Cent´anni di Relativita

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2005: ANNO INTERNAZIONALE DELLA FISICA
CENTENARIO DEL 1905, “ANNUS MIRABILIS” (*)
Erasmo Recami, Università di Bergamo e INFN-Sezione di Milano
"Compito supremo dello scienziato è di pervenire a quelle leggi elementari universali partendo dalle quali il
cosmo può essere costruito con la pura deduzione. Lo conduce l'intuizione, e il suo sforzo quotidiano
scaturisce direttamente dal cuore". (Albert Einstein)
PARTE PRIMA
Cent’anni fa Albert Einstein –oscuro impiegato in un Ufficio Brevetti di Berna (non essendo stato
accettato come assistente dal Politecnico di Zurigo, né dalle università di Lipsia e di Leida)-- si
rivelava al mondo della scienza all’età di 26 anni, pubblicando durante un solo anno quattro articoli,
ognuno dei quali avrebbe meritato un premio Nobel. Essi vennero ricevuti dagli Annalen der Physik,
rispettivamente, il 17 marzo, l’11 maggio, il 30 giugno, il 27 settembre, e il 19 dicembre del 1905.
Per comprendere quanto innovatrice fu l'opera di Einstein basta ricordare che all'inizio del
secolo appena trascorso molti scienziati non credevano ancora alla reale esistenza di atomi e
molecole. Einstein nel 1904 si era allora proposto di individuare un fenomeno che potesse
sperimentalmente e
(*)
Durante le passate e presenti ricorrenze einsteiniane sono stati pubblicati numerosissimi articoli storici e tecnici di
valore. Qui ci si propone invece di ricordare gli articoli di Einstein del 1905 con uno scritto di taglio soltanto
“culturale”, se non semi-divulgativo, prestando attenzione però ad alcune delle vie da quegli articoli aperte o indicate.
chiaramente mettere in mostra la loro esistenza e nel contempo fornire indicazioni sulle loro
dimensioni. Scoprì che un corpicciolo sufficientemente minuscolo (ma pur sempre visibile al
microscopio) immerso in un liquido avrebbe dovuto apparire soggetto a un caratteristico moto "a zig
zag", a causa dell'agitazione termica delle molecole. Sembra che Einstein non sapesse che tale
fenomeno --il moto browniano—era già stato osservato sperimentalmente; egli comunque ne fornì la
derivazione teorica e l'interpretazione dettagliata, e ciò permise tra l'altro di valutare le dimensioni
delle molecole.
Ancora: ricordiamo che una dozzina d'anni più tardi Einstein introdusse, in base a
considerazioni eleganti e molto generali, il processo di “emissione stimolata”, che sta alla base del
laser. Einstein può essere quindi considerato anche il padre della luce laser. La fisica atomica e
molecolare e la fisica del laser hanno successivamente compiuto passi da gigante, che sono sotto gli
occhi di ognuno. Ma non tutte le strade aperte da Einstein --come stiamo per vedere-- sono poi andate
avanti secondo le sue intenzioni.
La Meccanica Quantistica
Uno degli articoli del 1905 gli procurerà effettivamente (e soltanto nel 1922, anche se riferito al 1921)
un premio Nobel; ma esso non si riferisce alla teoria della Relatività Speciale: dopo tanti anni
l’Accademia non si fidava ancora dei suoi contributi più rivoluzionari. E’ il noto lavoro nel quale
Einstein riprese l’ipotesi quantistica di Planck (formulata nel 1900, ma rimasta senza molto seguito in
quei cinque anni, perché nessuno, nemmeno Planck , aveva avuto il coraggio di accettarla davvero)
per interpretare l’effetto fotoelettrico, dimostrando che la luce è costituita da “granuli”: i fotoni. E
così mise in moto l'edificazione della Meccanica Quantistica (MQ), edificazione a cui contribuì
decisamente anche molto più avanti.
Nel 1924, ad esempio, Louis de Broglie propose nella sua tesi di dottorato che tanto la luce
quanto le usuali particelle materiali fossero costituite da corpuscoli accompagnati e guidati da onde.
L'ipotesi poteva parere folle sotto diversi aspetti. Einstein, con la sua solita spregiudicatezza, parlò
favorevolmente della tesi di de Broglie in un suo articolo. In seguito a questa autorevole citazione,
Schroedinger ebbe il coraggio di prendere sul serio la relazione di de Broglie, e pervenne a scrivere la
sua notevole equazione, fondamento di tutta la MQ propriamente detta. Einstein contribuì dunque in
maniera sostanziale alla costruzione della MQ; ma poi la considerò solo come un prodotto intermedio
e incompleto, allontanandosi (forse a ragione) dalla stragrande maggioranza degli altri fisici. Anzi,
mise addirittura in crisi i fondamenti interpretativi della nuova meccanica il paradosso EPR, che ha
stimolato delicati esperimenti. I risultati di questi esperimenti --i più importanti dei quali sono quelli
progettati da V.Rapisarda e collab. (Catania), e concretamente realizzati da A.Aspect (Orsay,
Parigi)— parvero imbarazzanti. Un articolo di Aspect, che verificò la validità delle cosiddette
diseguaglianze di Bell, si concluse con un aut-aut che si poteva interpretare come segue: o si
rinunciava ad una interpretazione realistica dei fenomeni quantistici, oppure si doveva ammettere che
all'interno dei sistemi quantistici esistessero “contatti” a velocità maggiori di quella della luce.
Secondo alcuni, ciò significherebbe che il programma di Einstein di “completare” e interpretare
realisticamente i fenomeni quantistici (spesso microscopici, ma a volte del tutto macroscopici) possa
essere realizzato al prezzo di estendere la Relatività Speciale così da includere anche i moti superluminali.
Relatività e “Assolutività”.
Uno degli eterni dilemmi della scienza sta nella scelta tra una descrizione continua e una descrizione
discreta della natura fisica. Einstein, pur avendo tanto contribuito alla nascita della Meccanica
Quantistica (che si rifà al discreto), optò decisamente per il continuo, avvicinandosi con le sue teorie
reiativistiche (soprattutto la Relatività Generale) più ad Anassagora e agli Stoici che non agli Atomisti
ed agli Epicurei.
Cominciamo con la Relatività Speciale, pure pubblicata da Einstein nell'anno “mirabile” 1905,
all'età di ventisei anni. Prima di Einstein i fisici avevano cominciato ad accorgersi che le misure della
distanza spaziale e della distanza temporale tra due eventi erano non assolute, ma relative
all'osservatore. Dalla Relatività Speciale (RS) si deduce subito, però, che è assoluta la distanza
spazio-temporale, quadridimensionale, tra i due eventi. La RS quindi ci insegna a costruire quantità
assolute a partire da quantità relative: essa avrebbe ben potuto chiamarsi "Teoria della Assolutività"
(e chissà quanto diverse sarebbero state le reazioni di tanti letterati o filosofi o artisti solo
orecchianti!): e in effetti Einstein l’aveva chiamata Teoria degli Invarianti. Nel 1908, a Colonia,
Minkowski poté dichiarare di conseguenza: “D'ora in poi lo spazio di per sé e il tempo di per sé sono
destinati ad affondare completamente nell'ombra, e soltanto lo spazio-tempo, una sorta di unione di
entrambi, può conservare un'esistenza indipendente”.
Come Einstein arrivò a tale risultato? L'ha narrato lui stesso, fìn dal 1922, in Giappone; ma il
testo approssimativo della sua conferenza è divenuto noto al di fuori del Giappone solo molto più
tardi. Giunto a conoscenza degli esperimenti che mostravano la velocità c della luce nel vuoto essere
la medesima per tutti gli osservatori inerziali, Einstein si era chiesto invano per quasi un anno come ciò
potesse accadere, contro le leggi della fisica classica: “Per caso -–e queste sue parole sono raramente apparse
in traduzione italiana-- mi aiutò a venirne fuori il mio amico italiano di Berna, Michele Besso. Era una
bellissima giornata quando gli feci visita con questo problema in mente. Cominciai la conversazione
dicendogli subito: ‘Di questi tempi ho lavorato su di un problema difficile. Oggi sono venuto qui per combattere contro di esso con te’. Discutemmo insieme ogni aspetto del problema. Improvvisamente io compresi
quale ne fosse la chiave. Il giorno seguente tornai e, senza neppure salutarlo, gli dissi: ‘Grazie. Ho completamente risolto il problema’. La mia soluzione era stata un'analisi del concetto di tempo...”
Una conseguenza eclatannte di questa nuova analisi del concetto di tempo è messa in evidenza dal
cosiddetto paradosso dei due gemelli. Questo effetto, per quanto insolito, è stato verificato innumerevoli volte,
anche inviando degli orologi a viaggiare su un aereo e confrontando alla fine del viaggio questi orologi con
degli orologi identici rimasti a terra. Gli orologi viaggiatori --cioè fortemente non inerziali-- sono risultati più
giovani (segnavano un tempo inferiore), e nella misura prevista da Einstein, degli orologi sedentari. Possiamo
quindi essere sicuri che, il giorno in cui faremo un viaggio di andata e ritorno fino alla stella più vicina con una
velocità, diciamo, pari a tre quarti di quella della luce, al ritorno troveremo i nostri parenti e amici invecchiati
oltre 4 anni più di noi: per i "terrestri" saranno infatti passati 12 anni, e per noi neanche 8 anni.
Altre conseguenze della RS sono altrettanto note, e su di esse sorvoliamo. Molto meno noto è che la
RS permette di descrivere non solo la materia, ma anche l'antimateria. Se Einstein se ne fosse accorto, fin dal
1905 avrebbe potuto predire che di ogni particella doveva esistere l'antiparticella, proprio con le propriertà
accertate sperimentalmente molto più tardi.
La velocità della luce
E riguardo alla velocità della luce cosa si può dire oggi? La luce gioca un ruolo tanto importante perché -come si diceva-- la sua velocità non dipende dal moto dell'osservatore. Possiamo correre incontro alle
particelle di luce, o fuggire da esse, con qualsiasi velocità: nel vuoto le vedremo sempre viaggiare con la
medesima velocità c. Essa possiede anche il carattere di essere invalicabile, così come l'Himalaya può ritenersi
invalicabile. L'idea comune è che, quindi, non esistano oggetti più veloci della luce. Ma il fatto che gli Indiani
non possano valicare l'Himalaya non vuole dire che non possano esistere... i Cinesi, esseri –cioè-- che nascono
vivono e muoiono al di là dell'Himalaya senza aver mai avuto bisogno di attraversare l'invalicabile barriera di
montagne. Gli stessi normali fotoni nascono campano e muoiono sempre alla velocità c, senza alcun bisogno
di partire da fermi e accelerare fino alla velocità invariante (cosa che non potrebbero effettuare). Se uno
accetta l'idea che possano esistere i tachioni, come vengono chiamati i supposti oggetti più veloci della luce,
ovvero allarga lo schema della Relatività, arriva a comprendere meglio vari aspetti della fisica comune (come
la connessione tra materia e anti-materia; o le proprietà delle leggi fisiche quando si rifletta l'intero spazio in
uno specchio o si cambi direzione al fluire del tempo). Ma si incontrano anche dei fatti nuovi e pertanto strani:
anche se mai in contrasto con i Postulati della RS, dato che la teoria della Relatività Speciale –una volta non
confinata a valori v<c— sembra potersi estendere in modo naturale così da descrivere anche moti superluminali (V>c) senza alcuna violazione di leggi fondamentali. Da una dozzina d’anni sono state costruiti
matematicamente, e poi realizzati concretamente, degli impulsi aventi proprio velocità super-luminale, e dalle
interessanti proprietà, alcune delle quali già coperte da vari brevetti. Una caratteristica di questi wavelets superluminali è di essere localized waves, ovvero onde “confinate” che si propagano quasi senza deformazione:
particolarmente alla moda, per la loro versatilità applicativa, sono quelle “a forma di X” (previste proprio dalla
RS, nella sua forma “estesa”). La corrispondente letteratura è già molto vasta, e facilmente rintracciabile su
riviste che avvno dal Physical Review E, allo JOSA-A, ecc. Tali impulsi possono essere formati da onde
elettromagnetiche (ad esempio, di luce), o acustiche: nel qual caso essi hanno velocità super-soniche, e non
super-luminali. Impulsi acustici di questo tipo hanno avuto applicazioni mediche, inizialmente presso la Mayo
Clinic e attualmente presso l’americana Toledo University, consentendo la progettazione di ecografi che
forniscono direttamente e con alta risoluzione immagini tridimensionali di organi in movimento quali il cuore.
“Multi-verses”, micro-universi, e teorie unificate: un cenno
Quest’anno si celebrano le straordinarie pubblicazioni einsteiniane del 1905. Ma se ci è concesso un salto in
avanti, ci piacerebbe accennare in questo paragrafo alla Relatività Generale (RG) e ai suoi sviluppi più recenti
perchè con la RG l'orizzonte si amplia ancora di più. Premettiamo che la vecchia fisica dava per scontato che la
massa inerziale coincidesse con la massa gravitazionaIe: è proprio questa coincidenza che fa sì che tutti i corpi
sulla Terra cadano con la medesima accelerazione di gravità, indipendentemente dalla loro massa. Partendo da
questa semplice considerazione, Einstein comprese che la gravitazione può interpretarsi come dovuta non tanto
ad un “campo gravitazionale” sovrapposto ad uno spazio-tempo piatto e infinito, quanto ad una deformazione
dello spazio-tempo stesso, che viene incurvato dalla presenza di masse (in tal modo, l'intero cosmo può
diventare curvo, e magari chiuso su se stesso e quindi finito). La Terra, ad esempio, si muoverà intorno al Sole
semplicemente perché descriverà una geodetica in uno spazio-tempo leggermente incurvato dalla massa del
Sole: si noti come sia essenziale qui considerare l'incurvamento del tempo, e non solo dello spazio. Così
Einstein spiegò, come noto, l'avanzamento del perielio di Mercurio, la deflessione dei raggi di luce da parte di
masse gravitanti, ecc. (quest'ultimo risultato si può ottenere, qualitativamente, in modo immediato sulla base di
uno degli esperimenti concettuali di Einstein ).
Einstein stesso raccontò come gli nacque la prima idea della Relatività Generale (RG); anche la
citazione che segue non è apparsa spesso in lingia italiana in forma integrale. Stava meditando sulla
connessione tra inerzia e peso: “Sentivo che questo problema non poteva essere risolto all'interno della
Relatività Speciale. L'idea buona mi venne un giorno improvvisamente. Sedevo su una sedia del mio Ufficio
Brevetti di Berna. Improvvisamente un pensiero mi colpì: se una persona cade in caduta libera essa non
sentirà il proprio peso... Questo semplice esperimento concettuale esercitò su di me una profonda impressione.
Mi portò alla teoria della gravità. Io continuai il mio pensiero: un uomo che cade si muove di moto
accelerato; quindi ciò che lui vede e giudica vale in un sistema di riferimento accelerato. Decisi di estendere
la teoria della Relatività Speciale ai riferimenti accelerati. Sentivo che così facendo avrei automaticamente
risolto il problema della gravità. Se un uomo che cade non sente più il proprio peso, ciò significa che nel suo
sistema di riferimento nasce un nuovo campo gravitazionale che cancella quello dovuto alla Terra. Nel
riferimento accelerato deve nascere dunque un nuovo campo gravitazionaIe. Non riuscii allora a risolvere il
problema completamente. Mi ci vollero infatti altri otto anni per ottenere finalmente la soluzione completa...”
Il successo nel geometrizzare la gravità spingerà Einstein a cercare una teoria unificata che
geometrizzasse anche il campo elettromagnetico. I tempi allora non erano maturi. Ma il sogno di Einstein
--incompreso dalla maggior parte dei fisici del secolo passato-- non è forse troppo lontano dalla realizzazione.
Anche senza riferirsi alla recente teoria della Supergravità (opera in gran parte di S.Ferrara), infatti, tutte le
teorie più alla moda sono teorie di gauge, come la teoria standard delle interazioni forti e la teoria unificata
delle interazioni deboli ed elettromagnetiche di Salam, Weinberg e Glashow. E queste teorie di gauge
sembrano ammettere tutte una interpretazione geometrica (la stessa RG può essere vista in un certo senso
come una teoria di gauge). Nel settore delle teorie unificate c'è stato e c’è ancor oggi un grande fervore (non
disgiunto da un elevato grado di competizione), anche se l'attività esplorativa odierna segue per lo più la via
quantistica. Per dare però un'idea di uno dei possibili punti di arrivo, capaci di estendere lo schema
einsteiniano, fissiamo l'attenzione su una delle lacune della RG.
Da parecchio tempo si sono osservate delle interessanti coincidenze numeriche: ad esempio il
raggio del nostro cosmo (in cui domina il campo gravitazionale) è circa dieci alla quarantuno volte maggiore
del raggio tipico delle particelle elementari dette adroni (in cui domina invece il campo forte: adroni sono ad
esempio neutroni, protoni e mesoni). Ma anche l'intensità dell'interazione forte è proprio dieci alla quarantuno
volte maggiore di quella gravitazionale. Inoltre, la massa valutata del nostro cosmo sembra essere 10 alla 41
volte al quadrato –cioè 10 alla 82 volte— la massa tipica di un adrone, ad esempio del pione; nel linguaggio di
Mandelbrot si parlerebbe di sistemi self-similari con indice di frattalità D=2. La Relatività Generale non sa
spiegare queste coincidenze, verosimilmente non casuali. Tutto questo trova però una spiegazione se si ha
l’ardire di ammettere che tali particelle subnucleari, gli adroni, siano oggetti simili (in senso geometrico-fisico,
così da ricorrere poi alla teoria dei modelli) al nostro intero cosmo, anche se enormemente contratti. Le
possibilità di sviluppo e applicazione della “filosofia” della Relatività Generale sono quindi vaste in varie
direzioni; anche se esse comporteranno ampliamenti e quindi deviazioni dalla vecchia RG. Le maggiori
deviazioni sono previste proprio al livello microfisico, e ciò vale anche per la RS, perché le teorie relativistiche
einsteiniane sono nate per descrivere solo il mondo macrofisico. Anche a livello macroscopico, ciononostante,
i test sperimentali della RG continuano; soprattutto i fisici sperimentali sono in corsa (col contributo
determinante di gruppi italiani) per la rivelazione delle onde gravitazionali, per la conferma della effettiva
esistenza dei buchi neri gravitazionali o black-holes, e così via. Molto recentemente alcuni esperimenti con
satelliti, ideati e guidati da un altro italiano, Ignazio Ciufolini, hanno verificato la previsione della RG che pure
nel settore della gravitazione esistano forze “gravitomagnetiche”, ovvero simili alla forza di Lorentz, ben nota
nel settore elettromagnetico, la quale agisce non lungo la retta che congiunge i due corpi gravitanti, ma
perpendicolarmente ad essa. Il livello di precisione sperimentale è spesso stupefacente per gli stessi fisici, che
da decenni sono abituati ad esempio a descrivere cosa succede durante intervalli di tempo di 10 alla meno 23
secondi. Basti ricordare che, per verificare l'eventuale instabilità del protone, prevista questa volta da alcune
teorie “Grand-unificate”, gli esperimenti sono stati in grado di rilevare se decadeva un solo, singolo protone al
mese in mezzo ad un mare di altri protoni, ad esempio in seno a tonnellate d'acqua.
Tornando alla nostra similitudine tra cosmo ed adroni, non c'è forse chi non abbia pensato da piccolo
che ogni minuscola particella di materia potesse essere un micro-universo, popolato magari da micro-galassie,
con stelle e pianeti... È curioso che un'idea di questo tipo porti a spiegare davvero alcuni aspetti della struttura
interna delle particelle elementari e, ciò che a noi qui più importa, a “geometrizzare” classicamente il campo
nucleare forte. Estendendo su questa falsariga la RG, si trova per di più che --visti nel nostro spazio-- gli adroni
(protoni, neutroni...) appaiono come dei buchi neri “forti”: cioè ottenuti non più a partire dalla gravità, ma dal
campo forte (o “gravità forte”). Se questo fosse confermato, allora --traducendo la cosiddetta Termodinamica
dei Buchi Neri, creata da Bekenstein, Hawking e altri, nel linguaggio della gravità forte-- si arriverebbe persino
a spiegare perché alla fine del processo di espansione ed eventuale ricontrazione del nostro cosmo, dovrebbe
aver luogo una nuova espansione, una nuowa “creazione”, secondo le parole dell’antico scienziato greco
Posidonio: “L'universo è dominato da una forza immensa... e, seguendo le trasmutazioni fisiche, ora si contrae
consumato dal fuoco, ora si espande dando nuovamente inizio alla creazione del mondo”. Tutto ciò è
possibile, però, perché la RG permette di costruire modelli per un intero cosmo, grande o piccolo che sia. In
conclusione, è con Einstein che lo stesso problema cosmologico è divenuto, per la prima volta nella storia
umana, una questione all'altezza delle capacità scientifiche dell'uomo.
(continua)
PARTE SECONDA
ALCUNE CONSEGUENZE “FILOSOFICHE” DELL’OPERA
DI EINSTEIN
La pubblicazione da parte del ventiseienne Albert Einstein, durante il solo anno 1905, dei suoi
mirabili quattro articoli –e ci riferiremo ora soprattutto ai due suoi lavori che hanno dato avvio alle
Teorie Relativistiche— ha tanto aperto gli occhi dell’umanità sulla natura del mondo che ci circonda,
che sono ora alla nostra portata scientifica, come si è visto, quesiti quali i seguenti: Il tempo è
unidimensionale? Con che precisione sono verificati la dilataqzione dei tempi e la contrazione degli
spazi? Sono proprio tre le dimensioni dello spazio? Quante dimensioni spaziali e temporali può avere
il mondo in cui viviamo? E il nostro spazio, per la presenza di materia, si deforma acquistando solo
una curvatura, o anche una torsione? E, ancora: quali sono le proprietà dello spazio, cioè del “vuoto”
(che una volta si chiamava “etere”)? E che proprietà ha lo spazio all'interno di una particella
elementare di materia? Queste particelle costitutive della materia del nostro cosmo sono a loro volta
dei minuscoli mondi, dei micro-universi? Sono alcune delle domande a cui parte della ricerca
contemporanea sta tentando di rispondere, pur sotto il velo del formalismo fisico-matematico, velo
imposto dal “pudore scientifico”. Altre domande a cui i fisici d'oggidì cercano di rispondere sono:
cosa succede all'interno dei sistemi quantistici? Vi hanno luogo “contatti” a velocità maggiori di
quella della luce? E la velocità-limite del nostro universo è c, cioè la velocità della luce (nel vuoto), o
essa è solo la velocità invariante: cioè un limite al quale ci si può avvicinare sia da sinistra, sia da
destra?
Ma Einstein ha rivoluzionato ancor più il nostro modo di fare e vedere la scienza, e il mondo, dal
punto di vista filosofico. Ci sia permesso, allora, di prendere le cose più alla lontana.
Premettiamo che l'uomo da quando esiste (ovvero da molti milioni di anni, come suggeriscono le
scoperte africane, ad esempio in Tanzania e in Etiopia) ha sempre agito sulla natura, e osservato la realtà,
ricorrendo agli strumenti sensoriali e logici ereditati da almeno tre miliardi di anni di evoluzione biologica
precedente. Il maggior risultato di questo continuo sforzo è stato la creazione del linguaggio: creazione in cui è
facile riconoscere il contributo di tutte le facoltà umane, e tra i primi il contributo dell'atteggiamento
scientifico: si pensi solo al carattere inter-soggettivo del linguaggio. In un certo senso la scienza moderna non
fa altro che ampliare (con telescopi e microscopi) e approfondire (con misurazioni precise) il campo della
nostra esperienza, per costruire quindi un supplemento di linguaggio atto a descrivere, e “comprendere”, i
nuovi mondi di esperienza. Da questo punto di vista l'attività scientifica dell'uomo presenta nei millenni forti
caratteri di continuità. Essa, inoltre, è in una certa misura spontanea e universale: già da poppanti --e ciò è
interessante quando si ricordi che l' ontogenesi ripete la filogenesi-- di fronte al fenomeno della gravità
cominciamo tutti a fare prove e riprove, utili e necessarie, sul modo di agire di questa forza.
La scienza non è, poi, nettamente separabile dalle altre attività umanistiche: essa è una creazione
dello spirito umano; potremmo parlare, anzi, di una libera creazione, nello stesso senso in cui sono libere le arti
o le matematiche. Einstein stesso, infatti, dichiarò nel 1933: “I postulati e i concetti fondamentali sui quali si
basa la fisica teorica sono libere invenzioni dell'intelletto..., e costituiscono la parte essenziale di una teoria, la
parte che la logica non può toccare”. La scienza, infatti, viene sviluppandosi con caratteristiche proprie,
soprattutto di metodo, ma richiede pure doti di creatività, intuizione, fantasia, senso estetico. La scienza,
dunque, al pari degli altri prodotti dell'uomo si è continuamente sviluppata durante l'evoluzione umana; anche
se un errore prospettico ci fa sembrare tanto più lento il progresso quanto più esso è antico. Semmai si può dire
che, soprattutto dal diciassettesimo secolo (anche per la diffusione deIia stampa), la scienza ha assunto con
evidenza il proprio carattere di essere fondata sulla cooperazione di molti: ciò era stato già ben compreso da
Seneca, il quale --dopo aver discusso delle comete-- concluse con le nobili parole: “Accontentiamoci di ciò che
abbiamo finora scoperto. Quelli che verranno dopo di noi aggiungeranno il loro contributo alla verità”.
Anche Einstein non considerò le proprie equazioni della Relatività Generale come l'ultima parola,
chiamandole anzi effimere, e in una lettera scrisse: “Tu immagini che io guardi indietro alla mia vita con
calma soddisfazione. Ma non c'è un singolo concetto della cui incrollabilità io sia convinto, e non so se in
generale io sono sulla strada giusta”. Più precisamente, è ben noto che il pensiero scientifico procede per
successive approssimazioni, e che la teoria nuova contiene la vecchia come caso particolare. La Relatività
Speciale, così, si riduce alla precedente Meccanica di Galilei-Newton quando la velocità c della luce viene
considerata di valore praticamente infinito. E la Relatività Speciale lascerà certamente il posto a una teoria più
ampia, che la conterrà come caso particolare.
Diamo uno sguardo, anzi, a qualche briciola di tutto ciò che bolle nella pentola della ricerca
contemporanea e che potrà. condurre a novità importanti. Senza dimenticare che è stato l'esempio portoci da
Einstein, attraverso la sua opera e vita scientifica, quello che più ha influenzato nei fini e nei mezzi l'intera
fisica del secolo appena trascorso, così come continuerà certamente a fare nel secolo presente. È possibile che
grosse novità stiano per realizzarsi soprattutto nella direzione mostrata da Einstein, direzione sottovalutata
finora da gran parte dei fisici.
L'esempio di Einstein
La grande ventata di freschezza apportata da Albert Einstein ha riguardato anzitutto le vere sorgenti e le eterne
caratteristiche della grande scienza. Prima di esaminare alcune delle inevitabili lacune della sua opera e le
nuove conquiste in corso di affermazione, rivediamo dunque alcuni caratteri delle vie che furono aperte da
Einstein:
a) Einstein ci ha ricordato che fare scienza vuoi dire non certo redigere un catalogo di fatti (anche se questo
può essere un necessario passo preliminare), bensì capirli, scoprendo ciò che resta costante nel loro
manifestarsi e divenire, e facendo poi discendere le leggi di conservazione così trovate da un minimo di
principi logici e di ipotesi di simmetria. Einstein, anzi, un giorno osservò che non poteva capire “come mai
qualcuno potesse sapere così tante cose, e capire così poco”, e sempre sottolineò il pericolo di conoscere
troppi fatti e di perdervisi in mezzo. Invece la scienza tende a collocare i fenomeni in strutture ordinate, così da
poterli descrivere in una maniera infinitamente più elegante, logica e compatta che non per elenco. A tale
scopo non sovvengono molto le deboli forze della tanto teorizzata induzione. Einstein dichiarava nelle sue
“Note autobiografiche”: “Una teoria può essere verificata dall'esperienza, ma non esiste alcun modo per
risalire dall'esperienza alla costruzione di una teoria. Equazioni di tale complessità come sono le equazioni
del campo gravitazionale possono essere trovate solo attraverso la scoperta di una condizione matematica
logicamente semplice, che determini completamente, o quasi completamente, le equazioni. Una volta in
possesso di condizioni formali abbastanza stringenti, non c'è bisogno di una grande conoscenza dei fatti per
costruire una teoria”. Aggiungiamo che Einstein ricorse spesso ad esperimenti puramente concettuali
(gedankenexperimente), mostrandone la potenza euristica. Proprio sulla base di esperimenti concettuali, ad
esempio, giungerà a proporre il famoso “paradosso EPR” in meccanica quantistica, che si è già menzionato;
b) Einstein ci ha ricordato col suo stesso esempio che la scienza per rinnovarsi ha bisogno della fresca novità
delle idee dei giovani. Paolo Straneo (anni addietro professore emerito all'Università di Genova) ci testimoniò
che Einstein già a diciassette anni gli aveva esposto chiaramente, passeggiando sulla riva del lago di Zurigo,
quella problematica la cui soluzione lo avrebbe portato otto anni dopo, nel 1905, a formulare la Relatività
Speciale. La scuola tende a volte a squadrare troppo la mente dei giovani in una forma preconfezionata.
Einstein ebbe la fortuna di possedere fortissimo l'istinto di proteggere l'originalità della sua mente. In seconda
ginnasio, anzi, troncò gli studi scolastici per un anno raggiungendo la famiglia a Milano, e vagabondando ad
esempio --sembra a piedi-- fino a Genova, ove aveva dei parenti. Riprese poi gli studi, ma in Svizzera. Dei
quattro anni di studio all'ottimo Politecnico di Zurigo ha lasciato scritto: “Per superare gli esami, volenti o
nolenti, bisognava imbottirsi la mente di tutte queste nozioni... Una simile coercizione ebbe su di me un effetto
così scoraggiante che, dopo aver superato l'esame finale, per un anno intero mi ripugnò prendere in
considerazione quaJsiasi problema scientifico...” Altrove dirà, anche se con riferimento alla musica: “lo
ritengo, tutto sommato, che l'amore sia un maestro più efficace del senso del dovere”. Senza questo suo
sospetto per le “autorità costituite” forse non avrebbe potuto mantenere intatta quella sua formidabile indipendenza di giudizio che gli diede il coraggio (perché di vero e proprio coraggio si tratta) di contraddire alcune
delle più diffuse scuole scientifiche del suo tempo;
c) Einstein ci ha pure ricordato che uno dei motori dello scienziato è la fede in una unità razionale del mondo,
unità che almeno in parte è percepibile dalla nostra mente. Tra parentesi, la scienza cosiddetta moderna è nata,
o rinata, in Europa forse perché qui il terreno vi fu in parte preparato (oltre che dalle importanti attività
artigianali) dagli studi medievali della Patristica e della Scolastica, ispirati alla concezione di un Dio unico.
Infatti, per giudicare una teoria, Einstein spesso si domandava se --qualora lui fosse stato Dio-- avrebbe creato
il nostro cosmo in quel modo. È fin troppo noto ad esempio come Einstein (nel rifiutare la visione
probabilistico-quantistica dei fenomeni microfisici) dichiarasse più volte di non credere che “Dio giocasse ai
dadi”;
d) Abbiamo già visto quanto rilievo abbia dato Einstein al processo intuitivo rispetto a quello induttivo.
Ritorniamo su questo aspetto dell'insegnamento einsteiniano riportando alcune delle parole da lui pronunciate
nel 1918 in onore di Planck: “Compito supremo dello scienziato è di pervenire a quelle leggi elementari
universali partendo dalle quali il cosmo può essere costruito con la pura deduzione. Non esiste alcun sentiero
logico che conduca a queste leggi: soltanto l'intuizione, appoggiata ad una sensata comprensione della realtà,
può condurre ad esse... L'anelito a contemplare l'armonia cosmica è la fonte della pazienza inesauribile e
della perseveranza con la quale Planck si è dedicato ai problemi più generali della fisica... Lo sforzo
quotidiano scaturisce non già da un 'intenzione deliberata o da un programma, ma direttamente dal cuore”.
Completiamo questo quadro menzionando, da un lato, che Einstein sottolineò nettamente anche il ruolo del
background filosofico e, dall'altro, che Einstein chiarì come il comportamento del ricercatore non sia
riconducibile ad alcun modello epistemologico prefissato: “È inevitabile che lo scienziato appaia all'epistemologo sistematico come una specie di opportunista senza scrupoli: che gli appaia un realista, perché cerca di
descrivere il mondo indipendentemente dagli atti di percezione; come un idealista, poiché considera i concetti
e le teorie come libere invenzioni dello spirito umano (non deducibili logicamente dal dato empirico); come
un positivista, poiché ritiene che i suoi concetti e le sue teorie sono giustificati soltanto in quanto forniscono
una rappresentazione logica delle relazioni fra esperienze sensoriali. Può addirittura sembrargli un platonico
o un pitagorico, in quanto considera il criterio della semplicità logica come strumento indispensabile e
efficace per la sua ricerca”;
e) Cosa non meno importante, Einstein ci ha ricordato che i concetti e le categorie sono necessari al pensiero,
ma che queste “categorie” sono il prodotto dell'evoluzione biologica del nostro sistema nervoso centrale, e
quindi variano al variare della nostra esperienza evolutiva. Ciò vale anche per categorie come quelle di spazio
e di tempo; il credere a “giudizi sintetici a priori” (cosa più che giustificata all'epoca di Kant) sarebbe oggi una
ingenuità. Anzi, quando gli uomini vivranno in contatto quotidiano con velocità prossime a quella della luce
essi “vedranno” in modo diretto e intuitivo --quale nuova categoria kantiana-- lo spazio-tempo quadri-
mensionale della Relalatività Speciale, coi suoi legami tra spazio e tempo che producono effetti come quello
del “paradosso dei due gemelli” (di cui abbiamo già parlato) e che ora ci paiono poco “naturali”. E se
l'umanità si adatterà a vivere nei pressi grandi concentrazioni di massa, questi nostri pronipoti “vedranno”
anche le deformazioni dello spazio-tempo create dalla presenza di materia, deformazioni rivelateci dalla teorie
della Relatività Generale;
f) Per finire, non dobbiamo affatto ritenere che, senza Einstein, la fisica prima o poi si sarebbe sviluppata allo
stesso modo. Come diceva Piero Caldirola, così come non ci sono due pittori che rappresentino una Madonna
allo stesso modo, analogamente fisici diversi da Einstein avrebbero costruito la teoria della gravitazione in
modo sicuramente molto diverso. E ciò non vale solo nel caso di Einstein. Possiamo ricordare, per esempio,
che, se Mach avesse saputo sviluppare formalmente le sue idee, avrebbe forse trovato la velocità caratteristica,
c, della teoria della Relatività come “velocità di espansione” del cosmo (piuttosto che come velocità della
luce): “Forse, se Mach avesse avuto migliore padronanza della fisica-matematica --ha scritto B.Bertotti-l'evoluzione della fisica avrebbe avuto un corso assai diverso”...
.
(Erasmo Recami)
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