Dispensa 2

annuncio pubblicitario
Facoltà di Architettura e Società
Facoltà di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale
Centro per lo Sviluppo del Polo di Cremona, Politecnico di Milano
Via Sesto 41 – 26100 Cremona
Master universitario interfacoltà di II livello in
Governo del territorio e delle risorse fisiche
Ingegneria del suolo e delle acque
http://www.cremona.polimi.it/msa
Direzione del Master universitario:
prof. Enrico Larcan (Facoltà di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale, Politecnico di Milano)
prof. Pier Luigi Paolillo (Facoltà di Architettura e Società, Politecnico di Milano)
Commissione di Master universitario:
prof. Enrico Larcan – Facoltà di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale, Politecnico di Milano
ing. Stefano Loffi – Direttore del Consorzio per l’Incremento dell’Irrigazione nel Territorio Cremonese
prof. Claudio Maffezzoni – Presidente del Centro per lo Sviluppo del Polo di Cremona, Politecnico di Milano
prof. Enrico Orsi – Facoltà di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale, Politecnico di Milano
prof. Pier Luigi Paolillo (presidente) – Facoltà di Architettura e Società, Politecnico di Milano
Dispense dell’insegnamento di
Sistemi informativi territoriali e basi di dati
Concorrono al Master universitario in Governo del territorio e delle risorse fisiche – Ingegneria del suolo e delle acque:
Consorzio per l’incremento dell’irrigazione nel territorio cremonese
http://www.consorzioirrigazioni.it
Ordine degli ingegneri della provincia di Cremona
http://www.ording.cr.it
POLITECNICO DI MILANO
Master universitario interfacoltà di II livello in
Governo del territorio e delle risorse fisiche
Ingegneria del suolo e delle acque
http://www.cremona.polimi.it/msa
Indice
Introduzione
1
Parte I
La cartografia utile per i Sistemi Informativi Territoriali
1
1.1
1.2
I sistemi di riferimento
Il geoide come prima approssimazione della Terra
L’ellissoide di rotazione come sistema di rappresentazione finale della terra.
2
2.1
2.2
2.2.1
2.2.2
2.3
2.3.1
2.3.2
2.3.3
2.3.4
2.4
2.4.1
2.4.2
La rappresentazione della superficie della terra
Le coordinate geografiche
Le carte isogoniche, equivalenti ed afilattiche
La realizzazione di cartografia mediante le proiezioni prospettiche
La realizzazione di cartografia mediante le tecniche di sviluppo
Differenti tipi di cartografia utilizzabile
La carta di Mercatore
La cartografia Gauss Boaga o UTM
La proiezione stereografica polare
Carta Cassini-Soldner
La cartografia Italiana
La cartografia dell’Istituto Geografico Militare (IGM)
La Cartografia tecnica regionale della Regione Lombardia
9
10
10
11
11
14
3.
3.1
3.1.1
3.1.2
3.2
Alcune tecniche di rilevazione dei dati
Il telerilevamento
Un caso particolare di scanner nel telerilevamento: il MIVIS
Lo strumento del radar per la ricostruzione degli aspetti morfologici del terreno
Il sistema satellitare GPS e le sue implicazioni nei processi di governo del territorio
15
17
18
19
4
5
5
6
7
8
Parte II
I dati trattati nei Sistemi Informativi Territoriali
1
1.1.
1.2.
1.3
1.4.
1.5.
Le differenti tipologie di dati trattare da un SIT
I dati vettoriali
I dati raster
Gli attributi alfanumerici
Overlay topologico
Le tecniche di Buffering
21
21
22
23
24
25
POLITECNICO DI MILANO
Master universitario interfacoltà di II livello in
Governo del territorio e delle risorse fisiche
Ingegneria del suolo e delle acque
http://www.cremona.polimi.it/msa
2
2.1.
2.2.
2.3
2.4
2.5
2.6
Le principali caratteristiche dei dati e i software per il loro utilizzo
La conversione raster - vettoriale
Vantaggi e svantaggi delle rappresentazioni vettoriali o raster
Modalità di acquisizione dei formati vettoriali o raster
I software che trattano formati raster e vettoriali
I Data Base Management System (DBMS)
Le differenti tipologie di database
25
26
27
28
29
30
3.
3.1
3.2
3.3.
La qualità nei dati trattati da un SIT
Una prima distinzione delle scale di rappresentazione
Alcuni elementi di qualità dei dati
La congruenza del dato rispetto alla base di riferimento
31
32
32
4
4.1.
4.2.
4.3
La Rappresentazione del territorio in continuo/discreto
Il sistema di rappresentazione discreta
I vantaggi della discretizzazione del territorio
Esempi di trattamento dei dati per celle
32
33
34
21
Parte II
I dati trattati nei Sistemi Informativi Territoriali
1.
Le differenti tipologie di dati trattare da un SIT 1
Per esaminare le caratteristiche dell’informazione georeferenziata, dobbiamo distinguere fra dati di tipo semantico
e statistico che servono per descrivere le componenti non spaziali dell’informazione, e dati che servono per posizione, dimensione, forme, strutture, interazioni e relazioni: essi per loro natura sono dati di tipo spaziale.
Quest’ultimo tipo di dati (spaziali) può essere rappresentato tramite due distinti modelli: il modello raster e il modello vettoriale. Oltre a questi tre principali elementi è possibile ottenere informazioni importanti grazie all’overlay
topologico, piuttosto che al buffering. Trattiamoli singolarmente ogni singolo elemento.
1.1.
I dati vettoriali
I dati, all’interno di un G.I.S., sono memorizzati secondo diverse strutture, spesso proprietarie. Con lo specifico
scopo di permettere il dialogo ed il trasferimento dei dati tra i diversi sistemi sono stati definiti diversi formati di
trasferimento. Tipici dati memorizzati in formato vettoriale sono quelli che provengono dalla digitalizzazione manuale di mappe, dai rilievi topografici con strumenti di campagna, dai CAD, dai G.P.S. (Global Positioning
Systems). I relativi standard di trasferimento più comuni sono il DXF e l’IGES; più specificatamente per la cartografia esistono l’N.T.F. (National Transfer File), VPF, IGDS, DIGEST. Volendo approfondire le problematiche
legate alla conversione fra formati vettoriali G.I.S. e CAD bisogna ricordare che i dati vettoriali G.I.S. sono sempre accompagnati da informazioni topologiche, e che quindi la conversione tra i due formati deve seguire procedure particolari. Questa che sembra una precisazione superflua è invece una regola spesso dimenticata; ad esempio, in un CAD, un rettangolo che rappresentante una piscina o un campo da tennis, non deve necessariamente
essere delimitato da una poligonale chiusa. Infatti l’importante per un CAD è poter riprodurre quel rettangolo su
un plotter o a video. Per un G.I.S., invece, il rettangolo è una piscina, con le sue coordinate reali, il valore della sua
superficie ed i suoi attributi (profondità, nome del proprietario, ecc.): pertanto è memorizzato come una area chiusa e quindi gli archi che lo delimitano devono essere necessariamente connessi. Ecco perché nel convertire i dati
relativi a quel rettangolo da un CAD verso un G.I.S. occorre ricostruire la topologia dell’oggetto, oltre ché identificare e/o calcolare alcuni attributi (perimetro, superficie. ecc.), cosa che il software può fare (definendo tolleranze
per la chiusura dei poligoni, regole formali per la condivisione di primitive grafiche, ecc.) ma che spesso richiede
l’intervento di un operatore.
L’informazione a carattere spaziale può essere
distinta in categorie, a seconda che serva a
descrivere:
1) dove sono gli oggetti (fenomeni): la
descrizione delle posizioni può essere fatta in
termini nominali, metrici o di relazioni
spaziali; in termini nominali significa per
mezzo del nome di luoghi topografici, in
termini metrici (quantitativi) le posizioni sono
definite per mezzo di sistemi di coordinate, le
relazioni spaziali premettono poi di specificare
la posizione di un luogo rispetto ad un altro che
sia georeferenziato. Il modo fondamentale di
specificare una posizione in linguaggio
naturale consiste nell’indicare il “nome” di un
luogo. Gli indirizzi sono una forma
fondamentale di riferimento per la posizione ma spesso il loro formato non è standardizzato quindi sono possibili
1
Parte dei capitoli 1 e 2 sono stati realizzati con la tesi del dott. Alberto Benedetto al quale vanno i miei ringraziamenti
22
imprecisioni e confusione. Quando è richiesta una certa precisione nella localizzazione di un fenomeno è normale
sostituire ai nomi dei luoghi l’uso di misure rispetto a un sistema di riferimento convenzionale. Vi sono diversi sistemi di coordinate, coordinate rettangolari (posizioni definite tramite due o tre distanza da un’origine prefissata) o
polari (posizioni definite tramite un angolo e una distanza da un’origine prefissata). Le posizioni dei dati spaziali
rilevati sono normalmente espressi in termini di primitive geometriche che possono essere punti, linee, aree, superfici, volumi. Le primitive geometriche servono a rappresentare fenomeni del mondo reale continui su certe regioni dello spazio. Tuttavia i dati usati per rappresentare il fenomeno sono campionati in maniera discreta, quindi
la scelta di un particolare tipo di primitiva geometrica dipende dal livello di dettaglio o dal grado di generalizzazione con il quale si vuole registrare il fenomeno. Si può notare ad esempio che osservazioni di tipo puntuale sono
frequentemente usate per campionare valori riferiti a fenomeni quali temperature, livelli di rumore e tipi di terreno.
Queste osservazioni rappresentano il valore del fenomeno relativamente a una superficie o a un volume la cui posizione è individuata tramite un punto.
Similmente, una linea può essere usata per descrivere un confine tra fenomeni fisici o per descrivere il percorso di
una strada o un fiume. Le forme lineari possono essere rappresentate da una sequenza ordinata di punti, descritti
da coordinate. Esempi di fenomeni che sono stati trattati come aree includono elementi naturali (laghi, fiumi ....) o
regioni amministrative (comuni, province..). Le aree sono tipicamente definite da contorni lineari che formano
un’area chiusa, o da insieme di celle in una griglia regolare. Esempi di quest’ultimo campionamento si hanno
nell’ambito di studi sulla vegetazione, sul suolo e in generale nel telerilevamento. I dati relativi alle varie primitive
geometriche possono includere semplici misure di dimensione, quali lunghezza, area, volume, e di orientamento,
quali una direzione angolare o la pendenza di una superficie. Possono essere anche fatte descrizioni più accurate,
sia di tipo qualitativo che di tipo quantitativo per mezzo di diversi parametri statistici; un’analisi statistica può indicare un comportamento di tipo causale, regolare le associazioni e interazioni fra i diversi fenomeni.
1.2.
I dati raster
Nel caso di dati raster, invece, entrano in gioco tre fattori: la risoluzione, la compressione e la registrazione. La
risoluzione dipende dalla fonte dei dati; ad esempio le immagini ottenute con il satellite per il telerilevamento
LANDSAT 4 possono avere una risoluzione al suolo fino a 30 x 30 m mentre quelle ottenute dal satellite SPOT
hanno una risoluzione fino a 10 x 10 m. Questi sono solo due esempi, dato che la risoluzione dei dati raster può
variare moltissimo. Nel caso di immagini raster ottenute da scanner parleremo infatti di risoluzioni nell’ordine di
centinaia di dpi2 e quindi di risoluzione molto alta. Nel caso di griglie costruite appositamente per l’analisi territoriale, ad esempio contenenti dati
relativi alla temperatura al suolo, la
risoluzione
dipenderà
dalla
metodologia scelta per la raccolta dei
dati e dalla ampiezza della area di
studio. Tipicamente in questi casi si
parla di risoluzione dell’ordine delle
decine di metri al suolo. Per
compressione si intende invece la
capacità di comprimere i dati raster
(generalmente essi richiedono da cento
a mille volte più spazio di quelli
vettoriali) per renderli più maneggevoli. Ad un primo livello, una tecnica
di compressione consiste nel
memorizzare il numero dei pixel uguali
invece che memorizzarli brutalmente
in sequenza. Ad esempio, considerata
2
Unità di misura inglese “doth point inch”, punti per pollice. (1 inch = 0,254 cm)
23
una figura in bianco (B) e nero (N), invece che rappresentare la prima riga di un foglio con
BBBBBBBNNNBNNNNNNNNNNBBBBB, la si memorizza come 7B3N1B10N5B. Il vantaggio ottenuto
nella memorizzazione viene chiaramente compensato dai tempi di compressione e decompressione del dato che
deve essere sempre decompresso prima dell’utilizzo. Per registrazione si intendono le tecniche necessarie a georeferenziare e raddrizzare le immagini raster. infatti le foto aeree e le immagini da satellite, oltre a dover essere posizionate correttamente (facendo collimare le coordinate dei punti noti a terra con quelle degli oggetti presenti
nell’immagine), devono anche essere ortogonalizzate cioè ricalcolate tenendo conto dell’angolo da cui sono state
prese. Oggi sono disponibili programmi che, oltre a fare questo, garantendo così la possibilità di visualizzare, in
sovrapposizione, immagini raster con i corrispondenti dati vettoriali, sono anche in grado di interpretare le immagini identificando e visualizzando ad esempio i pixels in base ai parametri qualitativi misurati nelle varie bande
(umidità e temperatura al suolo, ecc.).
Nel modello dei dati di un G.I.S., oggi i dati vettoriali e i dati raster coesistono e si integrano a vicenda. Inoltre sono disponibili programmi in grado di convertire in modo più o meno automatico dati raster in vettoriale e viceversa. Entrambi i tipi di dati possono essere associati ad attributi: per i primi saranno legati alle primitive grafiche e
agli oggetti, per i secondi ai singoli pixel.
1.3.
Gli attributi alfanumerici
In ogni caso l’elemento più importante del modello dati di un G.I.S. rimangono sempre gli attributi. Infatti una applicazione per cartografia ha l’obiettivo principale di riprodurre su carta delle cartografie, mentre un G.I.S. ha il
suo obiettivo principale nell’analisi dei dati, per diventare uno strumento di supporto alle decisioni. L’utente di un
G.I.S. non ha solo bisogno di restituire una carta delle zone edificate, quanto di rappresentare un tematismo, ad esempio, retinarla in funzione dell’età media della popolazione residente. Per ottenere questo potrebbe interrogare
una banca dati di tipo relazionale: per esempio, ad ogni edificio potrebbe essere associato un indirizzo, mentre in
un altro data base (quello
anagrafico) ad ogni indirizzo
potrebbe essere associata la
data di nascita delle persone
che vi risiedono.
Tramite
quindi
l’informazione “Indirizzo” si
potrebbe creare una relazione
tra i due data base ed
effettuare un’analisi relativa
all’età media restituendola
poi graficamente su carta.
Dalla stessa analisi si
potrebbe poi derivare un
nuovo tematismo relativo
all’anzianità dei residenti e
utilizzandolo
in
sovrapposizione al tematismo relativo alla carta dei
bacini d’utenza dei centri
anziani del Comune o dei servizi materno - infantili dell’Unità Sanitaria Locale, verificare la congruenza tra bacini
d’utenza dei servizi (offerta) e potenziale utenza (domanda) per poi decidere eventualmente un nuovo piano
d’azione o di sviluppo. Gli attributi che possono risiedere anche su più sistemi ed essere aggiornati da molti applicativi (nel caso precedente sono aggiornati dall’ufficio anagrafe e utilizzati da quello di pianificazione dei servizi),
sono in genere memorizzati su dei data base relazionali ed interrogabili mediante linguaggi di tipo SQL (Structured Query Language).
24
Una struttura relazionale del data base accuratamente progettata permette di effettuare diverse analisi sui dati senza essere costretti in percorsi obbligati. In altre parole, oggi possono essere estratte le date di nascita, domani si potrà condurre un’analisi sulla numerosità dei nuclei familiari e quindi una simulazione del carico della rete fognaria
o della domanda di servizi scolastici. La capacità di integrare, nel modello dati di un G.I.S., attributi provenienti da
diversi data base anche raggiunti in rete locale o geografica mediante strutture relazionali e secondo formalismi
SQL è oggi una necessità imprescindibile.
1.4.
Overlay topologico
Probabilmente le funzioni di overlay sono state le prime ad essere implementate in un G.I.S., e rimangono ancora
oggi le funzioni di base in questi sistemi. Concettualmente si tratta di funzionalità molto semplici ma solamente
una struttura dei dati completamente topologica permette di realizzarle in modo efficace. Infatti il risultato della
sovrapposizione di diversi livelli informativi non deve essere solamente visuale, cioè si possono vedere gli elementi sovrapposti ma devono soprattutto essere a livello degli attributi, che devono essere riportati da un livello
informativo all’altro, in corrispondenza degli elementi corrispondenti.
Le sovrapposizioni (overlay) possono essere suddivise in tre categorie principali:
i) punti su poligoni, ii) linee su poligoni e iii) poligoni su poligoni: comune a tutte le operazioni di overlay è che
almeno uno dei due tematismi considerati sia di tipo poligonale. Se ad esempio poniamo, come livello poligonale,
una carta dell’uso del suolo, mediante le funzioni di overlay possiamo attribuire la tipologia del suolo in cui cade
ad esempio un traliccio elettrico (punto su poligono), un tratto di strada (linea su poligono), un fabbricato (poligono su poligono). Il nuovo livello informativo conterrà, oltre che tutti gli attributi rispettivamente del traliccio, della
strada o del fabbricato, anche tutte le informazioni che sono associate alla carta poligonale dell’uso del suolo. Mediante questi operatori sono possibili sofisticate analisi di tipo ambientale e scientifico: si pensi, in campo geologico, alla possibilità di sovrapporre carte diverse riportanti informazioni sulla geologia, la copertura vegetale,
25
l’acclività, la fratturazione della roccia, per determinare le zone potenzialmente predisposte al dissesto; tali analisi,
tipiche delle scienze ambientali, risultano grandemente facilitate dalla presenza degli operatori di overlay.
1.5
Le tecniche di buffering
Quante volte si devono determinare delle aree di rispetto intorno a specifici elementi geografici? Ad esempio: le
linee elettriche ad alta tensione prevedono delle fasce di rispetto di oltre 250 metri per parte; le leggi ambientalisti-
che prevedono l’inedificabilità entro una specifica distanza
dalle rive di corsi d’acqua, laghi e mare; un ponte ripetitore
copre un’area con un determinato raggio.
La risposta a questi specifici problemi viene agevolmente data
da un G.I.S. che disponga delle funzioni di buffering, in grado
cioè di creare un’area di rispetto intorno agli elementi
geografici che sono presenti nel database. La possibilità di
modulare questa operazione a seconda delle necessità
dell’operatore dà modo di risolvere, con pochi passaggi,
problemi altrimenti difficilmente risolvibili; ad esempio la
capacità di effettuare buffering asimmetrici rispetto, ad
esempio ai due lati di un elemento lineare oppure di effettuare
un buffering parametrizzato a seconda delle caratteristiche
dell’elemento: per creare fasce di rispetto intorno alle linee
elettriche, si può usare come parametro discriminante la
tensione di esercizio, creando fasce maggiori per tensioni
maggiori della linea
Una volta creata la fascia di rispetto che sia intorno ad un
punto, linea o poligono, il risultato è sempre un livello
informativo di tipo poligonale, che può essere utilizzato per successive analisi; ad esempio, effettuando l’overlay
della carta della vegetazione con le fasce di rispetto create intorno ad una strada in costruzione, può essere valutata
la superficie e la tipologia della vegetazione coinvolta nel progetto.
2.
Le principali caratteristiche dei dati e il software per il loro utilizzo
2.1.
La conversione Raster - Vettoriale
Le trasformazioni tra questi due tipi di formati sono operazioni che si rendono spesso necessarie nel corso della
realizzazione di un G.I.S., per questa ragione quasi tutti i software professionali prevedono dei moduli interamente
dedicati a questi tipi di operazioni. Questi tipi di conversione, anche se eseguite in maniera molto accurata, causano perdite d’informazioni, questo è facilmente intuibile se pensiamo, ad esempio a trasformare una cartografia
vettoriale in formato raster e poi la ritrasformiamo in vettoriale, sicuramente non riavremo il files originale: le differenze sono perdite di informazioni. La trasformazione da rappresentazione vettoriale a raster è un’operazione
che può quasi sempre essere eseguita in modalità completamente automatica, infatti, da un punto di vista concettuale, è un’operazione del tutto analoga all’acquisizione di una rappresentazione su supporto cartaceo mediante
scanner. L’attenzione dell’operatore qui deve essere soprattutto posta alla scelta della risoluzione in funzione
dell’utilizzazione che se ne deve fare, senza però, come già detto, appesantire troppo le fasi di elaborazione successive con files troppo voluminosi. La trasformazione raster - vettoriale, che si basa sulla scomposizione delle
primitive vettoriali in un certo numero di unità elementari raster, introduce alcune approssimazioni che sono do-
26
vute principalmente alla discretizzazione
della geometria. Una linea vettoriale, ad
esempio, con un’inclinazione diversa da 0°,
45° o 90° gradi, verrà trasformata in formato
raster come una serie di spezzate (vedi figura
a fianco, una linea vettoriale (nera a sinistra) e
il suo equivalente in formato raster (nero a
destra), in rosso le distanze calcolate sullo
stesso segmento nelle due rappresentazioni:
la distanza nel raster sarà sempre maggiore
che nel vettoriale.), di conseguenza il calcolo
della lunghezza di un segmento, che viene
spesso utilizzato per le analisi dei network,
risulterà sempre maggiore per la rappresentazione raster rispetto a quella vettoriale, che
più si avvicina al valore reale. E’ facile intuire
che ulteriori approssimazioni vengono introdotte per quanto riguarda il calcolo delle aree
e la forma dei poligoni, questi problemi sono
comunque ampiamente dibattuti in letteratura
da diversi autori (Burrough P. A., Congalton R., Jones C. etc.). La conversione da formato raster a vettoriale, invece, è un’operazione che molto difficilmente può eseguirsi in modalità completamente automatica, una tale operazione richiede in fatti che il software “riconosca” in una griglia di punti quelli che compongono una determinata
entità: è però molto difficile che un programma riesca a distinguere, ad esempio, una curva di livello da un’asta
fluviale o da un limite amministrativo o addirittura dal reticolato chilometrico. I programmi di vettorializzazione si
distinguono fondamentalmente in due categorie: i) i vettorializzatori di elementi lineari ed ii) i vettorializzatori di
aree con uniformi tonalità di colore. I vettorializzatori di elementi lineari, normalmente lavorano su files raster binari e si basano su algoritmi d’inseguimento delle linee: i più comuni tra questi programmi sono i semiautomatici
che richiedono all’operatore di individuare un punto sull’elemento lineare che si vuole vettorializzare. Partendo
dal punto indicato i software proseguono tracciando una linea vettoriale finché riescono a seguire una striscia di
pixels ininterrotta, giunti ad un’interruzione, o ad un incrocio, possono chiedere ulteriori istruzioni all’operatore o
proseguire secondo determinati criteri fissati all’inizio della vettorializzazione. I vettorializzatori automatici individuano gli elementi lineari e li vettorializzano automaticamente, ma, a meno di non disporre di cartografie con un
solo tipo di elementi lineari (ad esempio cartografie a sole curve di livello), l’inconveniente è che il programma in
questo caso non farà distinzione tra i vari tipi di elementi lineari restituendo un reticolo difficilmente utilizzabile. I
vettorializzatori di aree ad uniforme tonalità vengono invece utilizzati su files raster a colori o a toni di grigio, il
principio è quello di restituire come poligoni vettoriali tutte le aree che hanno tonalità uniformi. Questo tipo di programmi possono essere utilizzati su files relativi a carte tematiche o, in alcuni casi, anche a immagini telerilevate,
in ogni caso le immagini vanno pretrattate per poter filtrare le disomogeneità locali e puntuali introdotte in fase di
acquisizione.
2.2.
Vantaggi e svantaggi delle rappresentazioni vettoriali o raster
La scelta tra rappresentazione raster o vettoriale è a volte una scelta obbligata: è infatti difficile pensare di realizzare ad esempio una cartografia catastale in formato raster. Si deve però tener presente che in altri casi la scelta tra i
due tipi di rappresentazione non è così immediata e può dipendere da vari fattori, di seguito vengono solo riportate
alcune considerazioni che non esauriscono sicuramente l’argomento ma vogliono solo fornire delle indicazioni di
massima. Se le rappresentazioni vettoriali sono spesso preferite perché le griglie regolari possono perdere dettagli,
è pur vero che all’aumentare della risoluzione delle griglie questa perdita è sempre meno sensibile. L’aumento
27
della risoluzione, come già detto3, si paga però in termini di dimensioni del file il che rende spesso problematica la
fase d’elaborazione. Alcune elaborazioni quali gli studi sulle reti (tecnologiche, viarie etc.) sono principalmente
eseguite su files vettoriali. I files raster sono molto più economici in fase di acquisizione, perché le operazioni sono
praticamente automatiche, l’acquisizione automatica dei files vettoriali è invece un’operazione più difficile e che
richiede comunque un trattamento dei dati a monte ed a valle del processo rendendola di fatto semiautomatica. Le
carte tematiche sono uno dei casi in cui è difficile scegliere se memorizzare in formato raster o vettoriale: nel primo caso in pratica si tratta di registrare il colore di tutti i punti in una griglia regolare in cui la cartografia viene
scomposta, nel secondo si tratta di memorizzare le coordinate di un numero discreto di punti che si trovano sui
margini tra un tematismo e quello adiacente. Queste scelte vengono di solito eseguite in base all’uso che poi se ne
deve fare, al tipo di software che si ha a disposizione o anche in base a preferenze personali, per abitudini di lavoro, del singolo utente.
VANTAGGI
SVANTAGGI
2.3.
FORMATO RASTER
- Rapidità d’acquisizione.
- Viene acquisito tutto
indipendentemente
dall’interpretazione.
- Il software non “capisce” la
differenza tra i vari oggetti
rappresentati.
- Files “pesanti”.
FORMATO VETTORIALE
- Acquisendo per oggetti il
software può distinguerli ed
associare informazioni.
- Files leggeri (rispetto ai raster).
- Acquisizione onerosa .
- Interpretazione dell’operatore.
Modalità di acquisizione dei formati vettoriali o raster
Le cartografie in formato digitale che vengono inserite in un GIS possono provenire da: i) cartografie esistenti in
formato cartaceo, ii) cartografie già esistenti in formato digitale, iii) nuovi rilievi.
Nel caso di cartografie già esistenti su supporto cartaceo, le modalità d’acquisizione dipendono, ovviamente, dal
formato in cui vogliamo rappresentarle. Per scegliere il formato è necessario valutare con attenzione quali sono gli
scopi a breve ed a lungo termine, per i quali ci interessa acquisire una cartografia. Una carta topografica in bianco
e nero, ad esempio, può essere vantaggiosamente acquisita in formato vettoriale se vogliamo estrarne delle informazioni quali l’andamento delle curve di livello o del reticolo idrografico; ma se invece intendiamo utilizzare lo
stesso elemento come sfondo di una già esistente cartografia vettoriale della rete stradale, il miglior risultato lo otterremo acquisendolo in formato raster poiché sicuramente più leggibile e facilmente interpretabile
dall’utilizzatore finale. Le acquisizioni in formato raster si effettuano attraverso apparecchi detti scanner e sono
operazioni completamente automatiche, data la ormai quasi totale scomparsa degli scomodissimi scanner manuali. Il funzionamento di uno scanner è molto simile a quello di una normale fotocopiatrice: il documento cartaceo
viene letto da una serie di elementi fotosensibili che praticamente discretizzano l’immagine in una maglia di piccoli elementi areali, solitamente di forma pressoché quadrata, ad ognuno dei quali viene assegnato un colore od un
tono di grigio a seconda della risposta ottenuta dal sensore nel momento in cui ha letto la posizione corrispondente
sull’elemento cartaceo. L’attenzione dell’operatore durante queste operazioni deve essere rivolta alla taratura di
alcuni parametri che possono condizionare fortemente l’effettiva utilizzabilità dei files così ottenuti: la risoluzione
geometrica, la profondità di colore e la threshold (soglia). La scelta della risoluzione geometrica va effettuando
cercando di limitare la perdita di informazioni che comunque viene introdotta digitalizzando delle informazioni
che nascono in forma analogica; c’è da considerare, ad esempio, che i software di vettorializzazione utilizzati, dei
quali si parlerà in seguito4, hanno bisogno, preferibilmente, di file acquisiti con risoluzioni uguali o superiori ai
400 dpi5. D’altro canto, bisogna tener presente che la grandezza di un file raster aumenta proporzionalmente al
quadrato della risoluzione lineare (raddoppiando la risoluzione quadruplica la dimensione del file); di conseguenza, nonostante le prestazioni degli elaboratori migliorino di mese in mese, aumentare la risoluzione di un file può
renderlo in pratica ingestibile. C’è inoltre da considerare che gli elementi cartacei da cui si acquisiscono i dati,
3
Cfr. il precedente par. 2.13
Cfr. il successivo par. 7.4
5
Unità di misura inglese “doth point inch”, punti per pollice. (1 inch = 0,254 cm)
4
28
hanno dei limiti intrinseci (limiti di graficismo) e scegliere risoluzioni con celle elementari di dimensioni molto
inferiori a questi limiti può essere un inutile appesantimento dell’elaborazione. Poiché, come già detto6, il numero
dei toni di grigio o di colore può essere pensato come la risoluzione di una terza dimensione (per questo indicata
spesso come profondità di colore), le considerazioni sin qui esposte per la risoluzione geometrica sono concettualmente valide anche per la scelta del numero di toni di colore. In questo caso si dovrà tener presente la reale risoluzione cromatica dell’immagine: è palese l’inutilità di acquisire, ad esempio, una cartografia tematica con una
profondità di milioni di colori, ma c’è da aggiungere che in questo modo si introdurrebbero delle variabilità di toni
all’interno di zone che presentavano una colorazione uniforme sulla cartografia originale. E’ d’altro canto sconsigliabile scegliere un numero di colori (palette) di poco superiore ai colori effettivamente presenti sul documento
originale poiché si correrebbe il rischio che zone con colorazioni simili vengano identificate da un unico codice di
colore (è ad esempio difficile che una palette a 16 colori riesca a distinguere due o più tonalità di verde, colori
spesso presenti sulle cartografie geologiche). L’importanza della scelta del valore di soglia può essere più facilmente compresa se pensiamo ad un file binario: lo scanner, discretizzando l’elemento da acquisire in celle, potrà
trovare celle completamente nere, completamente bianche o in parte nere ed in parte bianche. In quest’ultimo caso
lo scanner assegnerà generalmente il valore equivalente al colore bianco a pixel la cui area è bianca per più del 50
%, viceversa assegnerà il valore nero a pixel neri per più del 50%. In genere è possibile variare questo valore, che
è detto threeshold proprio perché è la soglia di luminosità oltre la quale ad un pixel viene assegnato il valore equivalente al colore bianco. Impostare un valore di soglia alto avrà l’effetto di restituire come neri anche i pixels che
nell’immagine originale lo erano solo in parte. Tali impostazioni possono essere utili nel caso il file debba poi essere utilizzato per una successiva vettorializzazione automatica o semiautomatica di elementi lineari perché aumenterà la larghezza degli elementi e riempirà alcune interruzioni. Un valore di soglia eccessivamente alto avrà
però l’effetto di unire elementi che nella cartografia originale non lo erano e di rendere illeggibili tutte le scritte. I
valori di soglia bassi si utilizzeranno quando si debba acquisire una cartografia a colori (ad esempio tematica) e si
voglia essere sicuri di acquisire come neri solo i pixels che lo erano effettivamente nella cartografia originale, quali
ad esempio i limiti tra un tematismo e quello adiacente. Anche in questo caso la modalità ottimale di acquisizione
di un file dipende da vari fattori tra cui il tipo e la qualità del supporto originale e l’utilizzazione a cui è destinato.
La modalità tradizionale di acquisire una cartografia vettoriale è attraverso il tavolo digitalizzatore. Si tratta di un
tavolo del tutto equivalente ad un tavolo da disegno, al quale è collegato un puntatore (simile per alcuni versi ad
un normale mouse), che ha una mira in una delle sue estremità: posizionando il puntatore su un determinato punto
del tavolo e premendo un tasto di acquisizione sul puntatore stesso, il tavolo ritornerà le coordinate del punto in un
sistema di riferimento interno al tavolo stesso e le invierà al computer attraverso un collegamento seriale. Dovendo acquisire dati da un elemento cartografico, la procedura è quella di fissare l’elemento stesso in modo stabile al
tavolo digitalizzatore, successivamente si selezionano uno alla volta i quattro vertici dell’elemento; ogni volta che
viene selezionato un vertice il programma che acquisisce i punti (solitamente un CAD) richiede di digitare le coordinate corrispondenti nel sistema che vogliamo utilizzare. Terminata questa operazione iniziale, tutti i punti che
successivamente verranno selezionati saranno inseriti nel CAD già con le coordinate del sistema di riferimento da
noi scelto. Il costo elevato dei tavoli digitalizzatori di grandi dimensioni, stanno comunque rendendo meno frequente questo tipo di acquisizioni, poiché con i CAD più recenti è possibile eseguire acquisizioni del tutto analoghe a schermo purché si disponga di un files raster dell’elemento cartografico da acquisire. In quest’ultimo caso si
tratta in realtà di una trasformazione da un file raster ad un file vettoriale che è l’argomento del prossimo paragrafo.
2.4
I software che trattano formati raster e vettoriali
Uno dei software più utilizzati per poter acquisire cartografia vettoriale partendo da supporti raster è CorelTRACE®, il quale fa parte della famiglia dei vettorializzatori che traccia una line a vettoriale continua laddove ritrova una differenza cromatica tra due o più pixels ottenendo così un tracciato composto da polilinee
chiuse corrispondenti ai “confini” di ogni spazio descrittivo omogeneo per colore; tutti i formati vettoriali così prodotti appaiono di qualità notevole. Inoltre l’utilizzo di ulteriori software che consentono di trattare e
6
Cfr. il precedente par. 2.4
29
“preparare” i file in formato raster per la vettorializzazione quali Adobe® PhotoShop® rappresentano senza
dubbio un interessantissimo ausilio nelle procedure di vettorializzazione semiautomatica. In particolare tali
software consentono: i) la riconversione dei vari formati, ii) l’ottimizzazione della risoluzione, iii) il ridimensionamento, iv) la regolazione dei canali colore (R-G-B), v) la selezione di parti non desiderate e la loro eliminazione, vi) la creazione di un unico file raster partendo da più files.
Durante la produzione di cartografia, necessaria per supportare le analisi condotte, è consuetudine dover sovrapporre delle informazioni raster a elementi vettoriali svincolandosi dalla georeferenziazione richiesta dai
software G.I.S. Un valido strumento di lavoro in Adobe® Illustrator® pur essendo a conoscenza della presenza sul mercato di altri software con le medesime caratteristiche, ed addirittura più versatili, come Macromedia® Free Hand®, Corel Draw® etc., ritengo fondamentale, la conoscenza dell’applicativo per ottimizzare i
tempi di lavoro.
2.5.
I Data Base Management System (DBMS)
Un database e' una collezione di dati che può variare da pochi Megabyte (gestibile quindi con un semplice computer) a molti Terabyte (per la cui gestione è necessario utilizzare strumenti particolari). L’approccio convenzionale alla gestione dei dati sfrutta la presenza di archivi o file per memorizzare i dati in modo persistente sulla memoria di massa. Un file consente solo semplici meccanismo di accesso e condivisione. Per di più, la necessità sempre
maggiore di accedere da differenti postazioni e con differenti programmi ai medesimi dati non sarebbe possibile
se non a seguito della duplicazione dei dati generando in questo modo notevoli problemi di ridondanza. Per far
fronte a questo problema si sono quindi realizzati i cosiddetti database, che devono essere condivisibili per evitare
i problemi di ridondanza sopra accennati e persistente, ossia deve presentare un arco di vita ben superiore ai singoli progetti che in quel determinato momento di vengono a realizzare.
Con il termine di Data Base Management System si indicano l’insieme degli strumenti software necessari per la
manutenzione generale di un database. In altre parole un DBMS e' sostanzialmente uno strato software che si
frappone fra l'utente ed i dati veri e propri. Grazie a questo strato intermedio l'utente e le applicazioni non accedono ai dati così come sono memorizzati effettivamente, cioè alla loro rappresentazione fisica, ma ne vedono solamente una rappresentazione logica. Ciò permette un elevato grado di indipendenza fra le applicazioni e la memorizzazione fisica dei dati. L'amministratore del database, se ne sente la necessità, può decidere di memorizzare i
dati in maniera differente o anche di cambiare il DBMS senza che le applicazioni, e quindi gli utenti, ne risentano.
La cosa importante è che non venga cambiata la rappresentazione logica di quei dati, che e' la sola cosa che i loro
utilizzatori conoscono. Questa rappresentazione logica viene chiamata 'Schema del database ed è la forma di rappresentazione dei dati più a basso livello a cui un utente del database può accedere. Ad esempio, in Figura 1 e'
rappresentata una situazione in cui l'amministratore del database ha deciso che per motivi di efficienza era necessario cambiare il disco su cui erano memorizzati alcuni dati, partizionandoli inoltre su più dischi per permettere
accessi paralleli a sottoinsiemi di dati indipendenti. Dal punto di vista dell'utente non e' cambiato assolutamente
nulla e probabilmente egli non e' nemmeno a conoscenza dell'avvenuto cambiamento.
30
2.6
Le differenti tipologie di database
La caratteristica principale secondo cui i DBMS vengono normalmente classificati e' appunto la rappresentazione
logica dei dati che essi mostrano ai loro utilizzatori. Nel corso degli anni sono stati adottati numerosi modelli per i
dati, a fronte dei quali esistono quindi vari tipi di database. I tipi più comuni sono:
1) Database gerarchici: i dati vengono organizzati in insiemi legati fra loro da relazioni di "possesso", in cui un
insieme di dati può possedere altri insiemi di dati, ma un insieme può appartenere solo ad un altro insieme. La
struttura risultante e' un albero di insiemi di dati.
2) Database reticolari: il modello reticolare e' molto simile a quello gerarchico, ed infatti nasce come estensione
di quest'ultimo. Anche in questo modello insiemi di dati sono legati da relazioni di possesso, ma ogni insieme di
dati può appartenere a uno o più insiemi. La struttura risultante e' una rete di insiemi di dati.
3) Database relazionali: i database appartenenti a questa categoria si basano sul modello relazionale la cui struttura principale e' la relazione, cioè una tabella bidimensionale composta da righe e colonne. Ciascuna riga, che in
terminologia relazionale viene chiamata tupla, rappresenta un'entità che noi vogliamo memorizzare nel database.
Le caratteristiche di ciascuna entità sono definite invece dalle colonne delle relazioni, che vengono chiamate attributi. Entità con caratteristiche comuni, cioè descritti dallo stesso insieme di attributi, faranno parte della stessa relazione.
Esistono vari tipi di database relazionali. Segue una breve lista di alcuni dei più conosciuti: i) Oracle è senza dubbio il più potente e conosciuto tra i database relazionali commerciali. Tuttavia, è relativamente costoso e complesso. Oracle può essere acquistato o scaricato come versione di valutazione da Oracle Website; ii) DB2 di IBM è il
maggior antagonista commerciale di Oracle. È simile sia in potenza che nel prezzo e nella complessità. Maggiori
informazioni da http://www.ibm.com/software/data/db2/; iii) PostgreSQL è uno dei principali database relazionali open source con un buon supporto per gli standard del linguaggio SQL. Puoi ottenere maggiori informazioni
su PostgreSQL sul sito www.postgreeSQL.org.; iv) MySQL è un veloce database relazionale open source. Puoi
trovare maggiori informazioni su MySQL sul sito www.mysql.com.; v) SAP DB è un database open source sviluppato da SAP. Possiede una compatibilità con Oracle 7. Per maggiori informazioni e download visita il sito
http://www.sapdb.org/.; v) Sybase è un altro database relazionale di tipo commerciale tra i più conosciuti. Sybase
può essere acquistato o richiesto a fini valutativi dal sito www.sybase.com, vi) SQL Server della Microsoft è
l'applicativo, pienamente aderente agli standard SQL, per i sistemi operativi Windows. Per qualsiasi utilizzo in
ambito professionale è preferibile a Microsoft Access. Per maggiori informazioni: http://www.microsoft.com/sql/;
vii) Interbase è un database open source sviluppato da Borland/Inprise. Puoi trovare maggiori informazioni su
Interbase sul sito web della Borland. Potresti anche essere interessato a FireBird, un progetto di database relazionale derivato da Interbase; viii) Gadfly è un database relazionale scritto in Python da Aaron Waters. Gadfly è in-
31
cluso nella distribuzione di Zope a scopo dimostrativo e per piccole quantità di informazioni. Gadfly è veloce, ma
non è creato per lavorare con una grande quantità di dati in quanto legge tutto il suo database in memoria. Per
maggiori informazioni: http://gadfly.sourceforge.net/.
4) Database ad oggetti (object-oriented): lo schema di un database ad oggetti e' rappresentato da un insieme di
classi, che definiscono le caratteristiche ed il comportamento degli oggetti che popoleranno il database. La principale differenza con i modelli esaminati finora e' la non passività dei dati. Infatti con un database tradizionale (intendendo con questo termine qualunque database non ad oggetti) le operazioni che devono essere effettuate sui
dati vengono demandate alle applicazioni che li utilizzano. Con un database object-oriented, al contrario, gli oggetti memorizzati nel database contengono sia i dati che le operazioni possibili su tali dati. In un certo senso potremmo pensare agli oggetti come a dati a cui e' stata fatta una iniezione di intelligenza, che gli permette di sapere
come comportarsi, senza doversi appoggiare ad applicazioni esterne.
I primi due tipi di database, quelli gerarchici e reticolari, quasi appartengono ormai alla storia dell'informatica.
La maggior parte dei database attualmente utilizzati appartiene alla categoria dei database relazionali. I motivi di
questo successo (anche commerciale) vanno ricercati nella rigorosità matematica e nella potenzialità espressiva
del modello relazionale su cui si basano, nella sua semplicità di utilizzo e, ultima ma non meno importante, nella
disponibilità di un linguaggio di interrogazione standard, l'SQL, che, almeno potenzialmente, permette di sviluppare applicazioni indipendenti dal particolare DBMS relazionale utilizzato. I database ad oggetti sono la nuova
frontiera nella ricerca sui database, infatti le loro caratteristiche di estendibilità, derivanti dalla possibilità di definire
nuovi tipi di dati e comportamenti, li rendono particolarmente appetibili per tutte quelle applicazioni che richiedono dati complessi, come ad esempio immagini, suoni o coordinate. Purtroppo la mancanza di un modello per gli
oggetti universalmente accettato e la non disponibilità di un linguaggio di interrogazione standard fanno sì che ogni produttore implementi la propria visione specifica, di solito assolutamente incompatibile con tutte le altre. Di
recente sono apparsi sul mercato alcuni database, definiti object-relational, che cercano di introdurre nel modello
relazionale le caratteristiche di estendibilità proprie dei database object-oriented.
Indipendentemente dal tipo di database, le funzionalità principali che ci si deve aspettare da un DBMS sono quelle
di:
1. consentire l'accesso ai dati attraverso uno schema concettuale, invece che attraverso uno schema fisico;
2. permettere la condivisione e l'integrazione dei dati fra applicazioni differenti;
3. controllare l'accesso concorrente ai dati;
4. assicurare la sicurezza e l'integrità dei dati.
Grazie a queste caratteristiche le applicazioni che vengono sviluppate possono contare su una sorgente dati sicura,
affidabile e generalmente scalabile. Tali proprietà sono auspicabili per applicazioni che usano la rete Internet come
infrastruttura e che hanno quindi evidenti problemi di sicurezza e scalabilità.
3.
La qualità nei dati trattati da un SIT
3.1.
Una prima distinzione delle scale di rappresentazione
Le scale di rappresentazione si possono distinguere in due gruppi: i) scala cartografica e ii) cala nominale. Nel
primo caso si intende il rapporto esistente tra le dimensioni di un progetto sulla cartografia e la sua dimensione
reale. Ad esempio la dicitura 1:5.000 sta a significare che in centimetro sulla mappa è uguale a 5.000 centimetri
nella realtà (50 m). La scala determina anche la presenza o meno di oggetti nella mappa in base alle loro dimensioni. Infatti se consideriamo che lo spessore convenzionalmente considerato visibile è 0,2 mm, ne consegue che
alla scala 1:10.000 il più piccolo elemento rappresentabile è di 2 metri. Sempre parlando di scale è opportuno considerare anche quella che viene comunemente definita scala nominale, ossia la scala di acquisizione del dato. Ad
esempio se acquisiamo un dato alla scala 1:10.000 si rilevano solo aggetti con dimensioni maggiori di 2 metri. E’
quindi sconsigliato la visualizzazione degli oggetti (zoom) in scale più piccole della scala nominale, in quanto gli
elementi tendono a compattarsi e quindi a confondersi. Risulta anche scorretto visualizzare dati acquisiti con scala
32
nominale molto più piccola di quella di visualizzazione. In questo caso i dati non contengono gli oggetti più piccoli.
3.2.
Alcuni elementi di qualità dei dati
i) L’accuratezza descrive la qualità del dato nell’avvicinarsi alla corretta descrizione della realtà. Si parla di accuratezza posizionale per quanto riguarda la corretta rappresentazione della parte spaziale del dato che può essere valutata per confronto con le coordinate fornite dal sistema informativo e confrontate con quelle di un rilievo.
L’accuratezza degli attributi che invece interessa i dati alfanumerici e che riguarda quindi la veridicità dei valori
assunti rispetto ai valori effettivamente presenti. ii) La precisione riguarda la qualità del processo di misura e solo
di conseguenza la misura stessa. La precisione di un processo di misura è quantificabile dal “minimo valore discriminabile”. Per esempio dire che uno strumento di misura ha una precisione di 1 metro significa dire che gli
oggetti misurati possono differire tra loro di almeno un metro. iii) La correttezza descrive la qualità con cui gli oggetti della base dati corrispondono agli oggetti della realtà. iv) La completezza misura il grado di presenza degli
oggetti e dei relativi attributi in una base dati geografica rispetto alla realtà. v) Integrità descrive la completezza
delle corrispondenze tra oggetti geometrici e i loro record alfanumerici.
3.3.
La congruenza del dato rispetto alla base di riferimento
Uno dei maggiori problemi per colori che lavorano con i Sistemi Informativi Territoriali è la coerenziazione dei
dati. La valutazione di tale coerenziazione avviene mediante un confronto geometrico tra il dato da controllare e la
base di riferimento e una verifica semantica sugli attributi. In particolare la verifica di congruenza geometrica si
calcola verificando la quantità della parte coincidente della base cartografica con quella della base di riferimento.
Nello specifico la prima procedura si basa sul confronto dei vertici tra la base e il dato da controllare, mentre la seconda si basa sull’analisi del dato ottenuto dalla sovrapposizione fra la base ed il dato da verificare.
Le due procedure possono essere applicate sia su dati lineari che su dati poligonali. Per quanto riguarda il primo
caso è possibile realizzare in automatico delle statistiche sui vertici in modo tale da verificare la congruenza di vertici nei differenti layer. Il sistema riesce a contare quei vertici sovrapposti, quelli non proprio sovrapposti ma che
presentano una distanza nei limiti di tollerabilità e quei vertici che invece non si sovrappongono per niente. A questo punto il sistema realizza un resoconto.
Per quanto riguarda invece i poligoni è possibile attivare una procedura che valuta la misura di congruenza di un
dato in funzione dei micropoligoni che si vengono a creare con la sovrapposizione con la base di riferimento. Una
conseguenza di questa procedura è quella di segnalare errori per eccesso: solo l’esame visivo riesce a distinguere
incongruenze effettive da interpretazioni corrette dell’operatore.
Dopo aver verificato che tra due strati informativi siano stati risolti tutti i possibili casi di incongruenza geometrica
e topologica, è possibile rilevare situazioni in cui sussista un altri livello di incongruenza, legata alla natura ed al
significato dei dati. La congruenza da verificare è detta in questo caso congruenza semantica visibile mediante una
impossibilità o almeno una forte improbabilità nei contenuti. Infatti se un determinato edificio e classifica residenziale, non è possibile che in un altro strato informativo lo stesso edificio è classificato come industriale Si tratta
quindi di verificare la congruenza semantica degli oggetti presenti nei differenti strati informativi
4.
La Rappresentazione del territorio in continuo/discreto
4.1.
Il sistema di rappresentazione discreta
Una delle procedure attivabili attraverso i Sit è quella di ridurre l’area di studio in un insieme di aree più piccole,
identificabili come un minimo comune divisore della stessa alle quali riferire ogni informazione derivata dalle
analisi settoriali e trasformare l’analisi, originariamente di tipo areale, in una nuova analisi ad oggetti, come un Sit
sa manipolare e articolare meglio di qualsiasi altro strumento.
Dunque, una delle funzioni più importanti dei Sit consiste nella razionale gestione di “elementi areali”, ossia la trasformazione dello stesso in un nuovo Sit “ad oggetti” attraverso la procedura cosiddetta di “discretizzazione”. Si
33
tratta di una procedura basata sulla teoria della “Quadrat analysis”, che discretizza, per l’appunto, un territorio
suddividendolo in celle a maglia quadrata (la cui dimensione è determinata dinamicamente dall’utente analista in
funzione dell’obiettivo dell’analisi condotta).
Questa elaborazione consente di traslare l’attenzione dalle aree rappresentate nelle mappe tematiche analizzate
alle singole celle territoriali, univocamente e precisamente identificabili.
Ricapitolando:
Il pubblico che si accosta all’uso dei Sit può essere mosso da due necessità non sempre però compresenti, visto il
diverso ruolo dei molteplici operatori che agiscono e operano sul territorio
•
•
4.2.
La necessità di gestire, agevolmente, il patrimonio della conoscenza. E’ questo il caso delle Amministrazioni Comunali, che volgono l’attenzione all’utilizzo tradizionale dei Sit
La necessità di ricerca, o meglio, di lettura/comprensione della realtà complessa e dinamica del territorio,
allo scopo di identificare eventuali regole utili alla taratura delle decisioni pianificatorie, normative, progettuali, che, in qualche modo, tendono a modificare/si preoccupano di tutelare l’assetto territoriale esistente e identificato; necessità che richiede, quindi, il poter utilizzare le due diverse prestazioni dei Sit illustrate in precedenza.
I vantaggi della discretizzazione del territorio
La possibilità di discretizzare il territorio in un numero arbitrario di celle consente ovviamente una serie di azioni
che in altro modo non possono essere effettuate. In particolare l’etichettamento di ogni singola cella con il proprio
codice identificativo e quindi georeferenziato consente di: i) effettuare analisi di frequenza dei fenomeni
territoriali, economici, sociali; ii) classificare il territorio oggetto di studio; iii) individuare di bacini di isospazi con
caratteristiche comuni tali da poter intraprendere per ognuno azioni specifiche (analisi cluster);iv) attivare tutta una
serie di procedure geostatistiche tali da poter ridurre di complessità la realtà circostante.
34
Come è possibile evidenziare il trattamento delle informazioni in formato discreto rappresenta un utile vantaggio
per colori che devono trattare dati territoriali.
Ad esempio supponiamo di dover classificare l’intensità delle
trasformazioni edilizie in un determinato territorio. I dati
disponibili sono quelli relativi allo sportello unico e si
limitano ad un simbolo puntuale grafico a cui vengono associati informazioni alfanumeriche. Come è possibile
osservare dall’immagina a fianco riportata la possibilità di descrivere l’intensità delle trasformazioni basandoci esclusivamente sui dati continua risulta assai difficoltosa, in quanto non si riesce a capire con chiarezza la differenza
di frequenza degli interventi per uguali superfici. Per far fronte a questo problema è possibile suddividere il territorio in celle e contare per ogni cella in numero di pratiche che vi risiedono. In questo modo la lettura dell’intensità
delle trasformazioni risulta assai più agevolata come mostra l’immagine in alto a destra.
4.3.
Esempi di trattamento dei dati per celle
Riportiamo brevemente una serie di immagini che ci consentono assai agevolmente di tastare con mano l’utilità di
un utilizzo dei dati in forma discreta. In particolare si riporta la procedure seguita per il calcolo dell’accessibilità
qualitativa di alcuni servizi dislocati sul territorio di Giussano
35
Come è facilmente osservabile dalle immagini riportate, la discretizzazione per celle rappresenta un passaggio
fondamentale per identificare l’accessibilità sia topologica che qualitativa di alcuni servizi. In carenza della discretizzazione non sarebbe stato possibile classificare con facilità il territorio sulla base di classi di accessibilità.
E’ inoltre possibile sovrapporre la distribuzione delle persone residenti di età sensibile (es. superiori ai 64 anni), in
confronto con la dotazione di aree verdi in atto
L’immagine consente di evidenziare con estrema chiarezza le aree nelle quali la concentrazione di persone anziane risulta maggiore, ma senza che vi sia un’adeguata accessibilità ai servizi.
Come è possibile immaginare si tratta di operazioni che se da un lato necessitano di uno sforzo enorme per
l’acquisizione e la georeferenziazione dei dati, dall’altro permettono di dare un supporto effettivo alle scelte di governo del territorio.
Scarica