Il Lampione e la Luna
Isabella Tokos
Roma, 27/10/2019
C’era una volta un parco romantico intorno a un
piccolo lago.
Salici imponenti adombravano i suoi sentieri.
Amore salterellava gioioso fra le fronde sciolte,
accompagnando le coppie d’innamorati che guidava
lentamente, per vie tortuose, verso la riva.
Là, incorniciata dai rami pendolanti, qualcuno, a suo
tempo forse anche lui innamorato, aveva piantato
un’accogliente panchina dallo schienale tutto
intagliato con nomi sommati e cuori trafitti due a due
da frecce insanguinate. E c’era anche Lampione lì, ad
affiancare quella panchina; un lampione, appunto, con
una certa gobba, altèro, non troppo alto ma decoroso
e snello; la immergeva in una luce fredda e
abbagliante nelle notti silenziose nelle quali Amore
veniva lì a riposarsi sognatore e a lasciarsi
abbandonare fra i braccioli sinuosamente incurvati. Di
fronte all’acqua, sotto il cielo stellato, come se fossero
sospesi fra le due lune: quella che dall’alto li
avvolgeva in un’aria di eterno mistero e l’altra, sorta
dagli abissi, un’immagine riflessa, Occhio della terra,
malinconico e pure sempre accorto.
Amore, sulla panchina, si stringeva su se stesso, si
coccolava, si stiracchiava lì, sotto l’austero Lampione.
Guardava le onde, si godeva la brezza, alzava
speranzoso lo sguardo al cielo e parlava con Luna,
confidava a lei le sue emozioni, chiedeva a lei consigli,
e raccontava a lei le storie che aveva scritto ogni
giorno, ogni notte, ogni istante di vita.
Luna lo ascoltava silente, a volte gli ricambiava il
sorriso, a volte andava via arrabbiata nel bel mezzo
delle sue storie, altre volte non veniva affatto ai loro
appuntamenti, e lui soffriva desolato per quella
assenza.
Inutilmente Lampione lo fasciava col proprio
bagliore.
Lui, disgraziato Amore smemorato, non sembrava
nemmeno notare quella devozione perpetua e
incondizionata. Poi, quando capricciosa lei decideva
di tornare, lui, Amore, pareva rinascere, pareva aver
già dimenticato il tempo in cui era stato abbandonato.
Ma Lampione, che gli stava a fianco altrettanto
silente, altrettanto raggiante, non poteva dimenticare.
Il comportamento di quella Luna superba era
diventato intollerabile; perciò, una notte, mentre Luna
giocava a nascondino per l’ennesima volta con
quell’ingenuo Amore imbranato, egli decise di
prendere nelle proprie mani le redini della situazione.
E così, per la prima volta nella sua vita, Lampione
staccò lo sguardo dall’Occhio della terra e lo puntò
con fierezza su Luna che splendeva nel cielo, e che
pareva ancora più vicina, bella tonda, giocosa e
seducente:
- Ehi Luna! Tu, che fai la preziosa,
sei frivola e tronfia, sei bugiarda assai.
Senza ringraziare ti prendi gli elogi,
ed essere adorata ti piace; come mai?
Tu non regali nulla; sei solo di presenza,
per prendere gli osanna; è questo quel che vuoi?
Ma, se sei vuota dentro? A parte il tuo ego?
C’è niente di speciale in te, sei come noi;
sei come tutti gli altri, se vuoi che te lo dica;
Anzi, ancor di meno; non hai una virtù.
Perché, devi capirlo, col povero Amore,
io non ho mai giocato, l’inganni solo tu.
Son stato a consolarlo tutte le lunghe notti
in cui per i tuoi sfizi piangeva accanto a me.
Anch’io so brillare, ho anche io le doti
con cui ti vanti ovunque, come in un cliché.
Io sono più presente, leale e generoso,
tu sei meschina e godi delle infelicità.
Non sai com’è pesante restare dignitoso,
per quante dovrei dirtene… in tutta umiltà…
Se vuoi davvero bene al nostro amico Amore
tu te ne devi andare in fretta più che puoi
nel tuo mondo freddo e pieno di splendore,
privo di leggerezze; là brilla quanto vuoi.
- Tu dici che son vuota, vanesia, sleale,
mi vedi altezzosa o gelida da lì;
e non vuoi per Amore una vita immortale,
pensi che sia sbagliato un vivere così?
Io dono ad Amore più forza, più speranza,
non voglio incoraggiare le sue debolezze,
vorrei vivesse eterno malgrado la distanza
fra me e lui, malgrado tutte le incertezze.
Luna si era intristita parecchio.
Si girò su se stessa e dal centro del lago si prese
l’Occhio della terra che era sua sorella, anche lei
scontenta dell’atteggiamento prepotente del lampione
ingrato; e così, in lacrime entrambe, se ne andarono
nel cielo. Senza indugio, Vento, si presentò al loro
posto. Egli raggruppò in fretta le nubi di tempesta e
gli bastò non più di un attimo per abbattere il parco
intero. Gli alberi furono sradicati come fossero
null’altro che petali di fiori appassiti; frammenti di
sentiero, volanti, cadevano nell’acqua a rimbombo, la
panchina affondava lontana da Lampione, anche lui
crollato sulla riva. Per i tanti sensi di colpa. Quanto ad
Amore, lui giaceva inerme, solo, nel buio di quella
notte senza più una luna, accanto alle ultime scintille
della luce effimera di quel presuntuoso Lampione
morente.
La morale: Cerca di contenerti nei tuoi limiti.