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Gruppo Editoriale Esselibri - Simone
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SIMONE
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Gruppo Editoriale Esselibri - Simone
Estratto della pubblicazione
Copyright © 2004 Esselibri S.p.A.
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l’editore è a disposizione degli aventi diritto. L’editore provvederà, altresì, alle
opportune correzioni nel caso di errori e/o omissioni a seguito della
segnalazione degli interessati.
Prima edizione: Febbraio 2004
PK2
ISBN 88-244-8743-2
Ristampe
8 7 6 5
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1
2004
2005
2006
2007
Questo volume è stato stampato presso
Officina Grafica Iride
Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Traversa, 24 Arzano (NA)
Per informazioni, suggerimenti, proposte: [email protected]
Redazione:
Umanistica
Grafica e copertina: Gianfranco De Angelis
2
Presentazione
................................
Il volume, Letteratura latina... in tasca, è uno strumento pensato
per favorire il rapido apprendimento degli argomenti fondamentali
della disciplina e la comprensione dei problemi principali connessi
agli argomenti letterari, attraverso un percorso chiaro ed essenziale,
che riceve il suo spessore dalla sintesi delle diverse posizioni critiche
storiche e recenti.
Il testo è articolato in capitoli, arricchiti con schemi cronologici e rubriche di approfondimento, come Focalizziamo su..., che propone
la lettura di brani di autori antichi e alcuni spunti per l’analisi, o
Spunti di interdisciplinarietà, che permette di allargare la prospettiva
su altre discipline, al fine di una migliore comprensione tramite la
contestualizzazione.
Conclude ogni capitolo un test di verifica, con soluzioni e brevi
commenti, che consente di valutare il livello di comprensione sintetica degli argomenti acquisito.
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Estratto della pubblicazione
1. L’età arcaica
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TAVOLA CRONOLOGICA DEGLI EVENTI
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753 a.C. Fondazione di Roma (secondo Varrone).
509 Fine della monarchia etrusca a Roma.
451-450 I decemviri e le Leggi delle 12 Tavole.
390 ca. Battaglia sull’Allia e presa di Roma da parte dei Galli.
343-341 Prima guerra Sannitica.
326-304 Seconda Guerra Sannitica.
312 Censura di Appio Claudio.
298-290 Terza Guerra Sannitica.
295 Vittoria dei Romani a Sentino.
280-275 Guerra contro Pirro.
272 Sottomissione di Taranto.
264-241 Prima Guerra Punica.
260 Vittoria della flotta romana agli ordini di C. Duilio a Milazzo.
256 Vittoria della flotta romana al promontorio di Ecnomo.
241 II console Lutazio Catulo ottiene una decisiva vittoria alle isole Egadi.
240 Rappresentazione della prima opera teatrale romana di Livio Andronico.
218-201 Seconda Guerra Punica.
218 Battaglie del Ticino e della Trebbia.
217 Battaglia presso il Trasimeno.
216 Battaglia di Canne.
212-205 Prima Guerra Macedonica.
204 II poeta Ennio è condotto a Roma da Catone.
202 Sconfitta dei Cartaginesi a Naraggara in Africa.
Nel II millennio a.C. si verifica una prima migrazione di popoli
indoeuropei in Italia, che si stabilisce in un’area estesa dall’Italia centrale alla Sicilia. A questo gruppo, detto latino-siculo, appartiene una
popolazione dedita alla coltivazione di cereali e all’allevamento, che
5
1. L’età arcaica
1) Inquadramento storico
1. L’età arcaica
vive nel Lazio organizzata in piccole comunità sparse sui colli Palatino, Esquilino, Quirinale.
La data tradizionale della fondazione della città di Roma, 753
a.C., si riferisce al momento in cui i tre colli sono circondati da una
cinta di mura difensive grazie all’iniziativa degli Etruschi, interessati
al controllo del guado del Tevere. Sotto la guida dei sovrani etruschi
la piccola comunità di villaggi diventa rapidamente la città egemone
del Lazio. Il 509 a.C. segna l’epilogo di una crisi interna ed esterna
di Roma: gli Etruschi, sconfitti dai Greci ad Aricia nel 524 a.C., non
riescono a opporsi alla cacciata dei re etruschi da Roma e alla fondazione della repubblica a opera dei patrizi romani, ostili allo Stato
centralista dei Tarquini. L’indebolimento degli Etruschi in Italia, nella
cui orbita la città continua a ruotare, e le lotte fra patrizi e plebei riducono notevolmente la potenza e il prestigio di Roma, che viene
ulteriormente isolata dalla calata dei Volsci nel Lazio dall’Appennino.
Durante il V secolo a.C. la città del Lazio attraversa una profonda crisi dalla quale uscirà, faticosamente, solo nel corso del IV secolo a.C.
Lo scioglimento della lega latina, avvenuto nel 338 a.C., segna la riscossa di Roma e la ripresa dell’espansione.
Il III secolo a.C. si apre con la terza guerra sannitica. A Sentino,
nel 295, Sanniti, Galli, Etruschi vengono sconfitti e Roma diventa la
massima potenza della penisola. Taranto, la più potente città greca
dell’Italia meridionale, chiede aiuto a Pirro, re dell’Epiro, uno dei regni nati dalla dissoluzione dell’impero di Alessandro Magno. Sconfitti
a Eraclea (280) i Romani riprendono la lotta e nel 275 sconfiggono a
Maleventum (oggi Benevento) Pirro, che ritorna in Epiro.
La vittoria contro Pirro, erede del grande Alessandro, ha attirato
sulla città del Lazio l’attenzione delle grandi monarchie ellenistiche e
fornito così alla stessa Roma lo spunto per un ampliamento dei propri orizzonti politici fino a poco prima impensabile. Nei decenni successivi si verifica l’inarrestabile espansione della potenza romana.
Dal 264 al 241 Roma combatte la prima vittoriosa guerra contro i
Cartaginesi per il possesso della Sicilia. Nel 222 viene conquistata la
capitale dei Galli Ìnsubri, Mediolanum, dal console plebeo Marco
Claudio Marcello.
6
Nel frattempo Cartagine ha riorganizzato le sue forze e intraprende la conquista della Spagna. Nel 219 Annibale distrugge la città di
Sagunto alleata dei Romani e dà inizio alla seconda guerra punica. Il
generale cartaginese invade l’Italia, mirando a staccare da Roma le
popolazioni alleate: infligge ai Romani le terribili sconfitte presso i
fiumi Ticino e Trebbia (218), presso il lago Trasimeno (217), sino alla disfatta di Canne (216). L’elezione del giovane Publio Cornelio
Scipione a comandante degli eserciti romani segna una svolta nelle
operazioni di guerra: Annibale, costretto a ritornare in Africa, subisce
la sconfitta di Zama, che porta alla conclusione della guerra nel 201.
Alla fine del III secolo a.C. Roma ha conquistato una dimensione politica ed economica mediterranea.
2) La cultura
Roma è frutto di un «sinecismo» (unione) di diverse comunità: Latini, Sabini, Etruschi. A questi ultimi deve non solo l’organizzazione
statale, i culti pubblici, l’architettura, ma anche lo stesso alfabeto –
mediato dai Greci di Cuma – e le prime rudimentali forme artistiche.
Sono carmina le leggi delle Dodici Tavole, il primo trattato con
Cartagine, le preghiere dei sacerdoti Arvali, Salii, gli àuguri, gli elogia
incisi sulle tombe e le prime manifestazioni più propriamente artistiche, quali i canti conviviali sulla saga di Priamo e di Nèleo. È piuttosto controverso se il verso dei carmina, il saturnio, fosse di natura
qualitativa, articolato cioè sulla successione di sillabe accentate e
non accentate, o quantitativa, con alternanza di sillabe lunghe e sillabe brevi. Le più cospicue manifestazioni letterarie in prosa delle origini sono costituite dalle laudationes funebres, le orazioni tenute dai
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1. L’età arcaica
La cultura indigena si esprime soprattutto nel culto e nel diritto,
che si servono della forma del carmen, intessuto di figure retoriche rudimentali come allitterazione, omoteleuto, isocolia, antitesi,
per differenziare formule e riti rispetto alla lingua dell’esperienza
quotidiana.
parenti per esaltare i defunti e la loro stirpe. Si tratta comunque di
discorsi rozzi dal punto di vista formale e inattendibili da quello contenutistico, perché viziati dall’intento celebrativo delle varie famiglie
aristocratiche.
Il III secolo a.C. è caratterizzato dal trapianto della cultura greca
in Roma. Dopo la sconfitta di Pirro i Romani restarono padroni di
Taranto e di tutta la Magna Graecia. Fino a quel momento i Latini
avevano avuto con i Greci rapporti mediati attraverso le altre popolazioni italiche. Il contatto diretto con la cultura greca impresse una
vorticosa accelerazione allo sviluppo della cultura latina. Con la conquista della Magna Graecia Roma entrava in un mondo ben più
complesso culturalmente e socialmente rispetto a quello delle popolazioni dell’Italia centrale, dove aveva agito fino a quel momento.
Come già in precedenza, la politica romana si arricchì grazie ai
nuovi contatti, assumendo non solo i tratti culturali esteriori, ma anche le motivazioni profonde delle popolazioni sottomesse. In tal modo elabora una letteratura nazionale, che consta di una sintesi originale di elementi greci e italici.
1. L’età arcaica
3) I generi letterari e gli autori
La figura che si staglia più netta sullo sfondo dei primi secoli di
Roma, per noi bui, è quella di Appio Claudio Cieco. Vissuto a cavallo fra il V e il IV secolo a.C., prima che uomo di lettere fu valoroso generale e uomo politico impegnato nell’emancipazione della
plebe. Si occupò anche dell’assetto urbano di Roma e del sistema viario. Prima di Rotacizzazione: fenomeno
e processo fonetico per cui
Livio Andronìco, considerato l’iniziatore una consonante diversa da r
della letteratura latina, Appio Claudio eb- (per lo più l o s) si trasforma
be un’intensa attività letteraria. Le sue in r, ad esempio. nel passaggio dal latino arcaico ausosa
orazioni, i primi discorsi retoricamente ad aurora.
elaborati che siano stati pronunciati a Roma, sono ricordate da Cicerone, che ne apprezzò l’eloquenza. Abolì dall’alfabeto latino la lettera z e promosse la rotacizzazione in8
Estratto della pubblicazione
serendo la r. La sua fama tuttavia rimase legata a una raccolta di
Sententiae in saturnio, il verso tipicamente italico, che conteneva i
principi della saggezza romana e di quella greca assieme. Famosa
quella che esalta l’autonomia e la libertà dell’uomo (fr. 3 Buechner): <escit > suas quisque faber fortunas («ciascuno è artefice della
propria sorte»).
Il teatro. A partire da forme «drammatiche» spontanee e rozze,
quali i fescennini, la satura drammatica e l’Atellana, si arriva nel III
secolo a.C. all’istituzione di un vero e proprio teatro romano. Determinante, anche per questo genere letterario, l’influsso greco: è
un greco, Livio Andronìco, a mettere in scena i primi drammi «regolari»; greca è la consuetudine di tenere rappresentazioni teatrali
durante celebrazioni pubbliche, quali sono i ludi; greci sono i testi
tradotti per il pubblico romano.
Le tragedie di argomento greco sono definite cothurnatae, quelle
di argomento latino, nate in un secondo momento, praetextae. Le
commedie di argomento greco sono indicate come palliatae,
quelle di argomento latino, molto più tarde, togatae. Tali definizioni fanno riferimento all’abbigliamento degli attori.
La storiografia. Nel momento dell’estremo pericolo il senato decide di inviare Quinto Fabio Pittore a consultare l’oracolo di Delfi.
L’aristocratico riporta dal suo viaggio in Grecia contatti culturali e conoscenze letterarie che gli consentono di affrontare la composizione
di un’opera storica in lingua greca, gli Annales, che illustri ai Greci
del Mediterraneo il punto di vista romano sulle cause della guerra
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Estratto della pubblicazione
1. L’età arcaica
Dopo la morte di Plauto riesce a conquistare una posizione di
rilievo nel panorama del teatro comico romano il gallo Cecilio
Stazio, giunto a Roma in seguito alla sconfitta subìta dal suo popolo a Clastidium. Il poeta ricalca le orme del grande predecessore, senza averne però la vis comica e la genialità inventiva. L’interesse per il carattere dei personaggi mostra già aspetti dell’arte di
Terenzio.
punica. Si tratta di una storiografia di carattere isocrateo, cioè moralistica e a tesi.
L’annalistica in greco ebbe a Roma diversi cultori dopo Fabio Pittore. Il plebeo Lucio Cincio Alimento, descrisse nei suoi Annales
usi e costumi dei Cartaginesi. Esponevano più diffusamente le vicende delle origini e quelle più recenti, con intenti nazionalistici e apologetici Gaio Acilio e Aulo Postumio Albino.
1. L’età arcaica
4) Livio Andronìco
La vita. Una delle poche certezze in merito alla biografia di Livio
Andronìco deriva da una testimonianza di Cicerone (Brutus 72-73),
secondo cui l’autore mise in scena a Roma
Dramma: forma di spettail primo dramma regolare in lingua latina
colo in cui è prevista un’azione, ovvero un’evoluzione
l’anno prima della nascita del poeta Ennio,
della situazione affidata a più
cioè nel 240 a.C. Questa data, sebbene sopersonaggi.
spetta – gli antichi amavano infatti stabilire
coincidenze simboliche fra gli eventi –, segnerebbe convenzionalmente l’inizio della letteratura latina. Anche Orazio, del resto, considerava Livio Andronìco come il più antico poeta latino (Epistulae 2,
1, 62).
Il poeta greco a quell’epoca si sarebbe trovato a Roma già da circa trent’anni, dove il senatore Livio Salinatore lo aveva condotto con
sé come schiavo da Taranto, caduta in mano dei Romani.
Al suo bel nome greco Andronìco (che significa «uomo vittorioso») aggiunse, secondo la consuetudine romana, quello dell’ex padrone Livio quando fu liberato in riconoscimento dei meriti acquisiti
come istitutore dei figli del senatore.
Il doppio nome simboleggia la vicenda di un uomo che, nato
greco, volle acquisire una cultura schiettamente romana. La vicenda
di Andronìco non è eccezionale: la straordinaria affermazione dell’impero romano fu determinata anche dalla capacità di assorbire gli
elementi culturali più validi delle popolazioni sottomesse, creando
una sintesi originale.
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Estratto della pubblicazione
Il profilo letterario. Il problema linguistico fu forse il più difficile
che il greco Andronìco dovette affrontare l’autore nello sforzo di naturalizzare a Roma la letteratura greca. Già nel III secolo a.C. espressioni della lingua del diritto poterono facilmente venire in soccorso
alla lingua letteraria latina, che allora si stava elaborando; forme desunte dal parlato o dalla lingua della commedia possono inoltre essere state inserite nella tragedia per accentuare il tono drammatico,
ma anche espressioni della lingua religiosa.
L’allitterazione e le figure di suono, elementi caratteristici degli
antichi carmina latini, ricorrono con frequenza; rare sono invece le
parole greche.
Gli studi grammaticali compiuti da Livio Andronìco danno ragione
del fine senso linguistico con cui lo scrittore rendeva in latino i termini
greci. È notevole il tentativo di latinizzare alcuni termini greci che non
avevano un corrispettivo preciso nella lingua di Roma. Tale è il caso,
ad esempio, del primo verso della sua traduzione omerica: virum mihi, Camena, insece versutum (fr. 1 Morel), dove insece («narra») e versutum («ingegnoso»), sono due corrispondenti etimologici dei termini
greci, mentre Camena è una divinità italica, riconducibile al termine
carmen, «canto», impiegata perciò al posto della Musa omerica, sconosciuta nel Lazio. Ma ancora: Morta per Moira (divinità greca del Fato),
Moneta per Mnemosýne (divinità greca della memoria). In altre occasioni Andronìco si è limitato ad adattare i nomi greci alla morfologia
latina, come nel caso di Calupso, -onis, Circa, -ae.
11
Estratto della pubblicazione
1. L’età arcaica
Nel 207 quando, in piena II guerra punica, il cartaginese Asdrubale minacciava la città, il poeta ricevette l’incarico dai decemviri sacris faciundis di comporre un partenio, inno propiziatorio in onore
di Giunone Regina, che fu cantato da un coro di 27 fanciulle. Questa
importante commissione pubblica è il segno della notevole considerazione di cui godeva il vecchio letterato. Dopo il successo che riscosse l’inno, il senato concesse nel tempio di Minerva sull’Aventino
una sede al collegium scribarum histrionumque, associazione professionale degli scrittori e degli attori fondata da Andronìco a imitazione del Museo di Alessandria.
Il fatto che Livio Andronìco abbia usato per la sua traduzione il verso saturnio e non l’esametro non è determinato certo da incapacità –
ben più complicati infatti erano i metri lirici che aveva adoperato
nelle opere sceniche – ma dal desiderio di romanizzare il più possibile il suo testo, grazie anche a un metro tipicamente italico.
1. L’età arcaica
Anche nei dialoghi della tragedia e della commedia, del resto,
l’autore latinizzò la metrica, usando il seVersus quadratus: così chianario giambico e il versus quadratus, o
mato perché formato da quattro
parti, cioè da due unità metriche
settenario trocaico, che erano il corrispondi due piedi ciascuna.
dente latino rispettivamente del trimetro
giambico e del tetrametro trocaico catalettico greci.
Le opere. Livio Andronìco adattò liberamente il grande teatro greco alle scene romane, con una traduzione artistica che cercava di
rendere in latino anche le differenze di stile della tragedia e della
commedia greca.
Delle opere drammatiche di Livio Adronìco ci sono rimasti miseri
resti, conservati da tardi grammatici e raccoglitori di curiosità linguistiche: una quarantina circa di versi e otto titoli delle tragedie, quattro o
cinque versi e tre titoli delle commedie. La proporzione delle testimonianze in nostro possesso evidenzia la maggiore importanza che ebbero le tragedie rispetto alle commedie nell’attività letteraria del poeta.
È probabile che l’autore si dedicasse alla commedia in una prima
fase della sua attività artistica, quando era ancora fortemente condizionato dai gusti del pubblico, per poi passare alla tragedia, a lui più
congeniale. Poco o nulla ci è possibile dire delle commedie di Andronìco a causa della scarsità del materiale a nostra disposizione.
Possiamo identificare i modelli principali delle tragedie liviane
nei grandi autori greci del V secolo a.C., Eschilo, Sofocle, Euripide;
ma dovettero influire anche i drammi di età ellenistica, di cui purtroppo non abbiamo testimonianze sufficienti.
La preferenza accordata da Andronìco a Euripide nella scelta dei
soggetti dipende dal fatto che le tragedie euripidee erano ricche di
musica, e perciò più simili alle forme di teatro musicale cui il pubbli12
Estratto della pubblicazione
13
1. L’età arcaica
co romano era abituato. Gli otto titoli di tragedie rimasti rimandano
quasi tutti al ciclo troiano, argomento gradito ai Romani, che facevano risalire le loro origini a Troia: Achilles («Achille»), Aiax mastigophorus («Aiace fustigatore»), Equos Troianus («Il cavallo di Troia»),
Aegisthus («Egisto»), Hermiona («Ermìone»), Danae («Danae»), Andromeda («Andròmeda»), Tereus («Tèreo»).
Dagli scarsi frammenti delle tragedie, in particolare dell’Aegisthus,
si intuisce che Livio Andronìco praticava la contaminatio. Non sappiamo se nelle tragedie liviane ci fosse il coro. Probabilmente l’autore introdusse nella tragedia romana i can- Contaminatio: inserimento
tica con l’intenzione di presentare novità di brani tratti da diversi origradevoli a un pubblico abituato ai canti ginali greci nell’originale tradelle farse popolari italiche. Lo scrittore ta- dotto.
rantino fu infatti sensibile ai modi e ai caratteri della civiltà indigena,
cui adattò quanto attingeva dalla cultura greca.
Verosimilmente Livio Andronìco compose l’Odusia in età avanzata: l’épos infatti richiede molto più tempo e impegno dei drammi
composti in gran numero e a scadenza annuale per i ludi Romani.
Livio scelse di tradurre l’Odissea piuttosto che l’Iliade per diversi
motivi. Prima di tutto il poema di Ulisse era più diffuso dell’Iliade,
espressione di una mentalità arcaica aristocratica; inoltre, secondo la
leggenda il re di Lavinio, città cui i Romani facevano risalire le loro
origini, Latino, sarebbe stato figlio di Ulisse e Circe.
È improbabile che Livio Andronìco abbia voluto instaurare un
rapporto di aemulatio nei confronti del suo modello; tuttavia il carattere patetico e drammatico che assume talora la traduzione artistica
liviana – in parte già presente nell’originale greco – è frutto di una
singolare tecnica della traduzione artistica, già sperimentata dall’autore nella composizione di opere drammatiche. Il verbo latino che
indica l’attività del tradurre, vertere, significa «trasformare», con riferimento non solo alle parole, ma anche alle culture che le due lingue
veicolano: Livio dovette cioè adottare l’originale greco al sistema di
valori romano, perché esso risultasse comprensibile.
Poemi ellenistici come quelli di Callìmaco e Apollonio Rodio
devono avere certamente operato un influsso nell’elaborazione
della traduzione epica liviana, specialmente per quanto riguarda
l’elemento patetico, che caratterizza numerosi frammenti in nostro
possesso.
1. L’età arcaica
5) Nevio
La vita. È verosimile che Gneo Nevio sia nato fra il 275 e il 270
a.C. Come Livio Andronìco proveniva da una regione fortemente
ellenizzata, sebbene non fosse greco: «pieno di superbia campana»
lo definisce un epigramma tramandato da Gellio (1, 24, 2), e molto probabilmente nacque a Capua. Partecipò alla prima guerra punica, che poi cantò senza risparmiare critiche ai generali che la diressero.
Nevio manifestò il suo spirito di libertà soprattutto nelle commedie, dove, alla maniera della commedia attica antica di Aristòfane, attaccò i personaggi più in vista della politica romana. Ma l’oligarchia romana non era tollerante come la democrazia ateniese. I
nobili che si sentirono da lui diffamati lo fecero chiudere in carcere, dove compose due commedie, l’Hariolus («L’indovino») e il
Leon («Leonte»), in cui faceva ammenda delle ingiurie da lui rivolte
contro i suoi nemici, riottenendo così la libertà. A Roma tuttavia
non poté più rimanere e si ritirò in esilio volontario in Africa, dove
aveva combattuto durante la prima guerra punica. Morì in età avanzata a Utica, nel 204 o nel 201.
Al tempo di Nevio l’influsso greco proveniente da Napoli e Cuma
era penetrato profondamente nella cultura etrusco-sannita dell’entroterra campano, sicché lo scrittore aveva un variegato retroterra culturale osco-greco-etrusco.
Nevio tuttavia si sentì profondamente romano e a lui risale l’origine di quasi tutti i generi della letteratura latina. Se Livio Andronìco
aveva diffuso a Roma la conoscenza del mondo poetico greco, tentando di presentarlo in forme e in termini romani, Nevio invertì tale
tendenza, dando inizio al processo di ellenizzazione della cultura latina. Anche Nevio, come Livio Andronìco, cominciò la sua attività
14
Estratto della pubblicazione
letteraria con il teatro comico e tragico: è del 235, cinque anni dopo
la prima rappresentazione liviana di una commedia latina, la sua prima messa in scena teatrale.
Le opere. La commedia dovette essere il genere letterario più
congeniale a Nevio, a differenza di Andronìco, che predilesse la tragedia: il critico letterario Volcacio Sedìgito (II secolo a.C.) gli assegnava nel suo canone dei commediografi latini il secondo posto, subito
dopo Plauto.
Come commediografo, Nevio partiva dalla commedia nuova dell’età ellenistica, dalla quale traeva l’intreccio di vicende desunte dalla
vita comune, lo studio e il contrasto dei caratteri, la conclusione a
lieto fine. Si tratta di una commedia di costumi, a sfondo morale, in
cui compaiono massime che riassumono l’esperienza e la sapienza
antica, con un tono di fine umorismo. Sui modelli della commedia
nuova l’autore innestava uno spirito aggressivo e una satira politica
contro fatti e personaggi dell’attualità, desunta dalla commedia antica
di Aristofane. In questo atteggiamento possiamo riscontrare il carattere schiettamente romano degli antichi fescennini e lo stesso spirito
di libertà con cui i soldati ricoprivano di scherzi irriverenti, i carmina triumphalia, i loro generali durante il trionfo.
15
Estratto della pubblicazione
1. L’età arcaica
Il profilo letterario. Nevio arricchì il linguaggio dell’epica latina.
Trattando argomenti romani, attinse, più che per le commedie e le
tragedie, al repertorio indigeno di allitterazioni, assonanze, omoteleuti, tutte figure retoriche che danno una forte caratterizzazione fonica ai suoi versi.
Lo stile di Nevio nel Bellum Poenicum è sintetico, assecondato
da un metro privo di varietà e di elasticità quale è il saturnio. I versi
sono asciutti e laconici, specialmente nella parte storica, dove lo stile
scende sul piano di una severa e talora prosastica semplicità.
Non avendo Nevio dietro di sé una tradizione letteraria e rifiutandosi di utilizzare il lessico omerico, nella parte mitica del Bellum
Poenicum si adeguava al livello dell’espressione tragica, dando luogo a squarci non privi di sentimento poetico.
1. L’età arcaica
Nel suo teatro Nevio prende spesso di mira la nobiltà del tempo. Non si deve per questo pensare, anacronisticamente, a un atteggiamento in qualche modo riconducibile alle moderne lotte di
classe; piuttosto si dovrà fare riferimento a una dialettica interna alla nobiltà stessa. I nemici di Nevio, infatti, appartenevano alle famiglie patrizie degli Scipioni e dei Metelli, mentre il protettore del
poeta era un Marcello, esponente di una famiglia della più recente
nobiltà plebea.
Ci sono pervenuti i titoli di 34 commedie palliatae – non abbiamo nessuna prova che Nevio fu anche autore di fabulae togatae, le
commedie di argomento italico che saranno coltivate solo più tardi –
la maggior parte dei quali in latino.
Il poeta non risparmiò grandi e potenti personaggi come Scipione l’Africano e i Metelli. Nevio ebbe il coraggio di alludere a una
disavventura giovanile di Scipione (il padre infuriato lo trascinò semisvestito fuori dalla casa di un’amante: incertarum palliatarum fr. 3
Marmorale), riprendendo delle accuse di dissolutezza che circolavano sin dai tempi della spedizione contro Cartagine.
Se Scipione non si curò del biasimo di Nevio, i Metelli reagirono
duramente all’ambiguo verso indirizzato dal poeta contro Cecilio Metello, console nel 206: Fato Metelli Romae fiunt consules (PseudoAsconio, Commento a Cicerone, Verrinae 1, 29), giocato sul doppio
senso di Fato, che può dare al verso il significato di «per volontà del
Fato a Roma i Metelli sono consoli», oppure «per l’avvenire fatale di
Roma», o anche «per fatale sventura di Roma». I Metelli non solo si limitarono a rispondere «per le rime»: malum dabunt Metelli Naevio
poetae (Cesio Basso, GLK 6, 266: «I Metelli faranno del male al poeta
Nevio»), ma lo fecero incarcerare.
Nel trattamento dei modelli greci Nevio sarebbe stato, secondo
Terenzio (Andria 18), il primo a utilizzare la contaminatio, inseriva
cioè nel modello di base scene tratte da altre opere. Effettivamente,
talora nel mondo greco dei modelli sono inseriti, come sarà poi in
Plauto, usi e costumi latini.
L’attività di Nevio come tragediografo fu meno intensa di quella
come commediografo: delle tragedie di ambiente greco sono arriva16
Estratto della pubblicazione
17
Estratto della pubblicazione
1. L’età arcaica
ti a noi solo sei titoli e poco più di una cinquantina di versi. Gli argomenti, come per Livio Andronìco, sono desunti soprattutto dal ciclo troiano e dalle rielaborazioni euripidee di questo: Aesiona («Esìone»), Equos Troianus («Il cavallo di Troia»), Danae («Danae»), Hector
proficiscens («L’addio di Ettore»), Iphigenia («Ifigenia»), Lycurgus («Licurgo»).
La composizione della tragedia dionisiaca Lycurgus, se inserita
nella biografia neviana, presenta una notevole connotazione politica, giacché il culto orgiastico del dio era diffuso a livello popolare,
mentre era avversato dagli ottimati. Questa avversione era determinata dallo spiccato carattere liberatorio, individualistico del dionisismo, che alla fine avrebbe indotto il senato romano a condannare
e bandire dall’Italia, nel 186, le cerimonie e i culti in onore del dio
tracio.
Nevio fu l’inventore della praetexta, la tragedia di argomento romano. Il Clastidium celebrava la vittoria conseguita da Marco Claudio Marcello sui Galli Ìnsubri presso l’attuale Casteggio nel 222, che
aprì ai Romani la conquista della Gallia Transpadana. La tragedia fu
probabilmente rappresentata durante i ludi funebri in onore del protagonista dell’impresa, celebrati nel 208. Nella scelta di un protettore
plebeo vediamo il carattere politico dell’arte drammatica di Nevio.
Ennio e Pacuvio avrebbero cantato invece protettori patrizi.
Di argomento non storico, ma mitico è l’altra praetexta, Romulus, che portava sulla scena la storia dei gemelli e la fondazione di
Roma. Poco sappiamo della struttura della praetexta, come di quella
della cothurnata: alla maniera della tragedia greca più recente, il coro doveva mancare, mentre erano presenti «a solo» lirici.
Solo a tarda età, come risulta da una testimonianza indiretta di
Cicerone (Cato 14, 50), Nevio si dedicò al Bellum Poenicum. L’opera fu redatta in origine continenti scriptura, cioè tutta di seguito, come gli antichi carmina latini in cui venivano cantate le imprese degli
eroi. Più tardi Ottavio Lampadione, un grammatico del II secolo a.C.,
la divise in 7 libri, dandole la veste di un poema.
Il Bellum Poenicum fu composto in saturnio nello stile conciso e lapidario degli elogia e delle iscrizioni funebri; rispetto a
questi però ebbe maggiore estensione e maggiore elaborazione
formale, come ancora si può constatare dai frammenti. Nevio,
che aveva saputo cimentarsi nei ben più difficili metri della tragedia e della commedia, aveva escluso l’esametro nell’epica non
per incapacità, ma per una precisa scelta artistica: il saturnio infatti rappresentava un’antica e solenne tradizione latina, che l’autore intendeva coltivare.
1. L’età arcaica
Nevio fu autore del primo épos storico romano. Nel suo poema
non si limitò alle leggende che risalivano alla più antica tradizione eroica del suo popolo, quella cantata nei carmina convivalia,
ma esaltò anche le imprese più recenti della storia di Roma, quelle che aveva visto svolgersi o alle quali aveva partecipato in prima persona.
Di questo carmen, in cui si intrecciavano storia e mito, e che si
estendeva per qualche migliaio di versi, a noi sono giunti poco più
di una cinquantina di brevi frammenti, trasmessici dai grammatici antichi per rilevare qualche particolarità linguistica.
È verosimile che, secondo una tecnica risalente già a Omero,
ma caratteristica soprattutto della letteratura ellenistica, Nevio abbia iniziato introducendo il lettore nel pieno dell’azione, subito
dopo la canonica invocazione alle Muse, cioè con lo scoppio della prima guerra punica e successivamente abbia operato una digressione per narrare gli antefatti mitici della guerra. Si può supporre, sulla base di testimonianze antiche, che l’episodio di Enea
e Didone, con l’accenno alle cause mitiche della guerra fra Roma
e Cartagine, fosse narrato per sommi capi nel primo libro, mentre
nel secondo e nel terzo veniva trattata più ampiamente l’origo
Romae.
Se l’arte del Bellum Poenicum è ellenistica, il contenuto è profondamente romano: la virtus e la pietas degli individui sono al
servizio della grandezza di Roma, che è frutto di un preciso disegno del Fato.
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Focalizziamo su: fr. 1 Marmorale
La ragazza di Taranto
Il meglio dell’arte di Nevio comico è probabilmente nella rappresentazione dei
caratteri, come nel famoso ritratto della Tarentilla («La ragazza di Taranto»),
nell’omonima commedia. Poco sappiamo dello svolgimento della trama, ma la
fanciulla di Taranto, proveniente da una città greca, rappresenta i cliché che il
pregiudizio dei Romani aveva attribuito ai Greci: dissolutezza e doppiezza.
«Come al gioco
della palla, si porge dandosi a vicenda e si concede a tutti:
a uno fa cenni, a un altro ammicca; fa l’amore con uno, tiene stretto un altro;
ha la mano occupata con uno, un altro stuzzica col piede;
a uno fa ammirare l’anello, a un altro parla col movimento delle labbra;
mentre canta a uno, a un altro traccia lettere col dito».
La vita. Tito Maccio Plauto, nato a Sàrsina, ai confini dell’Umbria
(attualmente in Romagna), tra il 255 e il 250 a.C., morì nel 184 a.C.
L’esistenza di Plauto copre dunque un periodo cruciale di trasformazione della società e della cultura romana, coincidente con la I e la
II guerra punica (264-241; 218-201).
Sembra che Plauto fosse stato attore di farse, prima di diventare
compositore di commedie: si presenta due volte come Maccus (Asinaria 11; Mercator 10), maschera dell’Atellana che probabilmente fu
il «cavallo di battaglia» del Plauto attore e dalla quale deriva il nomen
Maccius, attribuito all’autore dalla tradizione. È difficile ricavare elementi certi sulla vita del commediografo: le notizie che ci tramandano i biografi antichi sono infatti per lo più dati ricavati dalle opere
stesse dell’autore, nella convinzione che questi parli di ciò che ha
sperimentato personalmente. Dall’esistenza di due titoli attribuiti a
Plauto, Saturio («Il panciapiena») e Addictus («Lo schiavo per debiti»),
i biografi desumevano, ad esempio, che il commediografo avesse
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Estratto della pubblicazione
1. L’età arcaica
6) Plauto
1. L’età arcaica
prima guadagnato molto denaro come attore e che poi lo avesse
perso in speculazioni sbagliate, finendo a girare la macina in un mulino per pagare i debiti.
Il profilo letterario. Plauto è prima di tutto un traduttore di commedie greche, come lo erano stati Livio Andronìco, Nevio e poi Ennio: i
modelli erano tratti dalla commedia nuova di epoca ellenistica, che
si prestava meglio ad accendere l’interesse del pubblico romano,
perché trattava argomenti di carattere geMetateatro: si realizza quannerale; la commedia antica, invece, era
do il teatro rappresenta se
profondamente radicata nella situazione
stesso o parla di se stesso,
rompendo la finzione scenica
politica e sociale dell’Atene del V secolo
e svelando il suo carattere ara.C., e perciò poco comprensibile fuori di
tificioso e convenzionale.
quel contesto. Da quest’ultima, tuttavia,
Plauto trae forme quali il metateatro e la sfrenata comicità verbale.
Nel tradurre, Plauto adatta i testi greci alla mentalità e al gusto
romani, allontanandosi notevolmente dai suoi modelli. L’autore latino manifesta la sua personalità artistica inserendo, ad esempio, elementi strutturali della commedia antica nelle trame della commedia
nuova; oppure impiegando la contaminatio, cioè l’inserzione nella
commedia tradotta di scene tratte da altri originali greci.
La commedia plautina si alimentava del mondo buffonesco dell’Atellana, ma il commediografo arricchì la forma del canticum con
le proprie capacità personali e con i metri greci. I frenetici ed estesissimi cantica del Plauto maturo sono comunque radicalmente diversi dai modelli greci e rimarranno a Roma un’esperienza isolata: in
Terenzio il canticum si ridurrà al minimo per poi quasi scomparire,
sicché la commedia si configurerà esattamente com’era nell’Atene
del IV secolo a.C.
È abitudine del commediografo rispettare il gusto e le aspettative
del pubblico, pur dando libero corso alla sua geniale inventiva. Va in
questo senso anche la notevole espansione dell’elemento musicale e
la comicità «grassa» che caratterizzano la drammaturgia plautina. In
tale sintonia con i gusti del pubblico risiede il motivo principale dello straordinario successo di questo autore.
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L’autore romano tende a mettere in luce i meccanismi letterari della
macchina teatrale: il personaggio porta avanti consapevolmente
una trama dall’interno e contemporaneamente riflette su di essa
dall’esterno, discutendo i problemi tecnici della composizione artistica di fronte agli spettatori. È questo il momento del cosiddetto
«metateatro».
Le opere. A metà del I secolo a.C. l’antiquario e filologo Marco Terenzio Varrone compì un accurato studio sui circa 130 titoli che ai
suoi tempi venivano attribuiti a Plauto: divise quindi le commedie,
secondo criteri stilistici e tecnici, in spurie (nothae), cioè sicuramente
non plautine, dubbie (antilegomenae) e autentiche (genuinae). Le
commedie a noi giunte sono le 21 autentiche del corpus Varronianum: Amphitruo («Anfitrione»), Asinaria («La commedia degli asini»),
Aulularia («La commedia della pentola»), Bacchides («Le Bacchidi»),
Captivi («I prigionieri»), Casina («La fanciulla profumata di cannella»),
Cistellaria («La commedia della cassetta»), Curculio («Il gorgoglione»:
verme del grano), Epidicus («Epidico»), Menaechmi («I Menecmi»),
Mercator («Il mercante»), Miles gloriosus («Il soldato fanfarone»), Mostellaria («La commedia del fantasma»), Persa («Il Persiano»), Poenulus («Il Cartaginesuzzo»), Pseudolus («Psèudolo»), Rudens («La gomena»), Stichus («Stico»), Trinummus («Le tre monete»), Truculentus
(«Truculento»), Vidularia («La commedia del bauletto»).
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Estratto della pubblicazione
1. L’età arcaica
Con Plauto la lingua di Roma conquista definitivamente una dimensione letteraria di elevato livello artistico. Dalla lingua popolare
il commediografo attinge abbondanza di forme e di espressioni, lazzi
e detti proverbiali, nomignoli e intonazioni farsesche. La sua lingua,
tuttavia, non è né realistica né popolare, disseminata com’è di un’incredibile quantità di artifici, che la accomu- Espressionismo: rapprenano alla più alta tradizione poetica indige- sentazione caricata ed eccessiva della realtà.
na, caratterizzata dall’espressionismo.
La grandissima varietà dei metri lirici usati da Plauto indusse gli
antichi a coniare quell’epitaffio in cui i «ritmi innumerevoli» (numeri
innumeri), piangevano la morte del poeta (Gellio 1, 24, 3).
Le trame sono convenzionali e si possono ridurre generalmente a
uno schema fisso: un giovane e timido innamorato riesce a ottenere
l’amore di una fanciulla grazie alle astuzie di un servo scaltro, che
gabba l’antagonista, generalmente un vecLenone: termine usato per
chio padre o un lenone. L’interesse del pubindicare un individuo che
sfrutta la prostituzione.
blico infatti andava alle singole scene in cui
era originariamente articolata la rappresentazione, alle gag e ai giochi
di parole, non all’intreccio: questo era trascurato a tal punto che talvolta l’autore faceva pronunciare battute a dei personaggi «dimenticandosi» di averli già fatti uscire di scena.
Focalizziamo su: Miles gloriosus, Atto I, scena 1a, vv. 1-51
Il soldato fanfarone
1. L’età arcaica
Pirgopolinice, il miles gloriosus, sommo combattente e infallibile amatore, rappresenta un tipo umano universale, quello del vanitoso, esaltato sino all’idiozia; finché, nell’ultima scena, si rivela per quello che è: uno smarrito e lamentoso omino, costretto a riconoscere la propria umiliazione. Inoltre, deridendo
questo personaggio, che vive e agisce in un contesto greco – arruola, fra l’altro,
soldati per il re di Siria Seleuco – Plauto espone allo scherno degli spettatori
romani gli eserciti delle superbe monarchie ellenistiche, con le quali Roma cominciava a prendere contatto. La comicità plautina si manifesta anche nella
creazione dei nomi dei personaggi: Pirgopolinice significa «Espugnatore di torri
e di città», Artotrogo «Rodipane», con allusione caricaturale al carattere dei due
personaggi, l’uno soldato fanfarone, l’altro divoratore a sbafo. Il personaggio
del soldato fanfarone ha ispirato il maggior numero di imitazioni che il teatro
plautino vanti nel mondo moderno: basterà qui ricordare Falstaff il personaggio di Shakespeare ne Le allegre comari di Windsor, nel Seicento, e Capitan Fracassa di Theophile Gauthier, nell’Ottocento.
PIRGOPOLINICE (uscendo di casa, rivolto ai servi, nell’interno) Adoperatevi perché il
fulgore del mio scudo sia più abbagliante dei raggi del sole quando il cielo è sereno, sì che, al momento di adoperarlo, nel pieno della mischia ottunda il filo...,
dello sguardo nelle file dei nemici. Perché io voglio che mi si consoli questa scimitarra, che non si lamenti e non si perda d’animo, gemendo ch’io da tanto
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Estratto della pubblicazione
1. L’età arcaica
tempo me la tengo al fianco in vacanza, mentre lei – poverina! – smania d’insaccare salsicce coi nemici. Ma dove s’è cacciato Artotrogo?
ARTOTROGO È qui, accanto all’eroe... prode e prospero e prosperoso come un re,
guerriero come... insomma neanche Marte oserebbe parlare dinanzi a te e paragonare il suo valore al tuo.
PI. Chi? Quello che ho salvato nei campi Gorgoglionici, dov’era comandante supremo Pugnastrombazzide Redelleschiappestrategide, il nipote di Nettuno?
AR. Sì, mi ricordo; sì, parli di quello con le armi d’oro, di cui disperdesti le legioni
con un soffio solo, come il vento sradica le foglie o le pannocchie dei tetti.
PI. Bah! Ma questo non è niente.
AR. Certo questo non è niente a confronto delle altre imprese che ricorderò... (e
che tu non hai mai compiute. Se qualcuno conosce un uomo più sfacciatamente bugiardo e più fanfarone di costui, mi faccia schiavo, io mi ci consegnerò in
servitù; però, se non ci fosse una cosa: che in casa di costui si mangia un’insalata d’olive così saporita da andarne matti).
PI. Ma dove sei?
AR. Eccomi. Così, per esempio, quell’elefante in India, come con un pugno gli
hai rotto un braccio...
PI. Che? Il braccio?
AR. Cioè, volevo dire la zampa.
PI. Eppure l’avevo vibrato alla stracca.
AR. Ah, certo, se l’avessi sferrato con tutti i sentimenti, il braccio avrebbe passato da parte a parte la cotenna e le budella e il muso dell’elefante.
PI. Ma per ora lasciamo da parte codesta roba.
AR. Ah, cappio, non è certo il caso che tu ricordi i tuoi meriti a me, che ben li
conosco. (La pancia mi procura queste pene: mi è forza ormeggiare con gli
orecchi, perché i denti non si debilitino e acconciarmi a tutte le sue balle).
PI. Di che stavo parlando?
AR. Eh, so già quello che vuoi dire: è stato così, cribbio! Si, mi ricordo ch’è stato
così.
PI. Ma che cosa?
AR. Qualunque cosa.
PI. Hai?...
AR. Mi vuoi domandare le tavolette? Ce le ho, e anche lo stilo.
PI. Sei un tesoro per come sai adattare i tuoi pensieri ai miei!
AR. È mio dovere scrutare scrupolosamente le tue inclinazioni e stare attento a
fiutare a volo la tua volontà.
PI. E che ti ricordi?
AR. Mi ricordo: centocinquanta in Cilicia, cento in Scitolatronia, trenta Sardiesi,
sessanta Macedoni: sono gli uomini che hai uccisi in un sol giorno.
PI. E qual è la somma?
AR. Settemila!
PI. Dev’essere proprio così: la somma la sai fare.
AR. E non ce li ho segnati, ma me li ricordo lo stesso.
PI. Perbacco, sei proprio di ottima memoria!
AR. I bocconi me la illuminano!
PI. Finché ti comporterai come hai fatto fino adesso, non cesserai di mangiare:
ti farò sempre partecipe della mia mensa.
(trad. E. Paratore)
Una trama: Aulularia. Il vecchio avaro Euclione custodisce una pentola (aulula) di monete d’oro che ha trovato sotterrata in casa. La
sua meschina avarizia lo rende diffidente e aggressivo nei confronti
di tutti. Il giovane Liconide corteggia a sua insaputa la figlia, che l’avaro ha intanto promesso a un vecchio ricco. Il servo del giovane
sottrae la pentola. Quando, dopo diverse peripezie, Euclione ritrova
il suo tesoro, la gioia è così grande che concede finalmente la figlia
a Liconide.
L’Aulularia è una commedia che presenta un carattere particolare
all’interno del teatro plautino. La trama infatti è imperniata su un personaggio, l’avaro Euclione, fortemente caratterizzato, mentre il personaggio plautino è solitamente un tipo fisso, di cui non viene rappresentata la psicologia. Non dobbiamo pensare però a una commedia
psicologica o naturalistica, poiché il protagonista dell’Aulularia è presentato, come sempre nel teatro plautino, in maniera espressionistica,
cioè troppo iperbolicamente comica per essere pienamente umana.
1. L’età arcaica
7) Ennio
La vita. Quinto Ennio nacque nel 239 a.C. a Rudiae, nell’attuale
Salento, in Magna Grecia. In quella regione si era verificata una fusione culturale fra gli elementi osco, etrusco e greco, per cui Ennio
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Estratto della pubblicazione
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