pagina 12 - Unità Operativa Complessa di Genetica e

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Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology
Anno I numero 3 - ottobre 2009 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali
HLA e malattie autoimmuni
Autoimmune diseases and HLA
Valeria Ferraù, Donatella Comito, Giovanna Elisa Calabrò, Antonella Talenti, Emanuela Moschella, Laura Colavita, Vanessa Raffa, Elisabetta Mazzola, Paolo
Rossi, Basilia Piraino, Caterina Munafò, Romina Gallizzi, Carmelo Salpietro
Dipartimento di Scienze Pediatriche, UOC Genetica e Immunologia Pediatrica, Università di Messina
Abstract
One of the major problems of medicine has always been to clarify how some
diseases affect certain individuals and not others. One explanation for this
observation is the 'existence of hereditary factors that result in "susceptibility"
or conversely, resistance to those diseases, among them an important role is
given to products of the HLA system (Major Histocompatibility System). In fact
been widely described for many autoimmune diseases, a significant
correlation with certain HLA antigens.
Riassunto
Uno dei problemi principali della medicina è stato sempre quello di chiarire
come alcune malattie colpiscono determinati soggetti e non altri. Una delle
spiegazioni a questa osservazione è l’esistenza di fattori ereditari che
conferiscono “suscettibilità” o viceversa, resistenza alle malattie stesse; tra
questi un ruolo importante è attribuito ai prodotti del sistema HLA (Sistema
Maggiore di Istocompatibilità). E’ stata infatti ampiamente descritta per molte
malattie autoimmuni una significativa correlazione con alcuni antigeni HLA.
Concatenazione fra geni HLA e geni per malattie
Per alcune patologie il rapporto fra alleli HLA e malattia è dovuto ad una
concatenazione fra loci. Esistono infatti alcune malattie ereditarie monofattoriali il cui
gene responsabile è situato vicino o internamente al sistema HLA. Poiché in una
famiglia l’allele che causa la malattia vien trasmesso solitamente insieme ai geni che
si trovano vicini ad esso sul medesimo cromosoma, un soggetto malato trasmetterà
sia l’allele per la malattia che gli alleli HLA che si trovano vicini ad esso sul
medesimo cromosoma, pertanto diremo che quella malattia “segrega” insieme ad
HLA. Un esempio noto di questo gruppo di patologie è dato dalla sindrome adrenogenitale dovuta alla deficienza della 21-OH-idrossilasi, malattia monofattoriale
recessiva in cui il gene responsabile è situato all’ interno del sistema HLA. Altri
esempi di malattia ereditarie i cui geni si trovano a loci concatenati con i loci HLA
sono l’emocromatosi e il deficit del fattore C2 e C4 del complemento. L’interesse
della concatenazione fra il gene per una malattia ed il sistema HLA sta nel fatto che
essendo i prodotti HLA evidenziabili con tecniche di laboratorio semplici
(sierologiche o molecolari) nei familiari di persone affette è possibile documentare la
presenza dei geni per malattia anche prima che la patologia si manifesti e per le
malattie recessive è anche possibile riconoscere i portatori eterozigoti (“portatori
sani”) del gene responsabile.
Associazione fra geni HLA e geni per malattie
La maggior parte delle malattie in cui è stata riscontrata una significativa
correlazione con antigeni HLA non dipendono da un gene specifico, unico e ben
definito, concatenato ai geni HLA, bensì da un’associazione statistica tra la
presenza, nello stesso individuo, di una determinata malattia ed un determinato
allele HLA. Si tratta in genere di malattie a decorso sub-acuto o cronico,
multifattoriali, al cui determinismo cioè concorrono fattori ereditari e fattori
ambientali, che mostrano un’ elevata componente immunologica.
Il sistema HLA
I loci del sistema HLA sono distribuiti su di un segmento di DNA di circa 3000
chilobasi sul cromosoma 6 umano. Sulle base di caratteristiche molecolari e
funzionali dei loro prodotti, i loci HLA sono stati suddivisi in tre gruppi: loci (e relativi
prodotti) di classe I, di classe II e di classe III.
- Le molecole HLA di classe I sono espresse sulla superfice di tutte le cellule,
eccetto gli eritrociti. Sono costituite da una catena polipeptidica più grande,
codificata da un gene HLA, e da una più piccola, detta β2 Microglobulina, codificata
da un gene indipendente da HLA. Esistono tre serie di molecole di classe I,
codificate da tre loci HLA vicini ma distinti: HLA-A, HLA-B, HLA-C. Esse hanno un
ruolo importante nella risposta immunologica contro antigeni “endogeni”. La reazione
immunitaria innescata è di tipo cellulare, cioè coinvolge l’azione di linfociti T
“citotossici”.
- Le molecole HLA di classe III sono componenti del Complemento: C2, C4 e Bf.
- Le molecole HLA di classe II sono anch’esse espresse sulla superfice cellulare.
Non sono ubiquitarie: infatti in condizioni normali sono espresse principalmente nelle
cellule immunocompetenti (linfociti B, macrofagi, linfociti T attivati etc.etc.) e sulle
cellule di alcuni tessuti (apparato urinario, tubo digerente, albero respiratorio).
Esistono tre serie principali di molecole di classe II: HLA-DR, HLA-DQ, HLA-DP. Al
contrario di quelle di classe I, ciascuna di queste molecole è costituita da due catene
polipeptidiche denominate α e β (sono perciò dimeri), codificate da due loci distinti
vicino l’uno all’altro: le molecole DR hanno una catena α codificata da un locus DRA
ed una catena β codificata da un locus DRB; le molecole DQ hanno una catena α
codificata da un locus DQA ed una catena β codificata da un locus DQB; le molecole
DP hanno una catena α codificata da un locus DPA ed una catena β codificata da un
locus DPB.
Nelle molecole DR è polimorfica solo la catena β, mentre nelle molecole DQ sia la
catena α che la catena β sono polimorfiche. Il ruolo delle molecole HLA di classe II è
quello di presentare ai linfociti T, peptidi derivati dall’ elaborazione (processing) di
antigeni esogeni.
La reazione immunologica innescata è di tipo umorale.
La formazione di un complesso costituito dalla molecola HLA, dal peptide e dal
recettore dei linfociti T è il primo passo indispensabile per l’ attivazione della risposta
immunitaria.
Anche le molecole di classe II sono dunque coinvolte in un meccanismo di
“restrizione” nel quale entrano a far parte i linfociti T “helper” (coadiutori) e le cellule
deputate a presentare l’antigene (APC).
La reazione immunologica umorale si realizza attraverso l’attivazione di cloni
specifici di linfociti B. Tra le caratteristiche principali del sistema HLA vi sono
l’elevato polimorfismo, cioè l’esistenza nella popolazione di numerosi alleli a ciascun
locus e il “linkage disequilibrium” fra alleli a loci diversi. La ragione dell’elevato
polimorfismo è probabilmente che esso si è sviluppato, nell’ ambito dell’evoluzione,
per fra fronte alla notevole varietà e variabilità degli antigeni estranei e perciò alla
loro capacità di “eludere” il sistema immunitario, se questo non fosse in grado di “
presentare” tutti gli antigeni estranei con i quali viene a contatto.
Tolleranza Immunologica
Pressochè tutte le malattie associate con la presenza di antigeni HLA di classe II
sono malattie autoimmuni. Si tratta di malattie multifattoriali ed ereditarie, in cui la
componente ereditaria è poligenica: cioè più geni indipendenti contribuiscono a
determinarla (sia compresi nel Complesso Maggiore di Istocompatibilità che
indipendenti da esso).
Vi sono diverse evidenze a favore del ruolo diretto delle molecole di classe II nella
determinazione di alcune malattie autoimmuni.
Infatti su alcuni animali da esperimento è stato dimostrato che l’induzione di alcune
malattie autoimmuni può essere bloccata se l’antigene di istocompatibilità correlato
con la patologia viene ricoperto da un anticorpo monoclonale, in secondo luogo
certe associazioni fra antigeni HLA e malattia esistono anche in gruppi etnici
differenti, infine lo studio della molecola HLA ha mostrato associazioni molto forti fra
la presenza della malattia e la presenza di alcune porzioni di molecola, talvolta
contenuti in più prodotti allelici HLA.
Le malattie autoimmuni originano da un’abnorme reattività del sistema immunitario
contro antigeni “self”.
Si ricorda infatti che alla base della reattività immunologica sta la capacità di
distinguere gli antigeni dell’ organismo stesso (self) da quelli estranei (non self). Si
tratta del meccanismo della tolleranza immunitaria.
Si suppone che questa venga acquisita dall’organismo in un periodo molto precoce
attraverso un processo di “selezione clonale” che porta all’eliminazione di tutti i cloni
linfocitari autoreattivi.
Questo processo che viene anche definito di “educazione timica” (per il ruolo che
questo organo svolge nel fenomeno), pare che avvenga attraverso la
“presentazione” dei peptidi auto antigenici (self) nel contesto delle molecole di classe
II espresse dai timociti: esso determinerebbe il blocco funzionale (o la morte per
apoptosi) dei cloni di linfociti T helper autoreattivi.
E’ intuibile come le alterazioni del processo di educazione timica possano
determinare la predisposizione a malattie autoimmuni. In questo fenomeno il ruolo
delle molecole HLA potrebbe essere determinante.
Come gia accennato quindi, l’autoimmunità insorge in seguito ad una rottura della
tolleranza immunologica. Quest’ultima viene generata fisiologicamente mediante
meccanismi “centrali” e “periferici”; la tolleranza centrale è conseguenza di processi
selettivi che si verificano nel timo (linfociti T) o nel midollo osseo (linfociti B), mentre
la tolleranza periferica ha origine nei tessuti extratimici o extramidollari.
Il meccanismo principale che interviene nella tolleranza centrale è la delezione
clonale, in virtù della quale i cloni di linfociti T che non superano la selezione positiva
o negativa muoiono per apoptosi. Il timocita in stadio II, che è localizzato nella
corticale profonda del timo, inizia ad esprimere sulla superfice cellulare un
complesso costituito dal TcR e dal CD3, necessario per la trasduzione dei segnali
che arrivano alla cellula attraverso il TcR. Poiché i riarrangiamenti genici del TcR
sono casuali, i timociti saranno dotati di TcR potenzialmente reattivi con qualunque
antigene e capaci di interagire con diverse molecole HLA.
Per tale motivo nel timo si verificano due processi selettivi successivi, definiti
rispettivamente selezione positiva e negativa.
La selezione positiva assicura la sopravvivenza dei timociti dotati di TcR che legano
molecole HLA self, mentre tutti gli altri timociti muoiono per apoptosi; tale processo è
cruciale ai fini della generazione della restrizione HLA. Compito della selezione
negativa è quello invece di eliminare tutti i linfociti T dotati di TcR autoreattivi capaci
di interagire con elevata affinità con gli auto- antigeni.
Per lungo tempo si è ritenuto che la selezione timica garantisse l’eliminazione di
tutte le cellule T autoreattive e che le malattie autoimmuni originassero in seguito ad
alterazioni di tale processo.
La scoperta nel siero di individui sani di autoanticorpi a basso titolo contro
auto-antigeni poco accessibili al sistema immunitario (ad esempio la tireoglobulina) e
il fatto che molti auto antigeni non siano fisiologicamente presenti nel timo, ha
portato all’ elaborazione del concetto di tolleranza periferica attraverso la quale è
possibile eliminare o rendere funzionalmente inefficaci sia i linfociti T dotati di TcR
specifici per auto antigeni espressi nei tessuti periferici ma assenti nel timo, sia le
cellule T che esprimono TcR autoimmuni di bassa affinità per gli auto antigeni che
possono sfuggire alla selezione timica.
La tolleranza periferica si realizza attraverso un processo noto come morte
cellulare secondaria ad attivazione, e attraverso il fenomeno dell’anergia clonale.
Anche i linfociti B sono soggetti a processi di tolleranza centrale e periferica verso
auto-antigeni.
Allo stadio di linfociti B immaturi, le cellule B incontrano auto antigeni nel
microambiente midollare e l’intensità di tale alterazione può avere diverse
conseguenza funzionali.
Se l’antigene è multivalente e presente ad elevate concentrazioni, il risultato della
sua interazione con il linfocita B è la morte cellulare per apoptosi (delezione clonale).
Se la concentrazione locale di auto antigene è inferiore e il segnale che esso
impartisce alla cellula B immatura è più debole, quest’ultima va incontro ad anergia.
Meccanismi analoghi operano nei processi di tolleranza periferica quando un
linfocita B maturo interagisce con un auto antigene nei tessuti periferici in assenza
dell’ aiuto fornito dai linfociti T helper.
Infine una cellula B autoreattiva può essere funzionalmente competente ma
impossibilitata a produrre autoanticorpi per l’assenza di cellule T helper.
Fig 1 e 2 - Modificata da Abbas and Lichtman: Cellular and Molecular
Immunology Elselvier 2005
Dalla rottura della tolleranza immunologica all’ autoimmunità
Stabilito che l’autoimmunità è conseguente alla rottura della tolleranza
immunologica verso auto antigeni, è importante conoscere i meccanismi capaci di
provocare tale rottura. Vi sono poche evidenze a favore del fatto che difetti nei
meccanismi di tolleranza centrale possono provocare autoimmunità.
E’ invece chiaro che il superamento dell’anergia dei linfociti T periferici svolge un
ruolo chiave nella genesi delle malattie autoimmuni; in particolare, un processo
infiammatorio e/o infettivo locale provoca l’induzione di molecole costimolatrici sulla
superfice di APC tissutali e la produzione di citochine che, in ultima analisi, possono
favorire la proliferazione e la differenziazione di linfociti T autoreattivi.
Questi meccanismi sono stati descritti ad esempio nel diabete tipo II e nelle tiroiditi
autoimmuni.
E’ gia stato detto che l’apoptosi è un fenomeno biologico di fondamentale
importanza in quanto garantisce l’equilibrio tra proliferazione e morte cellulare.
Pertanto alterazioni in difetto o in eccesso del processo apoptotico si potrebbero
tradurre in specifiche patologie ed in particolare, negli ultimi decenni sono state
identificate numerose famiglie geniche che codificano per proteine coinvolte nel
controllo dell’ apoptosi.
L’analisi di questi meccanismi ha dimostrato che anomalie di alcuni geni pro o
antiapoptotici si possono associare allo sviluppo di malattie linfo-proliferative o
autoimmuni. Un altro meccanismo recentemente dimostrato in modelli sperimentali è
quello dell’epitope spreading, in virtù del quale una risposta immunitaria inizialmente
diretta contro un epitopo di un auto antigene criptico, cioè non accessibile al sistema
immunitario, si estende dapprima ad altri epitopi della stessa molecola (diffusione
intramolecolare) e successivamente ad epitopi presenti su antigeni circostanti
(diffusione intermolecolare).
Questo fenomeno potrebbe essere implicato, ancor più che nello scatenamento,
nella persistenza delle manifestazioni autoimmuni.
Un altro fenomeno potenzialmente implicato nella patogenesi delle malattie
autoimmuni è quello del mimetismo molecolare, termine con il quale si indica
l’omologia di struttura tra antigeni estranei, soprattutto di derivazione batterica, e
auto-antigeni.
Si ritiene che una risposta immune inizialmente diretta contro un antigene estraneo
possa trasformarsi in risposta autoreattiva a causa di tale omologia di sequenza.
Pertanto una risposta immunitaria inizialmente diretta contro un patogeno potrebbe
indirizzarsi per reattività crociata verso particolari sequenze HLA che fungerebbero
da veri e propri autoantigeni.
Con l’avanzamento del progetto di sequenziamento dell’intero genoma umano e la
disponibilità di nuove sofisticate tecnologie, l’attenzione dei genetisti si è rivolta allo
studio di geni al di fuori del Sistema Maggiore di Istocompatibilità che potrebbero
essere coinvolti nella predisposizione all’autoimmunità.
Sono state identificate varie regioni cromosomiche contenenti geni di potenziale
interesse.
Tuttavia poche di queste regioni candidate sembrano ospitare geni implicati nella
predisposizione all’autoimmunità nella popolazione generale.
La comprensione sempre più approfondita dei meccanismi molecolari che regolano
tali fenomeni rappresenta la sfida che attualmente più impegna la ricerca nel campo
delle malattie autoimmuni.
Fig 3 - Modificata da Abbas and Lichtman: Cellular and Molecular
Immunology Elselvier 2005
Associazione tra antigeni HLA di classe II e malattie autoimmuni
Diabete mellito tipo I e Cirrosi Biliare Primitiva
Il Diabete mellito tipo I è uno degli esempi più noti di malattie autoimmuni associate
ad HLA. La sua comparsa è messa in relazione soventemente con una pregressa
infezione virale. E’ l’endocrinopatia più frequente in età pediatrica, negli ultimi anni è
stato documentato un aumento dell’incidenza del DMID in molti paesi (circa
3-5%/anno).
La malattia mostra un tasso di concordanza del 36% fra gemelli monozigotici e del
10% tra gemelli dizigotici.
Studi sull’ associazione fra diabete mellito ed antigeni HLA nella popolazione, ed
anche sulla segregazione degli alleli HLA nelle famiglie con individui affetti, hanno
messo in luce una significativa correlazione con gli alleli HLA di classe II DR3 e DR4:
circa il 90% di pazienti diabetici possiede l’uno o l’altro di questi antigeni (vs il 35%
della popolazione generale), mentre il 40% circa li possiede entrambi (vs il 5% della
popolazione generale).
Indagini successive sul DNA hanno però rilevato come il DMID è associato ad un
particolare allele del locus DQ molto più di quanto lo sia agli alleli DR3 e DR4. Si
ricorda che il locus DQ si trova molto vicino al locus DR, ed i suoi alleli mostrano in
genere un elevato grado di linkage disequilibrium con alleli DR. Generalmente le
molecole DQ hanno nella catena β, alla posizione 57, un acido aspartico (Asp). Le
molecole DQ β dei soggetti affetti hanno nella stessa posizione un residuo
aminoacidico diverso (“non-Asp”).
Il residuo 57 si trova nella tasca della molecola HLA, nella quale l’antigene entra e
si lega alla molecola stessa: una variazione di questa importante zona potrebbe
determinare una ridotta capacità di legare e “presentare” antigeni, anche autologhi
(self), nella fase della selezione clonale, e perciò predisporre allo sviluppo della
malattia.
Oltre ai loci di suscettibilità genetica correlati al sistema HLA o al cromosoma 6,
almeno altri 11 loci su 9 diversi cromosomi sono stati associati ad un aumentato
rischio di sviluppo del diabete tipo I. Nessuno di questi però ha un’associazione cosi
forte come HLA, che è alla base di circa un terzo dei casi raggruppati in famiglie.
Una regione costituita da un numero variabile di ripetizioni a tandem nella zona del
gene per l’insulina sul cromosoma 11 può spiegare circa il 10% del rischio genetico.
Queste osservazioni forniscono un razionale per il riconoscimento dell’associazione
tra diabete tipo I e fattori genetici sulla base dell’aumentata incidenza in alcune
famiglie, della concordanza tra gemelli monozigoti e delle differenze etniche e
razziali per quel che riguarda la prevalenza.
Controverso è il ruolo svolto dalle infezioni (specialmente virali) che precedono
quasi costantemente l’instaurarsi della malattia. Esistono diverse ipotesi a riguardo:
secondo alcuni le infezioni potrebbero determinare la liberazione di antigeni
autologhi da distretti anatomici abitualmente poco accessibili alla reazione
immunitaria; secondo altri potrebbero causare un’attivazione policlonale aspecifica
della popolazione T helper; secondo altri ancora, potrebbero innescare la reazione
immunitaria attraverso la produzione di peptidi antigenici in grado di esplicare
reazioni crociate con proteine autologhe.
Quest’ ultima teoria, definita dagli autori anglosassoni “self mimicry” (mimetismo
autologo), ha preso largamente piede a seguito dell’osservazione che alcune
proteine umane possiedono regioni caratterizzate da una sequenza aminoacidica
riscontrabile anche in proteine di molti microorganismi (Escherichia Coli, Salmonella,
Streptococcus, Campylobacter, Citomegalovirus, etc. etc.).
Ad esempio studiando la Cirrosi biliare primitiva, malattia infiammatoria a eziologia
sconosciuta, la cui patogenesi sembra essere riconducibile ad alterazioni dei
meccanismi di immunoregolazione, che ha come risultato finale l’aggressione del
sistema duttale biliare con danno irreversibile (obliterazione fibrosa dei dotti biliari
intraepatici), caratterizzata da produzione di autoanticorpi contro gli antigeni
mitocondriali (AMA), si è trovato che esiste un’identità nella sequenza aminoacidica
di una regione invariante di una molecola DR α e parte della sequenza dell’enzima
piruvico-deidrogenasi dell’Escherichia Coli, batterio responsabile di infezioni, spesso
trascurate, del tratto genito-urinario femminile.
E’ stata osservata spesso un’espressione “ectopica” dei prodotti HLA nelle cellule
dei canalicoli biliari, che sono la sede caratteristica della lesione nella cirrosi biliare.
Si è ipotizzato che il bersaglio primario dei fenomeni immunitari possa essere
costituito dagli stessi prodotti HLA ectopicamente espressi, ad esempio in seguito
alla liberazione di interferone γ nel corso di processi infettivi virali e batterici.
E’ noto infatti che l’espressione dei geni HLA è indotta e coregolata da questa
sostanza.
Celiachia
La celiachia è un’intolleranza alimentare permanente al glutine caratterizzata da
una risposta immunitaria inappropriata in soggetti geneticamente predisposti. E’ la
forma più comune di intolleranza alimentare nei paesi occidentali e colpisce circa 1
individuo su 100.
Numerosi studi si sono susseguiti negli ultimi anni, sulla conoscenza dei
meccanismi patogenetici e soprattutto molecolari alla base della malattia celiaca,
certo è che si tratta di un complesso disordine genetico che coinvolge più regioni
cromosomiche, di conseguenza quindi, più loci sembrano entrare a far parte nella
suscettibilità alla malattia.
Da diversi anni ormai è stata riportata un’associazione con l’antigene HLA-DQ8
(DQA1 0301/DQB1 0302), successivamente è stata osservata un’associazione, più
stretta della precedente, con gli antigeni HLA-DR3 e DR7; in ultimo è stata
ampiamente descritta un’associazione con HLA-DQ 2 (DQA1 0501/DQB1 0201).
L’antigene DQ2 è presente infatti in più del 90% dei pazienti: per questo motivo è
stato per molto tempo considerato la molecola direttamente responsabile della
suscettibilità alla malattia.
Nel contempo però è stato osservato che pazienti DR7, DQ2 portano sempre, sul
cromosoma omologo, l’antigene DR3 oppure il DR5. Pertanto è stato ipotizzato che
oltre al DQ2, esista un altro fattore di suscettibilità presente negli aplotipi che hanno
DR3 o DR5. In effetti l’analisi del DNA degli interi aplotipi ha mostrato che, in virtù
del “linkage disequilibrium”, soggetti DR3 o DR7 hanno al locus DQB l’allele DQB1
0201, il quale codifica una catena DQ β che porta il determinante sierologico DQ2;
da parte loro, soggetti DR3 o DR5 hanno al locus DQA l’allele DQA1 0501, il quale
codifica una catena DQ α il cui prodotto non è definibile sierologicamente.
La celiachia pertanto risulta primariamente associata al dimero DQ, il quale è
codificato in cis nei soggetti DR3, ed in trans nei soggetti DR5, DR7.
LES (Lupus Eritematoso Sistemico) - Modelli alternativi
Tuttavia anche meccanismi differenti da quelli illustrati potrebbero spiegare
l’associazione fra alleli HLA e alcune malattie autoimmuni. Il lupus eritematoso
sistemico potrebbe esserne un esempio. In questa malattia autoimmune a
interessamento multi sistemico, si osserva costantemente ipocomplementemia.
E’ stata avanzata l’ipotesi che questa malattia sia secondaria alla formazione di
immunocomplessi che sequestrerebbero i prodotti del complemento. Un’ipotesi
alternativa suggerisce che il fattore predisponente alla malattia sia
un’ipocomplementemia primaria.
E’ noto infatti che il Sistema del Complemento svolge un ruolo importante nell’
allontanamento (“clearance”) degli immunocomplessi. Pertanto, l’associazione fra
presenza del LES e presenza di alcuni alleli HLA potrebbe essere spiegato con
l’esistenza di un “linkage disequilibrium”fra tali alleli ed alcuni alleli ai loci che
codificano per fattori del Complemento. Infine è da tenere in considerazione che
nella regione HLA esistono anche altri loci, i cui prodotti sono coinvolti tra l’altro in
processi biologici connessi con la reazione immunologica. E’ il caso dei geni per il
TNF, oppure dei geni TAP1 e TAP2 (Transport associated with antigen processing), i
cui prodotti entrano nella fase di elaborazione degli antigeni peptidici che vengono
presentati nel contesto delle molecole HLA di Classe I.
I prodotti di altri due geni, LMP2 e LMP7 (Large Multifunctional Protease), sono
verosimilmente componenti di un “proteosoma” che entra anch’esso
nell’elaborazione degli antigeni. Da diversi studi è emerso che gli alleli HLA più
frequentemente associati al LES, che sembrano conferire maggiore suscettibilità alla
malattia sono: HLA-DR3
(DRB1* 0301) e HLA-DR2 (DRB1* 1501).
Sclerosi Multipla
La Sclerosi Multipla è una malattia demielinizzante del Sistema Nervoso Centrale,
caratterizzata da un’infiammazione cronica con lesioni della sostanza bianca.
L’eziologia è sconosciuta. I parenti di I grado di soggetti affetti hanno un rischio di
sviluppare la malattia di 15-30 volte superiore alla popolazione generale. I fattori
genetici sono dunque importanti nel determinare la suscettibilità alla malattia e la
loro individuazione ha permesso inoltre di chiarirne il meccanismo fisiopatologico. La
regione maggiormente implicata sembra essere il Complesso Maggiore di
Istocompatibilità (HLA).
Nel 1972 è stato individuato un locus responsabile, poi meglio identificato
nell’aplotipo DR2. L’aplotipo DRB1*15 conferisce maggiore suscettibilità alla
malattia, pur presentando un’eterogeneità allelica nelle varie Popolazioni.
Secondo studi condotti su popolazione caucasica, gli alleli HLA-DRB5*0101 HLA-DQA1*0102 - HLA-DQB1*0602 e in particolar modo HLADRB1*1501
determinano maggiore suscettibilità alla MS, con un rischio di 6 volte superiore in
omozigosi. L’aplotipo DRB1*14 ha un effetto protettivo sull’insorgenza della MS,
abrogando anche il rischio dettato dalla presenza in eterozigosi del DRB1*15.
Probabilmente per tale motivo l’incidenza di MS è più bassa in Asia dove l’aplotipo
DRB1*14 è over-espresso.
Dai dati di uno studio effettuato sulla popolazione canadese è emersa
un’interazione epistatica tra gli aplotipi HLA-DRB1, fenomeno per cui un secondo
aplotipo impedisce o coadiuva l’espressione fenotipica. L’aplotipo DRB1*15 è
coadiuvato da altri aplotipi che ne aumentano il rischio di suscettibilità alla malattia,
mentre tale rischio viene impedito da altri aplotipi (DRB1*01 e DRB1*10) solo se
DRB1*15 si trova in posizione trans.
E’ dunque il diplotipo (combinazione dei due aplotipi) che determina il rischio
individuale di suscettibilità alla MS e l’epistasi è il meccanismo che lo guida. Un terzo
meccanismo che influenza l’espressione degli aplotipi HLA è l’epigenetica.
Modificazioni epigenetiche del genoma con effetti sulla trascrizione degli alleli
dipendono dall’origine materna o paterna del locus e determinano il fenomeno
dell’imprinting.
Recenti studi hanno descritto come l’aplotipo DRB1*15 è overespresso quando
trasmesso dalla linea materna.
E’ stato ipotizzato che anche nel caso della MS, come di altre malattie autoimmuni,
fattori ambientali, quali l’infezione da EBV, possano influenzare l’espressione di
aplotipi HLA, attraverso un meccanismo di mimetismo molecolare che comporta
disregolazione immunologica in senso autoimmune.
Negli ultimi anni sono stati descritti geni di suscettibilità alla MS in regioni diverse
dall’HLA: recettore α dell’IL7, dell’IL2 e del gene K1F1b.
Il loro ruolo non è stato ancora del tutto chiarito. Recenti studi sono stati condotti
per comprendere se vi sia associazione fra aplotipi HLA e severità della malattia.
I risultati sono tuttavia ancora discordanti e in via di elaborazione.
Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali
Le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (IBD) comprendono: Malattia di
Crohn (CD), Rettocolite Ulcerosa (CU) e Colite Indeterminata (CI).
Rappresentano disordini cronici di natura multifattoriale, in cui fattori ambientali e
fattori genetici contribuiscono all’insorgenza della malattia, determinando una
disregolazione immunitaria in senso pro-infiammatorio del tratto gastrointestinale.
Negli ultimi anni numerosi studi sono stati condotti nel tentativo di individuare loci di
suscettibilità alle IBD e di chiarirne il meccanismo fisiopatologico.
Alcuni polimorfismi genetici sono stati associati all’insorgenza di IBD e i loci di
suscettibilità sono stati denominati IBD seguiti da un numero in ordine crescente
(IBD1, IBD2, IBD3…).
Il locus IBD3 è localizzato sul braccio corto del cromosoma 6 (6p) e comprende i
geni del Complesso Maggiore di Istocompatibilità (HLA) di classe I, II, III e del TNF.
Studi di associazione hanno permesso di identificare l’associazione tra IBD e HLA,
con una stretta correlazione genotipo/fenotipo.
La UC presenta un grado di suscettibilità genetica maggiore della CD (60-100% vs
10%).
Sono stati identificati in particolare 2 alleli HLA di classe II: DRB1*1502 e
DRB1*0103, entrambi a bassa prevalenza nella popolazione europea.
Per la CD sono stati identificati invece 4 loci di suscettibilità alla malattia e che
correlano con la localizzazione di malattia: DRB1*07 con malattia ileale, DRB1*0103
con malattia colica, DRB1*04 e DRB3*0301 con malattia ileo-colica.
Numerosi studi sono tuttavia ancora necessari prima che l’HLA possa essere
considerato un marcatore diagnostico e prognostico applicabile nella pratica clinica.
Malattie reumatologiche: Artrite Reumatoide e Spondiloartropatie
L’artrite Reumatoide è una malattia cronica sistemica, caratterizzata da poliartrite
infiammatoria.
La suscettibilità a sviluppare AR è data in circa il 30% dei casi dall’associazione
con aplotipi HLA di classe II. Variazioni alleliche di DRB1 determinano un più alto
rischio, con eterogeneità allelica secondo la popolazione in esame.
Le Spondiloartropatie, tra cui la Spondilite Anchilosante, sono malattie
reumatologiche croniche con interessamento assiale.
L’associazione con l’HLA-B27 è molto noto, mentre ancora sconosciute sono le
basi molecolari che la determinano.
In circa il 60-90% di casi di Spondiloartropatie ad esordio giovanile è presente
l’HLA-B27, l’allele più frequentemente identificato è il B27*05. L’HLA-B27 oltre a
determinare suscettibilità alla malattia, svolge un ruolo importante nella sua
patogenesi.
Recenti studi infatti, hanno ipotizzato che l’HLA-B27 “misfolding” potrebbe svolgere
un ruolo di trigger attraverso l’attivazione del processo pro-infiammatorio,
indipendentemente dalla presentazione di un antigene.
Tuttavia ulteriori studi sono ancora necessari per chiarire il suo ruolo ed identificare
altri geni che contribuiscano all’insorgenza di tali patologie.
Esempi di malattie associate con Alleli HLA
Fig 4 - Tratta da J Hum Genet. 2009;54 (1):15-39
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