SCUOLA DELLE SCIENZE UMANE E DEL PATRIMONIO CULTURALE Corso di Laurea Magistrale in Scienze della formazione continua Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiche e della Formazione L’EBOOK 2.0 PER LA SCUOLA SECONDARIA Ambienti multimodali e interattivi di apprendimento on-line TESI DI LAUREA DI MANOLA CIVILETTI - (matricola: 0608969) RELATORE ELEONORA BIANCA MARINO ANNO ACCADEMICO 2013-2014 – SESSIONE STRAORDINARIA Margie lo scrisse perfino nel suo diario, quella sera. Sulla pagina che portava la data 17 maggio 2157, scrisse: “Oggi Tommy ha trovato un vero libro!” Era un libro antichissimo. Il nonno di Margie aveva detto una volta che, quand’era bambino lui, suo nonno gli aveva detto che c’era stata un’epoca in cui tutte le storie e i racconti erano stampati su carta. Si voltavano le pagine, che erano gialle e fruscianti, ed era buffissimo leggere parole che se ne stavano ferme invece di muoversi, com’era previsto che facessero: su uno schermo, è logico. E poi, quando si tornava alla pagina precedente, sopra c’erano le stesse parole che loro avevano già letto la prima volta. - Mamma mia, che spreco – disse Tommy. – Quando uno è arrivato in fondo al libro, che cosa fa? Lo butta via, immagino. Il nostro schermo televisivo deve avere avuto un milione di libri, sopra, ed è ancora buono per chissà quanti altri. Chi si sognerebbe di buttarlo via? - Lo stesso vale per il mio – disse Margie. Aveva undici anni, lei, e non aveva visto tanti telelibri quanti ne aveva visti Tommy. Lui di anni ne aveva tredici. [Vengono spiegati i motivi per cui Margie odia il suo insegnante meccanico che si è guastato] Margie aveva sperato che poi non sapesse più come rimetterli insieme, ma lui lo sapeva e, in poco più di un’ora, l’insegnante era di nuovo tutto intero, largo, nero e brutto, con un grosso schermo sul quale erano illustrate tutte le lezioni e venivano scritte tutte le domande. Ma non era quello, il peggio. La cosa che Margie odiava soprattutto era la fessura dove lei doveva infilare i compiti e i testi compilati. Le toccava scriverli in un codice perforato che le avevano fatto imparare quando aveva sei anni, e il maestro meccanico calcolava i voti a una velocità spaventosa. [Tommy prende in giro Margie che si chiede cosa ci sia da scrivere sulla scuola] Margie era offesa. – Be’ io non so che specie di scuola avessero, tutto quel tempo fa. – Per un po’ continuò a sbirciare il libro, china sopra la spalla di lui, poi disse: – In ogni modo, avevano un maestro. - Certo che avevano un maestro, ma non era un maestro regolare. Era un uomo. - Un uomo? Come faceva un uomo a fare il maestro? - Be’, spiegava le cose ai ragazzi e alle ragazze, dava da fare dei compiti a casa e faceva delle domande. […] Margie […] stava pensando alle vecchie scuole che c’erano quando il nonno di suo nonno era bambino. Ci andavano i ragazzi di tutto il vicinato, ridevano e vociavano nel cortile, sedevano insieme in classe, tornavano a casa insieme alla fine della giornata. Imparavano le stesse cose, così potevano darsi una mano a fare i compiti e parlare di quello che avevano da studiare. […] Margie stava pensando ai bambini di quei tempi, e a come dovevano amare la scuola. Chissà, stava pensando, come si divertivano*! * Asimov I. 1977, Chissà come si divertivano!. Il breve racconto di fantascienza venne pubblicato dallo scrittore statunitense di origine russa nel 1951 col titolo The Fun They Had sulla rivista «The Boys and Girls Page»; ambientato nel 2157 in un ipotetico futuro, parla di due ragazzini, Tommy e Margie, che trovano un vecchio libro che descrive, tra le altre cose, le caratteristiche del sistema scolastico del XX secolo. Con molta sorpresa, i due protagonisti scoprono che in passato i bambini non erano istruiti da un insegnante meccanico personale, tarato su ogni singolo allievo come accadeva a loro, ma si recavano in gruppo in speciali edifici, le scuole, per venire sottoposti ad un’istruzione comunitaria, impartita da insegnanti umani. INTRODUZIONE Dei libri e degli altri media ................................................................................................. 2 CAP. 1 - BREVE STORIA DI UN MEDIUM ORMAI INVISIBILE: IL LIBRO Le normative sulle adozioni dei libri di testo...................................................................... 7 I “perché” della normativa ................................................................................................ 11 Le resistenze dei docenti................................................................................................... 14 La tecnologia del libro, oggetto culturale e non naturale.................................................. 17 Socrate (ma non solo) e la scrittura .................................................................................. 18 Le altre “rivoluzioni” ........................................................................................................ 25 La nascita del libro di testo “moderno” ............................................................................ 32 La quarta rivoluzione: il libro digitale .............................................................................. 39 CAP. 2 - INSEGNARE E APPRENDERE CON L’E-BOOK MULTIMEDIALE L’uomo impara a leggere, l’uomo impara leggendo......................................................... 47 Leggere a schermo, leggere su carta ................................................................................. 50 Studiare sul libro di testo elettronico ................................................................................ 53 Teorie per insegnare efficacemente .................................................................................. 59 Insegnare con differenti media.......................................................................................... 68 CAP. 3 - IL “SOCIAL” E-BOOK La normativa e la piattaforma ........................................................................................... 90 Scuolabook Network......................................................................................................... 93 L’importanza del gruppo, in presenza e in Rete ............................................................... 96 Compiti per casa: la produzione mediale........................................................................ 108 Valutare gli studenti........................................................................................................ 113 CONCLUSIONI Il futuro del libro di testo ................................................................................................ 118 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................. 125 E-BIBLIOGRAFIA .......................................................................................................... 128 SITOGRAFIA ................................................................................................................... 130 INTRODUZIONE Verba volant, scripta manent (?)1 Il mio interesse per i libri di testo è dovuto a diverse ragioni; come product manager e tecnico di una azienda di produzione multimediale strettamente collegata ad una casa editrice scolastica, infatti, progetto e produco oggetti formativi digitali a supporto e integrazione dei libri di testo. La mia formazione umanistica, arricchita successivamente con percorsi accademici legati all’ambito della formazione multimediale, inoltre, mi spinge a cercare i fondamenti teorici da tenere presenti nella produzione tecnica dei contenuti; questa stessa necessità mi ha convinta ad iscrivermi alla magistrale in Formazione continua. La questione della “forma” dei libri di testo, portata alla ribalta dalle recenti normative sull’adozione dei libri scolastici, non può essere affrontata esclusivamente in chiave economica o come problematica soltanto tecnica; se è vero, in qualche modo, che “il medium è il messaggio” (come ha felicemente e icasticamente intuito McLuhan già negli anni Sessanta del secolo scorso in Understanding Media: The Extensions of Man), se è vero cioè che la particolare struttura comunicativa di ogni medium lo rende non neutrale ma produce un’influenza sui destinatari del messaggio che va al di là del contenuto specifico veicolato (come confermano numerosi studi in ambito psicologico o pedagogico, e ancor di più nella loro feconda collaborazione in chiave neurodidattica)2, bisogna comprendere bene come “sfruttare” il libro elettronico e gli altri “nuovi” media in ambito scolastico, così come sollecitato dalle normative introdotte in materia. Il modo in cui viene veicolato il sapere per formare il cittadino di domani non è di certo una scelta indifferente; ma quale è, riguardo a 1 Questo antico proverbio latino, che tradotto letteralmente significa “le parole volano, gli scritti rimangono”, trae origine da un discorso di Caio Tito al senato romano e può essere inteso in due modi: se da un lato invita ad essere prudenti nello scrivere, perché gli scritti possono sempre costituire documenti incontrovertibili a fronte di discorsi che possono essere ignorati o dimenticati, dall’altro invita a mettere nero su bianco eventuali accordi, che se restano soltanto “a voce” possono essere facilmente contestabili. Sarebbe interessante comprendere cosa significa profondamente questo proverbio nell’era post-gutenberghiana di Internet. 2 Come ha lucidamente sottolineato Roncaglia, questo rapporto fra medium e messaggio non va inteso in senso deterministico nel senso che «il supporto non determina il testo, il medium non determina il messaggio. A essere determinato – o meglio ad essere aperto – è uno spazio di possibilità, che può essere riempito in modi e forme diverse». L’autore continua ammettendo il rapporto fra le caratteristiche fisiche dei diversi supporti del testo (o dell’informazione) e le diverse tipologie di testi o di informazioni ma, come detto, non li lega in modo meccanicistico. Cfr. Roncaglia G., 2010, La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro, Laterza, Bari. 1 questa questione, il pensiero dei docenti? Sono pronti e disposti ad affrontare questa “rivoluzione”? I docenti sono abituati ad utilizzare computer, tablet, smartphone nella loro vita quotidiana3, ma sono disposti ad introdurli in classe o, peggio ancora, a inserirli in sostituzione e al posto del libro di carta? Conoscono le specificità di ogni medium, inteso sia come dispositivo che visualizza contenuti, sia come strumento attraverso cui avvengono i processi di mediazione simbolica4? Dei libri e degli altri media I diversi media possono essere sfruttati efficacemente nella didattica solo se correttamente utilizzati, incrociandone in maniera positiva le caratteristiche al servizio del raggiungimento degli obiettivi educativi primari per lo sviluppo delle abilità e delle capacità di base degli allievi (ricordare, comprendere, applicare, analizzare, valutare, creare, comunicare, cooperare, secondo una nota tassonomia) ma anche, e soprattutto, con le necessità, delineate già da qualche tempo, di una didattica volta a sviluppare le competenze intese non più semplicemente come prestazione abile, ma come insieme organizzato e azione coordinata di tre componenti: le conoscenze (i dati in possesso del soggetto, il “sapere”), le abilità (i modelli operativi del soggetto, il “saper fare”), le meta-qualità (i dispositivi di controllo e di elaborazione, il “saper essere”, la consapevolezza delle risorse mobilitate, le strutture di interpretazione, le strutture di azione, le strutture di autoregolazione)5. Per ottenere questo risultato nella maniera più efficiente ed efficace possibile, di là dalle “forzature” normative che vorrebbero incrementare (se non imporre) l’utilizzo del digitale a scuola, è necessario 3 Per approfondire l’argomento si suggerisce la gradevole lettura del volume di Maragliano R., 2013, Adottare l’e-learning a scuola. L’opera è disponibile esclusivamente in e-book ed è stata pubblicata attraverso Narcissus.me, una piattaforma di auto-pubblicazione. 4 Il primo strumento a disposizione dell’uomo è stato, sin dall’epoca preistorica, il suo stesso corpo, con cui era in grado di esprimersi attraverso gesti e suoni; la pietra con cui l’uomo preistorico disegnava i graffiti fu il suo primo “medium” esterno. La tradizione orale delle conoscenze tramandate da genitore a figlio, in seguito, ha avviato un processo evolutivo che ha portato a definire come media fondamentali tre principali veicoli d’informazione: il testo scritto, le immagini, i suoni. Nell’età moderna e contemporanea, è interessante notare come non sia stata sostanzialmente alterata la natura di questi media: l’uomo impara sempre e comunque dal testo scritto (dal papiro, ai codici medievali, al testo stampato, all’ipertesto o all’e-book), osservando le immagini (dai primi graffiti, ai disegni, alla fotografia e ai filmati) e attraverso la voce dell’insegnante (anche la funzione di mediazione del suono resta intatta). 5 Cfr. Trinchero R., 2006, Valutare l’apprendimento nell’e-learning. Dalle abilità alle competenze, Edizioni Erickson, Trento. 2 un uso oculato e ben congegnato del sistema dei media, tenendo conto della specificità di ognuno, e partendo da una consapevolezza apparentemente banale, ma spesso ancora sottovalutata: il libro stampato è di per sé un medium, come lo sono le lavagne di ardesia, le penne, e tutti quegli oggetti utilizzati tradizionalmente dai docenti nelle loro lezioni. Nel primo capitolo, a partire dalle novità normative sui libri di testo, cercherò di tracciare una panoramica (che di certo non ha la pretesa di essere esaustiva) sull’evoluzione della scrittura e della lettura e dell’oggetto per tradizione associato alla lettura stessa, il libro cartaceo, e tenterò di delineare velocemente la “storia” del libro di testo per arrivare al suo “modello” più recente, l’e-book, e in particolare alla sua versione multimediale e interattiva. A proposito di come i media e Internet impattano sulla cultura e sulla società, De Kerckhove, parafrasando McLuhan, scrive che: Ogni nuovo medium è una nuova cultura e a ciascuno deve corrispondere una rotazione di identità […]. Urge cominciare a studiare tutte le forme del sapere, chiamate oggi competenze. Multimedialità significa semplicemente competenze composite. Man mano che il discorso si sposta dalla pagina allo schermo e, in modo più significativo, a un ambiente interconnesso, ovvero man mano che il discorso si decentralizza, le definizioni e le relazioni convenzionali subiscono automaticamente un cambiamento sostanziale. Lo spostamento della nostra visione del mondo, dall’individuo alla rete, comporta una radicale riconfigurazione della cultura6. Se il modo in cui un messaggio viene veicolato cambia anche il modo in cui un individuo lo recepisce, appare interessante comprendere questo modo, ossia come apprende la mente? Come le informazioni, una volta apprese, si fissano nella memoria? Come favorire questo fissaggio? In questi processi, come agiscono i diversi media? Col pretesto di descrivere un e-book di testo multimediale e interattivo veicolato dalla piattaforma di fruizione degli ebook di testo attualmente più utilizzata, Scuolabook7, cercherò quindi, nel secondo capitolo, di tratteggiare le caratteristiche principali delle più accreditate teorie sull’apprendimento, per lo più derivate da studi in ambito psicologico oltre che pedagogico (o almeno tenterò di concentrarmi sugli aspetti che di esse reputo interessanti, facendo una selezione, una scelta 6 De Kerckhove D., 2010, The Augmented Mind, trad. it. di Riolo V., 2010, La mente accresciuta, edizione 40K. 7 Scuolabook è una libreria digitale per le scuole secondarie di primo e secondo grado. Tale progetto nasce in concomitanza con la progressiva adozione degli e-book nelle scuole italiane; su questa piattaforma vengono veicolati libri di tutte le case editrici. 3 di campo8), soffermandomi in particolar modo sulle suggestioni che provengono dagli studi di neurodidattica e dalle teorie sociocostruttive e connettiviste; aspetti per me “convincenti” delle diverse teorie dell’apprendimento saranno comunque spalmati trasversalmente nel corso della trattazione dei vari argomenti, in tutti i capitoli, man mano che mi apparirà opportuno. Cercherò di portare avanti, al contempo, una breve disanima delle caratteristiche comunicative e formative dei diversi media9 che possono accompagnare il testo – o nella prospettiva futura già inscritta in qualche modo nella attuale normativa sostituirlo – ampliando i contenuti del libro stampato o elettronico. Fino a qualche anno fa avrei considerato un libro interattivo, in formato PDF e con link ad oggetti multimediali esterni, un’ottima soluzione di compromesso fra tradizione e innovazione, una sorta di cavallo di Troia per portare il digitale a scuola, di “tecnologia invisibile” alla Postman, nell’ottica di un sistema di media che interagiscono sinergicamente ed efficacemente tra di loro per supportare e migliorare i processi di insegnamentoapprendimento10; oggi i libri interattivi proposti dalla maggior parte delle case editrici vengono veicolati e fruiti in piattaforme che ne consentono anche un uso condiviso e collaborativo. Tali piattaforme, peraltro, hanno alcuni degli strumenti tipici dei sistemi LCMS (Learning Content Management System11); il libro di testo (sia nella versione elettronica che cartacea), oltre ad arricchirsi aprendosi ad approfondimenti multimediali, 8 Nella complessa e articolata babele di orientamenti (comportamentismo, cognitivismo, sociocostruttivismo, connessionismo…) tenterò di evidenziare i suggerimenti che mostrano maggiori evidenze nella prassi e che possono essere considerati criteri generali da tenere presenti durante le pratiche didattiche quotidiane; al di là delle specifiche teorie, è chiaro che, nella didattica “reale”, bisogna riflettere su fattori complessi e tener conto di quelli contestuali che determinano in buona parte il successo dei processi di apprendimento. 9 Media come computer, smartphone, tablet e simili, come vedremo meglio, non sono semplici macchine ma apparati di conoscenza, «tecnologie cognitive» (Calvani A., 1999), metafore di un regime mentale caratterizzato da fluidità, contaminazione, interattività. 10 Neanche in quel caso, ovviamente, l’offerta si poteva e si doveva limitare a pericolose e inefficaci trasposizioni/traduzioni dal cartaceo al digitale (rischio paventato tra gli altri da Cambi e Toschi, 2006, p. 39); l’intera offerta formativa rivolta agli studenti, e prima ancora ai docenti, deve essere sempre pensata, già in fase di progettazione delle diverse parti, come un sistema didattico multimediale integrato in cui vengano sfruttate a pieno le diverse potenzialità dei vari media. 11 Questi sistemi consentono l’erogazione dei corsi in modalità e-learning; in particolare i sistemi LCMS riuniscono tutte le funzionalità necessarie alla gestione dei contenuti, della loro articolazione didattica, dell’anagrafica degli iscritti di un corso (e delle loro funzioni in base al tipo di utenza: docente, tutor, studente…) e alla tracciatura delle interazioni tra i diversi utenti e fra gli utenti e i contenuti del corso, anche in base alle eventuali propedeuticità o agli obiettivi formativi prestabiliti. 4 quindi, “si fa collaborativo”: diventa 2.012. Proprio soffermandomi su questi punti tenterò quindi, nel terzo capitolo, di approfondire gli aspetti collaborativi e cercherò di descrivere le caratteristiche della piattaforma social della già menzionata libreria Scuolabook, concentrandomi su quelle tipiche dell’e-learning. Nelle conclusioni, nel trarre i remi dei miei ragionamenti in barca, accennerò velocemente alle possibili evoluzioni dell’e-book di testo nell’immediato futuro, dal libro “liquido”, scevro da qualsiasi formattazione e riconoscibilità grafica, al libro di testo 3.013, corredato da contenuti taggati e raggruppati secondo i criteri del Web semantico14 e arricchito da 12 L’espressione 2.0, associata e riferita inizialmente al Web, è divenuta ormai “alla moda” per descrivere i progressi di una determinata tecnologia; il significato originario, però, sottolineava proprio l’aspetto dell’interazione e della collaborazione tra gli utenti. Si legge su Wikipedia, esempio essa stessa di Web 2.0: «Si indica come Web 2.0 l’insieme di tutte quelle applicazioni online che permettono un elevato livello di interazione tra il sito web e l’utente come i blog, i forum, le chat, i wiki, le piattaforme di condivisione di media come Flickr, YouTube, Vimeo, i social network come Facebook, Myspace, Twitter, Google+, Linkedin, Foursquare, ecc, ottenute tipicamente attraverso opportune tecniche di programmazione Web e relative applicazioni web afferenti al paradigma del Web dinamico in contrapposizione al cosiddetto Web statico o Web 1.0. Il termine Web 2.0 è stato strettamente associato a Tim O’Reilly a causa della Web 2.0 conference di O’Reilly Media alla fine del 2004. Il termine 2.0 è mutuato direttamente dallo sviluppo software nel quale la notazione puntata indica l’indice di sviluppo e successivo rilascio (release) di un particolare software. In questo caso la locuzione pone l’accento sulle differenze rispetto al cosiddetto Web 1.0, diffuso fino agli anni novanta, e composto prevalentemente da siti web statici, senza alcuna possibilità di interazione con l’utente eccetto la normale navigazione ipertestuale tra le pagine, l’uso delle e-mail e dei motori di ricerca». Da http://it.wikipedia.org/wiki/Web_2.0 visionato il 13 ottobre 2014. 13 Sempre da Wikipedia «Il Web 3.0 è un termine a cui corrispondono significati diversi volti a descrivere l’evoluzione dell’utilizzo del Web e l’interazione fra gli innumerevoli percorsi evolutivi possibili. Questi includono: - trasformare il Web in un database, cosa che faciliterebbe l’accesso ai contenuti da parte di molteplici applicazioni che non siano dei browser; - sfruttare al meglio le tecnologie basate sull’intelligenza artificiale; - il web semantico; - il Geospatial Web; - il Web 3D; - il Web Potenziato; - la realtà aumentata; - la fusione dei poli». Da http://it.wikipedia.org/wiki/Web_semantico visionato il 14 ottobre 2014. 14 Con il termine Web semantico, coniato da Tim Berners-Lee co-inventore insieme a Robert Cailliau del World Wide Web, si intende la trasformazione del WWW in un ambiente dove tutti i contenuti pubblicati (le 5 contenuti in realtà aumentata15, fino ai dynamic books, che consentirebbero ai docenti di personalizzare i contenuti del libro di testo, assemblando parti provenienti da più fonti, in maniera dinamica e contestuale. Date queste premesse, quali sono, dunque, gli scenari che si configurano per la scuola? Che fine farà, come si evolverà lo strumento didattico scolastico per antonomasia, cioè il libro, il cosiddetto manuale? Quali standard prevarranno e per quanto tempo? Questo mio lavoro, lungi dal voler/poter rispondere a tutte queste domande16, piuttosto che presentarsi come una mera compilazione che approfondisce un unico aspetto in maniera esaustiva (per quello ci sono già tanti ottimi manuali specialistici), si offre come lettura personale dello stato dell’arte sulle tecnologie educative a scuola, spaziando tra argomenti molto ampi e apparentemente distanti tra loro attraverso un esame trasversale che investe aspetti storici, pedagogici, psicologici, sociologici, tecnologici. Nella stesura dei contenuti ho cercato di tenere presenti in mente, come primi destinatari “ideali” e “immaginati”, proprio i docenti17 meno skillati nelle nuove tecnologie educative, con lo scopo, forse un po’ ambizioso, di aprire spunti di riflessione sugli scenari che si configurano rispetto al modo di formare oggi in Italia, nei contesti formali dell’educazione, proprio a partire dai cambiamenti in atto su ciò che è stato uno dei simboli più immediatamente associato alla scuola: il libro. pagine HTML, i filmati, le immagini, e così via tutti gli altri formati di documento) sono associati ad informazioni e dati (metadati) che ne specificano il contesto semantico in un formato che si presta all’interrogazione e all’interpretazione (ad esempio tramite motori di ricerca intelligente) e, più in generale, all’elaborazione automatica; il Web semantico renderebbe possibili ricerche molto evolute, basate sulla presenza nel documento di parole chiave, e altre operazioni complesse, ad esempio la costruzione di reti di relazioni e connessioni tra documenti secondo logiche più elaborate del link ipertestuale. 15 Quello della realtà aumentata (dall’inglese augmented reality) è un sistema di grafica interattiva che permette di intervenire su un flusso di immagini aggiungendo in tempo reale contenuti ed animazioni virtuali (video, audio, oggetti, 3D). Si possono inserire elementi che “aumentano” la realtà attraverso dispositivi mobili (ad esempio uno smartphone), attraverso un PC dotato di webcam o di altri sensori, mediante dispositivi di visione (ad esempio occhiali a proiezione sulla retina), di ascolto (auricolari) e di manipolazione (guanti) che connettono informazioni multimediali alla realtà normalmente percepita. Può considerarsi una evoluzione della realtà virtuale, una sorta di interazione tra reale da una parte e reale ricostruito virtualmente dall’altra. 16 Come diceva Manzoni nel suo componimento poetico scritto in occasione della morte di Napoleone Bonaparte, Il cinque maggio, «ai posteri l’ardua sentenza». 17 Specialmente a quelli di ambito umanistico che, spesso, sono vittime/autori del pregiudizio per cui tecnologie come il PC andrebbero bene soltanto per le discipline di ambito matematico-tecnico-scientifico. 6 CAP. 1 - BREVE STORIA DI UN MEDIUM ORMAI INVISIBILE: IL LIBRO C’è chi stima i libri dal loro peso, quasi che si scrivesse per fare esercizio di braccia più che di ingegno18. Le normative sulle adozioni dei libri di testo Il decreto ministeriale n. 781/2013, firmato dal ministro Carrozza il 27 settembre 2013, abrogando il precedente decreto n. 209 del MIUR del 26 marzo 201319, stabilisce che a partire dall’anno scolastico 2014/2015 i docenti possono adottare (“limitatamente alle nuove adozioni e non per le conferme di adozione”)20, libri di testo disponibili o nel solo formato digitale o in un formato cosiddetto “misto”, ossia in configurazioni di vendita che prevedano sia il formato digitale che quello cartaceo. Tale formato misto può presentarsi a sua volta in due modalità, una in cui il libro di testo in versione cartacea è accompagnato da contenuti digitali integrativi (forma mista di tipo A), l’altra in cui il libro di testo viene fornito sia in versione cartacea che digitale ed è accompagnato da contenuti digitali integrativi (forma mista di tipo B). Procedendo nella lettura dell’allegato si scopre che la modalità mista di tipo A è considerata “residuale”, ancora ammissibile ma non “caldeggiata” per l’anno scolastico 2014-15, e non è ritenuta funzionale alla necessità di avviare in maniera efficace e diffusa la transizione verso il libro di testo digitale, e di promuovere la relativa “formazione e sensibilizzazione” dei docenti. Il Ministero, infatti, suggerisce sia alle scuole che ai fornitori di contenuti di orientarsi verso la modalità mista di tipo B; gli editori che hanno proposto contenuti nella modalità mista di tipo A sono stati 18 Baltasar Gracián y Morales, 1647, Oráculo manual y Arte de prudencia, trad. it. di Gasparetti A., 2002, Oracolo manuale e arte di prudenza, TEA, Milano. 19 Il decreto, firmato dall’allora ministro Profumo, annoverava, tra le principali novità, la disposizione “immediata” per i Collegi dei docenti di adottare, dall’anno scolastico 2014/2015, solo libri nella versione digitale o mista (il decreto successivo lo pone in termini di possibilità e soltanto per le nuove adozioni, non per le conferme di adozione). In questo decreto il libro in versione mista è composto da due parti, adottabili in maniera disgiunta: una parte “testuale-narrativa, descrittiva-esplicativa”, in formato cartaceo o digitale, che contiene i fondamenti della singola disciplina, e una parte di contenuti digitali integrativi. Il testo del decreto, non più disponibile sul sito del MIUR, è stato da me visionato il giorno 11/10/2014, all’indirizzo http://2.flcgil.stgy.it/files/pdf/20130408/decreto-ministeriale-209-del-26-marzo-2013-libri-di-testo-in-formatodigitale.pdf. 20 Il testo completo del decreto è disponibile all’indirizzo, da me visionato in data 11/10/2014 http://www.agid.gov.it/sites/default/files/leggi_decreti_direttive/decreto_libri_digitali_0.pdf. 7 tenuti a fornire contenuti digitali aggiuntivi collegabili (con funzione di integrazione, di allargamento o di approfondimento) al libro di testo, e a prevedere, all’interno del libro cartaceo, specifiche indicazioni sulla presenza di tali contenuti. La disponibilità del libro di testo nel doppio formato (forma mista di tipo B, appunto) non implica che il libro di testo digitale debba essere una semplice trasposizione della versione cartacea: al contrario, la versione digitale del libro di testo – pur riprendendo l’organizzazione strutturale, narrativa, argomentativa dei contenuti presente nella versione cartacea – dovrà sfruttare al meglio, almeno secondo le indicazioni ministeriali, le potenzialità del digitale, in particolare nel campo dello storytelling multimediale e della visualizzazione delle informazioni. Il decreto delinea quindi le caratteristiche tecniche del libro di testo “del futuro”, che come visto dovrà essere sempre meno “di carta”, ma, soprattutto, dovrà essere fruibile su tutti i supporti digitali (tablet, PC, LIM di produttori diversi), in modo da lasciare la massima libertà nell’acquisto a famiglie, insegnanti e istituti scolastici. Nell’allegato al decreto vengono fissati paletti ben precisi riguardo alle caratteristiche degli e-book21 sul piano didattico e contenutistico (sul piano tecnico, data la consapevolezza della rapida obsolescenza dei formati, si invita semplicemente a ricercare soluzioni multipiattaforma, ricorrendo a standard aperti e pubblicamente documentati); i libri di testo, anche nella versione elettronica, dovranno continuare ad essere conformi ai piani di studio stabiliti dalle indicazioni nazionali, dovranno offrire un’esposizione autorevole degli argomenti e organizzare contenuti complessi in un percorso narrativo efficace attraverso infografiche, animazioni, tabelle, contenuti audio e video. Al contempo (e a mio avviso non senza una certa contraddizione) la norma prevede che, sempre a decorrere dall’anno scolastico 20142015, gli istituti scolastici possano elaborare il proprio materiale digitale per specifiche discipline e utilizzarlo al posto del libro di testo e come strumento didattico di riferimento. Se si pensa che appena quattro anni fa la normativa relativa alle adozioni dei libri di testo per l’anno 2010/2011 considerava “misti” quei libri di testo che si componevano di una parte cartacea e di una parte digitale che integrava, aggiornava ed espandeva la parte cartacea attraverso materiali e strumenti multimediali, appare abbastanza chiara la traiettoria disegnata (o quanto meno desiderata) dal governo per i prossimi anni22; la svolta 21 Tra le varianti di scrittura consentite, ho preferito la forma con il trattino, che separa la e di electronic dalla b (minuscola) di book; eventuali altre forme sono presenti nelle citazioni per fedeltà alle fonti. 22 La circolare ministeriale n. 16 del 10 febbraio 2009 ha fornito indicazioni e dettato istruzioni per l’adozione dei testi scolastici nelle scuole di ogni ordine e grado relativamente all’anno scolastico 2009/2010, indicazioni riprese anche per l’anno scolastico successivo. “A quel tempo” i libri misti dovevano essere conformi a delle 8 “tecnicistica” che si delinea all’orizzonte (pur tra i vari dietro front e ridimensionamenti legati alla valutazione della condizione effettiva delle infrastrutture scolastiche in Italia) sembra quasi ribaltare la situazione relativa alla diatriba tra “apocalittici” e “integrati” (per utilizzare l’ormai famigerata contrapposizione, felice invenzione di Umberto Eco) sbilanciandola a favore degli integrati. La questione dei libri digitali per la didattica scolastica tratteggiata brevemente ha una portata di innovazione ampia, tanto da offrire a Maragliano, nel giugno 2013, il pretesto per una nuova edizione del suo Adottare l’elearning a scuola, a poco più di due anni dalla prima stesura. Già nella finanziaria del 2008, all’art. 15, «i competenti organi individuano preferibilmente i libri di testo disponibili, in tutto o in parte, nella rete internet» invitando di fatto da un lato gli editori a mettersi al passo con la produzione e dall’altro le scuole a dare preferenza a libri pensati per fare in modo che «gli studenti accedono ai testi disponibili tramite internet, gratuitamente o dietro pagamento a seconda dei casi previsti dalla normativa vigente», facendo da apripista al decreto ministeriale sui libri misti dell’8 aprile 2009. A questo “allarme” (anche nell’azienda in cui lavoro, collegata ad una casa editrice scolastica, è come “allarme” che abbiamo inizialmente vissuto questo “fulmine a ciel sereno”, prima di potere cogliere la sfida come opportunità) è seguito, come ricorda lo stesso Maragliano, un silenzio interrotto, di tanto in tanto, dalle opinioni contrastanti di chi, da un lato, considerava dolorosamente anti-intellettuale una scelta così procellosa e chi, dall’altro lato, considerava invece vantaggioso alleggerire gli zaini degli studenti “appesantendo” di contro i portafogli dei genitori. Nel 2013, come si è visto, a marzo con il ministro Profumo, e a settembre, a stretto giro di vite, con il ministro Carrozza, “ricompare” il tema del libro elettronico, affiancato stavolta da un’altra questione, quella delle piattaforme, ossia degli spazi di rete destinati ad accogliere e a sostenere l’uso dei libri digitali o dei materiali prodotti o norme tecniche, esplicitate nell’allegato 1a del D.M. 8 aprile 2009, n. 41, in cui venivano indicate alcune caratteristiche imprescindibili della parte digitale dei libri misti: - disponibilità di contenuti on-line scaricabili; - impiego di formati diffusi e non “proprietari”; - compatibilità con i più diffusi sistemi operativi; - multimedialità ed interattività; - presenza di sommari navigabili; - possibilità di inserire evidenziazioni e annotazioni; - possibilità di beneficiare di funzioni di aiuto, guida in linea, funzioni di ricerca; - aggiornabilità attraverso la rete Internet. Vedi http://www.istruzione.it/web/istruzione/cm23_10 visionato il 12 ottobre 2014. 9 selezionati da docenti e studenti. Leggendo attentamente i due documenti, emerge il sentore che la digitalizzazione auspicata non riguardi soltanto i libri, ma coinvolga l’ambiente più generale entro cui inserirli e utilizzarli. Se la scuola è uno spazio simbolico condiviso e al contempo uno spazio fisico in cui si incrociano biografie differenti, che trovano un punto di contatto in obiettivi comuni e in una ritualità che rende quelle biografie “comunità” immerse in flussi di comunicazione più o meno formativa, appare evidente che ogni cambiamento di ambiente, fisico o virtuale che sia, ha ripercussioni sulle biografie, sulla ritualità e sulla comunicazione stessa; se poi consideriamo che ogni medium è portatore di un nuovo linguaggio, risulta ancor più chiaro che il cambiamento annunciato non è di poca importanza. Nella fattispecie il libro di testo, strumento fino ad oggi (o forse è meglio dire fino a ieri) insostituibile nella didattica, rappresenta l’esplicitazione dei curricula disciplinari; su di esso, oltre che sugli altri apparati testuali di supporto allo studio, sono impressi i modelli didattici, le strategie e i metodi praticati dai docenti che lo adottano, e insieme a cattedra, banchi, gessetti ha a lungo rappresentato, nell’immaginario collettivo, la comunità scuola. Se è vero, come credo insieme a molti autori, che non c’è esperienza di educazione che possa avvenire al di fuori di uno scambio comunicativo e che, viceversa, ogni scambio “realmente” comunicativo implica un qualche tipo di formazione, allora cambiando uno o più elementi (in questo, banalmente, il canale, ma anche il codice) è inevitabile che la portata del cambiamento auspicato dal Governo vada ben oltre l’alleggerimento dello zaino o il risparmio per le famiglie (risparmio che, peraltro, è poco più che una mitologia per diversi motivi, non ultimo il fatto che la vendita di prodotti digitali, qualificati come servizi, è stata soggetta, almeno fino alla fine del 2014, ad una tassazione maggiore rispetto alla vendita di libri cartacei). L’uso di un determinato mezzo comunicativo dà una particolare configurazione al sapere che mette in scena; per restare in tema di libri, ad esempio, «leggendo non solo ci si educa alla lettura ma ci si educa anche a concepire il sapere (e al limite pure il mondo) come un oggetto di lettura. C’è dunque un elemento di pedagogia implicita in ogni pratica comunicativa» (Maragliano R, Pireddu M., 2012). Il digitale, d’altro canto, permettendo di collegare codici affidati a supporti fra loro in parte incompatibili (codice visivo, audio, scrittura…), ha consentito di collegare ciò che era da sempre diviso, avviando la generazione di una grammatica mai sperimentata prima, con incredibili potenzialità conoscitive e di possibile lettura, scrittura, e quindi interpretazione della realtà. Con l’apertura agli spazi di Rete poi, con la mole di informazioni disponibili (si pensi a Google o a Wikipedia), nessun libro di testo di carta risulta capace di reggere il confronto; eppure, che piaccia o meno, molta della storia della scuola è stata fatta, fino ad oggi, da 10 questi “oggetti”, anche quando in passato, sulla scia di pedagogie all’avanguardia, si è cercato di riprodurli in proprio all’interno delle classi. Fiore (2010, p. 140) nel suo articolo Per amore o per forza? Note a margine sull’obbligatorietà dei libri di testo [introduzione alla omonima tavola rotonda] presentato in occasione dell’eBookFest23 del 2010 sottolineava che «Il libro di testo non è un libro qualsiasi e la sua storia non è assimilabile a quella del libro tout court. Lo specifico contesto di utilizzo ha fatto sì che nel tempo potesse essere contraddittoriamente usato tanto come potente strumento di controllo culturale [...] quanto come garanzia di libertà d’insegnamento, non dismettendo mai il ruolo implicito di “metronomo” del progressivo e regolare svolgersi del “programma”, qualunque esso fosse. La sua storia s’intreccia strettamente con quella di un modello trasmissivo fondato su una “gestione burocratica del sapere” [...] regolata secondo l’articolazione disciplinare delle conoscenze e una relazione comunicativa uno-a-molti, asimmetrica e unidirezionale». I “perché” della normativa Di certo è innegabile che i libri di testo oggi, da soli, non sono più in grado di contenere l’enorme mole di informazioni in costante aumento, né le innumerevoli sollecitazioni a conoscere o interpretare al meglio quella dimensione “liquida” del sapere che si profila di fronte alla mente di chi apprende24; gli studenti di oggi, immersi più che i loro predecessori in un mondo caratterizzato da movimento, suono, colori, un mondo in cui più che in passato (e verosimilmente meno che in futuro) è necessario essere “sempre connessi”25 e “sempre in linea”, possono considerare fin troppo litico e quasi respingente un sapere “cristallizzato” soltanto nella forma libro. I teenager oggi sono abituati a cercare in Rete la risposta alle loro domande (siano esse relative a uno sport, ai sentimenti, a un manga…), spesso senza avere una adeguata conoscenza della “ortografia” e della “sintassi” di Internet; introdurre il libro 23 L’eBookFest è una manifestazione di tre giorni che si svolgeva prima annualmente, e prevedeva vari convegni sulle tematiche dell’editoria digitale. 24 Molti studiosi affermano che il totale della conoscenza umana è raddoppiato nel periodo 1800-1900, è raddoppiato ancora tra il 1900 e il 1950, ancora tra il 1950 e il 1960, ancora ogni cinque anni a partire dal 1960 e che dovrebbe raddoppiare ogni settantatré giorni a partire dal 2020 e Gardner, nel 2005, sosteneva che la conoscenza raddoppia ogni uno o due anni; appare dunque chiaro che non si può pensare di immobilizzare lo scibile umano soltanto all’interno di volumi immutabili, per quanto “voluminosi” (mi si perdoni il gioco di parole, ma il poliptoto rende bene l’idea). 25 Il concetto si ritrova, tra gli altri, in De Kerckhove D., 2010. 11 elettronico e gli oggetti formativi multimediali appare quindi una necessità primaria per istruire i giovani ad “apprendere ad apprendere”, in un contesto globale in cui il sapere risulta sempre più soggetto a continue negoziazioni e ibridazioni. La scuola oggi, oltre ad essere il ponte tra gli studenti e il contenuto più che la fonte del contenuto come in passato, deve fornire le chiavi di lettura corrette per interpretare questo contenuto26, coadiuvando il processo attraverso il quale gli allievi sviluppano autonomamente strategie di autoapprendimento: orientarsi verso scelte multimediali potrebbe favorirla in questo suo ruolo. Se si legge attentamente il decreto, però, ci si accorge che questo, oltre a richiamare un necessario “svecchiamento” degli strumenti e delle metodologie didattiche richiesto anche dal cambiamento del mercato del lavoro27, fa emergere a tratti che una motivazione importante a vantaggio degli e-book di testo va rintracciata nella necessità di abbassare i tetti di spesa per le famiglie (passando alle specifiche dei volumi cartacei, la prima caratteristica elencata invita all’uso di materiale cartaceo di costo contenuto); tale impressione risulta avvalorata leggendo o ascoltando le interviste dei governanti e degli stakeholders28. 26 «In a classroom course, we typically think of teaching as dispending knowledge, but today, knowledge is readily available (for example, over the Internet), so faculty are no longer the keepers of the knowledge. Instead faculty now explain that information, explore how to make connections with it, decipher what is most important, explain how it matters to everyday life, and so forth. Dispensing knowledge is something a machine can do, and faculty are much more talented and useful than any machine. Our role now is to make sure that information is presented in a way that is relevant, understandable, memorable and useful to the students» (Smith R.M., 2008, Conquering the content: a step-by-step guide to online course design, John Wiley & Sons, San Francisco, CA, USA, p. 15). 27 «La questione non è che la scuola deve cambiare perché il digitale impone il cambiamento, ma perché è cambiato il mondo e si sono rotti gli schemi. Stanno cambiando i modelli di consumo e i modelli di business e abbiamo poche certezze. In questo contesto la scuola deve preparare i giovani ad avere un ruolo nell’economia del 21° secolo. Il linguaggio è diverso e per la prima volta nella storia gli studenti ne sanno più degli insegnanti in quanto all’uso degli strumenti tecnologici. Il compito dei docenti resta centrale ma non come depositari del sapere, ma come abili navigatori in grado di guidare i giovani alla scoperta e alla comprensione con spirito critico delle tante fonti di cui oggi possiamo disporre. È una grande operazione necessaria. Ci sono già molti innovatori nella scuola italiana ma vanno portati a sistema»: queste le parole di François de Brabant, fondatore di Between, importante azienda che offre servizi a supporto dello sviluppo del business tramite l’uso dell’ITC, in un’intervista visionata all’indirizzo http://www.corrierecomunicazioni.it/pa-digitale/29932_debrabant-cambiare-per-cambiare-solo-cosi-si-fa-l-italia-digitale.htm il 12 ottobre 2014. 28 Sulla stessa scia, del resto, risultava la riforma precedente; il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, proprio al fine di limitare il costo dei libri di testo e di potenziare la disponibilità e la fruibilità (a costi contenuti) di testi, documenti e strumenti didattici da parte delle scuole, degli alunni e delle loro famiglie, a partire 12 Ad una analisi non ingenua, però, appare evidente che, a fronte della presunta riduzione dei costi legata allo snellimento – quando non all’azzeramento totale – del numero di pagine stampate (presunto anche quello, dal momento che i docenti si aspettano comunque sulla versione cartacea dei volumi stampati molto materiale da utilizzare in maniera personale, quasi che il libro stampato – ironia dei rovesciamenti di sorte e di ruoli – debba garantire la mole di dati presenti su Internet), una buona opera di editoria scolastica mista, che non si limiti a fornire su Internet come contenuti integrativi pagine statiche del tutto uguali a quelle del libro, richiede un incremento di costi per produrre materiali multimediali validi, che necessitano di professionalità ben specifiche, con competenze sia tecniche che didattiche29; il risparmio, quindi, può esserci nella versione elettronica “liscia” dei libri, per via dell’abbattimento dei costi della carta e della stampa, ma non nella versione elettronica “arricchita ed estesa”30. dall’anno scolastico 2011-2012 spingeva il collegio dei docenti ad adottare esclusivamente libri utilizzabili nelle versioni on-line scaricabili da Internet o in forma mista. Cfr. http://www.camera.it/parlam/leggi/08133l.htm, visionato il 23 ottobre 2014. 29 In un articolo dell’eBookFest dal titolo Re-inventare la redazione: nuove competenze redazionali per l’editoria scolastica digitale [introduzione alla omonima tavola rotonda], Vigiani (2010, pp. 159-160) già intuiva che «L’evoluzione dei prodotti, insomma, non è repentina né eclatante, eppure si avverte, specie nella fucina editoriale: la mole del materiale da vagliare e assemblare aumenta; la filiera si infittisce con l’ingresso di nuovi attori legati al mondo del digitale e del multimedia; strumenti, processi e linguaggi che la redazione si trova a “maneggiare” evolvono. Tutto ciò avviene spesso in presenza di politiche di contenimento dei costi aziendali e all’interno di un mercato del lavoro sempre più asfittico e precarizzato. Non solo: stante il particolare ciclo di vita del libro di testo i tempi di produzione sono rimasti invariati a fronte di un’accresciuta complessità del lavoro. Nelle case editrici si potenziano i reparti di progettazione multimediale e si introducono figure di raccordo tra la redazione e i fornitori di oggetti digitali. [...] Occorre infatti ricordare che un libro di testo, quale che sia la sua riuscita, è comunque un’impresa collettiva a cui concorrono figure professionali in possesso di competenze che non possono essere improvvisate. Allo stesso tempo, le aziende editoriali sono ad oggi le uniche organizzazioni in grado di [...] realizzare un prodotto che sia contemporaneamente affidabile, ben strutturato e funzionale». 30 È innegabile che gli e-book “lisci” costino di meno anche all’utente/lettore finale: anche io ho acquistato molte delle opere presenti in bibliografia in formato elettronico, anche perché, a fronte di una spesa di molto inferiore rispetto a quella per la corrispondente versione brossura di alcuni libri, trovo estremamente comodo, in certi casi, poter accedere velocemente a scritti di vari autori; qualche autore, inoltre, ha deciso di pubblicare alcuni titoli esclusivamente in e-book. Il rovescio della medaglia, ahimè, è che spesso, pagando con carta di credito e cifre basse, si è presi da una furia oniomaniacale per cui, non avendo contezza del denaro speso, si acquista in maniera acritica, comprando anche volumi che visti dal vivo in libreria non si sceglierebbero mai. La vita frenetica e il poco tempo libero, però, ormai, mi spingono ad acquistare quasi sempre on-line a scatola 13 Le resistenze dei docenti La strada tracciata dalla normativa è destinata, gioco forza, a scatenare polemiche, paure o quanto meno perplessità, soprattutto, ma non solo, tra gli insegnanti, ai quali oggi sembra chiesto di essere tutto e il contrario di tutto, persino, sovente, di sostituirsi ad altre figure nel percorso che conduce i giovani alla propria autonomia e li rende cittadini consapevoli ed eticamente attivi (genitori, psicologi…); i riferimenti normativi e le emergenze didattiche su cui devono focalizzarsi (portfolio, didattica per competenze, attenzione ai Bes, solo per citarne qualcuna oltre, ovviamente, la forma del libro di testo da adottare, oggetto di questo lavoro), inoltre, cambiano frequentemente. Spesso i docenti, a scuola, sembrano lasciati a sé stessi e alla propria iniziativa personale, chiamati a combattere come paladini contro i vasti ambiti della educazione informale invasi sempre più dal pervasivo sistema dei media. In un contesto in cui il ruolo dell’insegnante vive il paradosso di essere da un lato investito di numerose e variegate funzioni, importantissime per la corretta socializzazione delle nuove generazioni, dall’altro di vedere svilito il proprio status nell’immaginario collettivo, può risultare estremamente utile e qualificante avere a disposizione concreti aggiornamenti e supporti che si affianchino costantemente alla pratica più o meno spontaneistica e forniscano alla stessa prassi quotidiana gratificanti appigli teorici e pragmatici a cui agganciare la crescente importanza e l’indiscutibile dignità di questa professione. Nella società odierna, ancora più che in passato, i problemi e i quesiti riguardo ai dispositivi umani, sociali e tecnologici che possono favorire apprendimenti e costruzioni di conoscenze nei diversi ambiti, impongono l’acquisizione di un’identità di ruolo più chiara rispetto allo specifico ambito e alle metodologie impiegate. Se la didattica si costituisce come mediazione simbolica, come ambito conoscitivo che, tenendo conto dei molteplici contesti, si fa carico di promuovere azioni progettuali, attuative, valutative, negoziative atte a favorire una conoscenza di migliore qualità ed efficacia, prospettando, allestendo e mettendo in funzione specifici dispositivi formativi, bisogna ricordare che tale valore simbolico lo esplica tradizionalmente (ma non più esclusivamente) all’interno di istituzioni formative predisposte per favorire processi acquisitivi, istituzioni a loro volta inserite in più ampi contesti. chiusa, a meno che non ci sia un’anteprima digitale su Google books o su Kindle; il classico cane che si morde la coda. D’altro canto, per la maggior parte delle mie letture “di piacere” preferisco di gran lunga il fruscio della carta, il rumore della matita sul foglio, l’odore del libro appena spacchettato: chissà se anche queste suggestioni appariranno sconosciute alle generazioni successive. 14 L’expertise didattica deve consentire al formatore esperto di acquisire nuove competenze attraverso adeguati aggiornamenti che permettano la fruizione delle nuove evidenze offerte dalla scienza, di valutarne le implicazioni culturali, di comprendere gli elementi caratterizzanti una situazione e prevedere evoluzioni, di elaborare progetti articolati criticamente, di selezionare tecniche e strumenti opportuni… tutto in virtù di capacità e competenze prodotte da esperienze personali e da modelli interiorizzati, ma anche grazie a competenze acquisite attraverso la formazione, quindi formali. La mia piccola esperienza con gli insegnanti, ogni qual volta mi sono trovata a parlare con piccoli gruppi di docenti informalmente o in circostanze in cui dovevo parlare loro sul possibile uso didattico dei media, registra proprio il loro disagio rispetto alla percezione di mancata formazione, o meglio: la formazione impartita ai docenti spesso si limita a informazioni tecnicistiche che non forniscono indicazioni o suggerimenti su come utilizzare i dispositivi digitali e perché. A ciò si aggiunge il fatto che, spesso, se la funzione ludicoricreativa della tecnologia appare diffusamente riconosciuta dai docenti, la tecnologia come risorsa “educativa” spaventa e spiazza. Ancora oggi è in atto, in parte, il conflitto da un lato fra coloro che rifiutano aprioristicamente l’idea che le tecnologie abbiano una significativa relazione con i processi conoscitivi (o che sono giustamente perplessi rispetto ad una loro introduzione acritica a scuola) e che sostengono che la tecnologia non influenza affatto la forma della mente, e coloro che dall’altro lato tendono ad immaginare un sostanziale isomorfismo tra macchina e mente, per i quali una buona tecnologia comporta tout court una buona qualità dell’attività conoscitiva. In realtà occorre promuovere un ricollocamento e, spesso, un ridimensionamento del rapporto tra tecnologie e processi cognitivi, liberandosi tanto da apriorismi quanto da soluzioni riduttivistiche, partendo dalla considerazione che l’utilizzo dei media non è in sé né buono né cattivo; “µέσον τε καὶ ἄριστον” (leggi “méson te cài àriston” letteralmente “il mezzo è la cosa migliore”) scriveva già Aristotele, e con una piccola forzatura sulla corretta versione latina dell’espressione potrei dire “in media stat virtus” (letteralmente “la virtù sta nelle cose che sono in mezzo”), considerando il plurale media nella sua polisemanticità, e solo accarezzando la suggestione insita nella parola virtus, che ha la stessa radice di vis, “forza, vigore, potenza” (e che richiama la parola vir, “uomo”) da cui deriva la parola “virtuale”31. 31 Per Pierre Levy il virtuale non si contrappone al reale e nulla ha a che fare con l’immaginario e l’illusorio, ma è un modo di essere fecondo, che concede margine ai processi di creazione; il passaggio dal virtuale all’attuale è un processo di trasformazione da una modalità dell’essere a un’altra. 15 Per trasformare l’imposizione dall’alto dei media in una reale opportunità educativa, è necessario non tanto averne una conoscenza tecnicista (a nessun docente – almeno fino ad oggi – viene imposto di scrivere il proprio libro di testo, così come a nessun docente è chiesto di essere un produttore di contenuti multimediali) ma conoscere per larghe linee le basi pedagogiche sottese all’utilizzo dei diversi media in modo da poterli utilizzare criticamente e con consapevolezza. Si tratta di una reale opportunità, dal momento che una riflessione simile non è più stata fatta; negli ultimi 50 anni almeno, gli insegnanti hanno solitamente portato in aula il modo di insegnare dei propri docenti, senza avere la possibilità di fermarsi a riflettere criticamente sulla struttura-lezione. Come ho detto, in media stat virtus, e anche in questo caso una posizione critica, obiettiva, ma soprattutto consapevole mi pare essere, forse lapalissianamente, la via migliore. Anche solo limitandosi alla faccenda del libro elettronico (tralasciando al momento la questione sugli altri media a scuola), tra i docenti prevale spesso una visione apocalittica, per cui il libro elettronico viene vissuto come nemico e antitetico al libro; raramente viene considerato una soluzione al problema della conservazione e della disseminazione dei contenuti, un’occasione per rilanciare l’idea umanistico-utopistica dell’accesso universale e incondizionato alla conoscenza, un valido aiuto «nell’attuazione di strategie di coinvolgimento o di supporto orientate ai cosiddetti “lettori riluttanti” (reluctant readers)» come invece lo vede, tra gli altri, Rotta32. Un sondaggio lanciato su Facebook dalla redazione della rivista didattica OrizzonteScuola.it nel settembre 2014 per tastare il punto di vista dei docenti ha messo in evidenza che una grande percentuale di docenti spera che l’adozione dei libri digitali non conduca ad una sostituzione di quelli cartacei, ma che al massimo i libri elettronici si affianchino a quelli tradizionali. Uno dei motivi della diffidenza degli insegnanti nei confronti dell’uso dell’ebook nei contesti educativi è rappresentato non tanto dall’inadeguatezza degli stessi rispetto a queste tecnologie (nella vita “privata”, infatti, anche gli insegnanti le utilizzano) ma dal timore che utilizzarle in classe possa rendere visibili loro carenze e lacune sul piano metodologico e didattico, possa mostrarli in qualche cosa impacciati, coglierli impreparati ad eventuali imprevisti (ad esempio una schermata che si blocca), possa forse rivelarli per ciò che sono, ossia esseri fallaci e umani. L’e-book viene inoltre messo nel mazzo delle “diavolerie tecnologiche”, accusate spesso di essere all’origine di comportamenti negativi dei minori e di danneggiare esplicitamente le loro attività di apprendimento; una delle preoccupazioni maggiori nei confronti dell’utilizzo dei media digitali da parte dei giovani 32 Rotta M., Bini M., Zamperlin P., 2010, Insegnare e apprendere con gli ebook, Garamond, Roma. 16 risiede da sempre (o almeno dall’inizio delle riflessioni pedagogiche sui media digitali a scuola) nella paura che essi si possano «appiattire sul fare e sulla interazione immediata» (Calvani A., 1999, p. 9), annichilendo la propria capacità di riflettere e di interiorizzare e perdendo quella complessità a cui la scuola dovrebbe educare. È un paradosso, ma il libro elettronico si trova a condividere la sorte delle altre tecnologie, verso le quali si prova una diffidenza spesso legata alla paura che venga abbandonato il codice alfabetico e venga sottovalutato il libro, che tanta importanza ha rivestito all’interno della scuola dall’Ottocento ad oggi (almeno nelle scuole occidentali) fino a identificarsi con la scuola stessa. La tecnologia del libro, oggetto culturale e non naturale Il libro, infatti, non è una semplice risorsa, non è solo un oggetto concreto e tangibile, ma è il simbolo di un modello culturale di portata generale. Per inquadrare nel modo corretto l’e-book (e via via gli altri media digitali) occorre considerare anche il suo corrispettivo “materiale” come una tecnologia, e quindi ritenerlo un oggetto “artificiale” e non “naturale” nonostante la maggiore familiarità che abbiamo quasi geneticamente acquisito nei suoi confronti. Se infatti è vero, come è vero, che ha ragione «chi sostiene che la tecnologia è quella cosa che esiste finché non viene interiorizzata» (Maragliano, 2013)33; non nuoce allora ricordare che l’introduzione della stampa, l’accettazione della nuova tecnologia34 e il passaggio dal testo manoscritto (ars naturaliter scribendi) al testo stampato (ars artificialiter scribendi) sono state fasi di certo non pacifiche per la società. Se si va ancora indietro nel tempo si scopre che la diffidenza della 33 Maragliano continua dicendo (e mi ritrovo perfettamente nelle sue parole) «dunque, per me, assuefatto al digitale, computer smartphone e tablet non sono tecnologia, o meglio non lo sono più, essendo parte della mia vita; esattamente così, per il docente tipo, assuefatto alla stampa, libro giornale manifesto non sono tecnologia, ma parte della sua vita». 34 “Tecnologia” è una parola composta che deriva dal termine greco τεχνολογία (leggi “tecnologhìa”) a suo volta composto da due termini, τέχνη (leggi “tékhne” cioè “arte, tecnica, abilità”) e λογία (leggi “loghìa”, diminutivo di λόγος, ossia “lògos”, “discorso, parola, ragionamento”). Letteralmente, quindi, la tecnologia è un “discorso (o ragionamento) sul sapere fare”: è tecnologia l’insieme di strumenti fisici e concettuali che si collocano tra la scienza e la tecnica, ossia il frutto di un’elaborazione teorica e di un’applicazione di specifiche procedure al fine di ottenere prodotti “culturali”. Appare a questo punto chiaro che la scrittura (così come la sua “evoluzione”, la scrittura a stampa) è una tecnologia in quanto la sua pratica richiede la conoscenza di strumenti specifici e delle procedure per utilizzarli. 17 filosofia verso la tecnica ha origini lontane; già Platone, nell’antica Grecia, si poneva criticamente riguardo addirittura alla scrittura35, quell’ars naturaliter scribendi prima citata, che avrebbe portato all’oblio le supreme verità dell’esistenza, poiché gli uomini non avrebbero più coltivato la memoria affidandosi esclusivamente ad essa. Gli antichi Greci, infatti, attribuivano grande valore alla tradizione orale e alla facoltà di ricordare; si pensi alla poesia epica e a quegli aspetti, come il ritmo o l’uso di espressioni formulari, che si prestavano alla memorizzazione necessaria per tramandare, di generazione in generazione, lo scibile dell’epoca. Al poeta greco Simonide di Ceo, esponente della lirica corale del VI-V secolo a.C., viene ad esempio attribuita l’invenzione di una mnemotecnica che permette di imprimere informazioni nella mente fissando alcuni punti di riferimento visivi, che teneva conto dell’importanza dell’ordine, dei luoghi e delle immagini per rinforzare i ricordi; come evidenzia Maryanne Wolf, neuroscienziata esperta di sviluppo cognitivo nei bambini, «La straordinaria memoria dei Greci nostri antenati fu una delle conseguenze; un risultato che ci sollecita a tener conto dei significativi effetti della cultura sullo sviluppo di processi cognitivi presumibilmente innati, come appunto la memoria»36. Socrate (ma non solo) e la scrittura Già anche solo fermandosi a questi esempi, non stupisce la diffidenza di Socrate, filosofo e insegnante ateniese del V secolo a.C., nei confronti della scrittura. Stando a quanto ci tramandano i dialoghi platonici (egli, infatti, coerentemente col suo pensiero, non lasciò insegnamenti scritti), Socrate sosteneva che le parole hanno un ruolo diverso nella nostra vita intellettuale a seconda che esse siano pronunciate o scritte, e considerava pericoloso che la lingua scritta esigesse poco in fatto di interiorizzazione del sapere e memoria; pensava inoltre che la lingua parlata, e soprattutto il dialogo che utilizzava lo strumento critico dell’ἔλεγχος (leggi “èlenchos”, cioè “confutazione”), avesse un ruolo insostituibile nello sviluppo della moralità e delle virtù. Alla base del metodo socratico vi è una concezione 35 Anche se non ce ne accorgiamo, è innegabile che la scrittura sia una tecnica; a differenza della parola orale richiede un supporto e una posizione innaturale per chi la pratica. Per scrivere sono necessari almeno un foglio e una penna, e conoscere le regole della lingua in cui si scrive; i bambini che imparano a scrivere hanno perfettamente chiara la fatica e la non “naturalità” dello scrivere. 36 Cfr. Wolf M., 2007, Proust and the Squid. The Story and Science of the Reading Brain, Icon Books, London, trad. it. di Galli S., 2009, Proust e il calamaro. Storia e scienza del cervello che legge, Vita e Pensiero, Milano. 18 particolare che vede le parole creature viventi, in grado di portarci alla verità, al bene e alla virtù, se ben guidate dal ragionamento. Del resto il termine λόγος (leggi “logos”), che deriva dal greco λέγειν (leggi “léghein” che significa “scegliere, raccontare, enumerare”), filosoficamente indica anche il ragionamento. Sembra possa attribuirsi ad Eraclito, filosofo presocratico, un significato del lògos addirittura come “legge universale” che regola secondo ragione e necessità tutte le cose: «Nessuna cosa avviene per caso ma tutto secondo lògos e necessità37». Per il filosofo presocratico, questa legge sarebbe stata rivelata agli uomini, ma questi ultimi continuerebbero ad ignorarla pur dopo averla ascoltata; un ulteriore significato del lògos inteso come “parola pronunciata” si trova nell’affermazione di Eraclito che sostiene che molti non capiscono la sua oscura dottrina poiché si sforzano di ascoltare lui anziché il lògos. Secondo Heidegger, nella lingua greca antica il verbo “lèghein” collegato a “lògos” significava anche “conservare, raccogliere, accogliere ciò che viene detto” e quindi “ascoltare”. Nello sviluppo della cultura occidentale inoltre, il valore del pensare e del dire avrebbe prevalso su quello dell’ascoltare, mentre l’udire e il dire, come si vede nel dialogo socratico, sono entrambi essenziali: «L’udire autentico appartiene al lògos. Perciò questo udire stesso è un lèghein. In quanto tale, l’udire autentico dei mortali è in un certo senso lo stesso lògos». Questa piccola digressione sull’ascolto anticipa in qualche modo un tema che affronterò più avanti a proposito dei nuovi media e dell’oralità secondaria che, secondo Ong (1986), ha sorprendenti somiglianze con l’oralità primaria – cioè quella tipica delle culture non basate sulla scrittura e la stampa – dove il suono struttura 37 E altrove «Non ascoltando me, ma il logos, è saggio intuire che tutte le cose sono Uno e che l’Uno è tutte le cose» (Eraclito, DK, FR 50). Accenno soltanto lo splendido incipit del Vangelo di Giovanni, dove si legge «1 Nel principio la Parola era, e la Parola era appo Dio, e la Parola era Dio. 2 Essa era nel principio appo Dio. 3 Ogni cosa è stata fatta per mezzo di essa; e senz’essa niuna cosa fatta è stata fatta. 4 In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini», in cui la Parola è proprio la Parola-Logos; il termine greco è tradotto, in alcune versioni della Bibbia, con “Verbo” per dare l’idea di una Parola che è anche compimento, azione. Già in Isaia (Is. 55:11) leggiamo «la parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» dove l’ebraica “dawar-parola” non è soltanto “parola” ma anche “realizzazione” (atto): l’espressione linguistica coincide con la cosa rappresentata. In Matteo 24:35 si trova «ὁ οὐρανὸς καὶ ἡ γῆ παρελεύσεται, οἱ δὲ λόγοι µου οὐ µὴ παρέλθωσιν» (leggi “o uranòs cai e ghe parelèusetai, oi de lògoi mu u mè parèltosiv”, cioè “Il cielo e la terra trapasseranno, ma le mie parole non trapasseranno”); l’intero insieme del Vecchio e Nuovo Testamento è chiamato la Parola di Dio. Attraverso la Parola, Dio all’inizio crea il cielo e la terra e con una parola particolare, il nome, l’uomo chiama tutte le cose e nel nominarle porta a compimento in qualche modo la creazione di Dio (cfr. Benjamin W., Über die Sprache überhaupt und überdie Sprache des Menschen, 1916, trad. it. a cura di Solmi R., 1995, Sulla lingua in generale e su quella degli uomini, in Angelus Novus. Saggi e frammenti, Einaudi, Torino). 19 la conoscenza e la coscienza attraverso modalità diverse da quelle messe in atto dai segni scritti. Tornando a Socrate, è proprio la fissità della parola scritta ad essere oggetto di critica, l’assenza di interattività (cioè la capacità di interagire con l’utente; un libro cartaceo non è interattivo neanche quando è multimediale, o meglio, multimodale38); l’importanza del dialogo e della “lingua viva” nel perseguimento dello sviluppo intellettuale è riconosciuta, tra gli altri, da Lev Vygotskij, psicologo sovietico dei primi del Novecento, che sottolineava l’importanza della relazione intensamente produttiva tra parola e pensiero e tra insegnante e allievo. Il padre della scuola storico-culturale, come Socrate, pensava che l’interazione sociale avesse un ruolo cruciale nello sviluppo di relazioni tra parole e concetti durante l’infanzia; a differenza del pensatore ateniese, però, non osteggiava la lingua scritta, ritenendo anzi che il mettere per iscritto i pensieri porta chi lo fa, ipso facto, a raffinarli e a scoprire nuovi modi di ragionare. Per lo psicologo sovietico, che nei primi anni Trenta fu vittima della repressione politica che avvenne durante il regime stalinista, il compito del docente o del formatore deve essere quello di creare tensione, cioè contraddizione, proponendo problemi di livello un po’ superiore alle competenze attuali dell’allievo, ma comunque abbastanza semplici da risultargli comprensibili; proprio attraverso il linguaggio l’insegnante deve muoversi all’interno di quell’area in cui il discente può estendere le proprie abilità e conoscenze e risolvere problemi grazie all’aiuto degli altri. A tal proposito Vygotskij parlava di un luogo metaforico in cui si sviluppa questa tensione, la zona di sviluppo prossimale o ZOPED, una sorta di potenziale educativo che l’educatore deve animare in modo da portare avanti lo sviluppo; la ZOPED, come riporta Marino (2008), sarebbe «la distanza tra l’attuale livello di sviluppo così com’è determinato dal problem solving individuale ed il livello di potenziale sviluppo così come è determinabile dal problem solving sotto la guida di un adulto o in collaborazione con i pari più capaci». Voglio soffermarmi adesso sulle obiezioni che Socrate (attraverso gli scritti di Platone, o forse che lo stesso Platone faceva attraverso la bocca del maestro) muoveva al testo scritto; oltre la fissità della parola scritta, infatti, il filosofo ateniese temeva che scrivere avrebbe progressivamente causato all’uomo la perdita della memoria, «poiché questa scoperta farà sì che nell’anima dei discenti trovi luogo il dimenticare per l’indebolirsi della memoria, in 38 Il concetto di multimodalità, a differenza di quello di multimedialità, fa riferimento al modo di comunicare piuttosto che allo strumento; proponendo un cambio di prospettiva culturale nel dibattito sui nuovi media, sposta l’attenzione dall’aspetto mediale-strumentale alle loro caratteristiche e alle loro modalità di comunicazione. Generalmente, si parla di multimodalità quando un qualsiasi tipo di interazione coinvolge più di un canale percettivo (o input di comunicazione). 20 quanto che essi fidandosi della scrittura ricorderanno dal di fuori per mezzo di segni estranei, non dal di dentro di se medesimi. Perciò hai trovato la medicina non della memoria, bensì del richiamare alla memoria39». Socrate era convinto che l’alfabetizzazione avrebbe aumentato di parecchio la memoria collettiva e culturale, ma avrebbe ridotto al contempo le richieste di memoria al singolo individuo con danni per lui irreparabili, persuaso come era che soltanto la fatica legata all’apprendimento mnemonico avrebbe favorito la creazione di un ricco patrimonio di sapere individuale, che poi l’insegnante avrebbe perfezionato attraverso la “parola parlata” del dialogo. La paura di Socrate che gli uomini “perdessero la memoria” si è quasi certamente dimostrata esatta (oggi, rispetto anche a trent’anni fa, è diminuito persino il numero delle poesie che si studiano a memoria a scuola); a fronte di questa perdita, però, la scrittura ha gettato le basi per lo sviluppo di nuove forme di pensiero e, soprattutto dopo l’invenzione della stampa, ha favorito la moderna organizzazione dei saperi. Questa paura ricorda da vicino una delle preoccupazioni maggiori nei confronti dell’utilizzo dei media da parte dei giovani accennate, cioè che la tecnica esproprierebbe progressivamente l’uomo della potenza della sua memoria interiore, trasferendo le conoscenze in archivi esterni; proprio l’esteriorizzazione delle conoscenze, unita all’aumento esponenziale delle nuove informazioni, per la verità, rende evidente come oggi sia necessario insegnare a “richiamare alla memoria” nel modo giusto. Se è vero che il XX secolo è stato caratterizzato dalla moltiplicazione di informazioni, conoscenze, mezzi di comunicazione, e se è vero che le 39 Platone, Fedro, 275a, a cura di Plebe A., 1998, Fabbri Editori, Milano. Socrate fa pronunciare queste parole al re della Tebe Egizia Thamus, a cui il dio egizio Theuth, scopritore dei numeri, della geometria, dell’astronomia e della scrittura, aveva mostrato e magnificato le proprie scoperte. Proprio presentando l’invenzione della scrittura, Theuth ne sottolinea l’importanza, sostenendo che avrebbe reso gli Egiziani più sapienti e più capaci di ricordare, «poiché si è trovata la medicina della memoria e del sapere». Più avanti, al 275d Socrate aggiungerà «Adunque chi si forma l’idea di poter tramandare un’arte affidandola alle lettere, e anche chi la riceve come se dalle lettere venisse fuori qualcosa di chiaro e di sicuro, sono carichi di molta ingenuità e in effetti sono ignari del vaticinio di Ammone [il dio di Tebe egizia], ritenendo che i discorsi scritti valgano di più del ricordare, a chi sa, quelle cose a cui si riferiscono le scritture». È interessante notare come Socrate estenda questa critica alla pittura: «Perciò ciò, o Fedro, han di strano la scrittura, e, come veramente simile ad essa, la pittura. E infatti le immagini di questa ci stanno innanzi come viventi, ma se si domanda loro qualcosa, dignitosamente se ne stanno zitte zitte. Il medesimo è dei discorsi. Crederesti che essi parlino esprimendo un pensiero, ma se fai loro qualche domanda mosso dal desiderio di capire, annunziano soltanto una cosa, la stessa sempre». Poco più avanti Fedro, mostrandosi d’accordo con Socrate, dirà «Tu parli del discorso vivente e animato di colui che sa, e del quale il discorso scritto si potrebbe dire giustamente un’immagine». 21 ripercussioni di questi fenomeni sono pienamente visibili nel secolo in corso (caratterizzato dall’aumento continuo ed esponenziale della mole di conoscenze che, attraverso il Web, possono essere rese disponibili immediatamente in ogni luogo della Terra da individui che possono comunicare tra loro anche trovandosi ad enormi distanze geografiche) appare sempre più evidente l’importanza che oggi riveste proprio la capacità di “imparare ad imparare”, preconizzata da più parti, nell’ambito di un apprendimento trasversale ad ogni fase di vita, il lifelong learning. Nel mito platonico viene sottolineata la differenza che c’è tra “vera memoria”, facoltà (finita e limitata) prerogativa dell’uomo «che assicura la nostra identità, attraverso il continuo ritorno alla storia, di cui reinterpreta le ragioni» (Massaro, Grotti, 2000, p. 21), e le “memorie esterne”, gli “archivi”, intesi come luoghi in cui conservare e catalogare le informazioni. Paradossalmente, però, le memorie esterne possono essere utilizzate per liberare la nostra memoria dalla massa di informazioni e nozioni, per sfruttare quest’ultima soltanto per ricordare ciò che ha veramente senso per noi e per la nostra identità; se è vero come è vero che l’uomo è caratterizzato da limiti e carenze40, è anche vero che le tecnologie possono essere impiegate per demandare alcune funzioni all’esterno della nostra mente, libera così di dedicarsi a quelle funzioni “complesse” che nessuna tecnologia (con buona pace dei sostenitori dell’intelligenza artificiale) è finora stata in grado di riprodurre, quali la creatività ed il pensiero divergente. Come suggerisce McLuhan, infatti, le tecnologie sono sia un’autoamputazione che un’estensione del nostro corpo; ogni volta che scegliamo una macchina, essa costituisce una rinuncia a qualche parte del nostro corpo delegandone le funzioni ad un agente esterno, ma nello stesso tempo estende le nostre facoltà o un nostro senso41. De Kerckhove, ampliando il concetto di McLuhan di media “come estensioni del sé”, parla di “psicotecnologie”42, cioè 40 Queste carenze sarebbero anche, in qualche modo, il punto di forza dell’uomo che, proprio in virtù dei propri limiti, ha sempre cercato di dominare la natura attraverso l’artificio ed il lavoro. È quello che l’antropologo e filosofo del Novecento Arnold Gehlen chiama “principio dell’esonero” (dal latino ex-onus, plurale onera, cioè “liberare da un peso”): l’uomo, privo per natura di armi e povero di apparato sensoriale, affida ad oggetti esterni di sua invenzione determinate facoltà, trovando “naturale” vivere in maniera “artificiale”. 41 Sempre McLuhan considera il computer «il più straordinario tra tutti i tipi di abbigliamento tecnologico mai concepito dall’uomo poiché esso è l’estensione del nostro sistema nervoso centrale»; McLuhan M. e Fiore Q., 1995, Guerra e pace nel villaggio globale, Urra, Milano, pp. 35-36 citato in Massaro D., Grotti A., 2000, Il filo di Sofia, Bollati Boringhieri, Torino, p. 11. 42 «I’ve coined the term “psychotechnology” patterned on the model of biotechnology to define any technology that emulates, extends or amplifies the powers of our minds. […] Telephone, radio, television, 22 quelle che «estendono la mente così come le altre tecnologie “fisiche”, come la macchina o la bicicletta, estendono il corpo, come l’automobile estende il piede e la forchetta estende la mano. La scrittura è una psicotecnologia, così come la televisione e il computer»43. Le tecnologie digitali, in particolare, sembrerebbero degli artefatti capaci di modificare profondamente la struttura dei processi psicologici e lo sviluppo della conoscenza attraverso l’introduzione di un nuovo tipo di sguardo sull’organizzazione percettiva dei rapporti tra il soggetto e l’ambiente, e avrebbero la caratteristica di essere fluidi e molto più disponibili dei media tradizionali; essi, inoltre, «si strutturano sempre più come ambienti [e come] territorio di esperienza [...] sempre passibili di trasformazioni fatti per cancellare le distanze che separano gli spazi» (Rivoltella e Ferrari, 2010, p. 11). I media elettronici secondo l’ormai famosa definizione di Calvani (1999), sulla scia dei citati esponenti della scuola di Toronto, sono delle “tecnologie cognitive” ovvero dei «dispositivi in grado di coinvolgere processi interni della mente», e appartengono, quindi, alla stessa categoria di tutte quelle tecnologie cognitive che, nella storia dell’evoluzione della cultura, sono andate di pari passo a radicali e profonde trasformazioni nei modi di pensare e di elaborare simboli e informazioni di diversa natura. Ogni innovazione nella tecnologia della comunicazione, infatti, favorirebbe riorganizzazioni sensoriali e cognitive che dovrebbero trasferire compiti e funzioni interne, mentali, su supporti esterni, fisici, favorendo un alleggerimento del carico cognitivo e un conseguente aumento del grado di benessere. Come scrive Pierre Lévy (1997, p. 28) «Quasi sempre una tecnologia intellettuale esteriorizza, oggettivizza, virtualizza una funzione cognitiva, un’attività mentale. In tal modo essa riorganizza l’economia e l’ecologia intellettuale nel suo insieme e modifica di rimando la funzione cognitiva che avrebbe dovuto limitarsi ad assistere o rafforzare, come attestano i rapporti tra scrittura (tecnologia intellettuale) e memoria (funzione cognitiva)». È chiaro che ogni conquista comporta anche la perdita di qualcos’altro: «Lo sviluppo della cultura si basa sull’apprendimento di nuove conoscenze e l’oblio di quelle vecchie. Immaginate di dover accendere un fuoco solo con della paglia e una pietra focaia. Non lo sappiamo fare»44. Che ci piaccia o no, è inevitabile che le tecnologie cambino l’uomo, computers and other media combine to create environments that, together, establish intermediate realms of information processing. These are the realms of psychotechnologies» (De Kerckhove D., 1995, The Skin of Culture: Investigating the New Electronic Reality, Somerville House Books, p. 5). 43 De Kerckhove D., trad. it. di Vegetti M., a cura di Mattei M.G., 2014 Psicotecnologie connettive, Egea, Milano. 44 Bauman Z., trad. it. di Boni M., a cura di Mattei M.G., 2014, La vita tra reale e virtuale, Egea, Milano. 23 nonostante la sua capacità di resistenza e la sua abilità nel riorganizzarsi intorno a queste stesse tecnologie: come afferma il determinismo tecnologico, nelle diverse fasi della storia dell’umanità arriva sempre una macchina che cambia il nostro modo di essere. Dopo la rivoluzione industriale, questi cambiamenti sono stati sempre più ravvicinati e si è assistito ad un proliferare di “invenzioni” senza precedenti; se la modernità ha incorporato la nozione di cambiamento come tratto essenziale e come motore di sviluppo e progresso, la postmodernità (liquida alla Bauman) coabita con l’incertezza e con la continua esposizione alla problematizzazione, e la scuola non può di certo ignorare questa realtà. Per quanto già Bruner, alla fine degli anni Ottanta, affermava che il rapido mutare della società di cui non sappiamo prevedere il futuro rende difficile preparare una generazione nuova (preparare i giovani di oggi ad essere quali adulti domani?), e se oggi più che mai crescono le difficoltà in quanto (come Offe sosteneva già negli anni Settanta) i problemi strutturali della società costringono il sistema scolastico ad accollarsi compiti di organizzazione della vita sociale che nel corso di fasi precedenti dello sviluppo industriale venivano espletati da altri sottosistemi, non è possibile comunque ignorare il monito di Durkheim, che risulta ancora valido: In effetti ogni società, considerata ad un momento determinato del suo sviluppo, ha un sistema d’educazione che si impone agli individui con una forza generalmente irresistibile. È vano credere che noi possiamo allevare i nostri figli come vogliamo. Vi sono delle consuetudini alle quali dobbiamo conformarci; se noi vi deroghiamo troppo gravemente, esse si vendicano poi sui nostri giovani. Questi, una volta diventati adulti, non si troveranno in condizioni di vivere fra i loro contemporanei, coi quali non si sentiranno in armonia. Siano essi stati allevati in base ad idee o troppo arcaìche o troppo avveniristiche, la cosa non ha importanza: tanto in un caso quanto nell’altro non sono della loro epoca e, di conseguenza, non si trovano in condizioni di vita normale. Vi è dunque, in ogni periodo, un modello normativo dell’educazione, dal quale non possiamo discostarci senza scontrarci con vive resistenze che contengono delle velleità di dissidenza.45 Tanto vale cogliere il suggerimento di Bauman che, pur vedendo le difficoltà oggettive della crisi contemporanea, suggerisce alla filosofia e alla pedagogia la possibilità di uscire 45 Durkheim E., 1911 Education, in Nouveau Dictionnaire de Pédagogie et d’Instruction primaire, Buisson, Hachette, Paris, citato in Besozzi E., 2006, Società, cultura, educazione, Carocci, Roma. Ogni modello educativo e ogni sistema di istruzione sono storicamente e culturalmente situati, e concorrono ad influire sullo sviluppo dell’identità e della autonomia del singolo e sul suo modo di relazionarsi con gli altri e l’ambiente. 24 dall’impasse, assumendo una prospettiva diversa, di un progetto educativo non teleologico, a medio raggio, che si definisce in fieri, mentre si realizza; anche la scuola (e i docenti), quindi, deve in qualche modo imparare ad imparare. Come Socrate46 temeva che la scrittura, e il suo omologo, la lettura (qui intesa come lettura individuale), avrebbero comportato una superficialità di informazioni e una conseguente comprensione superficiale da parte del giovane senza la guida esperta dell’insegnante, non si può non temere l’attuale possibilità di chiunque abbia un computer di imparare molto e molto rapidamente in linea di principio, su tutto, dovunque, in ogni tempo e senza alcuna guida; questo misto di immediatezza, illimitatezza di informazioni, realtà virtuale, rappresenta nell’immaginario collettivo dei docenti la minaccia al sapere (non senza qualche ragione). Se analizziamo la storia, però, notiamo che Socrate criticò appassionatamente la scrittura47 (osteggiando, più che altro, la superficialità delle proteiformi possibilità del linguaggio), Platone, suo allievo, fu ambiguo a riguardo (ma non esitò ad utilizzare la scrittura per trasmettere e rendere immortali i dialoghi di Socrate contro la scrittura), Aristotele, allievo di Platone, crebbe immerso nell’abitudine della lettura; possiamo quindi per certi versi immaginare, per altri constatare, che non è possibile impedire l’uso di sempre più sofisticate tecnologie e, se si tiene conto di tutto ciò che ci è pervenuto solo grazie alla scrittura, è possibile intuire che, pur cercando di mantenersi criticamente attenti, gli effetti della tecnologia non sono tutti negativi. Ciò risulta corretto a maggior ragione dal momento che, se è vero che il testo scritto ferma le parole e le cose traducendole in modello “visivo” e che il libro è una macchina panottica che guarda tutti allo stesso modo e non risponde alle domande, le psicotecnologie consentono di recuperare alcune caratteristiche immersive delle culture “sonore”, con in più il vantaggio di offrire feedback personalizzati. Le altre “rivoluzioni” Se mi sono soffermata così a lungo sul passaggio dall’oralità primaria alla scrittura, oltre che per la suggestione provata nei confronti del mondo classico, greco in particolare, è 46 Questa volta in un altro dialogo platonico Protagora, il filosofo ateniese critica alcuni oratori che sanno fare lunghi e bei discorsi ma, come i libri, se venissero interrotti e li si interrogasse, non saprebbero rispondere, né a loro volta porre domande. Come nel Fedro, Socrate sembra pensare che un sapere comunicato in maniera fonologica ma che si sottrae al dialogo, sia un morto nozionismo, se non addirittura un esercizio di potere. 47 Interessante notare come, sempre nel V secolo a.C., in India i difensori del sanscrito esaltavano la lingua parlata a discapito della scrittura. 25 perché, spesso, questo passaggio (che dovette apparire così rivoluzionario) viene in qualche modo sottovalutato, omettendo proprio il momento fondativo della testualità, fondamentale nella storia dei supporti e delle forme di trasmissione della conoscenza, momento che contiene, in nuce, molte caratteristiche comuni a tutte “le rivoluzioni”, con il loro carico di oppositori e di opportunità. Oggi, che ci troviamo nel mezzo di una gigantesca opera di traghettamento della cultura da un formato all’altro, una forma di traduzione dalla tradizione all’ignoto, il confronto con quanto analogamente avvenuto in altre epoche può essere estremamente proficuo per osservare ciò che accade con spirito critico, senza cadere nel laccio di un aprioristico rifiuto o, all’opposto, di facili e miopi riduzionismi ottimistici ma poco obiettivi. Molti studiosi provenienti da differenti (a volta opposte) scuole di pensiero hanno parlato di un assetto epistemico nuovo basato sulla rottura dei concetti di stabilità e gerarchia delle fonti, paragonando la rivoluzione informatica a quella della stampa, la “Galassia chip” a quella Gutenberg48. Altri, sfruttando il parallelismo fra la “Great Divide Theory”49, una teoria che racchiude in sé diverse relazioni dicotomiche tra diversi tipi di società o di esperienza umana (l’esempio più calzante è la distinzione tra società oro-aurali e società visive50, o tra società alfabetizzate e non alfabetizzate, “illetterate”) e il “Digital divide”, cioè il divario non solo economico, ma anche e soprattutto socioculturale, tra chi ha accesso effettivo alle nuove tecnologie e chi no (la definizione include anche la disparità nell’acquisizione di risorse o delle capacità necessarie a partecipare alla società dell’informazione) si sono spinti più in là, paragonando la svolta digitale all’apparizione della scrittura alfabetica51, ribaltando quasi la situazione. Se la 48 La galassia Gutenberg: nascita dell’uomo tipografico, è il titolo italiano di un famoso libro di McLuhan del 1962, The Gutenberg Galaxy: the Making of Typographic Man, stampato dall’Università di Toronto. 49 Come qualcuno una volta ha argutamente osservato, il mondo si divide in due gruppi, quelli che dividono le persone in due tipi, e quelli che non lo fanno. 50 Cfr. Ong W., 1982, Orality and Literacy: The Technologizing of the Word, trad. it. di Calanchi A., a cura di Loretelli R., 1986, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna. 51 Ovviamente, la scrittura alfabetica (da alpha e beta, le prime due lettere del sistema greco), in cui i segni grafici corrispondono a suoni, non è l’unica forma di scrittura, né la migliore; si pensi ai pittogrammi (segni che rappresentano cose come i geroglifici egiziani) o agli ideogrammi (segni che rappresentano concetti come quelli della scrittura cinese). La lingua giapponese, ad esempio, è di tipo misto, sia ideografico che fonetico; generalmente, le scritture più antiche sono ideografiche, e in esse l’immagine ha un ruolo decisivo. È interessante notare, poi, come le lingue che usano immagini, di solito, si scrivono dall’alto verso il basso in verticale, quelle che rappresentano suoni, invece, seguono una sequenza orizzontale, alcune verso destra, altre verso sinistra; quasi in tutte le lingue che non conoscono le vocali si scrive da destra a sinistra, viceversa, in 26 galassia Gutenberg ha fatto piombare il mondo nel silenzio, la galassia multimediale gli ha ridato voce, moltiplicando le immagini acustiche; le forme di comunicazione multimediale assimilano e integrano in sé linguaggi iconici, alfabetici e sonori, che, per certi versi, richiamano in qualche modo i riti performativi delle società tribali. Nel processo di rimediazione52, la scrittura (quella on-line) sembra infatti acquisire alcune caratteristiche dell’oralità primaria e secondaria: la preferenza per la paratassi al posto dell’ipotassi, la quelle che conoscono le vocali si scrive da sinistra a destra. Scrivere verso sinistra metterebbe in moto la parte del cervello caratterizzata da un’intelligenza globale, sintetica; la svolta fondamentale nella cultura occidentale avvenne con i Greci che inserirono le vocali nella scrittura (i fenici, dai quali venne mutuato l’alfabeto che era solo consonantico, scrivevano infatti da destra verso sinistra), cambiando di fatto il modo di identificare le parole, quasi “costringendo” le mani a scrivere da sinistra a destra. La parte del cervello coinvolta, infatti, cambia: invece di dare importanza al globale, le vocali consentono di identificare in maniera inequivocabile le parole leggendole in maniera sequenziale, privilegiando l’attività di analisi, di suddivisione dei problemi in parti più piccole… L’introduzione delle vocali, quindi, avrebbe mosso la necessità di chiedersi il perché delle cose, avviando la riflessione filosofica e scientifica; non si combinano più i segni in base al contesto, ma si allineano in una sequenza; secondo De Kerckhove, a partire da ciò il nostro cervello e il nostro sistema visivo “vogliono” che scriviamo verso destra, ponendo il passato a sinistra, il futuro a destra. Dopo che i greci cominciano ad usare la scrittura alfabetica, rimangono fedeli al primato epistemico della vista; quasi tutte le parole congiunte col pensiero, come idea, sono infatti legate alla visione (un’eccezione è il caso della parola νοῦς, leggi “nùs”, cioè “mente, facoltà mentale, sede e processo della comprensione” originariamente legata al fiuto; altra eccezione è costituita dai Pitagorici, i cosiddetti acusmatici, che dovevano soltanto ascoltare il maestro). La cultura ebraica, fortemente logocentrica, privilegia invece il suono, individuando un nesso incredibile tra il concetto di verità della rivelazione e quello del linguaggio, tra parola e cosa; la rivelazione è un fenomeno prima acustico poi visivo. L’Antico Testamento percepisce Dio e la Sua Parola come suono e scrittura insieme, escludendo l’immagine «E l’Eterno vi parlò dal mezzo del fuoco; voi udiste il suono delle parole, ma non vedeste alcuna figura; udiste solo una voce» (De. 4:12); addirittura i comandamenti, sia in Deuteronomio che in Esodo, vietano di farsi immagini di Dio: «1 Allora Dio pronunziò tutte queste parole, dicendo: “2 Io sono l’Eterno, il tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. 3 Non avrai altri dèi davanti a me. 4 Non ti farai scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra”» (Es. 20:1-4). Questa lunga digressione, lungi da intenti accademici o puramente aneddotici, vuole semplicemente sollecitare spunti di riflessione imperniati su posizioni di relativismo culturale (niente, neppure il verso della scrittura è naturale e universale), inteso non nel senso di mancata e qualunquista presa di posizione o di pigra e codarda rinuncia a qualsiasi forma di ragionamento, ma al contrario nel senso di una problematizzazione critica utile per muoversi nel mare magnum della complessità: non che ciò renda tutto più chiaro, ma almeno non ci si aspetta che tutto diventi uniformemente e unidirezionalmente chiaro… 52 La rimediazione, è il rapporto tra le tecnologie introdotte ex novo e le precedenti, il modo in cui cambiano reciprocamente i media quando entrano in contatto tra loro. 27 volontà di coinvolgere e di creare comunità e senso di appartenenza, la “mistica partecipatoria” e l’uso di formule. Proprio in virtù di questi corsi e ricorsi storici, e in un’ottica dialettica più che dicotomica (anche perché, ad esempio, l’oralità non è mai scomparsa, si è solo ritagliata spazi diversi; in realtà l’equilibrio tra scrittura e oralità mostra sempre proporzioni diverse tra le due componenti), appare importante tracciare il percorso di sviluppo dalla parola (come veicolo di trasmissione delle conoscenze) all’e-book, considerato quest’ultimo non come un’opzione tecnologica alternativa al libro, come sua variante epistemologica, ma come, appunto, evoluzione stessa del libro, inteso, sintetizzando e semplificando al massimo, come un modo/mezzo per trasmettere informazioni, saperi e conoscenze al di fuori della cerchia di persone con cui si può interagire immediatamente con il dialogo in presenza (è quindi una forma di formazione a distanza?). «Gli e-book, in sostanza, sono semplicemente sia i libri del futuro che il futuro del libro»53: quello che sta cambiando è il “formato” del libro, che ne determina le caratteristiche intrinseche, le modalità di produzione e distribuzione e le possibilità di utilizzo, soprattutto quando il libro è il libro di testo. Qualcosa di simile è avvenuto in passato, in ogni passaggio di formato; ogni passaggio è stato collegato, in buona misura, con il progresso delle tecnologie, con lo scopo di ridurre tempi e costi di produzione, per garantire al testo maggiori probabilità di diffusione, conservazione e sopravvivenza. La nascita del libro (così come ogni fase della sua evoluzione) ha cambiato in qualche modo anche le modalità di trasmissione intergenerazionale del sapere; prima della scrittura gli educatori della Grecia erano “poeti”, con l’affermarsi della scrittura alfabetica, invece, “leggere e scrivere” venne messo nel novero delle cose che un giovane doveva sapere. Nelle scuole si insegnavano ginnastica, musica, ma anche lettere; sebbene molte siano state le resistenze dei conservatori, l’acculturazione alle parole della tradizione cominciò a passare anche attraverso la scrittura. Tra gli strumenti didattici comparvero i rotoli di papiro e delle tavolette dove i maestri accennavano con lo stilo le lettere che i bambini dovevano ricalcare; il metodo di insegnamento prevedeva inizialmente l’apprendimento delle lettere ad alta voce, e solo dopo il riconoscimento e la riproduzione delle lettere scritte, a riprova dell’importanza dell’oralità, e anche la lettura dei “classici” avveniva ad alta voce54. 53 Rotta M., Bini M., Zamperlin P., 2010. 54 Suggestiva, immaginando lo scenario, mi pare questa frase, dal sapore sinestetico, di Daniel Pennac nel saggio Come un romanzo dove affronta, sia dal punto di vista di romanziere che di professore, il problema di come si possa aiutare i giovani a trovare il “piacere di leggere” con metodi alternativi cercando di riproporre i 28 La nascita del libro, avvenuta nella Grecia del V-IV secolo a.C., può quindi essere considerata la prima rivoluzione, cui segue, tra il II e il IV secolo d.C., la seconda rivoluzione, cioè il passaggio dal volumen (il “rotolo”) al codex (il “codice”); tra il 1450 e il 1550 si ha il passaggio dal codice manoscritto al libro a stampa, la terza rivoluzione, e oggi si assiste quindi alla quarta fase della vita del libro. Ciascuna forma (rotolo, codice manoscritto, volume a stampa) si è mantenuta per un periodo abbastanza lungo in cui il libro è stato perfezionato come oggetto in sé (apportando migliorie nei materiali utilizzati o innovando le tecniche di produzione, distribuzione e conservazione) e relativamente al contenuto, all’impaginato, al rapporto tra testo e illustrazione, alla rilegatura. Nessuno dei passaggi descritti è stato indolore. Ci vollero tre secoli per quello dai volumina ai codices; sulla scelta del formato hanno pesato motivazioni pragmatiche che si intrecciano a fattori sociali e culturali, non ultimo, ad esempio, il favore mostrato dai protocristiani che prediligevano, per tramandare la Parola, piccoli quadernetti facilmente nascondibili. Il crollo del commercio con l’Oriente, unito alla difficoltà di conservazione dei rotoli (solitamente di papiro e quindi facilmente deperibili) hanno imposto il passaggio a materiali più robusti, come la pergamena; la tradizione, riportata da Varrone e da Plinio il Vecchio, vuole che Tolomeo V Epifanio (quinto sovrano egizio della dinastia Tolemaica, che regnò tra il 205 e il 182 a.C.) avesse proibito l’esportazione del papiro egiziano per danneggiare la biblioteca di Pergamo, dove il re Eumene aveva stabilito una biblioteca rivale a quella di Alessandria d’Egitto; l’invenzione o forse il perfezionamento della pergamena (che trae il proprio nome proprio dalla città dell’Eolide, nell’odierna Turchia) ne fu quindi la conseguenza. La pergamena, prodotta con pelle di animale non conciata, nel mondo antico non ha avuto grande diffusione a causa della concorrenza del papiro, più abbondante e meno costoso anche se più delicato; soltanto a partire dalla tarda antichità (V secolo) la pergamena si è diffusa fino a diventare il principale supporto scrittorio del Medioevo. Il passaggio dal formato orizzontale e scorrevole del rotolo al formato verticale e rigido della pagina, unito alla possibilità di scrivere e illustrare su entrambi i lati (caratteristica del codice) portarono ad un radicale ripensamento del rapporto fra testo e illustrazione; un aspetto tecnico interessante fu, ad esempio, la possibilità di tingere la pergamena. Così nell’Alto Medioevo (tra il 476 e l’anno 1000 circa) venivano prodotte pergamene purpuree, utilizzate per la scrittura di libri o documenti particolarmente solenni redatti con libri come amici e non come mattoni: «L’uomo che legge a viva voce si espone completamente agli occhi che lo ascoltano». Pennac D., 1992, Comme un romane, Editions Gallimard, Paris, trad. it. di Melaouah Y., 2005, Come un romanzo, Giangiacomo Feltrinelli, Milano, p. 137. 29 inchiostri d’argento o d’oro. Inizialmente, la scarsità di materia prima portò alla pratica, circoscritta nel tempo e nello spazio, di riutilizzare i più antichi manoscritti danneggiati, cancellando i testi e riscrivendo sulle pagine pergamenacee; questi manoscritti sono detti palinsesti (dal greco πάλιν ψηστός, leggi “pàlin psestòs”, cioè “raschiato di nuovo”). La possibilità di legare i fogli in pila e non più in sequenza lineare, consentì di passare dalla forma a rotolo a quella che contraddistingue l’odierno libro di carta. Nei monasteri, gli amanuensi ricopiavano (oltre che la Bibbia e i testi liturgici, le agiografie e le opere dei padri della chiesa) anche testi scientifici, tecnici, giuridici e alcuni classici, e in più testi di stampo manualistico dedicati proprio al compito di formare. All’interno dei conventi si passa da un’idea di libro come “agente devozionale”, mediatore della parola divina, all’idea di libro come “agente culturale”, mediatore tra chi insegna e chi apprende; nasce il prodromo del testo scolastico. Le scuole del primo Medioevo erano funzionali in particolare all’istruzione cristiana di chierici e monaci; le lezioni erano basate sulle letture dei testi da parte del maestro e sull’ascolto e la memorizzazione silenziosa degli allievi (a conferma che la dimensione oro-aurale della trasmissione culturale non era scomparsa del tutto, neanche molto dopo l’invenzione della scrittura). La pergamena come supporto scrittorio dominò incontrastata per circa mille anni, fino a quando nel XII secolo ha cominciato a diffondersi la carta prodotta con gli stracci, anche se per qualche tempo ancora la pergamena è rimasta il supporto “nobile” e garantito per i documenti ufficiali e gli atti importanti. La tecnologia di fabbricazione della carta era nata in Cina nel I secolo (anche se alcuni ritrovamenti archeologici lasciano supporre che fosse già conosciuta nel II secolo a.C.) ma la diffusione della tecnica fuori dal paese fu estremamente lenta: per circa mezzo millennio l’arte della fabbricazione della carta fu limitata entro i confini della stessa Cina, e soltanto nel 610 fu introdotta in Giappone e ancora dopo, intorno al 750, nell’Asia centrale. La carta è comparsa in Egitto all’incirca nell’800, anche se per un secolo non veniva qui fabbricata, ed è stata poi introdotta in Europa dagli Arabi. È probabile che intorno all’anno Mille a Palermo, allora sotto il dominio islamico, venne stabilito il primo laboratorio “italiano” per la produzione della carta (come gli Arabi hanno fatto in ogni capitale di governatorato islamico); nella seconda metà del XII secolo Polese da Fabriano ha impiantato la prima cartiera nell’Italia cristiana vicino a Bologna. Nello stesso periodo al lavoro monastico si affiancava, con lo sviluppo delle città e la nascita delle Università, quello delle corporazioni che, specializzandosi in singole mansioni (fornitori di pergamene, copisti, rilegatori, miniatori…), hanno cambiato il profilo produttivo del libro; le università affidavano ai librai il compito di riprodurre più copie di un testo. A partire dal XIV secolo gli studenti delle Università si andarono trasformando sempre più in lettori; fecero la loro comparsa i 30 “fascicoli”, per rendere più veloce la copia, e si cominciarono ad utilizzare nuovi stili di impaginazione. In questo periodo, infatti, vennero introdotti poco alla volta la divisione in capitoli e i titoli di paragrafo, la numerazione dei versetti, le evidenziazioni, gli indici e i sommari, e le immagini iniziarono ad avere funzioni informative oltre che esornative: si preparò, insomma, il terreno per la terza rivoluzione, data dall’avvento della stampa a caratteri mobili. Anche la stampa, come la procedura di produzione della carta, pare che sia stata inventata in Cina, nel 1041, ad opera di un certo Bi Sheng, anche se i suoi caratteri mobili, essendo fatti di argilla, si rompevano molto facilmente; intorno al 1300 un altro cinese, un funzionario, ha introdotto un tipo più resistente di caratteri intagliando del legno, e ha sviluppato un complesso sistema di tavole girevoli che miglioravano la resa qualitativa. In Corea, intanto, si era passati ai caratteri mobili in metallo. La tecnologia impiegata in Asia potrebbe essersi diffusa in Europa lungo le vie del commercio arabo come avvenne per la carta, ma non si hanno prove del fatto che l’orafo tedesco Johannes Gutenberg, universalmente riconosciuto come l’inventore della stampa a caratteri mobili (almeno nel mondo occidentale) fosse a conoscenza dei precedenti asiatici. Di fatto, la data simbolica che segna la nascita della stampa è intorno al 1450, quando è stata stampata la prima Bibbia a caratteri mobili. Anche la stampa, ai suoi esordi, stentò ad affermarsi, dato che i costi di stampa di un libro erano in principio molto onerosi e le competenze tecniche richieste erano specialistiche; il libro a stampa era inizialmente il parente “povero” del libro manoscritto (che intanto nel Rinascimento raggiunge i massimi livelli di perfezione sul piano tecnico) e di questo tenta di riprodurre l’impaginazione e i caratteri, tanto che i primi documenti stampati con i caratteri mobili (gli incunabula) non mostrano modifiche radicali nella struttura formale del libro. Nel Quattrocento, intanto, si andava sviluppando un’attenzione mai vista per i problemi della formazione dell’uomo, tanto che vennero scritti diversi libri sull’educazione per le varie fasce di età; tra i concetti ricorrenti vi erano l’importanza della lettura diretta dei testi, la necessità di tener conto dell’età e dell’indole di ogni discente, l’importanza dello studio delle poesie a memoria (come appare distante questa impostazione “silenziosa” da quella di Socrate basata sul dialogo!). Il netto aumento della produzione di libri e la radicale diminuzione delle ore di lavoro necessarie per realizzarli hanno segnato poi il salto di qualità per la diffusione e il successo degli incunabula, che però non sono stati dovuti soltanto a questioni di carattere economico o produttivo; la nascita del libro portatile a costi relativamente bassi (si pensi alla collezione dei libelli di Aldo Manuzio e dei tipografi veneziani) ha infatti soltanto avviato la diffusione del libro come oggetto “di massa”. La riforma protestante, ad esempio, vi ha contribuito non poco: Lutero, infatti, contestava il fatto che la liturgia fosse celebrata soltanto in latino, e 31 sperava in un diretto avvicinamento di tutti i fedeli alla Bibbia. Sostenendo che la Bibbia era un libro destinato all’intera umanità e che ogni cristiano aveva il diritto di leggerla, senza l’intermediazione della cerchia ristretta del clero, ne promuoveva la traduzione in lingua volgare (lui stesso ne ha realizzato una traduzione in tedesco) e sosteneva la necessità di versioni stampate che, al di là del costo ragionevole, fossero agevolmente riproducibili in un gran numero di copie. A partire dalla metà del XVI secolo il manoscritto lasciò spazio al libro stampato, che con poche variazioni (se non alcune più o meno recenti evoluzioni riguardo al processo di produzione, i materiali e gli strumenti, come ad esempio l’uso delle fotografie a colori a partire dal Novecento) è giunto fino ai nostri giorni diventando la forma stessa della trasmissione del sapere per i secoli successivi. Tra la didattica e la forma libro, come sosteneva già Comenio55 nel Seicento, infatti, c’è (almeno in epoca moderna e contemporanea) una antica e profonda sintonia; l’organizzazione dei tempi scolastici è scandita dal manuale, cioè un testo stampato che mette ordine dentro un determinato dominio di sapere, fornendo al contempo un itinerario di esposizione e acquisizione, e anche per questo motivo siamo portati a concepire il sapere scolastico come discipline, oggetti fisici dotati di confini e di un’organizzazione interna con una logica sequenziale. Il libro «è talmente interiorizzato nel modo d’essere, di agire, di pensarsi della pedagogia, fa così parte della sua natura (e della sua storia) da non poter essere colto e interpretato compiutamente come medium o macchina» (Maragliano, 2004, p. 36); non è una semplice risorsa, un oggetto concreto e tangibile, ma è il simbolo di un modello culturale di portata generale. La nascita del libro di testo “moderno” Se è vero che i processi di alfabetizzazione son sempre esistiti e hanno conosciuto un’innegabile accelerazione in età moderna, soltanto a partire dal Settecento si è avvertita 55 Il ceco Comenio è l’autore che ha dato il primo contributo di rilievo alla didattica, considerata arte per eccellenza in quanto ha lo scopo di formare l’uomo, arte che consente di insegnare tutto a tutti seguendo dei criteri semplici e fondamentali: facilità, solidità, rapidità. Le sue idee sul ritorno ciclico (come le stagioni) su determinati argomenti ne fanno un precursore del curriculum a spirale, secondo un principio di gradualità, di aderenza all’esperienza e all’interesse, scevro da inutili nozionismi; l’insegnante deve adeguare metodi e strumenti ai bisogni dell’allievo, di cui deve conoscer e rispettare i ritmi di apprendimento. 32 l’esigenza di libri di testo (inizialmente per le scuole elementari), quando in area europea si iniziò a diffondere l’idea e la necessità della scolarizzazione per istruire il popolo. Esigenze di controllo politico e sociale delle masse portarono, ad esempio in Prussia, all’istituzione dell’obbligo scolastico; altre ragioni di tipo economico richiedevano conoscenze più evolute, anche tra il popolo contadino, per acquisire nuove tecniche agricole. A queste motivazioni se ne affiancano altre di carattere più culturale, in primis il diritto universale anche all’istruzione e alla conoscenza, proclamato dall’Illuminismo settecentesco e diffuso con forza dagli ideali della rivoluzione francese. Le monarchie europee del Settecento, in nome del dispotismo illuminato, furono disposte a concedere spazi per la diffusione dell’istruzione del popolo; ai collegi e al tradizionale insegnamento individuale del precettore (tipici delle classi più agiate) vennero affiancate strutture destinate all’alfabetizzazione dei ceti popolari. Si rendevano quindi necessari libri di didattica per la formazione dei maestri al nuovo metodo di insegnamento (un solo maestro per una classe intera di “figli del popolo”), oltre che libri per le diverse discipline da insegnare: abbecedari, sillabari, testi di calligrafia, aritmetica e letture educative che potessero veicolare valori e modelli di comportamento consoni allo scopo di formare sudditi fedeli e buoni cristiani56. Nello stesso periodo fa la sua comparsa anche la lavagna nera che consente di mostrare contemporaneamente a tutti ciò che bisogna apprendere, e che diventa presto il punto focale del lavoro in classe. In Italia, per tutto l’Ottocento, l’intreccio tra la questione politica risorgimentale e quella educativa spinse un gruppo di intellettuali ad impegnarsi a favore dell’educazione popolare, creando testi che vennero utilizzati a lungo; l’unificazione italiana pose poi il problema dell’articolazione del sistema scolastico e di un impianto culturale centralizzato che “creasse” gli italiani. A metà dell’Ottocento, l’educatore e autore di libri di didattica Rayneri suggeriva che i libri di testo dovessero essere pertinenti alle scuole cui erano destinati, chiari e ordinati – cioè con contenuti esposti in maniera sequenziale e completi – e sollecitava gli insegnanti a non modificare i libri di testo approvati dalle autorità scolastiche (cfr. D’Ascenzo, 2013, pp. 8-9). Il rinnovamento pedagogico animato dal positivismo, verso la fine dell’Ottocento, spinse a ridimensionare la portata del libro di testo quale strumento principale, spesso l’unico, dell’insegnare (e molte volte utilizzato al posto dell’insegnamento orale del maestro), assegnando centralità 56 A titolo esclusivamente aneddotico, ma anche per sottolineare la “natura non naturale” della scrittura, voglio ricordare che all’epoca si imparava a scrivere soltanto dopo aver imparato a leggere; ragioni fisiologiche impedivano ai bambini di quattro o cinque anni di potersi impadronire di una tecnica complessa come l’uso della “penna” e dell’inchiostro. 33 all’osservazione diretta e alla lezione attraverso cose e immagini: il libro scolastico cominciò ad essere quindi considerato espressione di una frammentazione del sapere nociva per l’efficacia dell’insegnamento. I libri di testo, pur indispensabili, dovevano costituire la sintesi della spiegazione orale del maestro, che doveva suscitare la curiosità, riordinare le conoscenze e assicurarsi che i discenti capissero ciò che leggevano. All’inizio del Novecento l’offerta era variegata e generalmente non c’erano forme di censura preventive da parte delle autorità, che lasciavano libera scelta ai singoli docenti. Negli anni Venti, però, il pedagogista catanese Lombardo Radice, che tenne per incarico del ministro G. Gentile la direzione generale delle scuole elementari collaborando alla riforma della scuola, promosse una rigorosa revisione dei libri di testo, e diede indicazioni specifiche per ogni disciplina con elementi di assoluta novità, tra cui un libro di esercizi di traduzione del dialetto e un libro sussidiario per la cultura regionale. Nel 1929, con l’avvento del fascismo, venne emanata una legge che prevedeva le norme sulla compilazione del libro di testo unico per tutti: la propaganda fascista provvide poi a “indirizzare” e “adeguare” i contenuti dei libri di testo. Nel secondo dopoguerra, in una situazione di emergenza, gli stessi libri di testo vennero velocemente epurati degli elementi più fascisti, pur mantenendo un impianto vicino a quello dell’ante guerra; negli anni Cinquanta, una nuova legislazione interveniva sulla questione dei libri di testo, sancendo clausole editoriali ben precise, come il numero fisso delle pagine, il formato del libro, il corpo dei caratteri, il numero di illustrazioni. L’attivismo pedagogico, col suo messaggio di “didattica viva” e “scuola come laboratorio” aveva intanto da tempo mosso critiche ai libri di testo come unico strumento didattico, diffondendo alcune pratiche come le biblioteche di plesso o di lavoro (che consideravano il libro una integrazione dell’esperienza scolastica complessiva) o la tipografia scolastica “alla Freinet”. Quest’ultimo considerava i manuali un mezzo di abbrutimento, raramente pensati per i bambini, sollecitava la presenza di più libri in classe per fare ricerche e confrontare informazioni e letture, suggeriva la ricerca sul territorio, la corrispondenza interscolastica e la cooperativa di classe; avviava infine una nuova critica ideologica al manuale, oggetto di idolatria, consigliando di ridurne l’impiego anche nel caso di buoni manuali: «Il libro diventa un mondo a sé, un qualche cosa di divino, di cui si esita sempre a contestare le asserzioni. ‘È scritto nel libro…’. Mentre bisognerebbe insegnare che il contenuto del libro 34 non è che un pensiero stampato, e, come ogni pensiero, soggetto ad errore, e che dunque si deve poter contraddire come si contraddice una persona che parla57». Il padre del Movimento di Cooperazione Educativa, nume tutelare della media education, esponente di spicco dell’attivismo pedagogico, considerava peraltro fondamentali le attività degli studenti; nella sua scuola “del fare” l’intervento dei docenti doveva avvenire a posteriori (molte delle suggestioni del metodo di Freinet sono state recentemente riprese dalla didattica con gli EAS58 e dalle Flipped Class59 di cui parlerò più avanti). Non tutto il mondo della scuola italiana era d’accordo con queste posizioni critiche e, soprattutto, mancavano alternative riconosciutamente valide come il libro di testo, rassicurante e ben accolto anche dalle famiglie, per le quali spesso era uno dei pochi testi presenti nelle librerie casalinghe; la proliferazione degli altri strumenti librari come le enciclopedie o la prima timida diffusione dei giornalini di evasione, la comparsa delle prime macchine per l’istruzione programmata o degli audiovisivi non intaccarono il predominio incontrastato del libro di testo, specie nella scuola secondaria dove il modello didattico tradizionale costruito intorno alla triade professore/libro di testo/allievo era più persistente. Alla luce delle suggestioni di Bruner, che recuperava la centralità della cultura scritta e sottolineava l’importanza del curriculum a spirale (che prevede un ciclico ritorno sugli stessi argomenti), specie in ambito scientifico venne fatto qualche timido tentativo di introdurre strumenti didattici più innovativi, con testi per gli allievi e test di profitto, guide per gli insegnanti e proposte di attività in laboratorio. Agli inizi degli anni Settanta maturò un incisivo attacco culturale al libro di testo, accusato di essere pieno di errori e di stupidi luoghi comuni; queste analisi si accompagnarono alla resistenza passiva di alcuni docenti che rinunciarono ad indicare le adozioni per le loro classi, con diverse conseguenze amministrative e disciplinari. Nel 1974, il D.P.R. n. 416 del 31 maggio stabiliva per la 57 Freinet E. e C., 1949, trad. it. a cura di Tamagnini G., 1976, Nascita di una pedagogia popolare, La Nuova Italia, Firenze, p. 36. 58 Episodio di apprendimento situato; Rivoltella si dichiara debitore del concetto, che trova la sua genesi teorica all’interno della riflessione sul Mobile Learning, a due studiosi di media education, Pachler e Hug, in Rivoltella P.C., 2013, Fare didattica con gli EAS, La Scuola, Brescia. 59 Letteralmente “classi invertite”. La flipped class (alcuni parlano di flipped lesson, “lezioni invertite”) si ottiene invertendo il luogo dove si segue la lezione (a casa propria anziché a scuola) con quello in cui si studia e si fanno i compiti (a scuola anziché a casa). Questa idea didattica, messa a fuoco negli anni ‘90 ad Harvard, trova le sue radici concettuali nell’inversione dei compiti tra l’insegnante e gli studenti del metodo freinetiano, in cui il compito del docente non si esaurisce nel fornire informazioni, e quello degli studenti non si esaurisce nel recepire queste informazioni. 35 prima volta la possibilità di un’adozione alternativa al libro di testo, in linea con la contestazione generale del sistema scuola tipica del Sessantotto, che vedeva proprio nel manuale lo strumento didattico per eccellenza per la riproduzione quasi “coatta” della conoscenza, portatore di un sapere per giunta non neutro, ma di una concezione più o meno democratica della scuola e dei suoi docenti. Pur attenuatesi queste letture politiche, negli anni successivi il libro di testo è stato comunque desacralizzato, e si è riconosciuto che la conoscenza umana non poteva essere depositata soltanto nei manuali scolastici. Le normative, per tutto il secolo scorso, hanno portato poche modifiche alla struttura reale dei libri di testo, se non nella suddivisione degli argomenti legata più che altro alle indicazioni ministeriali per le varie discipline scolastiche, anche in seguito alle numerose riforme della scuola. Da un punto di vista più strettamente tipografico e visivo, si è assistito progressivamente a un aumento di immagini, fotografie, disegni, box, schemi, note e rimandi interni al testo, schede interdisciplinari, esercizi e strumenti di verifica, introduzioni a un testo o riferimento ad altri testi, proposte di approfondimenti, che negli ultimi anni hanno reso il libro sempre più una struttura aperta e meno una struttura lineare e sequenziale. Questa breve storia del libro di testo, lungi dall’essere esaustiva ed esauriente (ne sono stati selezionati solo pochi passaggi, e per lo più relativi alla scuola italiana) mostrano chiaramente come anche il libro di testo sia un oggetto culturale e non naturale, che recepisce le suggestioni della società in cui viene impiegato, adattandosi (o cercando di adattarsi) contestualmente alle situazioni socioculturali, economiche, politiche e produttive. Se è vero, però, che gli attacchi al libro di testo (dalla sua comparsa) sono stati numerosi e se è vero che da sempre i docenti hanno integrato i contenuti proposti dai libri con «percorsi paralleli, approfondimenti, selezioni, integrazioni, che tendessero a smembrare, a riconfigurare secondo le logiche della libertà d’insegnamento un percorso condiviso e orientativamente dettato dai programmi [e la scuola] è da sempre avvezza ad attingere a risorse molteplici, a utilizzare fonti e materiali vari, a ridisegnare i propri percorsi in base ai contesti e alle esigenze estemporanee [...] attingendo a materiale non necessariamente stampato, integrando il lavoro in classe con esperienze dirette, visione di documentari o di film, visite esplorative o viaggi di istruzione» (Cambi, Toschi, 2006, p. 144), è anche vero che tutti questi supplementi, pur tra le alterne vicende e considerazioni, non hanno mai messo in discussione la centralità del libro e soprattutto il tipo di cultura sequenziale e litica che esso ha sempre trasmesso. Il libro di carta è infatti comunque un supporto chiuso, fisso e immutabile, che veicola un modello cognitivo basato su verità altrettanto immutabili, universali e oggettive, e per questo in qualche modo dominabili; i manuali sono stati la 36 risposta della cultura della stampa alla necessità di controllare la proliferazione delle informazioni, e hanno determinato la nascita delle discipline come ambiti separati e ben definiti. La centralità dei testi scolastici è stata per la prima volta messa in discussione quando sono stati affiancati (almeno stando alle normative) dai media digitali, che sono molto più destabilizzanti in quanto propongono altre forme del conoscere alternative a quelle veicolate dal libro, come «la contemporaneità, la contaminazione, la logica mostrativa, il ragionamento analogico, gli andamenti reticolari, le procedure connettive» (Maragliano, 2004, p. 37). Il dibattito sulla possibile “fine della cultura del libro” non può che avere delle evidenti e immediate ricadute in ambito didattico, dal momento che la pratica educativa tradizionale continua a pensarsi e a volersi pensare come libro, secondo una forma che, come ho detto, privilegia l’articolazione lineare della conoscenza, la logica dimostrativa, il ragionamento ipotetico-deduttivo; quello che si configura, quindi, è uno scontro tra statuti epistemologici contrapposti. Il conflitto reale sarebbe fra una forma di sapere centrata sull’impegno di concettualizzazione e dunque di formalizzazione stabile, di cui sarebbero garanti i libri stampati, e una forma segnata dai meccanismi tipici del sapere informale, dove prevarrebbero immediatezza, superficialità e provvisorietà, cui si aggiunge la discrasia tra il sapere “mondano” e quello scolastico. La multimedialità60, l’interattività61, l’ipertestualità62, la virtualità63 e la logica reticolare stanno sempre più sfaldando il senso di padronanza sul sapere che era dato dall’esistenza di un’unica voce rassicurante, quella del libro appunto. Il tema dell’imminente “morte del libro”, discusso da molti intellettuali, ha configurato uno scenario caratterizzato dal rischio di un diminuito interesse verso la lettura e l’oggetto libro (associato solitamente allo sviluppo e alla diffusione dei media 60 «[...] per quanto riguarda la multimedialità (Rheingold, op. cit.; Cavani, 1996), questa sicuramente crea la possibilità di collegare linguaggi e quindi informazioni che non sempre sono la traduzione l’una dell’altra, ma rappresentano, invece, la possibilità di acquisire dati diversi; il rischio è rappresentato dal voler sempre trovare la sovrapposizione, come elementi che si verificano a vicenda e si confermano e così confermano la rappresentazione del soggetto che apprende» (Perricone Briulotta G., 2005, p. 62). 61 «Per quanto attiene all’interattività (McLuhan e Powers, op. cit.), questa sottolinea la capacità di risposta reciproca tra due elementi che sicuramente ottimizza i tempi, ma che nello stesso tempo rischia di far perdere passaggi in termini di processi che si attivano e delle cause che li determinano» (Ibidem). 62 «Il nucleo dell’ipertestualità (Rheingold, 1994), poi, se per un verso consente capacità esperienziali di un concetto, di un’informazione, presenta anche il pericolo di una dispersione delle idee» (Ibidem). 63 «La virtualità (Levy, 1994, op. cit.) assume una rilevanza nella misura in cui riesce a rappresentare la possibilità di modellizzare (Kazdin, 1992), sebbene presenti il pericolo di non collegarsi, o comunque di rapportarsi con la fattualità dell’evento di conoscenza che modellizza (Calvani e Rotta, op. cit.)» (Ibidem). 37 “multimodali”), considerando la tecnologia in quanto tale (come se il libro non fosse una tecnologia come abbiamo ampliamente dibattuto) una potenziale nemica dei libri. Ancora oggi è possibile affermare che di fatto, però, «Il libro non è morto, come avevano paventato apocalittici profeti di fine millennio, e neanche il testo alfabetico» (Cambi, Toschi, 2006, p. 174). Si scrive in tanti modi diversi, in maniera multimediale, in maniera collaborativa e con l’idea di trattare il testo come un materiale plasmabile, e si legge su una pluralità di dispositivi, elettronici e non, differenti; il libro non è morto ma in parte, come un essere proteiforme, si è trasformato. In questa evoluzione, bisogna anche tener conto di come agisce la rimediazione (come ho detto, è sufficiente sfogliare un libro recente e confrontarlo con un libro di una ventina di anni fa per rendersi conto di come è aumentato il numero di colori, figure e immagini, in relazione alla diffusione massiccia dei media dell’immagine), ricordando, con Maragliano (2004, p. 6), che la «moltiplicazione dei mezzi favorisce la moltiplicazione delle intelligenze, dei linguaggi, delle componenti diverse di ciascuna personalità individuale. Non impoverisce, ma arricchisce il soggetto, dandogli la parola; o meglio mettendogli a disposizione le parole (e pure i soggetti) con cui parlare». La multimedialità può risultare utile anche in funzione di un rapporto “ri-mediato” tra il “testo” e il “soggetto lettore”; se la scuola è il luogo deputato all’acquisizione del “leggere, scrivere e far di conto” deve offrire gli strumenti per leggere le immagini, decifrare suono e animazioni, decriptare i messaggi inscritti all’interno di una testualità complessa, recuperando in questa nuova logica dell’immersione le capacità di astrazione che caratterizzano lo studio attraverso la testualità cartacea. Un dato, comunque, è difficilmente contestabile: il libro di testo di cui c’è oggi bisogno non può più essere quello del passato. Non ha senso intenderlo in forma antologica, come raccolta di materiali destinati alla selezione da parte del docente […]. Né ha senso intenderlo come risorsa di apprendimento unica e onnicomprensiva. Il libro di testo deve trasformarsi in uno strumento orientato molto più alla narrazione e alla motivazione che all’accumulazione di contenuti espositivi, capace di rivolgersi direttamente allo studente e non più in primo luogo al docente. Uno strumento […] non più esclusivamente cartaceo: occorre saper sfruttare le potenzialità del digitale, soprattutto per quanto riguarda la costruzione di reti di riferimenti esterni […] non dispersivi, pertinenti e semanticamente organizzati, e l’integrazione di strumenti efficaci per la visualizzazione dei dati.64 64 Roncaglia G., 2012, L’Editoria fra cartaceo e digitale, Ledizioni, Milano. 38 Vale la pena di tornare alla storia del libro e parlare dell’ultima (almeno finora) rivoluzione: il passaggio al libro elettronico (nel prossimo capitolo tratterò in particolare del libro di testo elettronico). La quarta rivoluzione: il libro digitale Quello degli e-book è un fenomeno culturale sicuramente di grande portata e in crescente diffusione65, anche se forse è ancora complicato da decifrare, e spesso affrontato soltanto in relazione e come alternativa tecnologica ed epistemologica al libro cartaceo, mentre di fatto ne rappresenta la verosimile evoluzione. Nelle pagine precedenti ho parlato del “libro”, dando per assodato che il concetto ad esso sotteso sia accessibile a tutti nella stessa maniera, e che il libro sia un oggetto “scontato” con delle caratteristiche chiare a tutti; proprio in virtù di un confronto con quello che pare essere il suo epigono, mi pare invece opportuno problematizzare l’essenza stessa dell’oggetto/concetto libro. Dal vocabolario on-line Treccani, alla voce libro come prima cosa si legge: Libro s. m. [dal lat. Liber - bri, che indicava originariamente la parte interna della corteccia che in certe piante assume aspetto di lamina e che, disseccata, era usata in età antichissima come materia scrittoria; di qui il sign. divenuto poi più comune]. 1. a. Complesso di fogli della stessa misura, stampati o manoscritti, e cuciti insieme così da formare un volume, fornito di copertina o rilegato. Usato assol., s’intende in genere l. a stampa (altrimenti si specifica: l. manoscritto, l. a mano, ecc.)66. La definizione del dizionario Garzanti pone immediatamente l’accento anche sul significato metonimico del libro: 65 I dati ufficiali AIE, disponibili sul sito www.aie.it, a fronte di una diminuzione della lettura di libri di carta, registrano un aumento del numero di lettori di e-book, nonostante sul numero degli e-book acquistati (e quindi si presume letti) ci sarebbe una difficoltà di computo legata al fatto che Amazon, la libreria on-line più usata per l’acquisto, non fornisce dati ufficiali. Per una bella analisi dei dati ad opera del giornalista Manlio Cammarata si rimanda all’indirizzo http://www.tabulas.it/primopiano/editech2013.htm visionato il 23 ottobre 2014. 66 Lemma visionato all’indirizzo http://www.treccani.it/vocabolario/libro/ il 22 ottobre 2014. 39 Libro [lì-bro] n.m. 1. insieme di fogli, stampati o manoscritti, tenuti insieme secondo un dato ordine e racchiusi da una copertina; anche, ciò che vi è scritto o riprodotto in immagini67. Altre definizioni, come quella dell’UNESCO del 196468, stabiliscono addirittura il numero di pagine minime necessarie per considerare un libro tale: «A book is a non-periodical printed publication of at least 49 pages, exclusive of the cover pages, published in the country and made available to the public». L’oggetto libro ha quindi delle caratteristiche ben precise: pensare al libro come oggetto (come ci suggerisce, tra gli altri, Letizia Sechi, 2010) ci permette di osservare due aspetti legati alla sua fisicità, le idee di consumo e di possesso dell’informazione. A differenza degli altri oggetti di consumo, in realtà, l’informazione “consumata” non scompare ma viene trasferita da chi l’ha concepita a chi ne viene a conoscenza; il mezzo attraverso cui avviene questo spostamento, analogico o digitale che sia, l’interfaccia (ossia lo strumento di mediazione tra noi e il dato) è in qualche modo “irrilevante” ai fini del trasferimento dell’informazione (non sui modi, però, come si vedrà); ogni libro è comunque un mezzo distinto dal contenuto che, grazie alla sua assenza di fisicità, può adattarsi alle forme più varie di diffusione, un po’ come un liquido adatta la propria forma al contenitore in cui viene versato. Se il contenuto “versato” su carta ha un aspetto immutabile, stabilito dall’impaginatore, nelle versioni elettroniche del testo le dimensioni delle pagine e dei caratteri, l’orientamento del testo, il colore dei caratteri e dello sfondo, possono essere modificati dall’utente (sarebbe meglio dire dal lettore) o apparire diversi in base al supporto di lettura; ecco approssimato il concetto di “contenuto liquido” che in qualche modo è associabile al testo elettronico. Per la verità anche in quest’ambito sono molteplici le possibilità; formati come il PDF69, infatti, pur essendo “elettronici” e pur 67 Lemma visionato all’indirizzo http://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=libro il 22 ottobre 2014. 68 All’indirizzo che segue, visionato il 22 ottobre 2014, il testo completo della Recommendation concerning the International Standardization of Statistics Relating to Book Production and Periodicals http://portal.unesco.org/en/ev.php-URL_ID=13068&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html. 69 «Il Portable Document Format, comunemente abbreviato in PDF, è un formato di file basato su un linguaggio di descrizione di pagina sviluppato da Adobe Systems nel 1993 per rappresentare documenti in modo indipendente dall’hardware e dal software utilizzati per generarli o per visualizzarli. Un file PDF può descrivere documenti che contengono testo e/o immagini in qualsiasi risoluzione. È un formato aperto, nel senso che chiunque può creare applicazioni che leggono e scrivono file PDF senza pagare i diritti (Royalty) all’Adobe Systems. Adobe ha un numero elevato di brevetti relativamente al formato PDF ma le licenze associate non includono il pagamento di diritti per la creazione di programmi associati. 40 consentendo alcune modifiche nella visualizzazione della pagina (livelli di ingrandimento, orientamento…), hanno un aspetto poco personalizzabile che simula su schermo la rappresentazione del contenuto stampato su carta. Collegata a questa, c’è un’altra distinzione che bisogna fare nell’ambito dei testi digitali, quella che si riferisce all’organizzazione del testo: la differenza tra testo paginato e testo continuo o a scorrimento70. Altre caratteristiche, poi, contribuiscono alla varietà di libri elettronici (alcune delle quali li rendono più o meno simili a quelli stampati), come la presenza o meno di una copertina illustrata, di un indice, di immagini, o delle indicazioni specifiche sul copyright (anche nel caso di e-book gratuiti, ad esempio, bisogna indicare il tipo di licenza di distribuzione), anche se bisogna ricordare che «l’idea che per realizzare un libro elettronico basti trascrivere al computer un libro su carta è assolutamente ingenua» (Roncaglia, 2010), così come l’idea che esista un solo tipo di libro elettronico. Può sembrare quindi interessante leggere la definizione di e-book presente su Wikipedia: Un ebook (scritto anche e-book o eBook), in italiano libro elettronico[1], è un libro in formato digitale a cui si può avere accesso mediante computer e dispositivi mobili, come smartphone, tablet PC e dispositivi appositamente ideati per la lettura di testi lunghi in digitale, detti eReader (ebook reader). […] È errato confondere un qualunque documento in formato digitale con un eBook, dato che l’eBook non si limita a presentare la sostanza del documento cartaceo ma cerca anche di replicarne la forma, in modo da rendere la lettura il più possibile simile a quella che si avrebbe sfogliando le pagine di un libro. Da ciò deriva che tutte le azioni che in un normale libro cartaceo sono immediate e scontate, come ad esempio lo scorrere le pagine o l’inserimento di un segnalibro, possono essere emulate dal software del dispositivo di lettura. Il libro elettronico, nell’imitare quello cartaceo, approfitta ovviamente dei vantaggi offerti dalla sua natura digitale, che risiedono principalmente nelle possibilità di essere un ipertesto e inglobare elementi multimediali, e nella possibilità di utilizzare dizionari o vocabolari contestuali. Quando questa evoluzione degli ebook in senso Ogni documento PDF contiene una completa descrizione del documento bidimensionale (e, con la comparsa di Acrobat 3D, documenti 3D incorporati) composta da proprietà (Titolo, Autore, ecc.) testo, stili di carattere (font), immagini e oggetti di grafica vettoriale 2D che compongono il documento» visionato su http://it.wikipedia.org/wiki/PDF il 24 ottobre 2014. 70 Una differenza simile a questa si trova già nell’antichità: i rotoli greci erano scritti per lo più in maniera continua e venivano letti srotolandoli in verticale, quelli romani erano per lo più scritti in “pagine” orizzontali organizzate in colonna come i fotogrammi di una pellicola. 41 multimediale arriva a particolari livelli di complessità si parla di “enhanced” ebook, ovvero ebook “arricchiti”71. Curioso notare, con Cammarata (2012), che questa descrizione dell’e-book è il risultato di molteplici cambiamenti72; prima della diffusione degli attuali e-book reader, i riferimenti al libro elettronico riguardavano i diversi formati digitali nei quali poteva presentarsi. Roncaglia propone una definizione di libro elettronico che tenga conto da un lato dell’ebook come oggetto digitale, dall’altro della dimensione pragmatica dell’interfaccia e delle modalità di lettura: un libro elettronico, in questa prospettiva, è un testo elettronico che, dal punto di vista della forma testuale si riallaccia all’eredità della cultura del libro, e dal punto di vista della fruizione può essere usato attraverso dispositivi e interfacce software capaci di permettere una lettura agevole di tali contenuti, escludendo quindi dal novero dei libri elettronici quelli in cui il testo elettronico funge solo da “supporto di trasferimento” dell’informazione73. In realtà, potrebbe essere interessante distinguere con Cammarata, almeno ai fini della nostra trattazione e allo stato attuale dell’arte, da una parte tra libri elettronici prodotti come opere “da studiare”, con ipertesti e link a contenuti multimediali, dall’altra quelli da “leggere come libri” sull’e-book reader (e quindi in qualche modo gli unici qualificabili a pieno titolo come e-book). Storicamente, si comincia a parlare in maniera esplicita di e-book, o meglio di libri elettronici, appena diventa possibile gestire e rielaborare testi in formato digitale. La prima data utile per tracciare la storia degli e-book in senso stretto74 è il 1971, anno in cui Michael Hart, informatico e attivista statunitense, fonda il progetto Gutenberg, con l’obiettivo di incoraggiare la creazione e la distribuzione di libri 71 72 http://it.wikipedia.org/wiki/Ebook visionato il 22 ottobre 2014. Nel mio elaborato conclusivo, alla triennale, scrivevo: «Un eBook (anche e-book) in italiano libro elettronico o e-libro, è un libro in formato elettronico (o meglio digitale). Si tratta quindi di un file consultabile su computer, telefonini di ultima generazione, palmari ed appositi lettori digitali. Il termine deriva dalla contrazione delle parole inglesi electronic book, viene utilizzato per indicare la versione in digitale di una qualsiasi pubblicazione» (visionato il 24 ottobre 2011 su http://it.wikipedia.org/wiki/EBook). 73 Cfr. Roncaglia G., 2010. Due anni dopo, un certo Marco Cetera, rispondendo a Roncaglia che sosteneva che «uno smartphone di ultima generazione o un iPad sono portatili come un libro», in un commento del 28 marzo 2012 fa una considerazione che riporto solo come suggestione su cui riflettere «L’eBook è ancora concepito come la trasposizione del libro cartaceo in formato elettronico. In realtà, mi convinco sempre di più che siano due forme espressive essenzialmente diverse. Una differenza paragonabile a quella che esiste tra pittura e video. Tra Michelangelo Merisi e Orson Welles» tratto da Roncaglia G., 2012. 74 Per un resoconto dettagliato sugli “antenati” letterari o tecnologici dell’e-book si rimanda al già citato testo di Roncaglia del 2010. 42 elettronici utilizzabili gratuitamente, a partire dalla digitalizzazione di testi letterari non più protetti da copyright. Vent’anni dopo il progetto di Hart si configura come ipotesi per sviluppare e mantenere una biblioteca digitale accessibile da Internet in continua espansione, avviando di fatto una “trascrizione” simile a quella praticata sia nel passaggio dai rotoli antichi ai codici medioevali, sia in quello dai codici manoscritti ai libri a stampa; quasi contemporaneamente, nel 1994 nasce il progetto Manuzio, la prima biblioteca digitale in lingua italiana. Anche in questo caso si assiste ad un passaggio da una tecnologia ad un’altra considerata più conveniente: si abbassano i costi e i tempi di produzione e distribuzione, e si ottiene un prodotto più facilmente riproducibile, trasportabile, durevole e flessibile, oltre che si inquina meno, non stampando su carta e non usando inchiostri. Fin qui i vantaggi appaiono soltanto di tipo materiale, e poco ci si è interrogati riguardo agli eventuali effetti del cambiamento sui modi di intendere e di praticare le attività didattiche, cioè su come cambia lo spazio fisico e mentale di insegnanti e allievi se si introduce l’ebook a scuola, in un contesto in cui generalmente c’è qualcuno che insegna qualcosa a qualcun altro, scomponendo questo qualcosa pezzo a pezzo e mettendo ogni pezzo dopo l’altro: per Comenio “il maestro è come il tipografo e l’allievo come la pagina bianca”, e l’uso del libro di testo, stabile, scomponibile, analizzabile, ha in qualche modo reiterato questa immagine, pur con le tante innovazioni pedagogiche e didattiche rispetto alla circolarità e alla reciprocità dei processi di insegnamento-apprendimento e alla centralità nuova del singolo allievo. Se è vero che dal passaggio dal mondo fisico a quello digitale il testo perde la materialità dell’oggetto75, è anche vero che guadagna caratteristiche (al di là 75 Secondo uno studio dell’università norvegese che ha coinvolto 50 laureati divisi in due gruppi (uno dei quali ha letto un giallo breve in versione cartacea, l’altro in versione elettronica), chi legge un e-book ricorderà meno rispetto a chi legge un libro cartaceo. Dopo la lettura è stato somministrato un test con alcune domande di comprensione. I lettori su carta avrebbero conseguito risultati migliori in quasi tutti gli ambiti, tranne quello relativo ai personaggi; in particolare, i lettori “su carta” hanno ottenuto il 57% di risposte corrette rispetto al 44% dei lettori su iPad (un dispositivo multifunzione utilizzabile anche come lettore di e-book) nelle domande legate al tempo e agli eventi. Il dato più significativo, almeno secondo i ricercatori, è proprio quello legato alla cronologia del racconto; i ricercatori norvegesi hanno ipotizzato che la maggiore capacità di chi legge un libro cartaceo di memorizzare gli eventi cronologici sia legata alla “sensazione tattile del progresso”. In pratica, toccare il libro con mano darebbe la sensazione del “mucchio di pagine a sinistra” che vuol dire crescita a destra; ciò renderebbe più forte il senso dello svolgimento e del progresso nella lettura. Nell’esperienza digitale mancherebbe “l’evidenza empirica” che avrebbe un importante impatto a livello cognitivo ed emotivo (il diverso spessore dei mucchi di pagine, a mio avviso, potrebbe però essere simulato graficamente). Un breve sunto della ricerca è disponibile al già citato http://www.orizzontescuola.it/node/45482; sul sito Academia.edu, 43 dell’economia e della portabilità) interessanti; anche se mi soffermerò su queste caratteristiche nel prossimo capitolo, voglio qui citare soltanto la pratica dell’annotazione, che, rispetto alle sottolineature e ai commenti che è possibile fare su carta, si arricchisce di possibilità fino ad oggi impensabili. Gli e-book si configurano come una vera e propria rivoluzione come le precedenti, anche se si è ancora in una fase di transizione in cui coesistono diverse interpretazioni del fenomeno e una babele di formati e dispositivi. Il primo e-reader fa la sua comparsa a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio, seguito a stretto giro di vite da vari modelli e marche; il più famoso lettore dedicato è il Kindle di Amazon. Negli ultimi anni, specie a seguito del lancio da parte di Apple dell’iPad, si è assistito ad un proliferare di tipi di e-reader, ma anche di tablet, smartphone, netbook e computer in grado di leggere testi elettronici, cui si è affiancata una sperimentazione continua tra formati diversi: siamo ben lontani dall’affermarsi di uno standard unico o quantomeno condivisibile ad ampio spettro. Alcuni studiosi sostengono che il libro elettronico ottimale si otterrà quando la sua interfaccia si avvicinerà alla forma propria del libro a stampa così tanto da rendere la tecnologia “invisibile”, o meglio: la tecnologia nuova dovrà rispondere al requisito di mimeticità rispetto alla tecnologia (così diffusa e quindi, come abbiamo visto, così invisibile) del libro. Al posto di carta e inchiostro si dovrà utilizzare sì altro (non a caso, le soluzioni tecnologiche che seguono questa direzione sono stati ribattezzati e-paper ed eink), ma quest’altro dovrebbe però apparire come indistinguibile e comunque altrettanto comodo rispetto al libro76. In realtà, il panorama è molto vario e, di contro alla posizione prima evidenziata, c’è chi si aspetta dagli e-book interfacce e possibilità totalmente diverse rispetto a quelle offerte dai volumi stampati; siamo all’alba della quarta rivoluzione, anche se tutto fa pensare che questa sarà più veloce delle precedenti: La stampa impiegò secoli per imporsi, e comunque su porzioni limitate della società; cinema radio e tv impiegarono decenni, su porzioni ben più estese; il digitale si è universalmente invece, all’indirizzo https://stavanger.academia.edu/AnneMangen visionato il 23 ottobre 2014, sono disponibili numerosi articoli della ricercatrice Anne Mangen, coordinatrice della ricerca, sulla lettura nell’epoca della digitalizzazione o sulle implicazioni cognitive dei nuovi media, di cui parlerò meglio nel prossimo capitolo. 76 Di contro, molti lettori abituali, o meglio i lettori quasi compulsivi, trovano gli e-reader o i tablet più funzionali e pratici perché consentono loro di portare sempre con sé, con poco sforzo, una biblioteca da cui poter attingere in ogni ritaglio di tempo “vuoto” per consumare “pagine” con un ampio ventaglio di scelte. 44 affermato nel giro di pochi anni e le sue ricorrenti novità hanno tempi che ci siamo abituati a calcolare in mesi. Ci aspettiamo infatti che ad ogni cambio di stagione, come avviene per la moda, si allestiscano le sfilate dei nuovi dispositivi. Di tali avvenimenti, però, siamo generalmente pronti a cogliere gli aspetti di superficie, e ciò induce a bollarli come effetti di comportamenti consumistici […] sarà consumo quello delle macchinette digitali, ma è, indubbiamente, consumo di sapere; sarà il fascino ammaliante degli schermi, ma è, chiaramente, un fascino legato al bisogno e al piacere di essere in contatto costante con oggetti e soggetti77. La percezione che questa rivoluzione sarà più “veloce” (o che si passerà velocemente ad una quinta rivoluzione) è legata a fattori economici e socioculturali: la nostra società vive da tempo un periodo di trasformazioni continue in ambito comunicativo, sociale, economico, tecnologico e soprattutto semiotico; dalla prima rivoluzione industriale in poi le innovazioni tecnologiche e scientifiche si sono succedute a ritmi sempre più incalzanti, e per tutto il Novecento è stato possibile assistere, senza soluzione di continuità, a invenzioni e scoperte inimmaginabili, anche se i mutamenti più sostanziosi non vanno rintracciati nell’introduzione massiccia e continua di nuovi macchinari, quanto nel loro portato sociopsico-cognitivo. La storia dell’evoluzione del libro, infatti, si inscrive nella storia più generale della civiltà e della cultura umana, almeno di quella occidentale, che è stata soggetta a varie classificazioni; De Kerckhove, ad esempio, individua tre tappe, l’orale, la scritta e l’elettrica78; Maragliano e Pireddu invece (per limitarmi solo a tre autori citati finora, ma potrebbero ricordarsi altre tassonomie della storia culturale) spostando il focus verso questioni più prettamente pedagogiche, suddividono l’era umana in fasi caratterizzate ciascuna da un particolare modo di comunicare/formare e, di conseguenza, da determinate tecnologie educative, e individuano cinque “cornici” (oralità, scrittura, stampa, 77 78 Maragliano R., Pireddu M., 2012. Nella fase orale, il linguaggio invadeva il corpo ed era da questo prodotto, sempre diretto fuori dall’individuo e teoricamente condiviso con una o più persone. Con l’arrivo della cultura scritta e con l’appropriazione del linguaggio da parte dell’individuo, fu il corpo a cominciare a dominare il linguaggio; la coscienza collettiva della tribù viene frammentata dall’arrivo e dalla diffusione delle coscienze provate e sviluppate dalla lettura. L’elettricità ha modificato del tutto le cose, «si è sposata con il linguaggio sulle linee del telefono»; il linguaggio è dappertutto, in tutte le direzioni, ed è accelerato alla velocità della luce. La nuova oralità elettronica riprende possesso del corpo, in un modo paradossale; l’estensione elettrica del linguaggio ci porta a occupare tre tipi di spazio, fisico, mentale e virtuale, con nuove forme di condivisione. 45 audiovisione, rete) e alcuni mezzi caratteristici per ogni cornice79. Il libro, quindi, o la sua evoluzione, l’e-book, come tecnologie educative e come mezzi di trasmissione culturale vanno di certo messi in relazione con gli altri media con cui gli studenti (ma anche i docenti) entrano in contatto nella vita quotidiana; nel 1995, Lévy scriveva: Dal momento che la scrittura alfabetica oggi in uso è nata in funzione di un supporto statico è legittimo domandarsi se la comparsa di un supporto dinamico non possa suscitare l’invenzione di nuovi sistemi di scrittura che sfruttino appieno le nuove potenzialità [del digitale]80. L’ipotesi di Lévy oggi appare meno fantascientifica di quel che si possa immaginare: negli ultimi venti anni le scienze cognitive si sono mosse proprio in questa direzione, elaborando modelli di rappresentazione della conoscenza che integrano diversi codici espressivi (suono, immagini, testo…); ed è proprio a realtà basate su questo modello che mi riferirò, nel secondo capitolo, parlando di libri elettronici da utilizzare a scuola. 79 I media della cornice dell’oralità sono, per i due autori, la retorica, l’epica e il teatro; per la scrittura, invece, individuano l’iscrizione, la lettera, il rotolo e il codice, il libro. Per la cornice della stampa citano l’incunabolo, il libro, la stampa a carattere informativo e il romanzo, il fumetto, la rivista. Nella quarta cornice, quella dell’audiovisione, inseriscono il telegrafo, la fotografia, il telefono, la fonografia, la radio, il cinema e la televisione. Entro la cornice della rete individuano come media, in maniera significativa, la geografia, il sapere, l’agire e l’essere. 80 Lévy P. trad. it. 1997, p. 41. 46 CAP. 2 - INSEGNARE E APPRENDERE CON L’E-BOOK MULTIMEDIALE E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che crederanno: nel mio nome […] parleranno lingue nuove81 L’uomo impara a leggere, l’uomo impara leggendo L’e-book, come ho tentato di mostrare nel capitolo precedente, lungi dall’essere una entità ben definita, è ancora quasi pirandellianamente alla ricerca della propria identità; sembra anzi che lo si possa definire soltanto in negativo, affermando ciò che un e-book non è o non deve essere; Roncaglia, ad esempio, sostiene otto tesi sulle caratteristiche che un libro elettronico non deve avere. Le ultime due tesi, che possono in qualche modo essere considerate insieme, sostengono che il libro elettronico non deve essere pensato come destinato alla lettura di informazioni in forma esclusivamente testuale e non deve orientarsi soltanto verso testi lineari, ma neanche esclusivamente verso ipertesti multimediali: in buona sostanza ci si orienterà verso la soluzione più adatta di volta in volta. Ferma restando questa proteiforme natura intrinseca dell’e-book, di certo è possibile sostenere almeno una delle sue caratteristiche: l’e-book è qualcosa che si legge. Il passaggio dall’oralità alla scrittura/lettura, come ho detto nel capitolo precedente, può a buon diritto essere considerato rivoluzionario e fondamentale per la storia della civiltà umana, così come imparare a leggere e a scrivere, ancora oggi, è un passaggio importante nella storia di ognuno. Ma cosa è propriamente leggere? Cioè cosa avviene nel cervello di chi legge? E cosa è leggere nel mondo dei media digitali, dove si arriva a quella forma che De Kerckhove ha definito “screttura” che indica l’unione di lettura e scrittura82, proprio a sottolineare una modalità di fruizione dell’informazione (definita lean forward, ossia “protèsi in avanti”) caratterizzata da un uso attivo di essa, in cui non ci si limita ad assorbirla, ma la si elabora e modifica? Leggere, in prima istanza, arricchirebbe il repertorio emotivo, svilupperebbe capacità inferenziali e la capacità di riconoscere configurazioni diverse: secondo la citata neuro-scienziata cognitivista Wolf, inoltre, leggere mostra in maniera sbalorditiva la capacità del cervello umano di riorganizzarsi per imparare una nuova funzione intellettiva, e la sua poliedrica attitudine a creare nuovi collegamenti tra strutture e circuiti inizialmente 81 Vangelo di Marco 16:17. 82 Analogamente George Landow, pioniere della teoria degli ipertesti e delle ricadute della tecnologia sul linguaggio, ha definito i lettori degli ipertesti wreaders (lettori e scrittori insieme). 47 preposti a processi cerebrali più di “base” e con un “curriculum evolutivo” più esteso, come la vista e la lingua parlata. Le conoscenze odierne ci dicono che siamo geneticamente predisposti allo sviluppo e al progresso, e che gruppi di neuroni creano tra loro nuovi collegamenti ogni volta che acquisiamo una capacità; imparare a leggere è possibile solo grazie alla innata plasticità del nostro cervello, e non appena un individuo impara a leggere il suo cervello cambia per sempre, sia fisiologicamente che intellettualmente. Avviene, cioè, qualcosa di analogo a quei processi descritti, con una felice intuizione, dall’epistemologo svizzero Piaget a partire dal 1925, l’assimilazione83 e l’accomodamento84; dall’equilibrio tra questi due processi che caratterizzano l’adattamento si svilupperebbe la mente, in modo più elastico nel bambino, sempre più rigido con l’avanzare dell’età. Il soggetto, per Piaget, costruisce attivamente le strutture della mente verso le forme dell’intelligenza logica e sperimentale (da questo punto di vista può essere considerato un precursore del costruttivismo); alla base c’è il concetto che l’intelligenza sia interiorizzazione dell’azione, sua immagine internalizzata. Nello specifico, il cervello che legge sfrutta vie neuronali preesistenti, progettate inizialmente per la visione e per collegare la vista a funzioni concettuali e linguistiche, e crea nuovi collegamenti preferenziali tra neuroni, specializzando ulteriormente la capacità visiva che consente di riconoscere persone, animali e oggetti; inoltre imparare a leggere risulta più facile a bambini che hanno già un ricco vocabolario (ognuno di noi ha, almeno una volta, fatto l’esperienza di provare difficoltà nella lettura di qualche parola sconosciuta, come gli ingredienti dei bugiardini). Il cervello umano dispone, in generale, di tre principi costruttivi: la capacità di realizzare nuovi collegamenti tra strutture più vecchie, la capacità di costruire aree con un notevole grado di specializzazione, la capacità di imparare a recuperare e collegare automaticamente le informazioni da queste aree. Le caratteristiche del sistema visivo sono un esempio di come il riciclaggio di circuiti visivi preesistenti ha consentito lo sviluppo della lettura; le cellule visive, inoltre, possono diventare estremamente specializzate e in grado di creare nuove relazioni tra strutture già esistenti. La lettura non è soltanto movimento oculare da un simbolo al successivo e riconoscimento “visivo” di simboli concatenati; man mano che si diventa lettori esperti la lettura, prima 83 Per “assimilazione”, in questo contesto, si intende l’adeguamento degli schemi mentali interni alla realtà esterna; il bambino decodifica un evento in base ad elementi che gli sono già noti. 84 Per “accomodamento”, sempre in senso piagetiano, si intende la ristrutturazione degli schemi interni posseduti; la struttura cognitiva o lo schema comportamentale del bambino si modificano per accogliere nuovi oggetti o eventi che fino a quel momento erano ignoti. 48 sillabante, poi sempre più fluida, passa dalla decodifica delle sequenze di lettere lette al riconoscimento delle parole (facilitato dal potenziamento della visione a blocchi – il sight chunks – e della visione a parole – il sight words), fino alla comprensione e al collegamento di ciò che si legge con altro che si conosce. Il cervello del soggetto che legge in maniera fluida specializza progressivamente l’emisfero sinistro85; sviluppando schemi e forme di riconoscimento visivo, diventa abile nel richiamare alla memoria in breve tempo anche le informazioni semantiche necessarie alla comprensione, fino a quando il soggetto diventa lettore esperto, in grado di recuperare velocemente dalle conoscenze pregresse aspetti utili alla comprensione profonda di ciò che legge e di immagazzinare in memoria i nuovi contenuti letti, in una circolare, ricorsiva e dinamica relazione tra il contributo cerebrale alla lettura e il contributo della lettura alle capacità cognitive del cervello. In ognuna di queste fasi le aree del cervello impegnate in maniera privilegiata varierebbero, così come variano a seconda della lingua in cui si impara a leggere o al metodo utilizzato, oltre che al supporto su cui si legge. Secondo Anne Mangen: Reading involves factors not usually acknowledged. The ergonomics, the haptics of the device itself. The tangibility of paper versus the intangibility of something digital. The contrast of pixels, the layout of the words, the concept of scrolling versus turning a page, the physicality of a book versus the ephemerality of a screen, the ability to hyperlink and move 85 La struttura della mente umana mostra una sorta di bipolarismo, in relazione, secondo De Kerckhove, alle differenti caratteristiche dei due emisferi del cervello; già Platone e Aristotele differenziavano la conoscenza che procede per piccoli passi graduati e la conoscenza immediata e globale. Nel primo caso, che chiamerebbe in gioco l’emisfero destro, le informazioni vengono processate dal cervello in maniera sequenziale, secondo uno schema dianoetico; ciò spinge a privilegiare l’attività analitica, suddividendo i concetti in componenti più piccoli e procedendo poi alla conquista di una visione d’insieme. Nel secondo caso, che metterebbe in moto l’emisfero sinistro del cervello caratterizzato da una intelligenza sintetica, l’apprendimento viene visto come processo progressivo di differenziazione a partire da una preliminare visione d’insieme secondo una percezione noetica. Questa distinzione non deve essere intesa in senso deterministico; pensare che geneticamente un alunno sia cerebrodestro o cerebrosinistro e su questo costruire preconcetti che poi sfocino nell’effetto Pigmalione della profezia che si autoavvera è una neuromitologia da cui guardarsi (come l’idea che un individuo sia razionale perché mobilita più facilmente il cervello sinistro, mentre un individuo creativo mobilita più quello destro). Il cervello, più che per zone localizzate (che possono essere considerate soltanto in maniera orientativa), funziona attraverso network diffusi di neuroni specializzati e connessi in maniera selettiva con altri simili, che possono trovarsi in parti o livelli differenti; la sua plasticità, legata alle caratteristiche socio-ambientali, ne consentono sviluppi inattesi. 49 from source to source within seconds online—all these variables translate into a different reading experience86. Leggere a schermo, leggere su carta La lettura a schermo, grazie anche alla possibilità di scorrere (scroll) velocemente le pagine o di accedere a fonti informative diverse, sembrerebbe incoraggiare un comportamento tipico della lettura orientativa (il cosiddetto skimming, letteralmente “scremare, scorrere”, quindi “leggere per sommi capi”); questo tipo di lettura avviene solitamente ad una velocità superiore rispetto alla lettura fatta per comprendere interamente un testo e porta a livelli di comprensione piuttosto scarsi. Solitamente si ricercano a livello visivo, all’interno di una pagina, degli elementi che aiutino a farsi una idea sommaria e veloce dei contenuti, per comprendere se la pagina è realmente interessante (e quindi da leggere con attenzione) oppure no (e quindi si passa ad un’altra fonte). A risultati analoghi giunge Ziming Liu87 nel corso di una ricerca sulla lettura digitale e sull’uso di e-book: sullo schermo, le persone tendono a sfogliare e a scansionare velocemente il testo, a cercare le parole chiave, e a leggere in modo meno lineare; sulla pagina stampata, con lo stesso contenuto, tendono a concentrarsi di più e a seguire il testo. La lettura on-line porterebbe a esaurire le risorse più rapidamente rispetto alla pagina stampata, anche per la costante necessità di filtrare i collegamenti ipertestuali e le possibili distrazioni, oltre che, fisiologicamente, gli occhi si affaticherebbero di più nel leggere su uno schermo costantemente mutevole, con layout e colori non adatti a letture lunghe (anche se i nuovi monitor e display dovrebbero essere migliori che in passato, da questo punto di vista). Altri studi psicologici sul modo in cui percepiamo e interagiamo con la tipografia e la formattazione on-line e a stampa hanno mostrato che il layout di un testo può avere un effetto significativo sulla esperienza di lettura; ad esempio, leggiamo in modo più efficiente quando il testo è organizzato in una singola colonna, piuttosto che in più colonne o sezioni. 86 Da un’intervista del 16 luglio 2014 alla Mangen disponibile su http://www.newyorker.com/science/maria- konnikova/being-a-better-online-reader, visionata il 26 ottobre 2014. Articoli e abstract interessanti sull’argomento, sempre della Mangen (impegnata in attività di ricerca sui meccanismi cerebrali che si attivano durante la lettura su carta e su schermo), sono disponibili, alcuni su richiesta, all’indirizzo http://stavanger.academia.edu/AnneMangen/Papers. 87 Cfr. Ziming L., 2005, Reading behavior in the digital environment: Changes in reading behavior over the past ten years, Journal of Documentation, Vol. 61 Iss: 6, pp. 700-712 disponibile all’indirizzo http://www.emeraldinsight.com/doi/abs/10.1108/00220410510632040 visionato il 26 ottobre 2014. 50 Il tipo di carattere, il colore e la dimensione del testo possono contribuire a rendere la nostra esperienza di lettura più facile o più difficile, e ciò risulta vero sia nella lettura on-line che su carta; se, però, leggiamo su siti dinamici in cui l’aspetto va cambiando nel tempo, i nostri occhi e il nostro approccio alla lettura necessitano di “tararsi” continuamente e contestualmente, con un dispendio di energia mentale e fisica ad ogni riorganizzazione. Passare dalla stampa alla lettura digitale in genere, può avere quindi un costo in termini di comprensione, analisi e valutazione di un testo. Gran parte della ricerca della già citata Mangen si concentra sul modo in cui il formato del materiale di lettura può influenzare non soltanto il movimento degli occhi o la strategia di lettura, ma anche determinare capacità di elaborazione più o meno ampie. Una delle sue ipotesi, come abbiamo visto nel primo capitolo88, è che la presenza fisica di un libro, il suo peso, la sua “atmosfera”, lo spessore e l’ordine delle pagine, possano avere più di un significato puramente emotivo o nostalgico (vedremo, tra l’altro, che la sfera emotiva non è neutrale nella cognizione), influendo notevolmente sulla comprensione di base e sulla memorizzazione. Le preoccupazioni della Wolf vanno invece ben oltre la semplice comprensione del testo; la neuroscienziata teme in qualche modo che leggere esclusivamente nei formati digitali possa avere un effetto negativo sul processo che lei chiama di “lettura profonda”, ossia sui “processi di comprensione sofisticati”, anche se alcuni esperimenti di alfabetizzazione primaria attraverso il digitale l’hanno spinta, negli ultimi anni, a ritrarsi su posizioni più incerte e possibiliste: allo stato attuale degli studi, infatti, non si sa se l’accesso immediato alla quantità crescente di informazioni esterne ci allontani dai processi di lettura profonda o, al contrario, ci inciti ad esplorare i significati delle cose più in profondità. Julie Coiro89 ha trovato che una buona capacità di lettura su stampa non si traduce necessariamente in una buona capacità di lettura su schermo. Il mondo on-line, però, può richiedere agli studenti di esercitare maggiore autocontrollo rispetto ad un libro fisico, autocontrollo che, se opportunamente allenato, può produrre risultati positivi, anche se probabilmente soltanto su “lettori esperti non nativamente digitali”. È interessante notare anche che la Cairo ha trovato che i videogiocatori, abituati a mantenere un’alta concentrazione verso lo schermo, sono spesso lettori più abili, più a proprio agio col mezzo digitale e maggiormente in grado di rimanere attenti sul compito. In uno studio comparativo sulla comprensione di un breve testo di saggistica tra due gruppi di studenti (un gruppo leggeva in digitale, l’altro su 88 Cfr. nota 75. 89 Ricercatrice impegnata in diversi studi sulla comprensione della lettura digitale da parte di studenti dai 5 ai 14 anni presso l’Università di Rhode Island. 51 cartaceo), Rakefet Ackerman e Morris Goldsmith hanno rilevato che gli studenti hanno ottenuto risultati simili in un test di post-lettura a scelta multipla quando è stato dato loro un limite di tempo per leggere; la performance di coloro che leggevano in digitale è crollata quando hanno dovuto autoregolare il proprio tempo. Il deficit del digitale, suggeriscono questi esperimenti, non sarebbe dunque dovuto al mezzo in quanto tale, ma piuttosto alla mancata conoscenza di sé e al mancato autocontrollo: spesso non ci si rende conto che la comprensione di un testo digitale richiede tanto tempo quanto la lettura di un testo cartaceo. Altri studi dimostrerebbero che il problema sin qui esposto sia legato al fascino del multitasking90 su Internet e non alla lettura digitale in sé. In effetti, dati di altre ricerche suggeriscono che, in certi ambienti e per alcuni tipi di attività, siamo in grado di leggere altrettanto bene in qualsiasi formato; già nel 1988, alla University College di Swansea, in Galles, gli psicologi David Oborne e Doreen Holton hanno effettuato degli studi sperimentali rispetto alla comprensione del testo legata alla lettura su diversi schermi e formati di carta (caratteri scuri su sfondo chiaro, o caratteri chiari su fondo scuro), e non hanno trovato differenze significative nella velocità di lettura e nella comprensione. Come sostiene la Wolf, dobbiamo essere consapevoli degli effetti della profonda immersione virtuale, ma dovremmo essere altrettanto cauti nell’attribuire colpe; gli studenti, probabilmente, non sono stati vittima della digitalizzazione tanto quanto sono stati vittima di una insufficiente formazione e assistenza nell’uso degli strumenti per gestire il paesaggio mutevole nella lettura e nel pensiero. La scienziata si ritiene inoltre ottimista sul fatto che la “razza” umana sia in grado di imparare a leggere navigando on-line profondamente così come una volta ha imparato a leggere su altri supporti, pur non essendo geneticamente nata per leggere. A parziale conferma di ciò, alcuni studi mostrerebbero che l’introduzione di una componente di annotazione interattiva ha contribuito a migliorare la comprensione e la strategia di lettura utilizzata da un gruppo di bambini di 10 anni: si scopre così che per leggere in profondità anche in digitale bisogna soltanto trovare il modo di spiegare ai discenti come farlo. Vari gruppi di ricerca stanno attualmente lavorando su applicazioni digitali per formare gli studenti negli strumenti di lettura profonda, e per utilizzare il mondo digitale allo scopo di insegnare tipi di competenza che generalmente si 90 Il lavorare in multitasking, comportamento che è sempre esistito nonostante si decanti tanto come prerogativa dei nativi digitali (concetto, quest’ultimo, da prendere soltanto come metafora e che andrebbe ulteriormente problematizzato – non esistono infatti evidenze su un cambiamento nella fisiologia del cervello dei giovani nati nell’epoca del proliferare del digitale rispetto al cervello dei cosiddetti coloni o immigranti digitali) secondo alcune ricerche può comportare una perdita di concentrazione o un sovraccarico cognitivo. 52 tende ad associare alla contemplazione silenziosa e alla presenza materiale di volumi fisici. La stessa plasticità cerebrale che ci permette di formare il circuito neuronale necessario per imparare a leggere e a leggere in profondità, permetterà anche di imparare come duplicare la capacità di lettura profonda in un nuovo ambiente: «We cannot go backwards. As children move more toward an immersion in digital media, we have to figure out ways to read deeply there». L’invito della scienziata è quello di insegnare ai bambini ad essere “bitestuali” o “multitestuali”, cioè capaci di leggere e di analizzare i testi in modo flessibile con modalità diverse, con istruzioni più ponderate, ad ogni stadio di sviluppo, riflettendo sugli aspetti inferenziali, impegnativi, di ogni testo; ed è un invito stimolante, forse l’unico, per rendere fruttuosa e interessante la normativa sull’adozione dei libri di testo digitali e multimediali. Studiare sul libro di testo elettronico Alla luce delle seppur poche e a volte contrastanti evidenze scientifiche e degli studi ad oggi in nostro possesso per un fenomeno tutto sommato recente, come quello della lettura on-line o di e-book (specie se messo a paragone col suo diretto antenato, la lettura a stampa), ritengo essere una buona soluzione di compromesso quella ad oggi sperimentata nelle librerie scolastiche digitali, la più diffusa delle quali è Scuolabook. In un unico ambiente, una sorta di libreria digitale appunto, da scaffali virtuali è possibile “aprire” il libro di proprio interesse, avendo ogni libro “a portata di clic” in un cloud (letteralmente “nuvola”), ossia in uno spazio di archiviazione on-line disponibile ovunque, dislocato su un computer server centrale. Tutti gli acquisti effettuati sono abbinati ad un account (identificato da un indirizzo e-mail usato come nome utente e da una password), che è possibile utilizzare su un massimo di 5 dispositivi differenti per leggere i libri91, che risulteranno sincronizzati (le opzioni consentono di scegliere tra una sincronizzazione automatica o manuale, ossia selezionata dall’utente solo quando lo ritiene utile); ogni personalizzazione e modifica compiuta su un dispositivo, quindi, verrà visualizzata su ogni altro dispositivo. Con lo stesso account è possibile visualizzare i libri acquistati anche nel Web reader, ossia il lettore disponibile su Internet da qualsiasi postazione attraverso il browser Web, aumentando di fatto il numero di dispositivi da cui è possibile vedere i propri libri. Il vantaggio per la schiena degli studenti è indubbio, anche se, per sostituire il libro di 91 L’applicazione (app) Scuolabook è disponibile e scaricabile gratuitamente per Windows, Mac, Linux, iPad e tablet Android. 53 carta in classe, sarebbe necessario che ogni allievo possedesse un tablet, possibilmente con una connessione dati attiva che consenta la visualizzazione degli e-book acquistati; non è infatti detto che a scuola ci sia una rete Internet condivisa. Le memorie di archiviazione attualmente disponibili per i tablet in commercio, d’altra parte, non consentono di scaricare e conservare per intero tutti i libri sul proprio dispositivo in modo da averli sempre a disposizione anche senza connessione; l’applicazione, tramite il Download Manager, permette di scaricare i libri “a pezzi”, personalizzando il proprio percorso in base a ciò che si fa in classe. Il Download Manager è il sistema che ottimizza lo spazio disponibile sul disco del dispositivo nel quale vengono letti gli e-book Scuolabook, anche nella forma Plus (cioè quella che oltre al testo presenta collegamenti ipertestuali ai materiali multimediali); data la notevole dimensione dei contributi multimediali negli eBook+, il Download Manager suddivide in blocchi il loro scaricamento “a pacchetto”, generalmente per capitoli. Terminata la consultazione, il blocco di contributi multimediali può essere archiviato e rimosso dal disco, rimanendo comunque disponibile per un successivo download. L’utilizzo di un impaginato in un formato derivato dal PDF del libro, che ricalca la struttura e l’aspetto del manuale stampato, fornisce un ambiente rassicurante e un’organizzazione ordinata che favorisce lo studio sequenziale; gli stessi limiti “spazio-temporali” della pagina, come si è visto, possono aiutare nella gestione dei tempi di lettura e nell’organizzazione dei saperi. A fronte di un aspetto apparentemente uguale, però, l’ambiente e il mezzo sono profondamente cambiati e consentono operazioni che, per quanto a volte imitino azioni che è possibile compiere sul testo fisico, si aprono a possibilità inedite: si può modificare e personalizzare la visualizzazione in base alle proprie preferenze, cambiando il livello di ingrandimento e la luminosità (nel Web reader si può anche decidere se visualizzare le pagine singole o affiancate come nel libro cartaceo), navigare all’interno di una pagina o tra le pagine scorrendo dalle barre laterali, muoversi all’interno di una singola pagina, in particolare quando viene zoomata, con lo strumento “Mano” (che permette di esplorare la pagina tenendo premuto il tasto sinistro del mouse e trascinando), cercare una parola all’interno del testo, oltre che sfogliare il libro attivando gli indici, che consentono di raggiungere velocemente il capitolo o l’unità indicizzati (dall’editore) con un semplice clic. Oltre al classico sommario, che riproduce la suddivisione in parti del libro, sono disponibili un indice dei contenuti multimediali (presenti, come vedremo, nelle pagine della versione arricchita dell’e-book, contrassegnate da icone che ne indicano la presenza e 54 la tipologia), un indice degli esercizi e uno degli strumenti92 (se previsti dall’editore) oltre che un indice dei segnalibri salvati; è infatti possibile “marcare” una determinata pagina o anche una singola parola e assegnare un nome specifico per rintracciare e raggiungere facilmente un determinato argomento. Gli esercizi, inseriti direttamente nelle pagine del libro, consentono allo studente di verificare la propria comprensione o le proprie conoscenze pregresse; il feedback93 immediato (come vedremo meglio) consente all’allievo di automonitorare e migliorare il proprio apprendimento94, e lo mette nelle condizioni di comprendere se si trova sulla “strada giusta” o se deve apportare dei correttivi nella propria preparazione o nel proprio metodo di studio. Le domande presenti, inoltre, solitamente sono preparate in modo da focalizzare l’attenzione sui concetti chiave su cui l’allievo deve concentrarsi. Altri strumenti consentono di scrivere con una penna o con un evidenziatore direttamente sulle pagine del libro, scegliendo il colore e lo spessore delle linee, e se disegnare a mano libera o tracciare segmenti dritti; la gomma consente di cancellare ciò che si è disegnato o evidenziato. È inoltre possibile inserire (e condividere con i compagni e l’insegnante del proprio “corso” o “gruppo”) note testuali in qualunque punto di una qualsiasi pagina, o fotografare parti del libro da conservare come immagini ritagliate; note e ritagli possono confluire poi in una sorta di Quaderno che gli studenti hanno a disposizione, trasversale a tutti i libri presenti nel sistema Scuolabook, e le singole “pagine” del quaderno possono essere esportate in formato HTML (e quindi essere aperte in un browser di navigazione, anche senza essere connessi ad Internet) per ripassare poi una lezione con gli appunti assemblati. Gli appunti salvati nel quaderno possono essere ordinati per data o per libro, ed è possibile cercare del testo al loro interno; il testo dell’e-book, quindi, può essere selezionato facilmente, e di conseguenza evidenziato, copiato e incollato (oltre che in note e appunti di quaderno anche in altri software), cercato nel resto del libro o su Google, Wikipedia o su Wolfram|Alpha, un motore computazionale di conoscenza che interpreta le parole chiave inserite dall’utente e 92 Gli strumenti sono eventuali contributi in HTML5 non legati alle pagine del libro ma trasversali. 93 «Un feedback è la risposta che un insegnante o un sistema, una macchina, fornisce all’allievo e che agisce da segnale orientativo permettendo a questi di comprendere se sta procedendo nella via giusta o deve “cambiare rotta”» (Calvani A., 2011, p. 23). 94 «One of Chickering and Gamson’s teaching principles (1987), “Give rich and rapid feedback”, tells us that we need to give both formative (along the way, assist with determining learning structures) assessments and summative assessments (those that evaluate the learning of the student. [...] Moreno (2004) found that explanatory feedback promotes higher scores and reduces cognitive load compared to corrective feedback» Smith R.M., 2008, pp. 34-35. 55 propone direttamente una risposta anziché offrire una lista di collegamenti ad altri siti Web. Un semplice e-book di testo, quindi, fornisce numerose possibilità di utilizzo (soprattutto se si usa pure in maniera collaborativa, nell’ambiente dedicato, come si vedrà nel prossimo capitolo) anche perché consente agli studenti di non “subire” il libro stesso, ma di agire attivamente su di esso; quelli esaminati fin qui sono gli strumenti a disposizione su un testo elettronico che, come si è visto, ricalca in tutto e per tutto il libro stampato. Le possibilità si moltiplicano, però, qualora il libro di testo sia disponibile su Scuolabook nella versione cosiddetta eBook+, descritta, con un felice slogan pubblicitario, come “la terza dimensione del libro digitale”; sull’impaginato del libro si trovano disseminate delle icone da cui è possibile aprire, con un semplice clic, le eventuali espansioni multimediali previste dalle case editrici che “producono” e commercializzano il libro. Si realizza la situazione che Roncaglia sperava già nel 2001, cioè che il tradizionale libro di testo possa (e debba) essere affiancato da strumenti nuovi, in particolare da strumenti multimediali, senza che l’insegnante rinunci a una strutturazione del percorso formativo proposto, o abbandoni necessariamente l’uso di modelli di ragionamento dimostrativi e deduttivi a favore di modelli “analogici” o di flusso, o debba preferire la contemporaneità alla linearità. In classe vi potranno essere occasioni in cui è necessario “prendere per mano” lo studente e guidarlo attraverso uno specifico percorso (che può prevedere l’impiego di forme e codici comunicativi diversi), situazioni in cui lo si può lasciare libero di scegliere in tutta autonomia le strade e le direzioni da prendere, e molte altre situazioni intermedie. «Non si tratta di abbandonare la strada della linearità che sarebbe propria della cultura del libro per sostituirla con la cultura del flusso, della contemporaneità, dell’analogia che sarebbe propria dei nuovi media. Si tratta al contrario di integrare al meglio vecchie e nuove possibilità, tenendo presente che in questo campo (ma non solo in questo) è bene cercare di mettere le tecnologie al servizio delle nostre scelte culturali e formative, e non viceversa» (Roncaglia, 2001); si prefigura quindi quella “multitestualità” immaginata anche dalla Wolf. Sono molte le icone disponibili nelle pagine del libro che indicano la presenza di un contenuto multimediale (come abbiamo visto vi è anche un indice apposito); la visualizzazione di questi segnaposto sull’eBook+ può essere accesa o spenta per rendere più “leggera” e scorrevole la lettura del testo. Alcune delle icone usate, però, risentono, a mio avviso, di una visione più tecnicistica che pedagogico-didattica. I contributi multimediali, infatti, sono in parte raggruppati in base al loro “formato” tecnologico, indipendentemente dal tipo di contenuto; riporto di seguito le voci presenti nel sistema Scuolabook per presentare le icone, riservandomi di mostrare l’uso pedagogico dei contenuti nel prossimo paragrafo. 56 Audio Include nel libro digitale contributi audio e file musicali. Permette, ad esempio, di riprodurre un inno nazionale, la corretta pronuncia di una frase in lingua straniera o un discorso dalla viva voce di chi l’ha pronunciato. Video Integra il testo con brevi filmati, come la clip di un documentario, un servizio estratto da un telegiornale o la spiegazione guidata dello svolgimento di un esperimento scientifico. Immagini e Gallery Aggiunge fotografie, disegni e altro materiale grafico all’interno del libro di testo. Può essere costituito da una singola immagine o da un’intera gallery sfogliabile. Zoom Ingrandisce le immagini più piccole presenti sul testo. Mappe geografiche, diagrammi od opere d’arte potranno essere così espanse sullo schermo e studiate con più facilità. Documenti Integra i paragrafi del libro di testo con schede tematiche, dossier e ulteriori approfondimenti. I concetti appena letti saranno così spiegati in modo ancora più dettagliato. Aggiornamenti Indica le variazioni presenti nelle edizioni del libro di testo, a seguito delle integrazioni editoriali. Gli studenti potranno consultare sempre una versione aggiornata del testo. HTML 5 Sfrutta le potenzialità del nuovo standard di strutturazione delle pagine web, con l’integrazione nel testo di contenuti interattivi, giochi didattici ed esercizi. Download Permette di scaricare file nei principali formati, contenenti materiale didattico. I documenti potranno essere consultati a patto che il dispositivo sia in grado di riprodurli. Link Rimanda ad altre sezioni dello stesso libro digitale o a pagine web esterne. Un ottimo modo per rendere lo studio fluido e completo, comparando diverse fonti. Approfondimenti Esplicano e integrano il testo attraverso definizioni di termini tecnici, glossari, brevi biografie. Lo studente è guidato nella comprensione delle parti più complesse. Esercizi Possono essere esercizi, test a risposta multipla o verifiche di apprendimento svolgibili nella lettura del libro di testo. La correzione è immediata, e permette allo studente di individuare e ripassare in autonomia le parti risultate meno chiare95. 95 La spiegazione dei simboli si trova sul sito di Scuolabook nella pagina dedicata alla descrizione degli eBook+; cfr. Figura 1 alla pagina seguente. 57 Figura 1 - Screenshot dell’indirizzo http://www.scuolabook.it/ebook-plus realizzato il 5 dicembre 2014. 58 Come anticipato, cercherò adesso di mostrare come un docente esperto può fecondamente utilizzare in classe l’e-book arricchito, a partire dalle tipologie di media presenti e in base alle loro intrinseche caratteristiche pedagogiche; per fare ciò, dovrò in qualche caso tornare alle modalità di funzionamento della mente umana e ad alcuni concetti delle teorie dell’apprendimento che possono risultare utili per usare in maniera critica e consapevole i media a scuola, pur se restano fondamentali il buon senso e l’esperienza, tipici dell’expertise didattica, che consentono di leggere in maniera contestuale le diverse situazioni in classe. Teorie per insegnare efficacemente Come ci ricorda Calvani in Come fare una lezione efficace96, i critici della lezione tradizionale hanno messo da tempo in risalto il carattere poco didattico dell’esposizione “a conferenza”, quella sorta di monologo del docente, unico “erogatore di informazioni”, fonte della comunicazione secondo un modello “uno a molti”, spesso con un unico codice comunicativo, cioè quello orale, al massimo affiancato dalla spiegazione alla lavagna o dalla visione di qualche videocassetta “data in pasto” agli allievi sempre in un’ottica trasmissiva. Le numerose sfide imposte oggi alla formazione scolastica (la società “liquida” che, non avendo punti fermi definiti una volta per tutte e mutando in continuazione, impone di imparare continuamente a rinnovarsi e a restare sull’onda del cambiamento; la globalizzazione e i movimenti migratori che portano all’interno delle classi alunni stranieri bisognosi di integrazione; la democratizzazione del sapere di massa e la necessità di formare anche ragazzi con Bisogni Educativi Speciali…) richiedono un docente esperto che sappia avvalersi anche di codici comunicativi diversi dalla parola, allestendo opportune integrazioni o comunicazioni parallele, predisponendo opzioni alternative per rappresentare le conoscenze, per le forme di azione ed espressione richieste agli allievi, per i modi di 96 Il volume, pubblicato nell’aprile 2014, fa parte di una collana diretta dallo stesso Calvani sulla ricerca evidenced based sull’istruzione. L’Evidence Based Education (EBE) è l’orientamento metodologico che, negli ultimi anni, ha meglio incarnato l’esigenza di orientare gli sforzi della ricerca in ambito educativo, sull’onda di una crescente insoddisfazione, a partire dagli anni Novanta, nei riguardi della ricerca tradizionale accusata di essere poco utile alla società e poco rigorosa dal punto di vista scientifico. Secondo l’EBE le decisioni, in ambito educativo, devono essere prese e motivate sulla base delle conoscenze che la ricerca empirica offre in merito alla minore o maggiore efficacia delle differenti azioni didattiche. L’EBE si basa sul saper utilizzare, comparare e sintetizzare i risultati esistenti della ricerca e della letteratura scientifica, per produrre una sorta di “meta-analisi” delle conoscenze acquisite su un determinato argomento. 59 coinvolgimento. Il docente deve considerare le caratteristiche individuali di ogni allievo, tenendo anche presente che ciascuno ha un proprio tipo di “intelligenza”, un canale cognitivo preferenziale che attiva per conoscere il mondo. A tal proposito appaiono particolarmente utili gli studi di Gardner sulle intelligenze multiple; lo psicologo statunitense ne ha individuato almeno dieci “tipi” (verbale, logica, visiva, cinestetica, musicale, intrapersonale, interpersonale, naturalistica, etica, filosoficoesistenziale). Ciascuno di noi possiede tutte queste “intelligenze” (intese come una sorta di abilità più o meno innate che possono essere sviluppate con l’esercizio ma anche decadere) che agiscono sinergicamente e non si escludono a vicenda; nei vari periodi della vita, o anche a seconda dei compiti, ogni individuo ne mette in moto, però, alcune e non altre (pensare che gli individui ne abbiano e usino sempre e soltanto una può a buon diritto essere considerata una neuromitologia). Ogni insegnante dovrebbe fornire possibilità di apprendimento che promuovano tutti i tipi di intelligenza e aiutino ogni discente a scegliere una via di comprensione e acquisizione diversa, senza cadere al contempo nel laccio di pensare in maniera inflessibile gli stili di apprendimento (learning styles), non deve cioè presupporre che i discenti abbiano inclinazioni esclusive per particolari modalità acquisitive (tipicamente si parla di formati visivi, uditivi, manipolativi, cinestesici e simili) e farsi condizionare in maniera rigida dagli stili di apprendimento tanto da cercare approcci istruttivi congruenti con le preferenze di ciascuno; presentare uno stesso argomento in più modalità dovrebbe essere una buona soluzione di compromesso, senza sprecare eccessive risorse. Il docente deve inoltre tenere in considerazione l’importanza dell’interazione con ogni singolo allievo, fornire feedback chiari e precisi e segnali orientativi costanti, per consentire a ciascun discente di comprendere se le proprie strategie di apprendimento sono efficaci e se i risultati ottenuti sono quelli auspicati, farlo sentire “seguito”; a tal proposito, risultano valide le suggestioni provenienti dal comportamentismo97 sulla necessità di continui feedback e rinforzi. Bisognerebbe comunque evitare gli eccessi in un senso o nell’altro: anche le critiche, ad esempio, sono fondamentali in ogni processo di crescita, ma devono essere sempre circostanziate e indirizzate non alla globalità della persona, bensì alla singola prestazione negativa. Anche le più recenti ricerche neuroscientifiche, del resto, indicano la grande importanza del feedback, attraverso il quale si rafforza l’associazione tra una determinata esperienza e una certa organizzazione sinaptica; il sistema di previsioni su 97 Orientamento che ha caratterizzato le ricerche di psicologia sperimentale nella prima metà del Novecento, secondo cui si può studiare soltanto il comportamento oggettivamente osservabile; l’apprendimento è visto come una concatenazione di stimoli e risposte. 60 cui si costruisce la nostra conoscenza si affina per prove ed errori (gli esercizi citati possono essere di supporto all’insegnante per attivare nei discenti meccanismi di proazione e retroazione autoregolati). Ogni docente dovrebbe tener conto che in una transazione educativa non ci si può aspettare un profilo predefinito e univoco di risposte, e dovrebbe aprirsi a possibilità non previste, espressione di un pensiero divergente che può portare a soluzioni nuove ma comunque valide, e soprattutto deve avere ben chiaro che il discente che gli sta di fronte (nella maggior parte dei casi, infatti, la cattedra continua a fronteggiare i banchi) non è una tavoletta di cera su cui incidere nozioni e modalità di essere, ma una persona con un proprio vissuto e delle specifiche caratteristiche; una persona che ha delle preconoscenze, esito di opinioni e convinzioni più o meno mediate dal sociale. È bene ricordare, a questo punto, cosa sia l’apprendimento; nell’accezione pedagogica il termine indica un peculiare cambiamento, con valenza positiva di accrescimento o potenziamento della persona nella sua globalità o di alcune sue capacità o funzioni specifiche, e in particolare per il comportamentismo l’apprendimento si verifica quando una variazione significativa delle condizioni ambientali (stimolo) determina una modificazione reale (che permane nel tempo) del comportamento (risposta). In sostanza, apprendere vuol dire acquisire nuove modalità di agire o reagire, per adattarsi ai cambiamenti dei contesti ambientali, compresi i contesti relazionali; già il neonato è inserito in un contesto di apprendimento, ma questo diventa intenzionale dal momento in cui sono disponibili una maggiore capacità di immagazzinamento delle informazioni e si sviluppano strategie di memorizzazione e metacognizione. Per la prospettiva neurodidattica l’apprendimento risulta legato alla capacità di prevedere, ovvero di attendersi dei risultati date determinate premesse. Questo meccanismo di previsione si basa sull’attribuzione di “valore” ai segnali che arrivano all’organismo; un evento che precede una ricompensa acquista valore, che continua a crescere finché pensiamo che la ricompensa si presenti dopo l’evento; se la nostra previsione è falsa e si presenta una punizione, l’evento, al contrario, perde valore. Le nostre esperienze, i nostri errori, i correttivi che applichiamo alle nostre previsioni quando commettiamo errori, ci portano a costruire delle “mappe di valori”; date queste premesse, si può dire che si ha apprendimento quando il comportamento produce nelle mappe globali delle modificazioni sinaptiche che soddisfano questi valori. L’attività previsionale è possibile, quindi, soltanto se le nostre esperienze vengono categorizzate in base al valore che assumono per noi; il valore avrebbe infatti a che fare con ciò che per noi è positivo o negativo. La previsione e la categorizzazione sono a loro volta possibili soltanto grazie all’attenzione, cioè alla capacità del cervello di privilegiare i segnali elettrici relativi ad una 61 determinata esperienza-stimolo, e grazie alla memoria, che a sua volta si articolerebbe in tre sottosistemi: la memoria sensoriale, quella di lavoro (o a breve termine) e la memoria a lungo termine. Le informazioni vengono percepite innanzi tutto attraverso gli organi di senso98 e devono permanere per un tempo minimo affinché il sistema percettivo le rielabori; questa funzione è svolta dalla memoria sensoriale, che processa le informazioni in maniera differente a seconda che si tratti di immagini o di suoni. Gli stimoli visivi e uditivi, infatti, vengono gestiti in registri sensoriali differenti, la memoria iconica e la memoria ecoica; le informazioni in entrata vengono poi filtrate dall’attenzione, che le predispone per una successiva elaborazione da parte della memoria di lavoro, che le codifica, le organizza e le integra, continuando a trattarle nei due canali distinti (visivo e acustico). Come conseguenza di queste operazioni, vengono costruiti degli schemi che rappresentano i contenuti e i processi di elaborazione, che vengono successivamente immagazzinati nella memoria a lungo termine; soltanto le informazioni che raggiungono questo tipo di memoria sono destinate a permanere in maniera stabile. La memoria di lavoro, infatti, non ha una grande capacità di contenimento e una grande durata; come ci ricorda, tra gli altri, Smith (2008, p. 66), Miller per primo ha sostenuto che la memoria a breve termine può contenere al massimo da cinque a nove elementi per volta. Per fare in modo che le informazioni si trasferiscano in maniera permanente nella memoria a lungo termine, è necessario che esse vengano considerate significative dal soggetto, che deve trovare relazioni tra le nuove informazioni e le preconoscenze; soltanto in questo modo le informazioni non risulteranno soggette ad un decadimento rapido. I limiti della memoria di lavoro, che ha un ruolo centralissimo nell’apprendimento, la rendono quindi un collo di bottiglia nell’elaborazione dell’informazione; è questo il motivo per cui risulta comodo prendere appunti o usare carta e penna per compiere operazioni matematiche complesse: proprio per superare i limiti della memoria a breve termine. La quantità di impegno richiesto alla memoria di lavoro per processare un’informazione corrisponde al carico cognitivo; in generale, il carico cognitivo aumenterà al diminuire delle conoscenze di 98 Già Aristotele, sebbene affermi la supremazia dell’intuizione intellettuale sulla sensazione, sottolinea il ruolo di quest’ultima per la conoscenza; San Tommaso, esponente della Scolastica medioevale, restando fedele al presupposto aristotelico per cui soltanto l’intelletto consente di cogliere i principi primi, rivaluta ulteriormente la conoscenza empirica. È noto come San Tommaso sancì il famoso assioma peripatetico nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu, cioè “Nella mente non c’è niente che non sia già stato nei sensi”. Accolto da Locke nella sua teoria sull’origine delle idee, fu integrato da Leibniz con l’aggiunta nisi ipse intellectus “eccetto l’intelletto stesso”. 62 un soggetto. Un’acquisizione significativa, sostenuta dal cognitivismo99 e recentemente ripresa dalla Cognitive Load Theory (CLT), riguarda proprio i limiti della nostra mente nella sua possibilità di trattare informazioni o conoscenze in arrivo: ogni educatore dovrebbe allora tenere in massimo conto questo vincolo e agire di conseguenza. Nell’ambito della CLT si distinguono diverse tipologie di carico cognitivo: il carico cognitivo estraneo, il carico cognitivo intrinseco e il carico cognitivo pertinente. Il carico cognitivo estraneo (extraneous load) corrisponde alla fatica mentale rivolta ad attività cognitive irrilevanti ai fini dell’apprendimento, che esaurisce inutilmente le capacità intellettive e va quindi limitato al massimo. Il carico cognitivo intrinseco (intrinsic load) è quello determinato dalla complessità di un determinato compito ed è interno al contenuto da apprendere; esso è inversamente proporzionale alle preconoscenze e alle abilità dell’allievo, e quando è eccessivo può essere ridotto attraverso una opportuna frammentazione di un compito o di un problema in parti e fasi minori. Il carico cognitivo pertinente (germane load), infine, è il lavoro mentale richiesto per apprendere effettivamente. Un buon intervento formativo deve massimizzare quest’ultimo tipo di carico cognitivo e minimizzare il più possibile quello estraneo, mantenendo a livelli adeguati il carico cognitivo intrinseco; risulta evidente che non è sempre un bene aumentare gli stimoli informativi, né come quantità, né come qualità (in senso di tipologia di stimolo), e viene così confutata la credenza, finora diffusa, che «maggiore multimedialità, oppure più visualizzazione, significherebbe più apprendimento» (Bonaiuti, 2009, p. 9). Data l’importanza della ripetizione per il rinforzo delle relazioni sinaptiche (già gli antichi dicevano, del resto, repetita iuvant), risulterà inoltre particolarmente utile rivisitare periodicamente le conoscenze acquisite: se si vuole «interiorizzare la conoscenza si tratta di riattraversarla a distanza di tempo, di ripensarla alla 99 Il cognitivismo è un approccio psicopedagogico che nasce verso la fine degli anni Cinquanta ponendosi parzialmente in contrapposizione nei confronti del comportamentismo che reputa non indagabile il contenuto di pensiero soggiacente al comportamento. Il cognitivismo considera l’apprendimento come espressione della mente, dei suoi processi e delle condizioni psicodinamiche in cui si determina; i processi attivati per acquisire, organizzare, gestire e usare la conoscenza sono studiabili, e sono riconducibili ad un processo di elaborazione delle informazioni, secondo un modello di funzionamento assimilabile metaforicamente a quello di un software che elabora informazioni provenienti dall’esterno (input), restituendo a sua volta informazioni (output) sotto forma di rappresentazione della conoscenza, organizzata in reti semantiche e cognitive. La percezione, la sensazione, l’impressione, il pensiero, l’apprendimento, il ragionamento, la risoluzione dei problemi, la memoria, l’attenzione, il linguaggio e le emozioni sono tutti processi mentali studiati dalla psicologia cognitiva. 63 luce di una struttura cognitiva che nel frattempo si è modificata» (Calvani, 2011, p. 28)100; un altro metodo per ridurre il carico cognitivo è, come si è detto, scomporre un compito spezzettandolo in piccole parti (chunk101) ricomponendolo in fasi e sequenze progressive (sequencing). Affinché l’apprendimento sia considerato significativo, e il contenuto appreso passi nella memoria a lungo termine, è importante che le nuove informazioni presentate si intreccino con la preesistente struttura conoscitiva interna, ristrutturando gli schemi concettuali già presenti; come abbiamo visto già Piaget affermava che le strutture della mente si generano attraverso un adattamento di schemi preesistenti entro cui vengono assimilate le nuove conoscenze. L’apprendimento può quindi essere considerato come una progressiva differenziazione a partire da schemi cognitivi preliminari, che devono essere perfezionati in forme più articolate e analitiche. Una non corretta interpretazione o considerazione delle preconoscenze di un allievo può interferire negativamente con i processi di apprendimento; tenerle nel giusto conto, al contrario, consente di presentare le informazioni nel modo migliore, anticipando ad esempio i punti principali che verranno affrontati durante una lezione, in modo che l’allievo rintracci le cose che eventualmente già sa sugli argomenti, che potranno servire per una loro comprensione più veloce ed efficace. David Ausubel, agli inizi degli anni Sessanta, parlava a tal proposito dell’importanza degli “anticipatori” (advance organizers) come strumenti che il docente può predisporre per focalizzare l’attenzione degli allievi sul contenuto principale di una lezione e per stimolare le connessioni tra concetti noti e nuove acquisizioni. 100 La Neuroeducation sembra quindi suggerire che il curriculum a spirale, teorizzato da Bruner, offra migliori opportunità perché permette all’insegnante di tornare sullo stesso concetto o su concetti simili in momenti diversi del percorso scolare, guadagnando una comprensione sempre maggiore da parte dei discenti in contesti di complessità maggiore. Per Bruner le discipline non sono semplicemente depositi di nozioni, ma complessi organizzati e coerenti di conoscenze; è quindi necessario afferrare i concetti di base sottostanti alle diverse affermazioni, dapprima afferrando la conoscenza in forma intuitiva, poi tornando sull’argomento a livelli di approfondimento diversi. 101 «Chunking is grouping pieces of information into meaningful segments. If your content is chunked, it is divided into short segments of passive learning, followed by an opportunity for active learning on those same concepts to reinforce the principle just introduced [...] when we chunk, we aren’t asking the students to learn anything less; we are only grouping the content into meaningful segments. We still expect them to retain all the same information, but it has been placed into absorbable pieces of information» (Smith R.M., 2008, pp. 64, 68). 64 Gli anticipatori possono svolgere due funzioni importanti: da un lato possono dare un supporto (scaffold) per organizzare idee astratte, mostrare sequenze o gerarchie di concetti da apprendere; dall’altro possono agire come attivatori delle preconoscenze, cioè “mettere in moto” quei modelli mentali modificabili per consentire agli allievi di integrare i nuovi contenuti con quelli preesistenti. L’insegnante può usare analogie, metafore, racconti, aneddoti, domande guidate, grafici quali diagrammi, tabelle e mappe, come “ponti concettuali” dal vecchio verso il nuovo. La CTL suggerisce, inoltre, che per migliorare l’apprendimento sia utile far mantenere l’attenzione e stimolare la curiosità; in questo caso la ricerca evidence based sull’istruzione ha mostrato l’utilità di porre il problem solving al centro della lezione e dell’obiettivo di apprendimento. L’interesse per l’apprendimento come problem solving, cioè come problema che stimola a formulare ipotesi risolutive e a verificarle, non è nuovo; è stato al centro, infatti, sia della tradizione attivista deweyana che di quella gestaltica. John Dewey, massimo esponente dell’attivismo102, sottolineava l’importanza da un lato di non privilegiare in astratto la dimensione intellettuale, ma dall’altro di organizzare e progettare esperienze tali da attivare il pensiero, considerando ciò come una condizione imprescindibile per imparare dall’esperienza (Mignosi, 2007), con una circolare ricorsività tra attività pratiche e di pensiero. Per Dewey, la sola attività non produce di per sé esperienza, e l’esperienza, per essere valida, deve condurre gli allievi a percepire connessioni tra le cose. Gli psicologi della Gestalt103, a loro volta, hanno studiato il ruolo cruciale della ristrutturazione cognitiva necessaria per arrivare a una soluzione dando vita a orientamenti didattici basati sull’apprendimento per scoperta (per prove ed errori) o per insight (intuizione). Recenti studi confermano che l’apprendimento migliora se gli studenti sono coinvolti in attività in cui devono generare ipotesi risolutive per un problema e testarle, utilizzare strategie per superare un ostacolo e capire che ciò che apprendono può essere utile nella vita reale. 102 L’attivismo è una prospettiva pedagogica sviluppatasi a partire dalla fine dell’Ottocento, ispirata all’importanza della sperimentazione, dell’attività pratica (il learning by doing, l’imparare facendo) e del lavoro di gruppo, e convinta dell’importanza di creare contenuti didattici a partire dai contesti di vita, in opposizione al “magistrocentrismo”. 103 Orientamento della psicologia nato in Germania agli inizi del XX secolo, che richiama l’attenzione sul fatto che, nell’esperienza cognitiva e percettiva, il tutto è superiore alla somma delle parti; interessanti gli studi sulla percezione visiva, che andrebbero tenuti nella dovuta considerazione soprattutto nella Computer Graphic e specialmente nello studio delle interfacce grafiche. 65 La capacità di problem solving, inoltre, si pone come funzione “ponte” tra l’area riflessiva e quella creativa. L’importanza della curiosità e del coinvolgimento è dimostrata anche dagli studi recenti sul sistema limbico che è non soltanto la sede delle emozioni, ma è anche direttamente coinvolto nell’apprendimento, soprattutto in ambito linguistico. Il sistema limbico è composto dal talamo (che smista le informazioni ad entrambi gli emisferi del cervello, ed è implicato nei meccanismi dell’attenzione e della memoria a breve e lungo termine), dall’ipotalamo (che insieme all’ipofisi fa in modo che il corpo si adatti alle condizioni dell’ambiente), dall’ippocampo (associato alla memoria a lungo termine) e dall’amigdala (sede della memoria emotiva). L’emozione, quindi, svolgerebbe una funzione fondamentale all’interno delle scelte razionali e ciò che sembra dettato dall’emozione di fatto riposa sull’analisi razionale dei vantaggi e degli svantaggi emozionali dei vissuti che appartengono al nostro passato104; le emozioni offrirebbero al cervello uno strumento essenziale per orientarsi tra le molteplici informazioni sensoriali e per innescare conseguentemente le reazioni più opportune, cioè quelle che promuovono la sopravvivenza e il benessere. Come osservava già Bruner105, «uno dei metodi più sicuri, per indurre lo studente ad affrontare un argomento difficile, è quello di fargli scoprire il piacere legato al pieno ed effettivo funzionamento dei poteri derivanti dalla nuova conoscenza. I buoni insegnanti conoscono il potere di questo allettamento». Gli studi di Goleman sull’intelligenza emotiva106 e sulla sua importanza anche nell’esperienza scolastica, quelli di Bandura, che ha approfondito il rapporto tra 104 Ogni evento della nostra vita sarebbe associato a una tonalità emotiva; ogni volta che si presenta una soluzione analoga a quella memorizzata, verrebbe richiamato il vissuto emotivo ad essa associata orientando le nostre scelte. 105 Bruner J.S., 1960, The Process of Education, The President and fellow of Harvard College, trad. it. a cura di Armando A., 2002, Il processo educativo. Dopo Dewey, Armando, Roma, p. 73. 106 «L’intelligenza emotiva coinvolge l’abilità di percepire, valutare ed esprimere un’emozione; l’abilità di accedere ai sentimenti e/o crearli quando facilitano i pensieri; l’abilità di capire l’emozione e la conoscenza emotiva; l’abilità di regolare le emozioni per promuovere la crescita emotiva e intellettuale» (definizione disponibile all’indirizzo http://it.wikipedia.org/wiki/Intelligenza_emotiva visionata il 27 ottobre 2014). L’apprendimento va considerato come un processo globale che incorpora anche le emozioni positive o negative che proviamo anche inconsapevolmente; nel costruire un percorso di apprendimento il fattore emozionale va quindi considerato come componente indispensabile, dal momento che, attraverso situazioni emotivamente coinvolgenti, l’apprendimento risulta non solo più piacevole ma anche più efficace 66 motivazione e autoefficacia percepita107 e il loro ruolo nel successo dell’apprendimento, spingono a pensare, con Massaro e Grotti (i quali a loro volta riprendono il pensiero del filosofo americano Goodman) che non ci sia motivo di perpetuare la «dispotica dicotomia»108 tra cognitivo ed emotivo in quanto entrambe le sfere avrebbero lo scopo di farci conoscere una porzione di realtà. Interessante, e quasi “riassuntiva” la posizione di Merrill, che identifica cinque dimensioni generali per rendere efficace un intervento formativo, sistematizzate in un modello di Instructional Design (basato su una vasta revisione di modelli didattici e teorie)109 estremamente interessante e di successo, secondo il quale l’intervento formativo è più efficace: - se coinvolge gli studenti in problemi autentici (Problem); - se prevede l’attivazione delle risorse (conoscenze o abilità) già in possesso degli studenti (Activation); - se prevede, oltre che l’esposizione dei contenuti, anche la loro dimostrazione attraverso esempi presi dai loro contesti di vita reale (Demonstration); - se gli studenti possono utilizzare le nuove risorse acquisite per risolvere problemi concreti (Application); - se gli studenti possono trasferire quanto appreso nella loro vita reale (Integration). Un docente che voglia impostare la propria azione educativa su queste basi teoriche, in virtù del recupero delle conoscenze pregresse, anche “informali”, dell’allievo, non può quindi prescindere dalle principali fonti di queste conoscenze informali, i media appunto, che tanto ruolo hanno ormai nella costruzione dell’identità e nella formazione extra-scolastica degli studenti. La scuola, infatti, pur in un’ottica ecosistemica in cui il processo educativo è definitivo dalle diverse trame relazionali dello spazio di vita che creano le diverse cerchie 107 Per Bandura l’autoefficacia percepita, distinta dall’autostima (che si riferisce ad un giudizio globale della persona su sé stessa) e dalla competenza (riferita alla consapevolezza di abilità), è la convinzione che una persona ha di saper orchestrare con successo un corso di azioni per raggiungere un obiettivo. L’autoefficacia percepita può incidere sulla riuscita o meno dell’apprendimento, agendo su quattro fronti: cognitivo, motivazionale, affettivo e decisionale. Bandura è convinto che la sfera cognitiva non agisce mai in modo neutrale, ma interagisce con quella affettiva secondo il principio del determinismo reciproco: cognizioni, emozioni e motivazioni possono essere di volta in volta causa ed effetto l’uno dell’altro. Per Bandura, cfr. Pedone F., 2007, Valutazione delle competenze e autoregolazione dell’apprendimento, Palumbo Editore, Palermo, e De Leo, G., Patrizi, P., 2002, Psicologia Giuridica, Il Mulino, Bologna. 108 Cfr. Massaro D., Grotti A., 2000, pp. 71-74. 109 Cfr. Trinchero R., 2006, p. 32. 67 ecologiche (Bronfenbrenner, 1979, Cfr. Perricone Briulotta, 2005), continua ad avere un ruolo centrale, anche se non più esclusivo, nei processi di socializzazione secondaria delle nuove generazioni e non può esimersi per diversi motivi (non soltanto per le normative) dall’utilizzare strumenti con cui gli studenti sono messi continuamente in contatto in ambiti di educazione “informale”, strumenti che, per di più, piacciono ai giovani; sfruttando quindi le loro caratteristiche “edonistiche” è possibile ottenere risultati interessanti nell’ambito della educazione, favorendo al contempo nuove competenze di “lettura” e “scrittura” in diversi linguaggi. La natura del digitale consente di combinare infatti linguaggi diversi (parole, immagini, suoni, filmati, animazioni…) amplificando un «gusto dimenticato verso testi sinestetici, che non disdegnano una commistione di codici, peraltro non nuova nella storia della comunicazione» (Cambi, Toschi, 2006, p. 186) facilitando l’apprendimento significativo in soggetti con diversi tipi di intelligenza dominante. Il movimento, il suono, i colori fanno parte dell’esperienza prescolastica ed extrascolastica degli allievi; un uso corretto di media di questo tipo può favorire l’attivazione delle preconoscenze, ridurre il carico cognitivo nell’apprendimento delle nuove nozioni e aumentare la motivazione intrinseca. Chiudersi a tutto questo non significa soltanto abdicare alla propria funzione di socializzare le nuove generazioni e rischiare di aumentare il divario tra i cosiddetti nativi digitali e il sapere veicolato nelle aule, ma anche correre il pericolo di rinunciare alle incredibili opportunità formative e comunicative offerte dai “nuovi” media. Prendendo in prestito e adattando un paragone, a mio avviso splendidamente efficace, presente su un e-book di Ilaria Margapoti del 2011 (appartenente ad una collana pensata per gli insegnanti e curata da Maragliano) in cui l’autrice descrive le “nuove” scritture e forme di scrittura, ritengo inoltre che sia fuori di dubbio che oggi insegnare ai ragazzi tenendo fuori la multimedialità sia come costringere un pittore, abituato a dipingere sin da piccolo usando tutti i colori di una tavolozza variopinta, a fare l’imbianchino utilizzando soltanto il bianco. Alla luce di queste suggestioni (che naturalmente possono limitarsi a fornire indicazioni che non hanno la pretesa di essere esaustive) ed esplorando le intrinseche proprietà degli oggetti multimediali, voglio tornare ai contenuti che è possibile collegare ai libri interattivi su Scuolabook e cercare di mostrare come è possibile utilizzarli proficuamente in classe o farli utilizzare per lo studio individuale. Insegnare con differenti media Gli studi sulla didattica “reale” hanno fatto emergere l’importanza della progettazione nella quale l’insegnante, oltre a definire i passaggi del processo di apprendimento, orchestra la 68 somministrazione delle risorse secondo quella che Calvani definisce “una adeguata ecologia mediale” che consenta un equilibrio tra la cognizione esperienziale (apprendimento per immersione nel contesto, in cui il soggetto deve agire) e la cognizione riflessiva (in cui la mente si “distacca” per attivare forme di speculazione e di ragionamento astratto). Bruner, in maniera in qualche modo analoga o forse complementare, ritiene che esistono due tipi di pensiero fondamentali, quello paradigmatico (o logico-deduttivo), che è teso a trascendere il particolare e a cercare gradi di astrazione più elevati, e quello narrativo, che si occupa delle intenzioni e delle azioni proprie dell’uomo (che essenzialmente è uno storyteller) situandole nel tempo e nello spazio. L’attività didattica, oggi ancora più che in passato, si può avvalere di modalità e di strumenti di comunicazione diversi (la voce dell’educatore, la parola scritta, supporti audiovisivi, contenuti interattivi, piattaforme di formazione a distanza) attraverso l’impiego di più codici (parola scritta o parlata, immagine statica o dinamica, audio…). A tal proposito pare interessante questa riflessione di Parmigiani (2004, p. 40)110 per cui […] la didattica è (multi)mediale di per sé, in quanto è generata da molti linguaggi […]; se la didattica è già multimediale solo per la presenza di persone, insegnanti, alunni, educatori, formatori che adoperano, ma non solo, sono, intrinsecamente multi-linguistici, allora la finalità risulta quella di coscientizzare e sviluppare le capacità mediali della persona per giovarsi delle strade educative che si aprono in questo modo. […] La prassi didattica, che vede un rapporto abbastanza standardizzato fra insegnante e allievo, è stata troppe volte definita semplicisticamente come tradizionale, lasciando trasparire una velatura morale che la indica come vecchia, obsoleta […] Credo che un’impostazione intrinsecamente multimediale della didattica, permetta un fecondo incontro fra i fautori di schieramenti apparentemente opposti. La cosiddetta lezione espositiva ha una sua valenza nel corso della presentazione dei contenuti prescelti, il problema, semmai, risiede nell’assolutizzazione, magari inconsapevole, del medium insegnante-verbale. Il verbale e il non verbale, l’immagine, la parola, la scrittura, il suono, il movimento, la relazione, l’interazione o la dissonanza costituiscono alcuni fra i parametri significativi che, con la loro consapevole e accorta variazione, consentono di architettare strutture didattiche che accolgono istanze differenti sia da parte dei soggetti implicati, stile dell’educatore-insegnante o stile dell’utente-alunno, sia da parte degli oggetti e dei saperi, contenuti, competenze o abilità. 110 Parmigiani D., 2004, Didattica e tecnologia diffusa. Riflessioni per un’antropologia multimediale, Franco Angeli, Milano, p. 40. 69 Buona parte delle lezioni fino ad oggi (ma si spera anche fino a domani!) è stata svolta per mezzo della parola parlata, che appartiene al mondo effimero del suono, ma può anche essere trascritta per diventare un oggetto stabile e visibile, che può essere analizzato, riesaminato, studiato. Avendo a disposizione una lavagna interattiva multimediale (d’ora in poi LIM) su cui proiettare il libro interattivo, si può concentrare l’attenzione dei ragazzi sull’occhiello di apertura di un capitolo o di un’unità (o come vedremo più avanti sulle mappe concettuali), che generalmente fornisce una sintesi di ciò che impareranno dallo studio di quel capitolo e gli obiettivi di apprendimento attesi; questa operazione “banale” risulta particolarmente utile affinché ciascun allievo possa attivare le preconoscenze che potranno servire per una comprensione più veloce ed efficace degli argomenti che verranno affrontati. È possibile potenziare i vantaggi derivanti da quest’aspetto, ad esempio, intervistando il gruppo classe su cosa “sa già” e scrivendo man mano, direttamente sulla LIM, quanto emerge, spezzettando l’argomento da affrontare in “sottoargomenti” che ruotano intorno ai concetti chiave. Analogamente, si possono utilizzare presentazioni multimediali che sintetizzano, in poche schermate con poco testo, i punti fondamentali di una lezione; tali strategie possono essere utilizzate anche per facilitare il ripasso o il rinforzo di determinati argomenti. Tramite il software di lettura Scuolabook e gli strumenti contestuali della LIM, inoltre, si può agire sul testo per compiere tre operazioni fondamentali per il processo di apprendimento: selezionare le informazioni rilevanti, organizzare quanto percepito, integrare il nuovo all’interno delle conoscenze pregresse, in maniera visibile all’intera classe. Selezionando filtri colorati, si possono evidenziare le informazioni più importanti nel testo di partenza, effettuare sintesi ed eliminare gli elementi di disturbo, segnalare eventuali parole calde, esplicitare relazioni concettuali tra le parti e offrire schemi di insieme. Queste operazioni possono essere compiute anche sui testi aggiuntivi, linkati all’interno del libro e segnalati dalle icone specifiche; il punto di debolezza del sistema (attualmente) è che i documenti testuali aggiuntivi sono in formato immagine, e quindi possono essere liberamente utilizzati nelle note o negli appunti del quaderno sottoforma di ritaglio e non come testo personalizzabile. La possibilità di richiamare pagine aggiuntive, approfondimenti, schede e altri materiali testuali presenti soltanto in digitale aumenta le dimensioni del libro di testo in termini di contenuti, mantenendone inalterate le caratteristiche fisiche (peso, dimensioni, “linearità narrativa” che potrebbe risultare disturbata da troppe deviazioni e “parentesi”, rendendo poco gestibile il libro) e fornisce un ambiente “protetto” e scientificamente validato all’interno del quale muoversi per effettuare ricerche più o meno guidate, approfondire argomenti, selezionare informazioni che possono 70 anche essere rintracciabili all’interno dei video, degli audio o degli altri oggetti formativi multimediali. Può essere particolarmente interessante chiedere agli allievi di effettuare ricerche guidate all’interno di questo sistema protetto e di rielaborare un proprio pensiero su un determinato argomento, attivando strategie cognitive che mettono in moto competenze complesse, come l’interpretazione e la comprensione reale dei contenuti, una loro selezione e analisi, e una personale sintesi e valutazione sugli argomenti trattati, esercitando lo spirito critico e la personale riorganizzazione di quanto appreso. In un secondo momento, sarà possibile proporre ricerche guidate su Internet (con una lista di siti vagliati in precedenza dall’insegnante) fino a giungere alle ricerche autonome degli studenti, che favoriranno l’apprendimento per scoperta e aumenteranno le competenze di comprensione, selezione, valutazione e sintesi dei contenuti, sviluppando, oltre che lo spirito critico, la capacità di problem solving ma anche quella di problem posing. I documenti testuali rappresentano soltanto una delle tipologie che è possibile trovare collegate alle pagine del libro; ai segnaposto con le icone di Scuolabook spiegate in precedenza, ogni editore affianca delle proprie icone affinché la presenza dei contributi multimediali venga segnalata anche nella versione stampata (dal momento che il libro elettronico su Scuolabook ne è una fedele riproduzione, queste icone compaiono, come immagini, anche a video). Quella che inizialmente potrebbe sembrare una ripetizione che confonde, si rivela invece una opportunità per contrastare il già citato tecnicismo di alcune icone Scuolabook, consentendo di optare per raggruppamenti legati al tipo di contenuto, più utili dal punto di vista pedagogico; in ogni volume, poi, è comunque presente una legenda che spiega il significato delle icone scelte e sostando col cursore sui segnaposto, si visualizza comunque un tooltip con delle informazioni aggiuntive sul contenuto stesso, fornite dagli editori. Riporto di seguito, a titolo di esempio, le tipologie di contributi multimediali che produco nell’azienda presso la quale lavoro, con una piccola descrizione dei possibili oggetti formativi associati alle icone stesse; mi servirà per spiegare la funzione pedagogica di ogni tipo di contenuto e dare suggerimenti sul loro possibile utilizzo in classe. Testo Contenuti testuali con o senza immagini, visionabili direttamente on-line o scaricabili sul proprio computer. Possono essere, ad esempio, schede di analisi o testi antologici aggiuntivi rispetto a quelli presenti nei volumi, schede integrative, mappe concettuali, letture facilitate, materiali per il recupero, moduli interculturali o interdisciplinari, sintesi, approfondimenti, percorsi guidati, prove sul modello INVALSI, versioni di latino o greco… 71 Testo attivo Testi in cui è possibile “agire” per richiamare approfondimenti o altri contenuti multimediali. Sono particolarmente indicati per le analisi dei testi, per attività didattiche che prevedono sia parti informative che di verifica, per lezioni autoformative. Lezione attiva Contenuti formativi multimediali che possono essere di diversa natura: filmati, animazioni, presentazioni, linee del tempo multimediali e interattive… Audio Registrazioni audio in formato digitale; possono essere ascolti guidati, letture metriche, brani antologici, poesie recitate, sintesi di capitoli, riepiloghi di lezione, corretta pronuncia di testi in lingua straniera, testi letti o recitati in latino o in greco… Video Filmati di interviste o interventi di autori o personaggi autorevoli in determinati campi del sapere, videolezioni, riprese di messe in scena teatrali, video didattici, registrazioni di filmati o convegni, simulazioni in laboratorio di esperimenti scientifici, visite guidate a musei o altri luoghi di interesse culturale… Carta attiva Carte geografiche su cui è possibile “agire” per visualizzare elementi di lettura critica della carta, ottenere approfondimenti testuali o multimediali esplicative della carta stessa… Immagine attiva Possono essere filmati su opere artistiche analizzate nel dettaglio con l’aiuto di una voce narrante che le inserisce nel contesto storico e le descrive minuziosamente; l’inquadratura e il livello di zoom dell’immagine cambiano dinamicamente in relazione a ciò che man mano la voce dice. In altri casi, si parte da immagini statiche su cui è possibile “agire” per ottenere informazioni o richiamare approfondimenti testuali, sonori o visivi o altri contenuti multimediali. Alcune immagini attive prevedono l’interazione dello studente, che deve rispondere ad alcune domande (analisi guidata dell’immagine) o è invitato a confrontarsi in classe con gli altri compagni alla presenza dell’insegnante-mediatore culturale. Esercizio attivo Test a risposta chiusa (vero/falso, scelta o risposta multipla, testo con parole omesse, associazione di parole…) in autovalutazione; test a risposta aperta seguite da indicazioni utili a valutare metacognitivamente la risposta fornita. Mappe concettuali, carte geografiche, tabelle comparative o linee del tempo da completare trascinando le opzioni disponibili nella casella corretta111. 111 Questa breve descrizione delle icone è presente sul sito della Casa Editrice; cfr. Figura 2 alla pagina seguente. 72 Figura 2 - Screenshot dell’indirizzo http://www.palumboeditore.it/webook/tipologiedicontenuti/testo.aspx realizzato il 5 dicembre 2014. 73 A queste icone, a seconda della disciplina oggetto del manuale, se ne affiancano altre che indicano ad esempio la presenza di zoom per le immagini (immagini ad alta risoluzione, in cui è possibile vedere particolari anche minimi in maniera nitida), esercizi attivi con tutor (ossia esercizi in autovalutazione a risposta chiusa che, oltre a indicare se la risposta fornita sia corretta o meno, danno feedback diversificati nell’uno e nell’altro caso), percorsi iconografici (con gallerie di immagini accompagnate da testi di spiegazione), testi facilitati o riassunti (specifici per alunni non madrelingua o con difficoltà di apprendimento) o ad alta leggibilità (per alunni dislessici o con deficit visivi), laboratori per sviluppare ricerche in Rete (con tante proposte di ricerche guidate e strutturate, le Web Quest), o mappe concettuali (che è possibile ingrandire e personalizzare)112. Proprio le mappe concettuali113 rappresentano un esempio di come usare il testo, organizzato anche spazialmente, riassunto schematicamente attorno ad alcuni concetti fondamentali, per preparare i ragazzi a quanto verrà esposto, al fine di favorire il recupero delle loro conoscenze pregresse rispetto agli argomenti che verranno spiegati nel corso della lezione; tali conoscenze, come abbiamo visto, possono anche essere discusse in classe dal docente prima della lezione per rendere più semplice e significativo l’apprendimento delle nuove nozioni. L’importanza delle mappe concettuali è testimoniata da vari autori114; oltre a poter rappresentare i concetti principali e le relazioni tra di essi in una modalità più reticolare e più simile a quella con cui la nostra mente collega idee e informazioni, le mappe concettuali mettono a fuoco le informazioni importanti, utilizzando uno schema visivo che solleciterebbe l’uso dell’intelligenza logica e di quella visiva e favorirebbe i soggetti con questi due tipi di 112 In questo caso le icone sono descritte in una legenda all’inizio del libro. 113 Le mappe concettuali, proposte negli anni Sessanta da Novak, non sono altro che grafici i cui elementi costitutivi sono nodi messi in relazione tra loro da frecce orientate; ogni nodo e ogni relazione sono opportunamente etichettati, e il nome che si assegna ad un nodo ne designa, in qualche modo, la natura di concetto. Le mappe concettuali possono anche essere utilizzate per “fotografare” sinteticamente gli eventi di un’epoca (da un punto di vista storico, letterario, scientifico, artistico...) mettendo i vari nodi in relazioni di tipo “prima/dopo” o “causa/effetto”. 114 «I contenuti delle mappe, che essendo delle rappresentazioni “reticolari” o “gerarchiche” della conoscenza “proposizionale” di un dominio o sottodominio di conoscenza, normalmente espresso sequenzialmente attraverso frasi scritte o orali, in questo caso vengono rappresentati in forma scritta attraverso l’uso esclusivo di parole-concetto (idee-chiave) e parole-legame, che servano semplicemente a “etichettare” i links (legami) che vengono tracciati per collegare le prime tra loro in modo logico, organico, dando all’insieme della mappa una “struttura” che comprende livelli diversi di parole-concetto (da quelle più generali e astratte, a quelle più specifiche, sino alla dichiarazione di loro esempi concreti) e da un intrico di legami etichettati normalmente da verbi (ad esempio appartiene, si articola, è un...), preposizioni o altro» (Varisco, 2000, p. 61). 74 intelligenza predominanti (oltre a sollecitare queste forme di intelligenza in soggetti che ne sono carenti). Utilizzo analogo possono avere le mappe mentali, sviluppate negli anni Settanta da Buzan, visualizzazioni grafiche che permettono di rappresentare strutture di pensiero complesse tramite associazioni; si presentano come grafici con una struttura radiale organizzata intorno ad una idea-base posta al centro, da cui le idee correlate all’ideabase si diramano in tutte le direzioni. Le mappe (concettuali e mentali) possono essere utilizzate anche in fase di ripasso o di interrogazione, per revisionare, e quindi rafforzare, le conoscenze acquisite, o per verificare la comprensione e la memorizzazione, la capacità di analisi e sintesi: un ottimo compito da far “fare alla lavagna” può proprio essere l’elaborazione di mappe concettuali che rappresentino in modo reticolare o gerarchico le conoscenze anche attraverso immagini, (si esprimerebbe, così, anche lo stile cognitivo personale) e si potrebbe far seguire a tale elaborazione un colloquio dialogico e formativo e un confronto con il resto della classe. Questo modo di procedere, se opportunamente condotto, può rendere infatti più evidenti, sia ai soggetti interrogati che all’insegnante e agli altri compagni, le diverse modalità di ragionamento; l’insegnante può palesarle e sottolinearle per stimolare gli allievi ad autoosservarsi e, osservando altri, a comprendere le differenze tra i diversi modi di imparare, facilitando la metacognizione e il conflitto sociocognitivo, elementi fondamentali affinché l’apprendimento risulti significativo e frutto della negoziazione di contenuti venuti fuori dal confronto e dalla discussione. L’alunno, con i suoi diversi modi di apprendere, con le sue peculiarità, con i suoi ragionamenti, viene messo al centro dell’azione educativa; l’insegnante può facilitare il confronto in modo da sviluppare nei discenti lo spirito critico, la capacità di difendere le proprie opinioni e nello stesso tempo di confrontarle con quelle degli altri; questo tipo di “interrogazione/colloquio” può facilitare pure lo sviluppo e la verifica delle competenze, anche trasversali (soprattutto comunicative). Creando una mappa concettuale o modificandone una esistente ciascuno può quindi rendere immediatamente visibile il modo preferenziale di operare o di pensare (visivo o verbale, globale o analitico…), valorizzando inoltre l’intelligenza cinestetica stimolata dall’interazione fisica con l’ambiente, spesso trascurata nella didattica tradizionale, e aumentare di conseguenza il senso di autoefficacia percepita da parte degli allievi che, attraverso l’intervento attivo sui contenuti, possono dimostrare le proprie abilità e conoscenze. Proprio nella interattività e nell’intervento diretto degli allievi risiede, tra le altre cose, la peculiarità della LIM rispetto ad esempio al semplice videoproiettore; la multimedialità, in questo caso, non è finalizzata alla presentazione spettacolare, contraddistinta dal cosiddetto “effetto Las Vegas”, in cui il digitale viene usato in maniera acritica e dove abbondano 75 “elementi visivi seduttivi”115, ma può essere utilizzata per facilitare l’attivazione di processi metacognitivi e cooperativi tra gli alunni. Le mappe concettuali, ovviamente solo statiche nella versione cartacea del libro, possono diventare anche interattive nella versione elettronica arricchita; si parte da mappe incomplete che vanno riempite o con porzioni di testo già predisposte e rese disponibili a tutti, oppure con nuovo testo, scelto e personalizzato da ciascun allievo; le mappe possono essere ricostruite o scrivendo nei campi di testo vuoti, oppure “trascinando” i concetti nel giusto posto tramite la tecnica del drag & drop (“trascina e rilascia”), che allena le capacità oculo-motorie degli studenti. In quest’ultimo caso, l’interattività facilita e stimola l’intelligenza cinestetica e dovrebbe facilitare anche un apprendimento per scoperta; l’informazione adeguata è ricercata ed ipotizzata, e viene fornita dal soggetto stesso che può sapere subito se la sua ipotesi è corretta o no. Il concetto trascinato, infatti, si dispone sulla mappa soltanto se è corretto, viceversa torna al punto iniziale; in questo modo l’allievo può attivamente autovalutarsi e autocorreggersi, facendo altri tentativi alla ricerca della risposta esatta, e costruendo in maniera significativa il proprio apprendimento “agendo” anche a livello motorio (il rischio, ovviamente, è che l’allievo proceda per tentativi casuali senza ragionarci su, anche se l’intento è quello di proporre forme di assessment in cui l’autovalutazione si combini con l’istruzione). L’interazione, poi, è di certo la caratteristica più importante dell’apprendimento per esperienza: «Sia nella vita di tutti i giorni, sia nel laboratorio sperimentale dello scienziato, l’individuo non si limita a osservare passivamente la realtà come gli si presenta spontaneamente, ma compie azioni che la modificano e ne osserva gli effetti. […] La conoscenza e soprattutto la comprensione che ottiene in questo modo attivo è molto superiore, sia per quantità sia per qualità, a quella che otterrebbe limitandosi ad osservare la realtà» (Parisi, 1998, citato in Carletti e Varani, 2007). Le mappe concettuali possono essere considerate un ponte tra verbale e iconico, e assecondano il pensiero visivo così importante soprattutto per i giovani, soprattutto nella nostra epoca caratterizzata dalla pervasiva dominanza delle immagini116. Come ricorda Rivoltella «Chiunque abbia esperienza di insegnamento sa, infatti, che nel momento in cui si sta spiegando qualcosa in un’aula nasce spontaneamente il bisogno di 115 Cfr. Calvani, 2009, p. 53. 116 «Ormai sono anni che non si producono più nuove insegne con lettere e parole. I colori e le immagini (in movimento per chi se le può permettere) hanno sostituito le scritte nella via delle nostre città» Ferri S., 2011, I ferri dell’editore, Edizioni E/O, Roma. 76 accompagnare e sostenere la parola con dei segni grafici117» che diminuirebbero l’ambiguità intrinseca legata alle parole. L’aspetto visivo ha sempre avuto un’importanza ragguardevole nella formazione e nella comunicazione118; anche su cartaceo elementi grafici come le titolature, i sommari, i grassetti, le colorazioni, le rubriche e i box di testo aiutano lo studente a far convergere la propria attenzione sugli elementi ritenuti rilevanti119. Nella comunicazione didattica, inoltre, sono molti i tipi di immagine utilizzabili per ridurre l’ambiguità o utilizzarla in maniera funzionale: schizzi, grafici, tabelle, disegni, fotografie, audiovisivi, schemi, guide operative, modellini grafici, diagrammi di flusso, rappresentazioni tecniche… Ognuna di queste tipologie può essere sfruttata in modi, in ambiti o con scopi differenti; le guide operative, gli schemi o i modellini grafici, ad esempio, possono rappresentare una base di sostegno per l’attività conoscitiva, funzionale a ciò che si deve apprendere, contribuire a ridurre il carico cognitivo e agire anche da advance organizers. Gli schemi (flow chart, istogrammi…) e le tabelle offrono una modalità sintetica di presentazione dei dati con la funzione di predisporli affinché vengano percepiti facilmente e correttamente; le immagini (disegni, fumetti, fotografie…) favoriscono lo stesso tipo di operazione mentale attraverso la rappresentazione mimetica di un oggetto che può esercitare una funzione di mediazione, anticipazione e modellizzazione rispetto alla conoscenza che si sta trasmettendo o costruendo. Sia gli schemi che le immagini possono ridurre l’ambiguità cognitiva in diversi modi; favoriscono, ad esempio, la considerazione olistica degli argomenti. Se la spiegazione orale è sempre diacronica (i concetti precedenti sono sempre lasciati alla memoria di chi ascolta), mantenere disponibili sulla LIM schemi e immagini mentre si procede con la spiegazione consente agli studenti di collocare i termini (o i concetti, o gli eventi, o le fasi di un processo) che si stanno analizzando e di coglierne le relazioni, supportando al contempo la visualizzazione dei concetti che quindi acquisiscono “realtà” nella mente di chi ascolta (e riducendo il carico cognitivo richiesto per immaginarsi e figurarsi eventi, oggetti, composizioni…). Le immagini consentono anche di semplificare determinati argomenti, eliminando dalla rappresentazione grafica ciò che è accessorio alla comprensione o, al contrario, focalizzando l’attenzione sugli aspetti ritenuti più importanti. L’immagine, però, non serve soltanto a ridurre l’ambiguità ma anche a richiamare 117 Rivoltella P.C., 2012, Neurodidattica. Insegnare al cervello che apprende, Raffaello Cortina Editore, Milano, p. 88. 118 Già le pitture rupestri possono fuor di dubbio essere considerate una forma di comunicazione visiva. 119 Cfr. Calvani A., 2011. 77 l’attenzione della classe, a stimolare il dibattito, a favorire la riflessione; è il caso ad esempio delle immagini artistiche, del disegno umoristico o satirico e delle fotografie. Le fotografie, in particolare, possono essere utilizzate efficacemente nella didattica120 in tre modi (è questa l’opinione anche di Gardner121); la fotografia, innanzitutto, offre alla comprensione un “punto di accesso promettente”, cioè consente all’insegnante di catturare l’attenzione dello studente giocando sull’effetto “primo impatto”. Il docente, inoltre, può attingere facilmente ad analogie che spiegano il concetto introdotto oralmente; le fotografie, infine, permettono di articolare l’idea che si sta spiegando in termini “visivi”, sollecitando il ruolo della comprensione emozionale. L’accostamento di testo e immagini che si integrano reciprocamente può quindi risultare funzionale alla comprensione e all’apprendimento, a patto che si tengano in considerazione alcuni aspetti: un’immagine ridondante, poco chiara o fuori argomento, infatti, può aumentare, anziché ridurre, l’overload122 cognitivo e l’ambiguità. Le immagini «spesso aiutano a comprendere un testo. E viceversa, un testo può aiutare a comprendere un’immagine. Questo effetto di sinergia si verifica però solo in determinate condizioni […] quando testo e immagine sono fisicamente integrati fra loro» (Calvani, 2007, p. 65); viceversa si ottiene un effetto di “attenzione divisa” tra le due fonti di informazione, che provoca un carico cognitivo estraneo al processo di apprendimento. Per comprendere meglio alcuni aspetti, non nuoce spiegar brevemente il funzionamento del cervello visivo umano, che ha la funzione di dare ordine alle immagini che si presentano ai nostri occhi, semplificando la densità informativa; ciò avviene grazie alla capacità del cervello stesso di individuare delle costanti, delle regolarità, tralasciando gli aspetti specifici di un oggetto e isolando ciò che lo rende simile ad altri oggetti tramite l’astrazione. L’astrazione selettiva, conseguente alla specializzazione dei neuroni visivi, consente ai neuroni preposti ad esempio a considerare in maniera esclusiva l’orientamento spaziale di un oggetto, di disinteressarsi di altre caratteristiche come il colore o le dimensioni. 120 Per l’importanza della fotografia a livello emotivo e cognitivo (ad esempio come “miccia” del ricordo al pari del profumo della madeleine di proustiana memoria) si suggerisce la gradevole lettura di Barthes R., 1980, La chambre claire. Note sur la photografie, Edition Gallimard, Seuill, trad. it. di Guideri R., 2003, La camera chiara. Nota sulla fotografia, Giulio Einaudi Editore, Torino. 121 122 Cfr. Rivoltella P.C., 2012, pp. 94-95. Come ricordano Cambi e Toschi (2006, p. 227) per Saul Wurman, padre dell’architettura dell’informazione, l’information overload è «the inability to extract needed knowledge from an immense quantity of information for one of many reasons». 78 L’astrazione identificativa, invece, riguarda la tendenza generale del cervello umano a riconoscere dietro alla variabilità delle percezioni la permanenza di alcune caratteristiche. Il concorso di questi due tipi di astrazione consente di definire una delle leggi fondamentali in base alle quali il nostro cervello agisce, la legge della costanza; semplificando al massimo, il cervello è interessato unicamente alle proprietà invarianti ed essenziali degli oggetti, ed è per lui imperativo concentrarsi soltanto sulle caratteristiche essenziali e persistenti dell’evento percettivo. L’idea che il cervello visivo sia in grado di operare una riduzione di complessità individuando gli elementi ricorrenti permette di capire perché è fondamentale strutturare in maniera consapevole le immagini da utilizzare. Secondo il “principio di contiguità spaziale” di Mayer123, la comprensione di una spiegazione migliora quando il testo e le immagini corrispondenti sono presentate spazialmente o temporalmente vicini anziché separati; la “contiguità temporale” prevede invece che parole e immagini vengano presentate simultaneamente. All’importanza della relazione spaziale tra testo e immagine bisogna sommare l’importanza della relazione fra il loro contenuto informativo; a volte testo e immagine esprimono uno stesso contenuto, altre volte l’immagine necessita per forza di un testo di accompagnamento, altre volte ancora l’immagine da sola è più comprensibile che se fosse accompagnata da un testo. In generale, testi, immagini e suono non devono essere “estranei” tra loro (“principio di coerenza”) e al testo scritto, visivo quindi, va preferito quello orale (“principio di modalità”). Inoltre, si apprenderebbe meglio quando le animazioni e le narrazioni sono da sole, piuttosto che quando si ha anche lo stesso testo scritto (“principio di ridondanza”); bisogna tenere anche conto che, secondo una legge della teoria dell’informazione, fornire un’informazione in maniera ridondante (ma rispettando le indicazioni fornite prima) limiterebbe le scelte ermeneutiche di chi la riceve, saturando il significato e riducendo i margini di errata decodificazione e interpretazione. Sull’importanza delle immagini hanno teorizzato numerosi studiosi, spesso proponendo ciascuno una propria tassonomia; Barthes, ad esempio, sosteneva che l’interazione tra testo/immagine è fondamentalmente di due tipi: ancoraggio e ricambio. Nel primo caso, testo e immagine esprimono lo stesso messaggio rafforzandosi reciprocamente: l’immagine 123 Richard E. Mayer (nato nel 1947) è uno psicopedagogista americano che ha contribuito in modo significativo alle teorie della cognizione e dell’apprendimento, soprattutto per quanto riguarda la progettazione dei multimedia pedagogici. Il contributo più noto di Mayer al campo della psicologia dell’educazione è proprio la teoria dell’apprendimento multimediale, che postula che l’apprendimento ottimale si verifica quando i materiali visivi e verbali vengono presentati simultaneamente. 79 illustra il testo e quest’ultimo guida la lettura dell’immagine; nel secondo caso, tra testo e immagine sussiste una relazione di interdipendenza, e il significato è costituito dal risultato della combinazione di entrambi i codici. Clark e Lyons (2004)124, autrici di una tassonomia di successo, classificano le immagini utilizzate nei testi per l’apprendimento secondo cinque funzioni comunicative: - funzione decorativa. L’immagine ha un debole rapporto con il testo della pagina o non ne ha affatto (è il caso, ad esempio, di un’illustrazione generica di un albero di pino accostata alla descrizione di un percorso di escursione); - funzione rappresentativa. Le immagini rispecchiano totalmente o in parte il contenuto del testo (è il caso, ad esempio, di un’immagine che illustra esattamente una scena descritta); - funzione organizzativa. L’immagine fornisce una struttura utile a cogliere i legami interni al testo (è il caso, ad esempio, di un’illustrazione che mostra i diversi step per effettuare una rianimazione cardiopolmonare); - funzione interpretativa. L’immagine contribuisce a chiarire un testo complesso (è il caso, ad esempio, di un’illustrazione che rappresenta il sistema di pompaggio della pressione sanguigna); - funzione “trasformazionale”. Le immagini contengono riferimenti mnemonici utili a richiamare e a migliorare la memorizzazione delle informazioni contenute nel testo (è il caso, ad esempio, delle illustrazioni utilizzate nelle classificazioni di piante ed animali, o per associare personaggi ed eventi; esperimenti recenti dimostrano che questo sistema porta a risultati migliori rispetto alle normali tecniche di studio testuale, soprattutto per quei casi nei quali si devono associare fatti a nomi astratti). Le immagini soltanto decorative, come ho detto, potrebbero risultare d’intralcio per l’apprendimento, perché ridondanti o fuori tema; ovviamente le funzioni delle immagini prevalenti in un testo sono differenti in base anche alla disciplina di studio oggetto del testo stesso e al target cui sono destinate. Nei testi scientifici, a titolo d’esempio, il materiale grafico è generalmente classificabile in tre categorie principali: diagrammi iconici (cioè rappresentazioni realistiche come fotografie), diagrammi schematici (ad esempio i circuiti elettrici o gli apparati del corpo umano), grafici (istogrammi, grafici a torta…), generalmente con funzione interpretativa, organizzativa o trasformazionale. Le immagini statiche, ma ciò vale ancor di più per le animazioni o i filmati, possono offrire un’idea immediata di un fenomeno da comprendere e delle sue relazioni interne, in una maniera 124 Cfr. Calvani A., 2011, pp. 76-77. 80 difficilmente conseguibile a parole. In qualche caso le immagini possono aiutare a costruire modelli mentali e favorire una comprensione più profonda (si pensi alla rappresentazione di un circuito elettrico o alla ricostruzione figurata della doppia elica del DNA). Nei testi umanistici, invece, si può anche partire da opere d’arte, apparentemente sganciate dai testi letterari, per cercare di comprendere un determinato periodo storico e le sue caratteristiche socio-culturali. Alle funzioni comunicative esposte, Clark e Lyons (specializzate in Instructional Design) ne affiancano altre di tipo psicologico; un uso corretto delle immagini può supportare l’attenzione, attivare o costruire preconoscenza, minimizzare il carico cognitivo, aiutare a costruire modelli mentali e conoscenze profonde, supportare il transfert della conoscenza, accrescere la motivazione. Queste funzioni sarebbero comuni anche alle immagini dinamiche, che, sempre secondo la tassonomia delle due psicologhe, possono essere di quattro tipi: animazioni, video, modelli dinamici e realtà virtuale; tralasciando per un attimo le riflessioni sull’aggiunta del sonoro, cercherò di fare qualche esempio di immagine dinamica che è possibile visualizzare a partire dalle pagine dei libri di testo, tentando di mostrarne l’uso e l’utilità didattica. È necessario premettere che le immagini, oltre che strumento di apprendimento, sono anche linguaggio e oggetto di apprendimento; imparare a “leggere le immagini” è una competenza comunicativa fondamentale nella società odierna così “visuale”. La lettura guidata di opere d’arte può dare indicazioni utili in questo senso; nei video di questo tipo le opere artistiche vengono analizzate nel dettaglio con l’aiuto di una voce narrante che le inserisce nel contesto storico e le descrive minuziosamente, mentre l’inquadratura e il livello di zoom dell’immagine cambiano dinamicamente in relazione a ciò che la voce dice. I filmati possono prevedere l’interazione dello studente, che deve rispondere ad alcune domande (analisi guidata dell’immagine stessa) o è invitato a confrontarsi in classe con gli altri compagni alla presenza dell’insegnante-mediatore culturale. Visualizzare carte geografiche su cui è possibile “agire” per averne degli elementi di lettura critica, o per ottenere approfondimenti testuali o multimediali esplicativi della carta stessa, può facilitare nella collocazione geostorica di un determinato evento o argomento; geolocalizzare un luogo attraverso le mappe, anche quelle disponibili in Internet, consente di dare una dimensione spaziale più precisa e visibile agli allievi, fornendo loro un rafforzo visivo utile, un “ancoraggio alla realtà” che facilita la comprensione e la memorizzazione dell’argomento trattato. 81 Se nel 2012 Roncaglia125 scriveva che l’uso di infografiche interattive e animate, di linee del tempo dinamiche, di strumenti di georeferenziazione (insieme alla crescente abitudine alla condivisione sociale di contenuti e commenti) avrebbe portato «entro qualche anno a modelli di libri di testo davvero assai lontani dalla forma-libro tradizionale» si può a ben ragione dire che quel futuro prossimo preconizzato è già presente. Studiando letteratura, i video dei brani teatrali messi in scena possono consentire di leggere le stesse opere in maniera diversa rispetto al libro, poiché rendono manifesto lo scopo per cui sono state originariamente scritte e aiutano a comprendere tutte le notazioni sulla scenografia o sulle azioni che intercalano i testi dei dialoghi teatrali. Tornando all’ambito scientifico, immagini e schemi con diverse aree attive possono essere utilizzati per descrivere, ad esempio, le diverse parti degli apparati digerente, respiratorio e circolatorio, per mostrare come è strutturata una cellula, per scoprire la struttura del Sole o le fasi lunari; al clic su un’area attiva si può avviare un file audio con una definizione o una spiegazione sull’elemento scelto e, se necessario, anche una piccola animazione. Le videoesperienze (filmati in cui ragazzi realizzano esperimenti scientifici, a volte con oggetti di uso comune) possono offrire validi spunti pratici sulle possibili attività laboratoriali e possono aumentare la curiosità epistemica e la voglia di imparare “facendo”; altri filmati possono mostrare esempi di gite o viaggi di studio in luoghi di rilevante interesse scientifico (musei di scienze, vulcani, orti botanici, riserve naturali...), che possono così essere conosciuti anche da chi, a causa ad esempio di un’eccessiva distanza o dall’assenza di location simili nel proprio territorio, non ne avrebbe altrimenti alcuna “esperienza”. Sempre in campo scientifico, attraverso filmati realizzati con tecniche miste (ad esempio con disegni animati, riprese reali, elementi di realtà virtuale o di realtà aumentata) si possono utilizzare in classe simulazioni (per spiegare ad esempio i principi di genetica, come la trasmissione dei caratteri recessivi e dominanti, i movimenti della Terra o l’elettrolisi) che consentono di superare alcuni limiti percettivi e motori, estendendo le nostre facoltà conoscitive, permettendoci di percepire e interagire, attraverso modelli semplificati, con tutto ciò che: - è lontano da noi nello spazio o nel tempo; - è troppo grande o troppo piccolo; - ha tempi troppo lunghi o troppo brevi rispetto ai nostri ritmi biologici; - è astratto e quindi non è percepibile con i sensi; - è pericoloso o troppo costoso. 125 Cfr. Roncaglia G., 2012. 82 Nelle attività di quest’ultimo tipo, il rischio di sovraccarico cognitivo è controbilanciato dai vantaggi rispetto alla sola spiegazione verbale; gli approfondimenti visuali, gli ingrandimenti, i rallentamenti o le velocizzazioni di fenomeni altrimenti non rappresentabili visivamente (come ad esempio può essere un filmato, accelerato, sulla germinazione e la crescita di una pianta) risultano proficui, anche perché possono sempre essere “governati” dal docente o anche dal singolo allievo, che hanno a disposizione pulsanti e comandi per mettere in pausa, tornare indietro, muoversi all’interno delle lezioni video. Eventuali videointerviste, videolezioni d’autore o documentari possono fornire un punto di vista “altro” su un determinato argomento, o approfondirne determinati aspetti, facendo parlare esperti di uno specifico settore o i diretti interessati di un certo fenomeno. Il docente può anche spingere la classe a partecipare a Webinar specifici per le varie discipline, cioè videoseminari on-line in cui i partecipanti possono interagire tra loro e con il coordinatore del seminario stesso tramite gli strumenti disponibili nel sistema di web conference, tipicamente una chat in cui è possibile intervenire in tempo reale durante il convegno. Secondo Bonaiuti (2010)126 esistono numerose modalità di impiegare i video nell’insegnamento, che possono essere isolate e classificate mettendo agli estremi di un asse cartesiano i soggetti (docente o allievi) e il tipo di uso (produzione o fruizione). Ne vengono fuori docenti che costruiscono i propri video materiali o che li impiegano durante la lezione, e studenti che producono filmati o li usano per studiare; in ogni caso la facilità con cui è possibile realizzare a basso costo video, e la diffusione in Rete di archivi di materiali multimediali gratuiti come YouTube, sembrano offrire numerose motivazioni per riflettere in maniera problematizzata sull’utilizzo di video a scuola. A poco più di un secolo da quando cinema e televisione (i primi media a permettere l’ampia diffusione e conservazione del sapere attraverso immagini in movimento) hanno fatto la loro comparsa sulla scena della cultura umana, questa forma di comunicazione sembra di certo ormai naturale e scontata. Nonostante l’interesse a supporto degli strumenti audiovisivi in Italia sia stato particolarmente vivo tra gli anni Sessanta e Ottanta, nonostante gli entusiasmi e l’impegno di importanti network televisivi, le esperienze d’uso dei filmati didattici sono però finora state circoscritte quasi sempre ai laboratori di fisica e di chimica; i recenti studi in ambito psicologico e neurodidattico, uniti alla diffusione dei video di cui parlavo, può far tornare in auge e far spiccare il volo a questo strumento formativo. 126 Bonaiuti G., 2010, Didattica attiva con i video digitali. Metodi, tecnologie, strumenti per apprendere in classe e in rete, Edizioni Erickson, Trento. 83 Seguendo la tassonomia di Clark e Lyons, sempre secondo Bonaiuti, le immagini in movimento hanno un ambito di applicazione privilegiato nell’illustrare rappresentazioni trasformative o interpretative; utilizzare con successo i video in classe, così come gli altri media, richiede però un’attenta pianificazione, anche se, nel caso dei video inseriti nei libri di testo elettronici, la progettazione e la validazione didattica effettuate a monte sui contenuti, sulla loro durata e collocazione rispetto agli argomenti curricolari, rendono sicuramente meno complesso il lavoro dell’insegnante. La visione di un filmato rappresenta un’occasione di apprendimento tutt’altro che passiva; tralasciando i video che richiedono una attiva interazione da parte degli utenti o che stimolano palesemente dibattiti e discussioni, vedere un qualsiasi filmato, infatti, non è mai un’esperienza totalmente inattiva. Chi guarda un video sarebbe sottoposto ad una forma di interattività «intransitiva», ad un rilevante coinvolgimento intellettivo, sensoriale e affettivo; la recente scoperta dei neuroni specchio fornirebbe le basi neurobiologiche capaci di spiegare queste intuizioni. I neuroni specchio sono una classe di neuroni specifici che si attivano sia quando si compie un’azione, sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri. Tale attivazione, che è diretta e pre-riflessiva, cioè involontaria, determina la predisposizione fisiologica, insieme a quella cognitiva, affinché il soggetto che “ha visto” possa trasformare ciò che ha osservato in un proprio comportamento. In certi casi, tale attivazione si limita a consegnare al sistema nervoso le modalità di risposta a determinati stimoli, in altri ha conseguenze dirette sull’organismo di chi guarda in base al contenuto del video (contrazioni muscolari, attivazione di emozioni…)127. Seppure con i dovuti distinguo, video didattici ben realizzati possono svolgere anche funzioni tipiche del modelling128, la prima delle azioni svolte dall’esperto impegnato a favorire l’acquisizione delle competenze, finalizzata a mostrare l’azione consentendo al principiante di osservare attentamente ciò che è necessario fare o non fare; per passare dalla visione dell’azione alla maturazione di vere e 127 «Nello sport, soprattutto in campo agonistico, è una prassi piuttosto consolidata quella di lavorare al miglioramento della tecnica e delle performance attraverso la visione di filmati. Nell’apprendimento delle lingue straniere l’esposizione audiovisiva consente non solo l’accesso al lessico e alla sua pronuncia, ma anche il progressivo avvicinamento al contesto culturale, costituito da comportamenti sociali, uso di codici non verbali, deviazioni dalla norma e molti altri aspetti. Nella formazione professionale, l’uso dei video tutoriali è sempre più diffuso per consentire l’acquisizione del metodo e delle tecniche di comportamento e di lavoro», Bonaiuti G., 2010, pp. 86-87. 128 Particolare attività istruttiva, tipica dell’apprendistato, che si basa proprio sulla presentazione dimostrativa di esempi che l’allievo deve imitare; questa pratica è ben lontana dal tradizionale chalk and talk, “gesso e parola”, tipica di una modalità più trasmissiva. 84 proprie competenze sono ovviamente necessarie ulteriori azioni supportate da processi di riflessione e rielaborazione e di esperienza pratica guidata. Lo sviluppo di una maggiore consapevolezza rispetto al contenuto proposto da un video passa anche attraverso un processo di graduale appropriazione di tutti gli elementi in gioco; fornendo agli studenti strumenti di lavoro per favorire l’analisi e la riflessione individuale o di gruppo (suggerendo ad esempio agli alunni di guardare il video facendo attenzione ad alcuni passaggi, soffermandosi su determinati particolari, distribuendo schede di rilevazione guidata o cercando risposte a specifiche domande) si possono ottenere buoni risultati di apprendimento, relativi alla capacità di valutare, rielaborare e applicare in maniera competente quanto acquisito. Secondo altri autori129, il video in classe risponde ad alcune logiche, prima fra tutte quella procedurale (quando si sceglie il video per spiegare procedure e processi complessi attraverso il potere esplicativo delle immagini), poi quella evocativa (quando si sfrutta il potere delle immagini di richiamare alla memoria un’esperienza personale dello spettatore), quindi quella narrativa (quando fa leva sulla funzione di racconto implicita nei video), quella linguistica (quando un video viene utilizzato per riflettere sul linguaggio delle immagini), quella festiva (sfruttando le caratteristiche edonistiche e rilassanti dell’audiovisione). Come si vedrà meglio più avanti, produrre e presentare un video può inoltre essere la consegna di un compito significativo da assegnare agli allievi, anche proprio a partire dalle logiche fin qui esposte. Buona parte dei contenuti descritti, oltre alle immagini e al testo, integra anche audio che si affianca alla viva voce dell’insegnante e degli allievi; sulla compresenza dei tre elementi e sul giusto equilibrio ho già detto, ma ritengo utile aggiungere qualcosa. Vale la pena di ricordare, infatti, che la dimensione dell’ascolto è «immersione in un ambiente sonoro: è vibrazione del corpo» (Maragliano, 2004, p. 23) che piace ai giovani più dell’astrazione del processo “silenzioso” di lettura del testo scritto, coinvolgendoli in forme di esperienza-conoscenza non passive, bensì partecipative, dentro lo spazio acustico. Il movimento dentro questo spazio assicura, infatti, una forma di esperienza-conoscenza di portata generale: è ricezione, ma anche produzione, connessione, compartecipazione. Il discorso del suono e sul suono vale per definire l’antropologia del giovane d’oggi (civiltà dell’immagine ma anche civiltà di un suono “riscoperto”), che considera il suono stesso, e la musica in particolare, come luogo di elaborazione affettiva, come intermediario tra corporeità, coscienza, conoscenza, come veicolo e garanzia di 129 Cfr. Carenzio A., in Rivoltella P.C., 2013, pp. 92-93. 85 sistemi valoriali, come produttore di identità e di appartenenza, come fonte o espressione di emozioni e sentimenti. Gli spazi acustici ci consentono di «cogliere quanto delle dinamiche dell’oralità, che vive del suono e nel suono, è presente negli spazi della comunicazione elettronica» (ivi); ascoltare è un’attività naturale e per entrare in comunicazione con un messaggio sonoro non è necessario un insegnamento esplicito come nel caso della scrittura, e pur essendo degli analfabeti musicali, ad esempio, siamo in grado di riconoscere alcuni motivetti130 o di associare suoni a stati d’animo. È interessante notare come, almeno fino alla metà dell’Ottocento, la comunicazione scritta prevedeva un supporto per lo più mobile, la comunicazione visiva ne prevedeva uno relativamente mobile, quella acustica non prevedeva alcun supporto che non fosse quello delle onde fisiche che consentono ai suoni di esistere. Nelle società illetterate si parla spesso di cultura verbomotoria; per tramandare qualcosa, come ho detto in precedenza, si ricorre alle ripetizioni, alle associazioni ritmiche, alla musicalità. Il suono è labile, e nel momento stesso in cui viene prodotto inizia a morire, e la stessa cosa si può dire del gesto, che vive limitatamente alla sua esecuzione: perché suoni e gesti possano sopravvivere non basta soltanto che siano prodotti, ma è necessario l’ingegno dell’uomo che, in vari modi, da millenni si è adoperato per trovare soluzioni a questo problema. A formare la memoria individuale e collettiva, nelle culture dell’oralità, vi è lo schema, strumento principe per la conservazione in memoria sia dell’azione sia della parola; tra le caratteristiche delle culture orali ci sarebbero la linearità e la ridondanza, come elementi costituitivi dello schema stesso, che vanno messi in relazione con la matrice corporea e globale e con l’intelligenza sensomotoria. La svolta rappresentata in ambito comunicativo dalla riproduzione tecnica del suono ha comportato, a partire dalla fine dell’Ottocento, l’introduzione massiccia di modi e stili di conoscenza tipici delle culture orali all’interno delle società alletterate (e a tal proposito si distingue tra oralità primaria e secondaria). Tornando all’ambito più prettamente formativo, per tutti i motivi espressi, sembra utile e fruttuoso utilizzare il suono nei processi di insegnamento/apprendimento, usando il buon senso e tenendo a mente i suggerimenti fin qui forniti (posto che contenuti validati scientificamente come quelli degli eBook+ dovrebbero già rispettare determinati canoni multimediali). Rispetto alla Galassia Gutenberg, che come ho detto aveva fatto piombare il mondo scolastico nel silenzio, parafrasando lo stesso Maragliano si può dire che la Galassia multimediale fa rumore e per questo spesso è stata percepita dalla scuola come rumore; fuori di metafora, utilizzando 130 Cfr. Maragliano R., Pireddu M., 2012. 86 anche l’audio (che non sia la spiegazione verbale orale del docente) si può correre il rischio che questo rumore sia dannoso, e che l’attenzione del discente venga divisa tra audio e video (split-attection effect131). Analogamente a quanto detto rispetto all’uso delle immagini e del testo, però, un uso ben bilanciato di testo scritto, immagini e audio può facilitare l’apprendimento132; c’è «forte evidenza sul fatto che l’apprendimento di un oggetto visivo è migliore quando è illustrato o spiegato con narrazione audio rispetto a quando lo è con testo scritto (ciò vale sia per diagrammi statici che dinamici): in questo modo, infatti, si impiegano congiuntamente i due canali cognitivi, quello visivo e quello audio, senza generare sovraccarico cognitivo sul canale visivo, cosa che accadrebbe se all’immagine si aggiungesse testo scritto»133. Le registrazioni audio in formato digitale possono anche essere sganciate da ogni altro tipo di contenuto; si tratta ad esempio di ascolti guidati, letture metriche, brani antologici, poesie recitate, sintesi di capitoli, riepiloghi di lezione, corretta pronuncia di testi in lingua straniera, testi letti o recitati in latino o in greco, brani musicali tipici di un’epoca da cui partire per parlare di quell’epoca, interviste radiofoniche… In classe si può anche ascoltare l’audio di un testo letto da un attore, su cui gli alunni possono essere sollecitati a prendere appunti o successivamente chiamati a rispondere a delle domande; ciò educa all’ascolto attivo e alla comprensione. Sulla falsariga di quanto detto sull’integrazione di testo, video e audio, particolarmente interessante è il discorso sulle presentazioni multimediali, i famigerati PowerPoint134; oltre che proiettare le presentazioni presenti negli eBook+, infatti, i ragazzi possono accompagnare la loro esposizione orale, durante le interrogazioni, con dei PowerPoint preparati in precedenza, realizzati anche a partire da elementi del libro. Avvalersi di una presentazione, infatti, favorirebbe 131 «When the design of the graphic does not foster the coordination of visual and verbal material, integration can be difficult because the learner’s attention is split between the two modes of information. This process of integration imposes a heavy extraneous cognitive load for novice learners, especially when the material is highly detailed with a need to coordinate many labels» (Smith R.M., 2008, p. 75). 132 «Visual and verbal information are processed in independent portions of the working memory, so these do not compete with each other. Therefore, presentations that take advantage of both the visual (graphics) and the verbal (text or audio) are more beneficial than those that use only one of them (Cook, 2006) [...] A better approach would be to present a graphical representations of some phenomenon and then an audio narration over that graphic» (Ivi). 133 Calvani A., 2011, p. 81. 134 La popolarità di questo software della Microsoft ha fatto sì che si è passati ad identificare, con questo nome, presentazioni multimediali di qualsiasi tipo, prodotte da qualsiasi programma. 87 l’ancoraggio cognitivo funzionale a preparare l’attenzione e a supportare la memoria a breve termine (per ottenere questo effetto le presentazioni dovranno limitare l’uso di testi scritti a poche parole chiave e ottimizzare l’utilizzo delle immagini). Far produrre un PowerPoint, soprattutto in ottica ipertestuale, consente, tra le altre cose, di valutare competenze di analisi e sintesi, comprensione, comunicazione, come vedremo meglio nel corso dell’ultimo capitolo. Per concludere la carrellata di oggetti multimediali tipicamente a disposizione di un libro di testo elettronico “esteso”, voglio spendere qualche parola sugli esercizi in autovalutazione, che possono essere utilizzati in classe anche per interrogare informalmente; rivisitare periodicamente le conoscenze acquisite aiuta a rafforzare gli apprendimenti precedenti e prepara a quelli “futuri”. Le verifiche possono anche essere svolte a squadra per stimolare una sana competitività (o cooperazione all’interno di una stessa squadra) che può aumentare la motivazione ad apprendere. Gli studenti possono fare gli esercizi formativi anche a casa, dal momento che quelli proposti forniscono un feedback immediato favorendo la metacognizione degli allievi; questi esercizi possono inoltre rivelarsi veramente formativi perché, oltre ad indicare la risposta esatta o errata, contengono dati aggiuntivi o suggerimenti per eventuali approfondimenti per potenziare l’allievo che ha risposto correttamente, o per spiegare, nel caso contrario, perché la risposta fornita è sbagliata, indicando strategie cognitive per individuare l’informazione corretta e dando indicazioni utili per “correggere il tiro”. Altre esercitazioni interattive consentono di ripassare insieme al gruppo classe alcuni argomenti, o di verificare la preparazione individuale sfruttando le caratteristiche dell’interattività già presentate. Durante il tempo lezione, quindi, alla propria spiegazione orale l’insegnante può alternare, nella presentazione di uno stesso argomento, testi scritti, immagini, animazioni, filmati, linee del tempo interattive o sintesi schematiche dei contenuti, valorizzando così le differenze individuali e facilitando le diverse intelligenze e i diversi stili cognitivi, tenendo conto del suggerimento di Maragliano secondo cui «Un testo stampato, un brano video, uno spazio di rete non inducono negli utenti lo stesso significato, anche quando trattano lo stesso argomento; sono forme diverse che si inscrivono in modo diverso negli spazi mentali di chi ne fruisce»135. Arricchire il libro di contenuti multimediali (o sarebbe forse più opportuno dire multicodali e multimodali) ad ogni modo, non è una novità assoluta, ma si inscrive nella prassi degli ultimi anni in cui si è sempre cercato di associare i libri cartacei a contenuti digitali disponibili su CD o DVD-Rom o su siti Internet dedicati a ciascuna opera; 135 Maragliano R., 2013. 88 almeno in Italia anche il libro di testo interattivo, dalle cui pagine è possibile richiamare comodamente i contenuti multimediali, non è un’idea nuova per l’anno scolastico 20142015 (pur con le continue migliorie apportate al suo formato e con l’aggiunta via via di nuovi strumenti), ma si inserisce in un percorso tecnologico che ha modificato progressivamente la comunicazione in generale, e la comunicazione formativa in particolare. Le implementazioni tecniche, in effetti, hanno permesso, nel corso della storia, di potenziare notevolmente la capacità espressiva umana che ha, così, potuto raggiungere persone dilazionate in spazi e tempi distanti dal luogo e dal momento in cui è stata prodotta. Dalle incisioni rupestri alla scrittura e alla stampa, il linguaggio si è oggettivato trasponendosi in un mezzo, in più mezzi; i segni, che prima erano affidati ad una inconsistenza aeriforme, vengono tradotti visivamente, dall’orecchio si passa all’occhio, con la notevole possibilità di rinviare, aggiornare, prolungare, posticipare la lettura e, se il mezzo lo consente, anche di trasportarla in luoghi differenti. La relazione, veicolata dal linguaggio, viene dislocata, trasferita, ripartita, distribuita, in una parola diventa mediata da un mezzo che si interpone fra le persone. Se prima, però, questo movimento era rappresentato principalmente dal libro stampato che, spostandosi, recava con sé le parole, i desideri, i messaggi di uno o più individui e, viaggiando, instaurava relazioni diverse con lettori diversi, ora la tecnologia elettrica e, in seguito, quelle elettronica e digitale permettono addirittura al soggetto di spostarsi, di viaggiare e di incontrare senza muoversi da casa sua, immettendosi in una realtà o, meglio, creando nuove realtà che inframmezzano la realtà quotidiana.136 La lunga citazione riassume bene la traiettoria intrapresa; vediamo allora come cambia il libro di testo elettronico nel suo diventare “2.0”, non prima di precisare che gli aspetti di originalità del libro elettronico rispetto al cartaceo non vanno in nessun caso limitati alla sola multimedialità interattiva. Il fatto stesso che i luoghi della filiera editoriale siano toccati da una progettazione “nativa” digitale cambia la qualità dei contenuti; l’utilizzo di materiali dalla rete, la creazione di strutture di lettura non lineare, l’aggiornabilità del testo, ma, soprattutto, la condivisione di apparati meta-multi-testuali da parte dei lettori-utenti all’interno di comunità reali-virtuali-miste, rappresentano svolte interessanti specialmente da un punto di vista sociocognitivo, relazionale ed emotivo. 136 Parmigiani D., 2004, p. 63. 89 CAP. 3 - IL “SOCIAL” E-BOOK Se tu hai una moneta, e io ho una moneta, e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una moneta per uno. Ma se tu hai un’idea, ed io ho un’idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee137. La normativa e la piattaforma Il libro di testo elettronico, come abbiamo visto nel capitolo precedente, si va configurando sempre più come un ambiente per così dire “intermedio”, al confine; se da un lato mantiene la tradizionale struttura testuale “lineare” (anche se, come ho detto, specialmente nei libri di testo i rimandi e le varie rubriche rendono la lettura articolata), dall’altro si apre alla reticolarità e, attraverso Internet, a potenzialità infinite. Come ho cercato di mostrare, l’atto di lettura di un libro prevede sempre e comunque un’attività interpretativa da parte del lettore, che non è un passivo ricevitore di informazioni, bensì rielabora i contenuti in maniera attiva sulla base delle sue preconoscenze, opinioni, e credenze, creando il senso stesso del contenuto, senso che non è preesistente rispetto alla lettura138. Nell’accostarsi a qualsiasi brano scritto, quindi, un lettore competente compie operazioni simili a quelle attivate da un ipertesto o da qualsiasi testo multimediale, deve evidenziare alcuni particolari, approfondirne altri, confrontare altri testi, collegare testi ed immagini; il libro tradizionale stesso, nell’ottica fin qui descritta, può essere considerato un ipertesto, che richiede al lettore la capacità di navigare e mettere insieme i vari nodi di contenuto. Naturalmente, le competenze ermeneutiche richieste al lettore-studente-fruitore di un libro di testo interattivo 137 Autore anonimo. L’espressione originale dovrebbe essere «Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela per uno. Ma se tu hai un’idea, ed io ho un’idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee» del drammaturgo irlandese George Bernard Shaw; Cfr. http://it.wikiquote.org/wiki/George_Bernard_Shaw visionato il 9 novembre 2014. 138 A tal proposito, Lévy (trad. it. 1997, p. 25), riferendosi al testo sostiene che «Innanzitutto, esso è bucherellato, crivellato, costellato di vuoti. Sono le parole, i brandelli di frase che non intendiamo (nel senso percettivo ma anche intellettuale del termine), i frammenti di testo che non comprendiamo che non consideriamo globalmente, che non colleghiamo ad altri, che trascuriamo. Cosicché, paradossalmente, leggere, ascoltare, significa incominciare a tralasciare, a trascegliere e a slegare il testo. Lacerandolo attraverso la lettura e l’ascolto, noi accartocciamo il testo, lo ripieghiamo su se stesso, colleghiamo gli uni agli altri i passi che si corrispondono, cuciamo insieme gli elementi sparsi, stesi, disseminati sulla superficie delle pagine o nella linearità del discorso: leggere un testo significa ritrovare l’aspetto tessile da cui deriva il suo nome». 90 e multimediale, sono ancora più complesse (si badi bene: più complesse139, non più complicate o difficili), soprattutto fuori dalla classe, per lo studio individuale a casa, in cui generalmente l’atto individuale della lettura richiede e attiva abilità di comprensione, astrazione, memorizzazione, analisi, sintesi, ed è seguito solitamente da una fase più “attiva” in cui si è chiamati in prima persona ad applicare ciò che si è letto su un compito assegnato, ad elaborare, a creare qualcosa di proprio. A casa, anche se studia con qualche compagno, con l’aiuto dei genitori, di altri parenti o di un tutor privato, anche se si confronta con gli amici per telefono, via e-mail o attraverso i social network (pratiche che comunque hanno di fatto già modificato il modo di “fare i compiti”), lo studente si ritrova in ogni caso”fisicamente” fuori dal contesto scolastico, dal gruppo classe (inteso come l’insieme degli allievi e del docente), si ritrova in qualche modo “solo”. Questa situazione, soprattutto negli anni recenti, ha avuto certamente delle eccezioni; alcuni docenti hanno infatti cominciato ad utilizzare blog, forum, posta elettronica, gruppi più o meno privati su Facebook o altri social network, o proprio piattaforme LMS o LCMS per la formazione a distanza (FAD), cercandone e configurandone una di propria iniziativa (ormai infatti sono disponibili su Internet piattaforme totalmente gratuite e anche semplici e intuitive da usare), o usando quella scelta dal proprio istituto scolastico, più o meno spinti dal dirigente o da altri colleghi. Gli esempi menzionati, però, sono comunque lasciati alla libera decisione del singolo docente o del singolo istituto, non esistendo ancora nulla di “centralizzato”. Come anticipato, la situazione cambia (se gattopardianamente o no, e cosa si manterrà e cosa cambierà, non è dato ancora sapere) con il citato decreto ministeriale n. 781/2013 che introduce le “piattaforme di fruizione”, cioè l’ambiente software all’interno del quale i libri di testo digitali e i contenuti digitali integrativi vengono aggregati e utilizzati, che, come si legge nel decreto «non dovrebbero rappresentare solo la cornice software per l’uso di particolari contenuti provenienti da singoli fornitori, ma dovrebbero consentire, sia a livello di libri di testo digitali sia a livello di contenuti digitali integrativi, la fruizione di contenuti 139 La complessità (da cui derivano parole come “complessivo”) richiama il latino complèxus, participio passato di complèctor, cioè “comprendo, abbraccio” dal greco πλέκω, leggi “plèco”, cioè “piego, unisco”, da cui deriva anche “implicare”, ma significa anche “intesso” (il significato originario della parola “testo” è “tessuto o trama”, dal latino tèxtum participio del verbo tèxere, cioè “tessere, intrecciare”). Il padre dell’ergonomia, Donald Norman, vede la complessità come un intreccio di parti correlate, tratto distintivo della realtà, per di più necessario; essa va inoltre distinta dalla complicazione che sarebbe invece uno stato psicologico. 91 provenienti da fornitori diversi e, nel caso dei contenuti digitali integrativi, anche l’aggregazione di contenuti e risorse di apprendimento selezionati in rete o prodotti da docenti e discenti». Le piattaforme, sempre secondo le indicazioni ministeriali, dovrebbero consentire inoltre di condividere e discutere i singoli contenuti ma anche «percorsi, dubbi, reazioni, opinioni dei partecipanti al processo di apprendimento, ove possibile in maniera anche trasversale rispetto alle forme tradizionali di organizzazione della didattica, a partire dal gruppo classe» prevedendo pure la possibilità di scambio e condivisione delle note, integrando alcune caratteristiche tipiche di un diario condiviso e funzionalità relative alla comunicazione scuola-docenti-studenti-famiglie (assegnazione di compiti, visualizzazione di risultati, indicazioni del docente sulla personalizzazione dei percorsi di apprendimento, comunicazioni dal docente a uno o più studenti e viceversa, comunicazioni dalla scuola agli studenti e alle famiglie). Nel definire le caratteristiche delle piattaforme di fruizione e le modalità della loro adozione, il decreto invita a tenere conto di alcune indicazioni, tra cui il fatto che «[…] 1) le caratteristiche e le funzionalità delle piattaforme di fruizione sono fortemente dipendenti dall’evoluzione tecnologica, e sono state oggetto finora di un’attenzione probabilmente insufficiente; 2) attualmente, fornitori di contenuto diversi hanno realizzato e adottano piattaforme di fruizione diverse, spesso chiuse e non interoperabili; 3) non è tuttavia ipotizzabile che studenti e docenti siano costretti a utilizzare nell’uso quotidiano una pluralità di piattaforme di fruizione differenti, che spesso si sovrappongono per funzionalità e strumenti offerti, ma adottano al riguardo interfacce, convenzioni e modalità operative diverse; 4) nella fase attuale non è tuttavia neanche ipotizzabile l’imposizione dall’alto di una piattaforma di fruizione unica […]»140. Proprio il terzo punto in qualche modo mi ha spinto a scegliere di parlare di Scuolabook Network la piattaforma multi-editore di Scuolabook che consente, in linea teorica, di avere in un unico ambiente tutti i libri di testo di tutte le discipline (almeno quelli che gli editori aderenti all’iniziativa hanno reso disponibili in e-book, semplice o “esteso”, all’interno della piattaforma stessa), che viene presentata con il messaggio “Facile come un social network, ma senza distrazioni”, e che consente di estendere lo “spazio” della classe oltre il “tempo” della lezione a scuola. Cercherò adesso di tratteggiarne le caratteristiche principali, con 140 Per ottenere un buon risultato, il Ministero invita l’istituzione di un tavolo tecnico che incentivi uno sforzo comune di editori e fornitori di contenuti, scuole, università, associazioni di docenti impegnate sul fronte dell’innovazione didattica, per lo sviluppo di un framework (cioè un ambiente di lavoro) comune, aperto, interoperabile ed espandibile. 92 attenzione particolare agli aspetti pedagogici, collegandone le funzionalità alle istanze teoriche che gravitano intorno alla pratica dell’e-learning. Scuolabook Network Accedendo a Scuolabook Network, oltre alla propria libreria digitale con l’elenco dei testi acquistati (e oltre agli e-book che alcune case editrici mettono a disposizione gratuitamente come supporto ai libri di testo, ad esempio i classici della letteratura a compendio di un testo di italiano), gli studenti trovano diversi strumenti, tra cui il quaderno personale, dove conservare note e appunti personali in un posto sicuro sempre disponibile on-line e sincronizzato con le applicazioni Scuolabook, e il calendario, un’agenda dove segnare date ed eventi importanti e memorizzare scadenze o consegne. Le potenzialità del calendario aumentano se Scuolabook Network viene utilizzato anche dall’insegnante, che può ad esempio creare corsi a cui aggiungere i propri studenti per moderare le loro attività on-line (lo studente inserito in un gruppo riceverà un invito che potrà accettare o declinare). Il docente può dividere in gruppi gli studenti per coinvolgerli, assegnando ad esempio a ciascun gruppo un tema da svolgere collaborativamente nella forma di tesina o di articolo, utilizzando sempre gli strumenti di Scuolabook Network che somigliano in tutto e per tutto a un software di social wiki141; in seguito può condividere con tutti gli studenti i risultati di quest’attività, e correggere e valutare il lavoro svolto. Le varie opzioni disponibili consentono di personalizzare questo tipo di compito, decidendo ad esempio se la valutazione deve essere di gruppo o individuale, se si assegna una valutazione reciproca tra gli studenti o meno, e nel caso di valutazione reciproca se stabilire manualmente “chi controlla chi” o attribuire ciò in maniera automatica. È possibile, inoltre, chiedere agli studenti di raccogliere e presentare in classe del materiale relativo ad un tema; gli studenti, infatti, possono caricare documenti di varia natura nel proprio spazio on-line, raggruppandoli in una struttura personalizzata di cartelle e sottocartelle, e decidere se condividere il link (necessario per visualizzare direttamente o scaricare quanto prodotto o selezionato dalla Rete), al docente, specialmente nel caso di compiti da lui assegnati, o ad altri utenti. Il docente può avere, per ciascuno studente, un report dettagliato delle interazioni intercorse con il docente stesso o delle sue azioni all’interno della piattaforma, e può inviare messaggi personali e suggerimenti. Il docente può anche creare e sollecitare 141 Piattaforme in cui chiunque, in qualsiasi momento, può apportare modifiche a qualsiasi contenuto presente. 93 “discussioni”, chiedendo agli studenti di sviluppare una propria opinione riguardo ad un argomento e di formulare le proprie considerazioni per iscritto; può poi valutare anche le competenze verbali o le conoscenze di uno studente analizzandone gli interventi in un contesto “informale” come quello di questa sorta di forum, in cui da un lato gli studenti sono spinti ad un controllo della propria scrittura, dall’altro hanno in qualche modo la sensazione di “libertà” espressiva142. Il docente può creare una presentazione composta da una sequenza di documenti, immagini, link a risorse esterne, da proiettare in classe con la LIM oppure da distribuire agli studenti; analogamente può condividere file e documenti in cloud per visualizzare il materiale preparato per la lezione e i file precedentemente caricati all’interno di Scuolabook Network sulla LIM, o può distribuire anche queste risorse ai propri studenti (come abbiamo anticipato, a tutti o a gruppi, o al limite anche al singolo). Questi materiali possono concorrere a costituire la propria lezione on-line; le lezioni del corso consentono infatti di organizzare i documenti in sezioni o unità più piccole che possono anche essere calendarizzate o inserite in un programma pianificato. Il calendario e il programma delle lezioni possono essere poi, a loro volta, condivisi con gli studenti; le lezioni possono essere incentrate su un tema, focalizzate su un argomento specifico, oppure semplicemente raggruppate cronologicamente, ed è possibile anche definire i criteri e i prerequisiti di ciascuna lezione. In quest’ultimo caso, gli studenti non potranno accedere alle lezioni finché non avranno sbloccato i propri prerequisiti, raggiungendo ad esempio un determinato punteggio nei test di revisione, che possono anche essere personalizzati. Il docente ha l’opportunità, infatti, di creare le proprie esercitazioni, e per ogni esercizio può scegliere se mescolare le risposte, assegnare un limite di tempo per lo svolgimento, permettere un numero di tentativi limitato o no, mostrare o no le risposte corrette agli studenti, assegnare una data di scadenza (che comparirà nell’agenda degli studenti), abilitare l’autocorrezione, valutare manualmente o automaticamente gli esercizi svolti, oppure indicare una serie di esercizi come esercitazioni da non valutare; può anche creare sondaggi per chiedere opinioni agli studenti relative agli argomenti del corso, scegliendo, anche in questo caso, se valutare le risposte o lasciarle senza voto. Gli eventuali risultati ottenuti dagli studenti negli esercizi sono visibili all’insegnante in modo aggregato, così da avere una panoramica del grado di preparazione raggiunto da tutti gli iscritti al corso. 142 Cfr. Maragliano R., 2013 «è impossibile sfuggire […] all’impressione che oggi si imparino più cose e più durature quando si è, o ci sente liberi dal ricatto dell’insegnamento e delle sue (anacronistiche) forme». 94 Le domande, a risposta chiusa o aperta143, possono essere realizzate direttamente per costituire un gruppo di domande, e quindi essere scritte una dopo l’altra, o create singolarmente per essere successivamente raggruppate in batterie di esercizi. Ciascuna domanda consente di stabilire la risposta da considerare corretta, il punteggio, il feedback da restituire allo studente in caso di risposta esatta o errata. Anche a partire dagli esercizi interattivi e dal quaderno del corso, il docente può creare nuovo materiale didattico o arricchire quello esistente, in autonomia o con gli studenti. L’ambiente della piattaforma permette anche di interagire con il libro di testo e integrarlo; l’insegnante e gli studenti possono arricchire gli eBook+ con note, immagini, video e link a risorse esterne, creando una sorta di libro di testo di classe a partire da quello adottato, facendo delle sottolineature e delle annotazioni condivise secondo i principi del social reading, la lettura sociale, fenomeno che si sta affermando sempre più e che consiste in una moltitudine di servizi on-line diversi, di solito siti o app, che consentono agli utenti di discutere insieme di uno stesso libro anche in parallelo all’attività di lettura del testo. La condivisione del materiale è anche in questo caso regolata dall’insegnante, che può sempre visionare il materiale condiviso ed intervenire per moderare la condivisione stessa. Il docente può utilizzare gli strumenti della piattaforma anche per migliorare la comunicazione con la classe; come ho detto può inserire nel calendario condiviso eventi importanti per gli studenti (come compiti in classe, consegne di esercitazioni o anche altri impegni scolastici o extrascolastici), ed è messo nelle condizioni anche di gestire differenti calendari, uno per ogni sottogruppo, nel caso in cui vi siano attività solo per alcuni gruppi specifici di studenti (ad esempio compiti di recupero). Tramite lo strumento “Annunci”, il docente può distribuire informazioni importanti a tutti gli studenti, o, come abbiamo visto, può inviare messaggi di posta a singoli, a gruppi o all’intera classe. Gli strumenti descritti, senza entrare nel dettaglio delle caratteristiche di ciascun tool che verrà di certo perfezionato via via (si è ancora in una fase piuttosto embrionale e quasi sperimentale), offrono una panoramica abbastanza ampia e chiara di ciò che tecnicamente un docente può fare con la propria classe; cercherò adesso di mostrare quali possono essere 143 I tipi di domanda previsti, al 9 novembre 2014, sono scelta o risposta multipla, vero/falso, riempimento di spazio vuoto singolo o di spazi vuoti multipli, scelta da menu a tendina, abbinamento, risposta numerica, domanda su formula o domanda a saggio (questo tipo di domanda richiede agli studenti di scrivere e formattare con i comandi tipici di un word processor, data una traccia o un tema, un saggio da consegnare come risoluzione dell’esercizio; la natura dell’esercizio non consente di valutarlo automaticamente); il docente può anche inserire del testo di introduzione ad un insieme di domande correlate. 95 le ricadute didattiche dell’uso di tali strumenti anche alla luce delle evidenze teoriche relative (in maniera più o meno diretta) all’e-learning, alla comunicazione/formazione mediata tramite computer e rete Internet, al lavoro di gruppo, proprio a partire da quest’ultimo aspetto. L’importanza del gruppo, in presenza e in Rete Nel sistema Scuolabook Network un docente, come ho detto, oltre a creare corsi che raggruppano l’intera classe può creare anche dei sottogruppi di lavoro, assegnando attività differenti e valutando il lavoro svolto; ma a cosa serve dividere la classe in gruppi? E che tipi di gruppo creare? Il lavoro di gruppo, se opportunamente organizzato e condotto, può portare vantaggi significativi nei processi di insegnamento-apprendimento, specie in un’ottica di didattica personalizzata e di apprendimento collaborativo e cooperativo. Innanzitutto, la creazione dei gruppi facilita l’assegnazione di attività, anche di valutazione, che consentono agli insegnanti di lavorare realmente nella prospettiva della personalizzazione144, dove non c’è un “ipotetico alunno medio”, ma tanti alunni diversi; il docente, attraverso gli strumenti della piattaforma, può stimolare la curiosità epistemica di ciascuno, favorire il conflitto sociocognitivo tra allievi, il confronto e la co-costruzione della conoscenza. Alla base dell’azione educativa personalizzata c’è un principio regolativo che – come ci ricorda Zanniello – García Hoz (a cui tanto si deve nell’ambito degli studi sull’educazione personalizzata) definì “principio della differenza e della complementarietà”, dal momento che «contro ogni forma di riduzionismo, una pedagogia della persona considera le differenze un arricchimento e cerca di integrare le apparenti opposizioni» (Malizia e Cicatelli, 2010, p. 19). Il docente può strutturare e somministrare dei test di verifica delle conoscenze pregresse da assegnare all’intero gruppo classe per conoscere il livello di partenza di ognuno prima di ogni nuovo argomento, e avere sempre un quadro sinottico della situazione, visualizzando sia un prospetto sincronico coi risultati ottenuti dall’intera classe in una valutazione comune, che uno schema diacronico con i risultati di ciascun alunno nelle diverse prove; può inoltre somministrare dei questionari attitudinali per conoscere lo stile di apprendimento privilegiato da ciascun allievo. Tenere conto che alunni diversi possono preferire modalità differenti di presentazione delle informazioni può essere utile al fine di adottare strategie educative complementari che 144 Per approfondire questa prospettiva, si suggerisce la lettura di Ferotti C., 2010, Didattica personalizzata. analisi di pratiche e formazione degli insegnanti, Armando Editore, Roma. 96 possano favorire tutti145; gli altri strumenti della piattaforma consentono abbastanza agevolmente una personalizzazione anche dei contenuti didattici da suggerire agli studenti che non sempre in classe è possibile perseguire, utilizzando, per uno stesso argomento, contributi di diversa natura e con gradi eterogenei di complessità. Riflettere sugli stili di apprendimento risulta particolarmente interessante se si accompagna alla riflessione metacognitiva sul proprio stile di insegnamento, che generalmente ricalca quello dei propri insegnanti, almeno di quelli che sono stati significativi146; la metacognizione può essere potenziata se in classe si sfruttano le caratteristiche della LIM, in particolare la possibilità di registrare tutto ciò che avviene sullo schermo. Videoregistrando la propria lezione scomposta in brevi sequenze, l’insegnante può incrementare l’autoriflessività cogliendo i punti di forza e di debolezza della propria azione didattica; se lo desidera, può anche condividere le proprie esperienze in classe con altri docenti per confrontarsi e trovare nuove soluzioni didattiche congeniali ai diversi contesti. Queste attività di microteaching risultano particolarmente utili per valutare le proprie strategie di insegnamento, progettare eventuali correttivi, o memorizzare quelle attività che risultano particolarmente efficaci, per poterle eventualmente riproporre in situazioni future o in altre classi. Tornando alla piattaforma, la possibilità di suddividere la classe in gruppi “virtuali” consente di personalizzare la propria prassi didattica, anche ad esempio proponendo attività di potenziamento e approfondimento per gli alunni che hanno ottenuto risultati ottimali, o al contrario attività di recupero e sostegno per gli alunni in difficoltà; un’altra possibilità è quella di creare gruppi “misti” dove gli allievi che hanno già raggiunto gli obiettivi minimi e obbligatori per tutti possono rafforzare le proprie competenze aiutando i compagni in difficoltà (peer education). L’apprendimento tra pari (meglio se reciproco) è insieme una delle forme e uno degli aspetti dell’apprendimento collaborativo (collaborative learning), una modalità di apprendimento 145 «The Felder (1993) inventory addresses global and sequential information processing. Those individuals who process information globally are skilled at viewing issues via a picture view. Those who process sequentially usually proceed step-wise through the information considering individual details prior to understanding the big picture [...] Nevertheless, it is important for students who are global learners that we present the global picture at the beginning [...] and connect what the students are about to learn with some subjects with which they are already familiar» (Smith R.M., 2008, p. 8). 146 Si riporta, solo a titolo di esempio, la seguente riflessione: «Many teachers are sequential perceivers, meaning that they need information to come in through the five senses and in a sequential manner. Intuitive learners learn in fits an starts. They may get the answer. At times these individuals can be accused of cheating because they cannot identify the steps to working out the math problem, even though they know the correct answer, It takes them a while to discern how they arrive at what it is they know» (Ibidem, p. 10), 97 basata sulla valorizzazione della collaborazione all’interno di un gruppo di allievi che devono raggiungere un obiettivo comune, interagendo reciprocamente e negoziando ruoli e obiettivi nel corso delle interazioni reciproche. Ulteriore modalità e forma specifica di apprendimento collaborativo sarebbe l’apprendimento cooperativo (cooperative learning) che avrebbe una connotazione più strutturata e meno interattiva; ciascun allievo, in questo caso, svolgerebbe un compito specifico all’interno di un quadro già determinato. La distinzione tra “collaborare” e “cooperare”, nella realtà, è estremamente sfumata, e molti autori non distinguono nemmeno tra le due forme, mentre altri le pongono in linea di continuità ma non di coincidenza; cercherò di mostrare in cosa consiste questa differenza e le basi teoriche soggiacenti al lavoro di gruppo. Secondo l’ampia definizione di Kaye, l’apprendimento collaborativo è «l’acquisizione da parte degli individui di conoscenze, abilità ed atteggiamenti che sono il risultato di un’interazione di gruppo o, detto più chiaramente, un apprendimento individuale come risultato di un processo di gruppo»147; l’attenzione, quindi, sarebbe centrata sull’individuo, vero artefice e soggetto dell’apprendimento stesso, e ciò che distingue una comunità collaborativa dalla maggior parte delle altre sarebbe il desiderio di costruire nuovi significati e nuove conoscenze attraverso la collaborazione con gli altri. L’apprendimento cooperativo sarebbe inteso, invece, come un particolare tipo di apprendimento collaborativo, che coinvolge gli studenti nel lavoro di gruppo per raggiungere un obiettivo comune; si delinea, quindi, come formato da un insieme di processi e di strategie che aiutano i componenti del gruppo a lavorare insieme per raggiungere uno specifico obiettivo o prodotto, definiti in precedenza, generalmente dal docente/supervisore, che avrebbe funzioni maggiormente direttive rispetto al lavoro collaborativo. Di là da queste sfumature, generalmente in ambito scolastico ci si avvale di attività basate sul cooperative learning; in ogni caso non tutte le attività di gruppo richiamano o favoriscono l’apprendimento in gruppo, che si qualifica come cooperativo soltanto se sono presenti alcuni elementi, come l’interdipendenza positiva percepita tra i membri del gruppo, la responsabilità individuale, l’interazione “faccia a faccia”, l’uso appropriato delle abilità sociali nell’agire in gruppi eterogenei, la revisione e il controllo costanti dell’attività svolta, la valutazione del lavoro, individuale e di gruppo. La correlazione con il punto di vista e le posizioni altrui spinge oltre la semplice osservazione 147 Kaye A.R., “Apprendimento collaborativo basato sul computer” in TD n. 4 Autunno 1994, pp. 9-21, trad. it. di Midoro V., p. 11, tratto da Kaye A.R., Computer supported collaborative learning, Open University, scaricato all’indirizzo www.tdmagazine.itd.cnr.it/files/pdfarticles/PDF04/Kaye.pdf il 24 novembre 2014. 98 ed il ragionamento, favorendo la ricerca di spiegazioni; l’attività di pensiero migliora e la comprensione dei concetti diventa più profonda, e l’interazione, se un gruppo è ben condotto e coeso, fa crescere il senso di autoefficacia, promuove la capacità argomentativa, oltre che l’acquisizione e l’integrazione delle competenze. Affinché si possa parlare di gruppo è comunque necessario che l’attività svolta e la struttura gruppale persistano nel tempo, avendo un obiettivo comune e che vi sia la citata percezione di interdipendenza diretta fra i suoi membri. L’intuizione secondo cui lo sviluppo avvenga sempre in un contesto sociale e collaborativo, formulata da Dewey, attraversa tutta la scuola attiva; la lezione deweyana mostra il carattere “sociale” dell’individuo e della conoscenza in cui il «conoscere e il fare sono intimamente connessi tra loro» (Catarsi, 1994, p. 9). Piaget, pur non assegnando un ruolo predominante alla dimensione sociale, sottolinea la funzione del conflitto sociocognitivo nei processi di apprendimento, ispirando tutto un filone di studi di taglio socio-interazionista. Lewin, in un’ottica gestaltica, considera l’individuo immerso in uno spazio vitale all’interno del quale operano diverse forze, a cui ciascuno reagisce tenendo conto di ciò che ha valore per lui; l’intero campo di forze, stimoli e avvenimenti determinerebbe l’apprendimento. All’interno della prospettiva della costruzione e dell’elaborazione culturale, l’informazione è vista come uno specifico prodotto sociale da sviluppare secondo le proprie differenze individuali; parlare di prospettiva sociocostruttivista significa proprio ipotizzare che le interazioni sociali siano all’origine della costruzione di abilità individuali e che il possedere abilità di una certa complessità permetta all’individuo di partecipare successivamente a interazioni sociali più complesse, che consentano a loro volta di costruire abilità di complessità superiore, con delle modalità accostabili ai processi di assimilazione e accomodamento piagetiani. I postulati di riferimento della prospettiva possono essere rintracciati «sia nel “Postulato del sociale” […] con cui si afferma che la mente, il pensiero, lo sviluppo umano hanno origine nelle condizioni storiche e sociale nelle quali gli individui vivono, sia nell’“Interazionismo simbolico” […] che dà luogo alla genesi delle attività intellettive e si sviluppa proprio grazie all’interiorizzazione della conversazione attraverso i gesti, prima non verbali e poi verbali (simboli significativi)» (Perricone Briulotta, 2005, p. 55). Nella prospettiva sociocostruttivista, inoltre, diviene fondamentale il passaggio dalla dimensione individuale a quella sociale, e il piccolo gruppo rappresenterebbe proprio la modalità privilegiata per pervenire alla soluzione dei problemi e ad apprendimenti significativi. Come ho detto, per Vygotskij il ruolo primario dello sviluppo cognitivo dell’individuo è riconosciuto al contesto esterno sociale e fisico, nella zona di sviluppo prossimale: quanto più uno studente sa avvalersi del rapporto con qualcuno più esperto, 99 tanto più ampia è la sua zona di sviluppo prossimale. Parallelamente alla ZOPED, risulta importante lo sviluppo dell’area transizionale o intermedia in cui il mondo esterno di un individuo e quello interno si incontrano attraverso la relazione interpersonale e grazie al processo simbolico; secondo un filone di studi, la mente umana, addirittura, può svilupparsi soltanto all’interno della relazione con un’altra mente che comprende e anticipa i suoi bisogni di relazione (Cfr. Mignosi, 2007, p. 30n). Le attività cooperative, attraverso l’uso didattico di piccoli gruppi, possono essere organizzate in modalità diverse, a seconda del modello di cooperative learning che si ha in mente148, in base al quale cambia la modalità di scelta del tipo di attività, l’organizzazione dei gruppi, la durata dei gruppi, la suddivisione dei compiti e dei ruoli all’interno di ciascun gruppo, il tipo di monitoraggio e di valutazione, il ruolo del docente. Benché il cooperative learning abbia origini estranee ai contesti infotelematici, esso si integra perfettamente con l’apprendimento in rete, dal momento che le piattaforme on-line consentono l’uso didattico di piccoli gruppi al fine di condurre gli allievi a migliorare il proprio e l’altrui apprendimento; l’uso della rete Internet semplifica attività di gruppo che in classe spesso non possono essere portate avanti per numerosi e vari motivi. In Rete, poi, i vantaggi del lavoro in gruppo verrebbero amplificati; Pierre Lévy ha rilanciato in età contemporanea il concetto di intelligenza collettiva, intesa come il prodotto del sapere comune. Una volta che la memoria individuale è messa a disposizione della società, attraverso l’interazione, essa diventa collettiva; le possibilità di scambio interculturale che le nuove tecnologie consentono di mettere in atto, la quantità indefinita e indefinibile di informazioni che a loro volta possono generarne altre ne moltiplicherebbe le occasioni di sviluppo. Per il filosofo francese l’intelligenza collettiva sarebbe la vera cifra e il traguardo più autorevole di Internet, come dimostrato dall’evoluzione del Web che 148 Soltanto per citare i principali, ricordo il Learning Together (Johnson & Johnson, 1975 - Holubec 1996) dove risulta fondamentale l’interdipendenza positiva dei membri, e la responsabilità individuale e di gruppo; lo Student Team Learning (Slavin, 1996) che prevede la competizione tra gruppi omogenei per abilità, e pone enfasi sul conseguimento degli obiettivi del gruppo, tenendo però in considerazione la responsabilità individuale in termini di miglioramento del proprio rendimento; il Jigsaw (Aronson, 1978) che utilizza la specializzazione nel compito, assegnandone uno a ciascuno studente che contribuisce all’obiettivo complessivo del gruppo; il CO-OP-CO-OP (Kagan, 1985) che vuole fornire agli studenti le condizioni in cui emergono e si esprimono le doti naturali degli studenti quali la curiosità, l’intelligenza e l’espressività; il Group Investigastion/Small Group Teaching (Sharan-Hertz, Lazarowitz, 1980) in cui l’insegnante assegna un’area di studio e gli studenti (in piccoli gruppi da 2 a 6 individui), scelgono un argomento relativo all’area di loro interesse. 100 assegna sempre più peso proprio alle attività collaborative e alla individuazione corretta delle risorse presenti in Rete; nelle sue parole l’intelligenza collettiva «è distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale e porta a una mobilitazione effettiva delle competenze. […] il fondamento e il fine dell’intelligenza collettiva sono il riconoscimento e l’arricchimento reciproco delle persone»149. Partendo dal concetto di intelligenza collettiva, Derrick De Kerckhove ha formulato la sua teoria dell’intelligenza connettiva150 con la quale si evidenzia il ruolo del collegamento, della connessione e del rapporto che si instaura tra le diverse intelligenze; la potenzialità dell’intelligenza connettiva è quella di produrre non una semplice somma, ma una moltiplicazione delle intelligenze che entrano in contatto. Il cervello “intelligente”, più che dal numero di neuroni, sarebbe caratterizzato da una soddisfacente quantità di ramificazioni; la “mente accresciuta”, poi, sarebbe la mente come pensiamo di conoscerla dentro le nostre teste ma esteriorizzata, condivisa, moltiplicata, accelerata, accessibile in ogni singolo elemento e generalmente elaborata in un processo connettivo che avviene fuori dalle nostre teste151. A questa intelligenza collettiva potrebbe contrapporsi l’idiozia collettiva, almeno secondo Nicholas Carr che nel suo articolo del 2008, Is Google Making Us Stupid152, sembra attribuire proprio a Google la “colpa” di un nostro impoverimento cognitivo; in Psicotecnologie connettive De Kerckhove, però, risponde virtualmente, nel 2014, allo scrittore americano, asserendo che nella sua pratica didattica, rispetto al passato, incontra studenti molto più veloci e capaci di comprendere le cose e di sintetizzarle. Gli studenti “odierni” studierebbero soltanto in prossimità degli esami (e per dimenticare subito dopo 149 Lévy P., 1994, L’Intelligence collective - Pour une anthropologie du cyberespace, La Découverte, Paris, trad. it. di Colò M., Feroldi D., 2002, L’intelligenza collettiva - Per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano, p. 34. 150 De Kerckhove D. 1997, Connected Intelligence: the arrival of the web society, Somerville House Publishing, Toronto. 151 Cfr. De Kerckhove D., 2010. 152 Visionato su http://www.theatlantic.com/magazine/archive/2008/07/is-google-making-us-stupid/306868/ il 14 novembre 2014. Secondo Carr, Internet non modifica soltanto le nostre abitudini quotidiane, ma è anche responsabile di evoluzioni fisiche del nostro cervello. Le nostre menti sarebbero state modificate dalla crescente dipendenza dai motori di ricerca, dall’utilizzo dei social network e da tutte le tecnologie digitali. L’esposizione ai sistemi digitali ha un impatto sui processi cognitivi e sull’evoluzione della mente con effetti che vanno da una concentrazione discontinua, all’esigenza di attività parallele (multitasking), fino al modo di memorizzare informazioni. Per lo scrittore statunitense non abbiamo più bisogno di annotare o imparare perché sappiamo che esistono sistemi (Google ad esempio) che ci permettono di recuperare informazioni in real time: l’antica paura di Socrate si ripropone. 101 molte nozioni, la cui acquisizione sarebbe finalizzata proprio al confronto con l’insegnante e alla votazione) ma sarebbero molto abili nel recuperare velocemente gli elementi cognitivi necessari nel momento del bisogno; Google e Wikipedia stimolerebbero di contro a mettere in campo ciò che si impara. La generazione “sempre in linea” attinge e seleziona informazioni “ovunque e senza sosta”153, preleva, trascina, assembla, ricombina e condivide, interconnettendo le proprie conoscenze con quelle di ogni altro abitante sulla terra (ovviamente di chi ha le risorse culturali, economiche e sociali per farlo). Pur riconoscendo i possibili limiti e problemi di Wikipedia, il sociologo belga-canadese ne sottolinea anche l’immenso valore; errori possono trovarsi anche su qualsiasi enciclopedia stampata, ma Wikipedia avrebbe il vantaggio della aggiornabilità e del confronto tra più punti di vista (si potrebbe obiettare che conoscenza democratica non è necessariamente sinonimo di conoscenza più “giusta”, ma mettendo tutto sulla bilancia i vantaggi comunque sembrano sopravanzare i limiti). Come la televisione è stata “buona maestra” per programmi come Non è mai troppo tardi154, che nel secondo dopoguerra ha insegnato a leggere e a scrivere a moltissimi italiani adulti analfabeti e ha in qualche modo creato l’identità nazionale “di lingua”, ed è stata considerata “cattiva maestra” per tutto il resto (cosa che forse avviene in realtà in ogni campo della sfera propriamente umana, senza irreali manicheismi), anche le risorse presenti in Rete vanno prese con il beneficio del dubbio e con la consapevolezza della possibilità di errori, così come bisogna tener conto che la condivisione/collaborazione e la democraticizzazione del sapere hanno sia luci che ombre (del resto, anche la frequentazione di cattivi maestri, o la lettura di alcuni libri, possono esporre a suasioni pericolose, ad apprendimenti dolorosi, ad inconsapevoli strumentalizzazioni). Di certo appare valida la concezione di “intelligenza distribuita” propria di Rivoltella: nessuno sa tutto, ciascuno sa qualcosa, nell’umanità risiede la totalità del sapere, che non è qualcosa di trascendente, ma è esattamente “ciò che la gente sa”; non si tratta di eccessiva considerazione per comunità feticizzate o ipostatizzate, ma di tenere nel giusto conto il riconoscimento e l’arricchimento reciproco delle persone. I dispositivi di comunicazione e le tecnologie digitali dell’informazione offrono a ciascuno i mezzi per 153 Cfr. De Kerckhove D., ibidem. 154 Lo storico maestro del programma televisivo, Alberto Manzi, già allora sosteneva (come Freinet) che «per il ragazzo il libro deve […] essere qualcosa di piacevole, dove si può non solo leggere, ma colorare, trasformare. Fare, disfare, ampliare, ridere, inventare, riflettere. […] Il libro si trasforma così in qualcosa di personale, perciò vivo» in Mosa E., a cura di Faggioli M., 2011, Tecnologie per la didattica. 4 - Ebook: un libro in cerca di identità, Apogeo Spicchi, Milano. 102 condividere le proprie conoscenze, e con gli strumenti di Rete si possono coordinare in tempo reale queste conoscenze. Maragliano parla, a tal proposito, di «manifestazione di un’intelligenza ad un tempo collettiva e connettiva […] dove l’intelligenza globale (collettività) non è la risultante inerte della somma delle intelligenze autonome di ciascuno ma l’effetto dell’azione/interazione di ciascuna di queste intelligenze con le altre (connettività)155»; è chiaro comunque che l’apprendimento collaborativo non è un processo autopoietico e non può funzionare affidandosi esclusivamente al buon senso, all’istinto o alle proprie convinzioni. Il ruolo dell’insegnante, le sue conoscenze teoriche e la sua esperienza continuano ad essere fondamentali per la buona riuscita dei processi di insegnamento apprendimento, perché li può e deve moderare, indirizzare, gestire, a maggior ragione se ci si focalizza anche su un altro aspetto del concetto di cognizione distribuita: l’attività cognitiva umana non è caratterizzata solo da processi interni all’individuo, ma è distribuita tra la persona e l’ambiente esterno, inclusi gli artefatti di cui l’uomo si serve. I nuovi approcci hanno spostato i confini della cognizione al di là della “testa” dando l’immagine di una mente che “fugge dai suoi naturali confini”; la cognizione, quindi, non può essere studiata a livello del singolo, ma bisogna considerare il contesto in cui il singolo opera. Recentemente, il dibattito tra mediazione, tecnologia, comunicazione, formazione e didattica si è arricchito con la prospettiva enattiva, intesa come approccio alternativo al costruttivismo; l’enattivismo enfatizza il conoscere più che la conoscenza. Il termine “enazione” è la traduzione della parola inglese enaction, ed è un neologismo dal verbo enact che significa “rappresentare, emanare” creato dal neuroscienziato Francisco J. Varela per sottolineare lo stretto rapporto che esiste tra azione e agente nel processo cognitivo, pur nel rispetto dei vincoli posti dall’ambiente: la conoscenza, per questo approccio, è il processo continuo che modella il nostro mondo mediante il gioco reciproco tra i vincoli esterni e l’attività generata internamente. Se l’ambiente di apprendimento cambia, cambia anche il funzionamento della cognizione; le tecnologie digitali, in particolare, catalizzano nuove forme di interazione e offrono la possibilità di confrontarsi in altre forme e con altre comunità di pratica. Calvani già nel 1995 individuava cinque dimensioni in cui le tecnologie cognitive interagiscono con l’individuo: la funzione protesica (la tecnologia come punto d’appoggio, amplificatore cognitivo, “stampella della mente”), la funzione fenomenica (l’associazione delle funzioni della macchina con quelle umane genera una sintesi dotata di caratteristiche proprie e ulteriori alla somma delle due), 155 Vedi http://www.indire.it/content/index.php?action=read&id=1456 visionato il 14 novembre 2014. 103 la funzione ermeneutica (si determinano nuovi codici e ulteriori sistemi simbolici), la funzione costruttiva e fondativa (per cui si originano nuovi mondi, come ad esempio il cyberspazio), la funzione etica (per cui si definiscono e si impongono nuove regole, valori e modelli di vita)156; a distanza di vent’anni queste funzioni restano sicuramente valide, ma il proliferare e il successo pervasivo di social network, wiki, blog, forum, chat, mail, software e app per la comunicazione istantanea, la diffusione degli smartphone e specialmente di servizi Internet sempre attivi rende fondamentale soffermarsi, a mio avviso, sulle funzioni linguistico-comunicative e soprattutto relazionali delle tecnologie cognitive, che portano alla creazione di “comunità di pratica”. Rheingold (1994, p. 319) definisce queste ultime come «aggregazioni sociali che emergono dalla rete quando un certo numero di persone porta avanti delle discussioni pubbliche sufficientemente a lungo, con un certo livello di emozioni umane, tanto da formare dei reticoli di relazioni sociali nel cyberspazio». Le comunità virtuali, configurandosi come comunità di pratica, favorirebbero la nascita di relazioni inter-individuali, ponendo sullo stesso piano le relazioni sociali realizzate attraverso l’incontro fisico e i rapporti che nascono e si sviluppano negli ambienti virtuali. Le comunità reali e le comunità virtuali quindi non sarebbero contrapposte, bensì interdipendenti tra loro; tale interdipendenza crea per l’individuo un nuovo ambiente sociale caratterizzato dall’appartenenza a reti di relazioni che determinano le cosiddette comunità personali, in cui le interazioni e le relazioni tra i membri sono continuamente modificate. In questi termini, focalizzandosi tanto sulle reti di relazioni sociali quanto sulle strutture che attraverso i software supportano le comunità virtuali, queste ultime possono essere intese come un gruppo di persone che si ritrovano insieme on-line per raggiungere un obiettivo, e le cui azioni sono guidate da determinate norme e politiche (e in questo senso anche Wikipedia è gestita da una comunità di pratica). La dimensione comunitaria, caratterizzata dallo scambio, dal dialogo, dalla condivisione, come ricorda tra gli altri Maragliano, risulta imprescindibile negli ambienti di apprendimento, siano essi a distanza o in presenza. È importante sottolineare come oggi, negli ambienti che favoriscono la nascita di comunità virtuali, i più imparano proprio attraverso il concorso attivo del mutuo insegnamento, secondo i ritmi scanditi dai bisogni e dagli interessi individuali; ed è proprio l’idea di soggetto vivo e attivo – che apprendendo non si isola ma condivide con gli altri e prende dagli altri, che vuole produrre più che riprodurre conoscenza – che può essere recuperata 156 Cfr. Calvani A., Micromondi, ipertesti e formazione, in Calvani A., Varisco B.M. (a cura di), 1995, Costruire-decostruire significati, Cluep, Padova, pp.113-140. 104 grazie alle piattaforme digitali, rendendo anche lo studio o il ripasso a casa un momento di possibile aggregazione, confronto, interazione, e non soltanto un momento in cui chi apprende è solo di fronte al testo (anche se anche questa dimensione solitaria è comunque importante, ed è consigliabile lasciare spazi di “silenzio” in cui l’allievo deve potere rielaborare in maniera individuale e solipsistica le aree lasciate vuote, il non detto, ed esplicitare l’implicito). Integrare le attività in classe con quelle sulla piattaforma (a partire dalla fonte che si ha di certo in comune con tutti, il libro di testo), pur lasciando degli spazi di lavoro individuale, può facilitare un pluralismo cognitivo e formativo più fruttuoso, oggi più che mai, rispetto al monolitismo epistemologico. Che si assegni ai gruppi una Web Quest157, la realizzazione di una presentazione PowerPoint o di un altro prodotto multimediale, che si inviti a commentare qualcosa o a discutere su un argomento, che si proponga la lettura collettiva, connettiva, sociale e condivisa di un testo, che queste attività si svolgano in presenza o in Rete, è importante sapere che in tutti questi casi si creano comunità con caratteristiche diverse. Numerosi studi dimostrano come lavorare in comunità virtuali possa favorire l’intervento di tutti gli allievi, anche quelli più timidi, possa creare relazioni “improbabili” nella realtà, possa favorire l’attiva costruzione di conoscenze, cosa che non è sempre facile da ottenere nella classe fisica. Anche la semplice interazione comunicativa all’interno di un forum promuove le capacità argomentative, l’acquisizione di un patrimonio cognitivo di riferimento comune, ma pure, come ricorda Marino, la necessità di dimostrare le proprie affermazioni, di esprimerle con chiarezza (costringendo ciascuno anche a riorganizzare mentalmente le informazioni che possiede), di controbattere quelle degli altri o di rispondere in maniera adeguata alle critiche ricevute alle proprie; molte ricerche dimostrerebbero, inoltre, che i ragazzi fanno più attenzione nella produzione scritta o multimediale di materiali da condividere, perché la natura pubblica del loro impegno cambierebbe il loro atteggiamento nei confronti del compito e influenzerebbe i tempi di restituzione. Se in classe non è sempre possibile far parlare tutti, né far parlare tutti 157 Dodge e March, i primi che formalizzarono questa metodologia, la definiscono come un’attività orientata alla ricerca (inquiry oriented activity) nella quale alcune o tutte le informazioni con cui gli studenti interagiscono sono risorse presenti su Internet, con l’obiettivo che l’allievo si concentri più su come usare le informazioni piuttosto che su come cercarle. Ovviamente non si tratta di cercare su un motore di ricerca, fermarsi al primo risultato e copiarlo e incollarlo su un file da stampare senza neanche leggerlo, ma di una metodologia didattica con caratteristiche precise atte a supportare il pensiero degli allievi a livello di analisi, sintesi e valutazione. La Web Quest ha degli elementi più o meno fissi (introduzione, compito, procedura, risorse, valutazione, conclusioni, suggerimenti) che vanno curati, organizzati e seguiti per garantire il successo dell’attività. 105 contemporaneamente, gli strumenti di comunicazione asincrona consentono di dare la voce a tutti, anche attraverso attività di collaborative writing (tutti lavorano su uno stesso argomento e possono intervenire per la stesura di un documento) o di cooperative writing (gruppi diversi lavorano su specifici argomenti, e ogni gruppo relaziona agli altri quanto appreso). L’apprendimento sociale e partecipante, insieme ai meccanismi cognitivi e relazionali promossi dalle attività di gruppo, può quindi incrociarsi positivamente con i vantaggi offerti dalla didattica on-line, che anzi da un lato risponde proprio alle esigenze personali di ogni allievo, dall’altro consente di valorizzare al contempo le dimensioni del gruppo. Chiaramente le piattaforme di apprendimento non impediscono agli allievi di deconcentrarsi, di subire il fascino delle distrazioni video o audio o ludiche che si trovano a portata di clic, ma se il docente approfitta dell’ambiente per consentire loro proprio di aprirsi all’esterno, se in qualche modo riesce a “governare” questi clic, a suggerire link che siano collegamenti a più ampi e densi contesti interpretativi più che distruttori, se favorisce lo scambio e il confronto, può ottenere esiti che la “sola” lezione in classe o lo studio individuale a casa non possono eguagliare, facendo raggiungere agli studenti risultati di apprendimento migliori. Le interazioni non potranno mai essere esenti da “rumore” e distrazioni (ma quale lezione in aula lo è?) ma possono aumentare la partecipazione e l’interesse dei discenti; questa opinione è condivisa anche dai sostenitori del connessionismo, teoria dell’apprendimento basata sul paradigma delle reti formulata per la prima volta da George Siemens, che si sofferma proprio sul modo in cui le tecnologie informatiche modificano la maniera di apprendere, ponendosi in linea di continuità per certi versi, da altri di frattura (spesso a mio avviso più dichiarata che reale), con le precedenti teorie dell’apprendimento. Comportamentismo, cognitivismo e costruttivismo presenterebbero per Siemens dei limiti al tentativo di spiegare come avviene l’apprendimento in un’era dominata dall’uso delle tecnologie, proprio perché considerano l’apprendimento un processo che ha luogo all’interno del soggetto il quale ne è l’unico protagonista, non tenendo conto della conoscenza esterna all’individuo, quella memorizzata e manipolata attraverso le tecnologie158; la nostra mente non è una scatola nera (comportamentismo), non è un 158 «Connectivism is the integration of principles explored by chaos, network, and complexity and self- organization theories. Learning is a process that occurs within nebulous environments of shifting core elements – not entirely under the control of the individual. Learning (defined as actionable knowledge) can reside outside of ourselves (within an organization or a database), is focused on connecting specialized information sets, and the connections that enable us to learn more are more important than our current state of 106 computer (cognitivismo), ed anche il costruttivismo rappresenta un riferimento inadeguato (la mente non costruisce la realtà). Per Siemens il tratto fondante del conoscere e dell’imparare, oggi, sta proprio nelle connessioni: «CONNECTIVISM is the assertion that learning is primarily a network forming process159». I principi che governano la conoscenza, ormai, sarebbero il caos, la complessità, il flusso di informazioni, e non si tratta più, come per il costruttivismo, di costruire significati, che esistono già, ma questi vanno scoperti e connessi: l’apprendimento consiste proprio nel processo di connessione di ambiti di informazione specializzata. La metafora connessionista che spiega l’apprendimento è quella di una rete con nodi e connessioni che ci permettono di imparare di più rispetto al nostro attuale stato di conoscenza, e il compito di chi apprende sarebbe quello di trovare nuovi nodi o di creare nuove connessioni tra i nodi già posseduti; in questa metafora, un nodo è qualsiasi cosa possa essere connessa ad un’altra (un’informazione, un’immagine, un dato, un sentimento), ma non tutte le connessioni sono dotate di uguale forza nella Rete. Il connessionismo, inoltre, mantenendo la convinzione (propria delle precedenti teorie, soprattutto del costruttivismo sociale) che fare esperienza sia il miglior modo per apprendere, parte dall’idea che non si può fare esperienza di tutto ciò che è utile conoscere per agire, e che quindi occorre “usufruire” delle esperienze fatte dagli altri, esperienze che diventano un “surrogato” della conoscenza; mentre le precedenti teorie dell’apprendimento si interessavano a conoscere il modo in cui si apprende, il connessionismo guarda al valore, o meglio alla validità, di ciò che viene appreso. La critica principale di Siemens alle teorie dell’apprendimento è rivolta poi alle conoscenze gerarchiche e lineari, a favore di reti capaci di rapidi adattamenti; queste ultime, a differenza delle prime, sono basate su legami deboli, sono ricche e continuamente evolventi, reagiscono ai cambiamenti interni e esterni, vengono coltivate e nutrite. Se nell’era digitale vengono continuamente acquisite nuove informazioni, la capacità di selezionarle in base alla loro validità diventa una delle abilità principali dello studente, così come quella di riconoscere quando una nuova informazione modifica l’orizzonte formato dalle decisioni prese precedentemente; dal momento che una risposta valida oggi potrebbe knowing» tratto dall’articolo del 2005 Connectivism: A Learning Theory for the Digital Age disponibile all’indirizzo http://www.itdl.org/Journal/Jan_05/article01.htm visionato il 15 novembre 2014. 159 Siemens. G., 2006, Knowing Knowledge, p. 15; una copia gratuita del volume, in formato PDF, è disponibile all’indirizzo http://www.elearnspace.org/KnowingKnowledge_LowRes.pdf (attivo al 15 novembre 2014). 107 rivelarsi non più valida domani, saper riconoscere i cambiamenti di modello e sapersi autoregolare di conseguenza è uno dei compiti fondamentali. Tra i principi chiave del connessionismo c’è anche quello che l’apprendimento e la conoscenza si fondano sulla differenza di opinione e possono risiedere in apparecchiature non umane: We experience knowledge in time and space allowing us to see from only one point at a time (we cannot hold opposing perspectives, even though we are aware of others). A network reflects on itself. I am a node on my own network. I can only see and think from where I exist. If I move, I lose the initial perspective. We cannot maintain two points in our network simultaneously. Understanding that a different view exists is very different from seeing the different view. Learning is the equivalent of opening a door to a new way of perceiving and knowing. An open door leads to corridors of new thought and ways of knowing (or forgetting)160. Lo stile dei testi di Siemens è sicuramente, anche a livello estetico, piacevole e stimolante, ma concordo con diversi autori, tra cui Calvani, nel non trovare nella sua teoria un paradigma cognitivo del tutto nuovo; inoltre, non è sufficiente mettere degli allievi in Rete per produrre conoscenza, ma ogni azione, specialmente un ambito didattico, deve essere progettata e gestita sapientemente dal docente. Il lavoro di gruppo, che può anche essere un allenamento utile a quanto gli allievi, da adulti, saranno chiamati a fare nel mondo professionale, deve quindi essere inserito in una progettualità didattica più globale e di più ampio respiro. La piattaforma Scuolabook Network consente comunque di portare avanti, nel proprio percorso didattico, metodologie di blended e-learning (cioè forme miste in cui vengono miscelati momenti in presenza con momenti a distanza, usando i diversi media disponibili in maniera integrata) e anche gemellaggi virtuali con altre classi dislocate in altre parti d’Italia e, potenzialmente, del mondo. Compiti per casa: la produzione mediale Come nota, tra gli altri, Rivoltella «Uno degli effetti più facilmente osservabili della “scuola digitale” è il ritorno del “fare” al centro dell’agire didattico […] accompagnato da una fortissima pulsione alla pubblicazione di quanto si è fatto161»; il carattere “fortemente e 160 Ibidem, p. 22. 161 Rivoltella P.C., 2013, p. 77. 108 facilmente autoriale” dei nuovi media facilita certamente la produzione di artefatti (video, podcast, montaggi fotografici, e-book, presentazioni, ipertesti, ricerche in formato multimediale…). È necessario e fondamentale, però, che questa produzione non sia una pratica spontaneistica e “incontrollata”, ma sia inserita, anch’essa, in una progettualità didattica consapevole e critica. Già Vygotskij riteneva che l’apprendimento risulta tanto più significativo ed efficace, quanto più si identifica con una costruzione agìta da chi apprende, costruzione che poi diventa un proprio artefatto culturale; parallelamente, come detto, l’attivismo di Dewey e Freinet vede nell’impegno in attività concrete, centrate sull’allievo (con consegne anche scelte dagli allievi e negoziate con l’insegnante) la vera forza dell’apprendimento attraverso l’esperienza e il fare. In tempi recenti, l’importanza del fare viene recuperata e sottolineata anche nella didattica EAS che, come brevemente anticipato, nasce all’interno delle attività di microlearning (cioè quei processi di apprendimento informale collegati a fenomeni tipici dell’attuale cultura mediale) che hanno ricevuto un grande impulso dalla digitalizzazione. Nei contesti di educazione formale, il microlearning è caratterizzato dalla presenza di piccole unità di conoscenza, i microcontents, che vanno gestite in brevi attività da svolgere in porzioni di tempo prestabilite. La struttura di un EAS (che può quindi considerarsi come l’unità minima in cui consta l’agire didattico in contesto) prevede tre momenti, un momento anticipatorio (in cui viene fornita alla classe una situazione-stimolo e una consegna), un momento operatorio (che consiste in attività di produzione in cui la classe deve risolvere il problema proposto o lavorare sulla situazione stimolo producendo un contenuto), un momento ristrutturativo (che consiste in un debriefing su ciò che è stato realizzato). La prima fase, in particolare, è caratterizzata da un “ritmo ternario”, che può essere sintetizzato con tre verbi che possono variare in base al tipo di attività progettata: “Trova, elabora, condividi”, “Smonta, rimonta, pubblica”, “Comprendi, agisci, rifletti”162. Tale tipo di impostazione ottimizzerebbe i tre scenari di base individuati dalla neurodidattica, a partire dall’importanza dell’esperienza per l’apprendimento (in cui, come visto, ha un ruolo fondamentale la sfera emotiva): l’imitazione, il modelling e l’apprendistato cognitivo. Questi modelli sottolineano come l’apprendimento del novizio avvenga attraverso la sua partecipazione ad una comunità di pratica gestita da un esperto, che offre l’adeguato supporto (scaffolfing); oltre che del sostegno dell’esperto, ciascuno può avvalersi dell’aiuto e dell’esempio fornito dai pari più capaci in un determinato dominio di sapere o tipo di attività. La metodologia EAS, inoltre, 162 Ibidem, p. 53. 109 prevede il ricorsivo ritorno su uno stesso concetto, che funge da importante consolidamento sinaptico; il cervello umano, come si è visto, ottimizza incessantemente il numero delle sinapsi eliminando quelle inattive, secondo un principio di economia metodologica, e il ruolo della ripetizione si rende dunque fondamentale affinché un determinato apprendimento risulti significativo. Questi aspetti possono efficacemente essere potenziati nella piattaforma Scuolabook Network, anche senza aderire necessariamente alla didattica EAS; il docente, infatti, può condividere un video o un altro contributo presente nel libro interattivo “esteso” (o preso da Internet) come situazione-stimolo iniziale su cui gli studenti sono chiamati ad operare (da soli o in gruppo). Al termine del momento produttivo è possibile ritornare, attraverso l’analisi dei prodotti, ai concetti espressi inizialmente, sia sulla piattaforma (aprendo dibattiti e discussioni moderate dal docente), che in classe, favorendo la metacognizione e la capacità di valutazione. Pur senza cadere nell’ingenua convinzione che gli studenti, abituati ad utilizzare i media nella loro vita quotidiana, siano in grado di “leggerli e scriverli” in maniera critica e consapevole, è sicuramente vero che chiedere di produrre un artefatto mediale (magari lasciando gli studenti liberi sul tipo di media) stimola i teenager (o screenager, i cosiddetti nativi digitali, rappresentanti della Screen Generation) più dei compiti “tradizionali”. I media digitali e le applicazioni del Web 2.0 sono utilizzati diffusamente dagli studenti (ma spesso, lo ripeto, anche dai docenti) nel proprio tempo libero, proprio perché, oltre ad essere user-friendly (facili da utilizzare, con interfacce “amichevoli” e “parlanti”) abilitano chi li usa alla autorialità e alla co-autorialità, e permettono di partecipare alla costruzione del sapere. La piattaforma, da questo punto di vista, facilita l’assegnazione di compiti per casa “non tradizionali”, poiché ciascun allievo può anche essere chiamato a preparare e condividere sulla piattaforma un testo, un ipertesto, un’immagine, una mappa concettuale, un video, un file audio: ciò che conta è l’interpretazione e l’elaborazione dei contenuti elaborati in maniera coerente con l’obiettivo conoscitivo o con la competenza attesa. Molte ricerche dimostrano che generalmente lo studente è portato a riprodurre modelli e format che appartengono alla sua cultura di consumo (e ciò sarebbe facilitato dai vari wizard, ossia dalle procedure guidate dei programmi di authoring che consentono di produrre facilmente un contenuto a partire da modelli preimpostati – siamo, del resto, nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte); per quanto i risultati potranno risultare omologati (del resto perché considerare sfavorevolmente la capacità di comunicare secondo le “forme” standard della propria epoca?), sarà compito fondamentale dell’insegnante quello di stimolare la creatività, l’immaginazione, la riflessione critica e consapevole, l’attenzione per la “sostanza”, per il contenuto, esortando al “montaggio/smontaggio” di oggetti culturali e 110 invitando anche a considerare il proprio ruolo di prosumer (termine macedonia formato dalla composizione della parola producer con la parola consumer163) nella società (in questo caso, distinguere tra reale e virtuale non è rilevante). Come si è visto, anche le indicazioni ministeriali inducono a proporre attività di produzione mediale, soprattutto di digital storytelling; quest’espressione, la cui paternità è attribuita a Joe Lambert e Dana Atchley, indica una metodologia che prevede l’uso combinato della narrazione e delle tecnologie digitali. Molti autori riconoscono l’importanza della narrazione: per Bruner, ad esempio, la narrazione è fondamentale sia a livello individuale, che culturale, e l’essere umano avrebbe infatti un’attitudine ad organizzare l’esperienza in forma narrativa, che risponderebbe al bisogno di ricostruire la realtà dandogli un significato specifico a livello individuale o culturale. Sempre secondo Bruner, a livello individuale il singolo sente il bisogno di definirsi come soggettività dotata di scopi e intenzionalità e ricostruisce gli avvenimenti della propria vita in modo tale che siano in linea con questa idea di Sé, favorendo la costruzione dell’identità; a livello culturale, attraverso i racconti è possibile negoziare significati comuni e veicolarli sin dalla più tenera età e in modo piacevole, e ciò aumenterebbe la coesione del gruppo e la reiterazione del sistema di valori e credenze164. Nella società “postmoderna”, caratterizzata per Lyotard dal venir meno delle grandi narrazioni metafisiche (illuminismo, idealismo, marxismo), il pensiero narrativo e metanarrativo, dunque, non cessano la loro importanza, e trovano il loro campo naturale di applicazione nel mondo sociale. Secondo Barthes la narrazione comincia con la storia stessa dell’umanità e sarebbe presente nel mito, nella leggenda, nella fiaba, nel racconto, nella novella, nell’epica, nella storia, nella tragedia, nel dramma, nella commedia, nel mimo, nella pittura, nei mosaici, nel cinema, nei fumetti, nelle notizie, nella conversazione, in tutti i luoghi e in tutte le società; la narrazione è internazionale, trans-storica, trans-culturale, «il 163 Il termine venne coniato dal “futurologo” Alvin Toffler nel 1980, e compare nel libro The Third Wave, dove il saggista statunitense predisse che il ruolo di produttore e consumatore avrebbe cominciato a fondersi e confondersi; già nel 1972 McLuhan e Nevitt suggerivano in Take today; the executive as dropout, edito da Longman, Ontario, che con la tecnologia elettrica ogni consumatore sarebbe diventato un produttore (p. 4). Toffler, che ha impegnato molti anni nello studio dei mezzi di comunicazione e dei loro effetti sulla società di massa, nel 1970 prefigurava inoltre che gli analfabeti del XXI secolo non sarebbero stati quelli che non sanno leggere e scrivere, ma quelli che non sarebbero stati in grado di imparare, imparare ancora e reimparare. 164 Cfr. Vandenbroeck, M., 1999, De Blik van de Yeti, SWP, Amsterdam, trad. it. di Caratelli, F., 2011, Educare alla diversità sociale, culturale, etnica, familiare, Junior edizioni, Bergamo. 111 racconto è là, come la vita»165. Appare quindi evidente, alla luce di queste suggestioni, come la narrazione possa essere proficuamente sfruttata nell’ambito dei processi formativi, che sono, sempre e comunque, anche processi narrativi e relazionali. Il docente può assegnare compiti in cui l’allievo si racconta agli altri attraverso la soluzione multimediale che ciascuno preferisce; può anche chiamare gli allievi a relazionare su un determinato argomento per mezzo di un prodotto, che avrà delle caratteristiche diverse in base al tipo di media scelto, come descritto nel capitolo precedente. Imparare che uno stesso contenuto può essere espresso in diverse maniere e con mezzi differenti allena le competenze comunicative degli studenti, che possono essere potenziate e valutate attraverso lavori di gruppo o individuali; voglio analizzare adesso alcune caratteristiche di uno dei prodotti multimediali più “di successo” nelle scuole italiane, l’ipertesto (anche se in effetti sarebbe più corretto dire l’ipermedia, dal momento che si connettono tra loro informazioni eterogenee, immagini, audio, video, testi…)166. La struttura comunicativa non lineare di un ipertesto ben congegnato si presta ad organizzare le conoscenze in maniera più simile al modo con cui queste vengono elaborate dalla mente umana, che nell’attività conoscitiva naturale è solita associare e collegare (o disgiungere) i concetti, anche se espressi da diversi codici linguistici (l’uso combinato di più media, evocando un apprendimento coinvolgente e multisensoriale simile a quello naturale, faciliterebbe quindi la comprensione e la ritenzione dei contenuti). Gli ipertesti digitali (soprattutto la loro produzione ancor più che la loro fruizione) facilitano la connessione tra concetti, anche trasversali, consentendo il superamento delle barriere disciplinari e la possibilità di immaginare associazioni nuove tra ambiti e settori, consentendo agli allievi di sviluppare capacità trasversali di comprensione ed elaborazione delle informazioni. Attraverso la realizzazione di un ipertesto, i discenti possono imparare a cercare e selezionare informazioni, e a riassumerle in parole chiave significative, perché ogni 165 Barthes R., trad. it. in Introduzione all’analisi strutturale del racconto, in AA. VV., 1969, L’analisi del racconto, Bompiani, Milano, p. 7. 166 Mi preme qui ricordare, seppur velocemente, che il libro stesso, per le competenze che la sua fruizione esperta richiede, può essere considerato un ipertesto, che necessita al lettore la capacità di navigare e mettere insieme i vari nodi di contenuto. L’ipertesto, lungi dall’essere “un’invenzione” legata alla diffusione dei computer, sembra quasi «la materializzazione di profezie letterarie (si vedano i frammenti di Barthes) e forse non è altro che la logica conseguenza di una mentalità nuova che si sta affermando nei diversi campi della conoscenza» (Cambi F., Toschi L., 2006, p. 185); ovviamente produrre e navigare ipermedia richiede delle competenze specifiche. 112 schermata deve contenere poco testo per favorire la comprensione; imparano inoltre ad associare al testo eventuali immagini, schemi, filmati, suoni. Fare svolgere parte di un ipertesto in gruppo, dove possibile, “allena” le competenze comunicative e collaborative, favorisce il conflitto sociocognitivo tra allievi, il confronto e la co-costruzione della conoscenza, e può consentire a ciascuno di esprimere la propria eccellenza personale occupandosi, all’interno del gruppo, di ciò che “sa fare meglio”, alimentando il senso di responsabilità di ciascuno e accrescendo la sensazione di partecipare attivamente ad un lavoro “più grande”. Gli studenti, oltre a condividere il proprio lavoro sulla piattaforma, possono poi essere chiamati a mostrare i prodotti realizzati alla classe, in presenza; la fase performativa può costituire una ulteriore spinta motivazionale all’impegno del singolo e del gruppo. Presentando il proprio lavoro alla LIM, ciascun allievo viene messo al centro dell’azione educativa, e può rendere immediatamente visibile il proprio modo di operare o di pensare (visivo o verbale, globale o analitico…); si valorizza inoltre, come visto per le mappe concettuali, l’intelligenza cinestetica che, attraverso il controllo sullo spazio e sui movimenti, aumenta il senso di autoefficacia degli allievi. Attraverso il confronto verbale potranno emergere conoscenze tacite variamente collegate o collegabili al compito, e si possono sviluppare e potenziare aspetti di socializzazione fondamentali per la formazione dell’individuo, oltre che la capacità di osservazione ed analisi: la capacità di ascoltare gli altri senza sopraffarli, di argomentare ed esprimersi correttamente, di accettare idee diverse dalle proprie senza esserne sopraffatti, così come quella di discutere dei termini fondamentali di un problema, stabilirne i limiti, coglierne gli elementi essenziali per la sua descrizione. La produzione mediale richiede agli studenti di mettere in campo competenze complesse, non solo e non tanto da un punto di vista pratico, quanto da un punto di vista cognitivo e relazionale; sorge a questo punto spontaneo domandarsi come vada valutato un artefatto mediale, e, oltre a ciò, come si possa valutare in generale un allievo in base alle sue interazioni in un ambiente di formazione a distanza. Valutare gli studenti La scuola, come istituzione educativa, nel contesto di pluralismo formativo tipico del nuovo millennio si differenzia dalle altre istituzioni perché lavora su saperi disciplinari comuni per tutti, utilizzabili poi per organizzare i saperi non formali e informali e, attraverso di essi, far acquisire a tutti delle competenze minime necessarie per costruire il proprio progetto di vita; deve quindi promuovere lo sviluppo personale e sociale di chi apprende, che deve inoltre essere messo nelle condizioni di acquisire autonoma capacità di affrontare il mutevole 113 scenario socio-culturale, imparando ad utilizzare gli strumenti logici, concettuali ed operativi offerti dall’esperienza scolastica ma anche extra-scolastica, e deve essere guidato e sostenuto nella via del raggiungimento del proprio personale successo formativo167. In quanto istituzione formale, inoltre, la scuola rilascia un titolo di studio con valore anche giuridico, e questo titolo è altresì accompagnato da una votazione quantitativa che rispecchia (o dovrebbe rispecchiare) in che misura ciascun allievo ha raggiunto gli obiettivi di apprendimento definiti e dichiarati in anticipo nel patto formativo. Di là dalla valutazione sommativa e certificativa di “fine percorso”, ciascun allievo è sottoposto durante la sua carriera all’osservazione continua da parte di ogni docente che, supportato da opportuni strumenti di rilevazione (schede per valutare l’espressione orale e scritta o le capacità relazionali e di problem solving, prove oggettive di profitto), può capire il grado di preparazione del singolo discente. Ho già accennato (ma voglio nuovamente evidenziare e approfondire) dell’importanza di feedback continui e di una valutazione formativa che orienti il percorso del singolo allievo e di come i test a risposta chiusa (se opportunamente preparati168), così come quelli a risposta aperta possono dare delle indicazioni precise sul raggiungimento o meno di alcune abilità. In particolare, i test a risposta chiusa sono spesso utilizzati per rilevare l’abilità mnemonica di tipo riconoscitivo169; se la conoscenza non è dichiarata in modo esplicito nei materiali didattici proposti, allora l’abilità rilevata sarà la comprensione170, ma anche l’analisi171 nel caso in 167 Cfr. Pedone F., 2007. 168 A titolo di esempio, in un test a scelta singola con quattro risposte è bene fare in modo, in genere, che la risposta corretta sia inequivocabilmente riconoscibile, un’altra risposta sia accettabile e le altre due risposte siano accettabili in grado inferiore per la presenza di distrattori. Una buona strategia per formulare i distrattori è quella di basarsi sulle misconcenzioni più frequenti degli allievi, che possono venire fuori dal brainstorming iniziale attuato per far affiorare le conoscenze pregresse. I punteggi, poi, devono essere attribuiti in maniera ben pesata; il mondo della docimologia è vasto e affascinantemente complesso. 169 Il ricordare fa riferimento alle conoscenze del soggetto e alle sue abilità di memorizzazione; possedere delle conoscenze su un dominio richiede di saper definire la terminologia specifica, e di conoscere i concetti, le regole, le procedure e i metodi, le teorie, gli schemi di classificazione. 170 Il comprendere si riferisce alla capacità di interpretare le informazioni date per generarne di nuove, non fornite nei materiali didattici, di individuare i punti centrali e secondari in un discorso, di assegnare significato alle informazioni, fornendone adeguate spiegazioni. 171 L’analizzare fa riferimento alla capacità dello studente di identificare e separare elementi di conoscenza, evidenziare relazioni, determinare i principi organizzativi generali per ordinare elementi e relazioni. 114 cui, oltre a identificare una risposta corretta, lo studente è chiamato a motivare la propria risposta, o ancora l’applicazione di una sequenza di operazioni per risolvere un problema172. I test che richiedono una corretta messa in sequenza di determinate alternative proposte, o una loro categorizzazione sulla base di preferenze, possono essere utilizzati per determinare la capacità valutativa173 dello studente; i test a risposta aperta possono consentire invece, oltre che la rilevazione delle abilità fin qui descritte, anche la valutazione di abilità, capacità o competenze complesse come creare174, comunicare175 e cooperare176. Nelle prove cosiddette oggettive è abbastanza semplice rilevare le abilità richieste anche se, come ci ricorda tra gli altri Maragliano, soprattutto nel caso in cui domande e risposte siano esclusivamente verbali, bisogna tenere conto che in ogni caso è richiesta a monte una competenza testuale che consenta di decodificare la richiesta; il valore di predittività o di proazione o di retroazione che può essere assegnato ai risultati ottenuti in quesiti di questo genere, è quindi sempre legato alle capacità di scrittura e lettura. Questo tipo di valutazione, inoltre, non fornisce indicazioni sulle ragioni specifiche del successo o dell’insuccesso; ciò non toglie che test e questionari, erogati tramite la piattaforma, possano essere utili anche solo per recuperare una funzione fàtica, facendo mantenere alta la concentrazione e viva la comunicazione tra il docente ed ogni allievo. La piattaforma, inoltre, consente un «positivo coordinamento tra la gestione delle prove di valutazione, il trattamento dei dati ricavati e la formulazione/comunicazione degli esiti, senza che per queste funzioni si debba uscire dall’ambiente didattico e senza che si rischi di perdere contatto con la documentazione delle attività svolte dagli studenti interessati negli spazi previsti per l’intercomunicazione e per l’esercitazione177». I calcoli automatici e le aggregazioni e visualizzazioni di dati che è 172 L’applicare riguarda la capacità di risolvere una situazione-problema concreta attraverso una sequenza di operazioni concettuali o di algoritmi matematici; lo studente non inventa la procedura più efficace, ma la sceglie adeguandone l’uso ad una situazione nuova. 173 Il valutare fa riferimento alla capacità dello studente di esprimere giudizi su prodotti propri o altrui. 174 Il creare si riferisce alla capacità di combinare più informazioni, anche apparentemente slegate, allo scopo di creare un prodotto non esistente, o di formulare ipotesi su relazioni astratte. 175 Il comunicare riguarda la capacità dell’allievo di esprimersi adeguatamente in diversi contesti e con diversi interlocutori, utilizzando codici e registri adeguati in relazione ai destinatari e agli scopi della comunicazione. 176 Il cooperare, come si è visto, riguarda l’abilità di interagire con gli altri, in modo che i saperi posseduti si esplichino in un contesto sociale, e la capacità di lavorare in gruppo, di integrarsi sinergicamente in esso, di sviluppare interdipendenza positiva; in questo caso cambia il focus dell’atto valutativo: dal soggetto al soggetto in un dato gruppo. 177 Cfr. Maragliano R., 2013. 115 possibile ottenere facilmente possono quindi risultare estremamente utili al docente, specie se quest’ultimo integra questo tipo di consegne valutative con compiti più articolati e che richiedono la mobilitazione di competenze complesse. Se ricavare una votazione finale può essere una operazione piuttosto automatica nel caso di prove oggettive (e anche abbastanza valida e affidabile se le prove sono state prestabilite con criterio), il discorso si complica quando vengono assegnati elaborati complessi, la cui valutazione è più soggettiva; in questo caso l’attività di produzione da parte degli allievi termina con la condivisione (tramite piattaforma, e-mail o presentazione in classe alla LIM) dell’artefatto prodotto. La valutazione di elaborati complessi può essere effettuata servendosi di griglie di criteri articolate, dette rubric, costituite da un insieme di norme e prescrizioni atti a consentire di formulare giudizi valutativi su performance complesse, diventando una sorta di specifica dettagliata dei requisiti che l’elaborato deve avere per sottostare a determinati standard qualitativi. Nel redigere la rubric il docente identifica gli elementi chiave che rendono buona la performance, sia in termini di prodotto che di processo; in una rubric analitica ogni prestazione viene suddivisa in sottoinsiemi di criteri ben distinti, ciascuno accompagnato da una scala descrittiva che indica i parametri di assegnazione dei punteggi; in una rubric olistica vengono invece definite le caratteristiche generali che deve avere la prestazione. Nell’uno e nell’altro caso si descrivono i requisiti che avrebbe l’elaborato prodotto da un esperto, si assegna punteggio pieno ad una prestazione simile a quella dell’esperto, e si stabiliscono, gradatamente verso il basso, i punteggi da attribuire a prestazioni meno accettabili; i criteri di valutazione devono essere il meno ambigui possibile. Il fatto di rendere pubblica la rubric e di condividerla con gli allievi è utile al docente che definisce chiaramente ed esplicita i requisiti che si attende da una performance di qualità, ed è vantaggioso per gli allievi che potranno conoscere, prima di iniziare lo svolgimento del compito, le attese del docente in relazione alla loro performance. La rubric diventa, dunque, uno strumento di comunicazione di expertise, uno strumento attraverso cui sintetizzare le esperienze e le conoscenze di uno o più specialisti così da guidare gli allievi nella costruzione di percorsi di apprendimento efficaci ed efficienti. Se i criteri valutativi sono chiari, espliciti, definiti a priori e condivisi, in caso di eterovalutazione lo studente ha chiaro sin da principio il patto formativo e difficilmente potrà imputare i propri insuccessi o i maggiori successi degli altri a “simpatie” o “antipatie” da parte del docente, e potrà aumentare il senso di autoefficacia e di responsabilità nei confronti del proprio percorso formativo. La rubric può anche essere utilizzata nella valutazione tra pari, in cui ogni studente fa valutare, attraverso l’analisi dei propri prodotti, 116 il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento ad uno o più pari, e valuta a propria volta i risultati ottenuti dagli altri esaminandone gli elaborati. La rubric, infine, può anche essere un utile strumento di automonitoraggio e autovalutazione, in quanto fornisce allo studente un feedback articolato sulla propria prestazione per capire se ha sbagliato, quanto/dove/come ha sbagliato, e cosa avrebbe dovuto fare per compiere una prestazione corretta; ogni studente può così maturare la propria metacognizione, riflettendo sulle proprie strategie cognitive e operative, valutandone l’efficacia e cambiandole in modo opportuno qualora si rivelino poco efficaci o efficienti ai propri scopi. Gli artefatti prodotti, valutati ed eventualmente rivisti sulla base delle indicazioni venute fuori dalla valutazione, possono anche essere condivisi all’esterno, per registrare e comunicare le proprie pratiche ad altre scuole, confrontarsi, trarre spunti, organizzare gemellaggi tra classi o lavori di gruppo tra scuole presenti in territori diversi, rendendo pensabile, al limite, il portare avanti progetti a distanza che possono anche prevedere, quando fattibile, un momento performativo di incontro in presenza. Rubric a parte, altre competenze specifiche possono essere rilevate e appuntate agevolmente dal docente attraverso l’analisi delle interazioni nella piattaforma; il docente può tenere un registro o un diario di bordo dove annotare, in schede di rilevazione predisposte in precedenza, abilità, conoscenze o competenze mostrate dagli studenti. Quelle presentate sono solo alcune delle attività che è possibile portare avanti grazie ad un uso sinergico e integrato del libro di testo (in formato cartaceo o digitale), della versione eBook+ (con le varie espansioni multimediali e le possibilità peculiari di fruizione e di social reading descritte) e della piattaforma on-line, ma è chiaro che ogni docente può sperimentarne di altre, sulla base del proprio stile di insegnamento, delle caratteristiche della propria classe e del contesto di appartenenza, anche se la piattaforma di Scuolabook non è certo la migliore delle possibili, risentendo a volte di un approccio un po’ troppo tecnico più che pedagogico, e risultando un po’ farraginosa per alcune procedure. Di certo, con la giusta attrezzatura teorica e metodologica (e chiaramente anche in funzione delle proprie conoscenze e attitudini tecniche), quella che si pone alla scuola di oggi è una sfida senza precedenti, che può trasformarsi in una splendida opportunità. 117 CONCLUSIONI I limiti del mio linguaggio costituiscono i limiti del mio mondo178 Il futuro del libro di testo Il sistema presentato, grazie allo stretto legame con il libro di testo, alla possibilità di utilizzo autonomo a casa, alla relativa facilità e immediatezza d’uso, alla disponibilità di materiali e funzionalità operative, alle caratteristiche offerte dalla piattaforma, può rivelarsi uno strumento estremamente efficace per lo sviluppo dell’autonomia e delle abilità di studio individuali degli studenti, oltre che per aumentare la loro attitudine alla condivisione e al lavoro di gruppo. La possibilità di visualizzare i contenuti sul cartaceo, sul computer, sul tablet o sugli smartphone, anche attraverso Internet, aumenta i vantaggi della transmedialità o cross-medialità (ossia la caratteristica di un prodotto di veicolare i propri contenuti tramite diversi media, peculiarità strettamente collegata alla concezione dei vari media come di una “famiglia” allargata), facendo muovere l’allievo in ambienti a lui familiari e graditi. Il rischio è ovviamente quello di tagliare fuori da queste innovazioni gli studenti che non posseggono un computer o gli altri dispositivi menzionati o una connessione ad Internet attiva; è per questo che i contenuti fondamentali di ogni disciplina vanno mantenuti sulla versione “di base” cartacea, a meno di non trovare altre soluzioni, a livello ministeriale, per colmare il gap tra i “sempre connessi” e chi non ha gli strumenti economici (o a volte quelli socio-culturali) che possano garantire uguali possibilità di accesso per tutti. Altro rischio legato al tentativo, ormai diffuso nella società dell’informazione, di creare una rete di rimandi tra canali diversi per tessere una tela di associazioni, rinvii e richiami che contribuiscono ai processi di significazione del reale, consistono, come si è visto, nel sovraccarico informativo o information overload; anche per questo il ruolo dell’insegnante è fondamentale nel mettere gli allievi nella condizione di comprendere i materiali a disposizione o nel guidarli nella fruizione del libro interattivo o degli strumenti della piattaforma. In classe, in presenza, il docente dovrebbe infatti tracciare la strada corretta da seguire nell’utilizzo dei materiali, strada che poi può essere personalizzata dal singolo allievo in base alle proprie caratteristiche individuali. 178 Wittgenstein L., 1921, trad. it. a cura di Conte A.G., 2009, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914 - 1916, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino. 118 L’insegnante dovrebbe fornire le linee guida per muoversi attraverso l’abbondanza di dati a disposizione, soprattutto tenendo conto del fatto che al giorno d’oggi le informazioni non sono più espresse esclusivamente in forma verbale ma fanno ricorso a una serie variata di codici espressivi; il rischio connesso alla multicodalità è quello di produrre rumore multimediale piuttosto che rinforzare e ribadire attraverso più linguaggi i concetti espressi, e questo rischio può essere contrastato soltanto dal docente. Il multimediale, lungi dal sostituirsi al ruolo dell’insegnante, ne rafforza piuttosto le funzioni, rivestendolo di quelle caratteristiche di modello e guida che facilitano l’allievo a districarsi nel marasma di informazioni e di messaggi e lo aiutano ad “apprendere ad apprendere”. Se oggi le persone sono chiamate ad adattarsi in modo rapido e consapevole all’ambiente in cui vivono e devono essere in grado di gestire e modulare la propria conoscenza rispetto ad opportunità e crescita professionali, appare chiaro che l’apprendimento autodeterminato è tra le competenze fondamentali del XXI secolo, così come sottolineato dall’approccio eutagogico. L’eutagogia applica un orientamento olistico allo sviluppo delle capacità dello studente, guardando all’apprendimento come processo attivo e proattivo in cui non solo ciascuno è protagonista, ma determina il proprio modo di imparare in relazione alle esperienze pregresse; il docente deve quindi essere un mediatore culturale e un facilitatore dei processi di insegnamento/apprendimento, fornendo una guida istruttiva che va scemando man mano che i discenti crescono e acquisiscono autonomia e il dominio su un determinato sapere (secondo il cosiddetto backward fading179). Gli insegnanti, e insieme a loro gli editori scolastici, devono certamente ripensare lo spazio della classe come ambiente di apprendimento complesso, dove vengono valorizzate le differenze individuali e viene favorita la costruzione sociale del sapere, ma soprattutto, dove vengono formati individui capaci di provvedere autonomamente, lungo tutto l’arco della loro vita, alla propria formazione. Non tutte le domande poste nell’introduzione trovano una risposta inequivocabile; il futuro del manuale è incerto; intanto, è difficile prevedere fino a quando il libro di testo avrà una versione cartacea. Per quella digitale ci si potrebbe orientare verso libri liquidi privi di qualsivoglia personalizzazione grafica che si adattano in maniera perfetta al dispositivo in 179 «Strategia di presentazione dei contenuti che consiste nel passaggio graduale da esempi guidati a problemi, passando per la fase intermedia dei problemi a completamento e fornendo via via un numero di passi completati. È uno dei metodi consigliati dalla teoria del carico cognitivo per ridurre il carico cognitivo che può derivare da compiti di apprendimento complessi», Bonaiuti G., Calvani A., Ranieri M., 2007, Fondamenti di didattica. Teoria e prassi dei dispositivi formativi, Carocci, Roma. 119 cui vengono visti, con contenuti non “stabili” e fissi necessariamente, ma che si vanno aggiornando e arricchendo di volta in volta, magari attraverso meccanismi di scrittura collaborativa (anche a livello nazionale) per schede aggiuntive, o con prodotti multimediali gratuiti, disponibili su un’unica piattaforma condivisa dal MIUR, ma si porrebbero diversi problemi. Si è già detto, ad esempio, che gli studi mostrano che un testo “privo di confini” abbasserebbe il livello di attenzione e di comprensione; altri interrogativi sorgono poi sulla validazione scientifica dei contenuti condivisi o alla loro reale usabilità in contesto scolastico, per determinate classi di età o per raggiungere specifici obiettivi di apprendimento. Si può anche arrivare ad un certo pluralismo, in cui il singolo docente adotta un determinato libro di testo, ma lo arricchisce adottando disgiuntamente materiali multimediali di altri autori e case editrici. Si potrà anche arrivare, al limite, ai dynamic books180, sulla falsariga della “new generation of interactive textbooks” offerti da una casa editrice americana, che permettono ai docenti di creare realmente il proprio libro di classe a partire da un libro di testo esistente, operando un elevato livello di personalizzazione dei contenuti di base del testo: è possibile, infatti, aprire, modificare ed editare i contenuti aggiungendone anche di nuovi, senza alcuna restrizione di formato. Il rischio, anche in questo caso, è che i contenuti inseriti non siano validati a monte (come avviene per i contenuti pensati, progettati, realizzati e offerti dalle case editrici), e altri problemi, non secondari, vanno rintracciati nella questione dei diritti d’autore. In tutte queste ipotesi, l’ottica di un libro di testo condito con Learning Object181 a scelta dell’insegnante si scontra con altre problematiche legate all’information retrieval (IR, letteralmente “reperimento delle informazioni”): dove cercare i contenuti aggiuntivi? E una 180 http://dynamicbooks.com/ visto il 18 novembre 2014. 181 Non esiste una definizione standard di Learning Object, o LO (letteralmente “oggetti di apprendimento”); mi limito a riportare di seguito quelle più note: - «Qualsiasi entità, digitale o non, che può essere usata, ri-usata o a cui si può far riferimento durante un processo di apprendimento, istruzione o formazione supportato da [artefatti] tecnologici…» (IEEE-LTSC, 2000); - «Any digital resource that can be used to support learning» (Wiley 2000); - «A LO is a standalone piece or chunk of education that contains content and assessment based on specific learning objectives and that has descriptive metadata wrapped around it» (IDC, 2001); - «A learning object is a small, reusable digital component that can be selectively applied – alone or in combination – by computer software, learning facilitators or learners themselves, to meet individual needs for learning or performance support» (Shepherd, 2001). 120 volta trovato un contenuto, come fare a stabilire se il taglio e le informazioni presenti, oltre che corretti, siano in linea con ciò che un docente cerca per la propria classe? Secondo alcuni studi le risorse disponibili sul Web e accessibili tramite i normali motori di ricerca sarebbero solo una minima parte dei documenti effettivamente esistenti; la parte nascosta, detta Web invisibile, sarebbe addirittura 500 volte superiore a quella visibile. L’utilizzo dei metadati (dati che forniscono informazioni relative ad altri dati, un po’ come le indicazioni di un libro in una biblioteca) potrebbe consentire di effettuare ricerche attraverso le informazioni descrittive strutturate nei metadati e associate ad ogni contenuto; il problema è che ad oggi non esistono standard univoci per la creazione e la categorizzazione dei metadati, e, soprattutto, i metadati finora utilizzati sono stati più di natura tecnica che basati sugli aspetti educativi e pedagogici, esplicitando le strategie didattiche piuttosto che il mero contenuto. Sarebbe fondamentale, ad esempio, aggiungere nei contenuti la possibilità di inserire commenti alla risorsa riguardanti il contesto d’uso, e proprio in virtù della componente collaborativa, di aggiornare i metadati con l’esperienza accumulata dagli utenti. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di associare ai contenuti dei metatag, cioè delle parole chiave, alcune delle quali fisse e stabilite dall’autore del contenuto multimediale, altre invece aggiornate in maniera collaborativa da chi lo utilizza; una particolare possibilità è rappresentata dal Web semantico e in particolare dall’uso delle ontologie di dominio e dalla loro costruzione collaborativa. Le ontologie sono in qualche misura assimilabili ad una sorta di glossario di base, e consentono di reperire e utilizzare facilmente contenuti in base a criteri didattici condivisi, e scientificamente validati, tramite sistemi artificiali di reperimento automatico; le ontologie formali, nella pratica, servono a descrivere tutti i concetti (le entità) rilevanti in un determinato dominio conoscitivo e le loro relazioni. Viste dal punto di vista didattico, le ontologie rappresentano la struttura semantica più indicata a definire il significato, o meglio il dominio, di una particolare disciplina, ed aiutano ad individuare le modalità di insegnamento più adatte per un determinato curricolo favorendo un’organizzazione strutturata e interoperabile dei servizi che andranno a corredare l’esperienza di insegnamento-apprendimento. Per molti studiosi, l’uso delle ontologie di dominio e la costruzione collaborativa di esse può rappresentare la soluzione alla condivisione della validità di un piano curriculare e del contenuto ad esso associato, così come al suo mantenimento ed aggiornamento nel tempo. Servirebbero, quindi, dei buoni strumenti per recuperare, aggregare, elaborare i contenuti che consentano la costruzione, l’elaborazione e la condivisione di complessità che vadano oltre la granularità tipica dei LO, sapendo che la complessità possibile nel mondo digitale può offrire tre armi specifiche che il cartaceo e gli 121 altri strumenti didattici tradizionali non possono garantire: la multimedialità, l’interattività, l’ipertestualità. Altre problematiche da affrontare pensando al futuro del libro di testo sono legate ai possibili sviluppi del mobile learning, nell’ambito di quella che, a buon diritto, specie in Italia, può essere considerata la mobile revolution. Parafrasando Rivoltella182, la diffusione degli smartphone e delle offerte per la navigazione Internet sugli smartphone ha favorito la migrazione della tecnologia all’interno delle nostre vite, grazie anche alla loro autorialità (possibilità di creare testi, video, foto) e alla possibilità di essere sempre connessi: la comunicazione si disintermedia, diviene personale e non più di massa, ridefinisce il concetto stesso dello spazio pubblico, confondendone i confini con quelli dello spazio privato. Altre suggestioni che potranno influire sul libro di testo possono essere collegate alla eventuale diffusione delle flipped lesson, in cui si inverte l’ordine abituale delle azioni didattiche: in classe si apprende, a casa si ottengono le informazioni, inversione che certamente può essere facilitata da piattaforme come quella descritta, utilizzando gli spazi in Rete per rendere disponibili agli studenti i materiali didattici su cui compiere attività di pre-apprendimento prima di arrivare in classe. In questo scenario, il libro di testo manterrà dei confini ben precisi? O si sgretolerà creando percorsi di studio opzionali, aggregabili in maniera customizzata? Il libro manterrà una struttura lineare e sequenziale, e un ruolo centrale all’interno delle costellazioni di strumenti didattici disponibili, o perderà ogni ruolo di predominio a favore di ambienti di apprendimento, di spazi da vivere più che di oggetti da usare? Qualsiasi siano le risposte a queste domande, il docente deve essere messo nelle condizioni di gestire e non di subire il cambiamento, essendo a sua volta in grado di mettersi in discussione, di rischiare di procedere per prove ed errori, consapevole che nessun sapere o nessuna metodologia può essere valida per sempre, e avendo delle solide basi concettuali che lo aiutino ad interpretare contestualmente i cambiamenti (e in quest’ottica questo mio lavoro ha i docenti scolastici come destinatario ideali). Qualsiasi sia la risposta sul futuro del libro di testo, la mia speranza è comunque che non sia una risposta legata a mere questioni economiche o tecniche senza tener conto delle possibili ricadute didattiche delle scelte effettuate, o senza tenere conto dell’importanza del punto di vista contenutistico ma soprattutto di quello metodologico e intellettuale. In un’epoca in cui rintracciare informazioni è facilissimo (come si è visto, bastano Google o Wikipedia per trovare le notizie desiderate), credo che il 182 Cfr. Rivoltella P.C., 2013, p. 12. 122 ruolo degli editori scolastici183 sia fortemente analogo a quello degli insegnanti e della scuola in generale. Ferma restando la libertà di fruizione del libro da parte dei docenti che lo adottano, un buon libro di testo (o quello che sarà) organizza i saperi, mostra un punto di vista specifico (quello dell’autore, uno studioso, un ricercatore, un esperto degli argomenti trattati) pur prospettando l’esistenza di punti di vista “altri”, propone esercitazioni e riflessioni che aiutano ad apprendere, ad “apprendere ad apprendere”, suggerisce metodi di studio e spinge a riflettere sul proprio apprendimento e sugli argomenti trattati. Potrà sembrare retorico, ma la scuola ha ancora il compito forte di formare il cittadino di domani, e lo fa anche attraverso strumenti didattici adeguati: risparmiare sul futuro non è un buon criterio per ottenere quelle “teste ben fatte”184 di cui la società umana ha bisogno. 183 La posizione degli editori scolastici mette in luce dei problemi della scuola italiana che non sono affatto dipendenti da una mancata offerta editoriale di buoni prodotti digitali e che sarebbe senz’altro riduttivo considerare l’offerta limitata ai soli libri (misti o digitali). Il punto di vista espresso nel novembre 2014 dal presidente del gruppo educativo dell’AIE, Giorgio Palumbo, nell’ambito della riflessione sul futuro della “buona scuola” sollecitate dal Presidente del Consiglio Renzi, può essere così sintetizzato: «Contrariamente a certa vulgata giornalistica che ingiustamente ci ha spesso rappresentati come espressione di un corporativismo che opera per frenare il cambiamento, quasi a voler difendere indifendibili posizioni anacronisticamente superate dall’inarrestabile progresso in corso, gli editori si sono sempre manifestati a favore dell’innovazione […]. Piuttosto, rispetto al quadro sopra descritto, gli editori hanno semmai manifestato perplessità legate fondamentalmente a quello che hanno sempre considerato l’approccio che si é avuto in Italia col digitale, un approccio ritenuto, lungi da qualsivoglia intento polemico, dettato da una urgenza eccessiva, non compatibile con la attuale disponibilità di infrastrutture e dotazioni tecnologiche necessarie. […] Ad oggi, infatti, l’adottato di prodotti interamente digitali (di tipo C, per intenderci) é passato dallo 0,60% del 2013 allo 0,80% del totale (media ponderata) di quest’anno, non riuscendo a raggiungere, quindi, percentuali realmente significative, anche a fronte delle “incentivazioni” contenute nell’ultima circolare ministeriale, volte appunto a privilegiare questa tipologia di prodotti. Le ragioni di questa resistenza, erano state per tempo evidenziate dagli editori ed erano state ulteriormente ribadite da una specifica indagine sul tema compiuta dall’OCSE su sollecitazione dello stesso MIUR. […] Esse, a nostro avviso, sono riconducibili: - ai mancati investimenti in infrastrutture (banda larga) […]; - alla mancanza di dotazioni tecnologiche adeguate per un uso individuale e collettivo; - al mancato o insufficiente aggiornamento della classe docente, requisito ineludibile per il buon esito dell’auspicata innovazione digitale». Per il testo completo, cfr. http://www.palumboeditore.it/aielabuonascuola.aspx visto il 20 novembre 2014. 184 Morin, richiamando la frase di Michel de Montaigne “È meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”, distingue tra “una testa nella quale il sapere è accumulato e non dispone di un principio di selezione e di organizzazione che gli dia senso” e una “testa ben fatta”, che comporta “un’attitudine generale a porre e a trattare i problemi; principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e di dare loro senso”. 123 124 BIBLIOGRAFIA AA. VV., 1969, L’analisi del racconto, Bompiani, Milano. Abruzzese A., Maragliano R. (a cura di), 2008, Educare e comunicare. Spazi e azioni dei media, Mondadori, Roma. Ardizzone P., Rivoltella P.C., 2008, Media e tecnologia della didattica, Vita e Pensiero, Milano. Besozzi E., 2006, Società, cultura, educazione, Carocci, Roma. Bonaiuti G. (a cura di), 2006, E-Learning 2.0. 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E a Lui, Dio risorto, vivente e Spirito vivificante, rendo grazie di ogni cosa: per le forze, le capacità e il sostegno che mi ha dato, per le mie colleghe di Università, per i cari che mi hanno sopportato, per i colleghi e i datori di lavoro, e soprattutto per la mia relatrice, la professoressa Eleonora Marino, che stimo grandemente e per la quale nutro un grande e sincero affetto.