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Riassunto libro "Segni, linguaggi e testi. Semiotica per la
comunicazione" Costantino Marmo
Semiotica 1 (Università di Bologna)
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Segni, linguaggi e testi: semiotica per la comunicazione –
Costantino Marmo
[capitolo 1- segni testi e comunicazione]
La semiotica si occupa di segni,significazione, testi e comunicazione
Con comunicare si intende far conoscere, trasmettere ma non tutti gli oggetti lo fanno
intenzionalmente benchè siano portatori di significato
 Volontà di trasmettere qualcosa da parte di chi comunica(componente necessaria)
 Fenomeni naturali e strumenti di misura non comunicano, nonostante siano dotati di
significato. In quanto tali, possono essere invece usati come mezzi di comunicazione.
 La scrittura è autonoma; ha una certa autonomia rispetto al suo autore; continua a
comunicare finchè ci sarà qualcuno a leggere. (diverso da terremoto, termometro)
 Le foto, al pari del manoscritto, sono strumenti di comunicazione e comunicano a
prescindere dell’effettiva volontà di divulgare foto o testi da parte dell’autore
 Oggetti o eventi hanno generalmente un significato o un senso ma non necessariamente lo
comunicano, non vogliono dire qualcosa, eventualmente possono essere usati per dire
qualcosa.
 Comunicare presuppone che qualcosa significhi; significare viene prima di comunicare
 Comunicare vuole spesso dire servirsi di qualcosa, che è già dotato di senso, per raggiungere
un qualche scopo. Ciò che varia sono i mezzo di cui ci si serve e gli obiettivi che si intende
raggiungere.
 Mostrare, indicare, informare, documentare, persuadere, convincere, far credere…
attraverso foto, dipinti, film, segnali stradali, libri, riviste, sigarette,
vestiti,concerti,manifestazioni…
 Alcuni mezzi di comunicazione presentano un’organizzazione e una complessità
assimilabile a quella delle lingue(strumento di comunicazione per eccellenza), tali mezzi
sono chiamati testi
 Tramite la comunicazione si può cercare di raggiungere diversi obiettivi, la comunicazione
raramente è fine a sé stessa.
a) Modello postale della comunicazione(Weaver e Shannon) prevedeva un passaggio di
informazioni attraverso dispositivi meccanici o elettrici. Il messaggio, passando
attraverso l’apparecchio trasmittente codificatore, viene trasformato in una serie di
segnali che l’apparecchio ricevente decodificatore riconduce allo stato originario
portando al destinatario il messaggio della sorgente. Un ruolo decisivo lo ha il canale,
attraverso il quale avviene la comunicazione e l’eventuale rumore che può interferire
 Non applicabile alla comunicazione umana per via di questioni tecniche sulla comprensione
del linguaggio e velocità di trasmissione. Gli esseri umani sono qui ridotti a sorgente,
destinatario che utilizzano lo stesso alfabeto. (si adatta bene alla comunicazione tra
computer). Inoltre è lineare e unidirezionale; è eccessivamente astratto(non rende conto
dei ruoli cognitivi di emittente e destinatario, né la dipendenza del contenuto da contesto e
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circostanze specifiche); considera il codice come semplice associazione di elementi; non
ammette la possibilità di mentire o dire il falso
b) Modello di Jakobson; derivato da quello precedente: individua le funzioni fondamentali
della comunicazione e in particolare la funzione poetica
In questo modello, dice, ogni fattore da origine a una funzione linguistica diversa, e la
predominanza di una sulle altre determina la struttura verbale del messaggio o del
testo.
MITTENTE(f.emotiva)  [CANALE/CONTATTO(f.fatica) + CODICE(f. metalinguistica) 
CONTESTI(f.referenziale) + MESSAGGIO(f.estetica)]  DESTINATARIO(f.conativa)
Funzione emotiva o espressiva: mira ad un’espressione diretta dell’atteggiamento del soggetto
riguardo a ciò di cui parla
Funzione conativa(costringere) l’emittente cerca di raggiungere il suo obiettivo; consiste
nell’orientamento verso il destinatario e trova la sua massima espressione nell’imperativo o
vocativo
Funzione referenziale: orientamento del messaggio rispetto al contesto, realizzata da particelle
che indicano come avverbi di luogo, pronomi…
Funzione fatica: tenere aperto il canale di comunicazione intrattenendo l’attenzione
Funzione metalinguistica: si realizza quando il messaggio è incentrato sul codice, ovvero parla del
linguaggio stesso. Ciò avviene ogni volta che si chiedono spiegazioni su ciò che l’interlocutore
intende dire con le espressioni usate.
La funzione poetica: coincide con l’accento posto sul messaggio per se stesso. Si realizza con la
rima o con le varie figure retoriche; come alliterazione, paronomasia(accostare suoni simili ma di
significato distante), assonanza, anadiposi(ripetizione dell’ultima parte di una frase o un verso,
all’inizio della frase o del verso successivo).
 L’organizzazione dei suoni che compongono il messaggio, porta con sé messaggi che vanno
al di là del significato della frase stessa
Segni, significazione, codici e testi
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La semiotica nasce, dal punto di vista accademico, negli anni ’60 ’70 come “teoria dei segni”,
rivendicando una tradizione che affonda le radici nell’antichità classica e nella scolastica
medioevale, trasformandosi in una teoria del testo e in una metodologia di analisi dei testi.
Eco ha studiato a lungo la nozione di segno, specificando che a tale nozione ne hanno fatto
ricorso filosofi come Aristotele, stoici e Guglielmo di Ockham e vuole mostrare come questa
nozione venga ampiamente utilizzata nell’uso quotidiano
 Il dizionario espone 20 significati di ‘segno’ che raggruppa poi in 3 classi:
1) Non prodotti intenzionalmente (sintomi, imperfezioni fisiche, tracce, gesti che indicano
un modo di essere). “usati per riconoscere qualcosa o inferirne l’esistenza”
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2) Posti convenzionalmente per comunicare (gesti, contrassegni/marchi, linee per indicare
il punto d’arrivo, qualunque espressione grafica assunta a rappresentare un oggetto
atratto, disegni, parole o suoni, procedimenti visuali come l’alfabeto, convenzioni di
valori o eventi come croce, falce). “prodotti artificialmente e posti convenzionalmente
per comunicare”
3) In disuso o ricercati: (insegna,bandiera, immagine scolpita o dipinta, stella, campione di
orina, evento naturale come manifestazione di una volontà occulta). Questi dipendono
dalle accezioni dei gruppi 1 e 2
Una definizione più generale di segno, sempre di Eco: ciò che sta per qualcosa d’altro, che lo
ha portato a elaborare 6 nuove accezioni distinte:
1) Segni o inferenze naturali: coincidono con le accezioni del gruppo A; p -> q
2) Segni convenzionali(maggior parte del gruppo B): emessi con intenzione di comunicare,
ovvero per trasferire una propria rappresentazione o stato interno a un altro essere.
Vi deve essere un codice che abiliti sia mittente che ricevente ad attribuire la stessa
interpretazione(es: gesti, bandierine, segnali stradali….)
3) Diagrammi, ovvero simboli che rappresentano oggetti o relazioni astratte(formule logiche,
algebriche….). Appaiono arbitrari
4) Disegni, che sono più concreti dei diagrammi
5) Emblemi, forme stilizzate di disegni, così che ‘non è necessario riconoscere la cosa
rappresentata ma ciò per cui essa sta’ es: croce per il cristianesimo.
6) Bersagli, indirizzano una certa operazione e si trovano in espressioni come: colpire il segno,
passare il segno…
Eco infine propone una teoria generale del segno che unifica nel modello istruzionale ed
inferenziale tutti e sei i tipi di segno individuati, ponendo l’attenzione su interpretazione e
operazioni di cooperazione previste dal testo stesso
Tre tipi di segni: simboli, indici e icone
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La tradizione filosofica occidentale ha presentato nel corso dei secoli varie definizioni e
classificazioni di segno, dove hanno trovato posto sia le parole, sia le immagini, sia le impronte.
Il filosofo americano Pierce ha proposto una sua definizione di segno e una complessa
classificazione a base combinatoria
“il segno, o rapresentamen, è qualcosa(oggetto) che sta a qualcuno(interpretante) sotto
qualche rispetto o capacità”
 L’utilizzo di termini generici fa riferimento alla generale applicabilità di tale definizione,
circa qualsiasi fenomeno o oggetto che possa fungere da segno
 Indica una relazione di tipo particolare tra questo oggetto o fenomeno e, il qualcosa per qui
esso sta per il qualcuno che lo vede come segno da un certo punto di vista(=sotto qualche
caratteristica)
 relazione triadica: gli elementi in gioco sono e devono necessariamente essere 3
il primo è il segno(o rapresentamen) il secondo è l’oggetto e il terzo l’interpretante.
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La tradizione semiotica che risale a questo filosofo americano, riconosce 3 tipi di segni:
1) Simboli: segno che si riferisce all’Oggetto che esso denota in virtù di una legge. Esso è
quindi un Legisegno(esso stesso è una legge) e come tale agisce attraverso una replica.
 Tipi di segni più usati dagli umani: parole, monete, segnali stradati (corrisponde più o meno
alla categoria B di Eco)
 Vi è una legge(implicita) che regola l’istituzione di questi segni e il loro uso che oggi viene
chiamata codice(come tale la regola agisce attraverso una replica)
 Gli oggetti significanti e i significati, sono di natura generale, ossia non individuale e
astratta. Ciò significa che nessun oggetto concreto è da considerarsi segno, esso sarà
piuttosto una replica, un’occorrenza concreta di un segno che in sé ha caratteri universali e
astratti
Es: il segnale stradale posto all’incrocio tra due vie di una certa città non è in sé e per sé il
segno che il codice della strada ha associato a un certo significato(dare la precedenza e non
dare la precedenza a tale incrocio). Un segnale stradale non è quindi un’entità fisica ma
una forma che deve prendere un qualsiasi segnale secondo le prescrizioni del Codice.
Ciò con qui abbiamo a che fare tutti i giorni non è altro che un’occorrenza.
2) Indice: “un segno che si riferisce all’oggetto che esso denota in virtù del fatto che è
realmente determinato a quell’oggetto”
L’indice è presentato come l’effetto concreto di una causa concreta. Es: sintomo di una
malattia
Ciò che li rende segni è la regolarità con cui si presentano, secondo leggi che non sono
convenzionalmente stabilite ma di tipo fisico/naturale. Non è l’evento singolare a
costituire il segno ma piuttosto la regolare associazione tra quella classe di eventi e la
classe delle cause che li determinano
 Tra indici e simboli vi è una sovrapposizione: entrambi funzionano in base a una legge e alcuni
indici sono a tutti gli effetti dei simboli: i pronomi personali(io indica colui che parla, tu
l’interlocutore), i pronomi dimostrativi e di luogo; il cui significato può essere descritto in
termini generali ma il cui uso è legato alle circostanze di enunciazione
 I tipi di segno di cui parla Pierce, pertanto, non sono puri ma piuttosto aspetti o modalità di
rappresentazione di significati che spesso si mescolano a vicenda.
3) L’icona: (immagine in greco)un segno che si riferisce all’oggetto che essa denota in virtù
di caratteri suoi propri e che essa possiede nello stesso identico modo, sia che tale
oggetto esista effettivamente sia che non esista.
 Caratteristica della somiglianza con l’oggetto rappresentato. Pierce non specifica le
condizioni alle quali di due oggetti simili uno può dirsi immagine dell’altro, per Agostino
invece c’è ed è la derivazione dal proprio modello. (metafisica delle immagini di Plotino che
supponeva un rapporto di somiglianza asimmetrico tra copia e modello)
 Pierce riconosce una gradualità alla somiglianza e quindi alla capacità rappresentativa
intrinseca di un’immagine, che lascia spazio a una certa misura di convenzionalità
 Il creatore seleziona solo alcuni aspetti dell’oggetto per rappresentarlo(come i ritratti)
 È una relazione particolare(e di solito convenzionale) che non ne garantisce l’esistenza es:
s.lucia  occhi
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 Pierce riconosce inoltre 3 tipi di icone:
a)immagini: partecipano di qualità semplici
b) diagrammi: rappresentano le relazioni analoghe tra le parti
c) metafore: rappresentano il carattere rappresentativo di un segno, mediante il
parallelismo con qualcos’altro.
I segni iconici: immagini e diagrammi, carte e mappe
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L’immagine(cartografica o topografica) possiede condizioni di verità e di uso dettate dalla
corrispondenza univoca(in scala) con i luoghi rappresentati
Il diagramma è tenuto a rappresentare solo le relazioni tra alcuni luoghi senza preoccuparsi
della corrispondenza(in scala) della realtà
Il dibattito sull’iconismo
Tra gli anni ’60 e ’70 si è sviluppato un dibattito sull’iconismo, che permette di
comprendere la differenza tra le componenti dei vari tipi di immagini
 All’epoca il dibattito vedeva opposti:
1) Iconisti(o iconoduli) tra cui Maldonado. Sostenevano la neutralità del rapporto di
somiglianza tra immagini e oggetti rappresentati
2) Iconoclasti (tra cui Eco, Greimas). Sostenevano la componente culturale e
convenzionale del rapporto tra immagini e oggetti rappresentati, pertanto la
somiglianza veniva concepita come posta invece che data.
 Nelle icone naturalità e convenzionalità si mescolano con una gradualità forse inversamente
proporzionale: più un’icona assomiglia a un oggetto rappresentato, meno dovrebbe essere
convenzionale.
 La somiglianza, fino a Peirce e oltre, è considerata una relazione tra due o più oggetti
che condividono una,o più, proprietà
 La somiglianza/similarità tra due oggetti non è una proprietà naturale che si riconosce
immediatamente, anzi in molti casi è determinata da convenzioni culturali e quindi deve
essere appresa.
Per esempio, figure geometriche simili prodotte grazie a determinate regole
trasformazionali non sono sempre intuitivamente riconosciute come simili alla figura di
partenza (eco)
 Vi è gradualità nella somiglianza che lascia spazio alla convenzionalità
 La somiglianza non costituisce la proprietà caratteristica di immagini o icone: ci sono
oggetti simili di massimo grado che non sono affatto segno l’uno dell’altra. (vedi due
monete uguali) mentre ci sono oggetti che pur apparendo molto diversi l’uno dall’altra
possono essere usati come immagini (diagramma metropolitane)
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La somiglianza, più che un requisito sembra essere un effetto di senso, ossia le
caratteristiche che rappresentano efficacemente un certo oggetto (es identikit)
Dalle immagini e del loro rapporto con l’oggetto Peirce diceva che non importa se
l’oggetto rappresentato esiste o meno, è pur sempre un oggetto possibile. ‘’Le icone
non asseriscono nulla”
Le immagini sono quindi paragonabili a dei testi e sono suscettibili di analisi con
strumenti analoghi a quelli di cui ci si serve per i testi tradizionali, tenendo conto delle
relative differenze(eco)
[capitolo 2- Due sistemi di significazione a confronto: lingua vs segnaletica stradale]
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I segnali stradali, come le unità linguistiche(sillabe, parole, frasi) sono composti da elementi
di taglia inferiore
La semiotica ci offre almeno tre modelli di analisi di unità linguistiche complesse: il modello
fonologico, quello morfologico e sintattico
Primo livello di analisi: fonemi e forme/colori
La lingua può essere analizzata dal punto di vista dei suoni o del tipo di suoni(fonemi) di
cui essa si serve, ossia dal punto di vista della fonologia(studio dei tipi di suono che la
nostra lingua utilizza per articolare le proprie unità significative)
 Forme e colori nei segnali stradali(caratteri plastici in semiotica), si combinano forse in
modo analogo ai fonemi, ovvero come unità minime prive di significato
 La forma, circolare o triangolare, di per sé non veicola alcun significato, così come il colore
 La loro combinazione in unità di significazione(o segni) più complesse potrebbe essere
paragonata alla combinazione in segni dei fonemi, come figure prive di significato
autonomo
 Il parallelismo con la fonologia regge solo fino a un certo punto(Hjelmslev):
a) Alcune forme di per sé non significano nulla, ma grazie al Codice della Strada e al suo
regolamento, esse acquistano un significato specifico
 Il triangolo assume il significato di pericolo, il cerchio di prescrizione…
b) L’individuazione di queste unità minime dotate di significato non avviene attraverso
una prova di commutazione, come invece avviene per i fonemi di una lingua
 La prova di commutazione è un test che consiste nel sostituire in una parola, un suono con
un altro nella medesima posizione: se la parola rimane riconoscibile e il significato non
viene alterato, allora avremo individuato una variante(allofono), se invece la parola muta di
significato o diviene irriconoscibile avremo individuato due distinti fonemi della lingua a cui
appartiene tale parola.
 Se si sostituisce alla figura del cerchio quella del triangolo(lasciando immutati gli altri
elementi) si ottiene un segnale stradate diverso e che veicola un diverso segnale(sempre
che lo veicoli), oppure addirittura un segnale impossibile
c) Presenza di pittogrammi (ossia un’immagine stilizzata che rappresenta un oggetto
facilmente e universalmente riconoscibile) nei segnali stradali, che non sono privi di
significato come i fonemi
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 Il parallelismo tra fonemi e aspetti combinabili dei segni è improponibile/implausibile
Morfologia dei segnali stradali verticali: segnali come parole
 Sia nelle parole che nei segnali, è possibile rintracciare unità di taglia inferiore
 La morfologia(che si occupa di come si analizzano le parole) ci fornisce gli strumenti e la
metodologia per scomporre le parole in unità minime di significato o di funzione, i
morfemi.
 Nei segnali stradali Possiamo individuare dei tratti comuni, come unità minime di
significato, come la forma, il colore o la disposizione.
 I segnali di pericolo sono triangolari, quelli di obbligo/divieto circolari, colori diversi a
seconda delle strade, etc
 Queste categorie hanno punti di sovrapposizione e non sono nettamente separate
 La forma geometrica e la disposizione dei colori sono caratteristiche morfologiche
paragonabili a quelle dei morfemi di una lingua, dal momento che si può individuare
una certa forma generale(triangolare o circolare) che può essere associata a una
disposizione dei colori e a un certo pittogramma. La combinazione di questi tratti
morfologici produce categorie di segnali stradali (prescrizione, obbligo, divieto)
 Possiamo considerare i segnali stradali verticali come aggregati di caratteristiche(forme,
colori, disposizioni di colori e pittogrammi) composte in modo analogo a come i
morfemi si combinano per formare le parole.
 Es: la barra rossa che indica la fine della valenza di un segnale, indica una negazione è ha
quindi valore analogo a quello di un morfema che nega il contenuto della radice, per
esempio ‘in’ di inatteso o ‘a’ di anormale
 Come per le parole, grazie ad alcune possibilità combinatorie(che sono limitate) la
composizione tra caratteristiche produce segnali di diverso significato
 I pittogrammi, sembrano svolgere la funzione dei morfemi lessicali: sono segni a sé stanti al
pari di alcuni morfemi lessicali liberi; definiscono il contenuto specifico del segnale; a
differenza di altri elementi che ne definiscono piuttosto il tipo e, pertanto, sono assimilabili
a morfemi grammaticali
 Alcune associazioni di forme/colori/pittogrammi tuttavia non sono ammesse così come
non è possibile associare i morfemi di genere(masch/femminile) alle forme
verbali(escluso il participio passato nelle sue forme aggettivali)
 Alcune combinazioni, benchè possibili sul piano astratto, non producono alcun segnale
dotato di significato riconosciuto o riconoscibile
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Segnali stradali e sintassi
Il modello di analisi sintattica si basa sul fatto che il significato veicolato dai segnali non è
semplice(come può essere quello di una parola) ma più complesso come quello di una
frase o meglio di un atto linguistico
 Se cosi fosse dovremmo poter considerare gli elementi o tratti che compongono i segnali
come produttori del senso complessivo di un atto linguistico. Ciò è vero solo in parte.
La barra obliqua che indica la fine di un limite di velocità può essere considerata come
l’equivalente di una negazione, il pittogramma l’equivalente di un sostantivo, la forma e il
colore il sintagma verbale, formando la frase “i velocipedi non devono circolare”. Ma
questo è solo un caso. Prendendo il segnale “è obbligatorio svoltare a sinistra” il
pittogramma non si candida a suolo di sintagma nominale ma piuttosto verbale
 Il modello sintattico sembra meglio rendere conto della composizione frasale del significato
di ciascun segnale, senza però giungere a trovare una corrispondenza precisa tra le
caratteristiche plastiche e componenti sintattiche
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Ordine delle parole/frasi e ordine dei segnali stradali verticali
A un livello ulteriore, le parole di una lingua si combinano per produrre frasi o periodi più
complessi, che le regole sintattiche di tale lingua definiscono come ben formate o meno.
 Il Codice della strada fornisce sì alcune regole per il posizionamento dei segnali(quelli di
pericolo 150 metri prima……), ma non is pone per la segnaletica stradale la necessità di
uno studio particolareggiato dell’ordine delle combinazioni possibili e della loro buona
formazione, come invece avviene per le lingue
 In conclusione, per quanto il parallelismo tra lingua e segnaletica stradale sia attraente, non
può essere protratto oltre un certo limite, che si trova sul crinale tra fonologia e morfologia
di una lingua
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[Capitolo 3 – Lingue, linguaggi e testi]
 Il chiarimento delle nozioni di testo, linguaggio e lingua, dal punto di vista semiotico, è
affidato di solito alle teorie di Saussure e sviluppate da Louis Hjelmslev
I due assi: sistema e processo/paradigma e sintagma
La lingua(analizzata da qualunque punto di vista, che sia da quello della fonetica che della
morfologia, della sintassi) presenta un duplice aspetto:
1) Aspetto di sistema o paradigmatico: gli elementi sono considerati in liste o gruppi
omogenei, ossia un repertorio da cui selezionare gli elementi, uniti dalla congiunzione ‘e’
 Es: menù, cabina armadio
2) Aspetto di processo o sintagmatico: serie di elementi posti in successione, secondo regole
più o meno esplicite, determinati dalla disgiunzione ‘o’
 Es: le portate
 Ci sono quindi i fonemi linguistici,ossia ciò con cui il parlante ha a che fare(sintagma) e i
repertori di elementi da cui il parlante attinge per produrre fenomeni e regole che
presiedono alla loro produzione(paradigma)
 In fonologia per esempio si distinguono i foni, ossia le concrete emissioni sonore prodotte
da un parlante di una certa lingua e dai fonemi, ossia un numero limitato di tipi di suono,
con cui si possono produrre tutte le emissioni foniche
 Prendendo in considerazione tutte le possibili sostituzioni della consonante iniziale che
producono una diversa parola della lingua italiana, si costituisce il repertorio delle sue
possibili variazioni, quella che in linguistica è definita “serie minima”
 Es: Belle, Celle, Nelle, Pelle, Selle, Ielle, Delle
Qui si può dire che la lista dei fonemi consonantici: /b/; /c/; /d/; /l/; /n/; /p/; /s/ costituisce
il paradigma delle consonanti che possono stare in quella posizione(ossia precedere la
sequenza –elle) nella lingua italiana.
Lo stesso può essere fatto per definire ogni posizione possibile in ciascun sintagma
 L’insieme delle variazioni in ogni posizione, per ciascun sintagma, costituisce un paradigma.
I sintagmi così prodotti possono essere considerati il frutto dell’uso di tali paradigmi e
dell’applicazione delle regole della fonotassi dell’italiano
 Hjmslev,a livello fonologico, ha indicato con il termine sistema l’insieme dei paradigmi o
repertori di suono che possono prendere il posto di altri suoni in un certo sintagma così da
formare parole differenti e con il termine processo le sequenze di suoni o sintagmi così
producibili.
 In generale, il sistema fonologico dell’italiano è il repertorio(limitato) dei tipi di suoni che si
possono usare per costruire sequenze dotate di senso.
 I due aspetti, sistema e processo, si trovano anche ai livelli successivi dell’analisi linguistica,
quello morfologico e quello sintattico
 Sul piano morfologico, possiamo prendere una parola, scomponibile in morfemi(o morfo)
e mostrare come alcuni morfemi possono essere sostituiti formando parole diverse.
Es: cart-e;cart-eggi-o;cart-eggi-are;s-cart-o……..
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 Questi morfemi(e altri ancora) per la loro funzione(derivazionale o flessiva) entrano a loro
volta nella formazione di altre parole, con diversa radice.
 Non tutte le combinazioni sono possibili
 I morfemi si organizzano in diversi sistemi o paradigmi, di tipo lessicale, derivazionale o
flessivo, che vengono selezionati nella produzione delle parole(processi) a seconda delle
necessita dettate dalla posizione e dal contesto
 A livello sintattico, linguisti come Hjelmselv e Jakobson si sono serviti della distinzione tra
processo e sintagma per descrivere il modo in cui vengono costruite le frasi:
Selezionando dal repertorio di certe parti del discorso(parte del lessico di una lingua) gli
elementi di cui si pensa di aver bisogno, procedendo alla combinazione in successione di
queste parti, seguendo precise regole sintattiche
 L’inglese definisce in maniera obbligatoria la posizione dell’aggettivo(che deve precedere il
sostantivo a cui si riferisce) l’italiano definisce la posizione dell’articolo(che sempre precede
il nome o il sintagma nominale di cui fa parte)
 Il processo, pertanto, nelle parole del linguista danese, coincide con il testo, “fatto
linguistico immediato” che è oggetto di un’analisi che ha come primo obiettivo
l’individuazione dei suoi costituenti a diversi livelli(fonologico, morfologico, sintattico)
 Nel processo, gli elementi sono combinati in una maniera precisa e occupano posizioni
precise(come il semaforo)
 Carattere lineare della manifestazione testuale che può essere realizzata dalla
successione nel tempo dei suoi elementi(nella lingua parlata) o nello spazio(lingua
scritta)
 Benchè alcuni testi manifestati, come quelli espressi oralmente, abbiano un carattere
effimero, viene sottolineato il carattere di compresenza o coesistenza almeno nella
memoria degli elementi che costituiscono i processi e tale relazione che lega gli elementi
viene definita “funzione di congiunzione” o funzione ‘e’
 Nel momento in cui si analizzano gli elementi del processo, è possibile fare l’inventario dei
suoi costituenti, ossia si può definire ciascuno di questi elementi attraverso le posizioni che
esso occupa nella catena sintagmatica.
 Il sistema di definisce come l’organizzazione dell’inventario degli elementi costituenti,
secondo le categorie definite dalle possibilità posizionali. In altre parole, il sistema è
costituito dal repertorio di tutti gli elementi che possono stare al posto di quelli presenti
in una certa posizione nel processo.
 Gli elementi così elencati in un paradigma, non sono compresenti nel processo ma si
trovano in una relazione di alternanza o disgiunzione, uno rispetto all’altro. Tale relazione
viene definita ‘funzione o’
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Due piani: espressione e contenuto
I fenomeni linguistici e di significazione, oltre alla duplicità appena descritta, presentano
un’ulteriore duplicità: la distinzione fra piano dell’Espressione e piano del Contenuto
 Qualcosa viene offerto ai senso, qualcosa d’altro viene compreso, rispetto a ciò che si
manifesta sensibilmente
 Es: quando udiamo una frase pronunciata o ne leggiamo una scritta, percepiamo la
manifestazione di una serie di segni linguistici e ,se conosciamo la lingua, comprendiamo
quello che le parole significano, come quando vediamo la luce rossa del semaforo
sappiamo di doverci fermare
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La distinzione distinzione fra piani
Secondo una definizione di Agostino, un segno è una cosa distinta da ciò a cui rimanda,
ovvero presenta un aspetto sensibile e nello stesso tempo indica qualcosa d’altro che
può essere conosciuto attraverso di esso
 Una parola è un segno i quanto presenta un aspetto fonico(sequenza di suoni) e un aspetto
intelligibile(è collegata a un concetto)
 Il segno è sia oggetto sia veicolo di conoscenza (che può essere diretta o indiretta) ed è
inoltre un punto di partenza di un ragionamento o inferenza.
 La distinzione fra questi aspetti del segno, sensibile e intelligibile, ha permesso di
riunificare due filoni di pensiero fino a quel momento distinti: la riflessione sui segni e
quella sul linguaggio.
 La semiotica contemporanea ha messo in discussione la natura sensibile dei segni(e delle
parole in particolare) e l’identificazione del segno con l’oggetto significante.
Saussure definisce il segno(linguistico) non più come qualcosa che sa per qualcosa d’altro
ma come l’unione inscindibile di un’immagine acustica(o significante) e di un
concetto(significato)
 L’aspetto sensibile perde la sua dominanza e viene caratterizzata come fenomeno
psichico(o ‘immagine acustica’)
 Con Hjelmslev si accentua il carattere astratto(e non più fisico o mentale) e la distinzione
di significante e significato estendendola tra un piano dell’espressione e un piano del
contenuto, legati da una o più funzioni(nel senso di relazioni tra gli elementi dei due
insieme)
 Il punto cruciale di questa ultima proposta, non è tanto il cambio terminologico da
Saussure quanto piuttosto:
a) La sua applicabilità a livello di sistemi/processi di significazione e non solo al singolo
segno
b) L’ulteriore articolazione dei due piani in una sostanza e in una forma, che risolve la
questione della natura sensibile del segno: rispettivamente sostanza e forma
dell’Espressione e sostanza e forma del Contenuto
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L’articolazione del piano dell’espressione
Materia, Sostanza e Forma dell’espressione
La forma dell’espressione è un carattere fisso, che vale per tutte le manifestazioni, ossia
un aspetto universale, generale e astratto.
 Per esempio, nel semaforo, corrisponde a indicazioni sulla forma circolare, colori e
disposizioni delle luci
 La descrizione fatta sopra vale per tutti i semafori e anche per il singolo semaforo(per
esempio quello all’incrocio da Via Ugo Bassi e Via Rizzoli)
 Le sostanze sono varianti particolari delle forme generali
 Sempre nel caso del semaforo, ci si riferisce per esempio alle diverse sfumature di colore
ammesse
 Possiamo dire che lo spettro visibile costituisce il continuum della materia
dell’espressione, da cui la forma, intesa come posizione all’interno di quel continuum,
estrae le costante che costituiscono i singoli semafori
 Ci sono forme dell’espressione(astratte) che ritagliano dalla materia(il continuum planare,
nel casco delle forme geometriche come in quello delle posizioni) delle sostanze
determinate, ovvero le concrete forme circolari e le determinte posizioni
 Il piano dell’espressione sembrerebbe, banalmente, costituito da suoni concatenati, La
catena sonora che ciascun parlante articola è il realtà solo la sostanza dell’espressione
linguistica
 Non è importante il modo in cui ogni parlante individuale articola certi suoni, ma che al di
là di certe differenze individuali quei tipi di suono sono riconosciuti come parte dei possibili
elementi del piano dell’espressione di quella lingua(sistema)
 Le categorie di suoni sono appunto i fonemi tipici di una lingua, ovvero gli elementi
minimi del piano dell’espressione, che costituiscono le forme di base dell’espressione
della lingua
 I singoli suoni emessi dal parlante sono quindi le sostanze dell’espressione, la materia
dell’espressione è costituita infine dal continuum sonoro, come per esempio l’articolazione
di tutte le vocali dal punto di massima apertura e anteriorità articolatoria(aeiou)
Le forme dell’espressione(le 7 vocali dell’italiano, in questo caso) non fanno altro che
ritagliare questo continuum sonoro in sezioni distinte
 Allofoni: sostanze distinte della stessa forma

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Livelli e forma dell’espressione
D: cos’è allora un segno? Una funzione segnica, cosa mette in relazione?
 Essa non mette in connessione sostanze dell’espressione con sostanze del contenuto,
cioè i singoli suoni o forme o colori con i singoli oggetti, ma mette in relazione forme
dell’espressione(elementi minimi)e forme del contenuto
 Le forme dell’espressione però non sono quelle individuate dalla fonologia, ossia non sono
i fonemi, in quanto sono privi di significato e per questo sono detti figure dell’espressione.
 I fonemi però forniscono la materia da cui la lingua forma nuove sostanze, che sono i morfi,
grazie alle forme astratte
 Le forme dell’espressione appartengono a un altro livello e sono i morfemi che sono
collegate alle forme del contenuto, che possiamo considerare le unità di significato
lessicale o funzionale/grammaticale che indichiamo di volta in volta con nomi, verbi…
 I morfemi a loro volta costituiscono una nuova materia da cui la lingua forma nuove
sostanze che sono le parole e così via.
La non conformità fra i piani: biplanarità e monoplanarità
 Tra le prime differenze fra lingua e altri sistemi e processi di significazione è fondamentale:
le forme di espressione di questi ultimi producono immediatamente delle forme di
significati(segnali stradali, pittogrammi…), invece le lingue producono un livello di forme
non significanti(o figure dell’espressione) il cui numero è limitato ma la cui combinazione
consente di produrre tutte le espressioni di cui si serve una lingua.
 Caratteristica della doppia articolazione, tipica delle lingue naturali, per cui gli elementi
minimi in cui può essere analizzato un piano non corrispondono biunivocamente agli
elementi minimi dell’altro piano
 I fonemi sono privi di significato e non hanno elementi corrispondenti sul piano del
contenuto
 Questa caratteristica delle lingue spiega la loro economicità e la loro produttività: con pochi
elementi, possiamo produrre tutto quanto si può dire di una lingua
 La selezione da questo materiale fonico o di forme dell’espressione non ha alcuna
motivazione, non dipende dai significati che si vogliono esprimere, pertanto le lingue
sono arbitrarie(o il segno linguistico è arbitrario)
 La mancanza di corrispondenza biunivoca tra elementi minimi del piano dell’espressione ed
elementi minimi del piano del contenuto è chiamata non conformità ed è una delle
caratteristiche tipiche di una lingua
 Altri sistemi di comunicazione(come linguaggi non linguistici) non condividono questa
caratteristica sono detti conformi, dove a ciascuna posizione del piano dell’espressione
corrisponde un significato nel piano del contenuto
Es: rosso – fermatevi; verde – via libera; arancio – attenzione.
 Nei sistemi dove c’è perfetta corrispondenza fra gli elementi, la distinzione fra piani tende a
scomparire, quindi i sistemi a piani conformi sono detti sistemi monoplanari o simbolici
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 Analizzare un piano corrisponde ad analizzare anche l’altro, il piano dell’espressione non è
ulteriormente scomponibile in figure prive di significato, come appunto i fonemi.
 I piani in cui questo accade e quindi vi è distinzione fra i piani, sono considerati biplanari o
semiotici, sono cioè sistemi in cui è possibile applicare la proprietà della commutazione:
la possibilità di scambiare posizione ad elementi di uno stesso piano che possono o meno
produrre un cambiamento sull’altro piano.
 La prova di commutazione pertanto viene utilizzata in fonologia per individuare i fonemi di
una lingua, proprio attraverso gli effetti che lo scambio di posto tra due suoni ha a livello di
contenuto
Es: se nella sequenza venti scambio il suono iniziale [v] con [s] ottengo una parola con un
altro significato, pertanto [v] e [s] sono fonemi.
La reggenza e la combinazione
 Le ultime caratteristiche di un linguaggio, secondo Hjelmslev, sono la reggenza e la
combinazione. Si tratta in entrambi i casi di due diverse relazioni tra elementi costituitivi
poste sull’asse del processo
 La reggenza è una relazione obbligatoria che si pone tra un elemento che non può stare da
solo e un altro elemento che è richiesto per ottenere un espressione corretta
 Es: occorrenza lettera ‘q’ e ‘u’(a parte in soqquadro); m deve precedere p; il verde che non
può seguire al rosso senza passare per il giallo e così via
 È autorizzata l’inferenza dell’elemento reggente a quello dell’elemento retto e la relazione
è unilaterale
 La combinazione invece è una relazione non obbligatoria, nel senso che ciascuno degli
elementi messi in relazione potrebbe sussistere da solo: nessuno dei due esige l’altro per
costruire un espressione indipendente.
 Es: due proposizioni coordinante, per asindoto o per congiunzione
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Conclusioni
 Alcune caratteristiche sono comuni a tutti i sistemi/processi di significazione:
1) La distinzione tra piani dell’Espressione e del contenuto, o meglio tra forme
dell’Espressione e forme del Contenuto
2) La distinzione fra gli assi del Sistema e del Processo, o tra un aspetto paradigmatico(il
repertorio delle forme dell’Espressione e/o del Contenuto a disposizione) e un aspetto
sintagmatico(la messa in linea o la combinazione di figure e/o forme dell’Espressione
allo scopo di produrre unità di taglia più grande)
3) L’esistenza di relazioni di commutabilità tra forme dell’Espressione(o del Contenuto)
che possono specificare le relazioni di tipo paradigmatico tra forme dell’Espressione e
hanno effetti sull’altro piano
4) L’esistenza di relazioni di reggenza o di semplice combinazione tra forme
dell’Espressione, che specificano le relazioni sintagmatiche
5) La conformità o la non conformità tra i piani
 Le prime quattro caratteristiche ci permettono di definire un linguaggio in senso generale,
ciò che differenzia una lingua da un linguaggio è la doppia articolazione o non conformità,
ovvero la possibilità di individuare attraverso un test di commutazione un secondo livello di
articolazione oltre il primo(costituito dal rapporto tra forme dell’Espressione e forme del
Contenuto
 Tenendo presente che sono le lingue presentano la caratteristica della non conformità, i
linguaggi e in particolare quelli che si servono di immagini cadono in generale tra i linguaggi
conformi
 Le lingue sono potenti strumenti di descrizione degli altri linguaggi. In questo caso, si parla
di linguaggio metalinguistico, il cui piano del contenuto è costituito da un altro linguaggio,
per distinguerlo dai linguaggi denotativi(hanno un piano dell’espressione distinto da quello
del contenuto) e i linguaggi connotativi in cui il piano del contenuto è il piano
dell’espressione di un altro linguaggio
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[capitolo 4 – parole in campo: le relazioni lessicali paradigmatiche]
 La lingua costituisce uno degli esempi più complessi di linguaggio e insieme lo strumento
attraverso il quale è possibile parlare
 Semantica lessicale: studio del significato all’ambito di parole o lessemi
 D: Cos’è il significato?
 Molti lo hanno considerato equivalente al concetto(come nella tradizione aristotelica o
nella semantica cognitiva)
 Altri lo hanno identificato con gli individui che sono denominati dal segno che lo
veicola(come nella tradizione nominalistica ed estensionalista medioevale)
 Altri lo hanno identificato con delle forme o idee puramente intelligibili, esistenti in un
mondo a parte(come nel platonismo e in altre correnti filosofiche)
 Quando una parola “significa” qualcosa, allora si da per scontato che ci sia qualcosa come il
significato di un segno e che questo sia descrivibile o esplicabile
 Possiamo intendere il significato come ciò che è veicolato da una forma espressiva
significante(secondo le precedenti categorie) e può essere descritto e spiegato
 Il contenuto, sia dal punto di vista linguistico che cognitivo, presenta delle regolarità,
strutture e forme di organizzazione
Parole e campi semantici
 La famiglia morfologica è costituita dalle parole che condividono la stessa radice o
morfema lessicale, in cui vi è una parola costituisce il capostipite da cui derivano le altre
parole grazie all’aggiunta di altri morfemi derivazionali(prefissi, suffissi, infissi)(almeno in
italiano)
Es: Cucina, cucinare, cucinabile….
 Per la derivazione da un’unica radice(o morfema lessicale) le parole di una stessa famiglia
morfologica mantengono una certa unità di contenuto
 Le variazioni semantiche nel passaggio da una parola all’altra non sono comunque da
escludere
 Il campo semantico lessicale invece racchiude le parole che sono affini dal punto di vista
semantico(come bollire e friggere  cucinare), ovvero riconducibili a una stessa parola,
più generale,con la quale però non hanno rapporti morfologici di derivazione
 Ogni parola di una lingua e ogni locuzione con un significato unitario, può essere
raggruppata con altre parole e altre espressioni più complesse in campi semantici più o
meno estesi sulla base del carattere o dei caratteri che la rendono affine alle altre
espressioni.
 I caratteri morfologici, di solito, accomunano parole semanticamente più vicine e per
questo parliamo di famiglie morfologiche; le altre parole con cui queste si trovano a
condividere alcuni aspetti si trovano in una qualche relazione
 Le relazioni paradigmatiche sono quelle relazioni che le parole intrattengono, a livello di
sistema, con altre parole con cui si trovano in possibile alternanza sull’asse del processo,
tra cui notiamo:
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1) Iperonimo: nome superiore(sovraordinato)
2) Iponimo: nome inferiore(sub ordinato)
3) Meronimo: nome della parte
4) Olonimo: il nome dell’intero
5) Antonimo: nome contrario
6) Omografo: identica scritta
7) Omofono: identico suono
8) Omonimo: identico nome
9) Polisemico: segno molteplice
10) Sinonimo: “insieme”
Relazioni gerarchiche: iperonimia e iponimia
 Le parole raggruppate in campi diversi sono legate da diverse relazioni, alcune delle quali
possono essere rappresentate secondo uno schema gerarchico ad albero(alberi
tassonomici)
 La relazione che i termini hanno con il termine più generale che li contiene e con i termini
più specifici che essi contengono è di tipo gerarchico:
a) Termini sovraordinati(iperonimi)
Es: è sovraordinato/iperonimo di gatto
b) Termini sottordinati(iponimi o co-iponimi)
Es: segugio, collie sono sottordinati rispetto a cane
 Il campo semantico può quindi essere considerato come un contenitore di gerarchie di
termini. Ogni termine iperonimo, a sua volta, può essere visto come un insieme che include
in sé,come sottoinsiemi, gli iponimi, secondo lo schema dei diagrammi di Venn.
 La relazione di iperonimia/iponimia è una relazione di inclusione che è caratterizzata da
asimmetria(il segugio è un tipo di cane; ma il cane non è un tipo di segugio) e da
transitività(se un animale include cane e cane include segugio, allora animale includerà
anche segugio)
 Grazie all’asimmetria, le relazioni di iponimia permettono di trarre delle inferenze e grazie
alla transitività permettono di costruire sillogismi dove la conclusione deriva
necessariamente dai rapporti tra i termini posti nelle premesse
Es: se questo è un gatto, allora è un animale
Es: ogni cane è un animale; ogni collie è un cane; quindi ogni collie è un animale.
 Questo tipo di relazioni permette di tradurre in discorso quel fenomeno cognitivo chiamato
categorizzazione, che consiste nel trattare come in qualche modo equivalenti insiemi di
entità fisicamente distinte e psicologicamente discriminabili(o anche non discriminabili)
La capacità di classificare oggetti, proprietà o eventi esperibili che sta alla base del
pensiero e del comportamento
 Es: dare a un gruppo di pezzi di arredamento con funzione e forma simile(sedia, sgabello,
poltrona) permette di economizzare le risorse in memoria e di estendere la conoscenza
oltre i limiti dell’esperienza immediata, fornendo informazioni su entità non ancora
esperite, ma assimilabili a quelle già incontrate
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 La categorizzazione organizza l’esperienza fin dall’inizio della nostra percezione del mondo
e funziona a diversi livelli di organizzazione
Es: senso della vista: flusso indifferenziato di livelli luminosi, che deve essere trasformato in
insiemi di entità che si ‘staccano’ dallo sfondo; che poi vengono organizzati in categorie e
occorre poi che siano strutturate, a diversi livelli, le relazioni spaziali, classificatorie e
dinamiche tra le entità categorizzate
 Per gli umani adulti, la ricerca ha individuato almeno tre livelli di categorizzazione:
1) Livello base(quello a cui si fa ricorso più frequentemente e più semplici, infatti sono i
primi ad essere appresi) es: mela
2) Livello sovraordinato es: frutta
3) Livello subordinato es: Golden
 Le relazioni gerarchiche non si presentano solo tra i nomi; ma anche tra verbi e aggettivi.
Tra i verbi la relazione gerarchica è chiamata Triponimia dove troponimo è l’iponimo di
un verbo, che ne esprime il modo specifico di realizzazione
Es: Muoversi  camminare/correre/saltare/gattonaretra i modi di camminare
troviamo: marciare/passeggiare/zoppicare
 Sempre tra i verbi si possono avere relazioni di vera e propria inclusione temporale, come:
russare ⊂ dormire; pagare ⊂ comprare
 In entrambi i casi(troponimia ed inclusione temporale) tuttavia si producono inferenze e
sillogismi simili a quelli visti sopra tra i termini sovraordinati e subordinati
Es: se Piero russa, allora dorme; Chi cammina si muove, chi zoppica cammina, quindi chi
zoppica si muove
 Tra aggettivi, non si hanno gerarchie omogenee(non tutti i nodi sono occupati da
aggettivi)ma piuttosto la subordinazione di coppie o serie di aggettivi a un tema
nominalmente espresso
Es: tra le misure di lunghezza troviamo la coppia di aggettivi lungo/corto
Relazioni di inclusione: meronimia e olonimia
 Riguardano l’inclusione tra un oggetto o un evento e le sue parti, siano esse omogenee o
eterogenee.
 possono essere considerate tali anche le ultime relazioni gerarchiche che abbiamo visto
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 il termine uomo è in rapporto di olonimia rispetto ai nomi delle sue parti, che saranno detti
invece meronimi.
Es: pagare è meronimo(obbligatorio) di comprare; russare è meronimo(non
obbligatorio)di dormire.
 Si possono considerare le parti/porzioni fisiche di un oggetto oppure riferirsi a sequenze di
azioni che fanno parte, o possono far parte, di un’azione più complessa
 In alcuni casi la parte è necessaria rispetto al tutto, in altri è solo opzionale, di conseguenza
non è possibile indicare regole di inferenza di valore generale per tutti i tipi di meronimia
Relazioni di opposizione: l’antonimia

Oltre che in forma di alberi, le relazioni gerarchiche possono essere rappresentate anche
attraverso tabelle che mostrano l’articolazione di un campo semantico
 Nell’asse verticale vengono mostrate le relazioni di inclusione
 Sull’asse orizzontale delle ulteriori relazioni che possono essere dette differenziali
Vd tabella:
 L’insieme di parole o locuzioni co-iponime(gattonare,camminare,correre,saltare)
costituisce una cosidetta classe di contrasto formata da termini che sono reciprocamente
incompatibili. Se uno di essi viene attribuito a un caso di movimento, nessuno degli altri coiponimi può essergli attribuito, permettendo così l’inferenza(che ovviamente è
asimmetrica)
Es: se Piero sta gattonando, allora non sta camminando
 Ci sono poi delle coppie di parole o aggettivi che sono dette oppositive, le cui condizioni
minime sono:
a) Rapporto di coppia, ovvero binarità che può essere contestuale(come tra cane e gatto)
oppure intrinseca(come tra sopra e sotto)
b) Minima differenziazione: entrambi i termini stanno sotto la medesima categoria(hanno
un iperonimo immediato comune) e si differenziano per un aspetto

Esistono vari tipi di opposti o antonimi:
1) I contrari(o antonimi graduabili)
2) Complementari (o contraddittori)
3) Conversi
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4) Reversivi o direzionali
1) I contrari: costituiscono i casi esemplari di opposizione linguistica o i prototipi
dell’antonimia. Es: caldo/freddo; alto/basso….
 Si tratta perlopiù di aggettivi pienamente graduabili, possono cioè essere intensificati o
mitigati da avverbi formando così i gradi comparativo e superlativo
 Indicano il grado di possesso di una certa proprietà su una scala e quando uno di essi si è
intensificato denota il possesso di un valore alto di quella proprietà, o viceversa quando è
mitigato
 Sono incompatibili, ma non suddividono perfettamente il dominio in due metà, coprono gli
estremi della scala lasciando un’area mediata non qualificata(né alto né basso; né buono
né cattivo)
 I rispettivi comparativi stanno in una relazione di conversione: se A è più pesante di B;
allora B è più leggero di A.
 L’affermazione di uno dei due membri, implica la negazione dell’altro, ma non viceversa: se
A caldo, allora non è freddo. (ma se A non è freddo, non è detto che sia caldo)
 Tra i contrari si possono distinguere:
a) I contrari polari(lungo/corto, pesante/leggero,veloce/lento) che sono mappati su una
sola scala di valori, sempre in relazione a un valore di riferimento standard o
variabile(ciò che è corto si misura su una scala di lunghezze….) e il primo dei due
termini è neutrale(o non marcato) che può essere utilizzato per porre domande del
tipo: quanto è pesante un foglio di carta?
b) I contrari equipollenti(caldo/freddo; amaro/dolce; doloroso/piacevole) che si tratta di
coppie di termini che, solitamente, esprimono sensazioni o emozioni che sono mappati
su due scale di valori, una per ogni contrario, che partono da un valore zero e in cui
nessuno dei due termini è imparziale o neutrale
c) I contrari sovrapposti(buono/cattivo; bello/brutto; gentile/crudele) sono termini
mappabili su due scale diverse che sono però parzialmente sovrapposte, per cui il grado
zero di quella negativa è a metà strada della scala positiva. Solo uno dei due membri, di
solito il primo, può essere usato in modo imparziale.
I complementari o contraddittori
 Sono aggettivi, verbi o avverbi discorsivamente costruiti in modo da dividere un campo o
dominio in due metà non sovrapponibili ed esaustive del campo stesso , come morto/vivo;
vero/falso; obbedire/disobbedire; dentro/fuori
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 Se uno dei due è affermato, l’altro è negato e viceversa
I conversi e i reversivi
 Antonimi conversi sono termini che descrivono la medesima relazione o attività tra due
soggetti, ma da due prospettive differenti
Es: Giacomo è papà di Claudio; Claudio è figlio di Giacomo
 Tutti i verbi transitivi, nel rapporto tra voce attiva e passiva esibiscono la proprietà della
convertibilità
 Normalmente si ritiene che le frasi in cui compaiono i due conversi siano equivalenti; ma
non è sempre vero
es: il vaso di rose è sopra il tavolo/il tavolo è sotto il vaso di rose (hanno significati diversi)
Ciò dipende dalla nostra esperienza del mondo e dei suoi oggetti e delle relazioni spaziali
 Gli antonimi reversivi sono di nuovo rappresentati eseplarmente da coppie di forme verbali
ma la relazione che intrattengono è di rovesciamento dell’azione:
annodare/sciogliere;edificare/distruggere
Relazioni differenziali: l’ambiguità

Parole che non sono opposte né gerarchizzabili; ma sono uguali da un certo punto di vista e
differenti da un altro e producono fenomeni di ambiguità lessicale, tra cui troviamo:
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Gli omofoni: Identica pronuncia ma significato completamente diverso
Es: bare(nudo/mero) e bear(orso); in italiano le locuzioni che utilizzano la lettera H come
hanno/anno
Gli omografi: termini che si scrivono in maniera identica ma hanno pronunce e significati
completamente differenti
Es: ancora; subito.
La loro pronuncia fa sparire l’effetto di ambiguità
Gli omonimi: parole sia omografe che omofone(cioè hanno una sola pronuncia e una sola
espressione scritta) possono produrre fenomeni di ambiguità di vario genere
Solitamente con Omonimia si intende la relazione che vige tra i sensi di una stessa forma
dell’espressione che non hanno alcuna relazione reciproca: sono quindi termini antagonisti
Es: Riso come cereale e riso come atto del ridere; rombo come figura geometrica o come rumore
assordante
 I dizionari li elencano come voci distinte e indipendenti
Termini Polisemici: esistenza di un rapporto riconosciuto tra i diversi sensi della stessa dorma
espressiva, essendo possibile individuare un senso principale(e originario) e uno o più sensi
secondari derivati per estensione.
Es: rombo come figura geometrica e come pesce; cane come animale e come costellazione.
 In questi casi il dizionario distingue questi come sensi diversi della stessa parola o lemma,
indicandoli con numeri progressivi, man mano che si allontanano dall’accezione principale
e specificando se si tratta di sensi figurati o meno
 Essi derivno da un’estensione del significato del termine di partenza che si basa sulla
metafora(analogia) o sulla metonimia(contiguità)
I sinonimi
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
All’estremo opposto dell’omonimia(e per alcuni dell’antonimia) si trova la sinonimia, ovvero
l’identità o la massima affinità di significato tra due parole diverse, dal punto di vista
fonologico e grafico
Es: sasso; pietra; ciottolo
 Benchè abbiano un nucleo di significato comune non possono essere reciprocamente
sostituite in qualsiasi frase senza cambiarne il senso
Modelli e teorie per la descrizione del significato
L’analisi componenziale: dal modello classico al modello a prototipi

I modelli classici, di descrizione del significato si riallacciano ad alcune idee in circolazione da
millenni nella cultura occidentale
 Risale ad Aristotele infatti la connessione fra ‘significato del nome è la sua definizione”
 Porfiio, un filosofo neo-platonico, ha posto le componenti della definizione, genere e
differenza specifica. Genere e specie, sono i termini in cui, all’epoca, venivano indicati
iperonimi e iponimi in una gerarchia di termini che vedeva un’organizzazione verticale
dell’universo. Ciascuno dei nodi poteva essere definito, includendo nella definizione il
genere immediatamente superiore(iperonimo) e la differenza specifica, una qualificazione
cioè che indicava la proprietà essenziale di un certo tipo di sostanze e che permetteva di
dividere il genere superiore in due parti. La differenza così individuata andava a costruire la
specie e la sua definizione
a) Idea che il significato delle parole possa essere scomposto in fattori(specie = genere +
differenza specifica)
b) L’idea che questi significati siano determinati, senza sfumature
c) La centralità delle relazioni di opposizione(della contrarietà in particolare)
d) Il binarismo, l’idea cioè che le relazioni costitutive del significato coinvolgano due
termini
Es: la specie uomo veniva definita dal genere animale, cui si aggiungevano le differenze
razionale e mortale.
 In mancanza di differenze specifiche, Porfirio ammetteva il ricorso a descrizioni costituite
da differenze non essenziali e quindi a proprietà transitorie o accidentali, comunque
organizzate in relazioni di contrarietà o opposizione
 Con le teorie classiche contemporanee, la semantica di Porfirio condivideva anche l’idea che
gli oggetti del mondo fossero nettamente suddivisi in classi o categorie, ben distinte le une
dalle altre da confini definiti dalla natura stessa e che non ci fosse spazio per casi dubbi o
sfumati
 Su questo ultimo punto, la psicologia sperimentale a partire dagli anni ’70 ha messo in crisi
il modello classico, evidenziando dubbi e incertezze classificatori
Se consideriamo le caratteristiche comuni degli uccelli di volare o cantare, dovremmo
escludere pinguini o galline, ma ciò non è accettabile
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Si è giunti ad elaborare una semantica alternativa al modello classico, che considerava il
significato come una lista di componenti necessarie e sufficienti(CNS) per adottare un
modello detto a prototipi, che considera alcuni membri della categoria più centrali di altri,
come per esempio il pettirosso alla categoria degli uccelli
 Di conseguenza, il modello semantico alternativo riconosce:
a)Una gerarchia di tratti, alcuni dei quali sono più centrali di altri
b)Ammette che l’appartenenza a una categoria non sia sinonimo di rappresentatività
c) I confini tra le categorie possono essere sfumati e non netti

L’analisi semantica lessicale
Ciò che rimane nel passaggio dal modello classico a quello a prototipi è l’adozione di una
semantica componenziale, in cui il significato (linguistico) è considerato analizzabile in tratti o
componenti, detti semi(sing: sema=proprietà,aspetti,attributi)
 La semantica strutturale conserva dell’approccio classico anche l’idea che le relazioni
oppositive giochino un ruolo centrale nell’articolazione delle categorie
 Tra le componenti semantiche di una unità di contenuto da descrivere, possono essere
elencati tutti i termini associati a quel significato(o al termine che lo veicola) in una qualsiasi
delle relazioni semantiche già descritte
1. Di tipo gerarchico: cane  animale, mammifero
2. Di inclusione in senso proprio: cane  quadrupede; automobile - ruote, motore,
carburante
3. Di opposizione: scapolo  maschio adulto non sposato, dove ognuno dei semi si oppone
ad altri tratti: femmina adolescente sposato
4. Di ambiguità, più o meno netta o sfumata: cognato  fratello del coniuge o marito della
sorella
 Di conseguenza nella descrizione e nell’analisi semantica svolgono un ruolo fondamentale tutti
gli strumenti dedicati alla definizione del significato delle parole e alla ricostruzione delle
relazioni tra parole all’interno dei campi semantici cui appartengono


BOX: i dizionari
Per lo studio del lessico della lingua italiana, esistono diversi tipi di dizionari
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 I dizionari non presentano tutte le parole di una lingua, ma sono quelle che sono
considerate portatrici di un significato autonomo(o parzialmente autonomo). Anziché
parole, quindi, i dizionari riportano lemmi o voci
a) Dizionari etimologici: indicano l’origine dei lemmi elencati, ricostruendone le
derivazioni
b) Vocabolari o dizionari monolingua: forniscono per ogni lemma la trascrizione
fonematica, i diversi significati(a partire da quello considerato fondamentale o
letterale), i sinonimi e contrari, le locuzioni e i modi di dire formati
c) Dizionari dei sinonimi e contrari in cui sono appunto specializzati
d) Dizionari dell’uso: si avvalgono di programmi che permettono di studiare la frequenza
d’uso e i sensi legati agli usi dei vari lemmi. Il GRADIT è il più importante e ha indicato
per ogni lemma, la marca d’uso ovvero il rapporto fra la frequenza d’uso di quel senso
e la sua dispersione nel corpus(insieme) di testi considerati: FO(fondamentale); AU(alto
uso 6%); AD(alta disponibilità, più rari ma legati all’esperienza comune). FO, AU, e AD
costituiscono il vocabolario di base; CO(comune) marca i vocaboli usati e compresi da
chiunque abbia un livello mediosuperiore di istruzione; TS quelli usati in ambiti tecnicoscientifici; LE quelli di uso esclusivamente letterario; RE sono di provenienza dialettale;
ES gli esotismi; BU quelli di basso uso(rari) e OB quelli obsoleti.
e) I dizionari analogici forniscono i collegamenti all’interno dei campi semantici di
appartenenza e sono utili per l’analisi componenziale
f) Dizionari dei modi di dire: elencano modi di dire, luoghi comuni e proverbi
g) Dizionari delle collocazioni: elencano le combinazioni più frequenti delle parole
h) Dizionari inversi elencano i lemmi in ordine alfabetico a partire dall’ultima lettera

Inoltre, abbiamo:
1) WordNet: in inglese
2) ItaWordNet: database semantico lessicale
END BOX: scheda
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Etimologia: da quale parola di quale lingua deriva il vocabolo in questione
Definizioni del senso principale (da diversi dizionari, indicati tra parentesi quadre)
Altri sensi eventuali (secondo l’ordine dato dai singoli dizionari e specificando in quale tipo di
relazione stanno con il senso principale: omonimia o polisemia, indicate tra parentesi tonde
Relazioni semantiche con altre parole, suddivise secondo i vari sensi(indicate tra parenti tonde)
Combinazioni tipiche/modi di dire che servono per illustrare i sensi derivati o alcune sfumature di
senso
Derivati morfologici che arricchiscono il campo semantico
 Da questa scheda si potranno poi estrarre i semi o componenti semantiche nelle quali i l
significato di quella parola può essere scomposta, in modo da ricostruirne il campo semantico.
L’estrazione delle componenti semantiche consiste nell’elencazione di proprietà di vario
genere. Aggiungeremo quindi:
Semi:
a) Componente tassica(classifcatoria) che individua negli iperonimi i semi distintivi e
differenziali rispetto ad altri contenuti(gli antonimi, quando presenti possono essere inseriti
in questa classe di componenti)
b) Componente configurativa che scompone l’oggetto significato in parti, individuando così
nei meronimi della parola altri semi: possono indicare diversi sottotipi di tratti(le porzioni
fisiche dell’oggetto, il materiale di cui è fatto, un’azione all’interno di un’attività complessa)
c) Componente funzionale: ne specifica l’eventuale funzione rispetto a un agente o a uno
scopo
Campo semantico
[Capitolo 5 – parole in cornice: le relazioni lessicali sintagmatiche]
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Le caratteristiche di un linguaggio sono di avere almeno due piani(E/C), due
assi(sistema/processo o paradigma/sintagma) e di prevedere inoltre regole di Reggenza
e Combinazione tra elementi sul piano sintagmatico
 Tra gli adulti, le più frequenti associazioni tra parole sono quelle legate da relazioni
paradigmatiche es: all’aggettivo lungo il suo contrario corto
 Queste relazioni tra parole(o tra i loro contenuti) strutturano i campi semantici e valgono,
in generale, tra elementi omogenei(per esempio da parti del discorso dello stesso tipo
come nomi, aggettivi…) che possono eventualmente trovarsi in rapporto di alternanza
reciproca: dovunque si trovi ognuno di questi elementi può essere sostituito da uno
qualsiasi degli altri che faccia parte dello stesso campo semantico,che abbia significato
affine(sinonmia), diverso(polisemia,omonimia) o opposto(antonimia)
 Altre relazioni, come quelle gerarchiche e di inclusione, indicano come si possano
ulteriormente analizzare in componenti di significato i contenuti veicolati da quelle parole
 Il confronto tra i modi in cui lingue diverse organizzano gli stessi campi semantici ha
portato ad avanzare ipotesi sul relativismo linguistico, sul rapporto lingua-pensiero e
sull’arbitrarietà linguistica
 Relazioni di tipo non paradigmatico ma sintagmatico, sono richieste per analizzare in
modo più completo il significato lessicale

Nomi, aggettivi e verbi
Alcuni studiosi ritengono che queste categorie siano solo manifestazioni superficiali di una
realtà linguistica più profonda, tanto da supporre che “esista una sola categoria sottostante
alle classi di nomi, verbi e aggettivi”
 Altri ritengono che queste categorie linguistiche siano fondate sulle cose significate e
riflettano una scala relativa alla stabilità temporale percepita dei fenomeni denotati: ci
sono fenomeni che mostrano una grande stabilità nel tempo e altri invece che cambiano
rapidamente.
 Tra questi due insiemi non c’è una netta cesura, ma piuttosto un continuum graduale su cui
si distribuiscono le principali parti del discorso come veicoli di significazione
 I sostantivi e i verbi occupano le estremità e gli aggettivi le posizioni intermedie
 Il modello adottato è quello a prototipi, alcuni nomi(es di oggetti fisici) e alcuni verbi(di
azione) sono gli esempi tipici da cui si discostano altri nomi(es di processi) o verbi(di stato)
meno centrali
 E’ più utile distinguere fra due livelli di significazione, indipendenti ma comunicanti:
quello lessicale(della singola parola) e quello grammaticale(delle parti del discorso)
 Possiamo indicare lo stesso contenuto con un nome, un verbo, un aggettivo, un avverbio a
prescindere dalla relativa stabilità dell’oggetto/evento significato, senza cioè impegnarsi a
cercare una stretta connessione tra proprietà linguistiche e proprietà ontologiche
Es: amore,amato,amant,amabile,amorevole…
 In ogni caso, vi è una notevole differenza tra nomi,da un lato e aggettivi e verbi,dall’altro dal
punto di vista delle relazioni paradigmatiche
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 I nomi sono più facilmente gerarchizzabili a differenza di verbi e aggettivi, dove però è più
facile individuare antonimi
 Da ciò deriva che i nomi si prestano più facilmente all’analisi componenziale
 Iperonimi,meronimi o antonimi,come componenti semantiche, non sono sufficienti a
rendere conto in maniera adeguata del significato delle parole, soprattutto delle sfumature
di senso
 A questo punto entrano in gioco le relazioni semantiche dette sintagmatiche
Combinazioni tipiche, modi di dire e regolarità sintagmatiche
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Le combinazioni tipiche, dette collocazioni, ma anche i modi di dire e proverbi sono
combinazioni di parole che si trovano vicine sull’asse sintagmatico con una certa regolarità,
Presentano però delle limitazioni alla libertà di combinazione: casi come questi sono detti
anche solidarietà semantiche o lessicali
Collocazioni e modi di dire sono importanti perché fanno parte della competenza linguistica
del parlante e sono spesso all’origine di associazioni di parole
Es: vino scuro è detto nero, un quesito si pone ma non si domanda….
Sono cose che si apprendono con l’uso della lingua e difficilmente sono spiegabili sulla base
di un’analisi componenziale
Come i modi di dire o le coniugazioni dei verbi anche le combinazioni tipiche si apprendono
con l’uso: combinazioni lessicalmente fisse o molto frequenti che se cambiate non
suonerebbero bene: restrizioni di collocazione
La regolarità sintagmatica è il modo in cui nella nostra lingua mettiamo in sequenza le
parole per formare frasi o discorsi
Es: alcuni verbi necessitano di certe preposizioni: ‘coincidere’ regge ‘con’ ‘iscriversi’ regge
‘a’….
I verbi di movimento
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E’ molto difficile se non impossibile spiegare la differenza di significato tra due nomi di
generi naturali(per esempio cane e gatto) facendo ricorso solo alle descrizioni
linguistiche(componente tassica) così che “la loro rappresentazione semantica deve
necessariamente fare riferimento alla configurazione morfologica delle rispettive
entità(componente configurativa).
 I verbi di movimento pongono un problema simile, che mette in questione una concezione
‘ristretta’ della semantica: la componente configurativa appare strettamente legata alla
nostra esperienza del mondo naturale perché si appoggia a schemi motori fondati sulla
nostra esperienza diretta della corporeità
 Le relazioni sintagmatiche vengono utilizzate per la classificazione e producono
componenti semantiche rilevanti:
Es camminare non esprime solo movimento; ma anche la sua velocità(moderata); la
direzionalità di’default’, la presenza di un soggetto umano…
 Distinzione di un livello più superficiale e uno più profondo o non manifesto
 Semi non riconducibili al movimento in sé, ma in qualche modo esterni
 Tutti insieme questi semi distinguono il significato di questo verbo da altri dello stesso campo
semantico come gattonare, strisciare, correre, saltare… ma non sono ancora sufficienti a
delineare tutte le relazioni sintagmatiche necessarie alla descrizione del suo significato

Scene prototipiche e cornici(frames)
Il verbo camminare, presenta riferimenti ad elementi esterni al movimento in sé o alle sue
modalità di esecuzione, che si traducono in componenti sintattici di superficie, obbligatori
o facoltativi
 Si può vedere come quelli che prima sembravano tratti impliciti al movimento, possano
essere esplicitati in componenti sintattico-semantiche determinate
 Il frame è uno schema cognitivo costituito da relazioni tra elementi, organizzati in un
modello sintattico lessicale sulla base di esperienze, credenze o pratiche
 Se il frame è una struttura cognitiva il suo corrispondente ontologico è la scena
 Nel dizionario ‘frame net’ i vari sensi di ogni parola sono collegati con le strutture cognitivo
semantiche o frames la cui conoscenza è presupposta dai concetti codificati dalle parole
stesse
 Una volta individuati gli elementi costituitivi della scena o del frame connesso alla parola,
occorre esaminare in che modi questa scena può essere linguisticamente espressa,
tenendo conto sia delle forme grammaticali che possono corrispondere ai vari
elementi(SN= sintagma nominale; SP= sintagma preposizionale) sia dei ruoli grammaticali
giocati da quelle forme(soggetto, oggetto diretto, complemento, predicato, frase
subordinata…)
 La valenza verbale consiste nell’indicazione di quanti argomenti un verbo prenda come
minimo per costruire una frase sintatticamente corretta e permette di classificare tra i verbi
in zerovalenti(piovere); monovalenti(correre); bivalenti(calpestare); trivalenti(dare);

Conclusioni: ancora sull’analisi componenziale
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D: cosa aggiunge la considerazione delle relazioni sintagmatiche all’analisi semantica per
tratti, fondata solitamente sulle relazioni paradigmatiche?
a) Arricchisce l’analisi semantica di uno sfondo di default(la scena prototipica) mettendo in
luce oltre agli elementi obbligatori sul piano sintattico(determinati per esempio dalla
valenza verbale) anche altri elementi, disponibili sullo sfondo della scena, ma latenti finchè
non vengono resi espliciti
 L’esplicitazione di elementi di contorno, detti anche circostanti o espansioni(SC) avviene
per differenza: quando qualche elemento della scena di riferimento scarta rispetto alla
norma(default) ecco che diventa necessario specificarlo.
 Il principio di default prototipico porta con sé il fatto che, quando non vengono specificati i
circostanti facoltativi di contorno, varranno implicitamente gli elementi essenziali(e
obbligatori) e comuni a tutte le scene analoghe. Ciò ha conseguenze sull’interpretazione
dei testi
 es: l’evento commerciale porta con sé che due persone sono attive e ciascusa di esse
compie due azioni, il compratore quella di prendere dei beni e quella di consegnare del
denaro e il venditore quella di prendere del denaro e consegnare i beni. Questi elementi
non possono mancare nella scena prototipica
b) Arricchisce l’analisi semantica di semi di tipo diverso da quelli di derivazione paradigmatica,
normalmente presentati sottoforma di lista. I semi derivanti dalle relazioni sintagmatiche si
presentano piuttosto come un insieme strutturato di relazioni fra componenti
c) Mettono in luce un aspetto che raramente emerge(o perlomeno non in maniera esplicita)
nelle analisi semantiche lessicali: quello che possiamo chiamare aspetto dinamico del
significato
d) Non solo forniscono tratti aggiuntivi organizzati in una scena di sfondo e in una dinamica di
relazioni a volte piuttosto complessa ma suggeriscono anche la possibilità di rappresentare
in maniera schematica il significato di una parola. La schematicità sembra essere un tratto
caratteristico del significato linguistico, nel senso che le singole parole possono essere
considerate come”condensati sintetici di schemi di contenuto complessi a essi sottostanti”
 La schematicità del significato ne permette la descrizione, separando chiaramente un livello
superficiale(morfosintattico) e no latente e più profondo di natura concettuale/cognitiva,
che si riferisce alla nostra esperienza del mondo
 La dimensione di regolarità e schematicità del significato può quindi essere considerata la
componente positiva del significato stesso, accanto a quella differenziale(relazioni
paradigmatiche) e quella narrativa(relazioni sintagmatiche)
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Solo l’analisi delle relazioni sintagmatiche(a livello di scena o frame) consente di individuare
le componenti funzionali
La componente funzionale può essere ulteriormente divisa in:
a) Aspetto telico, ossia orientato allo scopo per cui si esplica una certa attività o processo
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b) Aspetto agentivo, ovvero orientato all’agente o causa di un certo processo o
stato(componenti tassiche della parola
 Per esempio, analizzando la parola commercio possiamo indicare la componente telica
ossia il processo di scambio, lo stato finale e una componente agentiva, ossia il venditore e
il compratore con le loro relazioni di possesso rispetto a bene e denaro
 Analizzando una parola come sedia, diremmo le componenti funzionali che sono
classificate come teliche sono il fine di sedersi e la limitazione a una sola persona; mentre
l’agentività è implicita ossia il prodotto di un costruttore di sedie che ne causa l’esistenza e
che rimane sullo sfondo
 Le relazioni sintagmatiche mettono in luce un aspetto che raramente emerge(o perlomeno in
maniera esplicita) nelle tradizionali analisi semantiche lessicali ossia l’aspetto dinamico del
significato
 Stato iniziale, stato finale e una dinamica temporale intrinseca ed essenziale dal quale
emergono spunti per uno sviluppo narrativo
I sintagmi
1)proposizionale: preposizione + SN = di mia madre
2) nominativo nome+(eventuale) articolo, aggettivo= la partita
3) verbale verbo + altri elementi
Segni, linguaggi e testi – Costantino Marmo
[Capitolo 6 – arbitrarietà, forme del contenuto, interpretanti]
Arbitrarietà e convenzionalità
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Lingue diverse presentano non solo parole simili con significati diversi, ma spesso
articolazioni diverse degli stessi campi semantici
 Basti pensare ai campi semantici dei verbi di movimento in inglese, tedesco, e italiano.
In alcuni verbi può essere incluso anche il tratto della direzionalità, del terreno, della
maniera, dello strumento
 Ciò vale sia nell’ambito dei verbi, che dei nomi, che degli aggettivi: per esempio
confrontando gli aggettivi che misurano altezza, profondità e temperatura in italiano e
in inglese, si può osservare che ciò che in italiano è realizzato dalla coppia alto/basso
corrisponde in inglese a una pluralità di opposizioni a seconda dell’ambito cui si applica
il confronto tra misure. Per l’italiano quindi sembra un’unica area semantica ciò che si
rivela in inglese una discontinua di aree semantiche. (tall/short - high/low deep/shallow)
Così il confronto tra le lingue può portare a mettere in questione l’unità del campo
semantico, difatti Hjelmslev non parla di campo semantico, ma di “una stessa zona di
materia (del contenuto)”
 L’idea di fondo è che lingue diverse presentino solidarietà diverse tra il piano
dell’espressione e quello del contenuto, proiettando sulla materia del contenuto forme
diverse e non sempre comparabili
Già un paio di millenni fa, Platone e Aristotele erano giunti a affermare che le lingue hanno
una base di arbitrarietà marcata.
 L’arbitrarietà delle lingue non è la possibilità di cambiare a piacimento le parole di una
lingua, ma l’assenza di motivazione nel rapporto tra piano dell’espressione e piano del
contenuto
 In nessuna lingua la successione dei fonemi corrisponde alla composizione del semi del
contenuto veicolato. Es la /k/ in cane non corrisponde al tratto animale.
 Questa mancanza di motivazione è chiamata arbitrarietà verticale, ha cioè a che fare
con la relazione tra espressione e contenuto rappresentati nel diagramma che segue
come strati verticalmente sovrapposti:
La proprietà della convenzionalità(anche questa riconosciuta alle lingue a partire dalla
filosofia greca) che viene spesso associata a questo tipo di arbitrarietà, implica invece l’idea
che all’origine delle lingue vi sia una sorta di accordo tra i parlanti(una convenzione, un
contratto) che giustifica il ricorso a forme dell’espressione diverse nelle varie lingue per
significare uno stesso contenuto
 Contro questo tipo di arbitrarietà, si è obiettato che nelle lingue esistono anche fonemi
di motivazione, come le onomatopee, che cercano di imitare i suoni emessi da oggetti o
fenomeni vari attraverso sequenze di fonemi. Saussure respinge l’obiezione
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sottolineando che, in primo luogo, alcune onomatopee sono solo presunte e inoltre che
le onomatopee, variando da lingua a lingua, confermino l’arbitrarietà delle stesse.
Da Saussure in avanti si è cominciato a parlare di un altro tipo di arbitrarietà, ossia
l’arbitrarietà radicale(o orizzontale) che ha a che fare con i diversi modi di articolare i
campi semantici da parte delle varie lingue
 Saussure stesso fa riferimento al modo diverso in cui francese e inglese indicano alcuni
animali, a seconda che la loro carne sia usata o meno come cibo
Hjelmslev ha suggerito che le lingue ritaglino o segmentino il contenuto in maniere diverse
e arbitrarie e che questo contenuto si presenti a prescindere dal modo in cui le lingue lo
modellano, come un continuum indistinto e indifferenziato che ha chiamato materia del
contenuto
 Le lingue agirebbero su questo continuum in modo analogo a quanto fanno sul
continuum della materia dell’espressione, ritagliandolo e rendendone pertinenti alcune
aree a discapito di altre
 “come una stessa manciata di sabbia può prendere forme diverse…la stessa materia
può essere formata e strutturata diversamente in lingue diverse”
 I contenuti delle parole non sarebbero altro che il risultato di questa operazione di
segmentazione del continuum che senza le lingue rimarrebbe amorfo e indistinto
 Riguarda i rapporti fra unità di contenuto, nel rapporto di delimitazione reciproca che
queste hanno sia a livello paradigmatico(nei campi semantici) sia a livello
sintagmatico(nei frames e nelle frasi o testi)
A partire da queste riflessioni, i linguisti hanno cominciato a parlare dell’arbitrarietà
radicale o orizzontale, e l’hanno messa in relazione alle teorie del relativismo linguistico,
secondo cui il modo di categorizzare l’esperienza è condizionato dalla lingua e dalla cultura
di appartenenza o secondo cui, addirittura, non è possibile pensare o percepire il mondo se
non attraverso le categorie messe in gioco dalla nostra categoria di appartenenza
 I nomi di colori si raggruppano attorno a dei nuclei(o foci in latino) determinati dal
nostro modo di percepire la luce e quindi la lingua e la cultura non sono una variabile
indipendente da cui dipende la categorizzazione o addirittura la percezione
Le lingue articolano in modo diverso il flusso dell’esperienza, le categorie di cui ci serviamo
per organizzare l’esperienza e comunicarla agli altri: questi modi presentano dei tratti di
arbitrarietà, almeno all’interno dei campi semantici
 Si parla di arbitrarietà orizzontale, perché le parole messe a confronto in un campo
semantico si collocano allo stesso livello sull’asse paradigmatico(nella tassonomia in cui
entrano sono solitamente co-iponimi o estensioni). Di conseguenza la presenza di una
parola in una certa posizione di un campo semantico dato, delimita l’estensione di
quella continua
L’arbitrarietà radicale porta alla “radicale socialità delle lingue”: i segni nel loro
differenziarsi e organizzarsi, non rispondono a esigenze naturali ma al consenso sociale. Il
mondo dei significati è frutto di una organizzazione altrettanto arbitraria
dell’organizzazione dell’espressione e di conseguenza “il consenso sociale è tutto”
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 Anche Hjelmslev sottolinea come l’individuazione delle concrete sostanze del
contenuto siano il frutto di apprezzamenti sociali, collettivi e culturali.
 Questo è il livello più importante per la segmentazione della materia del contenuto,
ossia il livello in cui ha luogo quel contratto sociale che permette di pertinentizzare una
materia
Materia, Sostanza e Forma del contenuto
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Espressione e contenuto si comportano in modo analogo: su entrambi i piani è possibile
identificare delle sostanze(entità concrete ma con caratteristiche culturalmente
determinate) che derivano dalla proiezione delle forme sulla materia: “è grazie alla forma
del contenuto e alla forma dell’espressione che esistono la sostanza del contenuto e la
sostanza dell’espressione, le quali si possono cogliere per il proiettarsi della forma sulla
materia”.
 Le forme del contenuto sono la constatazione della diversa segmentazione in sé e per
sé: ogni lingua ha il proprio modo di proiettare le proprie suddivisioni su determinate
aree semantiche.
 Non sono tanto le singole parole che articolano un campo semantico, quanto le zone
vuote stesse che ogni lingua riempie di materiale sonoro arbitrario
Ciò che conta, non sono tanto le sostanze(dell’espressione) che così si costituiscono(ossia
le parole), né le sostanze de contenuto(cioè i concreti oggetti della nostra esperienza) ma
piuttosto le relazioni differenziali che tra questi spazi si creano all’interno di una lingua: un
contenuto di definisce prima di tuto quanto differente e distinto da quelli continui.
 Questo è il nocciolo della nozione di struttura che ha permeato lo strutturalismo
linguistico e antropologico, nelle parole di Saussure: “nella lingua non vi sono che
differenze”.
Ci si potrebbe chiedere se il principio dell’arbitrarietà sia veramente dominante nel
complesso di una lingua o non sia piuttosto un principio valido a livello locale(nel campi
semantici) senza che debba valere a livello globale. Ciò potrebbe implicare che i rapporti
tra “le sotto reti” non siano completamente arbitrari.
Eco richiama innanzitutto l’idea del continuum(o materia) del contenuto, “ritagliato e
organizzato in forme diverse da culture(e lingue) diverse”, che coincide con “tutto
l’esprimibile e il pensabile” e che prima che una cultura lo organizzi linguisticamente è
tutto e nulla, sfuggendo a ogni determinazione.
 Hjelmslev chiama questo continuum “mening”(senso) sottolineando come questo
continuum costituisca il fattore comune, il senso che le diverse forme espressive hanno
in comune e che esiste solo in quanto espresso in una lingua e ritagliato nei vari modi in
cui ciascuna lingua lo ritaglia. A prescindere dalla forma del contenuto di una certa
lingua, esso esiste solo come massa amorfa analizzabile da diversi punti di vista.
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 Ciò implica che “nel magma del continuum ci sono delle linee di resistenza e delle
possibilità di flusso, come delle nervature di legno o di marmo, che rendano più agevole
ritagliare in una direzione piuttosto che in un’altra”[Eco] – Linee di tendenza.
 Le idee di fondo sembrano dunque essere:
1) La lingua è come una rete che, in maniera non del tutto arbitraria, mette in connessione
sotto – reti (campi semantici). Se così non fosse non riconosceremmo il fattore comune
del senso di espressioni comparabili di diverse lingue, né il fatto che parole di diverse
lingue coprano la stessa zona di materia del contenuto.
2) E’ Nei campi semantici(o in zone riconosciute come semanticamente omogenee) che si
esplica appieno il principio dell’arbitrarietà radicale
Il valore posizionale e l’identità dei segni
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Secondo Hjelmslev anche i rapporti sintagmatici contribuiscono alla definizione del
contenuto(e ciò conferma l’esistenza di un continuum(senso o materia, mening) del
contenuto.
 Il contenuto di una parola può essere descritto a partire dai rapporti che esso
intrattiene con chi gli è contiguo dal punto di vista sia paradigmatico che sintagmatico.
E’ nel punto di intersezione tra questi rapporti che si colloca il valore della parola o il
segno in generale.
Un segno,come unità solidale di forma dell’espressione e forma del contenuto, non si
definisce per come è materialmente fatto (ovvero come unità solidale di forma del
contenuto e dell’espressione) ma per il fatto di essere diverso e distinto da ciò che gli sta
interno, dove l’intorno è costituito dai due ordini di rapporti.
 Per le parole, il contenuto e l’espressione dipendono dalla posizione che essi hanno
all’interno di un sistema di relazioni paradigmatiche(campo semantico, relazioni
gerarchiche e meronimiche) ma anche dalla posizione che esse possono assumere sul
piano sintagmatico(collocazioni, combinazioni tipiche, modi di dire, frames)
 Saussure richiama il parallelismo tra lingue e giochi degli scacchi: in quest’ultimo il
valore di un pezzo non dipende da come è fatto materialmente ne dalla sua
configurazione, ma piuttosto dalla posizione che occupa sulla scacchiera nel momento
iniziale del gioco e delle regole che ne determinano il comportamento. In modo analogo
nelle lingue e nei linguaggi il valore degli elementi è determinato innanzitutto in
maniera differenziale e oppositiva(ciò che esso non è) a partire dalla posizione che essi
occupano nel sistema e nei processi. (componente differenziale, negativa o
contrastiva)
 Esistono anche componenti positive(Violi) che prendono il considerazione la parola o il
segno nella sua totalità, ovvero come un’entità positiva dotata di ‘unità, di entità
concreta e di realtà’
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Uno dei principi della linguistica(oltre al valore differenziale e al binarismo) è quello della
cosiddetta immanenza e afferma che il suo obiettivo è quello di cogliere la lingua, non
come conglomerato di fenomeni non linguistici(per esempio fisici, fisiologici, psicologici,
logici, sociologici) ma come una totalità autosufficiente, una struttura sui generis
 Una lingua o un linguaggio non devono fare riferimento a elementi esterni alla lingua e
al linguaggio stesso.
 Critica molto netta alle teorie che considerano la lingua come una nomenclatura, che
danno per scontato l’esistenza indipendente di elementi linguistici e delle cose/idee
corrispondenti
 Linguistica e semantica strutturale quindi sostengono: immanenza(la lingua è una totalità
autosufficiente che non deve fare appello a elementi esterni alla lingua stessa – anti
referenzialismo), binarismo e rapporti differenziali
 Una delle idee portanti dell’impresa di Hjelmslev è quella glossematica, che consiste
nell’applicare al piano del contenuto lo stesso metodo (prova di commutazione) che si
utilizza sul piano dell’espressione al fine di individuare gli elementi minimi o figure
 Sul piano dell’espressione permette l’individuazione di fonemi tipici di una lingua come
elementi minimi
 Sul piano del contenuto conduce, in linea teorica, a individuare le figure del contenuto.
L’obiettivo dichiarato è quello di fornire una descrizione esauriente del contenuto di
una lingua, riducendo i contenuti complessi ad elementi semplici, suoi componenti, così
come è stato possibile descrivere il piano dell’espressione di una lingua riconducendo le
sue manifestazioni complesse(sillabe,parole,frasi, discorsi) a un numero limitato di
elementi semplici, come sono appunto i fonemi.
 Solo in pochi ormai perseguono ancora l’obiettivo di ridurre i contenuti linguistici a dei
“primitivi”, gli studiosi sono giunti alla conclusione che questo obiettivo è
irraggiungibile o hanno individuato dei primitivi a livello concettuale/cognitivo, ma in
generale hanno preferito limitarsi a descrivere il significato adottando una notazione
grafica per gli elementi definitori, tratti o componenti(di solito in maiuscolo o in
minuscoletto) e una diversa(corsivo minuscolo) per i contenuti definiti, senza chiarire se
i semi individuati siano veramente primitivi o meno
 La natura dei tratti semantici individuata non può essere considerata linguistica, le
componenti configurative e funzionali fanno costante riferimento a quella che
possiamo chiamare “conoscenza nel mondo” e le componenti tassiche spesso
nascondono semi configurativi o funzionali
 Il problema è che questi semi sono a tutti gli effetti delle parole, che come tali hanno un
significato che può essere descritto facendo ricorso ad altre componenti semantiche che
sono a loro volta parole e così via, potenzialmente all’infinito. Ma è possibile arrestare
questo regresso infinito?
 Peirce ha cercato di risolvere questo problema. Il segno, è secondo Pierce una relazione a
tre posti costituita da un representamen, un oggetto e un interpretante. Ma vediamo
un’altra definizione:
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“un segno, o Representamen, è un Primo che sta in una relazione triadica con un
Secondo,chiamato Oggetto, in modo da essere capace di determinare un Terzo, chiamato
Interpretante, ad assumere la stessa relazione triadica con l’Oggetto nella quale si trova il
Segno con l’Oggetto stesso.”
 Se il Representamen corrisponde al piano dell’espressione, il significato è identificabile
in un tipo particolare di Oggetto, quello che Peirce chiama Oggetto immediato.
 L’Oggetto Immediato non è altro che una rappresentazione dell’Oggetto denotato dal
segno
 L’interpretante è definito come “effetto propriamente veicolato da un segno”
Ciò implica che un segno, nel momento in cui si manifesta a un interpretante, produce
degli effetti che sono a loro volta dei segni e che servono a rendere esplicito ciò che
significa il segno. Naturalmente anche il secondo segno,equivalente o più sviluppato, ha
degli effetti e quindi degli interpretanti, producendo quella che Peirce chiama semiosi
illimitata o fuga degli interpretanti: è caratteristico dell’uomo spiegare il significato dei
segni attraverso altri segni. Non vale appellarsi a una qualche forma di conoscenza
immediata o intuitiva che possa bloccarla: l’uomo pensa e conosce solo attraverso i segni,
nessuno dei quali è primitivo rispetto agli altri

 Questo è il paradosso dell’analisi semantica, da un lato si pensa di essere in grado di
spiegare, analizzandolo in componenti, il significato delle parole, dall’altro si è
consapevoli che l’analisi potrebbe non avere mai fine.
 Peirce ha analizzato tale situazione paradossale riconoscendone l’ineludibilità, i
concetti stessi sono segni e il flusso del pensiero è un esempio di fuga degli
interpretanti(ogni pensiero – segno è tradotto o interpretato in uno susseguente”). E’
caratteristico dell’uomo cercare di spiegare il significato dei segni di cui si serve
attraverso altri segni.
Peirce ha indicato una possibile via d’uscita da questa fuga di interpretanti, ed Eco ha
sviluppato ulteriormente questo tema approdando a una teoria negoziale del significato
 Perice ha mostrato come il ricorso allo studio degli interpretanti possa contribuire a
spiegare cosa sia il significato dei concetti. Il primo tipo di interpretante coincide con il
sentimento prodotto dal segno sull’interprete(interpretante emozionale). Un ulteriore
effetto può essere conseguente alla comprensione del segno stesso che implica un
qualche tipo di sforzo, muscolare o mentale(interpretante energetico). L’interpretante
logico invece consiste in un concetto, della stessa natura generale del segno da
spiegare, che quindi non può rappresentare l’interpretante ultimo di quel concettosegno.
 L’unico effetto mentale che può essere prodotto come interpretante logico ultimo è un
mutamento d’abito, che consiste nella modifica della disposizione ad agire di un certo
modo in determinate circostanze, tendenza che risulta da esperienze precedenti. (per
esempio un’azione abituale diventata automatica,come lavarsi i denti al mattino). In
questo caso l’abito è di tipo intellettuale, è una credenza, un’opinione, una convinzione
o un sapere. Cambiare gli abiti intellettuali è molto più difficile. Ciò equivale al
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cambiamento di abito cognitivo, per cui l’interlocutore passa da un abito di non
conoscenza o conoscenza insufficiente a quello di conoscenza, che è sufficiente a
fermare almeno provvisoriamente lo slittamento potenziale infinito del senso.
 Tra questi abiti si può mettere anche la comprensione di una parola, che si realizza
attraverso la sua analisi: quando spieghiamo il significato di un termine a chi non lo
conosce, non abbiamo bisogno di percorrere all’infinito tutte le sue componenti
semantiche(altri segni che interpretano quella parola) ma ci fermiamo quando
l’interlocutore si sente soddisfatto. Ciò equivale esattamente al cambio d’abito
cognitivo.
 Su suggerimento di Eco, a proposito della traduzione, si potrebbe dire che il livello cui
arrestarsi nell’analisi(e nell’individuazione di tratti semantici) è frutto di una
negoziazione all’interno della comunità scientifica di riferimento più che della priorità o
primitività di alcuni semi o strutture
[capitolo 7 – dalle parole ai testi: contesti e circostanze]
D: cosa succede alle parole quando vengono messe in fila a formare catene linguistiche
complesse?
Parole, frasi e testi


D: in che modo i significati degli elementi di una frase(o di un testo) contribuiscono al
significato complessivo?
1ipotesi) Principio di composizionalità o calcolo del significato: Il significato complessivo è
la somma dei singoli significati secondo il principio di composizionalità: “il significato di un
enunciato E formato dalle parole X,Y,Z rsulta dalla composizione dei significati di quelle
parole: SE=SX+SY+SZ”
 Ipotesi non molto accreditata:
a) Nelle frasi fatte(idiomatiche) o nelle espressioni metaforiche(come avere il chiodo
fisso) non è chiaro né come il significato dei singoli elementi si combini con il resto
né quale significato si combini nel caso delle espressioni metaforiche, se solo quello
traslato o anche quello letterale
b) Polisemia delle parole in base al contesto, che dipende dalle parole con cui una
certa espressione si combina, quale significato verrà utilizzato?
c) Problema di determinare quali elementi o componenti del significato di una parola
si sommino. Quando ci serviamo di parole per comporre frasi o enunciati, queste
hanno delle componenti semantiche in comune e quindi non si capisce come quelle
componenti si comportino nella somma. Si elideranno a vicenda o si sommeranno?
 È necessario affiancare al principio di composizionalità altri principi.
Il linguista americano James Pustejovsky cerca di rendere conto di come il significato
lessicale non sia solo presupposto dal significato frasale, ma possa anche essere generato
dal contesto
 Ha criticato le teorie del calcolo dei significati e ha proposto dei principi regolativi della
composizione dei significati frasali basati su una contrattazione dinamica del significato
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 Mette in evidenza i limiti dell’approccio enumerativo attraverso alcuni esempi che
mostrano come le parole possano assumere nuovi sensi in contesti nuovi(uso creativo
delle parole) e come i diversi sensi di una parola siano permeabili, ovvero possano
sovrapporsi o fare riferimento uno all’altro.
Es: l’aggettivo buono cambia senso a seconda del nome con cui si combina: buon pasto/
buon coltello/buon maestro.
Il dizionario elencherebbe questi sensi come distinti, ma non si può negare che sono
strettamente connessi
 La teoria di Pustejovsky cerca di tenere conto di queste osservazioni proponendo tre
principi che vanno ad integrare quello di composizionalità
1) Principio di co-composizione: spiega come i componenti di un sintagma si
condizionino a vicenda nel definire il significato complessivo del sintagma. Il
significato complessivo di una frase non è la semplice somma dei significati delle
parti, ma il risultato di un’operazione di integrazione e influenza reciproca tra i
significati degli elementi che si combinano
Es: tagliare il pane(=affettare);tagliare l’erba(=falciare);tagliare un albero(=segare)..
2) Principio di forzatura del campo semantico: presuppone una classificazione dei tipi
di significato, detta talvolta anche ontologia. Una semplice classificazione dei tipi
semantici prevede una categoria generale(indeterminata)suddivisa in
sottocategorie, come Entità – distinte a loro volta in Entità Astratte e Oggetti Fisici -,
Eventi e Proposizioni oppure una classficazione in Cosa, Situazione(evento o stato),
proprietà, modo, luogo, tempo, direzione, quantità. Questi tipi semantici possono
essere collegati a espressioni linguistiche di vario tipo.
Quindi, alcuni verbi che di norma hanno come argomento un certo tipo
semantico(per esempio evento) quando sono seguiti(o reggono) un argomento
collegato a un differente tipo semantico(per es: oggetto fisico) obbligano a una
differente interpretazione di quell’argomento.
Esempio: verbi (aspettuali) come smettere,durare, finire, Iniziare(evento) una cura
(evento o attività) è diverso da iniziare(evento) una birra(oggetto fisico). Vi è un
cambiamento forzato del tipo semantico
3) Principio del legamento selettivo: dispositivo che permette di rendere conto degli
usi creativi di una parola, ovvero come il contesto possa determinare sensi nuovi di
un aggettivo, come buono e veloce.
 Se si considerano i nomi come elementi che specificano un significato altrimenti
generico di questi aggettivi(es: buono = in grado di soddisfare lo scopo principale per il
quale x esiste), si accorcia la istanza tra questo principio e quello della co-composizione
e questo può essere visto come un caso particolare del primo principio.
La dipendenza dal contesto

La conclusione che si può trarre è che i rapporti tra significato di una parola e contesto
sono più complessi nel senso che l’influenza non va solo nel senso contesto -> parola ma
anche viceversa.
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D: ma cos’è il contesto?
Per ora, possiamo considerare in ambito linguistico il contesto come l’intorno linguistico di
una parola, di un sintagma, una frase o una serie di frasi, è la situazione fisica in cui una
certa azione linguistica è compiuta, è il contesto extralinguistico al quale si fa riferimento.
(chiamato anche circostanze di enunciazione, in questo caso)
Indicali, dimostrativi ed espressioni contestuali

Un ruolo centrale nella discussione svolgono i cosiddetti indicali(indessicali o deittici),
ovvero quelle parti del discorso come pronomi personali, dimostrativi, avverbi di tempo e
luogo, che richiedono la specificazione di alcuni punti di riferimento esterni alla lingua
utilizzata.
 In particolare: io, qui e ora sono stati a lungo considerati indicali puri, ossia elementi
linguistici il cui significato è completamene dipendente dal contesto di riferimento.
In particolare bisogna tenere conto non tanto dei punti di riferimento(a cui gli indicali si
ancorano) quanto agli obiettivi comunicativi che inducono qualcuno a fare una tale
affermazione.
Gli indicali Qui, ora e noi(…) identificano una regione spaziale o temporale con un’estensione
indeterminata(o determinata dal contesto) ma che “deve includere il luogo, il tempo, il produttore
del proferimento’’.
Es: per comprendere affermazioni del tipo “parto ora”, “vieni subito qui” necessitano di
specificazioni implicite che si presuppone che il destinatario abbia.
 Le cose si fanno ancora più complicate se si prende in esame l’occorrenza di questi
indicali ‘puri’ in testi scritti o registrati. Vanno letti in riferimento non al contesto di
proferimento, ma al contesto inteso di interpretazione.
Es: il contesto(temporale/luogo presunto) in cui Francesca leggerà il biglietto lasciato
dalla madre ‘ora non sono a casa’.
 Io qui e ora sono stati considerati a lungo gli unici indicali puri, ma questa caratteristica
è stata messa in dubbio e oggi sono considerati più simili ai cosiddetti dimostrativi(lui,
lei, questo, quello..) e alle espressioni contestuali come le costruzioni possessive, certi
aggettivi(buono, facile..) e verbi come fare.Il riferimento alle espressioni dimostrative è
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infatti determinato dal significato linguistico e dal contesto, ma in maniera non
automatica(come invece si prevede per gli indicali puri).
Le parole con cui si combinano determinano per co-composizione, il loro significato.
 In nessun caso, comunque, nell’uso di una lingua, ci si trova a utilizzare parole isolate e
questo ci porta a considerare non solo alcuni significati ma anche alcuni contesti come
standard(o di default) tali per cui quelle parole si trovano come indicizzate a quei contesti.
Secondo Violi, il problema del contesto non è tanto quello della sua estensione, quanto
quello del suo rapporto con il significato lessicale.
 In molte teorie tale rapporto è stato visto come unidirezionale,nel senso che si è spesso
ritenuto che sia il contesto a selezionare le proprietà o i tratti pertinenti o adeguati ad
esprimere un certo significato
 In una prospettiva “esternalista”, secondo Violi, il contesto(in tutti i suoi sensi) è visto
come un elemento che, aggiungendosi dall’esterno alla parola, ne modifica il significato,
ampliandolo, restringendolo o specificandolo. Il contesto, da questo punto di vista, sarebbe
quindi selettore di proprietà semantiche, che giunge a determinare non solo l’alternativa
tra sensi omonimici o polisemici, ma anche quella tra aspetti o microsensi
Es: nello spettro semantico di LIBRO(oggetto fisico, di forma parallelepipeda, di materiale
cartaceo, prodotto a stampa, oggetto in vendita…) è il co-testo a decidere quali di queste
proprietà compresenti sono selezionate perché rilevanti.
 Da un punto di vista semiotico, tuttavia, la prospettiva va rovesciata, non è sempre
possibile definire un nucleo fisso di tratti che, rimanendo costante in tutti i contesti,
costruisca una rappresentazione stabile e universale di una parola
 Per ogni parola, si possono definire ‘pacchetti’ di tratti che prevedono l’inserimento in
determinati contesti così che, nella rappresentazione semantica di una parola e del loro
significato lessicale, sia incluso il contesto di default o standard in cui si prevede che una
certa parola sia inserita.
 C’è una regolarità dei significati che poggia su una regolarità dei contesti di riferimento
 Il contesto, a questo punto, non è più qualcosa che si aggiunge all’esterno alla parola e
modificandone eventualmente il significato, ma diventa una componete stessa del termine.
 La semantica a frames di Fillmore va nella stessa direzione, quando parla di interpreti
che invocano un contesto e di parole che lo evocano: un frame o contesto, secondo
Fillmore, è invocato quando un interprete riconosce il senso di un segmento di testo
collocando il suo contenuto in uno schema che è conosciuto indipendentemente dal
testo: si tratta di un contributo interpretativo che integra con una conoscenza esterna

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ciò che il testo dice. Un frame o contesto è invece evocato dal testo se esso è
convenzionalmente associato a delle forme linguistiche che occorrono nel testo da
interpretare
 Il contesto, linguistico ed extralinguistico, non gioca quindi solo un ruolo di selezione
dall’esterno, ma è una parte integrante del significato stesso di quella parola, dal momento
che componenti configurative e funzionali prese nel loro insieme definiscono esattamente
il frame contesto nella quale la parola è di norma usato.
 Il significato di una parola è quindi anche concepito come un insieme di istruzioni
orientato al suo inserimento nei contesti d’uso(semiotica di Eco)
Semantica e pragmatica: una distinzione da superare


La distinzione fra semantica e pragmatica affonda le proprie radici nella proposta di Peirce
di distinguere tre ambiti o branche della semiotica: la grammatica formale o
speculativa(sintassi), la logica(semantica) e la retorica formale o pura. (pragmatica)
La distinzione è poi ripresa da Morris, negli anni 30 e 40 nei termini ancora in uso, di una
sintassi(o sintattica), semantica o pragmatica. Secondo le loro caratterizzazioni:
A) sintassi: dello studio delle relazioni formali tra i segni,
B) semantica: relazioni tra i segni e gli oggetti cui sono applicabili
C) Pragmatica: relazione tra i segni e i loro interpreti o utenti.
 Un contributo particolare nella definizione di pragmatica è stato dato da Wittgenstein,
con la sua teoria del significato come uso e da Austin e Searle, con la teoria degli atti
linguistici. Prima di Austin, si consideravano appartenenti al dominio della pragmatica
tutti i fenomeni, linguistici e non, in cui si manifestasse un riferimento alle condizioni
d’uso dei segni o si esprimesse l’atteggiamento del produttore dei segni o del ricevente.
Con Austin la pragmatica tende a concentrarsi sui fenomeni linguistici in particolare sul
parlare come atto attraverso cui un locutore, agisce nel mondo e sui propri
interlocutori.
La pragmatica linguistica

La pragmatica del linguaggio si occupa della lingua in situazione, ovvero come una lingua
sia effettivamente usata dai parlanti per comunicare contenuti che vanno oltre ciò che, dal
punto di vista delle convenzioni linguistiche, le espressioni linguistiche usate dicono.
 Si occupa del significato inteso dal parlante a differenza della semantica, che si occupa
del significato convenzionale associato a determinate espressioni
I fenomeni linguistici di cui la pragmatica si occupa sono:
a) Deissi e riferimento
b) Presupposizione
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c) Implicature
d) Atti linguistici
A) La deissi è intesa come il riferimento da parte di elementi di un sintagma a componenti
della situazione in cui è enunciato. Si distinguono:
- Deissi personale, realizzata attraverso pronomi personali di prima, seconda e terza
persona
- Spaziale, utilizza pronomi e aggettivi dimostrativi, avverbi di luogo
- Temporale, si fonda sull’uso di avverbi temporali e sintagmi nominali(come questa
settimana, il mese scorso..)
- Sociale, regola l’uso dei pronomi personali nelle forme di cortesia e dipende dalla
posizione sociale degli interlocutori(dare del tuo o del lei..)
- Discorsiva, riferimento interno ad un testo a elementi già incontrati(anafora) o ancora
da incontrare(catafora)
Il riferimento come capacità di designare oggetti del mondo attraverso espressioni
linguistiche. E’ un atto linguistico connesso al tema delle presupposizioni
B) La presupposizione sembra essere un termine ombrello che copre una quantità di
fenomeni semiotici disparati. In generale, indica le inferenze o assunzioni che alcune
strutture linguistiche permettono di operare, quando occorrono in una frase o in un testo.
Rappresentano ciò che una frase o un testo danno per scontato o come già conosciuto.
Nelle frasi in cui occorrono questi attivatori presupposizionali, ciò che si dice da ciò che si
presuppone, attraverso il cosiddetto test di costanza sotto negazione: negando la frase nel
suo complesso, si nega ciò che si dice, ma non ciò che si presuppone.
- Descrizioni definite: implicano l’esistenza di qualcuno (es: lo scopritore dell’America. Se
si nega che lo scopritore dell’America morì povero, non si nega la sua esistenza)
- I verbi di giudizio, come criticare o accusare (es: Giovanni ha accusato Maria di essere
ricca, negandola rimane che Giovanni ritiene essere ricchi come una cosa negativa)
- I verbi di cambiamento di stato, come smettere, cominciare, interrompere,
riprendere…(es: Giovanni ha smesso di bere)
- I verbi fattivi come sapere ignorare dispiacersi, che presuppongono la verità della
subordinata oggettiva che reggono
- Alcuni avverbi e verbi iterativi, come tornare, ritornare, ancora nuovamente…
- Le preposizioni subordinate temporali
- I condizionali controfattuali, come Se Giovanni avesse sposato Maria, la sua vita
sarebbe stata più felice. Negando la principale rimane vero che Giovanni non ha
sposato Maria.
 Proprio per il fatto che la negazione in cui è presente una presupposizione non la
cancella, opporsi ad una presupposizione richiede generalmente un asserto con valore
metalinguistico
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C) Le implicature: sono inferenze che si possono trarre da ciò che si dice esplicitamente, ma
sono distinte dalle presupposizioni
- Convenzionali dipendono dalla codifica della linguistica e dall’uso di determinate parole
in contesti determinati. Non cancellabilità.
- Conversazionali
Grice sostiene che per comprendere il messaggio del parlante è necessario conoscere
anche l’identità del parlante, il momento dell’enunciazione e il significato della parola
in quel contesto di enunciazione.
ES: il caffè a quest’ora non mi farebbe dormire(in risposta a un’offerta) -> non voglio il
caffè
D) Gli atti linguistici sono azioni che si compiono attraverso l’uso di una lingua e che, in base
allo scopo per cui sono realizzati, sono stati distinti in diversi tipi:
- Rappresentativi: i parlanti esprimono le proprie credenze circa il mondo e si impegnano
di conseguenza alla verità di ciò che dicono. Sono espressi da verbi come
dire,affermare, negare, asserire, descrivere, ipotizzare, giurare…
- Dichiarativi: i parlanti intervengono su come è fatto il mondo, modificandolo attraverso
il proferimento di determinate frasi. Es: prima persona di battezzare, licenziarsi, dare le
dimissioni, nominare…
- Espressivi: esprimono sentimenti e stati psicologici: congratularsi, dolersi, salutare,
scusarsi…
- Direttivi: i parlanti cercano di far fare qualcosa ai propri interlocutori. Verbi come
ordinare, richiedere, vietare, costringere, persuadere…
- Commissivi: il parlante si impegna a fare qualcosa in futuro, come promettere,
scommettere, acconsentire…
La teoria degli atti linguistici distingue diversi livelli di realizzazione di un atto:
1livello o atto locutorio: il parlante proferisce una sequenza di suoni, che rispetta le regole
di una lingua dal punto di vista fonologico, morfologico e sintattico. E’ la premessa
essenziale per la realizzazione di un atto linguistico complessivo.
2livello o atto illocutorio: al contenuto dell’enunciato proferito si aggiunge la forza che
caratterizza ciascuno dei tipi di atti elencati sopra
3livello o atto perlocutorio: riguarda gli effetti intenzionalmente ottenuti o meno, dei
precedenti atti sull’interlocutore.
 La teoria degli atti linguistici si è concentrata prevalentemente sugli atti illocutori,
definendo le loro condizioni di felicità: si possono definire le condizioni che un atto
linguistico deve soddisfare per poter essere considerato un atto di un certo tipo.
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Se per esempio un soldato semplice nel rivolgersi a un suo superiore gli impartisce un
ordine, avremo un atto linguistico infelice.
Austin e Searle hanno definito 3 condizioni di felicità di un atto linguistico:
A1) Regole e procedure convenzionali, se vengono proferite determinate parole, frasi o
formule: si tratta della condizione essenziale per la felicità di un atto linguistico.
Per esempio non basta dire ‘ si voglio sposarti’ perché ci sono delle procedure da seguire
per far si che ciò sia possibile
A2) La procedura deve essere eseguita nelle circostanze appropriate – condizione
preparatoria.
Es: pronunciare il corretto discorso di matrimonio davanti a un barista non realizzerebbe
l’atto linguistico così come il matrimonio.
B1) la procedura deve essere eseguita correttamente e
B2) completamente: queste sono le condizioni linguistico proposizionali
C ) chi si rifà a tali procedure, deve avere i sentimenti e le intenzioni richieste. Si impegna a
credere in ciò che dice. Condizione di sincerità
 La stessa frase o asserzione può realizzare diversi atti linguistici
Significato e inferenze

Oltre al significato convenzionale, i fenomeni detti pragmatici contribuiscono con un
surplus implicito, che è di per sé difficile da mettere a fuoco e rimane spesso a un livello di
bassa consapevolezza
Tutto ciò che è implicito in una frase o in un testo, che dipenda dalle deissi, dalla
presupposizione o da implicature, può essere reso esplicito grazie a uno sforzo
interpretativo che consiste in un lavoro inferenziale, il quale non può essere ricompreso
nella implicazione logica, che ha a che fare con ciò che è esplicitamente detto
 L’implicazione logica è sempre una deduzione che segue due possibili forme, a seconda
che si tratti di un esempio di
a) calcolo proposizionale: l’inferenza è costituita da tre proposizioni ed è sempre
valida perché è un applicazione della regola logica che ha la seguente forma:
es: Se paolo è indeciso allora non comprerà nulla; paolo è indeciso; paolo non
comprerà nulla.
b) calcolo dei predicati: l’inferenza può assumere la forma del sillogismo, ossia di un’
argomentazione fondata su due premesse(maggiore e minore)e tre termini che
stanno in una relazione predicativa.
Tutti i B sono A
Tutti i C sono B
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





Quindi Tutti i C sono A (sillogismo di prima figura)
Es: Tutti gli animali sono mortali; tutti gli uomini sono animali; tutti gli uomini sono
mortali
 spesso le inferenze rientrano nella forma condizionale, che corrisponde a una forma
abbreviata del sillogismo: ‘se…allora…” es: se Piero russa, allora dorme.
In ogni caso le inferenze si appoggiano sulle componenti semantiche delle parole che
costituiscono il focus delle premesse e le rendono esplicite. In modo analogo si possono
percepire anche i rapporti tra le parole e scene o frames da esse attivati.
Es: se un passante legge l’insegna ‘vendo tutto’,attiverà il frames di un azione commerciale.
Le inferenze servono a esplicitare ciò che è detto attraverso determinate frasi e ciò che non
è detto, rimane implicito.
L’attività inferenziale richiesta ai partecipanti a una conversazione fa parte della
rappresentazione del significato: si tratta cioè di una descrizione semantico – pragmatica
che ha un formato enciclopedico e non didascalico.
Dal punto di vista semiotico, sintassi semantica e pragmatica non sono tre discipline
distinte, ma piuttosto tre distinti punti di vista o dimensioni da cui studiare i medesimi
fenomeni.
Il formato della rappresentazione semantica di un segno, per Eco, è in primo luogo il
carattere enciclopedico, nel senso che non si limita ad includere tra le componenti
semantiche tratti solamente linguistici, ma tiene conto anche dei semi che sono legati
all’uso del segno in determinate classi di contesti verbali e di circostanze extraverbali.
 Le marche sintattiche includono le categorie grammaticali per i segni linguistici e i
caratteri formali(detti anche plastici) dei segni iconici.
 Le marche denotative rimangono invariate in ogni possibile contesto o circostanza del
semema. Nell’analizzare verbi(o azioni) corrispondono agli elementi o ruoli previsti nel
frame di default o al frame attivato
 Le marche connotative dipendono da contesto e circostanze
Così il rapporto fra segno, contesti o circostanze da un lato e significato dall’altro, può
essere intesto come un’inferenza o un’istruzione del tipo:
ogni volta che trovi un significante X in un contesto a, seleziona le marche semantiche d3e
d4, e se occorre nella circostanza a attiva anche la connotazione c3
(vedi schema di organizzazione del semema):
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(semema= unità di contenuto o culturale)
 L’ipotesi che muove Eco è che le marche semantiche, denotative o connotative, così come
contesti o circostanze di enunciazione, non siano altro che interpretanti del segno da
analizzare
 Il significato allora non sarebbe altro che un pacchetto di istruzione per l’inserimento e l’uso
dei segni in diversi classi di co-testi e circostanze di produzione, forniti dall’Enciclopedia
assieme ai frames e sceneggiature.
 L’enciclopedia Globale è una rappresentazione complessiva dell’organizzazione culturale
umana, che ha una dimensione diacronica(contiene in sé anche le culture che ci hanno
preceduto) e sincronica(quella presente o del periodo di produzione del testo considerato).
 La complessità di questa rappresentazione è tale da farne un uso regolativo, più che un
obiettivo umanamente raggiungibile: non è possibile descrivere tutte le interpretazioni
possibili
 Così l’enciclopedia globale rimane solo un postulato: un’ipotesi regolativa sullo sfondo
della quale in occasione delle interpretazioni di un testo l’interprete utilizza
 Violi distingue l’enciclopedia globale dall’Enciclopedia come sapere medio, come
enciclopedia locale, o sapere intersoggettivo, la quale costituisce un sotto universo
relativamente coerente e limitato. Inoltre distingue la competenza enciclopedica, ossia
la competenza media che un individuo deve possedere per appartenere a una data
cultura dalla competenza semantico-linguistica. Queste nozioni permettono di sapere
qual è il tipo di sapere richiesto per la comprensione del testo.
 Partendo da questa concezione molto ampia di organizzazione dei contenuti, la semiotica
elabora una teoria della testualità, che definisce solo le caratteristiche dei testi verbali ma
anche quelle del testo in generale.
[capitolo 8 – testi verbali e altri testi]
 Per Hjelmslev la nozione di testo coincide con quella di processo, come fatto linguistico
prodotto sulla base di un sistema che è da esso necessariamente presupposto
Le condizioni della testualità: i testi verbali
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
Beaugrande e Dressler individuano i principi costitutivi della testualità, ovvero le condizioni
che una produzione linguistica deve soddisfare per essere considerata un testo. Queste
sono:
a) Coesione
b) Coerenza
c) Informatività
d) Intenzionalità
e) Situazionalità
f) Intertestualità
 Queste condizioni hanno a che fare, in primo luogo, con ciò che si presenta ai sensi,
ossia con la cosiddetta superficie di manifestazione e con le relazioni semantiche tra i
sui elementi costitutivi(a,b,c). In secondo luogo, con il ruolo che il suo produttore e il
suo ricevente giocano(d), e ancora con il rapporto tra il testo e la situazione
comunicativa in cui esso si colloca(e); infine con le relazioni che esso intrattiene con
altri testi(f).
 Queste condizioni si influenzano a vicenda
a) Coesione: è una caratteristica legata alla grammatica e alla sintassi di una lingua, e produce
il senso di unità del prodotto linguistico o compattezza della superficie del testo.
 Può essere raggiunta con diversi strumenti, quali la ricorrenza anche parziale(ossia la
ripetizione di una stessa parola o sintagma, o di una parola morfologicamente connessa
o parte del sintagma, in luoghi diversi della stessa catena linguistica), il ricorso a proforme(come i pronomi), il ricorso ad ellissi(omissione), l’accordo di genere o numero,
l’uso di congiunzioni coordinative o subordinative e, per le espressioni orali,
l’intonazione.
b) La coerenza: è una caratteristica di tipo semantico e contribuisce a conferire continuità di
senso al testo.
 A quest’effetto convergono sia le connessioni sintattico-grammaticali(tra cui le
ricorrenze, che si possono presentare anche come sinonimia, quasi sinonimia e
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perifrasi) che danno compattezza al testo, sia con, in maniere diverse, le relazioni
semantiche
 La ripetizione di una parola o di una sua componente semantica costituisce l’isotopia,
ovvero la ridondanza di semi, o categorie semantiche, all’interno di una stessa
sequenza testuale, che rendono possibile la lettura uniforme di una storia.
L’idea di fondo è che un testo sia costituito da aree o spazi semantici equivalenti e
interconnessi. Quest’uguaglianza di spazio si concretizza nel ricorrere degli stessi semi o
componenti semantiche lungo un testo.
 Legami di consequenzialità
 La coerenza non è un valore assoluto, che si può attribuire al testo a priori, senza
conoscerne la situazione d’uso: ciò che lo rende spesso oltre che informativo,
accettabile perché pronunciato con una precisa intonazione
c) L’informatività: ha a che vedere con il tasso di novità che un testo presenta per chi lo
riceve.
 Un testo solitamente non si limita a ripetere ciò che è già noto o già stato detto, ma
introduce gradualmente una quantità di nuove informazioni. Se il tasso di novità è
eccesivo il testo risulta incomprensibile; se è troppo basso diventa ripetitivo e noioso.
 Non è un valore assoluto, perché dipende dal ricevente. In definitiva, possiamo dire che
dipende sia da una valutazione oggettiva(l’improbabilità dell’evento di cui si tratta), sia
del sistema di aspettative del destinatario, di cui occorre tenere conto
d) Intenzionalità e accettabilità: sono condizioni incentrate sugli utenti. L’intenzionalità
prevede che un testo, per essere tale, debba essere prodotto perché voluto da un locutore
o da chi scrive. Inoltre, come dice Grice, deve essere riconoscibile da parte
dell’interlocutore(gli atti linguistici o comunicativi, possono essere analizzati come
programma d’azione o programmi narrativi, sorretti da una precisa intenzionalità che ne
definisce obiettivi e risultati attesi). L’accettabilità invece dipende da una serie di fattori
contestuali, come le relazioni tra i partecipanti dello scambio comunicativo, il
riconoscimento da parte di entrambi degli scopi dello scambio e la valutazione reciproca.
Queste relazioni sono sintetizzate nel principio di cooperazione di Grice, che si articola su 4
massime:
“il tuo contributo alla conversazione sia tale quale è richiesto, allo stadio in cui avviene,
dallo scopo o orientamento accettato dallo scambio linguistico in cui sei impegnato”
1) Massima della quantità: riguardano le quantità di informazioni da fornire in uno
scambio. Né eccessiva né misera
2) Massima della qualità: il contributo deve essere il più veritiero possibile
3) Massima della relazione: bisogna essere pertinenti. Il contenuto deve essere rilevante
per ciò che è trattato nello scambio comunicativo.
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4) Le massime del modo: non riguardano il contenuto ma il modo in cui lo si esprime. Non
bisogna essere ambigui, bisogna essere brevi e ordinati etc… insomma principi che
rendono la comunicazione più agevole e efficace.
 Questi principi non sono regole prescrittive, piuttosto una descrizione del
comportamento ideale di un partecipante allo scambio comunicativo.
 L’accettabilità di una produzione linguistica come testo è frutto di un accordo tra
parlanti, di una negoziazione implicita che ha luogo nel corso dello scambio
comunicativo o che entra nel contratto di lettura di un testo(come vedremo).
e) La situazionalità: mette a fuoco l’eventuale dipendenza di un testo dalla situazione di
proferimento, di produzione o di collocazione Infatti il senso di un testo può dipendere in
maniera essenziale dal co-testo e dalle circostanze e lo stesso enunciato può assumere
sensi molto diversi a seconda della situazione in cui viene emesso.
 I testi verbali non sono mai disgiunti da un contesto e fanno generalmente parte di
strategie comunicative più o meno complesse e più o meno felicemente realizzate
f) L’intertestualità: consiste nel rimando, esplicito o implicito, ad altri testi. La forma più
evidente è quella della citazione esplicita, ma possono esserci anche riscritture e parodie.
Può anche succedere che riprenda sono situazioni generali e in questo caso si tratta di
sceneggiature. Nel caso la sceneggiatura appartenga a una stesso genere testuale
condiviso, si tratta di sceneggiature intertestuali.
 Le condizioni della testualità possono essere applicate senza grossi problemi anche ad altri
tipi di semiosi, come quella che articola sul piano dell’espressione il campo del visibile.
Il testo visibile: figurativo o plastico
 In semiotica si è soliti distinguere un primo livello di lettura delle immagini, indicato come
figurativo da un ulteriore livello detto plastico, in cui gli elementi risultano differenti da
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quelli individuati al livello precedente, diversamente organizzati e possono dar luogo a
significazioni ulteriori.
 A livello figurativo l’operazione più importante è il riconoscimento degli oggetti, a livello
plastico è piuttosto l’esame di tre ordini di fenomeni: il colore, le forme e la loro
disposizione nello spazio.
Figure nel mondo e categorizzazione
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La categorizzazione ci permette di organizzare l’esperienza in diversi livelli: dal flusso
indifferenziato delle onde di luce all’individuazione di forme su uno sfondo, alla loro
organizzazione in almeno tre livelli: uno di base(quello a cui si fa più frequentemente
ricorso), un livello sovraordinato e uno subordinato.
 Questa rete di categorie ci permette di dare stabilità al flusso in continuo divenire
dell’esperienza e di dare senso all’esperienza stessa , quindi anche alle immagini.
La prima operazione che facciamo di fronte a un quadro, non sempre consapevolmente, è il
riconoscimento degli oggetti ed entità dell’esperienza.
 Il riconoscimento di oggetti e eventi costituisce per Panofsy l’area del significato
fattuale, ed è il primo livello di analisi non solo di un’opera d’arte ma anche
dell’esperienza in generale.
Segue l’identificazione di altri dettagli significativi(per esempio il modo di cui viene fatto un
saluto) che costituisce il significato espressivo, in quanto legato a sfumature psicologiche
veicolate dalla gestualità e dal comportamento, apprese dal bagaglio di esperienza
Il significato intrinseco invece è costituito dal comportamento dell’individuo e da una serie
di comportamenti abituali, discorsi e si trova al di sopra della sfera della volontà
consapevole.
 Trasferendo queste modalità di apprensione e comprensione del mondo alla sfera
dell’interpretazione dell’opera d’arte, Panofsky identifica 3 analoghi livelli di soggetti o
significati:
a) I significati primari o naturali: distinti in fattuali o espressivi, che consistono
nell’identificare le forme costituite da configurazioni di colori e linee, di materiali e
sono immediatamente riconoscibili
b) I significati secondari o convenzionali: i motivi identificati precedentemente sono
collegati a temi e concetti specifici(chiamati storie e allegorie) oggetto
dell’iconografia.
Esempio: Figura femminile con una mela in mano = veracità
c) Il significato intrinseco o contenuto: si coglie facendo emergere quei principi che
rivelano l’attitudine di una nazione, di un periodo, di una classe, di una credenza e
sono l’oggetto dell’iconologia.
 Il primo livello di identificazione dei significati primari o naturali, coincide con la
categorizzazione, come operazione cognitiva che porta al riconoscimento di oggetti ed
eventi, alla loro organizzazione in classi e alla loro nominazione. La semiotica delle arti a
questo proposito ha parlato di linguaggio figurativo come griglia di lettura umana del
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mondo che permette di interpretare il mondo come insieme di figure che sono riconosciute
come oggetti o processi.
La differenza tra categorizzazione dell’esperienza umana e la nozione di linguaggio
figurativo è che nel secondo caso il riconoscimento di oggetti o processi di un dipinto
equivale al riconoscimento di un piano dell’espressione strettamente solidale con un piano
del contenuto, le cui forme sono prodotti culturali e non naturali. Si tratta appunto di una
griglia di lettura del mondo che, come la categorizzazione, ci permette di identificare
figure con oggetti o processi, di classificarle, di connetterle e di rendere così significante il
mondo.
Così definita, la griglia di lettura figurativa mette in evidenza la sua natura di produzione di
senso e va a costituire un campo di indagine autonomo, nettamente distinto dall’esame
delle caratteristiche plastiche dei testi visivi stessi
Colori, forme e disposizione nello spazio
Ogni forma o figura si presenta in primo luogo come configurazione di colori e linee.
Proprio questi, secondo Greimas, costituiscono i cosiddetti formati figurativi ovvero le
unità discrete che formano gli oggetti o eventi riconoscibili nelle figure della
rappresentazione
 Greimas suggerisce che il piano del dipinto possa essere suddiviso in quadranti di taglia
inferiore al dipinto stesso. Le categorie topologiche così individuate sono di tipo
rettilineo(alto/basso; destra/sinistra) o di tipo curvilineo(periferico/centrale;
circoscrivente/circoscritto) e articolano lo spazio planare tracciando assi e delimitando aree
ovvero segmentando il continuum del piano in parti discrete e facendo emergere
l’orientamento di eventuali percorsi di lettura.
 Anche qui le opposizioni giocano un ruolo principale (es alto/basso = sacro/profano)
 Greimas individua altri tipi di categorie plastiche, da cui la distinzione tra
a) Categorie cromatiche(colori). Hanno un carattere primitivo(costituente) e una funzione
individuante, nel senso che riempiono l’area in cui si trovano e le danno identità e
integrità.
La categorizzazione dei colori, per l’apparato cognitivo umano, è universale e omogenea
e non dipende dalle differenze culturali. Sono i nomi dei colori a dipendere da un
interfaccia di fattori, biologico-percettivi e linguistico-culturali
I radicali cromatici sono in numero limitato e superano le barriere culturali, si tratta
delle 4 categorie di base: blu, verde, giallo, rosso(oltre ai due non colori, bianco e nero).
Tutti i colori possono essere descritti come combinazioni dei quattro soli primitivi
cromatici
I primitivi cromatici si oppongono a coppie
b) Categorie eidetiche(forme). Hanno un carattere derivato(costituito) e una funzione
discriminante. Vi si trovano le caratteristiche tipiche di determinate figure
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geometriche(circolari, triangolari, quadrangolari, ellittiche…) o quelle tipiche di
determinate linee (curve, rette, spezzate, continue) o contorni (netti, frastagliati,
sfumati…)
Una nozione di testo allargata
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Un testo è un processo di manifestazione che presuppone un linguaggio biplanare e un
sistema come condizioni di possibilità.
 Secondo Agostino di Ippona si potrebbero definire vari tipi di testo a partire dai canali
sensoriali o dalle rispettive sostanze espressive ma ciò risulterebbe molto ambiguo.
Per quanto riguardano i limiti fisici di un testo, sappiamo che ha una prima pagina, un
incipit, un’ultima pagina, un explicit che chiude il testo, ma come dobbiamo considerare
titolo, la copertina? Dipende.
 I limiti fisici di un libro non corrispondono ai limiti fisici del testo che esso contiene.
Il primo requisito di un testo è che sia un processo, manifestazione espressiva di un
linguaggio(o sistema) biplanare, il secondo requisito è quello della chiusura, che si può
manifestare in modi diversi.
 La chiusura non va intesa come un fatto o un dato naturale e positivo(ontologico) su cui
non è possibile intervenire, ma è frutto di un processo di negoziazione
I confini di un testo sono frutto di una negoziazione, esplicita o implicita, tra chi li produce e
chi ne fruisce.
Inoltre, una nozione di testo allargata prevede una stratificazione. Un testo lascia impliciti
molti elementi. Questi elementi impliciti possono e a volte devono, essere esplicitati dal
destinatario attraverso quelle attività che Fillmore chiama invocazione ed evocazione o
comunque attraverso una certa attività inferenziale.
 La semiotica ha individuato altre strutture implicite nei testi che è compito dell’analista
far emergere, ossia le strutture discorsive(di tipo più superficiale) e quelle narrative(che
includono quelle attanziali e ideologiche). Pertanto, esistono strutture profonde,
latente, immanenti e questo è la prova che un testo è costituito da più livelli.
Una tipologia di testi
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Dal momento che la classificazione di testi a partire dalla sostanza dell’espressione o del
canale di trasmissione è impossibile, conviene tentare quella dei linguaggi(o codici) di cui in
essi si fa prevalentemente uso.
1) Testi verbali: il linguaggio è quello linguistico
2) Testi figurativi: il linguaggio prevalente è distinguibile in via percettiva. (sia tattile che
visibile) tra questi si possono distinguere quelli di maggiore o minore densità figurativa.
3) Testi plastici: il linguaggio plastico distinto rispetto a quello figurativo ha la preminenza
come piano dell’espressione di contenuti autonomi e indipendenti dal figurativo;
godimento estetico. Es: musica.
4) Testi sincretici: i linguaggi eterogenei convergono nel costituire un testo. Es: spot, film,
programmi tv…)
 Quasi tutti i testi presentano aspetti di sincretismo: la presenza di tutti questi aspetti in un
testo scritto mette in discussione la caratteristica della linearità(successione) attribuita da
Saussure al segno linguistico, mettendone in luce gli aspetti plastici i quali fanno emergere
la rilevanza della simultaneità
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[Capitolo 9 – La superficie espressiva del testo e la cooperazione interpretativa]
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Ogni analisi del contenuto di un testo inizia, ovviamente, dalla sua manifestazione espressiva, da
ciò che appare e si manifesta come sostanza(occorrenza) di determinate forme dell’espressione
 Vi è un primo livello di strutture del contenuto, dette discorsive. A questo livello si gioca una
partita fondamentale nelle strategie di comunicazione: quella della relazione tra responsabile
del testo(chiamiamolo emittente) e destinatario.
 Eco inoltre, postula la necessità della cooperazione interpretativa, ossia una relazione tra
persone ideali, istanze astratte contenute nei testi. (paragonabile alla cooperazione di Grice)
Circostanze di enunciazione ed estensioni
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La manifestazione espressiva è il punto di partenza, ma in alcuni casi è anche tutto quello che c’è,
anche se non ci occuperemo di tali testi, ma di testi in cui il piano dell’espressione è connesso, in
maniera più o meno convenzionale, al piano del contenuto.
Eco ha esaminato le varie procedure interpretative richieste da un testo(verbale) affinchè acquisti
senso all’interno di una situazione di comunicazione.
1) La prima procedura richiesta è il suo immediato riferimento alle circostanze della sua
enunciazione o produzione.
 Vi è differenza fra testi parlati e scritti. Nei testi parlati è ovvio che l’enunciato sia riferito a chi
lo ha emesso e al tipo di atto che il parlante ha voluto compiere con esso: l’opzione di default è
il parlante abbia fatto riferimento al mondo dell’esperienza, comune a parlante e ascoltatore.
Nel caso di un testo scritto, il riferimento alle circostanze di enunciazione ha, in primo luogo, la
funzione di determinare il genere testuale a cui appartiene l’enunciato, quindi di ricostruzione
della localizzazione spaziotemporale originaria del testo, in modo da sapere quale porzione di
enciclopedia attivare per comprenderlo. Inoltre, si assume che esista un’identità fra il mondo a
cui fa riferimento il testo e il mondo della comune esperienza. Eco, in questo caso, parla di
‘’estensioni parentizzate’’, nel senso che l’interprete sospende il giudizio(lo mette fra parentesi)
sul riferimento a entità realmente esistenti o possibili e di conseguenza sulla verità o meno
degli enunciati
2) Nel suo procedere il testo tende a chiarire quale sia il mondo cui fa riferimento, quale sia il
proprio universo di discorso
I passi cooperativi
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Il significato di un testo, abbiamo visto, non è la semplice somma dei significati delle parti, ma può
essere qualcosa di più, qualcosa di meno o comunque diverso, viste le influenze reciproche tra le
parole, frasi, co-testi e circostanze di enunciazione/produzione.
 Ogni parola e ogni segno semplice attiva strutture cognitive più complesse di una definizione di
dizionario, come i frames e le sceneggiature(scripts) e competenze di tipo enciclopedico, che
includono anche i possibili co-testi e circostanze di enunciazione
 Eco esamina i passi cooperativi richiesti da ogni testo, procedendo dalle operazioni più semplici
a quelle più complesse
Ricorso al dizionario di base
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Il ricorso a una certa competenza lessicale, relativa a una lingua determinata, è la prima operazione
richiesta da un testo verbale. Il livello di competenza lessicale è determinato dalla scelta delle
parole e dal modo di combinarle da parte dell’autore
 Abbiamo visto come i vocaboli e i loro sensi possono essere classificati secondo le relative
marche d’uso, che sono definite in relazione al grado d’istruzione del lettore.
 Il genere testuale cui appartengono i testi e il luogo in cui sono pubblicati, determinato il tipo di
vocaboli da usare per i rispettivi lettori. Testi diversi richiedono lettori con competenze diverse.
E’ necessaria l’attivazione di una certa competenza lessicale, che permetta al lettore di
comprendere il senso generale del testo.
 Già a questo livello di comprensione, il lettore deve compiere diverse inferenze, basate anche su
una competenza specifica relativa ai termini e per completare alcune informazioni implicite o alcuni
legami sintattico-semantici tra le frasi

Regole di coreferenza
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I testi verbali presentano diverse espressioni deittiche o anaforiche per le quali è richiesto al lettore
di attivare i riferimenti alle circostanze di enunciazione e di co-testo
Inferenze da sceneggiature comuni e intertestuali:
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Una sceneggiatura(o script) potrebbe essere definita come un frame dinamico, ovvero una
situazione stereotipica in cui occorrono normalmente alcuni elementi o personaggi che fanno o
dicono qualcosa di altamente prevedibile
 Frames e scripts non solo possono essere attivati dagli elementi costitutivi di un testo, ma
possono anche essere modificati dal testo stesso. Quando gli scripts attivati rimangono
immutati, avremo a che fare con sceneggiature comuni, che derivano cioè da un’esperienza
comune (per esempio: fare la spesa al supermercato) oppure con sceneggiature intertestuali,
quando queste vengono prese a prestito da altri testi, dati per acquisiti da parte del lettore.
(per esempio, il duello classico dei film western buono contro cattivo.
Le sceneggiature richiamate dai testi costituiscono l’occasione per quelle che Eco ha chiamato
passeggiate inferenziali, occasioni per realizzare delle fuoriuscite dal testo, che permettono al
lettore di ‘rientrarvi carichi di bottino intertestuale’.
 Es: domande poste dall’autore, come: ‘’cosa avreste fatto voi al posto di Don Abbondio?’’
 Non si tratta di inferenze deduttive, ma di ipotesi(o abduzioni) che il lettore formula e avanza,
uscendo momentaneamente dal testo, che hanno bisogno che la narrazione continui per poter
essere confermate o smentite
 Nei testi figurativi, queste sceneggiature, intese come ipotesi di lettura, permettono di andare
oltre il riconoscimento degli oggetti e delle figure animate, per cogliere gli ulteriori significati
convenzionali(iconografici o iconologici)
Il riconoscimento e l’attivazione di frames o scripts giova un ruolo cruciale nell’attività di
cooperazione interpretativa, come esplicitazione di isotopie o ipotesi di topics presenti nel testo.
Isotopie e Topics
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L’isotopia come ridondanza di semi
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La nozione di isotopia è stata introdotta da Greimas che la definisce come un insieme ridondante di
categorie semantiche (semi o tratti semantici), insieme che rende possibile la lettura uniforme di un
racconto.
 In particolare Greimas si riferisce alla ridondanza di semi contestuali (detti anche classemi)che è
necessaria all’amalgama semantico anche solo di due termini, come ‘il cane abbaia’. In questo
modo è possibile eliminare l’ambiguità lessicale.
 Vi sono dei casi in cui la molteplicità di sensi di una parola o di un espressione viene
intenzionalmente mantenuta. E’ il caso delle crittografie mnemoniche, che sono una delle più
alte forme di enigmistica, che si fonda sul doppio senso delle parole di cui si serve. E’ costituita
da una frase, un segno di uguaglianza, una serie di numeri che indicano la lunghezza delle
parole che formano la soluzione.
Nei testi più lunghi o complessi, le isotopie si presentano come una ricorrenza di uno stesso tratto
semantico, o sema, in più parole o elementi di un testo
 Un isotopia è tanto più estesa e ricorrente quanto più è importante nella semantica di un testo
 Il numero di isotopie per ogni testo è alquanto elevato
 L’isotopia è sempre stata considerata un fenomeno semantico, dal momento che si tratta di un
dato oggettivo, che si può ricavare esaminando i rapporti tra i termini che costituiscono un
testo, o tra i loro comportamenti semantici
Il topic come fenomeno pragmatico
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Il topic è invece un fenomeno pragmatico, che consiste nell’individuare l’argomento o tema
principale di cui tratta un testo e che serve a delimitare o a disciplinare la fuga di interpretanti.
 Eco, per individuare i topic di un testo, suggerisce il seguente metodo: considerare la parte
espressa di un testo come la ‘’risposta a una domanda, inespressa, che costituisce appunto il
topic o tema’’
L’individuazione del topic, prosegue Eco, è materia di ipotesi (in termini di inferenza abduttiva) che
il lettore è chiamato a fare sul testo e che, in alcuni casi, contribuisce a conferire coerenza a un
testo che altrimenti sarebbe privo di senso e fissa i limiti di un testo(che termina appunto quando il
topic è esaurito).
 L’individuazione di un tema a volte è esplicita(come nel caso di un titolo che indica
l’argomento trattato) altre volte è implicita e il topic deve essere trovato, facendo leva su
parole(o figure) chiave distribuite lungo il testo
 ‘’il topic è un’ipotesi che dipende dall’iniziativa del lettore’’
Tipi di isotopia(e topic)

Ci sono casi in cui topic e isotopia sembrano coincidere. Poiché si fonda su quella, discutibile e
sempre più discussa, tra semantica e pragmatica, la distinzione tra isotopia e topic potrebbe
probabilmente essere trascurata per riportare tutto sotto il termine ombrello di isotopia: in fondo,
in entrambi i casi si tratta del risultato di un lavoro inferenziale metatestuale(consapevole o
inconsapevole) richiesto dal testo al lettore per attualizzare i contenuti di un testo o per rendere
conto del suo funzionamento.
 Quando si passa ad analisi di unità testuali di taglia maggiore, la distinzione si fa sempre meno
rilevante, come nel caso dei testi ingannevoli e a doppia lettura: il topic viene suggerito dal
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titolo e induce il lettore a una certa interpretazione, per poi smentirla alla fine. La conclusione
costringe il lettore a rileggere il testo, sostituendo alla prima ipotesi di topic quella che
dovrebbe essere chiamata la vera isotopia del testo, visto che dipende esclusivamente da ciò
che è espresso dal testo e non deriva dall’interazione tra titolo(in caso una foto) e parole
chiave. In realtà, includendo il titolo e l’eventuale foto nel testo, possiamo parlare di due
isotopie antagoniste, che permangono in equilibrio nel testo finchè la conclusione non decreta
la caduta di una delle due. In questi casi, le due isotopie sono compresenti ma alternative,
attivarne una esclude automaticamente l’altra.
 Nel caso delle crittografie mnemoniche, vi sono due isotopie mutuamente esclusive che Eco
classifica come isotopie frastiche a disgiunzione paradigmatica: frastiche perché di taglia
superiore alle parole, a disgiunzione paradigmatica perché dipendono dall’ambiguità di singole
espressioni lessicali
 Le isotopie multiple, sempre mutuamente esclusive, sono quelle di tipo sintagmatico
classificate come isotopie frastiche a disgiunzione sintagmatica, esemplificate nelle frasi come:
la vecchia porta la sbarra o essi fanno volare gli aerei)
 Eco rileva altri tipi di isotopie multiple alternative, ma non esclusive, come quelle della
stratificazione allegorico mistica(o simbolica) dei sensi
 Normalmente i testi presentano una pluralità di isotopie, interconnesse o gerarchizzate a costituire
l’ordito di un testo, ciò che lo rende appunto un testo ben tessuto
Interconnessione isotopica: analisi
1) Prima operazione di mappatura delle isotopie di un testo da analizzare, che può servire come punto
di partenza per successive elaborazioni. Se una stessa parola è rilevante per più isotopie, prende il
nome di connettore isotopico, nel senso che rappresenta il punto di interconnessione tra diverse
isotopie, non gerarchicamente organizzate.
2) Individuare gli eventuali rapporti gerarchici o di opposizione(paradigmatici) tra semi o isotopie(semi
ricorrenti).
 Bisogna porsi la domanda: ci sono semi(isotopie) così generali da includerne altri al proprio
interno?
Alcuni semi ne implicano altri, vuoi per rapporti gerarchici, vuoi per rapporti di compresenza in
uno schema, vuoi per rapporti di opposizione o di presupposizione
 Possiamo anche cercare d valutare l’importanza relativa delle varie isotopie e la loro
connessione eventuale con la rispettiva estensione. Alcuni semi infatti, presentano indici di
ridondanza(o gradi di estensione) particolarmente elevati come tempo, animale, umano… una
maggiore estensione però non necessariamente corrisponde a una maggiore rilevanza per il
testo.
3) Individuazione del centro topico o tematico del testo
 Le relazioni paradigmatiche tra contenuti sono riconducibili fondamentalmente alle relazioni
gerarchiche e quelle di opposizione. Greimas li propone come principi di articolazione generale
delle categorie semantiche, visualizzabile attraverso il dispositivo grafico del quadrato
semiotico. Ogni categoria semantica articola i propri semi(gerarchicamente subordinati)
all’interno di un campo di opposizioni binarie multiple. L’opposizione fondamentale è quella di
contrarietà che oppone due semi (s1 e s2) su un asse semantico.
Può accadere che parole normalmente non contrarie, possano diventarlo grazie ai testi che ne
mettono in scena il contrasto narrativo. Il dispositivo grafico del quadrato permette di
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visualizzare il raddoppiamento dell’opposizione, che avviene con la negazione dei due semi(-s1
e –s2). I semi opposti per negazione si dicono contraddittori (s1 e –s1; s2 e –s2) mentre i due
semi negati si dicono subcontrari. Il quadrato semiotico può essere utilizzato sia per mostrare
l’articolazione semantica di fondo di un testo ma può servire anche per elaborare tassonomie,
sul modello delle matrici.
Schema generale del quadrato semiotico:
L’analisi di un annuncio stampa
Analisi di livello plastico: porta a individuare gli elementi dell’annuncio e il centro attorno al quale ruota
l’organizzazione topologica del testo visibile(l’area del packshot) che è anche il centro topico del testo
verbale)
A partire dal solo testo visibile, ragionando sia sul livello plastico che su quello figurativo, si può rilevare il
significato e l’intenzione comunicativa.
Tra le isotopie si distinguono quelle più astratte, dette anche tematiche e quelle più concrete, dette
figurative
[Capitolo 10 – cooperazione interpretativa e strategie enunciative]
La pigrizia del testo
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I testi lasciano spazio a chi legge o interpreta per fare connessioni, per completare con la propria
attività di cooperazione la significazione del testo
 Gli spot pubblicitari in particolare, per via della loro brevità, richiedono allo spettatore un alto
grado di cooperazione
Tutti i testi presentano qualcosa di implicito e richiedono la collaborazione del lettore per la sua
esplicitazione
Eco definisce il testo ‘’intessuto di spazi bianchi da riempire, che sono lasciati vuoti sia perché un
testo è un meccanismo pigro(o economico) che vive sul plusvalore di senso introdottovi dal
destinatario, sia perché il testo vuole lasciare al lettore l’iniziativa interpretativa’’
Il grado di cooperazione richiesto dai diversi testi è variabile: quelli a vocazione estetica(artistici o di
funzione poetica)richiedono il massimo della cooperazione, quelli informativi il minimo.
L’enunciazione

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Ogni testo reca in sé tracce di chi lo ha materialmente prodotto.
 Nel caso di una frase pronunciata, il pronome di prima persona si riferisce a chi materialmente
produce l’enunciato e che si trova presente all’atto di enunciazione. Nel caso invece in cui
qualcuno stia riportando quello che qualcun altro ha detto, l’io della citazione non coincide più
con l’io responsabile dell’enunciazione e potrebbe anche essere un’entità fittizia.
L’io, il qui e l’ora enunciati nel testo non necessariamente coincidono con l’autore, materiale o
empirico, dell’enunciato e con le circostanze in cui lo ha prodotto. Il più delle volte sono il frutto di
una scelta da parte di un enunciatore e sono strategicamente orientati ad un destinatario detto
enununciatario, i cui caratteri sono iscritti nel testo.
Enunciazione e indicali: debrayage(ed embrayge)
Un testo di qualsiasi tipo presuppone un enunciatore o soggetto dell’enunciazione, un’istanza
responsabile della manifestazione del suo contenuto. Questo enunciatore non sempre coincide con
l’autore empirico del testo, in quanto persona concreta
 Ciò che abbiamo nei testi sono dei simulacri, immagini
 Nel caso di racconti si tratterà di personaggi(detti anche attori) che hanno determinate
caratteristiche fisiche descritte nel testo, che svolgono determinate azioni, hanno obiettivi
propri e possono subire cambiamenti
 Stesso discorso può essere fatto per i luoghi in cui questi personaggi si trovano ad agire e
interagire. Posto che l’enunciatore, come istanza presupposta dal testo, sia spazio-temporalmente
determinato, il suo ipotetico spazio(il suo qui) non coincide con lo spazio enunciato nel testo(che
sarà quindi per l’enunciatore un non-qui)
 Eco: ‘’i mondi della finzione sono parassiti del mondo reale, ma mettono tra parentesi la
massima parte delle cose che sappiamo su di esso, e ci permettono di concentrarci su un
mondo finito, conchiuso, e molto simile al nostro, ma più povero”.
 Servono ad ancorare le vicende ad un ambiente che si può in parte descrivere e, in parte, dare
per scontato
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
Anche il tempo è soggetto alla stessa situazione. L’inizio di qualsiasi racconto(anche le fiabe)
colloca le vicende da narrare in un tempo che non è quello dell’enunciatore(è per lui un non-ora)
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 Può trattarsi di un passato indefinito, come nelle fiabe, oppure un passato cronologicamente
determinato, o un futuro ipotetico, o ancora un presente alternativo al nostro, oppure passare
da un tempo all’altro senza preavviso.
 In questi casi, dicono Greimas e Courtès, si realizza l’operazione che sta alla base di ogni atto di
linguaggio e di ogni manifestazione espressiva, ovvero il debrayge: la proiezione al di fuori
dell’istanza di enunciazione degli elementi fondatori di qualsiasi discorso. Può essere di tre tipi:
1) Debrayge attanziale(o attoriale) che consiste nella disgiunzione del soggetto
dell’enunciazione e nella proiezione dell’enunciato di un ‘non-io’
2) Debrayge temporale che consiste nella postulazione di un ‘non-ora’ distinto dal tempo di
enunciazione
3) Debrayge spaziale, che oppone al luogo dell’enunciazione un’non-qui’
 L’operazione inversa, quella cioè di ritorno all’istanza dell’enunciazione, è detta embrayage
Per esempio, le parole ‘the end’ alla fine di un testo seguite dai titoli di coda sono un
embrayage come, al termine delle fiabe, l’autore che riprende la parola per un commento
Spazio enunciato e spazio dell’enunciazione
Il luogo, lo spazio enunciato che non ha nulla a che vedere con lo spazio dell’enunciazione è una
rappresentazione figurativa(concreta) dello spazio in cui si svolge la vicenda narrata
Es: selva oscura di Dante, che non ha nulla a che vedere con lo spazio dell’enunciazione sia
dell’autore empirico, Dante, sia di quello del soggetto dell’enunciazione
 Un altro spazio di cui tenere conto è lo spazio in senso topologico, ossia lo spazio della pagina,
articolato cioè a livello plastico, che si distingue a sua volta sia dallo spazio dell’enunciazione sia
dallo spazio enunciato
 Serve, per esempio, a distinguere tra prosa e poesia, ne può facilitare la lettura(…)
 Nella pittura possiamo distinguere tra ben tre tipi di spazialità
1) Spazio rappresentato, che Calabrese suddivide a sua volta in:
a) Spazialità prospettica di sfondo aldilà del quadro
b) Spazialità in aggetto aldiqua del quadro
2) Spazialità della superficie geometrica(lo spazio in senso topologico)
3) Spazio della superficie materica(spessore del quadro)

Tempo enunciato e tempo dell’enunciazione
Analogamente allo spazio, anche il tempo può essere distinto in vari modi
 L’inizio di un testo verbale presenta spesso una collocazione spazio-temporale del contenuto,
sia che si tratti un racconto che di un giornale o di una lettera. Nell’articolo e nella lettera,
l’apparato peritestuale si occupa di collocare ciò che si esprime in un tempo definito. In un
racconto, il tempo è espresso dalle forme verbali utilizzate
 Il tempo del verbo, nei testi scritti, specifica la distanza tra l’istanza dell’enunciazione, il presente
dell’enunciazione, e le azioni narrate
 I verbi al passato ci indicano la distanza tra il momento della narrazione e quello delle vicende;
il tempo al presente è quello della presa diretta.
 La successione delle frasi corrisponde alla successione temporale delle azioni. Riemerge, nella
sintassi del periodo, la subordinazione e la profondità di campo temporale: la consecutio
temporum

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Oltre all’eventuale distanza temporale tra enunciatore ed enunciato, i tempi verbali esprimono
anche il modo in cui le azioni significate sono presentate, messe in scena da un certo punto di
vista: ciò che in linguistica viene chiamato ‘aspetto verbale’ (o modo dell’azione)
Tra le principali forme aspettuali, si possono ricordare:
a) Durativa: l’azione è presentata nel suo farsi. L’italiano utilizza la perifrasi ‘sto+gerundio’ o il
presente indicativo
b) Puntuale: l’azione è descritta come un evento privo di durata
c) Iterativa: l’azione è rappresentata nel suo ripetersi ciclico. In italiano si utilizza l’imperfetto
oppure il presente
d) Incoativa: l’azione è nella sua fase iniziale. L’italiano utilizza perifrasi(come iniziare a …)
e) Terminativa: l’azione è nella fase conclusiva o è presentata come finita. In italiano si utilizza
spesso il passato remoto.
 Se nei testi verbali è il verbo a farsi carico di queste sfumature di senso, nei testi figurativi, plastici o
sincretici non è sempre chiaro.
 Nei testi figurativi sembrerebbe prevalere la duratività
 Nei testi plastici domina probabilmente la terminatività: il dipinto testimonia le tracce di
un’azione

Soggetti dell’enunciato e soggetto dell’enunciazione: gli attori
Il terzo tipo di debrayge costituisce quelli che in semiotica sono detti attori, cioè degli altri soggetti
distinti dall’io enunciante(dei non-io)
 Non solo esseri umani, ma anche oggetti oppure organizzazioni
 In tutti i casi, si è in grado di menzionarli attraverso un nome proprio o comune, oppure una
descrizione definita e nei testi citati si trovano anche solo accennati attraverso un pronome
personale o dimostrativo; nei testi figurativi saranno attori tutti gli oggetti riconoscibili; nei testi
sincretici quelli su cui convergono, in qualche modo, le componenti plastiche, figurative e
verbali
 L’identificazione dell’attore con i personaggi, principali e secondari che compaiono in un testo,
appare insufficiente. Greimas e Courtès infatti sostengono che l’attore è un’unità lessicale, di tipo
nominale, iscritta nel discorso(attraverso dèbrayage o embrayage), è suscettibile di ricevere, nel
momento della sua manifestazione, degli investimenti di sintassi narrativa di superficie e di
semantica discorsiva.
 Gli attori hanno una componente discorsiva, narrativa o semionarrativa(queste due sono descritte
poi). La manifestazione discorsiva dell’attore si può realizzare attraverso un nome o attraverso
qualcosa di analogo(pronome o descrizione definita) che, grazie a operazioni di co-referenza,
mantengono l’identità dell’attore lungo il testo. L’attore ha in primo luogo il carattere di una figura
autonoma dell’universo di discorso, cioè una figura di contenuto lessicalizzabile(grazie a un
Sintagma nominale)
 Non è necessario che si tratto di un oggetto di esperienza percettiva, ma può anche trattarsi di
un’entità astratta o non percepibile (come il destino, la fortuna, la provvidenza) e può essere di
tipo individuale o collettivo(organizzazioni, aziende, entità…)
 L’attribuzione di un ruolo attoriale ad un oggetto/entità, distinguendolo così dagli oggetti/entità di
contorno, non avviene a priori ma in base al ruolo narrativo(ovvero da un punto di vista
sintagmatico)

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
L’identificazione di un personaggio o di un oggetto, in un testo, attraverso un lessema(o parola) di
tipo nominale(o pronominale) è il primo passo per la costruzione di un attore.
 Indicarlo solo attraverso un nome proprio non fornisce molte caratteristiche(se non il genere)
mentre un nome comune porta con sé tutte le implicazioni precedentemente viste come i
frames e campi semantici. Il testo attiva solo alcune caratteristiche a discapito di altre, che
rimangono sullo sfondo, a disposizione per eventuali sviluppi narrativi
 Gll attori enunciati dai pronomi sono come dei contenitori vuoti di ruoli tematici, che possono
essere espliciti o meno.
- In 3 persona è il contesto linguistico immediato che si fa carico di definire il ruolo tematico
-
In 1 e 2 persona la determinazione dipende dal contesto di enunciazione. Occorre però tenere
conto che la prima persone messa in scena non coincide con l’autore empirico.
 Lo stesso accade nel caso ci si serva di parole ambigue, che attivano isotopie, frames e sviluppi
narrativi ambigui: il testo decide, nel suo sviluppo sintagmatico, quali tra queste possibilità
realizzare e quali scartare. Le possibilità scartate rimangono comunque a disposizione e sono
descrivibili in un approccio enciclopedico dell’analisi semantica e sono dette da Greimas
configurazioni discorsive. La selezione che il testo fa, privilegiando alcune possibilità rispetto ad
altre, è detta percorso figurativo che ha anche una maggiore estensione narrativa.
 L’attore che in un testo assume su di sé il tema indicato dalla configurazione discorsiva e lo
realizza in un concreto percorso figurativo, svolge quello che è chiamato il ruoto tematico,
spesso costituito da un ruolo stereotipato all’interno di frame o sceneggiatura comune o
intertestuale(es la regina, la casalinga…). Questo ruolo rappresenta, nella semiotica di Greimas, la
componente discorsiva dell’attore, cui va affiancata(come vedremo) una specifica componente
narrativa: il cosiddetto ruolo attanziale.
 L’agente che si incarica di compiere la serie di azioni prevista in un certo percorso figurativo si
dice assumere un ruolo tematico, descrivibile attraverso uno o più nomi(o descrizioni) es: Re,
ragazza, regina, giardiniere.
 Un’altra procedura di introduzione di attori(o attorializzazione) si fonda sull’uso (esplicito o
implicito) di pronomi personali e/o di persone verbali. I nomi propri e comuni richiedono infatti
l’utilizzo della terza persona dei verbi e sono oggetto di riferimento anaforico da parte di
pronomi dimostrativi e personali di terza persona: ciò definisce uno dei fondamentali modi di
rappresentazione degli attori(n uno spazio-tempo) all’interno dei testi, cui si accompagna una
strategia enunciativa, quella dell’oggettivazione, della distanza tra enunciatore e contenuto del
proprio discorso.
 Questo tipo di strategia discorsiva, a partire da Benveniste viene chiamata anche enunciazione
storica o storia. Oltre all’uso della terza persona, questa enunciazione storica si caratterizza per
l’esclusione dei pronomi di prima e seconda persona, l’uso prevalente del passato e l’assenza di
deittici.
 La modalità opposta all’enunciazione storica è chiamata enunciazione discorsiva o discorso e i
caratterizza per l’uso prevalente del presente, dei deittici e delle forme pronominali di prima e
seconda persona. Se l’enunciazione storica è di tipo oggettivo, questa è di tipo soggettivo, che
pone cioè il soggetto responsabile dell’enunciazione, il suo tempo e il suo spazio,come punto di
riferimento per tutto il testo.
 La semiotica di Greimas distingue, di conseguenza, due tipi di debrayge: enunciativo nel primo
caso(terza persona, modo oggettivamente) e enunciazionale nel secondo(uso di prima e
seconda persona, modo soggettivante)
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 L’idea di fondo è che in un testo in prima persona, non si ha mai a che fare con l’istanza
dell’enunciazione in quanto tale, ma solo con un suo simulacro discorsivo, frutto della
proiezione del testo di un non-io, un non-qui e un non-ora da parte dell’enunciatore
 Come suggerisce Benveniste, i pronomi non sono altro che segni vuoti, forme vuote che il
contesto e le circostanze di enunciazione si incaricano di riempire. Sarà il co-testo a fornire gli
elementi che consentono al lettore di riempire di ruoli tematici, il vuoto semantico dell’io
narrante
Autore e lettore, previdente e previsto, come strategie enunciative
 L’autore che concretamente scrive o produce un testo non si identifica con l’enunciatore

L’enunciatore è l’istanza iscritta nel testo e che nel testo lascia le tracce.
Del lettore si può dire altrettanto: il destinatario che il testo postula, a cui si rivolge, non si
identifica con chi concretamente legge, guarda o fruisce un testo. Eco chiama l’autore e il
lettore concreto quello che materialmente produce e progetta il testo e quello che coi propri
occhi lo legge, autore empirico e lettore empirico, distinguendoli dall’autore modello e dal
lettore modello
L’autore o enunciatore modello
Secondo Eco, l’autore modello è un personaggio, un attore che vive nell’apparato peritestuale
del testo di cui è possibile ricavarne alcune caratteristiche, dalle scelte stilistiche, di registro, da
riferimenti intertestuali.
 L’autore modello che si mette in scena nell’apparato peritestuale o che traspare e si identifica
nello stile è una strategia testuale, una serie di istruzioni che vengono impartite al lettore a ogni
passo nella lettura di un testo, e a cui il lettore deve obbedire se vuole rendere attuale il senso
del testo
 L’autore modello è anche un’ipotesi interpretativa che il lettore avanza per rendere
comprensibile il testo(attraverso i passi cooperativi) e che il testo smentisce o conferma nel suo
procedere.
 In questo modo il testo diventa un teste, un testimone grazie al quale il lettore può ricostruire una
certa immagine dell’autore, che può corrispondere o meno a quella dell’autore empirico e a quella
che questo voleva dare di sé.
 L’enunciatore complessivo di un annuncio stampa è il marchio. La posizione solita del marchio è
quella in basso a destra che è insieme segno di assunzione di responsabilità e dispositivo di
embrayage o ritorno all’istanza dell’enunciazione. Il marchio o logo che si trova negli annunci
stampa, negli spot(…) è immagine o simulacro dell’enunciatore, ben distinto da chi
materialmente ha confezionato quei prodotti di comunicazione

Il lettore o enunciatario modello
Se l’autore modello è un’immagine, un simulacro, la cui fisionomia(intellettuale) può essere
ricostruita inferenzialmente dal lettore, il lettore modello è altrettanto simulacrale e ideale,
nelle mani di un autore empirico.
 Ogni volta che si produce un testo, si dovrebbe avere in mente chi è l’interlocutore privilegiato,
chi è il lettore/destinatario ideale, quello cioè su cui misuriamo le parole da usare.
 Il lettore che compie i passi cooperativi è il lettore empirico ma soprattutto il lettore modello.
Questo lettore è un insieme di istruzioni testuali, che si manifestano sulla superficie del testo,
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sotto forma di affermazioni o altri segnali.. è una struttura testuale che anticipa la presenza del
ricevente..un lettore fittizio ritratto nel testo.
 Il lettore empirico, per far funzionare il testo, deve cercare di adattarsi il più possibile al lettore
modello previsto.
 Il lettore modello è il lettore che riempie gli spazi bianchi lasciati dall’autore, ed esplicita
inferenzialmente ciò che l’autore ha lasciato implicito, facendo funzionare il ‘’meccanismo
pigro’’ di cui parlava Eco, che è il testo.
 Un testo può prevedere diversi destinatari modello, perlomeno quando si tratta di un testo che
porta con sé un significato nascosto o accessibile da chi ha un maggiore grado di competenza
del lettore modello ‘ingenuo’ di primo livello, per soddisfare le esigenze del quale di solito è
sufficiente una singola lettura. Il lettore modello di secondo livello invece è un lettore più
raffinato, interessato al gioco dei rimandi intertestuali, che si avvicina a interessi e competenze
di un critico letterario.
 Il lettore empirico può decidere, consapevolmente o meno, di non adeguarsi al ruolo di lettore
modello che l’autore gli propone e cercare nel testo significati legati alla propria esperienza
personale e visione del mondo, adeguandolo alle proprie esigenze e tralasciando le vere
intenzioni comunicative dell’autore.
 In questo modo, si giunge a una vera interpretazione?
 Cos’è un interpretazione?
a) In un primo senso, interpretare significa comprendere il senso di un testo, attenendosi ai
significati originari.
b) attualizzare o rimodulare il senso di un testo rendendolo più aderente al presente
dell’interprete
c) riproduzione di un testo all’interno di un diverso sistema culturale o il riadattamento di un
testo all’interno di un sistema semiotico differente, come la trasposizione cinematografica
di un romanzo.
 In tutti i casi, si tratta di rendere chiaro ciò che non lo è
 L’enfasi di un testo può andare su cosa l’autore empirico intendesse con quel testo e i modi in
cui lo ha manifestato: l’interpretazione in questi casi prende la forma della ricostruzione
dell’intentio auctoris, che si cerca di perseguire non solo con il recupero dei codici del suo
tempo, ma anche con il tentativo di cogliere il suo stato emotivo o psicologico nel momento
della composizione.
 L’enfasi può anche cadere sul lettore empirico e sulle procedure di attualizzazione, si ha il
prevalere della cosiddetta intentio lectoris: il lettore empirico e il suo sistema di valori, di
interessi e di significazioni prevale su ciò che il testo presenta in sé.
 Secondo Eco, queste posizioni e le procedure che mettono in campo, non conducono mai a
un’interpretazione, ma solo a un uso del testo.
Ciò di cui una vera interpretazione deve tenere conto è il testo in sé, quella che Eco chiama Intentio
operis. Un testo, una volta prodotto, gode di una autonomia totale dalle intenzioni di chi lo ha
prodotto e dipende solo da come è fatto, di quali parole o segni si serva e quale significato la
cultura in cui è stato prodotto attribuisca loro: questi fattori conferiscono al testo il proprio
carattere, la propria intenzione. Una volta che il testo è stato fissato, oggettivato l’autore non può
più intervenire a chiarirlo o correggerlo
 Anche nell’interpretazione, vale il principio della negoziazione: il confine tra
interpretazione(corretta o scorretta) può essere molto labile e viene definito, di volta in volta,
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attraverso il dibatto interno alla comunità scientifica di riferimento, che accoglie o discute le
interpretazioni, mentre tende a sanzionare negativamente gli usi impropri di testi e autori.
Esempi di testi da analizzare
Pista muccabile
I segnali stradali sono da considerare, insieme, atti linguistici e testi, che possono a loro volta costruire
testi di dimensioni più ampie. (come il sistema della segnaletica stradale di un’intera strada). L’autore
modello in questo caso è lo Stato, che ha l’autorità per compiere tutti gli atti linguistici(prescrizioni,
divieti, indicazioni) che costituiscono il regolamento attuativo e per vigliare sul loro rispetto. Il lettore
modello è un essere umano adulto che conosca il codice della strada e si trovi alla guida di un veicolo.
Un minorenne in bici non è il destinatario ideale, ma piuttosto un semplice lettore empirico che non è
all’altezza del modello, perché non è il grado di interpretare tutti i segnali.
Campagne pubblicitarie sui rischi alla guida: don’t tesxt&drive
La rappresentazione di questi annunci stampa di uno scontro frontale con il camion, lascia intendere
che il punto di vista adottato sia quello del protagonista della storia e che quindi lo stile enunciativo sia
quello di una soggettiva: il protagonista si trova al volante di un veicolo in movimento e insieme sta
scrivendo il messaggio, mentre il camion si avvicina. Le proprietà del destinatario modello si chiariscono
e coincidono in gran parte con quelle del protagonista della storia: è una persona che sa guidare,
possiede un cellulare e potrebbe essere tentato di usarlo mentre guida
[Cap11 – strutture semionarrative: schemi d’azione e programmi narrativi]
 Le strutture semionarrative(secondo il nome introdotto da Greimas) corrispondono alle
strutture narrative e attanziali di Eco
Dall’intreccio alla fabula(e dalla fabula al semema)
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Tra le strutture narrative, secondo Eco, ha un posto di rilievo la fabula, in opposizione
all’intreccio(che è una struttura discorsiva)
La fabula è lo schema fondamentale della narrazione, la logica delle azioni e la sintassi dei
personaggi, il corso degli eventi ordinato temporalmente… L’intreccio è invece la storia come di
fatto viene raccontata, come appare in superficie, con le sue dislocazioni temporali,
anticipazioni e flashback, descrizioni, disgressioni…
L’intrecciò si può identificare con la manifestazione del testo: corrisponde al modo in cui il
narratore/enunciatore ha deciso di rappresentare una vicenda(un’idea, un oggetto), un modo
che non può prescindere dalla sostanza espressiva cui un certo testo ha fatto ricorso.
La fabula è la linearità cronologica e causale.
La ricostruzione della fabula, che sta sotto all’intreccio di un racconto, è il primo passo
cooperativo per chi intende diventare lettore modello di secondo livello e può essere un
compito anche assai complesso.
Naturalmente ci sono racconti in cui fabula e intreccio si identificano, come nelle fiabe
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 In altri casi per giungere alla fabula è necessario un intervento del lettore modello, che produce
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delle macroproposizioni(interpretanti delle frasi di manifestazione) il cui formato dipende
dall’interesse dell’analista
Condizioni elementari di una fabula, nel senso della riduzione, sono un agente(non
necessariamente umano) uno stato iniziale, una serie di trasformazioni orientate nel tempo,
uno stato finale(anche transitorio)
Questo può essere applicato anche ai testi argomentativi, i quali presentano anche una
organizzazione narrativa che può portarci a rileggere i testi argoentativi come la storia di una
battaglia persuasiva
Una struttura narrativa di questo tipo(ridotta all’osso) può emergere anche dall’analisi di un
solo lessema
Per esempio analizzando le relazioni lessicali sintagmatiche: un frame rivela addirittura diverse
strutture narrative
Il semema è un testo virtuale e il testo è l’espansione di un semema. (Eco)
Semema va inteso come senso di una parola
Il testo è l’espansione di molti sememi, ma può essere ridotto all’espansione di un solo semema
centrale
Ciò vale per i testi verbali, narrativi, argomentativi, figurativi, sincretici
Dai frames alle strutture narrative: attanti e enunciati narrativi
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Per Eco il momento centrale della fabula è il mutamento, la trasformazione. La
trasformazione, intesa come enunciato del fare, è l’enunciato narrativo elementare: eccoci,
secondo Greimas, al cuore delle strutture narrative e attanziali(o semionarrative)
L’aspetto dinamico di un significato, può essere chiamato in modo più appropriato aspetto
semionarrativo o narrativo, come livello di senso distinto da quella manifestazione sintattica
di superficie e delle strutture discorsive
La semiotica ha identificato: uno o più soggetti del fare; le relazioni con uno o più oggetti di
valore che, attraverso i simboli dell’insiemistica:
S Ov
Il simbolo di intersezione tra insiemi, indica la congiunzione tra soggetto e oggetto di valore,
mentre il simbolo di unione indica la disgiunzione tra soggetto e oggetto di valore.
Formule di questo tipo esprimono, per Greimas, degli enunciati di stato (o dell’essere,
congiuntivi o disgiuntivi) che, assieme agli enunciati di trasformazione(o del fare) costituiscono
i due tipi di enunciati narrativi di base. Gli enunciato possono essere manifesti in modi diversi.
La successione di due enunciati, costituisce già la cellula narrativa che è detta programma
narrativo
Soggetto e oggetto costituiscono quelli che Greimas chiama attanti di base delle strutture
semionarrative; congiunzione e disgiunzione sono invece le relazioni fondamentali tra
soggetti(di stato) e oggetti, relazioni che possono cambiare grazie al fare trasformatore da
parte di un soggetto, che può o meno coincidere con il Soggetto di stato.
Attante è infatti definito come colui che compie o subisce l’atto
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La profondità, dal punto di vista di Greimas, si misura con l’astrazione delle strutture
individuate, che in qualche modo vengono spogliate dei tratti figurativi e dettagli sintatticosemantici. La struttura essenziale della narratività (come tratto caratteristico e ineliminabile
del contenuto) è quindi uno schema applicabile a diversi frames o, dal punto di vista
dell’ontologia, agli eventi o processi
 Posto che i verbi indicanti processi sono troponimi del verbo fare, e che quelli che indicano
stati lo sono del verbo essere, l’individuazione delle strutture semionarrative, in termini di
enunciati e attanti narrativi di base, equivale all’esplicitazione dei frames attivati da questi
verbi.
 Il frame di essere prevede come elementi obbligatori un Soggetto e un Oggetto, che ha un
valore per il Soggetto e con il quale il Soggetto può trovarsi congiunto o disgiunto.
 Il frame di fare è più complesso: presuppone uno stato iniziale e conduce a uno stato finale,
attraverso una serie di passi che completano la scena prototipica in uno schema detto Schema
Narrativo canonico(stato iniziale, azione finalizzata per lo strumento, azione principale, stato
finale). A livello di semantica lessicale, lo stato finale corrisponde a quello telico(o componente
funzionale; l’enunciato del fare fornisce il quale agentivo (indicando l’attante Soggetto del fare)
Esempio: nella fiaba di Rosmarina, lo stato iniziale è quello di disgiunzione del
Soggetto(giardiniere, ma anche Re di Spagna o Regina) dall’Oggetto di valore. (ragazza pianta
di rosmarino, ma anche fidanzata del Re o figlia della Regina). Lo stato finale è quello della
congiunzione tra Soggetto e Oggetto di valore. In mezzo c’è l’azione trasformatrice., resa
possibile dall’unguento che si è procurato il giardiniere. Il fare del giardiniere può quindi essere
inteso come un programma narrativo che ha come fine la liberazione della ragazza dalla pianta
di rosmarino. Il fare del programma narrativo perciò è suscettibile di un’espansione,
presuppone una fase precedente che consiste nel procurarsi lo strumento che rende possibile
l’azione. L’azione comporta anche un altro momento precedente: quello in qui il Soggetto
decide di agire e che potrebbe essere identificato con lo stato iniziale.
 La narratività è un carattere del contenuto che emerge fin dall’analisi lessicale. Qualsiasi verbo
d’azione la presenta, implicitamente.
Es: il verbo tagliare, in qualunque dei suoi sensi, presupporrà sempre la capacità da parte di un
agente di servirsi di un strumento che opera su un oggetto, suddividendolo in parti che dipendono
dal tipo di oggetto.

Le fasi dello Schema Narrativo Canonico
 Lo SNC, secondo la teoria di Greimas, si articola in quattro fasi o momenti:
1) Uno stato iniziale, che motiva e dà avvio all’azione, detto manipolazione
2) Una sequenza d’azioni finalizzate a rendere il Soggetto del fare in condizioni di compiere l’azione
principale, detta Competenza
3) Una fase centrale di trasformazione, detta Performance o Esecuzione
4) Stato finale, detto Sanzione: dove l’obiettivo può essere stato o meno raggiunto
3 ) L’esecuzione (Performance/Performanza)

Abbiamo detto che ogni narrazione ha necessariamente un punto di partenza, uno stato iniziale che
porta, di norma, a una qualche trasformazione. La fase di Esecuzione coincide appunto con la
trasformazione:
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F [S1 -> (S2 OV)
 Si tratta di un fare in cui un attante Soggetto unisce un(altro) attante Soggetto con un Oggetto
di valore, da cui si trovava disgiunto.
 Esempio: l’azione di guardare un film mette in scena un Soggetto(s2) che coincide con il
soggetto grammaticale del verbo guardare, che i congiunge con un Oggetto di Valore (il film),
che il Soggetto prima della proiezione non conosceva. Il soggetto del fare trasformatore (S1),
che fa si che S2 si congiunga a OV, può essere presente nel racconto (anche solo una frase)
come attore distinto daS2(come nel caso in cui si vada al cinema, l’operatore che aziona il
proiettore è distinto dallo spettatore) oppure può coincidere con esso (nel caso si guardi per
esempio un DVD al televisore di casa propria).
 In linea di principio, i due Soggetti (S1 e S2) sono distinti. Nel caso in cui coincidano, si parla di
sincretismo attanziale: due attanti distinti(Soggetto dell’essere e Soggetto del fare)si trovano
fusi insieme nello stesso attore o personaggio
 Si può osservare che in molti casi il fare del Soggetto può essere ostacolato da un fare opposto,
realizzato da un altro Soggetto, che può avere il medesimo Oggetto di Valore oppure un
Oggetto diverso. Grazie al dispositivo del quadrato semiotico, è possibile duplicare la struttura
attanziale di base (Soggetto vs Oggetto) proiettando su di esso i rispettivi contradditori: si
ottengono così due attanti detti Anti-Soggetto e Oggetto Negativo che possono opporsi in vari
modi a Soggetto e Oggetto di valore all’interno di un testo.
2 ) La competenza
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
Questa fase comprende le azioni necessarie a rendere il Soggetto in grado di compiere l’azione
principale
 Per esempio, sempre nel caso del film, i dispositivi elettronici mettono il Soggetto in tali
condizioni, come in un certo senso gli organi di vista e Udito. Ma non basta avere gli strumenti
adatti, bisogna anche sapere come usarli.
La teoria della competenza modale del Soggetto del fare, che si basa sulla necessaria acquisizione
da parte del Soggetto di alcuni tratti semantici detti modalità, che giocano un ruolo fondamentale
 Il soggetto deve essere modalmente equipaggiato
 Le modalità sono solitamente individuate in numero di quattro(o sei) da Greimas, anche se
hanno una storia più che millenaria: volere, dovere, potere, sapere (oltre fare e essere).
Le modalità si possono manifestare sotto forma di verbi, aggettivi o avverbi e hanno la
caratteristica di modificare il significato di altri verbi(inclusi i verbi modali stessi)
 La Modalizzazione può avvenire in due modi: secondo il potere(forniscono al Soggetto gli
strumenti necessari a svolgere una determinata azione) e secondo il sapere(bisogna sapere
usare determinati oggetti).
 L’Esecuzione può presupporre non solo che il Soggetto sia dotato di determinate modalità(sia
modalmente equipaggiato), ma che queste modalizzazioni siano acquisite attraverso altre
azioni. Procurare ciò che serve a mettere il Soggetto in condizione di agire può essere
sviluppato in un programma narrativo che viene detto d’uso rispetto a quello
principale(l’azione fulcro del racconto). Es. i dispositivi(modalità) diventano degli Oggetti di
valore Modali, funzionali al raggiungimento dell’obiettivo principale.
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 Es: sempre nella fiaba di Rosmarina, le azioni che costituiscono la fase della Competenza sono
quelle che rendono il giardiniere(Soggetto del fare) in grado di trasformare la pianta in ragazza.
In questa fase, il giardiniere viene informato(cioè modalizzato secondo il potere) dai draghi
circa le virtù magiche del loro sangue e del loro grasso, quindi una volta procuratosi gli
ingredienti e preparato l’unguento il giardiniere(modalizzato secondo il potere) è in grado di
salvare la ragazza dall’incantesimo
 Le trasformazioni che l’attante Soggetto subisce nel corso di questa fase(e delle altre) definisce il
suo ruolo attanziale. I ruoli attanziali, spiegano Greimas e Courtès, si definiscono in funzione della
posizione dell’attante all’interno del percorso narrativo e dell’investmento modale particolare di cui
si fa carico.
 Per chiarire la differenza tra attante e ruolo attanziale, è sufficiente tenere presente la distinzione
fra dimensione paradigmatica e sintagmatica: l’attante(in quanto Soggetto o Oggetto, Destinante o
Destinatario) è parte di un sistema che si sviluppa secondo relazioni di opposizione o di tipo
gerarchico e, da un punto di vista strutturale, è una posizione all’interno di un sistema di relazioni (il
paradigma); il ruolo attanziale invece è l’attante modalizzato, così come si trova in un PN, e da un
punto di vista strutturale, è una posizione nella successione sintagmatica dei programmi narrativi.
1 ) la Manipolazione (Destinazione)



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L’azione richiede una qualche forma di decisione da parte del Soggetto, decisione che s traduce in
termini modali come un volere: questa è la fase che dà avvio ai PN, quella della Manipolazione.
 L’azione trasformatrice può essere involontaria, volontaria, obbligata necessaria, doverosa,
richiesta, voluta, desiderata, pianificata in tutte queste forme(e altre ancora) si esplica la fase
iniziale di ogni programma narrativo, quella della Manipolazione
In questa fase, compaiono altri due attanti di base: il Destinante e il Destinatario (che ricalcano lo
schema della comunicazione)
 La Manipolazione infatti non consiste tanto in un fare, quanto in un far fare (si parla di fattività)
che prende la forma generale di una comunicazione tra un attante emittente e un attante
ricevente attorno a un oggetto(che è poi l’Oggetto di Valore).
Si tratta di una relazione a 3 posti, come spiega Greimas, in cui il Destinante cerca di far fare
qualcosa al Destinatario: nel caso in cui riesca ad indurlo ad agire, il Destinatario assume le vesti
dell’attante Soggetto, con i ruoli che gli competono.
Ogni azione presuppone una fase iniziale di Manipolazione, che coincide con il momento in cui si
decide, si pianifica o ci si rende conto che è ora di agire. E’ il momento in cui emerge la motivazione
e si elabora l’intenzione di agire in un certo modo.
 Le ricerche in ambito psicologico sull’azione hanno messo in rilievo il ruolo giocato
sull’elaborazione dell’intenzione di agire degli atteggiamenti: le valutazioni positive o negative
circa determinati oggetti o comportamenti, le cognizioni, le credenze, le norme, la percezione
di controllo del soggetto. Questi fattori(insieme anche ad altri) hanno diverse percentuali di
incidenza in base anche all’azione da perseguire.
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 L’esempio classico di Manipolazione è quello del bando, tipico di molte fiabe: a un re hanno
rapito la figlia, allora il re emette un bando dove si stabilisce che chi la ritroverà riceverà una
lauta ricompensa. Il re è chiaramente il Destinante, il cavaliere o capitano di una nave che
risponde al bando è, dal punto di vista della Manipolazione, il Destinatario, che accettando di
andare alla ricerca della fanciulla diviene Soggetto del relativo programma narrativo.
 Può succedere che Destinante e Destinatario/Soggetto si incarnino nello stesso attore: è il caso,
per esempio, di molti supereroi che decidono di perseguire il crimine a seguito di un evento
traumatico a cui hanno assistito.
 Greimas e Courtès hanno proposto un abbozzo di tipologia dei tipi di Manipolazione, che fa leva
sulla sua natura contrattuale e sulle modifiche semantiche cui va incontro il Destinatario/Soggetto
nel momento in cui assume l’azione centrale di un PN come proprio obiettivo: si tratta anche in
questo caso di trasformazioni dell’equipaggiamento modale del Soggetto. (possiamo considerare il
rapporto di comunicazione tra Destinante e Destinatario nella fase di Manipolazione come analogo
a quello tra soggetto del verbo modale e soggetto del verbo modificato: nel caso in cui l’azione
comunicativa del Destinante abbia successo, diciamo che il Destinatario/Soggetto viene
modalizzato secondo il volere/potere/dovere/sapere…)
 ‘’la manipolazione secondo il volere si manifesta, ad esempio, attraverso la tentazione e la
seduzione mentre la manipolazione secondo il potere è riconoscibile nella minaccia o nella
provocazione”
a) Tentazione: il Destinante presenta un oggetto di valore positivo, desiderabile per il
Destinatario(che viene quindi modalizzato secondo il volere)
b) Seduzione: il Destinante cerca di indurre il volere del Destinatario esaltandone le qualità
positive
c) Minaccia(o intimidazione): il Destinante prospetta al Destinatario una punizione (un
oggetto di valore negativo) in caso di mancata accettazione del contratto
d) Provocazione: il Destinante esprime un giudizio negativo sulle capacità, da part del
Destinatario, di condurre a termine una certa azione
 Accanto a questi 4 modelli fondamentali, Greimas ne propone un ulteriore: la persuasione, che
consiste in varie forme di argomentazioni logiche e dimostrazioni scientifiche che cercano di
convincere il destinatario.
 La fase di Manipolazione si risolve nella preparazione del Soggetto che, accettando di perseguire un
certo obiettivo, comincia a dotarsi di un equipaggiamento modale (i termini di volere o e o di
dovere) che troverà il suo perfezionamento nella fase di Competenza.
Se al PN del Soggetto si oppone un PN dell’Anti-Soggetto, si può porre un attante anti-Destinante
all’origine(nella fase di Manipolazione) del suo PN (o anti-Pn) servendosi nuovamente del quadrato
semiotico per duplicare la struttura attanziale.
 La Manipolazione apre come fase contrattuale, che stabilisce gli obiettivi del PN principale o di base
del Destinatario-Soggetto
La Sanzione
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La sanzione chiude il PN riconoscendo al Soggetto il raggiungimento degli obiettivi e attribuendogli
di conseguenza un premio o riconoscendone il fallimento e infliggendogli una punizione
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Ritorna in questa fase, dopo essersi eclissato dietro l’emergere del Soggetto, l’attante Destinante
 Sul piano dei ruoli attanziali, se nella fase di Manipolazione il Destinante svolge il ruolo di
mandante(con un equipaggiamento modale di volere, sapere e potere adeguati) nella fase
conclusiva della Sanzione il Destinante riveste il ruolo attanziale di giudice dell’operato del
Soggetto
L’analisi dei PN
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Ogni testo ha delle caratteristiche proprie. Ciò che occorre fare nell’analizzare i PN non è tanto
formalizzare le relazioni tra attanti, quanto rendere conto di cosa e come un certo testo mette in
scena la successione di PN che porta al raggiungimento degli obiettivi del PN principale.
 È quindi utile distinguere, spiega Eco:
a) Strutture attanziali: astratte e formalizzabili (stato iniziale, manipolazione, competenza..)
b) Strutture narrative più superficiali: i ruoli attanziali sono rivestiti di contenuti specifici, che
riflettono le relazioni paradigmatiche e sintagmatiche
Ogni testo esplicita alcune fasi dei PN e ne omette altre: l’analisi converge quindi con la
ricostruzione della fabula, nel rendere esplicite le strutture narrative (il PN principale e i PN d’uso)
nelle loro articolazioni attanziali(identificazioni di attanti e distribuzioni dei ruoli attanziali) ,tenendo
presente che la corrispondenza tra attanti e attori non è quasi mai 1 a 1 ma può prevedere una
corrispondenza
1:molti (distribuzioni di attanti e ruoli attanziali su più attori)
Molti:1 (sincretismo attanziale)
I PN di una fiaba a cornici
Per affrontare l’analisi dei PN(dopo aver individuato le isotopie) occorre:
1) Individuare la distribuzione attanziale: quali personaggi o attori assumono determinati ruoli
attanziali all’interno delle sequenze che costituiscono il racconto
Es: dare ordini è un forte inizio per l’individuazione di una sequenza di Manipolazione, allora il Re di
Spagna nel momento in cui ordina al giardiniere di prendersi cura della pianta di rosmarino ci
permette di distribuire i ruoli di attante Destinante al Re, di attante Soggetto al giardiniere e di
Oggetto di Valore alla pianta-ragazza. Le sorelle del Re, quando riescono casualmente a far uscire la
ragazza dalla pianta, si candidano al ruolo di Anti-Soggetto, il loro PN infatti non ha lo stesso
obiettivo di quello del giardiniere(conservare la salute della ragazza), ma quello opposto: la
negazione dell’Oggetto di valore – sul quadro semiotico – equivale in questo caso al suo
annientamento. Il Re di Spagna nella fase finale, assume il ruolo di Destinante – Giudice.
In questo modo, il PN centrale della fiaba sarebbe quello che si identifica con la sequenza di azioni
che ruotano attorno alla liberazione dall’incantesimo della pianta-ragazza, anche se si discosta dal
compito assegnato dal Re al giardiniere. In termini di Semi, il PN della principale della fiaba risulta
essere dunque la separazione dei semi incompatibili che costituiscono l’Oggetto di Valore: UMANO
E VEGETALE, uniti dall’incantesimo.
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2) Siamo in grado a questo punto di identificare le fasi del PN principale con differenti sequenze del
racconto:
- Manipolazione: il Re dà ordini al giardiniere
-
Competenza: il giardiniere fugge nel bosco, raccoglie gli ingredienti e prepara l’unguento
magico
- Esecuzione: il giardiniere unge i rami del rosmarino, liberando la ragazza di cui poi si prende
cura
- Sanzione: riconoscenza del Re.
 All’interno delle fasi di Competenza e Sanzione, è possibile individuare dei PN d’uso che hanno
come Soggetto il giardiniere.
 Possiamo notare come in questa fiaba le fasi di Sanzione negativa o di fallimento(anche parziale, e
parliamo della fase iniziale in cui la regina non riesce ad avare figli) fanno ripartire l’azione da un
livello più avanzato, rilanciando il PN principale, che passa per delega(implicita o esplicita) da un
attore-Soggetto a un altro, in una struttura a cornici. Il ruolo di Soggetto del fare passa infatti dalla
Regina al Re di spagna e quindi al giardiniere. La sanzione multipla finale chiude progressivamente
le varie cornici, coronando i rispettivi PN
 Possiamo ora completare la definizione di attore, ruolo tematico e ruolo attanziale secondo
Greimas e Courtès:
‘’ottenuto attraverso procedure di debrayge e di embrayge l’attore è un’unità lessicale, di tipo
nominale, che inscritta nel discorso, è suscettibile di ricevere al momento della sua manifestazione
degli investimenti di sintassi narrativa e di semantica discorsiva,.. esso è il luogo di convergenza e
d’investimento di due componenti sintattiche e semantiche. Per dirsi attore, un lessema deve
essere portatore almeno di un ruolo attanziale e di uno tematico. Aggiungiamo che l’attore non è
soltanto il luogo di investimento di questi ruoli, ma anche quello delle loro trasformazioni”.
 Possibilità di servirsi dell’analisi narrativa e attanziale per rendere conto del funzionamento degli
oggetti quotidiani, tecnologici, che oltre a inserirsi nei PN di un Soggetto antropomorfo, diventano a
loro volta Destinanti di programmi d’azione specifici e dell’organizzazione degli spazi, esterni e
interni (come nel caso della segnaletica stradale
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