comunic batteri

annuncio pubblicitario
COMUNICATO STAMPA
Infezioni batteriche: una scoperta ICGEB rivela retroscena e complicità inaspettate
Batteri innocui possono sostenere e aggravare la malattia
Nuova luce sulla comunicazione tra batteri di specie diverse e nuove strategie terapeutiche
Che i batteri comunichino con gli altri membri della loro specie utilizzando un linguaggio loro proprio,
era cosa già nota; ma che potessero esistere comunicazioni tra specie batteriche diverse non era
ancora stato dimostrato. E che, poi, questo scambio di informazioni e messaggi potesse coinvolgere
batteri innocui e comportare addirittura un aggravio della malattia, era del tutto inaspettato.
E’ quanto ha scoperto, invece, l’équipe guidata da Vittorio Venturi, del Centro Internazionale di
Ingegneria Genetica e Biotecnologie (ICGEB) di Trieste, in collaborazione con i colleghi del
Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università degli Studi di Perugia e con alcuni
ricercatori dell’Istituto di Agraria e Medicina Veterinaria “Hassan II” di Agadir in Marocco.
Lo studio, per la peculiarità dei risultati, è stato pubblicato quest’estate sulle prestigiose riviste
scientifiche internazionali Nature Middle East e ISME Journal (International Society for Microbial
Ecology) del gruppo di NATURE.
Spesso nei “gialli” e nella vita i complici di un crimine sono soggetti insospettabili; così capita che
persone apparentemente inoffensive o addirittura amiche si rivelino, se spinte dal profitto,
estremamente pericolose. Allo stesso modo, che ruolo gioca l’innocua flora batterica nell’insorgenza di
una malattia? E’ una semplice spettatrice innocente o è di aiuto ai batteri patogeni?
Ponendosi questa domanda, i ricercatori hanno esaminato le comunità batteriche delle piante e il loro
comportamento durante le fasi di patogenesi e di propagazione dell’infezione. In particolare hanno
tenuto sotto osservazione una malattia batterica molto comune e difficile da combattere, la cosiddetta
“Rogna dell’olivo”, molto diffusa in Europa meridionale e in Medio Oriente, presente in tutte le regioni
di coltivazione dell'olivo e segnalata già in epoche remote.
La “Rogna dell’olivo” è causata dal batterio patogeno Pseudomonas savastanoi pv. savastanoi che,
distinguendosi in diverse varietà (pv. savastanoi, pv. fraxini e pv. neri), può colpire diverse specie di
piante legnose, quali olivi, frassini e oleandri, inducendo una crescita eccessiva dei tessuti infetti e
provocando galle, ulcere ed escrescenze di alcuni centimetri simili a verruche. L’infezione può
attaccare oltre a fusto e rami anche foglie, frutti e radici, provocando un’indebolimento della pianta e
gravi danni all’agricoltura.
I biologi sanno da oltre un decennio che le malattie batteriche sono il risultato di complesse interazioni
tra il patogeno e la pianta ospite e che i batteri comunicano con gli altri membri della loro specie
utilizzando una molecola-messaggio particolare a quella specie. Quando la concentrazione di questa
molecola supera una certa soglia, i batteri patogeni iniziano ad attaccare il loro ospite.
Poco studiate, invece, e soprattutto ancora poco comprese erano le possibili interazioni tra batteri
patogeni e la flora microbica apparentemente innocua residente sulla pianta.
«Con questo lavoro – spiega Vittorio Venturi, direttore del laboratorio di Batteriologia dell’ICGEB abbiamo voluto scoprire se esiste e che ruolo svolge la comunicazione tra specie batteriche diverse
nell’insorgenza di malattie batteriche. La “Rogna dell’olivo” si presta bene come modello di studio
perché al batterio patogeno Pseudomonas savastanoi sono quasi sempre associate altre due specie
di batteri, Pantoea agglomerans e Erwinia toletana, frequentemente diffuse in diversi habitat naturali e
agricoli. Sono batteri stanziali, innocui, che vivono sulla supercie esterna delle piante (epifiti) o
all’interno delle loro strutture (endofiti)».
I risultati sono sorprendenti: la comunità batterica della “Rogna dell’olivo”, costituita dalla convivenza
dei tre batteri all’interno della stessa nicchia ecologica, la galla infettiva, risulta essere un consorzio
molto stabile che comunica al suo interno e che stimola e sostiene l’infezione e il propagarsi della
malattia.
Le tre specie batteriche, infatti, posseggono lo stesso sistema di comunicazione intercellulare che ne
regola la crescita e la densità in risposta alle condizioni ambientali presenti. Non solo, ma producono
anche gli stessi segnali chimici e utilizzano le stesse molecole-messaggio. Come dire, utilizzano lo
stesso linguaggio e la stessa lingua.
«E le sorprese non finiscono qui – aggiunge Venturi. – Gli esperimenti condotti dimostrano non solo
che la virulenza di Pseudomonas savastanoi dipende criticamente dai segnali di comunicazione; ma
addirittura che l’eventuale carenza di messaggi da parte di P. savastanoi può essere sostituita e
compensata dai segnali prodotti da E. toletana o da P. agglomerans. Avevamo, infatti, inattivato il
batterio patogeno in modo che non potesse rilasciare la sua molecola-messaggio e quindi non
potesse comunicare, crescere di numero e infettare la pianta. In teoria, questo avrebbe dovuto
fermare la diffusione della malattia. Abbiamo scoperto, invece, che i due batteri residenti agivano da
supplenti fornendo le molecole-messaggio al patogeno, ristabilendo la comunicazione e ripristinando
la capacità di scatenare l'infezione».
Lo sviluppo della “Rogna dell’olivo”, è dunque, sicuramente aggravato dalla presenza delle altre due
specie batteriche stanziali, che formano con il patogeno una squadra vincente; un consorzio microbico
stabile, che collabora e condivide la stessa nicchia ecologica chiaramente per trarne un reciproco
vantaggio legato alla condivisione di nutrienti e di messaggi.
«Questi risultati - conclude Venturi - indicano che alcune malattie delle piante possono essere
polimicrobiche e che per sconfiggerle, non potendo utilizzare in agricoltura terapie antibiotiche,
dovremo sviluppare nuove strategie di lotta in grado di interrompere l’azione sinergica di entrambi i tipi
di batteri, sia quelli patogeni sia quelli residenti, finora ritenuti innocui. Ora che conosciamo il loro
sistema di comunicazione e le molecole-messaggio che utilizzano, inoltre, potremo contribuire per
mettere a punto dei trattamenti terapeutici più efficaci».
13092011
Scarica