La visione in riferimento alla percezione

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La visione in riferimento alla percezione
con particolare attenzione alla percezione gestaltica
di Maria Grazia Carlino *
N.1. Introduzione.
Cos’è la visione? Ai più questa apparirà come una domanda retorica, talmente radicata è
in noi la funzione del vedere (e il termine “visione”, chiaramente, è un sostantivo tipicamente associato al verbo “vedere”). Tuttavia in quella domanda c’è molto di più. C’è
la necessità di capire come si svolge la visione, quali siano i suoi meccanismi e come si
realizzino gli effetti tipici del vedere. Eppure, vedere sembra così facile! Apri gli occhi e
ti guardi intorno. Ma in realtà la situazione non è così ovvia.
Nell’odierna cultura, anche sul versante scientifico, gli aspetti fisico-psico-fisiologici
della visione – nel loro complesso intreccio, ma anche nelle rispettive specificità – spesso sono trascurati, e talora ignorati. Qui noi vogliamo fare un’esposizione sintetica della
visione in riferimento alla percezione visiva, con particolare attenzione alla percezione
gestaltica, riservandoci di trattare in un altro intervento gli aspetti della visione legati
alla postura umana.
Secondo G.N. Getman (cf. [4]) “La visione è la capacità appresa di vedere per trarre informazioni e performances. La capacità appresa di capire le cose che non si possono
toccare, odorare, udire e gustare”. Inoltre, secondo R. A. Kraskin (si veda [5]), la visione è l’atto – innescato dalla “luce – di trarre significato e di dirigere l’azione che ne consegue. E L.J. Press aggiunge (si veda [5]) “La visione si realizza quando il cervello organizza le informazioni viste, dando loro un significato, spesso rapportandole agli altri
sensi e alle esperienze passate”.
In relazione a quello che è stato affermato da Press, va precisato che quanto noi conosciamo influenza ciò che percepiamo, qualunque sia il canale sensoriale interessato: la
nostra percezione è influenzata da quello che abbiamo visto, udito, gustato, odorato,
toccato. In breve, la nostra percezione è influenzata cognitivamente.
N.2. Su alcuni aspetti della visione.
La visione ha luogo nella corteccia cerebrale. Ora cercheremo succintamente di far vedere come l’immagine raggiunge il nostro cervello. Per un approfondimento delle questioni che in questo paragrafo sono soltanto accennate, rinviamo a N.5. Invece, per quel
che riguarda gli aspetti fisici della luce prima che penetri nell’occhio, rinviamo all’Appendice.
I fotoni di cui è composta la luce – provenienti dall’oggetto che guardiamo – colpiscono
l’occhio. La luce entra nel globo oculare (camera oculare) attraverso la pupilla, cioè il
foro nero situato al centro dell’iride. Quest’ultima ha il compito di regolare la quantità
di luce che entra nell’occhio: restringendo la pupilla in presenza di luce molto forte e dilatandola in presenza di luce debole. Quindi la luce attraversa, nell’ordine, quattro diversi elementi rifrangenti – la cornea, l’umor acqueo, il cristallino e l’umor vitreo –
e viene proiettata sulla retina. La percezione visiva si realizza tramite due tipi di fotorecettori: i coni e i bastoncelli, che sono neuroni dislocati sulla retina. I coni sono
responsabili della visione a colori ma sensibili solo a luci piuttosto intense; mentre i bastoncelli sono particolarmente sensibili a basse intensità di luce – ma non ai colori –
perciò agevolano la visione notturna.
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dott.ssa in ottica e optometria; [email protected]
Però, in realtà, il mondo esterno – cioè quel complesso di figure che ognuno vede davanti a sé – é una creazione della mente dell’osservatore. Infatti, l’ambiente ci invia
continuamente miliardi di stimoli, che noi selezioniamo tramite la nostra attenzione, che
è il filtro dell’informazione. Ma, se da una parte il cervello riduce l’informazione in ingresso, per elaborare soltanto ciò che ritiene importante al momento, d’altra parte la
arricchisce con i dati che ha in memoria. Tuttavia ciò che il cervello sottrae alla scena,
non lo elimina, anzi lo custodisce preziosamente in archivio, prima nella memoria a
breve termine e poi nel taccuino visuo-spaziale (si veda [4]).
Ciò che si trova al di fuori di ciascuno di noi é un’entità materiale, fisica, realmente esistente; invece le figure che ci si rappresenta, sono entità create dalla psiche dell’osservatore e da questi localizzate, cioè proiettate all’esterno. E ciò vale anche per le altre
sensazioni: il suono, il caldo, il freddo, l’odore e il sapore esistono solo nella psiche di
chi li percepisce, nel senso che di fatto non esisterebbero se non esistesse alcun osservatore, alcun essere vivente (si veda [9]).
In definitiva, il trattamento dei dati in ingresso é enormemente influenzato dalle nostre
conoscenze; e noi interpretiamo un certo stimolo anche sulla base delle esperienze precedenti. Questo ci permette di attribuire un significato a ciò che acquisiamo.
N.3. La percezione visiva.
Il cervello costruisce l’immagine, partendo da un dato sensoriale che é meno ricco dell’immagine. Generalmente, nell’immagine che si forma sulla retina non c’è abbastanza
informazione per specificare cosa essa rappresenti del mondo circostante. In altre parole, ci sono diverse scene reali che possono produrre una determinata immagine retinica.
E l’occhio è ben lungi dal poter risolvere da solo questo problema; perciò cerca aiuto
dal cervello:
Le assunzioni che facciamo dipendono dalla esperienza, che ci dice quello che é più
probabile, in relazione al contesto.
CHI E’?
CHI E’?
Tuttavia, nemmeno il cervello più intelligente può dare risposta al problema, poiché
l’informazione retinica è insufficiente. Però esso può fare delle assunzioni sulla base di
ciò che ha già appreso. Quindi, il cervello, una volta acquisita l’informazione inviata dagli occhi, applica le conoscenze apprese e prende le decisioni più adeguate alla situazio-
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ne. Perciò la percezione è influenzata cognitivamente; e ciò porta a un’opportuna elaborazione dell’immagine retinica.
Per esempio, chi potrebbe dire cosa rappresentano le due immagini precedenti, se già
non ci fosse un’idea?
Per noi dovrebbe essere chiaro che in entrambi i casi si tratta della Gioconda 1. Quindi,
il nostro cervello “riempie” i vuoti della figura grazie alla dimestichezza che abbiamo
con l’immagine reale che conserviamo nella nostra memoria.
Un fenomeno analogo – sul versante della percezione gestaltica, in cui rientrano anche
le immagini precedenti (si veda il paragrafo successivo) – lo si ha in fig. 1, dove vediamo due triangoli. Del primo percepiamo i lati incompleti; l’altro ci appare grazie ai tre
cerchietti neri incompleti, nella cui parte bianca vediamo i vertici del triangolo.
fig. 1
Abbiamo poi la figura sottostante, dovuta allo psicologo statunitense J. Jastrow. Generalmente, l’ambiguità di immagini di questo tipo si risolve sulla base del contesto di riferimento. Infatti, è chiaro che se si sta parlando di animali di una fattoria, allora nella
figura proposta siamo indotti a vedere un coniglio; invece, se si parla di animali acquatici, ci appare un’anatra.
La necessità di scegliere tra due interpretazioni possibili la si ravvisa anche in fig. 2,
dove l’ambiguità può sorgere tra le parole scritte e il loro colore. Si è accertato che se a
una platea si sottopongono le parole per pochi secondi e poi si chiede quale fosse il secondo termine, spesso la risposta è “rosso”.
1
L’immagine di destra è un disegno realizzato da Thomas Pavitte, un famoso designer australiano, collegando mille punti. Pavitte – come egli stesso ha raccontato – ha cercato anche di entrare nel Guinness dei
Primati, ma invano, realizzando la Gioconda in nove ore, collegando ben 6239 punti
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NERO
VERDE
AZZURRO
ROSSO
fig. 2
L’importanza del contesto di riferimento agli effetti di ciò che percepiamo, è data in maniera immediata e significativa dalla seguente figura, proposta nel 1955 da J.S Bruner e
A.L. Minturn. Infatti, se osserviamo i tre segni dislocati in verticale, ravvisiamo un contesto numerico, onde il segno centrale ci appare come un 13; invece, se osserviamo i tre
segni dislocati in orizzontale, allora lo stesso segno centrale ci appare come un B.
A ulteriore conferma di quanto è stato detto, qui sotto proponiamo una figura presentata
nel 1961 da B. R. Bugelski e A. D. Alampay: l’uomo-topo (si veda [2]). Si noti come le
due piccole rotondità in un caso siano viste come la parte degli occhi di un uomo, nell’altro come le orecchie di un topo.
In definitiva, questo il nostro cervello fa di fronte a un’immagine non del tutto chiara: la
elabora e la interpreta in base a ciò che già conosce di essa. La visione é una funzione
integrata, non é solo l’input che parte dall’occhio e va al cervello (bottom-up). Infatti
l’80% delle informazioni elaborate provengono dalla corteccia (top-down) (si veda [4]).
Ogni cosa di cui facciamo esperienza é un prodotto della nostra immaginazione. Anche
se ci sembrano accurate e veritiere, tuttavia non é detto che le nostre sensazioni riproducano la realtà. A volte l’elaborazione è tale da condurre a interpretazioni errate, come
nel caso delle illusioni ottiche. Per esempio, si osservino le due figure seguenti.
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La seconda figura differisce dalla prima soltanto per il fatto che nella sua metà destra è
stato inserito uno sfondo scuro. Ebbene, nella prima figura i due quadratini interni sono
uguali; nella seconda, invece, gli stessi quadratini sembrano avere due diverse gradazioni di grigio.
Qui sotto abbiamo due altre illusioni ottiche famose; la seconda è dovuta al sociologo
tedesco F. C. Muller-Lyer. In ciascuna figura i due segmenti orizzontali sembrano diversi, ma ciò è dovuto al contesto grafico in cui essi sono inseriti. In realtà i due segmenti sono uguali in entrambe le figure. Misurare per credere.
Concludiamo questo paragrafo invitando il lettore a osservare come alcuni aspetti della
percezione visiva siano presenti anche in altri tipi di percezione; per esempio, il completamento di un messaggio sonoro. In realtà molte esperienze riflettono gli stimoli fisici da cui giungono segnali al cervello; e gli stessi meccanismi cerebrali che interpretano i segnali provenienti da occhi, orecchie, e altri organi di senso, sono responsabili anche dei nostri sogni e delle illusioni sensoriali.
N.4. Sulla percezione gestaltica.
In questo paragrafo entrano in gioco in maniera decisiva interpretazioni ampiamente evidenziate dagli studi sulla “psicologia della forma” (“psicologia della gestalt”). Per esempio, è secondo questo tipo di interpretazione che noi vediamo le costellazioni dell’Orsa Maggiore e dell’Orsa Minore come due carri, donde le denominazioni Grande
Carro e Piccolo Carro.
Nei primi anni del 1900 la teoria associazionista sosteneva che la percezione di un oggetto fosse il risultato dell’associazione di elementi sensoriali distinti. Poi, nel 1912,
Max Wertheimer pubblicò i suoi “Studi sperimentali sulla visione del movimento” e
dichiarò che “La forma (Gestalt) non é data dalla semplice somma dei suoi elementi, ma
é qualcosa di più, di diverso”. La Gestalt 2, mediante un approccio fenomenologico alla
2
Accanto alla percezione gestaltica abbiamo quella analitica, in cui tutti gli elementi di una rappresentazione svolgono un ruolo essenziale; e il significato di ciò che percepiamo deriva dalla sommatoria di essi.
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percezione, canonizza una serie di leggi percettive indipendenti dall’esperienza esterna
e presenti fin dalla nascita. Generalmente, una figura o una forma si realizzano tramite
alcuni tipi di contorni, che ci consentono di percepirle, distinguendole dallo sfondo.
Tuttavia, un contorno non sempre è necessario per la percezione di una forma. A volte i
contorni sono illusori, come nel caso di uno dei due triangoli presentati in fig.1.
Secondo la psicologia della gestalt, le illusioni percettive non possono essere comprese
mediante l’analisi delle parti elementari che costituiscono la figura; per esempio, le stelle dell’Orsa Maggiore. Noi tendiamo a ricomporre quelle parti in un tutt’uno, come se
esse volessero tratteggiare una forma; donde la denominazione “psicologia della forma”. In definitiva, la percezione visiva non sempre può essere compresa semplicemente
analizzando le singole componenti di un’immagine. In realtà, ciò che vediamo dipende
dalle relazioni che collegano le varie parti. Questa nostra propensione porta – tra l’altro
– a identificare facilmente oggetti degradati o incompleti. Per esempio, si osservi la figura seguente, che non ha bisogno di commenti.
Molto significativa è anche l’immagine che segue. Lì la doppia figura gialla è vista unitariamente come uno spicchio di luna; invece la doppia figura rosa è vista come un’unica striscia. Un’altra caratteristica è descritta dalla didascalia.
Per la gestalt, sono cinque le leggi che governano l’organizzazione visiva:
1.
2.
3.
4.
5.
Prossimità: elementi vicini tra loro sono visti come parti di uno stesso oggetto.
Similarità: gli aspetti che hanno proprietà fisiche comuni sono messi insieme.
Chiusura: un contorno con parti mancanti è visto come completo.
Buona continuazione: le linee interrotte sono viste come continue.
Destino comune: le cose che si muovono di concerto sono viste unitariamente..
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Le prime quattro Leggi, alcune delle quali abbiamo avuto già modo di osservare, sono
richiamate nell’illustrazione seguente.
Invece la quinta Legge richiede una spiegazione a parte. Si pensi a un animale della
foresta che abbia – come normalmente ha, per ragioni evolutive – dei colori che si confondono con l’ambiente circostante. È chiaro che, se rimane fermo, esso risulta ben mimetizzato. Però, se incomincia a muoversi, allora si ha una variazione nella percezione
della sua sagoma, il che permette di identificarlo.
N. 5. Approfondimenti sulla visione.
L’occhio umano rileva e riceve le onde elettromagnetiche, comprese in un intervallo di
lunghezze d’onda tra 400 e 700 nanometri circa (si veda l’Appendice) e le trasforma in
impulsi nervosi, che poi dalla psiche saranno rappresentati come figure luminose e colorate. L'occhio, sistema diottrico 3, diaframmato dalla pupilla, è costituito dalla cornea,
dal cristallino e dagli umori acqueo e vitreo; e grazie a questi funziona come un diottro
convergente, che dà degli oggetti esterni un’immagine reale, rimpicciolita e capovolta.
Il cristallino o lente (lens in inglese) ha la capacità di focalizzare sulla retina le immanini degli oggetti nella visione da vicino (Accomodazione).
Centro Scientifico del Movimento
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Metodo Feldenkrais®
La retina, la membrana che costituisce il fondo dell’occhio, é costituita da 5 strati di
cellule,tra cui i recettori sensibili alla luce: coni (circa 7 milioni) e bastoncelli (circa 120
milioni). La distribuzione dei fotorecettori cambia in funzione della posizione rispetto al
centro della retina (fovea), che è dominato dai coni; mentre la retina periferica è dominata dai bastoncelli. Quindi nella parte centrale della retina i coni sono molto ravvicinati
e i bastoncelli sono poco numerosi (si veda fig. 3).
3
Ricordiamo che un diottro è una superficie di contatto che separa due mezzi ottici trasparenti che hanno
diverso indice di rifrazione. Quando ci sono diverse superfici di contatto che operano insieme, allora si
parla di sistema diottrico.
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Rappresentazione in sezione degli strati retinici
epitelio pigmentato
bastoncelli
coni
strato plessiforme esterno
cellule orizzontali
cellule bipolari
amàcrine
strato plessiforme interno
cellule gangliari
assòni delle gangliari
fig. 3
Le differenze strutturali tra coni e bastoncelli sono correlate con importanti differenze
funzionali.
La retina scotòpica (visione notturna) utilizza solo i bastoncelli e la retina fotòpica (visione diurna) utilizza principalmente i coni. Come si è già detto in N. 2, solo i coni sono
responsabili della nostra capacità di vedere i colori.
Fonte:http://www.biologia.unile.it/docs/docenti/marsigliante/fisiologia_oculare0708/Fis%20Oculare%2002.pdf
fig. 4
Tutti i bastoncelli (rods in inglese) contengono lo stesso fotopigmento (rodopsìna),
mentre esistono tre tipi di coni (si veda fig. 5), ciascuno contenente un diverso pigmento
(opsina):
1) Long wavelenght che sono più sensibili alla luce rossa (610 nm)
2) Medium, che sono più sensibili alla luce verde (560 nm)
3) Short, che sono più sensibili alla luce blu (430 nm)
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fig. 5
La via più diretta per il flusso d’informazioni visive va dai fotorecettori alla cellule bipolari e alle cellule gangliari. Solo queste ultime generano potenziali d’azione, in risposta alla luce, e questi impulsi si propagano lungo il nervo ottico verso il resto del cervello.
Dalle cellule gangliari iniziano tre canali o vie (si veda [5], pag. 84):
a) il canale magnocellulare per il movimento;
b) il canale parvocellulare per le forme;
c) il canale blob per il colore.
Le fibre del nervo ottico proiettano a diverse aree sottocorticali che svolgono funzioni
diverse (si veda [7], pag. 211):
i) ipotalamo;
ii) pretetto;
iii) collicolo superiore;
iv) nucleo genicolato laterale del talamo (NGL).
i) L’ipotalamo sovrintende ai cicli circadiani e ai ritmi biologici. Perciò la sua funzione è
importante per regolare sonno e veglia, l’assunzione di acqua e cibo; e tutto è in relazione
con la luce e il buio.
ii) Il pretetto controlla il diametro pupillare e alcuni movimenti oculari.
iii) Il collicolo superiore coordina le informazioni visive per il controllo riflesso dei movimenti del corpo e del collo; inoltre, in collegamento con il cervelletto, coordina i movimenti degli occhi e del capo.
iv) Nel NGL le fibre provenienti dalla retina costituiscono circa il 20%, le restanti 80%
provengono sia dal tronco encefalico e sono in relazione ai processi di allerta e di attenzione, sia dalla corteccia visiva che, con un meccanismo a feedback, influenza l’elaborazione del messaggio visivo.
Come si è detto, ciò che vediamo dipende da quello che sentiamo emotivamente e cognitivamente. Concludiamo facendo presente che l’elaborazione nella corteccia cerebrale segue
due vie parallele: per l’analisi di forma e colore – tramite i neuroni parvocellulari – segue
la via ventrale, cioè una serie di connessioni sinaptiche che congiungono le aree occipitali
della corteccia con quelle temporali inferiori, in cui avviene l’identificazione visiva dello
stimolo di competenza; per l’analisi del movimento – tramite i neuroni magnocellulari –
segue la via dorsale, cioè una serie di connessioni sinaptiche che congiungono le aree striate e prestriate con il lobulo parietale inferiore, in cui avviene la localizzazione dello stimolo.
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Appendice. Gli aspetti fisici della visione.
La fisica definisce la luce come una forma di energia elettromagnetica, ponendola in quel gruppo di “trasmettitori di energia” di cui fanno parte anche le onde radio, i raggi x e i raggi cosmici.
Tutte queste forme di energia elettromagnetica hanno in comune diversi punti. Infatti, sono tutte
irradiate da una sorgente e si propagano nel vuoto o attraverso corpi trasparenti; al contrario del
suono, la cui propagazione è legata alle vibrazioni di un mezzo conduttore, come aria, acqua etc.
Le onde elettromagnetiche, che si propagano in linea retta – a meno che non siano in prossimità
di masse considerevoli – e viaggiano a grandissima velocità: nel vuoto a circa 300 mila chiometri al secondo.In altri mezzi trasparenti la velocità diminuisce con l’aumentare della densità del
mezzo.
Esse hanno un moto ondulatorio. Per capire meglio questo fenomeno, si possono esaminare le
onde di superficie dell’acqua di uno stagno provocate da un sasso gettato nel mezzo.
Il campo elettromagnetico. Anche le onde elettromagnetiche sono caratterizzate da:
lunghezza d’onda λ: distanza tra due massimi successivi dell’onda;
frequenza f: numero di oscillazioni che avvengono in un secondo;
periodo T: tempo necessario affinché in un punto si succedano due massimi; T = 1/f ;
velocità v: v = λ/T.
La caratteristica fondamentale del moto ondulatorio di cui ci stiamo occupando sta nel fatto
che, sebbene tutte le radiazioni considerate siano elettromagnetiche, ciascun tipo di radiazione è
caratterizzata da un propria lunghezza d’onda.
Le varie lunghezze d’onda sono estremamente differenti e vanno da alcuni chilometri (onde radio) a un diecimiliardesimo di millimetro, corrispondente a 10-13 metri (raggi gamma); questa
lunghezza è detta unità 5.
Lo spettro elettromagnetico
fig. 6
Generalmente, partendo dalle onde di lunghezza minima fino alle onde del calore abbiamo cinque tipi di radiazioni elettromagnetiche:
1) Raggi gamma, che sono in grado di attraversare metalli di elevata densità e di distruggere i tessuti umani. La loro lunghezza d’onda è compresa tra 1 e 1000 unità.
2) Raggi x, che hanno minore potere di penetrazione e ridotti poteri lesivi rispetto ai raggi
gamma. La loro lunghezza d’onda va dalle 1000 unità [= 1/10 nm] fino ai 4 nm Essi
5
La lunghezza di 10-10 metri (1000 unità) va sotto il nome di angstrom. 10 angstrom corrispondono a 10-9
metri, che ci danno il nanometro (nm), pari a 10.000 unità. Si ricordi che il prefisso “nano” esprime 1 miliardesimo.
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trovano larga applicazione in medicina.
3) Raggi UV (ultravioletti), che vanno dai 4 ai 390 circa nanometri.
4) Raggi luminosi (luce), che vanno dai 390 circa ai 780 circa nanometri.
5) Raggi infrarossi (calore radiante), che sono impercettibili all’occhio e danno una sensazione di calore.
Bibliografia
[1] Bruner, J.S. and Minturn, A.L. (1955). Perceptual identification and perceptual organisation,
Journal of General Psychology 53: 21-8.
[2] Bugelski, B. R., & Alampay, D. A., (1961). The role of frequency in developing perceptual
sets. Canadian Journal of Psychology, 15, 205-211.
[3] D’amico A. (2002), Lettura, scrittura, calcolo. Processi cognitivi e disturbi dell'apprendimento, Ed. Carlo Amore, pag. 42.
[4] Getman G.N., Come sviluppare l’intelligenza del vostro bambino. Distribuito da EASV
(Accademia Europea Sport and Vision) si veda http://www.easv.org/library/libri_tradotti/6/.
[5] Impara L. (2006), “Percorsi formativi nella diagnostica per immagini”, GAIA srl - Edizioni
Univ. Romane.
[6] Monticelli B. (1977) “Il Riconoscimento degli Oggetti: Elaborazione Bottom Up e Top Down”
in http://www.psicolab.net/index.asp?pid=idart&cat=8&scat=236&arid=1977
[7] Pelucchi B. (2003), “Elementi di fisiologia.” , ed. PICCIN.
[8] Roncagli V. (1998), corso “Optometric Vision Training”, EASV.
[9] Ronchi V. “L’ottica, scienza della visione”, Zanichelli, Bologna (1955)
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