
L. Vaccaro, ITL-Centro Ambrosiano, Milano 2005, pp. 552.
Autori: L. Vaccaro, J.P. Oliveira e Costa, A. Tamburello, E.
Stols, H. Didier, J. López-Gay SJ, A. Zambarbieri, P. Corradini,
A. Bianchi, J.A. de Freitas Carvalho, N. Tornese SI (†), J. Ruizde-Medina SJ (†), I. Rodríguez Rodríguez OSA, P. Carioti,
P. Licini, I. Moriones OCD, B. Vadakkekara OFM Cap., M.
Marcocchi, P. Tan Chee Ing SJ.
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11.Storia religiosa dell’Ucraina, a cura di L. Vaccaro, ITL-Centro
Ambrosiano, Milano 2007, pp. 552.
Autori: G. Colombo, S. Graciotti, I. Ševčenko, Ch. Hannick,
V. Peri, G. Podskalsky SJ, G. Pasini, E. Morini, E. Ch. Suttner,
A. Joukovsky, H. Łaszkiewicz, G. Brogi Bercoff, I. Skochylyas,
M. Martini, A. Krawchuk, B.A. Gudziak, O. Pachlovska, E.
Rybałt, L. Quercioli Mincer.
12.Storia religiosa di Croazia e Slovenia, a cura di L. Vaccaro,
ITL-Centro Ambrosiano, Milano 2008, pp. 504.
Autori: G. Colombo, S. Graciotti, G. Cuscito, J. Neralić, M.
Špelič OFM, S. Kovačić, J. Bratulić, J. Faganel, M. Benedik
OFM Cap., F. Šanjek OP, B. Kolar, V. Kapitanović OFM, M.
Ambrožič, F.E. Hoško OFM, S. Slišković OP, T. Vukšić, R.
Morozzo della Rocca, T.Z. Tenšek OFM Cap.
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13.Storia religiosa di Serbia e Bulgaria, a cura di L. Vaccaro,
ITL-Centro Ambrosiano, Milano 2008, pp. 456.
Autori: L. Mistò, S. Graciotti, C. Alzati, C. Diddi, A. Džurova,
G. Podskalsky SJ, V. Gjuzelev, T. Subotin-Golubović, Ch.
Hannick, G. Fedalto, K. Pavlikianov, W.R. Veder, A. Naumow,
J. Jerkov, R. Tolomeo, A. Pitassio, E. Sgambati, R. Morozzo
della Rocca.
14.Storia religiosa dell’Islam nei Balcani, a cura di L. Vaccaro,
ITL-Centro Ambrosiano, Milano 2008, pp. 552.
Autori: L. Mistò, S. Graciotti, A. Carile, P.L. Branca, I. Ortayli,
N. Clayer, J. Peev, N. Moačanin, G. Fedalto, A. Pitassio, F.
Giomi, M. Dogo, S. Bono, A. Džurova, M. Polimirova, A.
Popovic, D. Tanasković, L. Omari, X. Bougarel, G. Dammacco,
R. Morozzo della Rocca.
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15.Storia religiosa dell’Armenia, a cura di L. Vaccaro e B.L.
Zekiyan, ITL-Centro Ambrosiano, Milano 2010, pp. 496.
Autori: P. Macchi (†), Garegin II, Aram I, Nerses Bedros
XIX, B.L. Zekiyan, G. Dédéyan, G. Uluhogian, Y. Petrosyan,
A. Manoukian, A. Granian, R. Siranian, H. Tchilingirian,
M.K. Krikorian, V. Calzolai, A. Ferrari, C. Gugerotti, M.D.
Findikyan, K. Barsamian, A. Manoukian (†), G. Casnati, A.
Alpago Novello (†), A. Pensa, A. Kerovpyan.
16.L’Europa e la sua espansione religiosa nel continente
nordamericano, a cura di L. Vaccaro, ITL-Centro Ambrosiano,
Milano 2012, pp. 704.
Autori: L. Mistò, C. Alzati, L. Codignola, B. Plongeron, O.
Servais, P. Doll, P. Naso, P. Ricca, M. Rubboli, F. Morales
OFM, D. Piñera Ramírez, E.Ch. Suttner, F. Laugrand, J.B.
Ballong Wen Mewuda, D.N. Doyle, M. Tirabassi, G. Campese,
E. Morini, G. Rigotti, B. Di Porto.
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17.Storia religiosa della Francia, sotto la direzione di C. Vincent
e A. Tallon, a cura di L. Vaccaro, ITL-Centro Ambrosiano,
Milano 2013, pp. 662.
Autori: A. Vauchez, F. Prévot, B. Dumézil, M. Sot, Ch.
Mériaux, D. Riche, J.-H. Foulon, J.-L. Biget, F. Delivré, C.
Vincent, M. Venard, B. Dompnier, D. Boisson, J.-L. Quantin,
Y. Krumenacker, D. Julia, O. Poncet, A. Tallon, J.-O. Boudon,
S. Milbach, G. Cuchet, Cl. Prudhomme, J.-M. Mayeur, F.
Michel, D. Pelletier.
18.Storia religiosa degli Ebrei di Europa, a cura di L. Vaccaro,
ITL-Centro Ambrosiano, Milano 2013, pp. 560.
Autori: L. Mistò, Card. D. Tettamanzi, S. Graciotti, A. Foa,
A. Spagnoletto, M.-R. Hayoun, G. Lacerenza, M. Silvera, D.
Tanasković, G. Veltri, R. Della Rocca, D. Mantovan, C. Horel,
B. Di Porto, L. Novati, M. Grusovin, G. Laras, A. Pitassio,
H. Baharier, S. Facioni, L. Quercioli Mincer, M. Giuliani, P.F.
Fumagalli.
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Prima serie (Ed. La Casa di Matriona)
I volumi sono disponibili solo presso la Fondazione Ambrosiana
Paolo VI - Villa Cagnola - 21045 Gazzada (Va) - tel. 0039-0332462104 / fax 0039-0332-463463
Storia religiosa dei popoli balcanici, a cura di L. Vaccaro, La Casa
di Matriona, Milano 1983, pp. 288 (ESAURITO).
Autori: L. Vaccaro, C. Colombo, W. Rubin, R. Manselli, V. Peri, M.
Clinet, D. Kokša, A. Rádovic, F.V. Mareš, T. Špidlík, G. Vodopivec,
A. Alpago Novello, M. Jezernik, G. Eldarov, J. Tomko.
Storia religiosa della Russia, a cura di L. Vaccaro, La Casa di
Matriona, Milano 1984, 19882, pp. 296.
Autori: L. Vaccaro, M. Marusyn, J. Kraicar, A. Piovano, S. Senyk,
E. Galbiati, P. Galignani, N. Bux, A. Asnaghi, A. Dell’Asta, L. Dal
Santo, A.D. Siclari, T. Goričeva, R. Scalfi.
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Storia religiosa della Polonia, a cura di L. Vaccaro, La Casa di
Matriona, Milano 1985, pp. 288.
Autori: L. Vaccaro, L. Caprioli, W. Rubin, J. Kłoczowski, Z.
Sułowski, U. Borkowska OSU, L. Grygiel, J. Tazbir, W. Müller,
J.J. Kopeć, A. Witkowska OSU, S.Z. Jabłoński, R. Przybylski, J.
Ziółkowski, L. Müllerowa, B. Sonik, M. Radwan, J. Woźniakowski,
S. Grygiel, F. Ricci.
Storia religiosa dei cechi e degli slovacchi, a cura di L. Vaccaro, La
Casa di Matriona, Milano 1987, pp. 416.
Autori: L. Vaccaro, L. Caprioli, J. Tomko, F.G. Litva, J. Motal, J.
Polc, D. Eisner, T. Špidlík, K. Skalický, K. Vrána, V. Bělohradský,
M. Ďurica, J.M. Rydlo, Š. Vragaš, I. Kružliak, A. Hlinka.
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Storia religiosa dei popoli baltici, a cura di A. Caprioli e L. Vaccaro,
La Casa di Matriona, Milano 1987, pp. 328.
Autori: C.M. Martini, A. Bačkis, P. Rabikauskas, V. Salo, S.
Kučinskis, V. Pupinis, G. Gobber, K.J. Čeginskas, S. Lozoraitis, V.
Kazlauskas, O. Cavalleri, L. Tulaba.
Storia religiosa dell’Inghilterra, a cura di A. Caprioli e L. Vaccaro,
La Casa di Matriona, Milano 1991, pp. 384.
Autori: A. Caprioli, L. Vaccaro, A. Borromeo, Ch. Burns, D.
Fenlon, D. Pezzini, G. Garavaglia, A.D. Wright, D. Kerr, G.
Cristaldi, T. Scalzotto, W. Purdy.
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Storia religiosa dell’Ungheria, a cura di A. Caprioli e L. Vaccaro,
La Casa di Matriona, Milano 1992, pp. 324.
Autori: A. Caprioli, L. Vaccaro, L. Kada, Á. Somorjai, C. Alzati,
G. Érszegi, E. Pasztor, J. Török, E. Fügedi, B. Holl, Zs. Erdélyi, L.
Pasztor, K. Péter, F. Szabó SJ, P. Sárközy, L. Katus, P. Ruzicska, G.
Hajnóczi, L. Dankó, G. Békés OSB, L. Lukács, A. Moretti.
L’unità multiforme. Oriente e Occidente nella riflessione di
Giovanni Paolo II, a cura di C. Alzati e P. Locati, La Casa di
Matriona, Milano 1991, pp. 294.
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Finito di stampare nell’aprile del 2013
da Arti Grafiche TIBILETTI s.n.c.
di Azzate (Varese)
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promossa dalla Fondazione Ambrosiana Paolo VI
Questa storia degli ebrei è sostanzialmente la storia
del secondo millennio, preceduta da una presentazione della diffusione dell’ebraismo in Europa, degli itinerari in essa seguiti e da una mappatura delle sue comunità, con particolare attenzione a quelle italiane.
La trattazione si svolge attorno alle vicende dei due
grandi ceppi etnico-culturali e religiosi dei sefarditi e
degli ashkenaziti, indagate soprattutto nei loro aspetti
religiosi.
Sefardita è la prima grande diaspora ebraica che, dopo
quell’età dell’oro che fu la Spagna delle tre religioni, ha
invaso l’Europa e l’area euro-mediterranea: in seguito
alle persecuzioni contro gli ebrei nella penisola iberica
e alla loro espulsione nel 1492 essi si irraggiarono in
Francia, Olanda, Germania, Italia, e per ragioni di fede
e di mercato passarono nel Balcano e nell’ecumene
ottomana.
Gli ashkenaziti, ebrei dell’Europa centrale (Ashkenaz è
il nome ebraico della Germania), dalle loro sedi originarie nel ’500 si diffusero nella tollerante Polonia, e poi in
tutta l’Europa dell’Est. Accanto al Chassidismo, figlio
di questo ebraismo polacco-galiziano, parzialmente
dato in eredità all’Impero asburgico, successivamente
si manifestarono altri movimenti anche fuori di questi
confini territoriali e fuori della tradizionale ortodossia
ebraica. La Riforma rappresenta l’incontro-confronto
di questo ebraismo con i prodotti della cultura laica,
illuministica e poi risorgimentale dell’Occidente.
Gli ebrei diventano, tra ’700 e ’800, dei protagonisti
nella realtà economica, culturale e, in parte, anche
in quella politica dell’Occidente: da una parte essi
partecipano a tutte le lotte di liberazione (risorgimenti
nazionali), avvenute in Europa; di segno opposto sono
le persecuzioni antiebraiche dei tempi moderni, dirette
contro il potere vero o presunto dell’elemento ebraico
nella società, di cui la Shoah è il culmine.
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Storia religiosa
degli Ebrei di Europa
Storia religiosa degli Ebrei di Europa
collana europa ricerche - 18
CENTRO AMBROSIANO
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