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Psicologia sociale II

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PSICOLOGIA SOCIALE II
CONCETTO DI SE’
A cavallo tra psicologia dello sviluppo, sociale, della personalità. Tocca in modo trasversale diverse
discipline.
Come mi formo l’immagine di me stesso? Lo psicotico non ha un’immagine chiara di sé stesso, ma è
frammentata. Più questo accade, più disfunzionale è il rapporto con la realtà.
Erickson  il compito dello sviluppo è costruire un’immagine di sé autonoma. Se questo non accade, non si
può passare alla fase adulta, che è più relazionale. Se non ho un concetto di me, avrò dei grossi deficit in
ambito relazionale.
Kuhn, McPartland  “Who i am?”. Test in cui viene chiesto al soggetto di descrivere con brevi parole degli
attributi che noi riteniamo parte del nostro concetto di sé. Valuta le risposte consensuali, ovvero quelle che
fanno riferimento a conoscenza comune (ruoli, appartenenze, credo ideologico, autovalutazioni) e le
risposte sub-consensuali, ovvero quelle che fanno riferimento a caratteristiche soggettive ed individuali.
All’esercitazione ad inizio corso abbiamo notato che le persone non fanno riferimento al sé sociale (cosa
che non accade nelle culture collettiviste), che non assume una preponderanza rispetto al sé come
attributo individuale.
Tre tipi di identità:
- Identità personale (è ideocentrica e individuale)  attributi che sono propri dell’individuo, che
rinviano alla sua unicità e specificità individuale (competenze, attributi corporei, tratti di
personalità)
- Identità sociale (è allocentrica e collettiva)  caratteristiche che le persone possiedono in virtù
della loro appartenenza a categorie o gruppi (genere, etnia, religione, professione)
- Identità di ruolo  concezioni di sé che derivano dalle posizioni che gli individui occupano
all’interno delle strutture sociali nelle quali sono coinvolti in relazioni di ruolo reciproche (figlio,
fratello, marito, padre)
Il concetto di sé può essere definito come l’insieme di pensieri e sentimenti che definiscono ciò che
ciascuno pensa di essere. Sentimenti perché l’identità non è solo un processo cognitivo, ma anche emotivo.
Ciascuno di noi si attribuisce delle caratteristiche e dei tratti e poi li valuta (es: sono testardo, ma per me ha
una valenza positiva o negativa?) sulla base delle desiderabilità sociale o personale.
Tutti questi attributi e valutazioni associati vanno a definire l’autostima, ovvero un senso globale del nostro
valore complessivo. Il depresso ha una valutazione globale di tipo negativo.
APPROCCI ALLO STUDIO DEL SE’ E DELL’IDENTITA’
Studi classici
Social cognition
Studi sull’identità dell’io
Studi sull’identità sociale
STUDI CLASSICI
WILLIAM JAMES: IO E ME
Il sé è diviso in due parti: l’io e il me. L’io è il soggetto agente. L’io rifletto sul suo me, che è l’oggetto della
riflessione propria o altrui. L’io è il sé conoscitore che consapevolmente conosce ed agisce sulla realtà. Il
contenuto dei miei pensieri è il me, ovvero la parte del sé che è oggetto di riflessione, sia da parte mia che
degli altri.
L’io conosce e agisce sulla base di tre modalità:
- Senso di agency (volizione): la propria capacità di agire, di modificare gli eventi e non solo di essere
da questi determinato
- Senso di distinctness (distinzione): L’unicità della propria esperienza di vita rispetto alla vita di altre
persone. Io sono un individuo diverso dagli altri
- Senso di reflection: la capacità di autoriflessione, esser consapevoli di avere consapevolezza. E’ ciò
che ci permette di avere una percezione coerente di noi stessi nel corso del tempo, nonostante le
trasformazioni a cui andiamo incontro.
Il me è costituito da una struttura gerarchica a 3 livelli:
- Materiale: riguarda le conoscenze che il soggetto possiede riguardo al proprio corpo
- Sociale: riguarda le relazioni e i ruoli giocati nei diversi contesti sociali. Il mio posto all’interno del
mondo sociale
- Spirituale: Non coincide sempre con la fede. Riguarda tutte le conoscenze che l’individuo possiede
rispetto alle sue facoltà psicologiche. Implica una certa trascendenza, la percezione di qualcosa che
va oltre me stesso
COOLEY – IL SE’ RISPECCHIATO
Come fa l’io a formarsi questa conoscenza sul me? Attraverso ciò che gli altri mi rimandano: sé rispecchiato.
Io divento me stesso attraverso lo sguardo degli altri. La conoscenza di sé e il sentimento dell’identità si
sviluppa attraverso l’interazione sociale. Attraverso la relazione costruiamo quello che siamo, durante tutto
il corso di vita (e non solo nell’infanzia come voleva Freud). Osservando quanto gli altri mostrano di pensare
di noi (es: sviluppa una buona autostima nel momento in cui gli altri pensano bene di noi).
MEAD (domanda d’esame)
Il sociale è qualcosa che è entrato dentro di noi attraverso processi di interiorizzazione. Io faccio miei i
processi sociali che riguardano le esperienze e i comportamenti. Senza questa interiorizzazione non si
sviluppa né il pensiero né l’intelligenza. Noi non siamo la fotocopia dei nostri genitori, ma abbiamo
interiorizzato valori, norme ed esperienze loro.
Il soggetto non è una mera autocoscienza impenetrabile agli influssi esterni, ma accanto all’io c’è il me. L’io
è ciò che ci distingue l’uno dall’altro (simile a James), mentre il me è l’interiorizzazione delle aspettative
degli altri nei miei confronti e la concezione che gli altri hanno di me. Noi introiettiamo le aspettative degli
altri e su di esse modelliamo la nostra identità, anticipando costantemente le aspettative altrui. Quindi noi
siamo ciò che gli altri si aspettano che noi siamo.
DI fronte a più persone il soggetto svilupperà un ampio corredo di me, che dovranno poi essere sintetizzati
e armonizzati in un quadro coerente. Solo quando avviene questa sintesi si forma il Self, che è la sintesi
armonica ed equilibrata dei diversi me. Per questa corrente che si chiama interazionismo simbolico,
dall’interazione io sviluppo via via delle strutture più complesse. Noi non nasciamo con un’identità, ma essa
si sviluppa nell’interazione con altre persone. La psicoterapia ti dà la possibilità di sviluppare un altro me:
c’è un’altra persona che nell’interazione mi dà la possibilità di vivere un’esperienza relazionale
completamente diversa che può aiutare a cambiare il self. Gli approcci psicodinamici partono da una
ricostruzione della storia personale, perché permette di vedere le rappresentazioni (talvolta inconsce) su
cui il soggetto ha costruito il proprio self.
Le differenti impressioni che ci formiamo nelle diverse situazioni si condensano in un quadro più o meno
stabile del nostro self (es: se ha ad un bambino continuo a ripetere che è una nullità, svilupperà
probabilmente un self insicuro).
L’effetto della socializzazione è sviluppare di prevedere ciò che gli altri si aspettano da noi e comportarci di
conseguenza. Nell’arco dello sviluppo c’è una progressiva interiorizzazione delle aspettative dell’altro. Un
modo di sviluppare questa capacità è l’assunzione di ruolo, che avviene ad esempio nel gioco di finzione,
che è il primo modo in cui noi cominciamo a sviluppare un self, assumendo il ruolo di altre persone in modo
da vedere se stessi dal loro punto di vista. Tipi di gioco per Mead:
 il gioco play: il bambino appena nato riesce ad interiorizzare soltanto le aspettative di figure adulte
specifiche. I bambini piccoli assumono invece il ruolo di altre persone particolari (il genitore, il
dottore, la maestra), imparando a vedere il mondo con una prospettiva che non è la loro. Pian
piano che il bambino cresce, migliorano le sue capacità di astrazione.
 gioco game: i bambini cominciano a partecipare a giochi organizzati, in cui i ruoli sono reali e nello
svolgimento devono tenere in considerazione tutti i ruoli nello stesso momento, favorendo
l’interiorizzazione di un altro generalizzato. Attraverso questo gioco comincio a costruirmi delle
immagini di me diverse (come sono a scuola, all’asilo, coi compagni, ecc…)
 l’altro generalizzato: vengono interiorizzate le aspettative degli altri (so che tutti, la società intera si
aspetta qualcosa da me, sia in generale che in determinati contesti). L’altro viene astratto dal suo
ruolo specifico e si comincia a capire che qualcosa può essere fatto o non fatto in senso generale e
non solo in condizioni specifiche. L’interiorizzazione delle aspettative sociali è il perno
dell’autovalutazione e quindi del concetto di sé. In questo modo gli individui acquistano la
prospettiva di una comunità di attitudini, grazie alla quale cooperano sulla base di regole generali. Il
bambino capisce che all’interno del contesto sociale ci sono delle aspettative e comincia a misurarsi
con esse.
STUDI COGNITIVI (SOCIAL COGNITION)
Il sé è definito come un insieme strutturato di conoscenze auto-riferite, che ha una forma e una sua
struttura.
Il sé è un oggetto di conoscenza, come in James, ed è caratterizzato da:
- forme della conoscenza di sé
- fonti della conoscenza di sé
- organizzazione della conoscenza di sé
- il sé come soggetto con funzioni esecutive e di controllo (Io)
- processi di autoregolazione
FORME DELLA CONOSCENZA DI SE’
Forme di esperienza di sé più immediate  derivano direttamente dalle nostre interazioni con il nostro
mondo fisico e sociale e vengono acquisite precocemente. SI parla di sé ecologico (nello spazio) e sé
interattivo. Sono gli aspetti motori e fisici del sé. Il bambino acquisisce ad esempio un sé muovendosi nello
spazio e manipolandolo. Il linguaggio è solo di contorno.
Forme di esperienza di sé che sono il prodotto di attività di pensiero di tipo riflessivo e astratto  vengono
acquisite più in là dal bambino e derivano da generalizzazioni e astrazioni della nostra esperienza. Ciò
richiede una capacità di riflettere e diventare oggetto del proprio pensiero. Si parla di sé concettuale, sé
esteso e sé privato. Anche qui si passa dall’interazione all’interiorizzazione. Man mano che cresciamo il sé
ecologico (ovvero situato nell’ambiente) diventa più astratto e diventa un sé concettuale, slegato
dall’azione, esteso nel tempo e privato. Il bambino non ha ancora un sé privato ancora (motivo per il quale
la psicoterapia viene condotta sia sul bambino che sui genitori; il bambino è ancora il riflesso delle immagini
speculari che gli rimandano gli altri).
Forme o tipi di conoscenza del sé (Neisser):
1) Sé ecologico  sé come agente del mondo fisico (percezioni ottiche, cinestetiche e compare molto
precocemente)
2) Sé interpersonale  sé agente del mondo sociale (e non più fisico). Tappa di sviluppo più avanzata.
Le informazioni derivano dall’interazione immediata e non riflessiva con un’altra persona (es: il
bambino impara che in presenza di un adulto si sente sicuro, poco sicuro, maltrattato, ecc…).
3) Concetto di sé  insieme delle teorie e delle credenze che le persone elaborano riguardo a se
stesse
4) Sé esteso  in senso temporale. Consapevolezza delle proprie esperienze passate e delle attese nei
confronti del futuro
5) Sé privato  sentimento di unicità e intimità di se stessi e difficilmente condivisibile con altri.
Privatamente riflettiamo su di noi. La psicoterapia ti costringe ad aprire questo sé privato ad
un’altra persona.
Il concetto di sé mette insieme tutto. E’ quella struttura che include tutti i sé descritti precedentemente.
FONTI DELLA CONOSCENZA DI SE’
Influenza della cultura e delle pratiche educative che forniscono le linee guida entro le quali costruire la
propria teoria del sé. Fonti:
- Introspezione: guardare al proprio interno, conoscere i propri pensieri, sentimenti
- Osservazione del proprio comportamento, soprattutto quando gli stati interni sono deboli o poco
chiari
- Interazione sociale: sé rispecchiato, identificazione sociale e stigmatizzazione, confronto sociale.
Teoria del confronto sociale (Festinger)  la conoscenza in assoluto delle nostre caratteristiche è poco
informativa se non confrontata con le caratteristiche di altre persone. SI ricorre frequentemente al
confronto sociale soprattutto in condizioni di incertezza. Il confronto può avvenire verso l’altro o verso il
basso, attraverso il principio di similarità. Se ho bisogno di rafforzare la mia autostima o apparire in luce
positiva (innalzare il proprio sé) cercherò di confrontarmi con chi è più in basso; se ho invece voglio
raggiungere un buon grado di accuratezza circa le mie caratteristiche o ho delle mete di autoaccrescimento mi andrò a confrontare con chi è più in alto. Tutto dipende dagli stati interni
Motivazioni che possono sottendere la ricerca di informazioni su di sé:
- Autoaccrescimento  tutti noi abbiamo il desiderio di migliorarci e accrescere il valore positivo di
noi stessi nei domini in cui sappiamo di valere
-
Autoverifica  desidero mantenere un’immagine stabile di me. Ricostruisco il passato sulla base
del presente; la stabilità e il cambiamento influenzeranno i giudizi che posso dare del mio passato e
del mio presente.
La motivazione all’autoverifica è più forte rispetto a quella dell’auto-accrescimento. Entrambi condizionano
la scelta dei propri partner interattivi.
INDIVIDUALISMO E COLLETTIVISMO
Venire da una società collettivistica è diverso dal venire da una individualistica, perché queste culture
condizionano i processi di socializzazione, che portano ad uno sviluppo cognitivo diverso.
Il collettivismo si basa sul noi; si basa sulla similarità e sul senso di appartenenza. La priorità è degli scopi
del gruppo e non di quelli personali. Il comportamento è regolato dalle norme dell’ingroup, che determina
quali sono i valori e gli obblighi più importanti (integrità familiare, sicurezza, obbedienza, conformità). Le
relazioni vengono enfatizzate anche quando svantaggiose.
Individualismo: differenziazione, enfasi sull’Io (io sono diverso da te). Priorità degli scopi personali su quello
dell’ingroup. Comportamenti regolati da bisogni, diritti personali (achievement, edonismo, competizione).
Le relazioni sono regolate dall’analisi dei costi e dei benefici.
Dalla cultura collettivista emerge il sé interdipendente, mentre da quella individualista un sé autonomo
(guardare tabella su slide).
SOCIAL NETWORK COME FONTE DI CONOSCENZA DI SE’?
I social network possono essere fonte di conoscenza di noi stessi? Le ricerche indicano che la natura della
presentazione di sé varia a seconda della natura del setting su cui stiamo navigando. Negli ambienti
anonimi (es: MMORPG, chat rooms) lo scopo è reinventare il sé per la produzione e costruzione di una
nuova identità. In un ambiente non anonimo (es; facebook, instagram) io invece attualizzo un’identità
desiderata che non riesco a realizzare nelle interazioni faccia a faccia.
Un’altra ricerca ha messo ricercato gli aspetti visuali, culturali e narrativi che inseriamo nei social network:
- visuale (foto) il sé un attore. Nel sé
- culturale (interessi, hobby) il sé è un consumatore
- narrativa (io sono….) il sé è in prima persona.
C’è sempre un’identità, con la differenza che nel visuale è implicita, mentre negli altri 2 più esplicita.
Le persone cercano di creare immagini positive socialmente desiderabili di sé, privilegiando descrizioni che
lasciano emergere caratteristiche di socievolezza, popolarità, buone abilità e sensibilità. Si tratta di identità
possibili desiderate, non ancora raggiunte nel mondo offline, ma alle quali gli individui aspirano.
L’identità non è solo quindi la risultante di un processo di elaborazione di informazioni provenienti
dall’interno o dall’esterno, ma anche di un’esigenza di posizionamento all’interno di un contesto. Il sé
sociale è nei processi così come nei contenuti. L’io non è più soltanto un elaboratore di informazioni, ma
anche un attore sociale.
RAPPRESENTAZIONE DELLA CONOSCENZA DI SE’
Il concetto di sé è dato da un insieme di immagini e rappresentazione che l’individuo ha di sè, che si
acquisiscono attraverso l’esperienza e di cui l’individuo è consapevole.
L’esperienza (stati d’animo, comportamenti, reazioni degli altri, interazione sociali) mi porta degli stimoli. Io
elaboro le informazioni come uno scienziato ingenuo, attraverso processi di rilevazione, selezione,
organizzazione e fissazione in memoria. Dopo generalizzo e organizzo in categorie omogenee e funzionali
tali informazioni (strutture di conoscenza). Queste strutture di conoscenza riguardano non solo gli stimoli
esterni, ma anche me stesso (la mia descrizione sarà sempre più articolata rispetto a quella degli altri), in
termini di strutture cognitivo-affettive. I cani ad esempio non sono in grado di riflettere su stessi e i propri
stile comportamentali; non ha neanche un concetto di tempo. Per il cane o io ci sono o non ci sono. Per lui
anche se torno dopo un minuto piuttosto che 2 ore è la stessa cosa.
Non si tratta di un sistema monolitico, ma abbiamo tante dimensioni; un insieme diversificato di attributi
che sono organizzati in una gerarchia:
- Schemi di sé  conoscenze più complesse, stabili e centrali. Sono gli aspetti in cui siamo più
schematici (dimensioni fondamentali per noi). Dalle esperienze che abbiamo avuto che creano nel
tempo l’impalcatura e gli aspetti strutturali della nostra identità, ovvero i nuclei tematici.
- Concezioni di sé  conoscenze più episodiche, dipendenti dal contesto in cui vengono attivate.
Sono dimensioni periferiche verso cui siamo aschematici (dimensioni più irrilevanti per noi).
Abbiamo tanti nuclei tematici quanti sono i nostri ambiti (concetti di noi stessi come studenti,
amanti, figli, amici, cugini, ecc…). Il sé è quindi una gerarchia di questi nuclei che sono contesto
specifici. Quando penso ad un contesto mi valuto in un certo modo, che è diverso da contesto a
contesto.
SCHEMI DI SE’
Derivano da generalizzazioni basate su esperienze passate, che vengono poi rielaborate attraverso processi
inferenziali.
Insieme di conoscenze legate e specifici domini di competenza o di comportamento del soggetto. Sono
anche le dimensioni cognitive e affettive con le quali i soggetti si descrivono. Sono le dimensioni centrali del
concetto di sé.
Uno schema di sé contiene sentimenti (es: sono una persona allegra, rabbiosa, ecc…), pensieri (es: per me
l’uguaglianza è importante), attributi individuali (es: sono alto). Derivano dalla collocazione degli individui
all’interno della struttura sociale e sono costruzioni creative e selettive.
SE’ POSSIBILI
Dallo schema di sé si creano i sé possibili, ovvero rappresentazioni cognitive relative a ciò che le persone
possono, vogliono (sé desiderato) o temono di diventare (sé temuto). Tutto questo non riguarda il
presente, ma un’anticipazione. Quindi lo schema di sé mi aiuta ad immaginare quello che voglio diventare.
Questi sé desiderati e temuti vengono chiamati sé possibili, che diventano mediatori dell’esperienza,
funzionando da incentivi all’azione e comportamento. Promuovono comportamenti atti ad aumentare o
ridurre la discrepanza percepita tra sé attuale e sé possibile, riducendo la distanza tra sé attuale e sé
desiderato. Oltre che a proiettarmi nel futuro, i sé possibili aiutano a valutarmi fornendo un contesto
valutativo ed interpretativo del sé attuale.
DISCREPANZE DEL SE’
Sé attuale  come l’individuo si percepisce nel presente
Sé ideale  aspirazioni più profonde dell’individuo
Sé imperativo  come dovrebbe essere per soddisfare le altrui aspettative
Una discrepanza tra sé attuale e sé ideale porta a disagio, inadeguatezza, tristezza, chiusura in sé e
depressione.
Una discrepanza tra sé attuale e sé imperativo porta a stati di agitazione e ansia sociale.
Il narcisista invece ha una discrepanza tra sé attuale e sé ideale.
COMPLESSITA’ DEL SE’
Bassa complessità  rappresentazione di sé organizzata attorno ad un numero limitato di elementi tutti
strettamente interconnessi. Le persone con bassa complessità sono persone che investono tutto in una
cosa. Questo consente di essere più approfonditi in quello che si fa, ma dall’altro se c’è una sconfitta in quel
campo si prova grosso dolore. Le persone a bassa complessità rischiano di stare peggio, perché nel
momento in cui prendo un voto all’esame e per me lo studio è il mio principale interesse, la mia identità
rischia di essere minata.
Alta complessità  rappresentazione di sé organizzata attorno ad un numero ampio di elementi autonomi
ed interdipendenti. E’ quella che protegge maggiormente il sé dagli eventi negativi.
Le persone con alta complessità del sé, sono quelle che hanno un numero ampio di interessi. Da un lato ci
rende meno approfonditi, ma dall’altro mi protegge molto bene di fronte ad un fallimento.
Un’organizzazione più complessa è costituita da aree valutative distinte e garantisce una maggiore stabilità
affettiva e protegge il sé agli eventi negativi.
SE’ OPERATIVO
E’ la costellazione di concezioni di sé accessibili alla memoria in questo determinato momento. Il sé
operativo si attiva in base a:
- disponibilità di concetti di sé già presenti in memoria (es: se ti chiedo come ti vedi da vivisezionista
è difficile perché non abbiamo rappresentazioni presenti)
- caratteristiche della situazione sociale (in questa determinata circostanza di cosa di me è
opportuno che io parli?)
- motivazione (qual è il mio scopo in questo momento? Desiderio di conservare l’immagine di sé,
mantenere coerenza, cambiare o rafforzare il sé).
E’ quello che è vivo e attivo in questo preciso momento nel qui ed ora.
Il sé operativo è una guida che ci aiuta a muoverci e influenza il modo in cui le informazioni su di sé e sugli
altri vengono raccolte ed organizzate (processi intrapersonali). Il sè come funzione anticipatoria: gli schemi
di sé facilitano il recupero in di informazioni, influenzano la memoria, permettono di fare inferenza al
servizio del sé, influenzano la percezione degli altri. Le informazioni possono essere ricordate con più
facilità se sono riferite al sé. Noi filtriamo le informazioni che ci provengono dagli altri sulla base del nostro
schema.
Il sé operativo influenza anche le mie relazioni con gli altri (processi interpersonali). Il sé come funzione di
autoregolazione del comportamento (percezione sociale e strategie interattive)
SE’ COME SCHEMA ANTICIPATORIO
Gli schemi di sé:
- facilitano il recupero di informazioni  le informazioni possono essere ricordate con più facilità se
sono riferite al sé, in quanto il sé è la struttura più ricca ed elaborata di conoscenza immagazzinata
in memoria
- influenzano la memoria autobiografica (teoria sulla stabilità e il cambiamento)
- permettono di fare inferenze al servizio del sé (bias attribuzionali: Greenwald)
- influenzano la percezione degli altri (falso consenso)
SE’ COME COSTRUTTO TOTALITARIO (GREENWALD)
Il sé comprende i processi di inferenza, di giudizio, di attribuzione e di ricordo.
Ci sono 3 tipi di errori cognitivi usati dagli individui per mantenere o migliorare la propria autostima:
- Egocentralità: tutto ciò che riguarda il mio ego lo ricordo meglio. Focalizzazione sui contenuti del sé
durante i compiti di giudizio e di memoria (bias di autoefficacia)
- Fare bene e farlo con competenza (benefactance): nel valutare i propri comportamenti le persone
tendono ad accrescere la stima di sè. Sovrastima delle caratteristiche positive e del proprio
contributo alla realizzazione di un compito (bias di attribuzione)
- Conservatorismo cognitivo: resistenza ai cambiamenti. L’idea di cambiare l’immagine di noi stessi ci
fa vacillare (fatica su cui la psicoterapia va proprio a lavorare). Noi cerchiamo rassicurazioni che
siamo nel giusto, ricerchiamo le situazioni che confermano le concezioni di sé, recuperiamo
selettivamente le informazioni presenti in memoria e distorciamo i nostri ricordi autobiografici
(teorie implicite della stabilità/cambiamento)
TEORIE IMPLICITE SULLA STABILITA’ E CAMBIAMENTO DEL SE’
Esse guidano la ricostruzione del proprio passato per renderlo più congruente con il sé attuale per
preservarlo.
Teoria della stabilità  concettualizzare il sé passato come simile al sé presente (percezione del sé come
invariato nel tempo (es: sin da bambino sono stato così). Sottostimo le differenze
Teoria del cambiamento  concettualizzare il sé passato come diverso dal sé presente (cambiamento della
concezione del sé). Attribuiamo tale cambiamento ad esperienze vissute nel corso della nostra vita e
sovrastimiamo le differenze con il sé passato.
SE’ COME REGOLATORE DEL COMPORTAMENTO
Le concezioni del sé diventano dei mediatori delle azioni:
- selezioniamo dei piani e strategie di azione e otteniamo dei feedback dal mondo esterno
- Il sé regola le condotte sulla base di scopi, valori e competenze e perché seleziona le strategie per
ottenere questi scopi e raggiungere i miei obiettivi.
- autoregolazione, ovvero il sé regola le azioni sulla base delle conoscenze che ha di se stesso. E’ uno
standard che ci permette di vedere se le azioni che metto in atto vanno in quella direzione o meno.
Teoria dell’autoconsapevolezza  Affinchè il concetto di sé possa orientare i comportamenti, l’attenzione
deve essere rivolta verso il sé, ovvero devo rendermi consapevole di me stesso. Le persone confrontano il
comportamento (input; percezione della situazione) con standard interni (autoconsapevolezza privata;
senso idealizzato del sé: è lo standard con cui confrontare le azioni messe in atto) ed esterni
(autoconsapevolezza pubblica). Se trovo una discrepanza sono in uno simile alla dissonanza cognitiva, uno
stato di tensione e disagio che mi deve aiutare a modificare qualcosa del mio comportamento.
Ciclo cibernetico della regolazione del sé: autoconsapevolezza  confronto  monitoraggio, valutazione,
rinforzo o cambiamento delle azioni messe in atto
Il sé media non solo i comportamenti diretti ad uno scopo, ma anche i comportamenti interpersonali:
- Automonitoraggio e strategie di confronto sociale. Minore è l’automonitoraggio, maggiore sarà il
confronto sociale
- Scelta delle situazioni interattive: io cerco le situazioni sociali in cui posso sentirmi a mio agio e che
diventano il nutrimento del sé
- Gestione della propria presentazione pubblica del sé: non raccontiamo tutta la nostra vita ad una
persona che non conosciamo, ma vogliamo dare una visione positiva di noi stessi pubblica.
ALTRI MODELLI EVOLUTIVI
Cambiamento del contenuto: passo da contenuti di tipo fisico a contenuti psicologici. I primi non
scompaiono, ma rimangono dentro di noi e al crescere dell’età vengono reintegrati e organizzati in
astrazioni superiori e in concezioni di sé più complesse e differenziate (concezione lineare dello sviluppo)
Modello Greenwald  rappresentazioni mentali del sé distinte in cinque livelli gerarchicamente ordinati:
- Caratteristiche: all’inizio il sé viene rappresentato come direttamente legato ai processi sensoriali,
che ci danno la prima distinzione tra sé e l’altro.
- Oggetti: organizziamo gli oggetti sulla base delle loro caratteristiche. Separiamo l’oggetto dallo
sfondo e lo generalizziamo. L’oggetto viene distinto dal contesto
- Categorie: raggruppamento degli oggetti in classi e valutazione delle loro analogie e differenze
- Proposizioni: le categorie diventano frasi, ovvero colleghiamo queste categorie di oggetti in base
alle funzioni che svolgono (es: la penna serve per scrivere; l’acqua serve per bere). Quindi comincio
a distinguere il mondo sulla base delle funzioni.
- Schemi: livello di astrazione molto più alto, che collega categorie, oggetti, ecc…. E’ il livello di
astrazione massima fatto di script, frame, modelli mentali che collegano tra loro le proposizioni
(coerenza narrativa, equilibrio cognitivo, coerenza con se stessi)
Modello Harter  Il concetto di sé cambia nel corso dello sviluppo, sia in funzione del contenuto che della
struttura:
-
-
Contenuto: da attributi direttamente osservabili si passa ad attributi psicologici. I primi non
scompaiono, ma rimangono dentro di noi e al crescere dell’età vengono reintegrati e organizzati in
astrazioni superiori e in concezioni di sé più complesse e differenziate
Cambiamento nella struttura: riguardale modalità di organizzazione delle conoscenze. 4 stadi che
seguono il modello di sviluppo cognitivo proposto da Piaget: noi attraverso progressivi processi di
assimilazione e accomodamento integriamo le esperienze in forme nuove di pensiero. Le
conoscenze di organizzano anche secondo processi di generalizzazione e differenziazione
Modello multidimensionale  ci sono 3 dimensioni della conoscenza di sé:
- Me come oggetto: tutti gli schemi fisici, legati ad attività, sociali e psicologici
- Io come soggetto: sentimento di unicità (io che rifletto su di me in quanto unico, irripetibile) ed
efficacia
- Livelli di sviluppo: l’organizzazione della conoscenza avviene ad ogni fase della nostra vita (infanzia,
adolescenza, età adulta) secondo:
 Identificazioni categoriali
 Valutazioni comparate
 Implicazioni interpersonali
 Piani e credenze sistematiche
APPROCCI SOCIALI
Individuo  attivo
Contesto sociale  non è un sociale vago, ma ben organizzato secondo più livelli (interazioni,
comunicazioni, appartenenze)
Rapporto  embricato, ovvero i due poli sono collegati, l’uno emerge dall’altro (la mia identità nasce dal
contesto e il contesto è influenzato dalla mia identità)
Livelli di analisi  interpersonale, intragruppo e sociale
Contenuti del sé  si studiano i ruoli sociali, le appartenenze, i valori di riferimento.
Processi  interiorizzazione delle definizioni sociali costruite nelle interazioni, negoziate e comunicate
socialmente con gli altri
Funzioni  partecipazione alla comunità sociale, guidare le azioni sociali e definire la propria posizione nel
contesto.
TURNER
Uno degli studiosi più importanti che si è occupato di identità (allievo di Tajfel) alla riscoperta del ruolo
attivo dell’Io nei processi di scoperta e costruzione della conoscenza di sé.
La concezione di sé che si forma funge da guida per il comportamento. Nasce dal confronto che gli autori
realizzano in situazioni orientatE all’identità. Noi abbiamo delle concezioni di noi molto precise e altre che
dipendono dal contesto in cui siamo. In alcune circostanze viene attivata una certa identità piuttosto che
un’altra. Gli individui non solo hanno la possibilità di osservare e scoprire la propria identità attraverso le
interazioni (self discovery), ma possono anche affermare nell’interazione il tipo di persona che vogliono
essere (self affirmation).
6 livelli dell’esperienza di sé, collocati lungo un continuum che va da una concezione disarticolata e
contestuale di sé, a immagini di sé cariche di significati emotivi, vero un individuo sempre più consapevole e
attivo nel processo di costruzione del sè:
- Concezione non articolata di sé  concezione del bambino molto piccolo, dello psicotico. SI tratta
di un’identità molto confuso e non articolata. Lo psicotico ad esempio non riesce a distinguere
l’interno dall’esterno. Tutto è mischiato, non c’è una gestalt.
- Identità contestuale  persone che non hanno un grande concetto di sé, ma si adattano facilmente
a tutte le situazioni. Permette molta flessibilità, ma scarsa coerenza con se stessi. Sono persone che
non hanno idee precise e si fanno influenzare molto dalle contingenze.
- Identità non valorizzata (livello di categorizzazione)  il bambino comincia a riflettere a quale
categoria appartiene. Io sono maschio e tu sei femmina, tu sei bianco io sono nero, ecc… Per il
momento non hanno un valore emotivo queste categorizzazioni, ma sono solo constatazioni.
L’individuo comincia a capire di appartenere a determinate categorie.
- Identità sociale (identificazione)  la persona attribuisce un valore alle categorie. La persona si
identifica con una categoria, attribuendogli anche un valore emotivo. C’è un investimento molto
importante e le categorie cominciano anche a diventare più complesse
- Personificazione (individualizzazione)  dal contesto sociale mi individualizzo. Pur appartenendo
ad una categoria, riconosco la mia differenza e unicità rispetto ad essa. Tipico dell’adolescenza.
Considero in maniera più critica il contest da cui vengo, comincio a negoziare con l’adulto la mia
identità. SI percepisce si un’identità comune, ma si è anche individuati, diversi, unici.
- Identità personale
Per Turner quindi l’identità parte dal sociale e non il contrario.
TEORIA DELL’IDENTITA’ SOCIALE (SIT) – TAJFEL (domanda d’esame)
L’individuo vuole mantenere o raggiungere un’immagine positiva di sé (aspetto motivazionale). Questo
porta gli individui a costruirsi gradualmente un’identità sociale, attraverso una serie di processi:
- Categorizzazione  accentuazione differenze inter-categoriale e sottostima delle differenze intracategoriale. Mi fa diventare autoconsapevole.
- Identificazione  se per me una certa categoria è irrilevante, non mi identico con esso. Posso
anche appartenere a quella categoria, ma per me non è rilevante. Qui entra quindi in gioco un
aspetto emotivo.
- Confronto sociale  confronto con persone appartenenti a categorie diverse. Questo permette di
capire le proprie specificità e peculiarità + connotazioni di valore. Importante per disconfermare
anche determinate categorie.
Il raggiungimento di un’immagine positiva di sé deriva anche dall’appartenenza di gruppo. Si parla quindi di
identità sociale, ovvero quella parte dell’immagine di sé che è legata all’appartenenza ad un gruppo o
categoria e ha un grande significato emotivo associato a quella categoria (domanda d’esame). La parte
quindi dell’immagine che un individuo fa di se stesso, che deriva quindi dalla consapevolezza di
appartenere ad un determinato gruppo e ad un attribuzione di valore e significato emozionale associato
all’appartenenza al gruppo stesso.
Se questi gruppi non permettono più di mantenere o raggiungere un’immagine positiva di sé, cosa
succede? Allora posso cambiare un gruppo? Il passaggio tra categorie è molto complesso e delicato.
Strategie che individua Tajfel:
- Mobilità sociale  cambio luogo e contesto in cui l’appartenenza ad una determinata categoria
non crea discrepanza. Riguarda l’individuo, che sceglie attivamente di spostarsi da un punto ad un
altro. Questo abbandonare un gruppo ha psicologicamente degli effetti devastanti. La persona
perde un pezzo di sè e il gruppo inoltre può far sentire in colpa la persona, esercitando una certa
pressione affinchè rimanga all’interno del gruppo. L’abbandono può essere oggettivo o anche solo
psicologico (distacco cognitivo ed emotivo). E’ più implicata la mia identità individuale.
- Cambiamento sociale  quando non è possibile abbandonare un gruppo. Non è un cambiamento
individuale, ma un cambiamento collettivo. Nel confronto sociale con l’altro gruppo, visto che non
posso passare da un gruppo all’altro, cambio il valore associato a quella categoria (es: femminismo,
aparteid). E’ quindi un tentativo di migliorare tutto il gruppo. Se la mia appartenenza al gruppo è
legata ad un valore, questa appartenenza non mi soddisfa più e non è possibile cambiare gruppo,
allora si metterà una strategia di questo tipo. E’ più implicata la mia identità sociale.
TEMATICHE AFFRONTATE DAGLI STUDI SULLA SIT
-
Multi-componenzialità delle identità sociali e tipi di identità sociali
Elementi motivazionali alla base dell’identificazione sociale (funzioni dell’identità sociale)
Rapporto tra identità sociale e identità personale (integrazione delle identità sociali nell’immagine
di sé)
Strategie di affermazione o di difesa dell’identità sociale
Identità sociali e azioni
CONTENUTI DELL’IDENTA’ PERSONALE E SOCIALE
Identità personale  attributi che sono propri dell’individuo e che rinviano a specificità individuali. E’
ideocentrica e mette in evidenza la differenza
Identità sociale  caratteristiche che le persone possiedono in virtù della loro appartenenza ad un gruppo.
E’ allocentrica e mette in evidenza la similitudine.
In mezzo abbiamo l’identità di ruolo, ovvero concezioni di sé che derivano dalle posizioni che gli individui
occupano all’interne delle strutture sociali nelle quali sono coinvolti in relazioni di ruolo reciproche (es:
lavoro). Quindi che posizione ho io all’interno del gruppo.
MULTICOMPONENZIALITA’ DELL’IDENTITA’ COLLETIVA
Identità collettiva (domanda d’esame):
- Auto-categorizzazione  definizione di se stesso come membro di un gruppo
- Valutazione  Atteggiamento positivo o negativo nei confronti del gruppo di appartenenza
- Attaccamento  legame emotivo con il gruppo
- Importanza  importanza e centralità dell’identità sociale nella più generale immagine di sè
- Radicamento sociale  implicazioni nelle relazioni sociali
- Pratiche  grado di partecipazione alle attività promosse dal gruppo di appartenenza
- Contenuti e significati attribuiti alle caratteristiche del sé  spazio semantico relativo ai propri
attributi personali, alle credenze sul gruppo (ideologie) e alle rappresentazioni narrative
Riflessioni critiche  Le persone possono essere consapevoli di appartenere ed essere riconosciute come
appartenenti ad un gruppo, senza essere emozionalmente legate.
Possono anche essere legate emotivamente ad un gruppo, ma allo stesso tempo riconoscere delle
caratteristiche negative del gruppo stesso (entra in contraddizione con l’idea di Tajfel dell’immagine
positiva di sé: una persona quindi può stare in un gruppo in cui non vi è affermazione di un’immagine
positiva di sè). Non sempre i membri di un gruppo lo valutano positivamente.
E’ importante inoltre distinguere diversi tipi di identità sociale, che può variare a seconda:
- Della natura dei gruppi (artificiali, naturali, astratti, che implicano interazioni concrete)
- Dei comportamenti intergruppi
- Delle funzioni dell’identificazione sociale
TIPI DI IDENTITA’ SOCIALI : INDIVIDUALISMO/COLLETTIVISMO – AUTONOMO/RELAZIONALE
Individualismo  interesse verso le attività individuali.
Collettivismo  interesse verso attività interdipendenti e cooperative
Si vanno ad incastrare con altre 2 modalità relazionali, che sono l’essere persone autonome o persone
relazionali, che riguardano il modo di percepirsi di una persona. Es: persona molto competitiva con se
stessa, ma poco con gli altri  persona autonoma
Se scopro ed esulto che ho preso 28 e che questo è stato il voto più alto della classe  persona relazionale
Individualismo – autonomo  gruppi professionali con alto turnover (es: liberi professionisti)
Individualismo – relazionale  gruppi diversi all’interno di un’azienda
Collettivismo – autonomo  gruppi di hobby, gruppi terapeutici
Collettivismo – relazionale  team sportivi, partiti politici
I processi postulati dalla SIT sono tipici più dei gruppi o degli individui ad orientamento collettivista e
relazionale.
TIPI DI IDENTITA’ SOCIALE (DEAUX)
-
-
Relazionale  appartenenze che vengono definite a partire dalla somiglianza percepita nei
confronti di alcune persone e dalle relazioni con loro stabilite. Implicano un aspetto relazionale con
l’altro. Se sono moglie vuol dire che c’è un marito, se sono figlio vuol dire che c’è una madre, ecc…
Sono categorie che non possono esistere che un’altra categoria complementare.
Professionali  studente, musicista, segretario, scienziato, ecc…
Affiliazione politica  democratico, pacifista, radicale, femminista, ecc…
Stigmatizzata  per Tajfel è un problema da risolvere (es: senzatetto, malato di AIDS, anziano,
grasso, gay)
Etnico-religiosa  cattolico, americano, spagnolo, afro-americano, ecc…
ASPETTI MOTIVAZIONALI
Stare in un gruppo risponde a diverse esigenze:
- Stima di sé  privata e collettiva
- Riduzione degli stati di tensione  derivanti dall’incertezza nel capire e interpretare il mondo
- Distintività ottimale  voglio si essere parte del gruppo, ma voglio anche avere una mia specificità
all’interno del gruppo. E’ il punto perfetto di equilibrio tra il bisogno di appartenere e quello di
essere unici, irripetibili, diversi, distinti. Dipende dal contesto in cui siamo. Se siamo in un contesto
di competizione con un altro gruppo, diventa molto più rilevante l’appartenenza al gruppo. Nel
momento di quiete diventa più importante invece l’unicità. Dipende anche dalla cultura
individualista o collettivista in cui siamo collocati.
Il modello precedente considera il soddisfacimento di bisogni individuali, ma alla base dell’identità ci sono
anche bisogni interpersonali e collettivi (Deaux):
- Individuali  conoscenza di sé, necessità di sentirsi migliori degli altri membri del gruppo,
autostima
- Interpersonali  bisogno di interagire e di essere coinvolti in relazioni intime
- Collettivi Ho bisogno di confrontarmi con l’altro (confronto e competizione con altri gruppi e/o
cooperazione e coesione all’interno di un gruppo). Quando c’è competizione inter-gruppo, spesso
c’è coesione intra-gruppo. Riguarda anche il periodo storico in cui si è collocati. Es: americani, che
pur essendo molto diversi fra di loro nei singoli stati (leggi diverse, pena di morte presente o
assente, marijuana legale o illegale) hanno una forte identità sociale. Questo perché la loro politica
è volta alla competizione, a creare un nemico esterno che va a fortificare la coesione intra-gruppo.
Noi italiani invece non siamo molto guerrafondai anche storicamente e non abbiamo un nemico
esterno.
Non tutte le identità sociali soddisfano gli stessi bisogni e possono svolgere più funzioni.
I bisogni individuali ci fanno sentire più o meno identificati con questo o altro gruppo. Sono preponderanti
nelle prime fasi di costituzione di un gruppo.
I bisogni collettivi vengono soddisfatti solo in un secondo momento. Dopo che il gruppo è diventato
qualcosa di funzionale per i miei obiettivi, emergono tutta una serie di bisogni collettivi, in cui si rinsalda
l’appartenenza di gruppo.
IDENTITA’ SOCIALI E AZIONI
I bisogni condizionano anche le azioni dei soggetti: bisogni (individuali vs collettivi)  identificazione (forte
vs debole)  comportamento (individualista vs collettivista)
Se abbiamo bisogni individuali, bassa identificazione e comportamenti orientati al soddisfacimento dei
propri bisogni, siamo verso l’individualismo  mobilità sociale
Se abbiamo bisogni collettivi, alta identificazione e comportamenti orientati al soddisfacimento dei bisogni
di gruppo (es: accrescere lo status, aumentare la coesione), allora siamo in un’ottica di collettivismo 
cambiamento sociale.
IDENTIFICAZIONE E PROCESSI DI AUTOREGOLAZIONE SOCIALE
2 assi: attenzione su di sé e salienza dell’identificazione.
RAPPORTO TRA IDENTITA’ SOCIALE E IDENTITA’ PERSONALE
La SIT (Tajfel) e la SCT – teoria della categorizzazione del sè (Turner) sono due teorie in cui l’identità sociale
e quella personale possono essere considerate ora come antagonisti ora come compresenti.
Livelli di categorizzazione del sé (Turner)  noi ci categorizziamo a 3 livelli:
- Subordinato: categoria poco inclusiva. Include solo me, la mia identità personale
- Intermedio: si parla di identità sociale
- Sovraordinato: livello che non ci fa essere più nemici. Di fronte ad una minaccia si crea una maggior
coesione (es: identità di essere umano)
Si tratta di livelli gerarchici a crescenti livelli di inclusività e astrazione, che diventano prevalenti a seconda
del contesto di riferimento.
Tutti noi in determinati momenti, possiamo definirci in ciascuno di questi livelli. Turner dice che c’è un
antagonismo, non posso esserci tutte contemporaneamente. Se c’è una non c’è l’altra (domanda d’esame).
Critiche:
- modello della covariazione (Deschamps) – ipotesi della continuità funzionale  identità personale
e sociale possono coesistere e variare assieme: Questo dipende dal potere: appartengo ad un
gruppo dominante o dominato? Gli individui che appartengono ad un gruppo dominato, ovvero
svantaggiato nell’ambito del potere sociale, si percepiscono loro stessi come degli aggregati. Nei
gruppi dominanti invece, gli individui si percepiscono più come individui (es: i manager si
percepiscono tutti in modo diverso rispetto agli altri, anche se fanno parte dello stesso gruppo; gli
operai invece non si percepiscono tanto diversi l’uno dall’altro, ma come un aggregato. Gli operai si
percepiscono come uno uguale all’altro e intercambiabili. E’ una percezione dell’operaio e del
manager verso se stesso.
- Modello gerarchico o integrazionista (Deaux) – ipotesi della continuità strutturale  le strutture di
conoscenza di sé nella maggior parte dei casi contengono sia attributi personali che sociali, che
possono variare da individuo a individuo e da contesto a contesto. Posso ad esempio essere
contemporaneamente fratello, amico, buon ascoltatore, consigliere, divertente (cluster 1),
studente, non dotato, logico, disciplinato (cluster 2), attivista, avvocato, ateo, scettico, interessato,
non soddisfatto (cluster 3)
- Teoria dei “due basket”  posso definire il mio sé collettivo in funzione di cosa mi rende diverso
dagli altri (definisco il mio sé collettivo attraverso il mio sé personale) oppure definire il mio sé
personale in funzione di cosa mi rende simile agli altri (definisco il mio sé personale attraverso il
mio sé sociale)
IDENTITA’ SOCIALI MULTIPLE
Come le molteplici categorie/gruppi ai quali le persone appartengono vengono rappresentate
cognitivamente all’interno dell’immagine di sé.
Indicatori utilizzati:
- Percezione di similarità tra i valori e le norme prototipiche dei due gruppi
- Percezione che due gruppi facciano parte gli stessi membri o meno
Più una rappresentazione è complessa, più si associa ad atteggiamenti più tolleranti nei confronti
dell’outgroup.
L’accessibilità di una rappresentazione complessa è legata comunque a fattori cognitivo-motivazionali
(chiusura cognitiva, tolleranza nei confronti dell’ambivalenza, importanza attribuita ad alcuni valori) e alle
caratteristiche della situazione (distintività, sovraccarico cognitivo, stress, minaccia dell’ingroup) che
impattano sulle risorse attentive.
STRATEGIE DI DIFESA DELL’IDENTITA’ SOCIALE E CONDIZIONI CHE NE FAVORISCONO L’ATTIVAZIONE
Siamo sempre all’interno della SIT di Tajfel e della SCT di Turner e delle strategie basate sulla mobilità e sul
cambiamento sociale, per far fronte ad un’identità sociale negativa. Quali sono le condizioni che
favoriscono l’utilizzo di una della due strategie dette sopra? Innanzitutto i confini, che possono essere rigidi
o permeabili (se voglio diventare un medico i confini non sono rigidi, ma permeabili; diverso è il caso in cui
volessi diventare un uomo essendo donna, qui i confini sono molti rigidi).
Poi abbiamo la legittimità. Nella nostra società profondamente condizionata dalla cultura cattolica, il trans
non è molto legittimato al cambio di sesso; c’è lo stigma. Se vai in Brasile invece le famiglie prevedono
culturalmente che si possa cambiare sesso liberamente senza implicazioni emotive, al punto che si parla di
terzo sesso. La legittimità dipende quindi molto dal contesto in cui siamo collocati.
Se queste condizioni non ci sono, l’individuo può solo provare ad attuare un cambiamento sociale.
Mobilità sociale:
- Risposta comportamentale  mobilità individuale, assimilazione
- Risposta cognitiva  individualizzazione o personificazione
Cambiamento sociale:
- Risposta comportamentale  competizione
- Risposta cognitiva:
 Cambiamento nella dimensione del confronto: ri-valutazione, creazione di nuove
dimensioni del confronto
 Cambiamenti nell’oggetto del confronto: individuazione di nuovi gruppi di confronto,
confronti temporali, confronti con standard
 Cambiamenti nel livello di categorizzazione: categoria sovra-ordinata (categoria grande, es:
essere umano) o sotto-ordinata (es: sottocategorie, es: bionda, mora, ecc…). E’ quello che è
successo durante le persecuzioni razziali, dove si de-umanizza la persona. Faccio fuori un
ebreo perché non lo considero uomo; se non è uomo ed è altro, io posso applicare su di lui
dei comportamenti disumani, perché non appartiene alla categoria sovra-ordinata
dell’essere umano.
Condizioni che possono favorire l’utilizzo delle strategie:
- Posizione sociale del gruppo (può essere incerta, dominante o dominata) a cui l’individuo
appartiene o dell’individuo stesso
- Percezione di sicurezza o minaccia alla propria identità
- Possibilità concrete e realistiche di ricorrere a specifiche strategie di difesa
Queste condizioni, in cui rientrano sia fattori soggettivi che fattori sociali, creano lo spazio di vita nel quale
la persona si muove. Ad esempio in occidente un fattore sociale importante può essere il reddito e se noi
siamo una persona conformista, allora per me avere un certo reddito diventa un valore importante.
Condizioni che possono attivare forme di mobilità e cambiamento sociale:
- Condizioni sociali: confini tra i gruppi, relazioni di status tra i gruppi:
 Mobilità sociale  confini permeabili e sistema sicuro, stabile e legittimo
 Cambiamento sociale  confini rigidi e sistema insicuro, instabile e illegittimo
- Condizioni psicologiche: identificazione, deprivazione sociale relativa (mi sento deprivato quando
ho delle aspettative che non vengono soddisfatte; non è una deprivazione assoluta, ma relativa, in
quanto dipende dalle mie aspettative), funzioni attribuite al gruppo:
 Mobilità sociale  identificazione bassa, deprivazione relativa bassa e funzioni orientate
agli scopi individuali
 Cambiamento sociale  identificazione alta, deprivazione relativa alta e funzioni orientate
agli scopi collettivi
TIPI DI MINACCE ALL’IDENTITA’ DEL GRUPPO
Sono minacce che un gruppo può subire.
Minaccia della categorizzazione  le persone vengono categorizzate contro la loro volontà
Minaccia alla distintività  si impedisce al gruppo di distinguersi
Minaccia al valore dell’identità  i valori del gruppo sono sotto minaccia. E’ quello che sta succedendo a
noi occidentali. Certi paesi vogliono diventare come noi, altri stanno mettendo in discussione questi nostri
stessi valori
Minaccia al consenso  la posizione del gruppo è minacciata. La posizione è la posizione del gruppo
all’interno di una gerarchia sociale.
Bassa identificazione con il gruppo:
- Non minaccia  dare immagini accurate e adeguante del sé
- Minaccia all’individuo  individualizzazione
- Minaccia al gruppo  mobilità sociale
Alta identificazione con il gruppo:
- Non minaccia  do un significato alla mia identità sociale
- Minaccia all’individuo  autostereotipizzazione, ovvero mi associo ad uno stereotipo per avere
un’identità ancora più salda
- Minaccia al gruppo  cambiamento sociale: affermazione del gruppo e del suo valore
APPROCCI MOTIVAZIONALI
Individuo attivo, motivato, riflessivo
Contesto  contribuisce alla definizione dei bisogni, è una risorsa/ostacolo alla realizzazione dei bisogni
dell’individuo
Contenuti del sé  ambiti identitari offerti dai contesti normativi considerati personalmente rilevanti
Gli approcci motivazionali si dividono in due categorie:
- Matrice psicoanalitica  adattamento progressivo dell’individuo, che per formarsi un concetto di
sé deve superare i cambiamenti imposti dalla sua crescita fisica, psicologica e sociale e i valori e le
occasioni di ruolo offerte dai contesti sociali di riferimento (Erickson, Marcia)
- Cognizione sociale  sé come costrutto totalitario: egocentralità, benefactance, conservatorismo
cognitivo (Greenwald)
MATRICE PSICOANALITICA
L’individuo si deve adattare progressivamente ad un contesto. L’individuo si sta formando un concetto di sé
e deve superare i cambiamenti imposti da sua crescita fisica, psicologica e sociale e i valori e le occasioni di
ruolo offerte dai contesti sociali di riferimento.
Erickson dice che tutti gli stadi sono uguali e universali, si presentano così in tutti gli individui. Però ogni
cultura fornisce strumenti diversi per rispondere ai bisogni tipici di ciascuno stadio. La cultura occidentale
ad esempio esistono potenzialmente infinti modi con cui rispondere ai bisogni di ciascuno stadio, creando
spesso confusione, caos e angoscia per l’ampia gamma di scelta. Lo stesso non avveniva in società con riti di
passaggio, in cui il passaggio da uno stadio all’altro era predeterminato. La strada era più definita e con
meno possibilità di scelta, ma allo stesso tempo forniva un maggior senso di sicurezza.
IL SE’ NELLA PROSPETTIVA PSICODINAMICA
Freud: bisogni istintuali. Il sé di sviluppa nell’interazione dinamica di forze collocate tra bisogni istintuali e
istanze sociali o i processi di socializzazione. L’es (impulsi) si deve adattare al vivere sociale. Il sociale viene
interiorizzato dal Super-Io. Persone troppo sbilanciate sull’es sono le isteriche. Quelle molto sbilanciate sul
super-io sono molto rigide (es: ossessivi). Bisogna trovare un equilibrio (metafora del cavallo)
Erickson: bisogni psicosociali in rapporto a scopi, norme e valori sociali.
CONCETTO DI SE’ E IDENTITA’
Concetto di sé è formato da tante parti (molteplicità). Ho quindi tanti concetti di me (studente, amico,
figlio, ecc..), ma ho una sola identità. Il concetto di sé è inoltre mutevole e fluido in base alla situazione,
mentre l’identità è più rigida e coerente.
Me sono io che divento oggetto di conoscenza, mentre l’ Io è una riflessione su di sé, il sentimento di
identità, è quello che mi fa dire sono sempre io nonostante i cambiamenti che intercorrono nella mia vita
(mi guardo allo specchio ma mi vedo sempre io, anche se 5 anni fa ero diverso). Erickson dice che il
sentimento di identità è appunto legato alla coerenza: io mi sento me stesso nel tempo e in modalità
diverse.
Erickson dice che l’identità è un’esperienza di natura fenomenologica che si fonda sul sentimento di
continuità nel tempo e nello spazio, unità e identità con sè stessi. E’ una qualità relazionale e temporale
della rappresentazione di sé.
Il modello di Codol  non vi è percezione di sé se l’individuo non può rappresentare un oggetto come se
stesso o parte di se stesso. Il bambino non ce l’ha e all’inizio vede parti del suo corpo come esterne e non si
riconosce neanche allo specchio. Questo è possibile solo se si considera un oggetto particolare, diverso
dagli altri oggetti sociali attraverso i processi di confronto sociale (sé come oggetto unico, sentimento di
differenza). Non vi è percezione di sé se non c’è coerenza e stabilità nell’immagine di sé tra l’insieme di
tratti che caratterizzano l’individuo (sentimento di unità e permanenza).
In adolescenza per Erickson c’è il dilemma della diffusione dei ruoli e acquisizione di identità. Acquisizione
di un sentimento di identità: samesness, continuità, riconoscimento della propria samesness e continuità
da parte degli altri. Questo è fondamentale per le scelte in ambito occupazionale, lavorativo, religioso,
ideologico. CI deve essere fedeltà verso se stessi e impegno verso la scelta verso cui voglio essere fedele.
Sentimento di identità  esperienza che l’attore vive circa la propria possibilità di intervenire sull’ambiente
e la continuità nel tempo e nello spazio del proprio sé. Ovvero la sensazione di autoefficacia, ovvero
sentirmi in grado di realizzare i miei obiettivi e di sentirmi in grado di far fronte agli ostacoli che si
presentano nel mezzo.
Minaccia dell’identità:
- Disintegrazione temporale del sé  vivere in un presente costante, senza avere la prospettiva dello
ieri e domani
- Senso camaleontico del sé  il passare dall’essere una cosa all’altra senza alcun tipo di coerenza
- Sensazione di non essere in grado di controllare gli eventi  io non ho possibilità di intervenire
sugli eventi
Erickson dice che la vita è fatta di dilemmi, ovvero situazioni che ci mettono particolarmente in crisi (in
greco crisis vuol dire scelta). Andiamo in crisi quando dobbiamo fare delle scelte che dobbiamo compiere
nel nostro percorso. Uno di questi dilemmi è appunto il sentimento di identità. Va superata la diffusione dei
ruoli. Quando un bambino comincia a sognare di diventare astronauta, calciatore, sta sperimento diffusione
dei ruoli. E’ tutto in potenza. Piano piano la vita ti modella piaceri, interessi e si arriva all’adolescenza. La
capacità dell’io è selezionare le identificazioni infantili che mi sono piaciute e scartarne altre. SI crea una
nuova configurazione che tenga conto di nuovi bisogni, abilità e valori e che tenga conto del contesto
sociale (capacità di sintesi dell’Io)
Prima di arrivare a questo stato l’individuo è uno stato di moratoria, ovvero molteplicità dei ruoli in cui c’è
grande esplorazione, ma non si riesce ad impegnarsi. Ad esso seguono fedeltà e impegno nell’ambito delle
scelte effettuate, di qualsiasi tipo siano (es: religiose, occupazionali o politiche)
Formazione e costruzione di identità:
- Vocazionale  scolastica, professionale
- Ideologica  politica, religione
- Sessuale  ruoli di genere, orientamento sessuale
- Relazionale  amicale, familiare
- Etnica
PARADIGMA DEGLI STATI DI IDENTITA’ (MARCIA)
Due dimensioni:
- Esplorazione  periodo caratterizzato da un’intensa attività di ricerca e di valutazione di una
varietà di potenziali elementi identitari (presente, passata o assente)
- Impegno  scelta ed investimento relativamente stabile su quei fini, valori e credenze che
caratterizzano la propria identità
In questo modello possiamo avere 4 diversi stati dell’identità, basati sulla presenza/assenza di impegno ed
esplorazione:
- Stato di acquisizione  Faccio una scelta dopo aver esplorato altre alternative possibili.
- Stato di chiusura  Faccio una scelta senza aver esplorato altre alternative possibili.
- Stato di moratorium  Sono in una fase di ricerca senza essere giunto ad una scelta.
- Stato di diffusione  Mancano sia l’esplorazione che l’impegno
Critiche: tale modello non permette di cogliere fino in fondo la dinamica processuale, ovvero il processo
attraverso il quale l’identità si forma e si modifica nel corso del tempo.
Bosma (1985) ha proposto una distinzione tra l’acquisizione di un impegno è l’identificazione con
l’impegno: il fatto che una persona faccia una scelta, non vuol dire che quella scelta sia un aspetto per lei
saliente con il quale si identifica fortemente. Quindi di per sé l’assunzione di un impegno non implica
necessariamente che uno si identifichi con tale impegno e che la scelta diventi un aspetto centrale della
propria identità.
Meeus (1996) propone invece una distinzione tra più forme di esplorazione: esplorazione passata ed
esplorazione presente. L’esplorazione passata è quella concettualizzata da Marcia e che serve per valutare
delle alternative prima di fare una scelta (es: prima di iscriversi all’università di valutano diverse opzioni e
alla fine di questo processo di valutazione si compie una scelta). Per Meeus, una volta che una scelta è stata
fatta, non è detto che quest’ultima continui ad essere esplorata. Nel caso invece in cui questo avvenga, si
parla di esplorazione presente: continuo ad esplorare nel presente il significato che una certa scelta può
avere per me e per la mia identità. Ci si pone domande come: “è la scelta giusta? Sto realizzando il mio
progetto? Questa scelta corrisponde alle mie potenzialità e talenti?” L’esplorazione presente ha quindi la
funzione di validare la scelta fatta e verificare se essa sia effettivamente corrispondente ai miei interessi e
alla persona che voglio diventare.
MODELLO TRIFATTORIALE (CROCETTI)
Le dimensioni prese in considerazione sono:
-
-
-
Impegno, così come concettualizzato da Bosma, ovvero come identificazione con la scelta presa.
L’impegno fa quindi riferimento alle scelte compiute negli ambiti rilevanti per l’identità, nella
misura in cui l’individuo si identifica con quelle scelte.
Esplorazione in profondità, ovvero l’esplorazione presente (così come concettualizzata da Meeus,
intesa come una modalità di vivere attivamente la scelta fatta. È caratterizzata da una componente
intrapersonale (rifletto sul significato che questa scelta ha per la mia vita) ed interpersonale (chiedo
anche agli altri cosa pensano di questa scelta e avvio un processo di confronto sociale, con lo scopo
di verificare e validare la scelta che è stata assunta)
Riconsiderazione dell’impegno: l’esplorazione di altre possibilità che possano essere migliori
rispetto agli impegni attuali. Avviene quando non siamo più soddisfatti degli impegni presenti e
percepiamo altre possibilità come più soddisfacenti
Dalla combinazione i questi 3 processi abbiamo 2 cicli:
-
-
Ciclo 1 (dinamica di formazione dell’identità)  si basa sull’interdipendenza tra impegno e
riconsiderazione dell’impegno. Vi è un confronto tra l’impegno che ho e gli altri impegni disponibili.
L’idea di base è che in nessuna fase del ciclo di vita l’individuo sia una tabula rasa senza impegni
(es: quando chiedo ad un bambino cosa vuole fare da grande e questo mi risponde “il cuoco,
l’astronauta, ecc…”, si tratta comunque di un impegno iniziale che ovviamente può cambiare nel
tempo o addirittura diventare totalmente diverso, ma è sempre un punto di partenza). È proprio
attraverso questo processo dinamico in cui un impegno iniziale viene poi messo in discussione, che
avviene il processo di formazione dell’identità, che si basa appunto sul far delle scelte e sul
metterle in discussione.
Ciclo 2 (dinamica di mantenimento dell’identità)  ho assunto un impegno e attraverso
un’esplorazione in profondità verifico se tale impegno è veramente corrispondente ai miei
interessi, alle mie aspirazioni e ai miei progetti. Se l’esito di questa verifica è positivo, io mantengo
la scelta assunta. Se invece, in seguito all’esplorazione in profondità, inizio a dubitare dell’impegno
presente, si ritorna al ciclo 1 e si re-inizia a paragonare l’impegno presente con le altre alternative
disponibili, al fine di capire se si tratti della scelta giusta o meno.
L’impegno e l’esplorazione in profondità portano ad una sintesi dell’identità, ovvero a quella condizione di
coerenza descritta come esito positivo della formazione dell’identità descritto da Erikson. La
riconsiderazione dell’impegno invece porta a rimettere in discussione l’identità assunta, portando ad uno
stato momentaneo di confusione, perché viene messo in discussione ciò che fino a quel momento era
considerato stabile.
Dalla combinazione di questi 3 processi, si possono individuare 5 diversi stati di identità, che per certi
aspetti richiamano quelli di Marcia, ma per altri se ne differenziano.Ciascun stato è definito da un livello di
intensità diverso di impegno, di esplorazione e di riconsiderazione dell’impegno (mentre in Marcia ogni
stato era caratterizzato da presenza/assenza di impegno o esplorazione, in maniera dicotomica). L’etichetta
di alcuni stati richiama quelli di Marcia, ma con l’aggiunta di 2 diversi stati di moratorium:
1) Stato di acquisizione  livelli alti di impegno, livelli di esplorazione e livelli bassi di riconsiderazione
dell’impegno. È tipico degli adolescenti giovani che si identificano molto con la scelta fatta,
continuano a verificare la validità della scelta e la avvertono come corrispondente (non sentono la
necessità di metterla in discussione).
2) Stato di chiusura  livello moderato di impegno (stabile, presente, ma meno attivo rispetto a
quello dello staio di acquisizione), che non viene particolarmente esplorato, né messo in
discussione.
3) Stadio di diffusione  livelli bassi di impegno, livelli bassi di esplorazione e livelli bassi di
riconsiderazione dell’impegno. Tipico di quegli adolescenti che non stanno prendendo
particolarmente sul serio il lavoro sulla propria identità.
4) Moratorium  livelli bassi di impegno, livelli bassi di esplorazione, ma con livelli alti di
riconsiderazione dell’impegno. Tipico dell’adolescente che vorrebbe fare altro, ma deve ancora
capire cosa è questo altro a cui vorrebbe dedicarsi.
5) Searching moratorium  livelli alti di impegno, livelli alti di esplorazione e livelli alti di
riconsiderazione dell’impegno. Mi identifico molto con un impegno, rifletto molto sul significato
che ha per me, ma per qualche motivo devo rimetterlo in discussione.
Nota metodologica: questi 5 stati sono delle tipologie, per cui ogni volta che assegna una persona ad una
data tipologia, bisogna stabilire un criterio di assegnazione e guardare ai dati.
Come cambiano nell’adolescenza questi 5 stati? In uno studio longitudinale condotto in Olanda in un arco
di tempo di 5 anni, con un campione la cui fascia di età variava dai 12 ai 20 anni, si è notato che lo stato di
acquisizione aumenta (durante l’adolescenza aumenta in maniera quasi lineare il numero di persone che
sono in uno stato di acquisizione); lo stato di chiusura registra anche un incremento, se pur con delle
altalenanze; al contrario gli stati di moratorium, searching moratorium e diffusione diminuiscono. Quello
che si osserva è quindi un processo di maturazione: gli adolescenti abbandonano progressivamente gli stati
meno strutturati (diffusione, moratorium, searching moratorium), per fare delle scelte in modo tale da
avere un’idea più chiara di sé (acquisizione, chiusura).
Gli adolescenti che si trovano negli stati di chiusura e di acquisizione sono quelli che è più probabile che
rimangano nello stesso stato, proprio perché sono quelli associati a condizioni di benessere maggiore. Lo
stato di searching moratorium è in assoluto quello meno stabile, ovvero quello in cui gli adolescenti
rimangono per un arco di tempo limitato. Da questo è più probabile che passino ad uno stato di
acquisizione. Una regressione molto comune è quella dall’acquisizione alla chiusura (un impegno vissuto
inizialmente in maniera attiva, può con il tempo diventare abitudinario ed essere vissuto in modo meno
attivo).
PSICOLOGIA DEI GRUPPI
DEFINIZIONI GENERALI
In sociologia si distingue tra:
- gruppo sociale  numero limitato di individui che interagiscono con regolarità (es: famiglia, circolo
sportivo)
- aggregato  insieme di individui che si trovano nello stesso luogo e allo stesso momento, senza
condividere un legame preciso (es: gli spettatori di una sala cinematografica)
- categoria sociale  sono raggruppamenti statistici di individui che hanno una caratteristica
comune. Es: donne, vegetariani
Bales  sottolinea la volontarietà dell’interazione come criterio di appartenenza ad un gruppo
Merton  un gruppo è un certo numero di persone che interagiscono secondo regole e norme, che si
autodefiniscono e auto-percepiscono come membri di quel gruppo, ma vengono anche definiti da altri
come appartenenti a quel gruppo.
In psicologia sociale i gruppi vengono studiati su 2 livelli:
- rapporto individuo-gruppo:
 individuale  come l’individuo si rapporta con le realtà gruppali (catagorizzazione,
identificazione, atteggiamenti, ecc..) e come viene influenzato dalla sua appartenenza
 interpersonale  come funziona il gruppo stesso (status, ruoli, dinamiche interne) e cosa
succede al suo interno
- rapporto gruppo società:
 intergruppo  rapporti tra due o più gruppi quando entrano in contatto (conflitti,
cooperazione)
 ideologico  come i rapporti tra i vari gruppi sono influenzati da sistemi di credenze e
ideologie, che cambiano anche il modo di conoscere la realtà sociale.
GRUPPI FORMALI E INFORMALI
Gruppi informali  sono i gruppi di amici che nascono spontaneamente, dandosi norme, regole e ruoli
propri. Lo scopo non riguarda un compito o attività, ma la soddisfazione di alcuni bisogni.
Gruppi formali  hanno norme e regole molto precise a cui l’individuo deve adattarsi e nascono con
l’obiettivo di perseguire attività specifiche (spesso sono offerti agli individui dalle istituzioni sociali). Non
sempre io posso scegliere con chi stare (es: gruppi di lavoro, gruppi sportivi, gruppi religiosi). La libertà di
azione è quindi più incanalata.
GRUPPI PRIMARI E SECONDARI
Gruppi primari  implicano interazioni dirette e un vincolo affettivo forte (es: famiglia). Sono importanti
per la definizione dell’identità e assumono un forte significato psicologico.
Gruppi secondari  sono gruppi in cui io partecipo, ma i membri hanno ruoli definiti esternamente, ci sono
obiettivi decisi dall’organizzazione da raggiungere e l’appartenenza non ha forte risonanza sull’identità. Le
relazioni sono più formali.
De Grada  la primarietà, cioè le relazioni intense, dirette e non costrette da limiti formali, si crea anche
spesso nei gruppi formali (es. faccio amicizia con qualcuno nel mio gruppo di lavoro). Primarietà e
secondarietà (relazioni impersonali definite da limiti formali esterni) possono quindi coesistere all’interno
di un gruppo.
GRUPPO DI ORIGINE E DI RIFERIMENTO
Gruppo di origine  è il gruppo in cui gli individui nascono e che inevitabilmente incidono sulla definizione
di sé (es: identità sessuale, razziale). Sono gruppi la cui appartenenza ha un carattere di obbligatorietà.
Gruppo di riferimento  è il gruppo verso cui io vado, a cui io scelgo di appartenere. Qui c’è scelta e non
obbligatorietà. Sono i gruppi a cui l’individuo aspira di appartenere o quelli con i quali si identifica. Esempio
palese è l’identità di genere (transessualismo e travestitismo).
TIPOLOGIE DI GRUPPI NELLA RICERCA
Gruppi naturali  esistono indipendentemente dalla ricerca e vengono osservati in un setting naturalistico,
alterandone minimamente la spontaneità
Gruppi inventati  sono creati ad hoc per la ricerca. Esempi: gruppi sperimentali, giurie simulate, famiglie
artificiali
Quasi gruppi  gruppi quasi del tutto sperimentali, ma che cercano di mantenere delle caratteristiche
tipiche dei gruppi naturali (es: gruppi minimi di Tajfel)
DEFINIZIONI DI GRUPPO IN PSICOLOGIA SOCIALE
Sherif  è stato il primo che ha cercato di studiare i gruppi. Dice che un gruppo è un’unità sociale
all’interno della quale gli individui sono legati da una relazione basata su status e ruoli. Implicitamente o
esplicitamente tutti i gruppi posseggono delle norme e valori che regolano le interazioni reciproche
(concezione architetturale). L’interazione faccia a faccia non è indispensabile per formare un gruppo.
Kurt Lewin  il gruppo è una totalità dinamica diversa da ciascun elemento che la compone e dalla loro
somma. Un gruppo di caratterizza quindi per l’interdipendenza degli elementi che lo compongono. Il
gruppo è qualcosa di più o per meglio dire qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri: ha struttura
propria, fini peculiari e relazioni particolari con altri gruppi. Quel che ne costituisce l’essenza non è la
somiglianza o la dissomiglianza tra i suoi membri, bensì la loro interdipendenza.
Il cambiamento di un elemento modifica tutti gli altri e le loro relazioni:
- interdipendenza del compito: i risultati delle azioni di ciascuno hanno delle implicazioni sui risultati
degli altri. Quando è positiva si ha collaborazione, quando è negativa si ha competizione
- interdipendenza del destino: qualunque aggregato casuale di individui può diventare gruppo se le
circostanze sociali, ambientali e storiche sono in grado di attivare una sensazione di essere
accomunati dallo stesso destino
Tajfel  come Lewin ritiene che l’interazione faccia a faccia o la somiglianza dei membri non siano
fondamentali per una definizione psico-sociale dei gruppi. Un gruppo esiste quando ci sono due condizioni:
- quando almeno due individui sentono di appartenere a quel gruppo (definizione interna)
- quando una terza persona riconosce l’esistenza di quel gruppo (definizione esterna)
Il sentimento di appartenenza ha 3 specificazioni (domanda d’esame):
- socio-cognitiva  sapere di appartenere ad un determinato gruppo e consensualità sociale su
questa appartenenza
- valutativa  positiva o negativa. Legata a giudizi morali sull’appartenenza ad un determinato
gruppo
- emozionale  emozioni conseguenti alla consapevolezza di appartenere ad un certo gruppo o alla
valutazione di questa appartenenza (soddisfatto, orgoglioso, frustrato)
RAPPORTO INDIVIDUO-GRUPPO
Le persone rimangono le stesse quando entrano in un gruppo? Mi percepisco allo stesso modo quando
penso a me come individuo unico e quando mi penso in rapporto ad altre persone.
Gli studi dell’identità ci dicono che si cambia di livello. Sono sempre io, ma ciò che diventa saliente è la mia
identità sociale.
Nell’infanzia i ruoli nei gruppi sono anche lì ben definiti. Ci sono personalità che emergono già dalla scuola
materna. Prima dei 5/6 anni la personalità è ormai sviluppata. Può modellarsi in base ai rinforzi e alle
punizioni che emergono dall’ambiente, ma ormai si è costituita.
I ruoli sono aspettative su come certi individui si devono comportare.
Le norme sono aspettative condivise su come tutti i membri si devono comportare.
Lo status è una valutazione gerarchica della mia posizione all’interno del gruppo.
PROCESSI INTRA-GRUPPO (domanda d’esame)
Elementi di differenziazione (ciò che mi differenzia dall’altro all’interno di un gruppo):
- status
- ruoli
- leadership e potere
Elementi di integrazione (ciò che mi accomuna all’altro all’interno di un gruppo):
- norme
- reti di comunicazione
STATUS
Posizione occupata dall’individuo all’interno di un gruppo unita al valore attribuito su una scala gerarchia a
tale posizione in termini di prestigio. Status più alto implica maggior potere di influenza e controllo, sia sulle
attività che sugli altri.
Indicatori di status (servono per capire all’interno di un gruppo gli individui che hanno status più alto):
- tendenza a promuovere iniziative che vengono continuate dal resto del gruppo
- valutazione consensuale del prestigio riconosciuta da tutti i membri
- indicatori non verbali  postura eretta, voce ferma, mantiene il contatto oculare (status alto)
- indicatori verbali  interrompono, si permettono di criticare gli altri, parlano di più rispetto
all’interlocutore, comandi (status alto)
Raccolta delle valutazioni dei membri del gruppo  serve per avere una verifica sullo status di un membro,
da parte degli altri membri. SI fa di solito in modo anonimo. Serve per verificare l’attribuzione consensuale
dello status. Ciascun appartenente al gruppo valuta gli altri in termini di popolarità, influenza, competenza.
La valutazione consensuale è molto più semplice agli estremi (leader, gregario), ma in mezzo è più
complesso (Sherif). Agli estremi c’è maggiore concordanza sulle valutazioni rispetto che sui livelli intermedi.
Avere uno status all’interno di un gruppo risponde alle seguenti funzioni:
- creare ordine e prevedibilità in vista del raggiungimento degli obiettivi
- fornire una base per l’autovalutazione dell’individuo (conoscere le proprie capacità e maturare una
valutazione di sé attraverso il confronto con gli altri status)
Il sistema di status, pur costituendo un aspetto strutturale (cioè tendente alla stabilità) può svilupparsi o
modificarsi, ad esempio nel momento in cui c’è un conflitto inter-gruppo (es: destituisco un leader pacifista
nel momento in cui c’è guerra, perché ho bisogno di un guerrafondaio in grado di affrontare meglio la
minaccia). Lo status è quindi anche influenzato dalle contingenze.
Lo status più elevato è anche valutato più positivamente e chiaramente il leader ha quindi un’autostima più
elevata.
COME SI FORMANO I SISTEMI DI STATUS
Studi etologici  assegnazione dello status sulla base di dati percettivi statura, muscolatura, espressione
facciale
Teorici degli stati di aspettative  assegnazione sulla base delle aspettative circa il contributo che ciascuno
può fornire per il raggiungimento degli obiettivi (es: in un compito di creatività è più facile che emerga
come leader una persona creativa). Tali aspettative si basano sulle caratteristiche personali che vengono
reciprocamente esibite e valutate più positivamente nel momento in cui risultano funzionali al
raggiungimento di obiettivi comuni.
RUOLI
Sono comportamenti esibiti e attesi di individui che occupano certe posizioni all’interno del gruppo.
Implicano aspettative riguardanti il modo con cui si dovrebbe comportare un individuo che occupa una
posizione e come gli altri dovrebbero agire nei suoi confronti.
FUNZIONI DEI RUOLI
Siamo individui immersi nel caos e abbiamo bisogno di ordinare la realtà. I ruoli danno ordine all’esistenza
all’interno dei gruppi. La vita di gruppo è più prevedibile e disciplinata, tutti sanno cosa aspettarsi e da chi.
Implicano una divisione del lavoro tra i membri del gruppo, agevolano il conseguimento dello scopo
(suddividendo il lavoro e le responsabilità). Aiutano inoltre a definire se stessi e gli altri all’interno del
gruppo.
CARATTERISTICHE E FUNZIONI DEI RUOLI
Dentro un gruppo c’è una spartizione dei ruoli che si strutturano in modo diverso. Es:
- Leader  prendere iniziativa e proporre idee. Ha la funzione di facilitare il raggiungimento degli
obiettivi
- Gregario  persone che sostengono psicologicamente o materialmente da sotto il leader perché
lui possa emergere
- leader d’opposizione  non ha potere. Gli piacerebbe, ma non ce l’ha. Quello che si oppone al
leader; non è potente come il leader, perché il leader deve essere propositivo. Non ha delle grandi
idee e piuttosto che essere propositivo diventa distruttivo; demolisce tutto quello che propone il
leader, ma non riesce a ricostruire nulla di nuovo. Stabile tendenza al dissenso, crea malumore e
disfunzioni. Se riuscisse a farlo sarebbe un nuovo leader. A volte ottengono l’ascolto degli altri,
perché sono pesanti e intervengono sempre. Quando raccolgono qualche seguace, possono creare
alle volte uno scisma, ovvero il gruppo si spacca in due.
- la pecora nera o deviante  quello che non è bravo come gli altri, lo sfigato; ha una funzione molto
precisa per tutti i membri del gruppo, ovvero quella di scaricare su di lui tutte le tensioni negative;
tutto l’aspetto aggressivo viene scaricato su quella persona
- il nuovo arrivato  mostra un comportamento ansioso, dipendente, non prende iniziativa ed è
conformista. Ha la funzione di rinnovare e rendere esplicite a tutti le norme di gruppo. Crea un
senso di minaccia e una maggiore coesione interna deve attenersi alle norme di gruppo, ovvero
essere conformista, altrimenti sarebbe subito espulso come deviante in quando scardina le norme
di gruppo. Le norme sono aspettative condivise dal gruppo di come i membri del gruppo si devono
comportare. Se arriva una persona che cambia queste aspettative, allora l’integrità del gruppo
viene minacciata. I grandi anticonformisti l’hanno sempre pagata cara e non sono mai stati capiti
subito. Anche nei gruppi di bambini, quando un bambino porta un gioco nuovo, viene abbastanza
escluso. Anche lì il nuovo arrivato deve adeguarsi a quello che sta succedendo. Dopo che si è
integrato, solo allora può proporre qualcosa di nuovo. Le forze centripete sono quelle che mirano a
tenere il gruppo compatto, coeso, conformista e sono le norme, i ruoli e lo status.
- Capro espiatorio  quello che incorre in comportamenti considerati sbagliati, che si mette contro
le norme di un gruppo. Diventa l’elemento attraverso il quale ci si libera di tutte le parti negative
del sé e del gruppo. Tutte le funzioni aggressive vengono canalizzate verso un elemento.
CONFLITTI DI RUOLO
Livello personale  incompatibilità tra ruolo giocato nel gruppo e altri ruoli sociali. Assenza di motivazione
a sostenere un ruolo
Livello di gruppo  assenza di accordo del gruppo rispetto alla persona che ricopre un determinato ruolo.
Assenza di accordo rispetto al modo in cui un ruolo viene interpretato e portato avanti dalla persona (ok sei
tu il leader, ma non ci piace come lo fai).
I conflitti di ruolo determinano un aumento della tensione, dei conflitti e un decremento della produttività.
LE NORME
Insieme delle aspettative condivise rispetto a come dovrebbero comportarsi i membri di un gruppo.
Riguardano un set limitato di comportamenti e opinioni cui ci si attende che i membri si conformino.
Possono essere:
- Centrali (più importanti) o periferiche (meno importanti)
- Formali o implicite (esercitano comunque una pressione ai membri verso una certa uniformità di
comportamenti e atteggiamenti)
- Imposte (da un’autorità esterna), negoziate (volontarie) o apprese (evolutive)
La trasgressione delle norme consensuali comporta una sanzione.
Se una persona volontariamente dentro un gruppo comincia a trasgredire le norme, diventa un individuo
deviante:
- è meno popolare e percepito con più antipatia, proprio perché va a scardinare le norme del gruppo
- non viene escluso, ma bombardato da un enorme numero di comunicazioni, nel tentativo di
riportarlo entro le norme del gruppo.
- se però l’individuo resiste, allora viene cacciato. Quando la trasgressione è intollerabile, in quanto
tocca le norme centrali del gruppo, allora la persona viene rifiutato ed espulso dal gruppo. Esistono
vari modi di cacciare da un gruppo, anche cacciare da un gruppo whatsapp è esclusione. Riguarda
anche i gruppi virtuali e non sono quelli fisici. CI si aspetta che il nuovo arrivato si conformi a tutte
le norme, senza trasgressione o critica. Al contrario i membri con status più elevato sono più
vincolati alle norme centrali, ma meno vincolati rispetto alle norme periferiche (possono
permettersi ad esempio di fare ritardo, fare la battutina, ecc…)
Aspettative circa l’adesione alle norme e alla loro trasgressione:
- ci si aspetta che il nuovo arrivato si conformi a tutte le norme, senza trasgressione e senza critica
- i membri con alto status sono più vincolati alle norme centrali e importanti per la sopravvivenza dei
gruppi, mentre sono più liberi rispetto alle norme periferiche o le consuetudini
FUNZIONI DELLE NORME
Le norme sono riferite non solo alla vita intra-gruppo, ma anche al rapporto con altri gruppi. Non c’è un noi
se non c’è un loro.
4 finalità:
- avanzamento del gruppo  la pressione all’uniformità e al conformismo nasce quando è ritenuta
necessaria affinchè il gruppo avanzi verso il raggiungimento di obiettivi
- mantenimento del gruppo  se non ci si vede per un po' il gruppo finisce. Alcune norme servono al
gruppo per sopravvivere (es: riunioni o incontri regolari)
- costruzione della realtà sociale  non esiste una realtà oggettiva. La realtà fisica ha delle
caratteristiche abbastanza fisse e inconfutabili. In psicologia invece non si può parlare di verità
assoluta. La realtà sociale cambia non solo tra culture, paesi, città, quartieri, ma si differenzia molto
anche nelle sue micro-strutture. La realtà sociale è varia e complessa come sono complessi gli
esseri umani. Le norme in questo senso servono a creare una realtà in cui stiamo bene, altrimenti
vivremmo nel caos indifferenziato. La realtà sociale si configura quindi come una realtà condivisa e
consensuale in risposta alla mancanza di una realtà oggettiva che dia corpo alle opinioni soggettive.
-
Per stabilire la correttezza di un’opinione, la bontà di un’abilità, l’appropriatezza di un’emozione
bisogna sempre far riferimento ad un gruppo
definire i rapporti con l’esterno  definire le relazioni rispetto all’ambiente sociale più vasto (altri
gruppi, organizzazione, istituzioni). Quali sono i gruppi alleati o nemici e i risultati del confronto di
questi gruppi con il proprio.
Proprio per queste funzioni così centripete, le norme sono molto difficili da modificare, in quanto
stabiliscono la natura, gli obiettivi, l’identità del gruppo e dei suoi membri. Per cambiare le norme spesso
non si usano tecniche autoritarie, ma le norme cambiano meglio attraverso tecniche di tipo partecipativo.
Lewin aveva notato che ai tempi della guerra negli anni ‘40, in assenza di cibo, non si mangiavano le
frattaglie di pollo. C’era stata tutta una compagna pubblicitaria affinchè le donne comprassero anche le
frattaglie di pollo, visto che non c’era altra roba in giro. Questa campagna non funzionò. Lewin organizzò
focus group, gruppi di discussione in le donne arrivarono da sole alla conclusione che era meglio comprare
frattaglie. E’ importante quindi che il cambiamento delle donne avvenga dall’interno e non venga imposto.
LE RETI DI COMUNICAZIONE
Senza comunicazione un gruppo non esiste. E’ alla base dell’architettura del gruppo e della costruzione
sociale della realtà. Analizzando la comunicazione è possibile scoprire amicizie o inimicizie, gli accordi o i
disaccordi, le collaborazioni o competizioni.
La struttura di comunicazione è l’insieme delle comunicazioni verbali e non verbali effettivamente
scambiate.
Le reti di comunicazione invece riguardano come queste comunicazioni vengono gestite in termini di
possibilità e non di contenuto di quello che dico. Sono l’insieme dei canali di comunicazione presenti nel
gruppo, l’insieme delle possibilità di comunicare del gruppo.
Reti (domanda d’esame):
- globale  tutti comunicano con tutti. Non c’è un leader chiaro, è una rete democratica.
- centralizzata  c’è una persona al centro che smista le comunicazioni. Tutti parlano con la stessa
persona, ma non comunicano tra di loro
- a ipsilon  una persona comunica sia con chi sta sotto che con chi sta sopra. Ma chi sopra non
comunicano tra di loro, quindi la persona centrale è il leader
- a catena
- circolare
Quando studiamo le reti di comunicazioni dobbiamo considerare:
- indice di centralità  ha a che fare con quanto la comunicazione è centrata su alcuni elementi o
distribuita equamente fra tutti i membri del gruppo. Misura quanto le comunicazioni in un gruppo
sono centralizzate in una persona o distribuita tra i membri.
-
Indice di distanza  riguarda il numero di passaggi che un individuo deve effettuare per poter
comunicare con un altro individuo all’interno del gruppo. E’ il numero minimo di legami di
comunicazione che un individuo deve attraversare per comunicare con un altro membro del
gruppo.
Nella rete a catena ad esempio, il primo soggetto che sta in alto per comunicare con l’ultimo pallino della
catena, deve fare 3 passaggi. Quindi l’indice di distanza è ampio. Nella rete globale invece per parlare con
un membro la distanza è minima, quindi l’indice di distanza è basso.
Il tipo di rete di comunicazione influenza:
- Efficienza del gruppo  se io dò un compito ad una rete centralizzata, risolverà prima il compito
rispetto ad una rete circolare. Questo vale soprattutto per i compiti semplici. Ma se il compito è
molto complesso funziona meglio la rete circolare. Questo perché se il compito è difficile, tutti gli
individui possono dire la loro e 5 teste sono meglio di una (quella del leader). Avere la possibilità di
parlare con tutti i membri del gruppo permette di ottenere un migliore risultato.
- Soddisfazione e morale dei membri  Il morale è più alto nella rete circolare rispetto che ad una a
catena, perché si tiene conto del parere di tutti. Nelle reti decentralizzate il morale medio del
gruppo è più alto; nelle reti centralizzate il membro in posizione centrale è più soddisfatto.
POTERE
Levine e Moreland  Il potere è la capacità di un individuo di influenzare o controllare altre persone
French e Raven  il potere non è un’influenza reale, ma potenziale. Non è detto che io debba esercitarlo.
Risiede nella possibilità di metterlo in atto nei confronti di un’altra persona. Come la mamma che dice al
bambino: guarda che se fai questa cosa ti punisco.
E’ il rapporto fra la massima capacità di O di influenzare P e la massima possibilità di P di resistere ad O.
Parlano di 5 tipi di potere:
- Potere di ricompensa  potere di rinforzo. Se vai bene a scuola di compro l’ipad. SI basa sull’abilità
di O di dare o promettere a P delle ricompense. Esso aumenta all’aumentare della generosità della
promessa e al diminuire delle possibilità di P di accedere alle risorse (se io ho uno stipendio non ho
più bisogno di te che mi minacci che non mi compri l’ipad). Aumenta l’attrazione di P verso O
- Potere coercitivo  potere di punizione. Se vai male a scuola non ti compro l’ipad. Consiste nella
possibilità di O di infliggere punizioni o sanzioni a P. Riduce l’attrazione di P verso O, per questo O
deve dotarsi dei mezzi che riducano la possibilità a P di sottrarsi.
- Potere legittimo  è il potere delle forze dell’ordine, di un giudice, di un tribunale, di un vigile
urbano. E’ legittimato dalla società e dal ruolo che ricopre all’interno della società. Deriva dalle
norme che specificano che O è legittimato ad influenzare P. Anche P ha interiorizzato la legittimità
di questa fonte. A differenza del potere coercitivo, P tollera maggiormente la punizione nella
misura in cui ritiene che l’azione di O sia legittima.
- Potere d’esempio  è il potere esercitato ad esempio da una persona di successo sui suoi fan. La
persona non è consapevole in che modo influenza gli altri, ma di fatto lo fa. Si basa
sull’identificazione di P con O (O può essere sia una persona che un gruppo). Quando P si riconosce
in O, sarà maggiormente influenzato da lui. Non sempre P è consapevole di questo processo.
- Potere di competenza  quello che può avere l’idraulico nei miei confronti nel momento in cui mi
si rompe il lavandino. SI basa sul fatto che P pensi che O sia un esperto in un determinato ambito.
E’ un potere cognitivo, nel senso che fa riferimento alle conoscenze e non implica la conoscenza
diretta di O con P, nell’identificazione nei confronti di O. Perché si realizzi sono necessarie due
condizioni: P deve pensare che O abbia conoscenze in merito all’oggetto; P deve credere che O dica
la verità.
Quelli di ricompensa e coercitivo sono le forme più deboli di potere. Finchè c’è la fonte che mi controlla
faccio il bravo; è un potere limitato al fatto di essere controllati, ma non appena tale controllo si attenua
l’individuo va per la sua strada. Queste due forme di potere producono un conformismo esteriore, ma non
adesione autentica al dominante. Gli altri invece sono forme di potere più interiorizzato anche dalla
persona, che continuano a persistere anche in assenza della fonte di influenza.
LEADERSHIP
Lead in inglese vuol dire condurre. Il leader è colui che conduce il gruppo. Il modo con cui lo fa si chiama
leadership.
Il leader è colui che mostra più iniziativa nel dirigere, suggerire, consigliare, proporre idee rispetto agli altri
membri del gruppo; occupa una posizione elevata nella gerarchia di status e ricopre una posizione centrale
nella rete di comunicazione nel gruppo.
Le leadership implica l’influenza di un individuo sugli altri, in vista del raggiungimento di un obiettivo. Il
leader è colui che ha più influenza e non chi ha più potere. Ricordare Moscovici che dice che non è detto
che il dominante abbia più potere. La risposta al potere è l’acquiescenza e il conformismo, mentre solo con
l’influenza vi è accettazione sincera di colui che influenza. Il leader quindi deve essere influente e non
potente. Questo perché il potere implica qualche forma di “forzatura”, mentre l’influenza implica un’opera
di persuasione che si risolve in un’accettazione profonda dell’idea.
Diversi approcci teorici:
- Teoria del grande uomo
- Comportamento del leader e stile di leadership
- Approccio situazionista
- Modello della contingenza
- Modello transazionale o dello scambio
- Credito idiosincratico
TEORIA DEL GRANDE UOMO
Il leader è colui che possiede dei tratti di personalità necessari a comandare, a guidare il gruppo. E’ un
leader naturale, indipendentemente dalla situazione. E’ un approccio più da senso comune, meno
scientifico.
I tratti più tipici sono:
- Propensione alla responsabilità
- Capacità di eseguire il compito per cui è al comando
- Tenacia nel perseguire gli obiettivi
- Originalità nell’affrontare i problemi
- Tendenza a prendere l’iniziativa
- Autostima e fiducia nelle proprie capacità
- Bravo a tollerare le frustrazioni
- Capacità di influenzare gli altri
Queste caratteristiche predispongono una persona a diventare un leader potenziale.
Critiche  i comportamenti delle persone variano a seconda delle situazioni. Hollander inoltre ha detto che
i tratti non sono statici. Abbiamo determinate caratteristiche, ma che entrano in interazione con
l’ambiente. La fiducia in sé stessi può vacillare in alcuni momenti. Le circostanze cambiano l’espressione dei
tratti di personalità.
COMPORTAMENTO DEL LEADER
Il leader ha due funzioni essenziali (Bales e Staler):
- Assicurarsi che il gruppo esegua il compito e raggiunga l’obiettivo
- Assicurarsi che i membri stiano bene a livello emotivo e che il clima di gruppo sia armonioso
Di solito queste due funzioni vengono assegnate a due tipi diversi di leader:
- Leader socio-emozionale  colui che mantiene armonia nel gruppo, cura le relazioni, che aiuta, fa
favori ai subordinati, che si mostra disponibile verso di loro. E’ un leader centrato non tanto sul
compito, ma su come tu ti senti. Ha una capacità empatica per cogliere i segnali di malessere che
emergono nel gruppo. E’ un tipo di leadership molto difficile da mettere in atto, perché devo avere
una predisposizione a comprendere gli stati d’animo altrui.
- Leader centrato sul compito  capacità di dirigere le operazioni, orienta i membri al compito,
propone soluzioni, mantiene gli standard e pretende che vengono rispettati, rende esplicite le
differenze di ruolo, assegna dei ruoli precisi per arrivare agli standard. E’ un leader un po’ più
razionale; egli mostra la capacità non di considerare il gruppo, ma di strutturarlo.
Queste due figure sono complementari, che non si sovrappongono e che insieme riescono a gestire tutto il
gruppo. Per questo motivo si possono trovare entrambi all’interno di un gruppo. Un leader da solo
difficilmente riuscirebbe ad eseguire entrambe le funzioni.
Bisogna essere in grado di osservare il leader e i tipi di comportamento che mette in atto:
- Interventi emozionalmente positivi  dimostra solidarietà, allenta le tensioni, si mostra d’accordo
- Interventi emozionalmente negativi  si mostra in disaccordo, mostra tensione, mostra
antagonismo
- Interventi di soluzione di problemi in forma di domande  chiede ai suoi sottoposti indicazioni,
opinioni, suggerimenti
- Interventi di soluzione di problemi in forma di risposte  dà suggerimenti, esprime opinioni,
fornisce indicazioni
Questi comportamenti dipendono dal tipo di rete di comunicazione.
STILE DI LEADERSHIP
Non riguarda il comportamento, ma l’atteggiamento generale. 3 tipi di leadership:
- Autoritaria  prendono decisioni, non interpellano gli altri, alta produttività, sono io che comando
voi dipendete da me, basso morale del gruppo che non ha possibilità di esprimersi liberamente,
dipendenza dal leader
- Democratica  interpello gli altri, chiedo loro pareri. E’ uno stile amichevole e non duro e
scontroso. Disponibile ai contatti, buona produttività (non alta come nel leader autoritario), alto
morale dei membri
- Laissez faire  chiamata anche non-leadership. Interviene poco, lascia liberi gli altri di agire, bassa
produttività (ognuno fa come gli pare), morale caotico (se non so cosa devo fare e un obiettivo vivo
nel caos), clima caotico ed aggressivo. Anche nelle famiglie oggi assistiamo ad uno stile genitoriale
del tipo laissez faire, prima si usava il battiscopa sul sedere, adesso non si dice mai di no. Questo fa
crescere la viziatura, i soggetti diventano spesso depressi fuori dalla famiglia, perché il mondo non
è viziante, ma sottopone necessariamente e frustrazioni. Non si diventa in grado di tollerare le
frustrazioni.
E’ difficile che un individuo li abbia tutte e tre.
Il leader democratico corrisponde a quello socio-emozionale, mentre quello autoritario corrisponde a
quello centrato sul compito. Ovviamente non sempre è così e dipende molto dal contesto.
APPROCCIO SITUAZIONISTA
Critica tutte le teorie precedenti. La situazione ci dice cosa è giusto. Si fonda sull’idea che il leader deve
assolvere funzioni diverse in situazioni che comportano compiti diversi. Il contenuto di quello che fai e il
contesto dell’attività determinano differenti richieste di comportamento. Se il compito è uno di creatività
diventa il leader una persona molto creativa. Dipende anche da dove siamo collocati: contesto di lavoro,
familiare, scolastico, ecc…. Un giorno può essere leader una persona e un giorno un’altra, a seconda delle
richieste della situazione.
Fattori situazionali collegati all’emergere di un leader:
- Natura del compito
- Presenza nel gruppo di un membro con esperienza di leader
- Grandezza del gruppo
- Stabilità ambientale  ad esempio situazioni di incertezza
Critiche  trascura troppo le caratteristiche delle persone. La personalità è completamente azzerata e
considera gli uomini come tutti uguali, azzerando le differenze individuali. La definizione della situazione
(centrata sulle richieste relative al compito) è riduttiva e ambigua. La situazione di un gruppo dipende da
tante cose, dalla sua storia, come è strutturato, quali sono le sue risorse. Se dobbiamo considerare una
situazione dobbiamo considerarla bene e non in maniera vaga e generale.
MODELLO DELLA CONTINGENZA
Idea interazionista  l’efficienza del leader dipende dalla corrispondenza tra lo stile adottato e il controllo
della situazione che ha lo stesso leader. Viene chiesto ai collaboratori di descrivere su scale bipolari
(differenziale semantico; collaborativo/non collaborativo; amichevole/ostile)) un collaboratore con cui la
persona trova più difficile lavorare insieme. E’ emerso che persone che hanno un basso LPC (least preferred
coworker) sono leader centrati sulle relazioni; alto LPC corrisponde ad un leader centrato sul compito. Ma
questi orientamenti interagiscono con le caratteristiche del contesto. SI riprende quindi sia il concetto di
stile di leadership che di contesto. Questi stili sono più o meno efficaci a seconda di 3 elementi nella
situazione:
- Qualità dei legami leader  membri, chiamata anche atmosfera di un gruppo. Quando entriamo in
un gruppo sentiamo a pelle, in maniera inconscia com’è un gruppo
- Livello di struttura del gruppo  chiarezza dello scopo
- Potere del leader  controllo di sanzioni e ricompense
Lo stile centrato al compito è adatto alle situazioni poste all’estremo (atmosfera estremamente positiva o
negativa, compito definito perfettamente o di merda, altissimo grado di controllo su sanzioni e premi). Chi
è più centrato sulle relazioni è più adatto alle situazioni intermedie, più ambigue.
MODELLI TRANSAZIONALI O DELLO SCAMBIO
Riguarda lo scambio e non tanto la situazione o il compito. Riguarda come il leader entra in una transazione
con i suoi seguaci.
Il leader esercita influenza, ma viene a sua volta influenzato (modello bidirezionale). E’ una cosa che i
precedenti modelli non avevano analizzato (erano più unidirezionali). All’interno di un gruppo tutti sono
portatori di influenza. SI studiano i processi attraverso i quali il leader può influenzare i membri del gruppo
e come questi possono influenzare con le loro richieste e aspettative il leader. E’ riconosciuto quindi un
ruolo più attivo ai membri del gruppo.
In uno studio (Merei) i bambini più grandi introdotti in un gruppo esistente di bambini più piccoli, non
diventano leader perché più grandi, ma diventano leader solo se, prima di introdurre innovazioni, sono
capaci di adattarsi alle norme e alle tradizioni del gruppo esistente.
CONCETTO DI CREDITO IDIOSINCRATICO – HOLLANDER
Il leader deve acquisire un credito nei confronti del gruppo, altrimenti non può diventare leader. Deve
ottenere la fiducia degli altri e risultare credibile. Come si ottiene credibilità? 4 fonti:
- Conformità iniziale alle norme del gruppo
- Essere scelto dal gruppo  il leader imposto non è lo stesso di un leader scelto democraticamente
dagli stessi membri.
- Competenza rispetto agli scopi del gruppo
- Adesione o lealtà alle norme del gruppo  deve aderirvi, non può denigrarle
- Solo quanto tutte queste cose sono state considerate, allora il leader potrà tentare di innovare o
introdurre obiettivi nuovi fra i membri del gruppo
SINTESI DEI MODELLI
In cima alla piramide c’è la teoria del grande uomo e gli stili di leadership e comportamento del leader. Il
modello delle contingenze si occupa di studiare la relazione tra leader e situazione. L’approccio
situazionista considera solo la situazione. Mentre modello transazionale e credito idiosincratico studiano la
relazione tra leader e membri. Ovviamente l’ideale sarebbe porsi al centro nel triangolo azzurro; una
posizione di mezzo che tenda in considerazione la complessità dell’uomo. Il riduzionismo ad uno solo di
questi modelli da sicurezza, ma non esaurisce la complessità della leadership.
PROCESSI DI PRESA DI DECISIONE NEI GRUPPI: DAL RISCHIO ALLA POLARIZZAZIONE
Siamo sempre in un livello intra-gruppo. Alcuni studiosi hanno cominciato a notare come alcuni individui
normalmente prudenti, in un gruppo prendono decisioni rischiose che normalmente non prenderebbero.
Ad esempio nella tifoseria da stadio, se faccio parte di un gruppo di ultra, io mi permetto di dire e fare cose
che da singolo individuo non farei (brutto cretino, imbecille, che cazzo fai e poi quando esco sono buono e
gentile).
I gruppi sono luoghi adatti per prendere delle decisioni? Gli studiosi dicono che secondo un punto di vista
diffuso i gruppi non sono in grado di prendere una decisione. I gruppi sono luoghi di mediazione e non di
decisione. Si dice che quando si è in gruppo gli individui si adattano e si trova una mediazione per arrivare
ad un compromesso. Il gruppo trova una soluzione compromissoria, ovvero una soluzione che avviene tra
individui razionali, che considerano vantaggi e inconvenienti di ogni situazione. Il classico problem solving
con la tendenza a non proporre grandi idee, ma a rimanere sul compromesso. Secondo il senso comune
quindi i gruppi non sono luoghi di decisione, ma di compromesso e soluzioni intermedie.
NORMALIZZAZIONE
Sherif aveva studiato la genesi delle norme, ricordare esperimento sull’effetto autocinetico. In situazioni di
ambiguità le risposte di gruppo si concentrano attorno alla media delle prese di posizione individuali
(effetto di normalizzazione: il gruppo si dà una norma). Tornando alla domanda se i gruppi sono luoghi di
decisione, qui la risposta è sempre no. Il gruppo si dà questa norma che di solito è la via di mezzo. Qui però
siamo in psicologia sociale non possiamo pensare che l’individuo e il gruppo lavorino allo stesso modo (la
teoria di Sherif dà infatti per scontato che tra processi individuali e collettivi non vi siano differenze,
trascurando la caratteristica peculiare del gruppo che è la sua interdipendenza). Si concepisce il gruppo
come un insieme di individui, ma il gruppo non è una semplice somma di persone, ma qualcosa di più. Se
riprendiamo Lewin, l’approccio di Sherif non prende in considerazione l’interdipendenza dei membri. Non ci
si posta quindi da un’ottica individuale, mentre lo sforzo deve essere quello di ragionare in un’ottica intragruppo e non intra-individuale.
Diversi studi hanno cercato di capire se nei gruppi funzionasse esattamente così e si sono studiate quelle
che vengono chiamate dinamiche di gruppo.
Le decisioni prese in un gruppo sono più caute o più rischiose delle decisioni prese individualmente? I
gruppi possono essere sia fonte di normalizzazione, che contesti in cui prendere delle decisioni più estreme.
DECISIONE RISCHIOSA
E’ una decisione in cui la posta in gioco è molto piacevole, ma la strada per arrivarci è abbastanza ambigua
e ignota (non so come potrebbe andare a finire). Implica la necessità di scegliere SE rinunciare a qualcosa di
già acquisito (la posta in gioco) per ottenere qualcosa di molto più attraente (il premio), ma che è aleatorio
e non è sicuro che arriverà.
Esperimento Wallach  ha messo diversi gruppi in condizioni sperimentali per verificare i processi di presa
di decisione:
- Pre-test (fase individuale) : i soggetti vengono sottoposti singolarmente a 12 problemi che
richiedono una presa di decisione
- Test (fase collettiva): dopo qualche settimana una parte dei soggetti che aveva partecipato al pretest viene divisa in gruppi da 6 (è il numero minimo affinchè si possano innescare i processi di
-
gruppo; sopra i 12 se non si è molto esperti, il gruppo può prendere una deriva strana). I gruppi
hanno la consegna di discutere gli stessi problemi al fine di arrivare ad una decisione unanime
Post-test (fase individuale): sia il gruppo sperimentale che quello di controllo (altra metà di soggetti
che non è stata messa in gruppo) vengono invitati a riconsiderare individualmente i 12 problemi
Lo spostamento verso il rischio avviene per:
- Diffusione di responsabilità  discutendo con gli altri, un individuo si sente meno direttamente
responsabile
- Familiarità  la discussione di gruppo aumenta la familiarità dei singoli rispetto a problemi delicati.
Fare intervista sui singoli può creare imbarazzi e blocchi. In gruppo invece le persone entrano piano
piano nel tema (soprattutto se imbarazzante) in modo più semplice, sentendosi più liberi di
discutere sul tema di cui si sta parlando.
- Rischio come valore  soprattutto all’interno della cultura americana, in cui vi è apprezzamento
per chi sa correre rischi (c’è una mobilità sociale più elevata; es: si cambia lavoro molto più
facilmente). Ci sono alcuni gruppi in cui saper rischiare è considerato un valore si e si possono
mettere in atto dinamiche di desiderabilità sociale (es: gruppi di adolescenti in cui tipicamente sono
apprezzati i comportamenti rischiosi). Altre volte può non essere un valore strutturale del gruppo,
ma emergere come saliente nel corso di una discussione.
POLARIZZAZIONE
Non è sempre vero che lo stare in gruppo porta sempre a decisioni rischiose. Altri studi hanno infatti messo
in luce il fenomeno della polarizzazione  l’ampiezza dello spostamento verso il rischio o la cautela è
correlato alla posizione iniziale degli individui. Se gli individui erano più spostati sul rischio, la decisione sarà
più rischiosa. Se invece gli individui erano spostati sulla cautela, la decisione sarà più cauta. E’ il contrario
della normalizzazione, che porta la decisione verso il centro e non verso i poli, facendo la media delle
posizioni individuali. Nela polarizzazione invece il gruppo si sposta verso i poli del rischio o della cautela. Gli
effetti non sono limitati alle scelte dilemmatiche, ma anche su altri contenuti, come: opinioni, decisioni
delle giurie, giudizi sull’attrattività fisica di qualcuno, sugli effetti autocinetici, ecc…. Anche un gruppo
virtuale fa pressione verso polarizzazione o normalizzazione.
Moscovici e Zavalloni hanno studiato quando si verifica la polarizzazione. I gruppi che polarizzano sono:
- Formati da membri che sono più implicati nella risposta (la cosa li riguarda)
- Più conflittuali
- Tendenzialmente gruppi ampi, in cui coesistono posizioni diverse e antagoniste. Se siamo in un
gruppo in un gruppo di 3 e 1 dissente si sente di più rispetto se siamo in gruppo di 20 e 1 dissente.
La proporzione del dissenso rispetto al totale deve essere rilevante.
- Gruppi senza gerarchia e con discussione aperta
- Meno coesi. Il gruppo coeso che di solito la pensa allo stesso modo difficilmente polarizza, proprio
perché no c’è conflitto e divergenza di opinioni, ma tendenza verso la conformità.
PENSIERO DI GRUPPO
Poiché il gruppo è più della somma dei singoli individui, si parla di pensiero o mente di gruppo.
Se c’è una forte coesione il gruppo può arrivare a portare gli individui a compiere delle decisioni disastrose
più di salvaguardare il gruppo (es: fenomeni di omertà: clan mafiosi). C’è una coesione altissima all’interno
del gruppo che può portare l’individuo a compiere decisioni disastrose (omicidi, rapine), non perché gli
individui siano cattivi, ma per salvaguardare la loro appartenenza. Il bisogno di confermare l’uniformità del
gruppo può portare ad auto-censure individuali: razionalizzazione e sostegno della posizione maggioritaria.
SI chiama sindrome del pensiero di gruppo ed è più comune dei gruppi coesi, isolati da altre fonti (es: mafia
che si isola dalle norme dello stato), guidati da leader influenti (es: boss mafioso), sottoposti ad uno stress.
PROCESSI INTER-GRUPPI
Cosa succede quando due gruppi entrano in contatto fra loro. Riguardano la relazione che intercorre tra di
essi. Cosa accade in termini di rappresentazioni cognitive, giudizi di valore e a livello comportamentale
quando le persone si relazionano l’una all’altra non come individui (livello inter-personale), ma come
membri di gruppi distinti.
Esempi:
- Conflitti internazionali o intra-nazionali
- Confronti politici
- Relazioni inter-etniche
- Negoziati tra sindacati e imprese
- Competizioni tra team sportivi
Il comportamento inter-gruppi è regolato dalla consapevolezza cognitiva degli individui rispetto alle proprie
appartenenze. Il bambino piccolo non è consapevole di essere un maschio o una femmina. Dopo sviluppa la
consapevolezza. Questa consapevolezza è interna. Non c’è bisogno che ci sia davvero un altro membro o
più che sia presente fisicamente sulla scena, in quanto l’appartenenza può essere anche simbolica. Posso
essere solo e percepire che ci sono dei gruppi diversi dentro di me, perché ho la consapevolezza di
appartenere a più gruppi e non ad altri. Dentro di me le varie appartenenze si differenziano
simbolicamente. Per questo la presenza del gruppo può essere reale, ma anche solo rappresentata.
Conseguenze dei comportamenti inter-gruppi:
- Maggiore uniformità nei comportamenti adottati verso i membri dell’outgroup. Quando devo
pensare ad un altro gruppo, vedo i suoi membri come tutti uguali (es: i cinesi sono tutti uguali),
mentre sono consapevole delle differenze all’interno del mio di gruppo. Questo processo prende
origine dal famoso processo di categorizzazione. Noi percepiamo i membri dell’outgroup come tutti
uguali e ci comportiamo con i suoi membri in modo standard, trattandoli allo stesso modo. Questo
è un fenomeno non solo cognitivo, ma quindi anche comportamentale.
- Rende più chiare le distinzioni tra le categorie (rappresentazioni, comportamenti, giudizi)
- Etnocentrismo  percezione che il nostro gruppo sia al centro di tutto. Esso diventa il metro di
paragone con cui giudicare tutti gli altri gruppi, esattamente come a livello individuale l’egocentrico
pensa di aver ragione e gli altri no e giudica tutto in funzione delle sue opinioni. Il punto di vista
dell’ingroup è migliore, superiore, più corretto rispetto a quello dell’outgroup
- Stereotipi  componente cognitiva. Rappresentazione cognitiva semplificata delle caratteristiche
di un certo gruppo sociale. Non vuol dire che non abbiano un fondamento, ma è molto
semplificato. Insieme di conoscenze, credenze, aspettative verso un particolare gruppo. E’ una
generalizzazione che riguarda gli aspetti induttivi del ragionamento, derivante dal processo di
categorizzazione.
Tajfel ha studiato il passaggio dallo stereotipo cognitivo a quello sociale. Quest’ultimo è
un’immagine mentale semplificata riguardante una categoria di persone, un’istituzione o un
evento, solitamente condivisa da una grande massa di persone. Funzioni degli stereotipi: 1)
cognitiva: accentuazione, selezione, interpretazione, raggruppamento in categorie, 2)
differenziazione positiva (quando differenziando due categorie, voglio evidenziarne una a scapito di
un’altra; distinzione noi e loro), 3) funzione esplicativa e di causalità sociale, ovvero spiegare la
realtà (comprendere i fenomeni sociali complessi; aiutano a mettere ordine; es: immigrazione), 4)
-
-
costanza dei valori (siamo conservatori cognitivi; tendiamo a conservare i valori personali e di
gruppo, anche perché ci sentiamo più sicuri all’interno di un sistema di credenze condivise; 5)
giustificazione/legittimazione che serve per giustificare le azioni commesse o progettate
dall’ingroup contro l’outgroup).
Come si misurano gli stereotipi? Chiedo alle persone il grado in cui ritengono che un particolare
gruppo sia o meno caratterizzato da un certo aggettivo. Problema: controllo della risposta. Il
soggetto sa bene qual è l’intento del ricercatore e per desiderabilità sociale da’ solo risposte
intermedie per passare come una persona senza stereotipi. Bisogna fare attenzioni quindi a non
fare domande dirette, perché i soggetti falsificano. E’ opportuno quindi misurarli in modo esplicito,
attraverso:
 Priming semantico
 Completamento di parole
 Implicit association task  5 compiti successivi, presentati al pc, in cui si chiede di
discriminare la posizione a destra o sinistra dello schermo, di diversi stimoli secondo alcuni
criteri. All’inizio si fanno su stimoli neutri, mentre dopo si chiede di fare un’altra
discriminazione di stimoli sulla base della piacevolezza. In seguito vengono presentati gli
stimoli appartenenti a tutte le categorie in 2 condizioni. Per un gruppo la condizione è
congruente (congruenza tra 1° criterio e piacevolezza che ad esempio devono essere
assegnati tutti a destra), mentre per un'altra è di incongruenza (questo crea casino, perché
crea dissonanza). Questo compito si basa sull’assunto che se 2 concetti sono associati in
memoria, l’attivazione di 1 di questi 2 concetti attiva anche l’altro. La risposta sarà tanto
più rapida quanto i 2 concetti sono vicini. Questo compito non è quindi basato sulla
correttezza della risposta, ma sulla sua velocità. Questo è stato usato per gli stereotipi e
pregiudizi, in cui veniva chiesto di mettere nella categoria piacevole o spiacevole diversi
gruppi etnici. E’ una misurazione indiretta, con tutti i problemi che questo comporta. Un
maggior tempo di latenza può anche voler dire che la persona non ha mai pensato ad una
determinata categoria associata ad un dato aggettivo.
Pregiudizi  componente affettiva. Include lo stereotipo, ma non è necessariamente vero il
contrario. E’ una predisposizione favorevole o sfavorevole verso i membri di una categoria. Non è
più una rappresentazione cognitiva, ma affettiva. Può essere pensato in questo senso come un
atteggiamento. La parola pregiudizio di solito viene usata nella sua accezione negativa, ma può
essere sia positivo che negativo. Quelli positivi non li vediamo, ma sono tantissimi e possono essere
altrettanto infondati. Il pregiudizio è basato unicamente all’appartenenza ad un dato gruppo
sociale e prescinde dalle singole persone. Può essere diretto verso il gruppo nel complesso o verso
l’individuo in quanto appartenente al gruppo (e non come persona unica e irripetibile). E’ una
predisposizione all’azione o favorevole o sfavorevole. Il comportamento conseguente cambia al
variare della natura del pregiudizio.
Discriminazioni  è più grave dello stereotipo, che è solo una rappresentazione cognitiva o del
pregiudizio (componente affettiva). La discriminazione è un comportamento che ha effetto su altri.
Perché le persone usano stereotipi, hanno pregiudizi e attuano discriminazioni. Diversi livelli di spiegazione:
- Intrapersonale
- Interpersonale
- Intergruppo
- Ideologico
Ci sono anche due accezioni diverse:
- s, p e d sono processi normali che riguardano gli individui in quanto tali
- s, p e d sono processi non logici, errori di elaborazione
Tutte le teorie si collocano in uno dei 4 quadranti identificati dai livelli di spiegazione e dalle 2 accezioni
diverse: asse x  spiegazione individuale/sociale; asse y  patologia-errore/normalità
Tajfel  ci muoviamo lungo continuum che va dal comportamento interpersonale ad uno intergruppi.
L’uomo si muove su un livello interpersonale quando ogni interazione è determinato da un incontro tra più
persone e tra le loro caratteristiche peculiari. L’uomo si muove invece in un comportamento inter-gruppi
quando ogni interazione è determinata dall’appartenenza a gruppi o categorie. L’interazione è
indipendente dalle differenze individuali, dalle interazioni personali e da ogni precedente interazione. Non
è influenzata da stati emotivi e motivazionali temporanei. Per parlare di comportamento inter-gruppi ci
devono essere almeno 2 categorie sociali facilmente distinguibili. Ci deve essere inoltre una ridotta
variabilità degli atteggiamenti e dei comportamenti all’interno dello stesso gruppo.
Condizioni che attivano forme estreme di comportamenti inter-gruppi (domanda d’esame):
- Atmosfera sociale dominante  sistema di credenze (rappresentazioni sociali) sui confini tra
gruppi. Le condizioni estreme (domanda d’esame) sono confini rigidi e immutabili, per cui non è
possibile passare da un gruppo all’altro, quindi l’unica possibilità diventa il cambiamento sociale.
Non posso muovermi come individuo, ma mi posso muovere solo come appartenente ad un gruppo
al quale sono super-identificato.
- Identificazione sociale  non tutti i gruppi sono importanti per una persona e non ci si identifica
con tutti i gruppi allo stesso modo. Prima di tutto ci vuole l’autoconsapevolezza di appartenere ad
un certo gruppo (auto-categorizzazione: lo psicotico non ha consapevolezza di appartenere al
gruppo degli psicotici). Bisogna poi capire quanto sono ampie le valutazioni positive o negative che
la persona associa a questa appartenenza. Quanto si sente emotivamente legata la persona ad un
certo gruppo (investimento emozionale). Quindi c’è un investimento valutativo e un investimento
emozionale nei confronti dell’appartenenza ad un dato gruppo
- Fattori oggettivo-strutturali esterni (storici, economici, sociali)  se ci trasferissimo adesso in Siria
ci sarebbero degli ingroup e outgroup molto più forti. Così come se ci trasferissimo nell’Italia del
primo Novecento con una discriminazione degli ebrei molto più accentuata. Ci possono essere
quindi diverse stratificazioni sociali (es: caste), divisione tra gruppi, bisogno di strutturazione
dell’ambiente, conflitti di interesse diversi (Sherif) a seconda del contesto storico, economico e
sociale.
SPIEGAZIONI SOCIALI – PATOLOGIA/ERRORE
Freud  aveva affrontato il problema della pulsione di vita e di morte.
Sulla base di questo LeBon e colleghi hanno parlato di mente di gruppo. Secondo questi teorici, quando noi
ci troviamo dentro una condizione di folla, si creano delle dinamiche che sono al di là dell’individuo. E’
come se la folla avesse una mente di gruppo, che non è data dalla somma dei singoli individui, ma dalla
moltiplicazione e inter-dipendenza di questi individui. Questa mente gruppale va al di là della
consapevolezza dei singoli membri e ci indirizza a prendere delle decisioni e compiere azioni che
individualmente non faremmo mai, a volte anche impensabili.
Zimbardo ha parlato di uno stato di de-individuazione, che non vuol dire de-personalizzazione (che va
spesso a braccetto con la de-realizzazione). Dentro il gruppo l’individuo perde il suo interesse
all’individualità. Non è più importante neanche come mi chiamo. Non che io dimentichi come mi chiami,
ma in quel momento divento una parte del gruppo e perde di salienza la mia identità individuale. Faccio
cose che da individuo singolo non farei (posso mettermi a bestemmiare, tanto siamo tutti un gruppo,
equamente responsabili e la colpa cade su tutti), diffondendo la mia responsabilità.
Bandura  aveva studiato lo sviluppo morale e avevo parlato di meccanismi che rendono l’azione morale
meno giustificabile e uno di questi era proprio la diffusione di responsabilità.
SPIEGAZIONI INDIVIDUALI – PATOLOGIA/ERRORE
Berkovitz  trattare coi gruppi è un problema della psicologia dell’individuo. E’ vero che studiamo dei
processi di gruppo, ma il gruppo non ha nulla di esoterico rispetto a ciò che è individuale. “Una guerra è
sempre combattuta da individui, che decidono volontariamente di andarci. Le battaglie sono combattute da
individui e la pace è fatta anch’essa dagli individui”.
Sono modelli individuali che permettono di prevedere il tipo di comportamenti inter-gruppi che la persona
metterà in atto:
- Personalità autoritaria
- Personalità dogmatica
- Teoria della frustrazione aggressività
- Le minoranze come capro espiatorio
- Teoria della deprivazione relativa
LA PERSONALITA’ AUTORITARIA (ADORNO)
Adorno e collaboratori hanno parlato di personalità autoritaria. 1950, 5 anni che è finita la guerra. Il
conflitto inter-gruppi è caratterizzato dal risentimento dei confronti dell’autorità e da un forte bisogno di
sottomettersi all’autorità. Il clima familiare è rigido e repressivo durante l’infanzia. Genitori superautoritari, rigidi, castranti, esageratamente interessati al potere, che esigono obbedienza assoluta. Padre
dominatore e madre restrittiva, che fanno pressioni affinchè il figlio si conformi alle norme sociali.
In un clima di questo tipo, la persona reprime le pulsioni (non posso permettermi di piangere, di dire che
sono arrabbiato, esternare la mia frustrazione), devo fare il bravo soldatino a casa. Il bambino diventa
ossessivo: scarso accesso al lato emotivo (sempre presente, ma difficile è accedervi perché rischia di
eruttare quasi in modo psicotico; si aprono delle voragini molto grosse), conformismo alle regole (non
posso ribellarmi all’autorità e mi subordino ad essa). Tuttavia l’aggressività da qualche parte va canalizzata,
però se non ho possibilità di canalizzarla verso il mio aguzzino, la indirizzo verso i più deboli o verso le
persone che non rispettano le regole. SCALA F: scala che veniva usata per misurare il fascismo nelle
persone. Definiva quanto tu sei una personalità di tipo autoritario.
L’aggressività non canalizzata verso i genitori, viene rivolta ai più deboli o quelli considerati inferiori a sé. Il
risultato finale sarà un individuo troppo rispettoso delle figure autoritarie (che simbolizzano i genitori) e
manifestamente ostile nei confronti di chi trasgredisce le regole o nei confronti di chi appartiene ad altri
gruppi.
Questo tipo di personalità predispone al conflitto inter-gruppi.
La personalità autoritaria si caratterizza per (domanda d’esame):
- Stile di pensiero rigido e dogmatico
- Tendenza a eseguire acriticamente gli ordini superiori
- Superstizione e fatalismo
- Spiccata propensione alle credenze etnocentriche, antisemitiche e conservatrici
- Alta sensibilità alla propaganda antidemocratica
- Antisemitismo
- Conservatorismo socioeconomico
- Marcato etnocentrismo
- Tendenze antidemocratiche di tipo prefascista
Altemeyer  l’autoritarismo di destra è basato su tre dimensioni:
- Alto grado di sottomissione all’autorità
- Generale aggressività rivolta contro persone percepite come devianti e sanzionabili dall’autorità
- Alto grado di aderenza alle convenzioni sociali
Ha creato una scala che misura l’autoritarismo di destra (RWA)
PERSONALITA’ DOGMATICA (ROKEACH)
Siccome Adorno e collaboratori avevano fatto più rilevazioni di carattere politico (fascismo, antisemitismo),
lui cercava una teoria più svincolata e parla più in generale (anni 50 del dopoguerra). L’antidemocrazia
psicologica deriva da uno stile cognitivo chiuso, il dogmatismo:
- Chiusura del sistema cognitivo  scarsa disponibilità ad ascoltare pareri alternativi e che
difficilmente abbandona il proprio pensiero. Probabilmente funzionale alla propria sopravvivenza
psicologica, ma comunque inflessibile.
- Intolleranza
- Autoritarismo
L’origine del dogmatismo è la predominanza dei bisogni egodifensivi su quelli cognitivi. CI sono persone che
hanno il bisogno cognitivo di conoscere, che sono curiose, ma ci sono anche persone che hanno bisogno di
difese del proprio ego, che non possono permettersi di pensare di aver sbagliato o che cambiare idea sia
meglio. I pazienti spesso hanno bisogni egodifensivi e non cognitivi e in terapia vogliono avere solo
conferme di quello che già pensano.
TEORIA DELLA FRUSTRAZIONE-AGGRESSIVITA’
Quando sono frustrato e ho uno stimolo trigger allora divento aggressivo e direziono la mia aggressività
verso un capro espiatorio, tipicamente un bersaglio inerme o più debole. Se la fonte della frustrazione non
è attaccabile (genitore, datore di lavoro, ecc…) allora per sbollire questa aggressività devo direzionarla
verso un capro espiatorio. E’ simile alle teorie di Adorno e collaboratori. Quando l’avversario è troppo
potente, me la prendo con il più debole. Per questo a livello giuridico atti aggressivi contro persone incapaci
di difendersi è considerato più grave e maggior soggetto a sanzione. Io sono deprivato, mi manca qualcosa
per essere felice. Questa cosa mi crea una frustrazione, che se non viene canalizzata provoca un
comportamento aggressivo, che rivolgo verso un capro espiatorio. Avviene uno spostamento di una
pulsione aggressiva verso un bersaglio che non è quello originale, ma che mi permette di (secondo anche il
modello idraulico di Freud o Lorenz) scaricare la pulsione aggressiva.
In base a cosa viene scelto il capro espiatorio? Non è casuale, ma sono coinvolte tutta una serie di variabili
contestuali. Es: se una persona ha rubato qualcosa in passato e adesso sparisce qualcosa, sarà più facile che
me la prenda con lui e che diventi il mio bersaglio di spostamento.
Problemi: non sempre la frustrazione genera aggressività, perché questa si può manifestare anche nel serial
killer che uccide per profitto, ma che non è necessariamente frustrato (si può essere aggressivi senza essere
frustrati). E non sempre la frustrazione porta all’aggressività. La frustrazione è solo una delle esperienze
spiacevoli che possono generare aggressività. Altrimenti ad esempio nel caso di una guerra io dovrei avere
milioni di persone tutte frustrate, cosa a livello statistico molto improbabile, in quanto è difficile che più
persone contemporaneamente sperimentino assieme lo stesso sentimento di rabbia, scelgano nello stesso
istante lo stesso bersaglio della propria aggressività. E’ inoltre difficile stabilire verso quale gruppo o stimolo
sociale (capro espiatorio) sarà spostata l’aggressività (per Berkowitz si tratta di uno stimolo
precedentemente associato al conflitto, alla violenza, all’antipatia).
TEORIA DELLA DEPRIVAZIONE RELATIVA
In continuità con alcune delle tesi centrali della teoria della frustrazione-aggressività è stata coniata la
teoria della deprivazione relativa, che va a ridurre l’importanza causale dei livelli assoluti di deprivazione e
di frustrazione, per enfatizzare la rilevanza della deprivazione relativa.
La deprivazione relativa è lo scarto tra la percezione delle condizioni attuali e le aspettative rispetto a come
le condizioni dovrebbero essere. E’ una deprivazione che ha delle caratteristiche meno oggettive, ma è uno
stato tra quello che io ho e quello che mi aspetto che dovrebbe essere. Questo sentimento si potrebbe
anche chiamare frustrazione, ma il punto è capire “perché sei frustrato?”. E’ qualcosa che mi attanaglia
dentro perché penso di meritare di più rispetto a quello che percepisco di possedere. Nasce dal confronto
tra le aspettative e l’esperienza (è quello che porta un paziente in terapia: un suo disagio rispetto a quelle
che sono le sue aspettative). La deprivazione non è mai assoluta, ma ricondotta ad un qualche tipo di
standard o norma interna. Vi è quindi una discrepanza tra vita reale e vita ideale. Questo significa che
anche chi non è oggettivamente svantaggiato, può percepire di avere meno di quello che pensa di
meritarsi. Questa cosa è stata studiato soprattutto nei gruppi intermedi. Ad esempio in un’organizzazione
ospedaliera lo status più alto lo hanno i medici, poi c’è una fascia centrale degli infermieri, poi c’è un
gruppo sociale con status ancora più basso degli operatori, portantini. Questa gerarchia non è scritta sulla
carta, perché in teoria tutti dovrebbero avere lo stesso valore. Ma si tratta di una cultura che si è creata per
tutta una storia delle professioni. Lo stato di deprivazione relativa spesso riguarda proprio quei gruppi che
sono collocati tra uno status alto e uno status basso. Se l’infermiere attiva il confronto con chi è più in basso
ha un certo status, mentre se attua il confronto con il medico ne ha un altro. Nel primo caso uno status più
alto e nel secondo più basso. E’ uno stato intermedio nel quale l’infermiere percepisce che potrebbe avere
di più.
Davies  lo stato di deprivazione può avvenire dopo un periodo lungo in cui gli standard di vita sono
migliorati e successivamente avviene un’inversione di tendenza (es: sto per tanto tempo con una ragazza e
poi ci si lascia e sento la mancanza; guadagno tanto per mesi e poi il mio stipendio diminuisce).
La deprivazione relativa si divide in 2 tipologie:
- Egoistica  riguarda l’individuo. E’ un senso di deprivazione con se stessi. Percezione di avere,
individualmente, meno di quello che si pensa di meritare. Deriva quindi dal confronto con altri
individui (es: lavoro di più rispetto alle mie colleghe, ma loro guadagnano di più)
- Fraternalistica  è legata al mio gruppo. Percezione che il proprio gruppo abbia meno di quello che
si pensa debba meritare. Deriva quindi dal confronto con altri gruppi (es: mi sento deprivato in
quanto operaio o artigiano. Percepisco che il mio gruppo ha meno di quello che dovrebbe meritare)
La seconda è quella che è più probabile generi conflitti inter-gruppi, proprio perché è coinvolta la mia
identità sociale. Non sto più lavorando ad un livello individuale, ma con la categoria a cui io appartengo e
con cui mi identifico.
Legame tra deprivazione relativa e pregiudizio  Pettigrew ha fatto uno studio con più di 1000 rispondenti
bianchi, misurando la deprivazione egoistica (quanto si è soddisfatti rispetto alla propria posizione
personale in rapporto agli altri lavoratori bianchi) e quella fraternalistica (quanto si è soddisfatti della
posizione del proprio gruppo rispetto agli altri lavoratori neri). Ha trovato una serie di fattori che
influenzano la deprivazione fraternalistica:
- Forte identificazione di gruppo
- Percezione di efficacia dell’azione
- Percezione di ingiustizia: può essere sull’esito, ovvero distributiva (ho/abbiamo meno di quello che
merito/meritiamo; io ottengo 5 e tu ottieni 10) e procedurale (sono/siamo vittima di un
trattamento ingiusto; prendiamo lo stesso, ma il capo ti tratta bene e a me tratta male)
-
Confronto fra ingroup e outgroup
QUESTIONE
Il comportamento degli individui nei gruppi è sempre legato ad una perdita di razionalità? Perché le teorie
discusse finora partono tutte da questo presupposto. Siamo tutti cresciuti con padri autoritari? Siamo tutti
frustrati? Tutti accaldati o infreddoliti? Tutti esposti ad indizi violenti?
Possiamo considerare l’individuo come l’unità d’analisi delle relazioni inter-gruppi?  domanda centrale
No, l’individuo non è l’unità di analisi.
Possiamo spiegare il comportamento dei gruppi attraverso una lente piccola? No. CI vuole il grand’angolo
non il microscopio.
Genocidi, segregazioni razziali, stupri di massa, pulizia etnica, discriminazioni, torture, impiccagioni e
quant’altro l’umana ferocia è in grado di creare, sono tutti riconducibili all’azione di singoli individui?
Le spiegazioni individuali sono inadeguate perché?:
- Lewin  il gruppo non è la somma dei singoli membri
- La spiegazione dei comportamenti intergruppi non può passare per l’analisi delle caratteristiche di
singoli membri.
- Spiegano il comportamento in gruppi a partire dalle caratteristiche degli individui
- Non tengono conto delle appartenenze delle singole persone
- Non considerano gli effetti positivi dei gruppi (senso di appartenenza, cooperazione, facilitazione,
altruismo)
Tajfel  non è possibile spiegare le relazioni tra gruppi attraverso la psicologia dell’individuo. Sono i
governi che decidono di entrare in guerra, sono gli eserciti a combattere le battaglie e sempre i governi a
decidere di fare la pace. E’ una frase che si oppone a quella di Berkowitz.
SPIEGAZIONE SOCIALE – PROCESSO NORMALE
TEORIA DEL CONFLITTO REALISTICO - SHERIF
I gruppi competono quando c’è un conflitto reale. Il conflitto è realistico perché c’è un conflitto di interessi
dovuto alla scarsità di risorse, che sono sempre limitate (la torta o la mangio o la mangi tu). Secondo Sherif i
comportamenti tra gruppi non possono essere spiegati a partire dalle caratteristiche dei singoli individui.
Bisogna partire dal gruppo. Ha dimostrato questa cosa con “l’esperimento del campo estivo”.
Ha preso dei ragazzi adolescenti. Spesso a quell’età i ragazzi in America andavano nei centri estivi. Ha
sfruttato una situazione reale, per farci un esperimento sul campo all’insaputa degli studenti. Divide i
ragazzi in due gruppi, dà un nome e colori diversi ad ogni singolo gruppo (blue devil e red bull). I ragazzi
hanno cominciato a pensarsi come appartenenti al gruppo a cui erano stati assegnati. Lo studio è durato 3
settimane; i ragazzi già si conoscevano.
Fase 1  si formano i gruppi, che inizialmente sono indipendenti e non interagiscono. Sherif ha cominciato
a separare i due gruppi anche nell’attività (dormire, mangiare, ecc…)
Fase 2  il conflitto viene reso saliente e viene creata una situazione di interdipendenza negativa, ovvero
vengono premiati solo i vincitori in una serie di attività competitive. SI sono manifestati fenomeni di
favoritismo ingroup, coesione intragruppo, aggressioni e discriminazione verso outgroup, creazione di
norme in-group.
L’esperimento però sfuggì dal suo controllo, perché questi fenomeni stavano diventando davvero molto
marcati. Questa cosa era problematica anche a livello etico, perché le persone già si conoscevano e
l’esperimento stava minando la loro relazione. Per ridurre le conseguenze che si erano creato, Sherif ebbe
l’idea di introdurre elementi di collaborazione e cooperazione.
Fase 3  il conflitto si è ridotto e i gruppi hanno ricominciato a parlarsi anche a livello interpersonale.
Vengono introdotti scopi sovraordinati, ovvero scopi che per essere portati a termini necessitano di
cooperazione. SI sono creati fenomeni di interdipendenza positiva e si è tornati ad un livello interpersonale
e non più competitivo.
Il conflitto fra gruppi è determinato dalla competizione per l’accaparramento delle risorse materiali che
sono sempre limitate. Senza scopi competitivi non esistono conflitti inter-gruppi per Sherif. Al contrario le
relazioni fra gruppi tenderanno ad essere più armoniche quando i gruppi devono cooperare per
raggiungere uno scopo comune.
Gli atteggiamenti pregiudiziali verso un gruppo nascono dalla competizione tra i gruppi di appartenenza per
il possesso delle risorse materiale, scarse e/o ambite. Se due gruppi che sono in rapporto tra loro si
pongono degli scopi competitivi giungeranno rapidamente ad un conflitto intergruppi; se si pongono degli
scopi sovraordinati giungeranno ad una cooperazione reciproca.
Critica alla teoria di Sherif  quando nell’ultima fase dell’esperimento i ragazzi hanno cominciato ad avere
un rapporto interpersonale, non erano tuttavia spariti tutti i pregiudizi. E’ vero che si riduce il pregiudizio,
ma non si elimina. L’orientamento a favore dell’ingroup e conflitto verso l’outgroup inoltre non richiede
necessariamente un conflitto esplicito di interessi. Ma non è sempre così. Se infatti un conflitto esplicito di
interessi è sicuramente una condizione sufficiente per far nascere un conflitto, non è tuttavia una
condizione necessaria. Cosa avviene quando non c’è conflitto di interessi? Non c’è conflitto intergruppi?
Non c’è favoritismo?
Sulla base di questi interrogativi sono stati formulati altre teorie.
IL DESTINO COMUNE – RABBIE E HORWITZ
Per scatenare un conflitto inter-gruppi non è necessario un conflitto esplicito di interessi, ma è sufficiente la
percezione che i membri all’interno dello stesso gruppo abbiamo lo stesso destino comune. “Non ha
importanza che il gruppo degli Ebrei sia un gruppo religioso, nazionale o culturale. Il fatto che sia
classificato dalla maggioranza come un gruppo distinto è quello che conta”.
Hanno cercato di individuare le condizioni minime sufficienti per generare discriminazione. Per Sherif la
condizione minima era il conflitto di interessi, mentre per loro il destino comune.
Esperimento: un gruppo di 8 adolescenti viene diviso in 2 gruppi da 4 persone, assegnati per ragioni
amministrative e in modo del tutto casuale. I 2 gruppi (blu e verdi) non interagiscono tra di loro.
Pre-test  Il loro compito era quello di esprimere le loro impressioni sull’ingroup e outgroup e
sull’atmosfera generale.
Test  viene introdotto l’esperimento. Viene detto che per mancanza di fondi sono disponibili solo 4 radio
a transistor come ricompensa per la partecipazione. Solo un gruppo potrà vincere. Per stabilire quale
gruppo vince vengono introdotte varie condizioni sperimentali:
- Gruppo di controllo  non viene fatto riferimento ad alcun premio
- Gruppo sp. 1  il gruppo premiato è deciso sulla base di un lancio di moneta
- Gruppo sp. 2  il gruppo premiato è deciso arbitrariamente dallo sperimentatore
- Gruppo sp. 3  il gruppo premiato è votato dai partecipanti
I partecipanti devono poi valutare nuovamente i membri dell’ingroup, dell’outgroup e l’atmosfera di
gruppo.
Hanno visto che il favoritismo e la discriminazione è maggiore nei gruppi sperimentali. Le valutazioni
dell’ingroup erano più favorevoli di quelli dell’outgroup. Mentre nel gruppo di controllo le valutazioni non
erano poi così diverse. Sia nel gruppo che aveva ottenuto la ricompensa che quelli che non l’avevano
ottenuta, il fenomeno era comunque presente. Il favoritismo era maggiore quando l’attribuzione era sul
lancio della moneta, ovvero in una situazione di attribuzione totalmente casuale che portava
all’esasperazione del comportamento ingorup e outgroup. Il destino comune modifica il campo psicologico
e i due gruppi in quel momento diventano facilmente distinguibili. Indipendentemente dal fatto che questo
destino sia positivo o negativo, questo sembra sufficiente a generare discriminazione verso l’outgroup
(fanno l’esempio degli ebrei che nonostante siano sparsi per tutto il mondo, percepiscono comunque un
destino comune).
TEORIA DELL’IDENTITA’ SOCIALE – TAJFEL (domanda d’esame)
Critica una fase dell’esperimento di Sherif  le discriminazioni cominciano ad avvenire non solo quando
viene innescata la competizione e il conflitto intergruppi, ma già quando vi è la costituzione e divisione in
due gruppi. Avviene già nel momento in cui categorizzo gli individui in 2 gruppi. Non c’è bisogno dello scopo
competitivo, ma basta che si formi la rappresentazione mentale dei gruppi distinti per creare fenomeni di
discriminazione e favoritismo. La categorizzazione è quindi la condizione minima sufficiente per spiegare i
comportamenti ingroup e outgroup. Il modello della categorizzazione propone una spiegazione semplice ed
efficace, ma c’è una limitazione: perché è il proprio gruppo e non l’altro che ha la meglio nella percezione,
nei giudizi e nella distribuzione di risorse? Perché si favorisce l’ingroup e non l’outgroup? La chiave è
l’identificazione con il proprio gruppo, che avviene quando io voglio perseguire un’identità sociale positiva,
ovvero quegli aspetti dell’immagine di sé che derivano dalle categorie sociali a cui appartengo, unite al
valore e al significato emotivo di questa appartenenza. Non basta l’appartenenza, ma io all’interno del
gruppo devo mantenere un’autostima positiva. Dal momento che l’immagine che abbiamo di noi dipende
almeno in parte dalle nostre appartenenze, è per questo motivo che io considero l’ingroup in una luce più
positiva rispetto all’outgroup. E’ quindi una motivazione individuale. Non è solo un aspetto cognitivo, ma
c’è un nucleo fortemente motivazionale. Il bisogno di mantenere un’identità sociale positiva richiede ai
membri un impegno, di mantenere il proprio gruppo in una luce più positiva di quella dell’altro (ricercando
elementi differenziali positivi rispetto all’outgroup), al fine di acquisire o mantenere un’identità sociale
positiva. Possiamo dire che le persone sviluppano una percezione più favorevole del proprio gruppo
rispetto all’altro, che può assumere la forma di giudizi valutativi viziati nei confronti dell’outgroup o di
forme comportamentali di discriminazione concreta. C’è sia un livello verbale che non verbale e
comportamentale.
GRUPPI MINIMI - TAJFEL
Domanda: quali sono le condizioni minimali per cui si verifica il favoritismo ingroup e discriminazione
outgroup? Crea il paradigma dei gruppi minimi (domanda d’esame), ovvero gruppi che hanno in sé le
condizioni per lui minimali affinchè questi fenomeni si verifichino. Si tratta di una tecnica di ricerca per
indagare se le dinamiche di discriminazione di presentano anche quando i gruppi non sono coinvolti in
nessun rapporto di competizione, di destino comune; non vi è neanche l’interazione. Ha cercato di
spogliare di tutto fino ad arrivare all’essenziale, per arrivare appunto alle condizioni minimali. I gruppi
minimi sono gruppi privi di tutte le caratteristiche tipiche della vita di gruppo: interazione faccia a faccia,
storia, rapporti di amicizia, meta, compito, futuro, motivazione a stare nel gruppo. Tutto questo viene
spogliato. Sono quindi gruppi artificiali e non naturali come quelli di Sherif. In natura non esistono gruppi
minimi. Lo scopo è individuare le condizioni minime per cui l’individuo opera una distinzione tra ingroup e
outgroup.
Le persone sono assegnate al gruppo con un criterio fittizio, per cui non esiste alcun vantaggio personale
legato a questa appartenenza. I gruppi non hanno una storia e non c’è un’ostilità pregressa. I gruppi non
hanno neanche un futuro, perché non c’è alcuno scopo comune. I partecipanti non interagiscono fra di loro.
I partecipanti sono anonimi e la persona conosce solo la propria appartenenza e non quella degli altri che
sono solo numeri espropriati della propria identità umana. Non c’è alcun interesse e vantaggio diretto dei
partecipanti a essere membri del gruppo.
Tutte queste condizioni fanno parte al positivo di un qualsiasi gruppo normale.
Lo scopo è quello di individuare le condizioni minime in cui un individuo opera una distinzione tra il gruppo
di appartenenza e un gruppo esterno.
Esperimento: scegliere se si preferisce il quadro di Kandinskij o Klee. Ha fatto vedere più immagini di quadri
di Klee e di Kandinskij e i soggetti dovevano esprimere senza comunicarlo agli altri la propria preferenza. Lo
sperimentatore poi arriva e decide di dividere arbitrariamente in 2 gruppi in base alla preferenza. I soggetti
devono distribuire dei punti di valore o soldi individualmente ad un membro anonimo dell’ingroup e ad un
membro anonimo dell’ougroup. I soggetti però non sanno a che gruppo appartengono gli altri, perché la
composizione dei gruppi è privata. Nessuno sa chi fa parte del suo gruppo o dell’altro. I soggetti sapevano
quale fosse il proprio gruppo e quello dei destinatari delle somme, ma non la loro identità. Ogni
partecipante disponeva di matrici di pagamento che rappresentavano somme di denaro da distribuire tra i
2 soggetti. Le strategie sono:
- Imparzialità  egual numero di punteggio ai soggetti anonimi
- il massimo profitto comune (MPC)  attribuire la maggior quantità possibile di denaro (o punti) ai
2 soggetti. E’ il massimo possibile che sia ingroup che outgroup possono portare a casa.
- massimo profitto a favore dell’ingroup (MPI)
- massima differenza a favore dell’ingroup (MD)  strategia data dalla discrepanza tra i due
punteggi. I soggetti sceglievano a volte di auto-penalizzarsi pur di differenziarsi; prendo meno soldi,
ma scelgo la strategia che mi differenzia di più l’outgroup dall’ingroup; dove la discrepanza è
maggiore io scelgo quella strategia indipendentemente dalla quantità assoluta di denaro i di punti.
Risultati:
- alta percentuale di risposte imparziali
- alta percentuale di risposte a favore del proprio gruppo (dimostrando quindi la sua teoria: basta la
categorizzazione in due gruppi). In particolare viene scelta la strategia della massima differenza a
favore dell’ingroup, anche se questo implica rinunciare al massimo profitto per l’ingroup.
Spiegazione dei risultati  la mera categorizzazione sociale in gruppi è sufficiente per provocare un
favoritismo per l’ingroup e discriminazione contro l’outgroup, anche senza conflitto di interessi e anche
nell’anonimità dell’appartenenza al gruppo.
Tuttavia Tajfel non riesce a spiegare perché una persona continua a favorire l’ingroup. Per farlo ricorre
sempre alla teoria dell’identità sociale: attraverso i processi di gruppo io posso costruire, acquisire,
consolidare e mantenere un’identità sociale positiva. In tutti gli individui di tutte le culture c’è una parte
dell’identità che riguarda la mia appartenenza. Mantenere un’identità sociale positiva è un compito di
autostima individuale, motivo per il quale la persona favorisce l’ingroup. La condizione (oltre a
categorizzazione e identità sociale positiva) è che ci sia una situazione di confronto sociale. E’ dal confronto
che nasce la mia identità sociale, autostima.
Condizioni minimali per comportamenti intergruppi sono quindi:
- Categorizzazione sociale  mi fornisce l’autoconsapevolezza di appartenere ad un gruppo
- Identificazione sociale  per me quel gruppo ha rilevanza emotiva
- Confronto sociale  ricavo la mia specificità positiva
Tutto questo tiene finchè il gruppo sostiene, valorizza e garantisce un’identità sociale soddisfacente. Se
invece l’identità sociale comincia ad essere scomoda (il mio gruppo perde sempre, non ha le stesse capacità
dell’altro: il mio gruppo non è in grado di garantire un’identità sociale positiva) allora si creano fenomeni di
mobilità sociale (abbandono reale o psicologico del gruppo; i confini devono essere però permeabili e il
passaggio di confine deve essere considerato legittimo) o cambiamento sociale (non posso andare via del
gruppo e cerco dei termini di confronto che mi aiutini ad uscirne vincente, es: visto che le donne non sono
uomini, troviamo noi donne un qualcosa che ci renda migliore dell’uomo: se l’uomo è più forte, troviamo
allora un altro termine di confronto, es: le donne sono più empatiche, sensibili, ecc… ). La cosa importante
è mantenere una propria specificità.
I processi socio-psicologici implicati sono:
- Categorizzazione  noi vs loro
- Confronto sociale  noi meglio, loro meglio
- Riflessi sull’identità  identità sociale positiva o negativa
- Comportamento inter-gruppo  poco, nessuna o alta discriminazione
Quando non è possibile cambiare gruppo di appartenenza o modificare il sistema di status, si mette in atto
confronto sociale, che avviene secondo 2 modalità:
- Conflitto sociale  Cercare di agire collettivamente per modificare la struttura sociale (migliorare
lo status del proprio gruppo). Condizione nella quale è più probabile trovare forme aperte di
discriminazione e pregiudizio intergruppi
- Creatività sociale  Modificare i termini del confronto sociale. Rivalutazione della caratteristica che
li relega in posizione svantaggiata. Creare una nuova dimensione di confronto. Cambiare il gruppo
di confronto evitando il paragone con i gruppi di status superiore.
CRITICHE DI BROWN A TAJFEL
La teoria di Tajfel non prevede che io favorisca l’outgroup, ma solo l’ingroup in quanto legato alla identità
sociale positiva ed autostima. Ma allora come ce lo spieghiamo?
Inoltre non sempre il favoritismo per l’ingroup so accompagna alla discriminazione outgroup, mentre per
Tajfel vanno assieme. Non c’è discriminazione quando vengono individuate condizioni di confronto più
favorevoli per la persona (es: il bianco che riconosce altri attributi al nero come la prestanza fisica; quindi
magari su quel termine di confronto non discriminiamo più). Posso ciò favorire l’ingroup su certe
dimensioni e favorire l’outgroup su altre. Se prendo solo una dimensione di confronto posso vedere quello
che ha detto Tajfel, ma nella realtà ci sono varie dimensioni di confronto.
Posso anche non favorire né ingroup né outgroup.
Non sempre inoltre è stata identificata la correlazione tra identificazione e differenziazione intergruppi. Il
confronto intergruppi non si verifica spontaneamente e naturalmente in tutti i contesti intergruppi. La
teoria di Tajfel rimane vera, ma bisogna aggiungere queste specifiche.
Quello che ha detto Tajfel è vero ma riguarda quei gruppi che non solo hanno una dimensione di confronto,
ma anche quei gruppi che emergono in un contesto molto competitivo e relazionale. I gruppi possono
evolvere non avendo una condizione di confronto esterno. I gruppi di terapia ad esempio non si
confrontano con altri gruppi terapeutici; la dimensione di confronto del gruppo terapeutico non è
relazionale, ma autonoma. La dimensione di confronto è interna al gruppo. I gruppi che hanno un
orientamento autonomo, sono gruppi che vogliono crescere e sviluppare un’identità sociale positiva, ma
non hanno bisogno di competere con altri. Un po' come la differenza tra il fare uno sport individuale e uno
sport di gruppo, in cui cambiano le dimensioni di confronto: nel primo è autonomo nel secondo relazionale.
Il conflitto sarà maggiore nei gruppi con orientamento relazionale.
Queste due dimensioni (autonomo, relazionale) si incastrano con il tipo di cultura individualista o
collettivista. Due dimensioni ortogonali che si incastrano: l’orientamento e il contesto.
Individualismo fa riferimento ad una cultura che enfatizza la competizione e l’indipendenza del soggetto
dell’ingroup. Il collettivismo fa riferimento ad una cultura che enfatizza la cooperazione e la compattezza
tra i membri dell’ingroup.
TURNER – TEORIA DELLA CATEGORIZZAZIONE DEL SE’ (TCS)
Secondo la teoria della categorizzazione del Sé, gli individui possono categorizzare se stessi a diversi livelli
via via più astratti ed inclusivi.
Se mi sento umano, mi confronterò con tutto ciò che non è umano. E’ un livello che si attiva poco spesso,
perché spesso gli uomini passano il tempo con altri uomini. Sarebbe necessario il confronto con un
qualcosa di non-umano.
Noi  confronto inter-gruppi
Io  confronto interpersonale
Quando io mi sento umana, donna, madre, italiana e quando mi sento io con le mie caratteristiche?
Il processo della categorizzazione del sé (porre se stessi e gli altri in categorie distinte) avviene sulla base di
2 processi (accessibilità x fit e meta-contrasto):
- Accessibilità  caratteristiche del soggetto percipiente (valori, esperienze, interazioni che possono
derivare dalla cultura o dalle richieste immediate dell’ambiente). E’ la disponibilità cognitiva delle
categorie. E’ un qualcosa dipendente dalla mia storia di apprendimento e dalle caratteristiche del
contesto
- Corrispondenza  o fit. Il grado in cui quel livello di astrazione è in grado di spiegare in modo
migliore le somiglianze e le differenze tra gli stimoli. E’ il grado di adattamento delle categorie al
contesto.
- Principio di meta-contrasto  una serie di stimoli sarà categorizzata più probabilmente come una
singola entità se e nella misura in cui la differenza all’interno di quella serie di stimoli è minore di
quella che esiste fra la serie e una qualsiasi altra. Vengono cioè attivate le categorie del sé che
minimizzano la differenza intra-categoriale e massimizzano la differenza inter-categoriale.
Accessibilità x corrispondenza mi risponde alla domanda su quale livello di astrazione viene attivato
secondo Turner.
Per Turner non c’è più un continuum tra identità personale, sociale e umana (come per Tajfel), ma c’è un
antagonismo funzionale.
Quando la categorizzazione si pone a livello intermedio (identità sociale), la percezione e la valutazione del
proprio gruppo e degli altri gruppi diventa più stereotipata. Il Sé, i membri dell’outgroup e dell’ingroup
vengono percepiti e valutati solo sulla base della loro appartenenza. La percezione diventa più rigida,
stereotipata, più semplice. Percepiscono l’outgroup come un insieme indifferenziata di elemento e anche io
stesso mi autostereotipizzo (de-personalizzazione: non perdo nessun contatto con realtà, non c’è
dissociazione, né sintomi psicologici. E’ un livello normale che si attiva quando io mi percepisco omogeneo
al mio ingroup. La mia persona non è così importante, tutti i membri sono ingroup e sono intercambiabili.
Non è tanto importante il singolo individuo, quanto l’essere parte del gruppo). La forma estrema di questo
processo viene chiamata de-umanizzazione: dal confronto ingroup e outgroup io non ti considero umano;
deumanizzo il mio avversario. E’ presente ovunque nei nostri discorsi e non è affatto così raro (es: poverino
non ci arriva, è un ritardato).
Se io voglio fare del male a qualcuno e lo considero meno umano non c’è problema, perché la mia
coscienza umana rimane intatta. Per sopperire al mio senso di colpa, considero una persona meno umana e
questo giustifica le mie azioni contro di essa.
Critiche  Turner utilizza una categorizzazione prototipica, ma non sempre c’è un prototipo in un gruppo.
Piuttosto che una teoria sociale, quella di Turner è più una teoria cognitiva che sociale. Non dà al contesto
un aspetto così rilevante. Inoltre non tiene conto che in alcuni casi le identità personali e sociali possono
non escludersi a vicenda (mentre per lui c’è un antagonismo funzionale).
SVILUPPI CRITICI DELLA SIT (TAJFEL) E DELLA SCT (TURNER)
Il grado di omogeneizzazione cambia a secondo della posizione dell’osservatore. Io sto guardando l’ingroup
o l’outgroup? L’outgroup, per qualsiasi soggetto dell’ingroup, è sempre percepito molto omogeneo. Mentre
l’ingroup non sempre è così omogeneo (es: se pensiamo alle persone asiatiche, per noi sono tutti uguali;
l’omogeneità dell’outgroup è molto più elevato rispetto a quando pensiamo a noi stessi; cominciamo a dire
che gli italiani sono diversi a seconda delle regioni, bla bla, nonostante l’italia sia molto più piccola rispetto
ai paesi asiatici). Questa cosa non può essere spiegata dalla teoria di Turner, perché dipende se i miei
occhiali stanno guardando l’ingroup o l’outgroup.
Effetto pecora nera  ciò che nessuno vuole essere in un gruppo. Implica essere diversi, ma dentro il
gruppo. Il gruppo la tiene perché conviene al gruppo stesso, perché funziona da capro espiatorio; è quel
qualcuno verso il quale si possono convogliare energie negative. Marques ha criticato appunto Turner
dicendo che non è vero che un gruppo è sempre omogeneo, ma c’è sempre la pecora nera (differenziazione
intra-grupo). In un confronto intergruppi, i membri del gruppo sono propensi a valutare negativamente un
membro deviante che non si conforma al prototipo del gruppo, in modo da eliminare i componenti negativi
del gruppo per ottenere una visione più positiva del proprio gruppo rispetto all’outgroup.
Deviante vs Pecora Nera  Il deviante è pensato come membro su cui il gruppo singolo riflette e si
confronta, cercando di farlo rientrare, altrimenti le norme di gruppo verrebbero messe in discussione. E’
importante che chi devia abbia subito una punizione, in modo che le norme di gruppo non vacillino.
L’effetto pecora nera si verifica invece in una dimensione di confronto intergruppi. Nel mio ingroup c’è un
elemento deviante. Lo massacro per ottenere una visione più positiva del mio gruppo rispetto all’outgroup.
Lo punisco pubblicamente per dimostrare come il mio gruppo sia fatto da elementi meravigliosi.
Teoria della covariazione (Deschamps)  critica a Tajfel. Prende due gruppi minimi, le condizioni però sono
diversi. Nel primo caso c’è diffusione dell’identità, nel secondo c’è una condizione di individuazione. Ha
visto che nelle condizioni di individuazione, oltre ad esserci un maggior favoritismo per l’ingroup, c’è anche
un maggior favoritismo per il sé. Scopre quindi che non sempre il favoritismo per l’ingroup e per il sé sono
opposti, ma in alcune condizioni covariano. Non è vero come dice Turner che o agisco in termini di razza
umana, di individuo depersonalizzato o di individuo unico, ma questi sono livelli che possono anche
coesistere. E’ possibile che l’identità sociale e quella personale non si escludano a vicenda e che possano
covariare. E’ lo status individuale all’interno del gruppo della persona a determinare la relazione tra identità
personale e sociale. Per i membri di un gruppo di status alto c’è più covariazione, mentre i membri dei
gruppi di status basso sono definiti e si definiscono in termini di appartenenza (identità sociale). Chi ha uno
status dominante si percepisce come una collezione di pezzi unici e inimitabili, volontari, liberi e autonomi
(identità sociale e personale salienti), mentre quelli di status basso tendono a percepisci come categorie di
individui indifferenziati e impersonali (ad un livello quindi più sociale).
I manager si percepiscono come una collezione di individui unici, ovvero un insieme con pezzi unici. Gli
operai invece sono più spostati verso l’identità sociale (l’operaio si sente uguali a tutti gli altri operai). Nel
caso del manager l’identità sociale e quella individuale possono andare a braccetto: sono un manager, ma
sono unico e diverso dagli altri manager. La teoria di Tajfel è vera solo se c’è un gruppo di status basso.
Questo perché nell’ideologia dominante c’è una norma individualista: self-made man, diventare ricchi,
sfondare, diventare famoso. Nell’ideologia dominata invece la norma è collettivista: il dominante non si
pensa come un essere determinato dalla propria appartenenza ad un gruppo, ma si percepisce come un
essere individualizzato, singolare, come un soggetto, un attore volontario libero a autonomo. Egli è
soggetto dell’azione e della storia. Per i dominati invece il loro essere può essere definito come quello di un
elemento indifferenziato in un insieme di elementi impersonali.
Lorenzi-Cioldi  i dominanti sono una collezione di singole individualità (in cui è saliente sia l’identità
sociale che quella personale), mentre di dominati sono un aggregato di singoli individui. La possibilità di
esprimere la propria individualità è basata sulla consapevolezza di appartenere ad un gruppo avvantaggiato
Hinkle e Brown  la distinzione collettivismo/individualismo e relazionale/autonomo richiamano l’idea di
aggregato/collezione. Le culture non hanno lo stesso status. All’interno del mondo le nazioni non hanno lo
stesso status. Quindi la dimensione collettiva individuale risente della differenza di prestigio anche della
cultura. Coloro che sono definiti come individualisti possono far riferimento a culture di status alto, mentre
collettivisti in riferimento a culture di status basso.
Dimensioni multiple di confronto  se ci confrontiamo su n dimensioni di confronto, non sempre
favoriamo l’ingroup, ma a volte favoriamo l’ougroup
Appartenenza a categorie crociate  se io faccio una competizione tra ad esempio maschi e femmine, è
probabile che il comportamento intergruppi si amplifichi. I confini non sono permeabili (scarsa mobilità: si
ci sono i cross gender, ma sono un gruppo ristretto) e si sviluppa competizione. Se io oltre a dividere il
gruppo in maschi e femmine, li divido anche per età (es: giovani, anziani)? Questo gruppo viene diviso
anche su un’altra dimensione. Questa categorizzazione si chiama crociata, perché incrocio più di una
categoria. In questo caso la differenziazione intergruppi è limitata, perchè se sono femmina giovane mi
differenzio sia dalle femmine vecchie (con le quali condivido comunque il sesso), ma sono simile ai maschi
giovani (sesso diverso, ma stessa età). SI verifica una diminuzione della differenziazione intercategoriale
quando le categorie non sono presentate esclusivamente, ma sono presentate in contemporanea.
IPOTESI DELL’INFERIORITA’
Secondo la teoria dell’identità sociale è possibile far la previsione che i membri dei gruppi svantaggiati, non
potendo ricavare un’identità sociale positiva, possono favorire l’ingroup al posto dell’outgroup.
Questo tuttavia non è affatto detto.
Five stage model (modello a 5 fasi)
1) Esiste tuttavia una posizione sociale ben definita nella quale i gruppi sono stratificati in dominati e
dominanti. Questa distinzione di status fra i gruppi viene considerata come naturale e le differenze
di potere sono viste come legittime.
2) La stratificazione sociale non è più basata su caratteristiche ascritte, ma sul successo individuale. I
confini tra gruppi sono (o sono percepiti) più permeabili. E’ permessa la mobilità sociale.
3) Il tentativo di mobilità dei membri dei gruppi svantaggiati diventa effettivo
4) Il fallimento della mobilità individuale rende evidente la diseguaglianza sociale
5) Protesta collettiva nel tentativo di cambiare lo status quo
Questo modello ci aiuta a capire come le gerarchie di potere sono presenti e influenzano i rapporti tra
gruppi
STRATEGIE IDENTITARIE
Tokenismo  condizione nella quale i confini non sono completamente chiusi, ma esistono severe
restrizioni alla mobilità individuale. Permette a poche persone di raggiungere uno status più alto e riduce la
possibilità di una protesa collettiva, permettendo ai dominanti di garantire la stabilità e preservare la
propria condizione.
Sindrome dell’ape regina  paradosso: i token si mostrano ancora più discriminatori verso le altre persone
che tentano di mettere in atto la stessa mobilità. Le donne che riescono ad avere successo in un ambiente
lavorativo prettamente maschile sono più inclini ad opporsi alla mobilità individuale di altre donne. Le api
regine, pur essendo riuscite a passare di mobilità, acquisendo un’identità sociale positiva, contribuiscono
tuttavia al mantenimento dello status quo della situazione sociale dominante che inizialmente le vedeva
svantaggiate. L’eccezione conferma la regola.
Creatività  quando le differenze tra gruppi (stratificazione) sono viste come legittime e stabili, i confini
impermeabili e rigidi (non è possibile lasciare il proprio gruppo), gli individui possono mettere in atto
diverse strategie collettive e cognitive tese al miglioramento della propria identità sociale:
- Rivalutazione della caratteristica che relega noi stessi in posizione svantaggiata (black is beautiful)
- Creare una nuova dimensione del confronto
- Cambiare il gruppo di confronto evitando il paragone con gruppi di status superiore
Rimango nel mio gruppo, ma riesco a ristabilire un’identità sociale positiva, nonostante i membri del
gruppo abbiamo poche possibilità di contestare la gerarchia sociale. In questo caso, i membri dell’ingroup
svantaggiato potrebbero manifestare favoritismo verso l’outgroup.
IPOTESI DELLA SUPERIORITA’
TEORIA DELLA DOMINANZA SOCIALE
Le società tendono ad essere organizzate in maniera gerarchica:
- Age -set system  sistema che riguarda le età (bambini, adulti e anziani)
- Gender-set system  uomini-donne
- Arbitrary-set system  qualsiasi dimensione rilevante che cambia di volta in volta (es: religione,
lingua, contrada, nazione, provincia, ecc…)
Questa organizzazione è creata e a sua volta crea ideologie e credenze che possono o sostenere la
gerarchia sociale o opporsi ad essa.
A livello individuale viene teorizzato un tratto di personalità denominato social dominance orientation
(SDO: orientamento alla dominanza sociale) che indica quanto le persone desiderano vedere i gruppi sociali
ordinati in maniera gerarchica o no: il mio orientamento è mantenere lo status quo o no? Se ho un SDO
molto alto, ho credenze che rinforzano la gerarchia, mentre chi ha basso SDO si oppone come credenza alla
divisione in gerarchia. Più l’SDO è alto, più è probabile che io metta in atto discriminazione verso
l’outgroup.
Lo status influenza la dominanza sociale in due modi:
- I gruppi di status alto hanno un SDO maggiore, perché sono avvantaggiati e non vogliono cambiare
la gerarchia per non perdere il potere. Quindi vi sono maggiori bias intergruppi. Esiste quindi una
relazione positiva tra alto SDO e alto pregiudizio e discriminazione
- Per i gruppi di status più basso esiste una relazione negativa: più SDO meno bias contro gruppi di
status basso, ma più bias a favore dei gruppi di status alto.
Esiste quindi una relazione asimmetrica fra SDO e bias intergruppi, a seconda dello status del gruppo
TEORIA DELLA GIUSTIFICAZIONE DEL SISTEMA
Gli individui sono motivati a giustificare 3 tipi di oggetti sociali:
- Ego justification  mantenere un’autostima positiva (quello di cui parlava Tajfel)
- Group justification  mantenere un’identità sociale positiva per il mio gruppo (e di conseguenza
per me)
- System justification  preservare la credenza che il sistema sociale sia giusto e legittimo
Il termine system justification, fa riferimento ad una serie di processi socio-psicologici (consapevoli o
inconsapevoli) che gli individui mettono in atto e che legittima e giustifica il sistema sociale esistente:
- Visione stereotipica dei gruppi
- Internalizzazione degli stereotipi
- Colpevolizzazione delle vittime
- Discriminazione verso gruppi svantaggiati
- Favoritismo verso i gruppi avvantaggiati
Alla base della tendenza a giustificare il sistema c’è:
- Riduzione dell’incertezza personale e sociale  vivo in un mondo giusto e ordinato che non devo
mettere ogni volta in discussione.
- Credenza in un mondo giusto
- Orientamento ideologico di destra
- Bisogno di chiusura cognitiva  persone che hanno bisogno di vedere tutto in bianco-nero. Questa
visione è molto protettiva
- Riduzione della dissonanza cognitiva
Esempio attacco alle torri gemelle: minaccia al sistema e al sé. E’ un evento che è stato altamente simbolico
(sono morte comunque meno persone rispetto ad altre stragi che avvengono ogni giorno) che è ha portato
con sé un senso di minaccia enorme: il sistema americano non funziona più, non riusciamo a controllare gli
attacchi terroristici, ci attaccano in casa nostra. Gli USA prima si sentivano inattaccabili (hanno un alto
numero di attacchi condotti contro altri stati) e questo evento ha sconvolto questa credenza. Per risolvere
questa cosa c’è stato un aumento del patriottismo e del supporto per le politiche conservatrici e del
governo in carica (Bush) sia da parte dei liberali (anche loro si sentivano minacciati) che dei conservatori.
C’è stato inoltre un aumento del sentimento anti-arabo e anti-musulmano che ha incremento il pregiudizio
e la discriminazione. Questo è un esempio di come quando va in crisi la giustificazione del sistema, salta
tutto.
La tendenza a giustificare il sistema è indipendente dallo status occupato dalle persone. Tuttavia per i
dominanti la giustificazione tra ego, gruppo e sistema sono congruenti, perché c’è una bassa dissonanza
ideologico/cognitiva. Per i dominati invece la giustificazione non è coerente tra ego, gruppo e sistema,
perché sono svantaggiati. Se il sistema è giusto e io sono svantaggiato, vuol dire che è giusto che il mio
gruppo sia svantaggiato. Non può esserci congruenza tra un sistema sociale giusto e un ingroup “migliore”,
ma svantaggiato. Per ridurre questo stato di discrepanza, i dominati giustificano il sistema e riconoscono il
proprio svantaggio come giusto (falsa coscienza), arrivando talvolta a giustificare il sistema con più forza
rispetto ai membri di gruppo con status alto (strong form). Io però così sono destinato ad essere marginale
a vita.
Nel 2003:
- Gli afroamericani tendevano ad accettare limitazioni ai diritti civili e alle critiche al governo più degli
americani bianchi
- I latinos più poveri mostravano maggior fiducia nel governo americano ed erano più propensi a
credere che lo stesso governo stesse lavorando per il bene di tutti
- I partecipanti con minor reddito credevano con più forza che un’ampia differenza nei salari fosse
necessaria per far lavorare con più forte impegno le persone
- Gli afroamericani e coloro con minor reddito erano più propensi a credere che l’iniquità economica
fosse giusta e necessaria.
I membri di status alto mostrano una maggiore propensione alla giustificazione del sistema. Tanto più i
membri dei gruppi di status basso saranno motivati a giustificare il sistema, tanto più essi saranno inclini a
riconoscere il proprio svantaggio come giusto e a valutare positivamente l’outgroup dominante.
Tanto più i membri dei gruppi di status alto sono motivati a giustificare il sistema, tanto più riconosceranno
lo svantaggio dei membri di status basso.
LE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI
Siamo nel sistema delle credenze  livello ideologico
Va a condizionare ed è condizionato da tutti gli altri livelli. Bisogna anche considerare dove persone e
gruppi sono collocati. Tutti noi facciamo parte di un sistema ideologico di credenze (scienza, arte, religione,
politica, ecc…).
Moscovici si è occupato non solo di studiare l’influenza minoritaria e maggioritaria, ma anche i sistemi di
credenze. Si è chiesto come io trasformo qualcosa che accade intorno a me in una rappresentazione
sociale. Anche i gruppi sociali e le società costruiscono dei sistemi di rappresentazioni, che non sono
individuali, ma condivise da un gran numero di persone.
Nella psicologia sociale ci sono due correnti: la psicologia sociale sociale europea e una psicologia sociale
individuale più americana. Questo perché nel contesto europeo il pensiero è più vicino alla sociologia,
mentre in America il pensiero è più individuale (comportamentismo, cognitivismo). Le rappresentazioni
sociali fanno parte della psicologia sociale di stampo europeo.
Uno dei contributi più significativi della psicologia sociale europea viene da Moscovici, che impostò la sua
elaborazione teorica rifacendosi al sociologo Durkheim, che fu il primo a parlare di “rappresentazioni
collettive”.
Per Durkheim le rappresentazioni collettive sono l’oggetto principale della sociologia e riguardano quelle
forme intellettuali che comprendono la religione, la morale, il diritto, la scienza, ecc… Le rappresentazioni
collettive sono di competenza dei sociologi e vanno distinte dalle rappresentazioni individuali che sono
invece di competenza della psicologia.
Moskovici, pur ispirato da Durkheim, parla di rappresentazioni sociali. Sono sistemi macro che sono però
flessibili, mutevoli nel corso del tempo. Mentre la rappresentazione collettiva di Durkheim è rigida e
immutabile. Le rappresentazioni sociali invece sono fluide, si trasformano, cambiano i sistemi di credenze.
Durkheim  le rappresentazioni collettive sono un insieme molto vasto di prodotti della mente, così
grande che una disciplina non è in grado di interpretare (come si fa a studiare la scienza? E’ difficile perché
è un concetto astratto)
Moscovici  le rappresentazioni sociali riguardano un modo specifico di esprimere conoscenze e credenze
in una società o nei gruppi che la compongono, in un dato momento storico. Non sono statiche, ma si
modificano a seconda di dove sono collocato e del tempo cronologico in cui siamo. Riguardano le teorie del
senso comune. Attraverso gli scambi comunicativi, si vengono a creare delle rappresentazioni e dei modi di
pensare della società, che sono condivise dai membri di quella società in quel momento. Ma non sono
opinioni personali, ma sono teorie che le persone condividono, spesso in modo inconsapevole. Per
Moscovici le rappresentazioni sociali:
- Possono essere condivise dai membri di un gruppo ampio e strutturato, anche se non elaborate dal
gruppo stesso
- Essere il prodotto di idee o conoscenze di sottogruppi, in contatto più o meno stretto, in un dato
contesto sociale
- Non essere condivise dall’intera società, ma soltanto da alcuni gruppi più o meno ampi ed essere
elaborate negli incontri e nei conflitti determinati dalle relazioni tra gruppi diversi. Il confronto con
un altro gruppo mi pone davanti una rappresentazione sociale diversa dalla mia
Definizione: le rappresentazioni sociali sono il prodotto dell’elaborazione da parte di un gruppo rispetto ad
un oggetto sociale (o ad un gruppo), in modo da permettere ai propri membri di comportarsi e comunicare
tra di loro in modo comprensibile (altrimenti ognuno la penserebbe a modo proprio e sarebbe un caos
assurdo). Le rappresentazioni sociali non sono opinioni, atteggiamenti, ma vere e proprie teorie utili per
organizzare la realtà.
STABILITA’ E FLESSIBILITA’
Per Durkheim le rappresentazioni collettive sono forze stabilizzatrici della realtà sociale, entità statiche e
assai poco mutabili (es: ideologia che persiste anche se dimostrata infondata).
Secondo Moscovici le rappresentazioni sociali cambiano, danno corpo alle idee, incarnandole in esperienze
ed interazioni nel presente. Sono dinamiche, mobili, circolanti e possono formarsi e trasformarsi con
facilità. Le rappresentazioni sociali collegano il pensiero con gli eventi e la vita concreta. E’ come se
aiutassero a traferire in modo semplice, in linguaggio comune, dei concetti anche molto complessi.
Le rappresentazioni di Moscovici (mentre quelle di Durkheim sono relative a filosofia, arte, politica, ecc…),
sono più specifiche e riguardano i gruppi (es: rappresentazioni sugli zingari). Esse ricostruiscono e non
costruiscono da zero un dato che già è presente nella realtà. Partono da un fenomeno rilevante, da una
struttura (materiale o intellettuale), e ripetono e riordinano ciò che è stato formulato e ordinato da qualcun
altro prima di noi. Ad esempio la psicoanalisi, partendo da fenomeno rivoluzionario della società vittoriana,
è diventa pian piano parte del senso comune (mi psicoanalizzi? Inconscio? Complesso di edipo). Prima di
Freud non c’erano i terapeuti, c’erano i medici e i preti. Allora per cominciare ad immaginare che cosa
potesse essere la terapia e la figura del terapeuta, è stato detto che era un po’ come andare dal prete laico,
una persona dalla quale puoi andare a confidarti senza che ti giudichi. Questo è stato un processo di
ancoraggio e accomodamento (prete: ancoraggio). Dopo l’ancoraggio alla figura del prete, la psicoanalisi
deve essere poi oggettivata; vuol dire che prendo un concetto astratto e concreto e lo raffiguro in
immagine, diventando un oggetto. Ad esempio quando immaginiamo la prima topica, immaginiamo proprio
una struttura tripartita gerarchica, dove piano piano che si scende si va sempre più in profondità. Queste
immagini diventano poi oggetti mentali, anche se non rispecchiano necessariamente la realtà. Non è che
noi abbiamo la mente fatta così, ma è un modo di raffigurarsi dei concetti che altrimenti sarebbero troppo
astratti.
PROCESSI GENERATORI DELLE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI
Ancoraggio  permette di classificare, denominare e spiegare qualcosa che non è per noi familiare,
mettendolo in rapporto con ciò che invece è familiare e quindi con le categorie sociali già possedute
Oggettivazione  rende un’idea astratta un oggetto concreto, trasformandola in immagini che tutti
possono utilizzare. Dà consistenza materiale alle idee e dà corpo a degli schemi concettuali traducendo in
immagini concetti astratti.
Entrambi servono a ridurre l’incertezza, la paura o lo stupore che un nuovo fenomeno o oggetto sociale
produce. Questi processi sono molto importanti anche nella terapia, in cui bisogna trasformare dei concetti
astratti in qualcosa che il paziente possa comprendere facilmente. Spesso infatti si fa ricorso a delle
metafore. Con il paziente devo trovare qualcosa che oggettivizzi un concetto astratto. La rappresentazione
sociale ci aiuta nei confronti di qualcosa che appare come nuovo, lo rimodula ancorandolo a qualcosa che
c’era già per poi dargli un nucleo figurativo, che la persona può immaginare. Questo è il meccanismo
mediante il quale le conoscenze scientifiche vengono trasformate in senso comune. Lo scopo è sempre
quello di ridurre l’incertezza, la paura o lo stupore che un nuovo fenomeno produce.
Studio Moscovici: come la conoscenza della psicoanalisi si è diffusa nella popolazione francese negli anni
’50?
Metodologia:
- Inchiesta per gruppi socialmente significativi di persone (significativi perché magari erano esperti
della questione)
- Questionari per campioni più vasti di popolazione
- Analisi del contenuto della stampa
Ancoraggio anche chiamato integrazione cognitiva funzionale  la rappresentazione della psicoanalisi
come rapporto paziente e terapeuta è stato inteso come forma laica di confessione che permette di
individuare categorie di persone (con o senza complessi) ed eventi (traumatici e non traumatici)
Oggettivazione  ritenzione selettiva di alcune informazioni sulla psicoanalisi e decontestualizzazione di
esse, riorganizzazione di tali informazioni in uno schema figurativo: concreto, accessibile e coerente.
Naturalizzazione  le immagini da elementi del pensiero divengono elementi della realtà, categorie sociali
sicure che ordinano eventi concreti (es: conscio, pre-conscio, inconscio, complessi). Se immagino questi
concetti come dentro la mia mente, diventa più facile immaginarli se invece rimanessero solo concetti
astratti.
L’oggettivazione può esprimersi attraverso processi di:
- Personificazione  es: personifico la fisica con Einstein, la psicoanalisi con Freud. Associazione di
idee scientifiche e teorie con un personaggio che è molto rappresentativo dell’oggetto sociale in
questione, diventandone difatti un simbolo.
- Figurazione  trovare un nucleo figurativo (metafora), un’immagine per spiegare un concetto
astratto e complesso
FUNZIONI DELLE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI
Ipotesi dell’interesse  un individuo o un gruppo costruiscono immagini nel tentativo di conciliare obiettivi
contrapposti tra due gruppi sociali o tra l’individuo e la società. Tali immagini sono distorsioni della realtà
obiettiva con lo scopo di favorire una delle posizioni in campo, in genere quella che ha più potere.
Ipotesi dell’equilibrio  le rappresentazioni sociali sono mezzi per risolvere tensioni psichiche o emotive
dovute a insuccesso o a non integrazione sociale. Sono compensazioni immaginare con lo scopo di
ricostruire l’equilibrio interno nell’individuo o nel gruppo.
Ipotesi del controllo  le rappresentazioni sociali sono filtri usati dai gruppi nei confronti di informazioni
provenienti dall’esterno per controllare la lealtà dei propri membri. Hanno la funzione di manipolare il
processo di pensiero e la struttura della realtà per controllare il comportamento dei propri membri.
Limiti di queste 3 definizioni (Moscovici):
- Sono ipotesi troppo generali
- Rischiano di non essere falsificabili
- Presentano una concezione meccanicistica del controllo sociale
Funzioni delle rappresentazioni sociali (Moscovici):
- Rendere familiare ciò che è estraneo e distante dall’esperienza dei membri di un gruppo
- Permettere una continuità tra vecchio e nuovo, provocando modificazioni di valori e sentimenti
RAPPRESENTAZIONI SOCIALI E SISTEMI DI COMUNICAZIONE
Le rappresentazioni sociali si modificano quando sono presentate in modo diverso da diversi sistemi di
comunicazione.
Mscovici studiò come 3 settori di stampa francese presentavano alla fine degli anni ’50 la psicoanalisi:
- Stampa a grande diffusione (indipendente)  diffusione: lo scopo è creare un sapere comune
senza preoccuparsi della sua unitarietà, puntando piuttosto ad adattarsi alle esigenze del pubblico.
Le informazioni sono debolmente organizzate e a volte contraddittorie. I giornalisti trasmettono
l’informazione come ricevuta dagli specialisti. L’informazione passa quindi nel modo più neutro,
pulito e oggettivo. Forniva un fatto, ma senza commenti e quindi difficilmente, con questo tipo di
informazioni, i lettori arrivano ad un senso o si pongono in modo omogeneo e coerente verso la
psicoanalisi
- Stampa cattolica  propagazione: lo scopo è fornire elementi che portino gli individui ad assumere
una posizione interessata e anche critica verso la psicoanalisi. E’ una mezza propaganda e una
mezza diffusione. Diceva che lo psicoanalista aveva superato il materialismo tipico del medico: la
psicoanalisi si pone quindi come disciplina idonea a fornire una visione scientifica dell’uomo che
non si ponga necessariamente in conflitto con una visione spiritualista. Ha cercato inoltre di
adattare il sapere psicoanalitico ai principi religiosi, rendendo interessanti la psicoanalisi, ma
divulgandola in un lessico cattolico.
- Stampa militante comunista  propaganda: lo scopo è produrre nei lettori una presa di posizione
negativa e di netto contrasto nei confronti della psicoanalisi. Ha fornito quindi un’immagine
negativa della psicoanalisi, proponendola come ideologia mistificatrice importata dagli Stati Uniti
(“è un’ideologia americana, ma noi siamo francesi, quindi ci stacchiamo”), come pseudoscienza o
scienza borghese che si opponeva invece alla rigorosa e scientifica psicologia riflessologica russa. Il
tutto affiancato ad un quadro in cui l’URSS veniva descritta come il paese della pace, mentre gli
Stati Uniti il paese della guerra. L’ambito della politica e quello della psicologia si intersecano.
Le rappresentazioni possono essere espresse sotto forma di:
-
-
Opinione  asserzione valutativa su un oggetto sociale che ha caratteri di instabilità, plasticità e
specificità. E’ mutabile e non ha rapporti diretti e immediati con i comportamenti (es: diffusione –
stampa a grande diffusione)
Atteggiamento  orientamento positivo o negativo verso l’oggetto sociale. SI rivela attraverso
comportamento globale (es: propagazione – stampa cattolica). Un esempio può essere lo
stereotipo, ovvero una risposta stabile e priva di ambiguità nel rifiutare un oggetto sociale.
Nel pensiero quotidiano operano due sistemi cognitivi:
- Sistema operatorio  procede ad associazioni, inclusioni, inferenze, discriminazioni e deduzioni. E’
attivo mentre svolgiamo qualsiasi attività quotidiana. E’ il sistema tipico del bambino.
- Meta-sistema  controlla, verifica, seleziona sulla base di regole logiche o no. Il metasistema è
costituito da regolazioni sociali che controllano, verificano e dirigono le operazioni cognitive (il
metasistema sociale governa quello cognitivo individuale). Ci permette di ragionare ed essere
critici. E’ il sistema tipico dell’adulto. I principi organizzativi del metasistema variano a seconda dei
diversi sistemi in cui il pensiero adulto si attiva (es: un contesto scientifico può richiedere
l’applicazione rigorosa di principi logici, mentre stare con gli amici può richiedere e attivare un tipo
di operazioni volte alla coesione sociale). Nella vita quotidiana gli individui sono guidati nel loro
ragionamento da diversi metasistemi a seconda delle situazioni in cui sono implicati.
Lo studio delle rappresentazioni sociali riguarda l’analisi delle regolazioni effettuate dal metasistema sociale
sul sistema cognitivo. Questo implica un corollario: bisogna specificare il rapporto tra il soggetto e il sistema
dei rapporti sociali in cui è inserito (es: leader, esecutore; a seconda del mio gruppo di riferimento la mia
rappresentazione sociale cambia). Il controllo sociale sul cognitivo si evidenzia studiando come le
rappresentazioni sociali sono espresse in diversi sistemi di comunicazione.
SVILUPPI SUCCESSIVI
LA SCUOLA DI AIX-EN-PROVENCE
E’ un approccio strutturalista che analizza:
- La struttura delle rappresentazioni sociali  nucleo centrare ed elementi periferici
- Come tale struttura può modificarsi
Il nucleo centrale è una componente non negoziabile che determina la natura, il significato e
l’organizzazione della rappresentazione sociale. Può essere considerato un sistema, in quanto un
cambiamento nel nucleo modifica la rappresentazione e un cambiamento negli elementi della periferia
lascia, il più delle volte e nel breve e medio periodo, il nucleo e la rappresentazione intatte. Rappresenta la
base sociale e collettiva su cui si esercita un consenso quasi unanime.
Funzioni del nucleo:
- Stabilizzatrice  assicura stabilità e coerenza, poiché è la parte consensuale non negoziabile della
rappresentazione sociale. Se avvenisse anche una minima modificazione, tutta la rappresentazione
sarebbe trasformata.
- Generatrice  assicura il significato degli elementi del nucleo centrale e degli elementi periferici
- Organizzatrice  organizza il legame tra nucleo centrale ed elementi periferici. Il nucleo è il
principio organizzatore degli elementi periferici, i quali sono la parte più malleabile, flessibile e
accessibile della rappresentazione. Per definire la rappresentazione è importante individuare
l’organizzazione tra nucleo centrale ed elementi periferici.
Gli elementi contenuti nel nucleo hanno due proprietà:
- Salienza quantitativa  elementi su cui c’è il maggior grado di accordo
- Necessità qualitativa  elementi senza i quali la rappresentazione cambia. Sono necessari affinchè
la rappresentazione sia quel che è.
L’attivazione dei contenuti del nucleo centrale dipende:
- Dalla finalità della situazione  ad esempio, in situazioni operative si attivano contenuti relativi alle
pratiche, mentre in quelle di giudizio si attivano i contenuti normativi
- Dalla distanza tra gruppo sociale e oggetto della rappresentazione  la conoscenza più o meno
approfondita dell’oggetto, le implicazioni più o meno diretti con l’oggetto stesso e che con le
pratiche che lo includono. La vicinanza all’oggetto favorisce l’attivazione di elementi funzionali,
mentre la distanza favorisce l’attivazione di elementi normativi
- Dal contesto di enunciazione  alcuni contenuti del nucleo si possono attivare solo in determinati
contesti (es: è difficile che si attivi l’elemento “gli zingari sono ladri” in un contesto in cui tale
giudizio risulta socialmente non desiderabile)
Gli elementi periferici sono quelli che “generalmente” fanno parte della rappresentazione (al contrario del
nucleo, del quale fanno parte gli elementi che necessariamente definiscono l’oggetto della
rappresentazione).
Funzioni degli elementi periferici:
- Assicurano la flessibilità alla rappresentazione (negli scambi comunicativi ci sono differenze)
- Assicurano la possibilità di integrare l’eterogeneità dei contenuti e dei comportamenti con il
contesto sociale in cui si esprimono
- Assicurano l’evoluzione della rappresentazione sociale: i cambiamenti si verificano prima negli
elementi periferici e poi nel nucleo (Es: cambiamento del concetto di lavoro dagli anni ’60 fino ad
oggi), in quanto gli elementi periferici sono quelli più in relazione con il contesto.
Secondo l’approccio strutturalista, le rappresentazioni sociali sono costituite da:
- Aspetti normativi  guidano la formulazione dei giudizi e delle valutazioni degli oggetti sociali (ad
esempio di fronte ad un oggetto sociale nuovo o particolarmente ambiguo, le rappresentazioni
sociali ci permettono di formulare giudizi). Sono un valore di riferimento per i gruppi sociali che le
utilizzano.
- Aspetti funzionali  regolano il rapporto tra oggetto e pratiche sociali (es. l’omosessuale che non è
più considerato malato e vuole avere gli stessi diritti degli altri). Guidano l’azione e definiscono
quali sono i comportamenti adeguati nei confronti dell’oggetto della rappresentazione (“come si
fa”)
La struttura delle rappresentazioni sociali si può indagare attraverso:
- Metodo del rifiuto  proprio perché nel nucleo ci sono elementi irrinunciabili senza i quali la natira
delle rappresentazioni sociali non sarebbe la medesima, il metodo del rifiuto consente di
discriminare tra nucleo ed elementi periferici, chiedendo ai soggetti di immaginare un certo
oggetto sociale senza una caratteristica particolare. Quello che rimane è il nucleo.
Studio sulla rappresentazione del gruppo ideale (Flament). Ha chiesto di valutare la probabilità che
un gruppo di amici con opinioni divergenti possa essere considerati un gruppo ideale, oppure la
probabilità che un gruppo di amici che non hanno lo stesso status all’interno del gruppo possa
essere considerato un gruppo ideale. Risultati:
 Elemento del nucleo centrale della rappresentazione del gruppo ideale: assenza di
gerarchia tra i membri del gruppo ideale. E’ una condizione necessaria della
rappresentazione sociale del gruppo ideale. Se c’è gerarchia, non c’è gruppo ideale
 Elemento periferico della rappresentazione del gruppo ideale: convergenza di opinioni.
Anche in caso di divergenza di opinioni fra i membri, il gruppo può essere ideale.
- Metodo dello scenario ambiguo  studio sulle rappresentazioni sociali dell’impresa: si raccolgono
tutte le opinioni possibili sull’oggetto sociale “impresa” e vengono isolate 14 dimensioni che
venivano ripetute spesso dagli intervistati; si propone una descrizione vaga di un’organizzazione
d’impresa e di un’organizzazione che non è un’impresa (cosa definisce un’impresa e cosa
un’organizzazione? Fondamentale per togliere l’ambiguità e riuscire a trovare il nucleo); viene
chiesto di giudicare entrambe sulle dimensioni estratte all’inizio; sulla base delle risposte delle
persone, è stato possibile di ottenere elementi del nucleo che si riferiscono solo all’impresa (es:
-
gerarchia, profitto, lavoro e produzione); permette di ottenere elementi periferici che si riferiscono
all’impresa e all’organizzazione che non è un’impresa.
Metodo della messa in discussione  rielaborazione del metodo del rifiuto che assicura maggiore
variabilità alle risposte. Si basa sull’idea che se poniamo una domanda in forma affermativa,
otteniamo soprattutto risposte salienti e socialmente desiderabili. L’uso di domande con doppia
negazione (presente sia nella domanda, che nella risposta) porta invece ad una maggiore variabilità
delle risposte, perché induce ad una maggiore elaborazione cognitiva. Complichi la domanda in
modo spingere la persona a ragionarci; così si possono ottenere anche risposte non desiderabili, in
quanto la persona deve impegnarsi per dare una risposta sensata.
Critiche  questi metodi si sono focalizzati solo sull’aspetto descrittivo e non sull’aspetto valutativo ed
emotivo delle rappresentazioni sociali
Funzione descrittiva e funzione valutativa (Moliner):
- Funzione descrittiva:
 Nucleo  definizioni: caratteristiche che definiscono tutti gli aspetti delle rappresentazioni
 Elementi periferici  caratteristiche più frequenti e probabili
- Funzione valutativa:
 Nucleo  norme: criteri per valutare l’oggetto della rappresentazione fornite dal mio
gruppo e che mi indicano gli elementi centrali
 Elementi periferici  aspettative: caratteristiche desiderabili dell’oggetto della
rappresentazione
Altra critica  nell’approccio strutturalista rimane indefinita la genesi della struttura delle
rappresentazioni, cioè come si forma il nucleo centrale e come sono possibili i cambiamenti nel tempo delle
rappresentazioni.
LA SCUOLA DI GINEVRA
In questo approccio le rappresentazioni sociali vengono studiate in un'ottica dinamica:
- Come gli attori sociali elaborano e organizzano la conoscenza della realtà
- Come si articola la condivisione della realtà simbolica e livello di consenso
La peculiarità dell’approccio ginevrino si basa sull’aver posto al centro della teoria delle rappresentazioni
sociali l’idea di fondo che il nucleo della teoria sta nell’intreccio tra dinamiche relazionali e dinamiche
rappresentazionali. Le rappresentazioni sociali sono forme di conoscenza che si strutturano nei rapporti
sociali e modulano le condotte degli individui nel quadro di tali rapporti.
Es: studio sulle rappresentazioni sociali dell'intelligenza (in particolare la sua distribuzione diseguale tra gli
individui) nei genitori e negli insegnanti; si tratta di un tema cruciale e non evitabile del loro compito
istituzionale. L’intelligenza infatti rappresenta un oggetto sociale prototipico per l’elaborazione di
rappresentazioni, perchè i soggetti devono prendere posizione su un fenomeno su cui esiste una carenza di
informazioni scientifiche definitive. Lo studio di come i genitori e gli insegnati intendono l’intelligenza mette
in risalto la funzione che l’identità parentale e professionale svolge in quanto principio organizzatore delle
rappresentazioni sociali. Emergono 3 temi principali:
- Teoria del dono  interpretazione naturalistica. La natura offre ad alcuni e rifiuta ad altri il dono
dell’intelligenza
- L’intelligenza in termini di adesione alle norme sociali  diventa importante la messa a punto di
strumenti didattico-educativi per facilitare l’apprendimento delle regole sociali
- L’intelligenza può essere dedotta dal successo scolastico
Vengono quindi messe in risalto descrizione e funzione dell'intelligenza. penso che sia una capacità
acquisita allora posso lavorarci, se la penso genetica o innata no. Ciò porta a ripercussioni differenti dei
comportamenti concreti.
L’esperimento ha messo in luce come i diversi attori sociali non si rappresentano l’intelligenza sulla base
delle conoscenze scientifiche disponibili, ma come una molteplicità di immagini e cognizioni dotate di
significati in parte coerenti e in parte contraddittori, elaborate all’interno di situazioni di interazione sociale.
Carugati  le rappresentazioni sociali sono architetture di cognizioni, cioè sono strutture complesse di
significato e sono socialmente costruite. Esse sono il risultato del modo in cui la gente affronta le dinamiche
fra quanto conosce già, quanto non conosce e quanto dovrebbe sapere per prendere una decisione in
merito a questioni rilevanti.
Doise, riprendendo il rapporto tra sistema e metasistema elaborato da Moscovici, puntualizza tra
assunzioni principali:
1) le rappresentazioni sociali possono essere considerate come principi organizzatori
delle relazioni simboliche tra individui e gruppi. Sono i principi generatori di prese di posizione individuali o
di gruppo, collegate a specifiche posizioni sociali, in un insieme di rapporti sociali. Le rappresentazioni
sociali vengono elaborate entro sistemi di comunicazione che necessitano di quadri di riferimento comuni
per gli individui e i gruppi.
2) gli individui possono differire a seconda dell’intensità della loro adesione ai vari aspetti delle
rappresentazioni sociali. Prima devo individuare i nuclei organizzatori alla base delle differenze
individuali in un campo rappresentazionale e poi indagare a livello individuale.
3) Le differenze fra le prese di posizione individuali (non è la struttura che conta, ma come si
articolano le differenze individuali) sono ancorate (sono quelle dimensioni che portano a
rappresentazioni sociali diverse per i singoli individui):
 Alle appartenenze a gruppi
 Alle realtà simboliche che caratterizzano tali gruppi
 Alle esperienze socio-psicologiche condivise dagli individui
 Alle loro credenze circa la realtà sociale.
Modello delle tre fasi (Doise)  lo studio delle rappresentazioni sociali deve:
- Individuare il campo di riferimento comune della rappresentazione sociale (processo di
oggettivazione: i diversi membri di un gruppo o di una categoria sociale giungono, attraverso gli
scambi conversazionali, a condividere delle conoscenze comuni sull’oggetto preso in
considerazione). E’ lo studio delle conoscenze condivise dai membri di un gruppo nei confronti di
un oggetto sociale rilevante
- Una volta identificato il campo di riferimento comune, bisogna mettere a fuoco le diverse prese di
posizione che modulano le differenti organizzazioni del campo descritto. E’ lo studio dei principi
organizzatori delle prese di posizione individuali o di sottogruppi rispetto alla trama
rappresentazionale.
- Vengono infatti studiati i legami fra queste prese di posizione e le inserzioni specifiche entro i
sistemi di rapporti simbolici. Lo scopo è individuare i rapporti sociali alla base delle prese di
posizioni individuale (processo di ancoraggio).. Es: magari prendo una posizione diversa rispetto alla
HIV perché sono medico e ho un certo ancoraggio, una certa appartenenza). Esistono diverse
modalità di ancoraggio che possono intervenire contemporaneamente nella costruzione delle
rappresentazioni sociali e che mostrano l’origine delle numerose variazioni nelle prese di posizione:
 Ancoraggio sociologico  rapporto generativo fra inserimento di un soggetto in un quadro
ben definito di rapporti sociali e la presa di posizione specifica dello stesso attore sociale
 Ancoraggio socio-psicologico  il modo in cui gli individui elaborano diverse prese di
posizione in funzione della loro appartenenza a gruppi o a categorie sociali
 Ancoraggio psicologico  rapporto tra le diverse prese di posizione e adesione a diverse
credenze o sistemi di valore
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