i diritti sociali in georges gurvitch

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
ISTITUTO DI STORIA FILOSOFIA DEL DIRITTO E DIRITTO ECCLESIASTICO
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
TEORIE DEL DIRITTO E DELLA POLITICA
CICLO XXIII
I DIRITTI SOCIALI IN GEORGES GURVITCH
TUTOR
Chiar.mo Prof. Carlo Menghi
DOTTORANDO
Dott. Emanuele Tesei
COORDINATORE
Chiar.mo Prof. Carlo Menghi
ANNO 2011
PREMESSA
Questa ricerca cercherà di analizzare nell’opera di Georges Gurvitch la
teoria del diritto sociale partendo dalle tecniche che fondano la pluralità e
il conseguente pluralismo sociale per poi definire il concetto stesso di
controllo al fine di determinare la portata critica della dichiarazione dei
diritti sociali.
Si cercherà di non tralasciare i risvolti concreti sottesi allo studio di
Gurvitch, atttraverso le categorie del produttore, del consumatore-utente,
del cittadino e le relative interazioni.
Si cercherà di chiarire, altresì, l’interconnessione costante tra filosofia
del diritto sociologia giuridica, al fine di mostrare l’intuizione
fondamentale di Gurvitch e la sua contemporaneità.
Per quanto detto, nel presente lavoro si è reso necessario affrontare anche
le tematiche della sociologia del diritto, tematiche che anche
cronologicamente, all’interno della costruzione giuridico-filosofica
dell’autore, si pongono in posizione intermedia tra un primo periodo
caratterizzato da una riflessione incentrata prettamente sulla filosofia del
diritto ed un secondo periodo in cui l’autore si interesserà della filosofia
sociale.
1
Dalla complessità degli argomenti esposti, risulta evidente l’importanza
degli scritti chiarificatori dei tanti autori che nel corso degli anni hanno
affrontato la problematica senza i quali si sarebbe corso il rischio di
perdersi all’interno del vasto pensiero di Gurvitch.
La costante attualità delle tematiche affrontate da questo grande autore,
appaga dell’impegno dello studio svolto proprio perché l’attualità dei
concetti e dei pensieri rendono sostenibile il lavoro di ricerca.
2
CAPITOLO I
LA TECNICA PLURALISTA, IL PLURALISMO SOCIALE E LA
DEMOCRAZIA PLURALISTA
L’opera scientifica di Gurvitch può essere suddivisa in due periodi: il
primo anteriore alla prima guerra mondiale e caratterizzato dall’interesse
prevalente per i problemi del diritto o meglio della filosofia del diritto; il
secondo, posteriore alla guerra e caratterizzato dall’interesse prevalente
per i problemi della sociologia e della filosofia sociale.
La sociologia del diritto occupa una posizione intermedia tra i due
periodi suddetti, costituendo però più la conclusione del primo periodo
che l’introduzione al secondo1.
Se Gurvitch, come filosofo del diritto abbraccia i principi del pluralismo
giuridico e del diritto sociale, nella sociologia del diritto come cultore di
questa materia, presenta il pluralismo giuridico e il diritto sociale come
espressione della materia stessa, ovvero fa coincidere sostanzialmente la
sociologia del diritto con il pluralismo giuridico e con l’idea di diritto
sociale.
Gurvitch afferma che la sociologia del diritto2 è incompatibile con il
positivismo giuridico e con tutte quelle concezioni che fanno dipendere
1
2
Cfr. R.TREVES, Saggio introduttivo a Sociologia del diritto, Milano, 1957, p. XI.
Cfr. G. GURVITCH, introduzione agli Elements de sociologie juridique, Paris, 1940.
3
la positività del diritto dalla volontà dello Stato affermando che lo Stato è
l’unica fonte del diritto.
La sociologia del diritto, al contrario, secondo il filosofo russo è
l’espressione delle concezioni pluralistiche che ricollegano il diritto alla
vivente realtà sociale.
Significativa è la definizione della sociologia del diritto, ossia di “quella
parte della sociologia dello spirito umano che studia nella sua
completezza la realtà sociale del diritto che tiene conto della varietà
quasi infinita delle esperienze di tutte le società e di tutti i gruppi […..]
rivelando pienamente la realtà del diritto che gli schemi ed i simboli più
che esprimere celano”3.
Dunque, il punto di vista di Gurvitch, o meglio la sua costruzione di
pensiero, fa coincidere la sociologia del diritto con i principi del
pluralismo giuridico, e questa coincidenza viene maggiormente delineata
nel primo capitolo degli Elementes in cui l’autore presenta come
precursori della sociologia del diritto quegli stessi autori che nelle opere
precedenti aveva presentato come sostenitori dei suddetti principi, nello
specifico Pruodhon, Duguit, Ehrilch.
Tuttavia le dottrine degli autori citati non appartengono, secondo
Gurvitch, alla sociologia del diritto propriamente intesa ma ad un suo
3
G. GURVITCH, Sociologia del diritto, Milano, 1957, p. 53.
4
settore che definisce “teoria sociologica del diritto”4 considerato parte
della scienza giuridica.
In numerosi passaggi della sociologia del diritto, Gurvitch in nome del
pluralismo e del diritto sociale, prende posizione contro lo statalismo
criticando tutti coloro che fanno risiedere il centro unificatore di ogni
regolamentazione giuridica “non tanto in un gruppo particolare quanto
nella società globale spesso erroneamente identificata, senza alcun
particolare motivo, con lo Stato”5.
Allo stesso modo critica anche coloro che parlano di una distinzione tra
diritto pubblico e privato senza rendersi conto che tale classificazione è
applicabile solo al diritto dello Stato “e non è applicabile invece
all’immensa marea del diritto non soggetto allo Stato”6.
Nella medesima opera l’autore rileva l’impossibilità di stabilire a priori
una gerarchia tra l’ordinamento giuridico e l’ordinamento economico,
osservando che “la tendenza ad attribuire allo Stato sia la sovranità
politica che quella giuridica, competenza delle competenze, è
semplicemente il risultato di una illusione ottica dovuta alla simultaneità
storica dell’estensione delle competenze dello Stato, nonché dal fatto
4
Ivi, p. 57.
Ivi, p. 173.
6
Ibidem.
5
5
accidentale della superiorità relativa del diritto politico in una data
epoca”7.
Ancora di più che in queste osservazioni contrarie allo statalismo e
implicitamente favorevoli ai principi del pluralismo giuridico e del diritto
sociale, la fedeltà dell’autore a questi concetti risulta evidente dal
modello di sociologia del diritto che lo stesso costruisce.
Secondo questo modello la sociologia del diritto dovrebbe dividersi in tre
settori, ovvero la microsociologia giuridica alla quale l’autore attribuisce
due compiti, il compito di “studiare orizzontalmente le specie di diritto in
funzione delle diverse forme di società”8 e di conseguenza non solo il
diritto delle società organizzate fornito di sanzioni e costrizioni
dall’esterno, ma anche quello delle società spontanee che “agisce
attraverso semplici pressioni della coscienza dei singoli e nella vita
collettiva”9.
Altro compito della microsociologia giuridica dovrebbe essere quello di
studiare le specie di diritto verticalmente in funzione di sei diversi strati
di profondità “individuabili in ogni forma di società in quanto fatto
normativo”10.
La seconda parte della sociologia del diritto dovrebbe essere formata
dalla sociologia differenziale del diritto che studia “le manifestazioni del
7
Ivi, p. 220.
R.TREVES, Saggio introduttivo a Sociologia del diritto, cit., p. XVII.
9
Ibidem.
10
Ibidem.
8
6
diritto in quanto funzioni di reali unità collettive”11, che si divide anche
essa in due parti, la tipologia giuridica dei gruppi particolari attivi capaci
di creare sovrastrutture organizzate come, a titolo esemplificativo, i
gruppi territoriali e quelli professionali e la tipologia giuridica delle
società globali classificate dall’autore in sette categorie.
In ultimo, la sociologia del diritto dovrebbe essere costituita dalla
sociologia genetica del diritto che studia da un lato, come definite dal
Gurvitch, <<le regolarità tendenziali di mutamento>> nell’ambito di
ogni tipo di sistema giuridico e dall’altro i fattori che determinano quelle
stesse regolarità di mutamento come, ad esempio il fattore economico ed
il fattore religioso.
Quanto detto spiega da un lato come il modello della sociologia del
diritto di Gurvitch sia stato costruito sui presupposti del pluralismo
giuridico e del diritto sociale, dall’altro come la sua dottrina sia rivolta
prevalentemente alla determinazione e alla classificazione dei diversi
settori di ricerca, dei diversi tipi di società, delle diverse specie di diritto.
Di questa determinazione e classificazione, l’autore fornisce nella sua
opera Sociologia del diritto una minuziosa esemplificazione, affermando
che le specie di diritto spontaneo dovrebbero essere non meno di
ventisette non indicandole tuttavia specificatamente, fino ad affermare
nel proseguo della trattazione che “i tipi di diritto che cozzano e si
11
G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 57.
7
equilibrano tra loro”12 dovrebbero essere almeno centosettantadue,
numero che si ottiene moltiplicando i sei strati di diritto individuati dalla
microsociologia verticale con le ventisette specie di diritto individuate
dalla microsociologia orizzontale (la cui trattazione sarà sviluppata nel
capitolo dedicato ai diritti sociali).
In ultimo, per comprendere l’interazione tra le due scienze analizzate
dall’autore, significative sono le riflessioni conclusive a cui arriva
l’autore stesso nel capitolo conclusivo della Sociologia del diritto.
Secondo Gurvitch, quando la sociologia del diritto e la filosofia del
diritto si occupano della medesima sfera dello spirituale, ovvero dei
valori e delle idee che ispirano il diritto, le due scienze trattano la stessa
materia da due punti di vista distinti, nello specifico: la sociologia del
diritto in funzione della realtà sociale e la filosofia in relazione ad altri
settori dello spirito umano, considerato nella sua validità oggettiva.
Tale distinzione però non implica una separazione totale o indipendenza
assoluta, ma al contrario, una indispensabile collaborazione, poiché se la
filosofia del diritto fosse completamente isolata dalla sociologia giuridica
sarebbe “una specie di razionalismo dogmatico, da molto tempo
sorpassato”13.
12
13
Ivi, p. 200.
Ivi, p. 264.
8
Viceversa una sociologia del diritto priva di qualsiasi contatto con la
filosofia sarebbe deficitaria delle basi necessarie per individuare il suo
oggetto specifico, ovvero la realtà sociale del diritto.
Filosofia del diritto e sociologia del diritto trovano nella “teoria
dell’esperienza giuridica immediata”14, la sola capace di cogliere la realtà
del diritto infinitamente variabile nei suoi contenuti spirituali e sensibili,
una base comune.
Le due discipline, quindi, indagano a posteriori sulla medesima
esperienza che secondo Gurvitch è sottostante ad entrambe e di cui
entrambe utilizzano i “dati immediati per una ulteriore elaborazione,
ognuna alla sua maniera e sotto prospettive diverse”15.
La filosofia del diritto, che si occupa dello studio dei valori giuridici
spirituali allo scopo di verificarne l’oggettività “integrandoli in un
sistema aperto di cui cerca di ricostruire l’immagine”16, è interessata
all’operato della sociologia del diritto che esplica nella puntualità delle
sue analisi, poiché più variazioni delle regole, dei comportamenti e dei
simboli, la sociologia constata e descrive, più ricca diverrà l’immagine
della giustizia che la filosofia si propone di ricostruire.
I compiti di una filosofia del diritto cosi concepita, secondo Gurvitch,
consistono in primo luogo “nel ricondurre dall’esperienza giuridica
14
Ivi, p. 265.
Ibidem.
16
Ivi, p. 267.
15
9
riflessa e simbolica all’esperienza giuridica immediata nei suoi diversi
piani”17, in secondo luogo “quello di porre in luce la specificità
dell’esperienza giuridica nei confronti di altri generi di esperienza
integrale: morale, religiosa, intellettuale”18 ed infine il compito “nel
discriminare, nell’ambito dei valori giuridici effettivamente afferrati o
incarnati, le illusioni - proiezioni soggettive della mentalità collettiva - e
le strutture ideali oggettivamente valide”19.
L’autore ritiene che la filosofia per assolvere ai primi suoi due compiti si
debba trovare in contatto continuo e reciproco con la sociologia cosa che
non deve avvenire per assolvere al terzo compito in cui di contro vi deve
essere assoluta indipendenza tra le due scienze.
La filosofia così intesa, non pronuncia giudizi di valore ma solo giudizi
teorici sui valori effettivamente “afferrati o incarnati di cui verifica solo
la realtà oggettiva definendone la natura specifica”20.
Tuttavia, secondo Gurvitch ciò non è da impedimento al fatto che i
risultati della filosofia del diritto combinati con quelli della sociologia
giuridica vengano utilizzati per stabilire, considerando una data epoca o
un dato tipo di società , una tecnica di perfezionamento del diritto che il
filosofo definisce “politica giuridica”21.
17
Ibidem.
Ibidem.
19
Ibidem.
20
Ivi, p. 268.
21
Ibidem.
18
10
Scrive Treves che in fondo Gurvitch può considerarsi “sostanzialmente
un filosofo del diritto che, pur avendo scritto opere specifiche di
sociologia del diritto, per la propria mentalità e per i propri interessi, ha
finito con il trovarsi molto lontano dai più recenti sviluppi di questa
materia, forse più lontano non sono altri filosofi del diritto, che non si
sono occupati di studi filosofici, ma che hanno soltanto cercato di
definire la sociologia del diritto e di studiarla dal punto di vista
metodologico”22.
Quindi, dopo aver analizzato la costante interazione tra le due scienze
che caratterizza l’opera dell’autore e volendo tonare ai suoi studi
prettamente filosofici, si può iniziare dal periodo della sua produzione
collocabile temporalmente agli albori del secondo conflitto mondiale in
cui egli con i suoi scritti di filosofia del diritto appare come uno dei più
combattivi ed autorevoli sostenitori del pluralismo giuridico e dell’idea
di diritto sociale.
L’idea che il diritto possa svilupparsi anche fuori dallo Stato si deve alle
teorie antiformalistiche di fine Ottocento inizio Novecento che
rappresentano il primo momento del riconoscimento degli enti intermedi
22
R.TREVES, Saggio introduttivo a Sociologia del diritto, cit, pp. XXII – XXIII. Anche Tommaso Sorgi sottolinea
che “Gurvitch fosse passato alla sociologia senza essersi mai completamente distaccato dalla filosofia”(T. Sorgi, “Le
classi sociali in Gurvitch”, Introduzione a Le classi sociali, Roma, 1971, p. 74).
11
tra cittadini e Stato, non solo come centri di socialità, ma anche di
giuridicità23.
Secondo Bobbio24, lo Stato moderno, che nasce dalla grandi monarchie
in seguito alla dissoluzione della società medioevale si basa sulla
sovranità, quel potere che non riconosce nessuno a lui superiore.
Come conseguenza della sovranità si ha che tutto il diritto è diritto dello
Stato e ciò porta alla consequenziale scomparsa di ordinamenti giuridici
a lui superiori ed inferiori oltre all’eliminazione di ogni altra fonte
normativa poiché il diritto è emanazione esclusivamente della volontà
del sovrano.
“Con una formula si può parlare […] di monopolizzazione del diritto da
parte dello Stato e di
25
monopolizzazione del diritto statuale da parte
della legge. Attraverso questi due processi di reductio ad unum, lo Stato
acquista una struttura unitaria (<<non esiste altro diritto che il diritto
dello Stato>>) e un unico fondamento (<<non esiste altro diritto statuale
che la legge o la volontà del sovrano>>)”26.
Bobbio ritiene che di questa fase di sviluppo dello Stato moderno il
teorico più lungimirante sia Hobbes, per il quale l’unico diritto possibile
23
Cfr. M .CORSALE, “Pluralismo giuridico” in Enciclopedia del diritto, vol. XXXIII, pp.1003-26.
Cfr. N. BOBBIO, Introduzione alla Dichiarazione dei diritti sociali, Milano, 1949, p.13.
25
Corsivo mio.
26
Ivi, p. 14.
24
12
è il diritto positivo emanato dello Stato stesso, con la consequenziale
perdita di rilevanza delle altre fonti normative27.
Contro questa concezione dello Stato si sono mosse varie teorie
giuridico-filosofiche al fine di confutare la teoria di Hobbes, nello
specifico
la
dottrina
liberale,
il
costituzionalismo,
le
dottrine
democratiche ed il socialismo scientifico.
Per la dottrina liberale, di chiara matrice giusnaturalista, ciò che rileva
sono i diritti naturali degli individui come antecedenti allo Stato e dettati
dalla natura perciò invalicabili da qualsiasi autorità politica; nel
costituzionalismo, di contro, la sovranità deve essere scomposta
internamente attraverso la disgregazione del suo potere unitario e non
attraverso limiti posti dall’esterno; le dottrine democratiche, invece,
esaltano la sovranità che è dei tutti e non dell’uno per addivenire ad una
partecipazione di tutti al potere statale; ed infine il socialismo scientifico
considerando lo Stato uno strumento di dominazione della classe
dominante ritiene che nella società socialista vadano abolite le classi per
arrivare
all’estinzione
dello
Stato
stesso
e
quindi
pervenire
all’autogoverno della società stessa.
Il pluralismo giuridico persegue lo stesso scopo ideale, ma discostandosi
da tutte le precedenti teorie poiché “non limita lo Stato dall’esterno come
27
Cfr.T. HOBBES, Leviatano. Ed infatti il diritto naturale nel momento in cui viene in esistenza lo Stato è destinato a
scomparire; ugualmente il diritto internazionale non rileva poiché gli Stati, essendo sovrani si trovano in una costante
guerra tra loro; non il diritto della chiesa poiché viene assorbito e quindi scompare con quello dello Stato e non gli
ordinamenti inferiori che hanno una potestà soltanto mediata.
13
la dottrina liberale, non lo divide dall’interno come il costituzionalismo,
non lo distribuisce a tutti come la democrazia”28 e non lo elimina
completamente come il marxismo.
Il pluralismo infatti, muove le mosse dalle origini stesse dello Stato, al
suo processo di formazione e ne fissa l’essenza.
Poiché la caratteristica dello Stato moderno è il monopolio del potere
giuridico, la dottrina pluralista ritiene che l’unico modo di combattere
questo potere sia quello di privare lo Stato del medesimo.
La detta dottrina ritiene che lo Stato non sia che un possibile
ordinamento giuridico in cui l’uomo svolge la sua vita sociale e nello
specifico l’ordinamento giuridico della società politica, infatti l’uomo per
sua natura non è solo politico “ma anche economico, religioso, ecc.; non
è soltanto consumatore, ma produttore; non è solo membro di una
determinata nazione, ma anche della umanità”29.
Le attività sociali elencate, non essendo politiche, si dovrebbero
esplicitare in associazioni diverse dallo Stato, associazioni che essendo
un insieme di atti umani preordinati ad un fine necessitano di norme per
regolare la loro struttura e gli atti ed i comportamenti che pongono in
essere, “in una parola ogni società ha il suo diritto”30.
28
N. BOBBIO, Introduzione alla Dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 15.
Ivi, p. 17.
30
Ibidem.
29
14
Con il concetto di pluralismo giuridico viene quindi definita quella
corrente di pensiero che si oppone al concetto stesso di statalismo,
corrente questa che pone le sue fondamenta sull’idea di uno Stato
monopolizzatore del potere politico, produttore egli stesso del diritto ed
unica fonte di questo, mettendo in secondo piano altre forme di
produzione normativa come la consuetudine, il diritto formato in via
giudiziaria e la dottrina.
Il pluralismo giuridico si basa sull’opposto, ossia che il diritto non è
accentrato solamente nello Stato ma risiede in entità diverse da esso.
Per Gurvitch l’assolutismo statalista e l’individualismo borghese non
sono così antitetici come
solitamente
appaiono nelle normali
classificazioni della scienza politica.
Nei suoi scritti si radicalizza l’idea che la sovranità moderna,
specialmente quella post-rivoluzionaria, è un amalgama di dominio e di
potere che stabilizza e regolarizza in maniera funzionale un ordinamento
che prima di essere giuridico era di natura sociale.
Cercare una definizione ed una valutazione della democrazia, ed anche
della qualità della vita politica, si dimostra una via impraticabile se viene
esperita in maniera scientifica.
Secondo Rapone infatti ciò si rivela fallace “perché la società
capitalistica vive una ridefinizione radicale della dimensione politica, per
15
cui di democrazia è necessario parlare solo nell’ambito di una
intersezione tra le aree politico-statuale, sociale ed economica” 31.
Per Gurvitch non ci sono forme di creazione normativa e di autogoverno
all’esterno della sfera nella quale interagisce la politica e lo Stato.
Tale incapacità è riscontrabile
nello stato totalitario, in quello
assolutistico ed anche in quello etico.
Seguendo questa linea di interpretazione vi è, sia nell’ideologia
totalitaristica sia in quella liberale, “una radicale reductio ad unum della
complessità della vita sociale, incarnando il desiderio di negare, in nome
di una risoluzione monista, quella che per Gurvitch è la costitutiva
antinomicità dell’esperienza, individuale e collettiva”32.
All’uopo occorre evidenziare quanto esposto da Matteucci per il quale:
“Il vero avversario della sovranità è la teoria pluralistica, proprio perché
la prima sottolinea al massimo il momento dell’unità e del monismo,
mentre le concezioni pluralistiche – sia quelle descrittive, dirette a
cogliere il reale processo di formazione della volontà politica, sia quelle
prescrittive che vogliono massimizzare le libertà in una società
democratica per mezzo di una poliarchia – mostrano come non esista
l’unità dello Stato, che abbia il monopolio di autonome decisioni, perché,
31
32
V. RAPONE, Sovranità e Diritto Sociale, Torino, 2007, p. 83.
Ibidem..
16
di fatto, l’individuo vive in associazioni e gruppi diversi, capaci di
imporre le proprie scelte”33.
Quello che emerge è che il singolo pur vivendo nel plurimo si perde in
esso in quella che è una non naturale appartenenza allo statale e al
politico, induzione creata dalla simulazione cittadino-democrazia poiché
tutti i cittadini, essendo membri della collettività, sono considerati, oltre
come singoli, come appartenenti a vari gruppi che alla società
economica.
Quindi il molteplice, ossia l’individuo, è inglobato in un totale ed unico
che è lo Stato, rendendo affini in questo unire l’individualismo e lo
statalismo, l’unificazione del tutto composto da parti: “entità quali i
soggetti individuali, le classi sociali, i partiti, i sindacati, le associazioni
operaie, le corporazioni e gli stessi consigli di fabbrica, se si predisporranno ad una risoluzione monista costituendosi nella sfera
dell’Uno, se saranno riconosciuti come soggetti giuridici, e quindi come
Stati in piccolo, ne raddoppieranno la logica, e, immessi nella dinamica
politico-statuale, rischieranno costantemente di smarrire ogni specificità,
o, nel linguaggio di Gurvitch, si pervertiranno in associazioni di
dominio”34.
33
34
N. MATTEUCCI, Lo Stato moderno. Lessico e percorsi, Bologna, 1993, p. 90.
V. RAPONE, Sovranità e Diritto Sociale,cit, pp. 84-5.
17
Il nostro autore in relazione allo Stato evidenzia che “Di quest’ultimo,
Hegel, dice, fin dall’Introduzione che esso è lo “spirito che produce
l’unificazione inaudita (ungeheure Vereinigung) della indipendenza
individuale e della sostanzialità generale. Tutta la filosofia del diritto di
Hegel non è che un’impalcatura artificiale innalzata a gloria dello Stato
che incarna non solo la sintesi estatica della famiglia e della società
civile, e più esattamente del diritto e della moralità, ma anche la sintesi
dell’idea e della realtà sociale, della ragione e della storia, del destino
mistico collettivo e del movimento del tempo”35.
Elemento significativo in questo pensatore è che ogni istituzione debba
disporre, su base normativa, l’esistenza di gruppi che però non
rinneghino il loro essere uno.
Da ciò deriva che: “Lo Stato, ove non pensato come <<associazione di
integrazione>>, ma nella forma di uno, accentratore ed esclusivista,
garantito nel suo essere monopolista dall’uso legittimo della forza o di
quello della decisione politica, correrebbe il rischio di trasformarsi in
istituzione
“per-versa”,
autoreferenziale,
chiusa
alla
dimensione
dell’alterità, luogo dell’esercizio di un potere tautologico, che non è
relazione”36.
35
36
G. GURVITCH, Dialettica e sociologia, Roma, 1968, p. 128
V. RAPONE, Sovranità e Diritto Sociale, cit., p. 86.
18
Ad uno Stato costituito in tal modo, che nega la pluralità normativa a
favore del monopolismo, appare necessario contrapporre un dialogo
plurale di gruppi di estrema rilevanza ai fini normativi, gruppi in
contrapposizione con il monopolismo Statuale aventi la competenza per
un dialogo rilevante.
A questi gruppi è affidato il compito di evidenziare e di relazionare i
valori del singolo e del gruppo con un’analisi sia antropologica che
sociale che economica “mantenendo un accordo tra valori individuali e
collettivi, che si situi in una linea intermedia tra individualismo e
identificazione all’Assoluto, attestanti entrambi una perdita di specificità,
una pericolosa risoluzione nella logica fagocitante dell’Uno. Da qui, il
senso del termine transpersonalismo”37.
Il transpersonalismo è finalizzato al superamento della caratteristica dello
Stato di essere l’unico referente del diritto in tutta la sua complessità
basandosi su una teoria del diritto la cui origine è di natura socialista e
sociale.
In pratica: ”Il transpersonalismo, teoria dell’equilibrio possibile di valori
individuali e collettivi, è filosofia che riguarda l’essere dell’uomo come
“animale sociale” e non unilateralmente politico. Siamo di fronte ad un
approccio teorico che, in senso più ampio, concerne gli ambiti
giusfilosofici, nonché quelli propriamente filosofici, tale da definire un
37
Ibidem.
19
posizionamento reciproco, non gerarchico, di aree tematiche quali la
teoria generale, la sociologia e la filosofia del diritto, che sono, nella
teoria tradizionale, irrelate”38.
Da quanto detto deriva necessariamente che il transpersonalismo si
ridurrà in una enumerazione giuridica la quale basa il diritto sociale del
pensatore russo nel momento in cui “si costituisce come una soluzione
non dialettica della falsa opposizione tra individualismo ed idealismo”39.
Orbene è necessario notare che nei primi anni del ventesimo secolo
venne riscoperta la teoria di Fichte che non lasciò indifferente il nostro
autore. Ed infatti nel suo Il sistema fichtiano dell’etica concreta egli “fa
valere un’originale linea interpretativa tesa ad evidenziare l’esistenza di
una duplice modalità di intendere l’ideale”40.
Esso deve essere inteso in modo duplice sia singolarmente “colto nella
sua individualità <<insostituibile ed irreprensibile>>”41 sia in maniera
generale.
Nel primo senso però: “Questo […] tipo di ideale, nel suo movimento di
immanentizzazione, non avrebbe quale referente teorico il soggetto
inteso nella sua individualità ed astrattezza, bensì ancora un soggetto, ma
“transpersonale”, fondamento dei singoli io empirici”42.
38
Ivi, p. 88.
Ibidem.
40
Ibidem.
41
Ivi, p. 89.
42
Ibidem.
39
20
Per Gurvitch: “Nella sua prima grande opera filosofica, La dottrina della
scienza, 1794, - della quale hanno soprattutto tenuto conto gli altri postKantiani, sebbene essa sia tipica di un solo momento del suo pensiero,
Fichte è principalmente preoccupato di rifiutare l’isolamento nel quale
Kant segrega il finito e l’infinito, l’intelletto e la ragione. Sotto le
apparenze di un idealismo soggettivo, dovute al termine poco
appropriato di “Io teoretico”, “Io pratico”, “Io puro”, e “Io assoluto” (che
non sono affatto degli individui e delle coscienze individuali, ma dei
centri sopra-personali della coscienza e dell’azione), Fichte presenta già
il realismo che si manifesta insieme nel Non-io e nell’Io assoluto”43.
A questo proposito Rapone osserva che: “Gurvicth opera […] una
distinzione tripartita dell’opera di Fichte, che sarebbe suddivisa in tre
fasi: una prima in cui la dimensione logica domina su quella pratica, una
seconda, antitetica alla precedente, in cui sarebbe predominante un moto
di reazione irrazionalistica, centrato sulla dimensione della “fede”, una
terza in cui, quasi in senso sintetico, si opera una sistematizzazione dei
vari momenti in gioco”44.
Anche per Masullo: “In quel suo fondamentale lavoro il Gurvitch
considera il pensiero di Fichte come rivolto essenzialmente ad effettuare
il passaggio, anche se tal passaggio non portò a compimento, dal
43
44
G. GURVITCH, Dialettica e sociologia, cit, p. 97.
V. RAPONE, Sovranità e Diritto Sociale, cit., pp. 89-90.
21
<<formalismo etico>> ad un <<etica materiale>>, possibile solo a patto
di assumere come tema fondamentale quello dei rapporti tra “persone” e
“comunità””.45
A tal proposito Tanzi riconosce come solo Fichte ha concepito la totalità
morale traspersonale nella sua specificità, come un ordine che esclude
ogni subordinazione e gerarchia”46 ed infatti “è evidente che la
interpretazione del Gurvitch tenta di dimostrare come le teorie di Fichte
siano da considerare il presupposto inscindibile per una consapevole
concezione antindividualistica e antistatalista della realtà sociale”47.
Come chiarisce Bobbio: “Il Gurvitch […] si preoccupa di fissare
l’essenza della società: la società è la totalità immanente, totalità nel
senso che è irreducibile alla somma dei suoi membri […], immanente nel
senso che non si oppone ad essi né come oggetto esteriore né come una
personalità superiore (contro le teorie universalistiche che assorbono
l’individuo nello stato, considerato come persona morale e giuridica). In
tal modo da questo tutto, considerato transpersonale, in quanto
irreducibile al concetto di personalità, che è essenzialmente coscienza,
simbolizzato quindi nel <<noi>>, in quanto attività sopracosciente
45
A. MASULLO, La comunità come fondamento, Fichte, Husserl, Sartre, Napoli, 1965, p. 209.
Cfr. AA.VV., Saggio in ricordo di Aristide Tanzi, Molano, 2001, p. 9.
47
Ibidem.
46
22
immanente alle coscienze singole, la teorie del Gurvitch prende il nome
di transpersonalismo”48.
Gurvitch, che ha introdotto nella teoria del diritto francese il concetto di
pluralismo giuridico, ponendosi sulla stessa corrente di pensiero di Erlich
e Duguit analizza l’esistenza di un diritto al di fuori dello Stato e ciò che
emerge è che le fonti giuridiche non sono solo riconducibili a quelle
statali ma ve ne sono altre che sotto taluni aspetti possono superare
quelle di produzione statale.
Per Gurvitch tre sono le manifestazioni del diritto, nelle società
industriali e socialmente complesse, la cui gerarchia varia in relazione al
tipo di società.
La prima è il diritto statale che pretende di monopolizzare la vita
giuridica, la seconda è il diritto individuale o intergruppale che unisce
gruppi ed individui, la terza il diritto sociale che deriva da una forma di
socialità in cui più individui si uniscono per formare una entità
collettiva49.
Di conseguenza, poiché lo Stato è chiamato a mettere ordine negli
scambi tra individui e gruppi lo sviluppo del diritto sociale dipende dal
diritto prodotto nella società. Pertanto egli non attribuisce allo Stato la
48
N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale (Renard e Gurvitch), Rivista internazionale di filosofia del diritto, Roma,
Anno XVI, 1936, p. 400.
49
G. GURVITCH, L’ experience juridique et la philosophie pluraliste du droit, Pedone, Paris, 1935, p. 52.
23
prerogativa di emanare regolamentazioni con validità ed efficacia
superiore a quella prodotta dal tessuto sociale.
La posizione dell’autore può essere ben riassunta da un pensiero di
Ehrlich: “Solo una parte infima dell’ordine giuridico della società […]
può essere interessata dalla legislazione dello Stato e la maggior parte del
diritto si sviluppa indipendentemente dalle proposizioni giuridiche
astratte”50.
Gurvitch considera il diritto posto dallo Stato come qualcosa di
totalmente diverso dal “diritto vivente” nei rapporti sociali in quanto
caratterizzato dall’astrattezza e dalla separatezza. Far coincidere il centro
che unifica e stabilizza la pluralità del diritto insito nella società con lo
Stato è un grave equivoco, poiché la sintesi unificatrice può essere data
solo dai vari gruppi o meglio dalle società globali le quali non si
identificano necessariamente con lo Stato.
Al riguardo scrive: “E’ indiscutibile che nella realtà della vita sociale il
diritto abbia un effettivo potere regolatore soltanto quando è
relativamente unificato in un ordinamento giuridico, o meglio ancora in
un sistema giuridico. In questo senso la sintesi e gli equilibri costituiti dai
gruppi e dalle società globali prevalgono nella vita sociale sulle forme di
socialità”51.
50
51
E. EHRLICH, citato in G. Gurvitch, AA. VV. (a cura di G. Gurvitch)“ Trattato di sociologia”, Milano, p. 269.
G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 243.
24
La sintesi quindi, non appartiene esclusivamente allo Stato, e ciò è
evidente nel momento in cui si analizzano le forme della costrizione che
secondo l’autore sono connaturate, anche se non sempre operanti, nel
concetto di diritto.
L’autore ritiene infatti che il diritto concernente le forme sociali meno
complesse sia la base di ogni altro potere giuridico, e di conseguenza che
i vincoli giuridici originati dal diritto sociale siano più intensi e più rigidi
di quelli originati dal diritto interindividuale “poiché la socialità per
interpenetrazione è superiore alla società per interdipendenza (essendo il
Noi, l’unione intuitiva, virtualmente presente dietro ogni comunicazione
simbolica, dietro ogni rapporto con gli altri), il diritto sociale prevale sul
diritto individuale, poiché costituisce la base per ogni regolamentazione
giuridica delimitativa”52 .
A tal proposito Gurvitch afferma: “Lo Stato non è altro che un piccolo
lago profondo nell’immenso mare del diritto che lo circonda da ogni
parte”53; il potere giuridico, la fonte principale del diritto ed il diritto
stesso risiedono nei fatti normativi che “in un solo e medesimo atto
generano il diritto e fondano la loro esistenza sul diritto […] creano il
loro essere generando il diritto che serve loro di fondamento”54.
52
Ivi, p. 259.
G. GURVITCH, L’idée du droit social, Paris, 1932, p. 152.
54
Ivi, p. 119.
53
25
Questo mare è quindi rappresentato da una molteplicità di fatti normativi
generata da diverse forme associative, che si contrappongono al diritto
dello Stato.
Di conseguenza ogni forma di socialità può diventare fonte del diritto, di
modo che “le forme di socialità svolgono accanto e nell’interno dei
gruppi e delle società globali in cui sono integrate, la funzioni primarie
del diritto, funzione assai decisiva ed importante, essendo impossibile
capire la vita giuridica dei gruppi e delle società globali senza tener conto
della vita giuridica delle forme di socialità”55.
I fatti normativi così considerati per Gurvitch possono essere di due tipi:
da una parte i fatti della “relazione con gli altri” e della socialità per
delimitazione ed equazione, dall’altra i fatti della unione e della
“socialità per comunione ed interpenetrazione”.
Questi due tipi di fatti normativi si relazionano rispettivamente a due tipi
di valori ossia quelli personali e quelli transpersonali così come si
ricollegano due diversi tipi di diritto, ovvero uno individuale e uno
sociale.
Gurvitch nel suo pensiero privilegia il secondo tipo di fatti normativi,
ossia “i fatti dell’unione e della socialità per comunione o
55
G.GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 174.
26
interpenetrazione”56 esaltando di conseguenza i valori traspersonali
rispetto ai personali, del diritto sociale rispetto all’individuale.
Poiché il principio pluralista contiene in sé vari significati Gurvitch
stesso procede, nel suo lavoro La dichiarazione dei diritti sociali, ad una
analisi dei medesimi, ovvero del pluralismo dal punto di vista
sociologico, come ideale e come tecnica.
Dal punto di vista sociologico, il pluralismo è un fatto osservabile in ogni
società intesa come microcosmo di gruppi particolari che si limitano, si
combattono, si combinano, si ordinano genericamente nell’insieme
unitario, tale microcosmo consente le più varie combinazioni
condizionate della situazioni storiche.
Lo svolgersi della vita sociale è dunque caratterizzato da un pluralismo
fondamentale di fatto, poiché la misura della molteplicità, la funzione e
l’intensità dell’autonomia possono variare ma mai scomparire dato che la
tensione tra i gruppi e i loro dinamici equilibri costituiscono “la
sostanziale materia sociale”57.
Per questo il pluralismo sociale di fatto secondo l’autore può “ servire al
bene e al male”58 ovvero “alla democrazia o all’autocrazia, cosicchè
nella società contemporanea questo si manifesta nel feudalesimo
economico, nella lotta di classe, nello sviluppo del diritto operaio e nelle
56
R.TREVES, Saggio introduttivo a Sociologia del diritto, cit, p. XXIII.
G.GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociale, Soveria Mannelli, 2004, p. 59.
58
Ibidem.
57
27
istituzioni dirette ad “equilibrare i diritti dei produttori e dei
consumatori”59.
Al pluralismo di fatto, ovvero dal punto di vista sociologico si
contrappone il pluralismo come ideale. Il pluralismo come ideale è “un
ideale morale e giuridico, che consiste in una armonia tra la molteplicità
e l’unità che si generano reciprocamente, un equilibrio tra i valori
personali ed i valori dei gruppi e degli insiemi, un’immanenza reciproca
tra le parti ed il tutto”60.
Nell’analizzare
l’ideale
democratico,
omettendo
le
espressioni
simboliche storiche, appare evidente che il fondamento della democrazia
è insito nel “principio di equivalenza tra i valori personali ed i valori dei
gruppi, che si realizzano per mezzo della varietà dell’unità, il che
significa che l’ideale democratico ha la sua fonte nell’ideale pluralista”61.
A tal proposito Gurvitch chiarisce che la sintesi di libertà e di
uguaglianza sulla base della fratellanza, con la quale si esprime l’ideale
democratico accentua il molteplice grazie alla libertà, l’unità grazie alla
fratellanza, e la sintesi tra le due grazie all’uguaglianza delle persone e
dei gruppi che partecipano alla comunità fraterna62.
59
Ivi, p. 60, è la “sociografia dei gruppi e delle forme di socialità, che si occupa nella sociologia moderna dello studio
descrittivo del pluralismo di fatto. Cfr. in G. GURVITCH, Essais de Sociologie, Paris, 1938, pp.1-112 e in Elèments de
Sociologie juridique, Paris, 1940, pp. 6-202.
60
Ibidem.
61
Cfr. Ibidem.
62
Ibidem..
28
Ogni principio è quindi applicazione e presupposto degli altri, e di
conseguenza nella costruzione di Gurvitch la libertà, come libertà
collettiva, di gruppo ed individuale, presuppone sia l’equivalenza dei
gruppi autonomi che di persone libere in una unione integrante libera
espressione della spontaneità creativa.
Quindi “l’uguaglianza non è identità ma equivalenza tra individui e
gruppi dissimili, cosi come equivalenza tra parti ed tutto; uguaglianza è
dunque il principio costitutivo di una unità immanente e fraterna, di una
comunità fondata sulla collaborazione,unione di un “Noi” che non si
aliena in una totalità trascendete, e che non ammette la sua proiezione
come oggetto esterno o soggetto superiore al di sopra della molteplicità
dei suoi membri, dai quali lo separerebbe un abisso”63.
Infine, l’autore considera il pluralismo come tecnica che deve essere
distinto sia dal pluralismo di fatto che dal pluralismo come ideale poiché
è un metodo speciale impiegato in circostanze particolari per la
realizzazione della libertà umana e dei valori democratici.
L’applicazione di un ideale pluralista ad un pluralismo di fatto non
coincide in ogni caso ad un uso della tecnica pluralista, poiché questa
deve servire a limitare lo Stato creando degli effettivi contrappesi tra una
costituzione politica e una costituzione sociale, ovvero tra la democrazia
politica e quella economica, tra la proprietà pubblica e quella privata, tra
63
Ivi, p. 61.
29
i produttori ed i consumatori, tra questi ultimi e l’insieme dei cittadini.
Questa tecnica deve, quindi, diventare l’ispirazione principale di una
nuova dichiarazione di diritti.
Gurvitch ritiene che non può essere escluso che attraverso l’applicazione
della tecnica pluralista determinati gruppi portatori di interessi egoistici,
quali gli interessi che poggiano sull’assolutismo della proprietà privata e
sul profitto, siano eliminati dalla varietà indispensabile dei gruppi poiché
la tecnica pluralista essendo al servizio di un ideale compiere sempre una
scelta nella varietà inesauribile dei gruppi, “portando all’eliminazione di
alcuni di essi in favore di altri o realizzando combinazioni ed equilibri
nuovi tra di essi, al fine di regolare l’equivalenza tra i gruppi più
importanti per attuare l’ideale democratico e l’interesse generale nei suoi
molteplici aspetti”64.
La tecnica, così elaborata, non ha come effetto l’indebolimento dello
Stato e della democrazia politica, ma la loro limitazione a quelle funzioni
e competenze per le quali il potere politico e lo Stato sono realmente
qualificati poichè “non si rafforza l’autorità di una organizzazione
attribuendole funzioni che è incapace di esercitare al contrario questo è il
modo migliore per diminuire questa autorità”65.
64
65
Ivi, p. 62.
Ibidem.
30
Aristide Tanzi sintetizza il percorso teorico di Gurvitch, sottolineando
che il pluralismo costituisce lo strumento per tentare “di risolvere
all’interno dell’ordine sociale il problema del limite del potere statale,
ampliando in particolare di diritto […]. Il pluralismo giuridico - in più non può essere separato dal pluralismo sociale dal rilievo dato alla
componente economica che ne fa da supporto, dal richiamo cioè alla
salvaguardia dei gruppi sociali e delle loro autonomie, privilegiando così
il decentramento come momento correttivo e complementare di una
economia pianificata e concentrata, elemento inscindibile per l’avvento
di uno Stato sociale. Si aggiunga inoltre il fatto che il ‘pluralismo’, sia
cronologicamente sia concettualmente appare come uno dei momenti
attraverso cui Gurvitch è stato condotto a rinvenire, oltre lo stesso ambito
giuridico, una sua visione della realtà delle istituzioni che ha poi trovato
una sua qual compiutezza nella teoria delle “società globali”. Ha
costituito cioè la fase nella quale, acquisita consapevolezza delle
inadeguatezza dello Stato a rappresentare totalmente ed ad esprimere i
bisogni e la dialettica della società civile, Gurvitch ha abbandonato
l’angolazione tecnico-giuridica per giungere, anche a seguito di una
rilettura delle opere marxiane ad una vera e propria critica della
società”66.
66
A. TANZI, Georges Gurvitch. Il progetto della libertà, Pisa, 1980, p. 98.
31
La visione pluralistica della realtà sociale e la costruzione di una teoria
sociologico-giuridica capace di assicurare la sostanziale limitazione del
potere dello Stato favoriscono in Gurvitch una precisa presa di posizione
nei confronti del potere politico, tanto che l’autore non tralascia il
riscontro operativo delle scelte concettuali formulate che portano tutte al
sostegno e alla valorizzazione della democrazia67.
Questa scelta risulta chiara dalle conclusioni cui il filosofo perviene nel
suo percorso di lavoro: “Se la sovrastruttura organizzata è tale da
comportare tutte le possibili garanzie di penetrazione da parte della
socialità spontanea, il diritto che deriva dalla sovrastruttura organizzata
stessa, è radicato nel diritto organizzato, il che porta un diritto sociale
organizzato di tendenza democratica, il quale crea organizzazioni di
collaborazione”68.
Gurvich continua sostenendo che “L’intensità delle costrizioni, che
sanzionano tale diritto, è ridotta in questi casi al minimo, poiché la
violenza delle costrizioni, trascurando ogni altro fattore è direttamente
proporzionale alla misura del conflitto, tra diritto organizzato e diritto
non organizzato”69.
L’autore, come prima cosa rileva che il diritto di integrazione lascia
spazio all’espansione della violenza nel momento in cui si verifica il
67
Cfr. su questo aspetto lo studio critico di A. TANZI, G. Gurvich. Il progetto della libertà, cit, 1980.
G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 194.
69
Ivi, p. 195.
68
32
passaggio tra il diritto organizzato ed il diritto spontaneo con la
conseguente affermazione di un potere basato su fattori mistici e non
giuridici.
Quando si accerta questa transizione si instaura il diritto di
subordinazione che produce rapporti sociali in cui la dominazione è di
massimo livello.
Tale effetto negativo giustifica nell’autore il giudizio di fondo espresso
nei confronti dei regimi totalitari e delle teocrazie orientali, portandolo
verso la valorizzazione ed il sostegno della democrazia, pur mantenendo
una critica nella forma tramandataci dalla modernità in quanto incentrata
su una impostazione individualistica di stampo monistico.
Per quanto detto Gurvitch avverte la necessità di prodigarsi per
l’attuazione di una democrazia pluralista, capace di consentire il pieno
dispiegamento delle molteplici sfaccettature e di dare consistenza alle
differenti componenti di autonomia operanti al suo interno.
Quasi anticipando il dibattito contemporaneo sull’essenza della
democrazia l’autore analizza in chiave problematica l’idea stessa di
democrazia come metodo e le connesse formule generiche, che riducono
la nozione del termine e che sono state sostenute nel corso del tempo
dagli studiosi70.
70
Cfr. Per un ulteriore approfondimento A. SCERBO, Diritti sociali e pluralismo giuridico in Gurvitch, in Trigor:
rivista di scienze della comunicazione – A. III (2011) n.1( gennaio-giugno), pag. 45-53.
33
Particolare attenzione viene dedicata all’opera di Rousseau, al quale
l’autore riconosce il merito di aver sintetizzato i caratteri fondamentali
dell’anima democratica mediante la teorizzazione del principio della
volontà generale, concepita come l’idea di una sostanza razionale
presente in tutti gli individui e resa operativa dal suffragio universale.
Tuttavia, Gurvitch non manca di evidenziare i limiti strutturali del potere
democratico inteso da Rousseau, che derivano dalla sostanziale
coincidenza tra volontà generale e volontà di tutti e portano a considerare
solo l’aspetto operativo della vita democratica, con l’esaltazione del
valore del consenso in termini di calcolo numerico.
Infatti la stessa idea di libertà individuale impallidisce davanti all’esito
delle deliberazioni, soprattutto perché la singola scelta non appare più
come il risultato della volontà dell’individuo, ma come la ma
infestazione di una volontà superiore, detentrice della misura delle
cose71.
Per il filosofo la visione della sovranità popolare appare non come un
dato acquisito ma come oggetto di ricerca da porre a sostegno delle
istituzioni statali, modificazione in senso qualitativo dell’uguaglianza
concepita in senso sostanziale e non solo formale con la conseguente
attribuzione al principio di libertà di maggior concretezza.
71
Cfr. Ibidem.
34
Tutto ciò determina una nuova prospettiva dell’ideologia democratica,
che rende inaccettabile le teorie di formazione atomistica ed impone una
revisione del fondamento tradizionalmente assunto.
Partendo da una attenta analisi dei principi costitutivi dell’ideale
democratico per l’autore la premessa filosofica non si trova in una
matrice
individualistica,
ma
in
una
prospettiva
che
sintetizza
individualismo e universalismo, secondo la quale le parti si compongono
con il tutto in un rapporto di interpenetrazione dell’unità e della
molteplicità, in cui si prospetta l’equivalenza tra i valori personali e
transpersonali.
Sono queste le premesse che Gurvitch pone a base della sua teoria del
diritto con la conseguenza che la filosofia giuridica elaborata dal
pensatore diviene una scelta politica di tipo democratico, in cui il
concetto di democrazia che ne deriva è profondamente connesso con
l’idea di diritto sviluppata secondo il modello transpersonalistico72.
Il principio dell’unità nella varietà applicabile alla dottrina giuridica
pluralista costituisce il fondamento anche della teoria politica
democratica, poiché da un lato impedisce di identificare il diritto con la
forza, dall’altro di pensare allo Stato come strumento per la realizzazione
di un ordine coercitivo incondizionato destinato al controllo sociale.
72
Cfr. A. OLGIATI, Il traspersonalismo di Gurvich , in Il concetto di giuridicità nella scuola moderna di diritto,
Milano, 1943.
35
Da quanto detto, si comprende come la scelta democratica di Gurvitch
sia legata al problema giuridico e soprattutto al bisogno di recuperare
un’intima connessione tra il diritto e l’organizzazione sociale, secondo
l’autore “la democrazia è la via indispensabile, la sola possibile, verso la
realizzazione del diritto all’interno di una organizzazione sociale”73.
L’assunto ha una valenza bidirezionale inerente il diritto e la politica, in
quanto non è soltanto l’organizzazione di governo democratica a
garantire la configurazione di un ordine giuridico radicato nella società,
ma al contrario è anche il diritto a definire l’identità del potere e ad
assicurare una condizione politica caratterizzata dalla subordinazione del
potere al diritto.
Per Gurvitch, l’antidemocraticità è il caratterizzante di ogni teoria che
antepone il potere al diritto, poiché anche se involontariamente o
indirettamente, pone le premesse per l’instaurazione di un regime
fondato sull’autolegittimazione del potere, sulla mancanza di controlli
efficaci e sulla tendenziale arbitrarietà dei comportamenti.
Per questa ragione il processo di realizzazione della democrazia è
inseparabile dall’idea del diritto, in quanto è proprio di un regime
“autenticamente democratico l’affermazione di un reale potere del
73
Traduzione mia, G. GURVITCH, “L’experience juridique et la philosophie pluraliste du droit”, cit, p. 252.
36
diritto”74 con la conseguenza che tutti gli atti del potere esecutivo sono
soggetti al controllo di legalità da parte degli organi della giurisdizione;
“a forza di essere pervase di diritto, le relazioni di organizzazione si
trovano subordinate ad un genere particolare di diritto, il diritto
sociale”75.
Quanto espresso nelle righe che precedono può essere considerato, la
sintesi del complesso percorso intellettuale di Gurvitch, poiché coniuga i
fondamenti dell’impianto filosofico, le risultanze dell’analisi sociologica,
i risvolti della dottrina giuridica e le applicazioni della scienza politica in
un
quadro
unitario
che
mostra
come
la
problematizzazione
dell’esperienza giuridica permette di scoprire la forma di diritto più
rappresentativa della natura sociale dell’uomo, e di conseguenza più
rispondente alle esigenze e alle aspettative della realtà e quindi ad
indirizzare verso la definizione delle regole di funzionamento del potere
politico.
Gurvitch, dunque, trasforma la questione da specificatamente politica in
giuridica focalizzando altresì che il problema della democrazia deve
caricarsi anche di una valenza economica, al fine di trovare soluzioni
74
75
A. SCERBO, Diritti sociali e pluralismo giuridico in Gurvitch, cit., p. 50.
Traduzione mia, G. GURVITCH, “L’experience juridique et la philosophie pluraliste du droit”, cit, p. 254.
37
adatte alla formazione di una forma organizzativa tendenzialmente
“unitaria” e “completa”76.
Il sistema democratico, esprime con la massima chiarezza il significato e
la realtà, di una concezione pluralista e come l’autore stesso sottolinea
“l’avvenire della democrazia è nell’universalità e molteplicità delle sue
forme, nel suo carattere poliedrico, nella sua estensione continua a nuove
regioni dei rapporti umani, nel fatto che queste regioni danno dei limiti
esclusivi all’organizzazione politica stessa”77 e che rappresenta il metodo
più vantaggioso per arrivare ad una condizione “della libertà individuale
nella sua accezione più concreta con l’idea di uguaglianza”78.
Da quanto detto l’autore fa derivare che la democrazia politica ha
bisogno del sostegno della democrazia economica, dato che solo con
questo metodo è possibile attenuare le discriminazioni sociali, impedire
un esercizio arbitrario del potere capitalista ed assicurare la convivenza
tra le classi.
Gurvitch è proteso quindi verso una strada “riformista”, per allargare gli
spazi di democraticità e per valorizzare il ruolo dei gruppi che
partecipano attivamente alla vita economica.
76
Cfr. A. SCERBO, introduzione a G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit..
Traduzione mia, G. GURVITCH, Le principe dèmocratique et la démocratie future, in Revue de Métaphisique et de
Morale, 1929, p. 422. Saggio poi inserito nel volume L’experience juridique et la pholosophie pluraliste du droit, cit.,
1936.
78
Ibidem. Per una riflessione sul punto cfr. N. ABBAGNANO, La sociologia della libertà di Gurvitch, in quaderni di
sociologia, 1955, n. XVIII.
77
38
Tutto ciò si realizza per il tramite del diritto sociale, infatti la democrazia
acquista così il valore di forma di stato ideale, poiché espressiva ed
attuativa del diritto delle comunità, cristallizzando il fatto che “ogni
totalità sociale si afferma come la sorgente di un nuovo diritto obiettivo e
partecipe direttamente alle relazioni giuridiche interne alle quali danno
un limite”79.
Il preciso riferimento giuridico richiama il contrapposto diritto
individuale, ed è utilizzato da Gurvitch per chiarire che la distinzione
prospettata non rievoca quella tradizionale tra diritto oggettivo e diritto
soggettivo, né la classificazione del diritto in pubblico e privato, in
quanto tanto il diritto sociale che il diritto individuale contengono sia
elementi oggettivi che soggettivi e poiché sia il diritto individuale che
quello sociale partecipano del diritto privato quanto del diritto pubblico.
A tal proposito viene constatato dall’autore
che la ripartizione tra
pubblico e privato rappresenta un prodotto convenzionale dello Stato e
nonostante il fatto che alcuni autori hanno rilevato la presenza di esempi
di diritto sociale all’interno del diritto privato, un processo simile non è
stato avviato per il diritto pubblico dove al contrario, ritiene Gurvitch, si
possono riscontrare concrete espressioni di diritto individuale.
79
Traduzione mia, G. GURVITCH, L’experience juridique et la pholosophie pluraliste du droit, cit., p. 261.
39
E’ proprio questa coesistenza nel diritto pubblico a determinare la
struttura moderna dell’organizzazione del potere poiché evidenzia la
matrice individualistica della concezione dello Stato ed in questo modo
rende più agevole l’esercizio arbitrario dell’attività di governo
intaccando l’essenza stessa della democrazia politica.
Secondo l’autore quindi vi è la necessità di depurare dal diritto pubblico
l’ordine del diritto individuale, poiché la vera democrazia politica
comporta “la riduzione del diritto pubblico al solo diritto sociale”80.
A queste condizioni, la democrazia si prospetta come “l’istituzione della
sovranità del diritto sociale all’interno di una organizzazione, poiché si
propone espressamente lo scopo di strutturare l’organizzazione
sovrapposta alla totalità puramente oggettiva della comunione che in
definitiva costituisce il fondamento di ogni organizzazione”81.
Pertanto “il diritto sociale è l’essenza stessa della democrazia, egli
simbolizza giuridicamente ed incarna in sé l’idea dell’autogoverno
collettivo basato sull’uguaglianza e la libertà; per questo la democrazia è
il diritto sociale organizzato, la sovranità del diritto sociale è la
democrazia”82.
Secondo l’autore il medesimo meccanismo può essere applicato alla
democrazia economica, chiamata ad ispirare l’organizzazione industriale
80
Ivi, p. 263.
A.SCERBO, Rivista di scienze della comunicazione – A.III (2011), n. 1.
82
Traduzione mia, G. GURVITCH, L’experience juridique et la philosophie pluraliste du droit, cit, p. 263.
81
40
secondo i principi del diritto sociale, espressione l’essenza della
comunità oggettiva sottostante.
In Gurvitch quindi la democrazia sotto l’aspetto economico manifesta
“La ribellione del diritto sociale all’interno di quanto intrapreso contro il
suo
assoggettamento
anomalo
all’ordine
eterogeneo
del
diritto
individuale”83.
Quanto detto dimostra la necessità di una azione pubblica diretta a
modificare l’assetto della società capitalista, la quale è sostanzialmente
protesa al perseguimento e alla difesa degli interessi dei titolari delle
attività produttive, con il conseguente predominio di un ordine giuridico
ispirato al diritto individuale.
Il rinnovamento deve necessariamente basarsi sull’instaurazione di
rapporti di potere che si fondano sul diritto sociale dei gruppi, i quali
minano alle fondamenta il potere detenuto da un gruppo al fine di elidere
la problematica che scaturisce dalla soggezione e dall’influenza che
viene esercitata.
In questo modo l’autore manifesta un particolare favore per l’indirizzo
socialista, probabilmente anche a causa dell’esperienza vissuta in patria,
seguendo però un processo di rivisitazione che da un lato ribadisce il
rifiuto dell’individualismo capitalistico e dall’altro critica l’impianto
83
Traduzione mia, ivi, p. 264.
41
collettivistico definito dallo stesso autore di matrice statalista e a
struttura dirigista.
L’intento perseguito da Gurvitch è l’annullamento dell’esercizio del
potere dell’uomo sull’uomo, per sconfiggere l’idea della supremazia
dello Stato e per abbattere ogni forma di individualismo, aspirando in
definitiva alla sostituzione dell’interesse comune all’interesse particolare
in un campo come quello economico che è caratterizzato per
antonomasia dagli egoismi delle singole componenti.
Date queste condizioni e questi obiettivi si può parlare di una prospettiva
socialista
di
Gurvitch
in
campo
economico,
anche
favorita
dall’introduzione nell’assetto economico generale del diritto sociale con
il fine specifico di eliminare, o almeno attenuare, ogni influenza
derivante dal diritto individuale, tanto che il nostro autore arriva a
sostenere “la formula del socialismo è quindi perfettamente identica alla
formula della democrazia, e cioè la sovranità del diritto sociale.
Democrazia e socialismo nella loro vera accezione non hanno bisogno di
essere conciliati poiché rappresentano una sola e medesima cosa. Il
socialismo è l’aspetto economico della democrazia, e la democrazia non
potrà esplicare la sua vera essenza e le sue molteplici forze potenziali
finché rimarrà schiava dell’individualismo”84.
84
G.GURVITCH, L’experience juridique et la philosophie pluraliste du droit, cit., pp. 264-65.
42
Ritiene dunque l’autore che nella realtà sociale presa a riferimento, per la
realizzazione di valori democratici ci sia bisogno di tecniche nuove,
tecniche legate al principio pluralista le quali tengano conto della libertà,
della dignità e dell’autonomia delle comunità, dei gruppi, degli insiemi e
degli individui.
“Nell’attimo atopico come puro In-stante scompare il nesso incongruo
tra individuo, società, Stato. Si appalesa innanzi tutto l’insensatezza di
quel plesso che articolava, classicamente coniugava, il presupposto
originario
(individuo),
la
realtà
collaborativa
(società),
la
rappresentazione riassuntiva (Stato)”85.
85
C. B. MENGHI, Logica del diritto sociale, Torino, 2006, p. 9.
43
CAPITOLO II
IL DIRITTO SOCIALE
Nel periodo tra le due guerre mondiali, le aspettative nei confronti di uno
Stato che non si limiti alla garanzia dei diritti individuali, ma al contrario
intervenga sull’economia e sulla società per correggere gli squilibri, si
“nutrono di nuove interpretazioni complessive del diritto”86.
In particolare con l’elaborazione della nuova categoria del diritto sociale,
l’ordinamento giuridico è chiamato a tutelare non tanto e non solo la
sfera individuale, quanto l’armonia e la tenuta dell’ambiente sociale nella
sua pluralità87. Il diritto sociale non è prerogativa della socialdemocrazia
anche se la riflessione teorica che lo sorregge, pur manifestandosi anche
al di fuori delle sue fila, è nelle impostazioni del socialismo gradualista
che palesa
maggiormente le sue influenze88. Fra i propugnatori del
diritto sociale alcuni, come Laskj89, ne considerano soprattutto i risvolti
politici, altri, come Gurvitch, sono “impegnati a porne il fondamento in
ambito filosofico e giuridico”90.
Scrive Laskj: “Lo Stato mantiene le sue leggi non per le leggi in se
stesse, ma per l’azione che esse esercitano nei riguardi della vita dei
86
C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, Firenze, p. 141.
Cfr. Ibidem.
88
Cfr. Ibidem.
89
Cfr. H.J. LASKJ, Le origini del Liberalismo Europeo, Firenze, 1962. Sul complesso del suo pensiero si veda C.
PALAZZOLO, La libertà alla prova. Stato e società in Laskj, Pisa, 1979.
90
C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 142.
87
44
singoli cittadini. Ciascun cittadino cerca di raggiungere la felicità; ha
quindi bisogno di creare le condizioni senza le quali questo fine è
irraggiungibile. Egli giudica perciò lo Stato dalla sua capacità di creare
condizioni”91.
L’elenco dei diritti esposto dall’autore inglese comincia dalla sicurezza,
dal diritto al lavoro, dal diritto ad un salario ragionevole, dal diritto
all’educazione come mezzo di formazione della personalità, per
continuare in una commistione tra diritti liberali e democratici tra i quali
annovera il diritto di opinione, di voto e di partecipazione alla vita
politica92. Il diritto sociale è per Laskj lo strumento per superare la
concezione dello Stato moderno considerato il principale garante
dell’individuo nella sua qualità di detentore di beni materiali, e per fare
dello Stato stesso “un soggetto che sappia estendere di fatto i diritti fin
qui privilegio delle minoranze ricche”93. Infatti Laskj ritiene che una
teoria moderna dello Stato “non può essere che una continua ricerca di
socializzazione della legge”94.
Gurvitch conferisce alla nuova categoria una veste teorica più compiuta
nell’intento di porre le fondamenta di un diritto sociale che non consideri
91
H.J. LASKJ, Introduzione alla politica, Torino, 2002, p. 21.
Cfr. C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 144.
93
Ibidem.
94
H.J. LASKJ, Introduzione alla politica, cit., p. 36.
92
45
solo le garanzie individuali, “ma concepisca l’essenza vitale della
comunità”95.
L’autore, nell’indagine storica che correda la sua opera L’idèe du droit
social, espone quali debbano essere considerate le sue principali fonti di
ispirazione, tra le quali annovera la filosofia del diritto di due grandi
giuristi del primo novecento, Duguit e Hauriou.
In particolare Duguit aveva orientato la sua ricerca verso una regola di
diritto anteriore e superiore allo Stato in base alla quale giudicare
l’operato della legge positiva, e aveva identificato tale regola nell’ideale
<<dell’interdipendenza
sociale>>.
Secondo
Duguit
la
società,
considerata come cooperazione nella quale ognuno cerca di soddisfare i
propri specifici bisogni assumendosi in cambio il dovere della
solidarietà, deve essere osservata come il limite ed al contempo il
fondamento del diritto. Soggetti dell’azione sociale, nella visone
dell’autore, non sono quindi tanto gli individui quanto i gruppi, tanto che
“sindacati operai, sindacati padronali, associazioni delle varie categorie
di funzionari, federazione dei lavoratori intellettuali, associazioni
agricole […] tutti questi raggruppamenti si formano attualmente forze in
modo disordinato, ma tutti tendono allo stesso fine di integrazione
sociale”96. In questa costruzione, lo Stato non è considerato l’unico
95
96
C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 144.
L. DUGUIT, Traité de droit costitutionnel, Vol.1, Paris, 1921, p. 501.
46
depositario del potere di legiferare, “ma come un’istituzione di raccordo
fra una pluralità di soggetti giuridici dotati di autonomia normativa”97.
Secondo Hauriou invece, il problema fondamentale della legge è la
<<trasformazione>> dello stato di fatto in stato di diritto98 ed il suo
principio dinamico è la ricerca di integrazione fra lo Stato e la società
che richiede un equilibrio tra elementi spesso contraddittori come da un
lato le pulsioni individuali ed i bisogni della collettività dall’altro.
La norma è idea che diviene continuamente fatto sociale e si incarna in
quelle che Hauriou chiama <<istituzioni>> ovvero gruppi o corpi sociali
dotati del potere di disciplinare attraverso regole i rapporti interni e di
impegnarsi, attraverso ulteriori fatti normativi, con altri corpi sociali.
Un’istituzione nasce quando un determinato numero di soggetti valuta di
condividere un’idea di rilevanza sociale, sorge quindi, per volontà di
detti soggetti, ma non attraverso un rapporto contrattuale tra i singoli ed
il tutto. L’Istituzione, in definitiva, è la ragione fondante del tutto, l’idea
del gruppo che prevale sulle inclinazioni soggettive, tanto che se alcune
volontà individuali si scoprissero successivamente in disaccordo con gli
orientamenti dell’Istituzione, potranno recedere dalla partecipazione ad
essa ma mai modificare gli scopi del gruppo.
97
98
C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 145.
Cfr. M. HAURIOU, Précis de droit costitutionnel, Paris,1923.
47
Per Hauriou accanto alla continuità dell’istituzione e rispetto alle sue
premesse iniziali che ne determinano la stabilità e la durata, operano le
trasformazioni storico-sociali e “l’aspirazione al perfezionamento della
traduzione nella pratica dell’idea fondante”99 che conferiscono
all’Istituzione un continuo movimento innovatore. In questa costruzione
il diritto sociale si muove verso più direzioni, ovvero “all’interno
dell’Istituzione persegue solidarietà ed intimità di vedute fra i
membri”100, nella dinamica storica vigila che i miglioramenti giuridici
apportati dall’istituzione siano efficaci per avvicinarla alla perfezione
della sua idea fondante, ed infine, nell’ambiente sociale in cui la nuova
categoria serve a far si che gli scopi e le azione delle varie Istituzioni si
armonizzino verso il fine dello sviluppo della società nella sua interezza.
Scrive Gurvitch: “Hauriou riuscì sostanzialmente a conciliare la
sociologia del diritto con la filosofia del diritto senza confonderle tra
loro. Il punto di congiunzione tra di esse è, a suo avviso, l’istituzione,
alla quale l’Hauriou rivolge principalmente la sua attenzione. Dal punto
di vista filosofico è nell’istituzione che dobbiamo ricercare i valori e le
idee giuridiche oggettive, in particolare le molteplici manifestazioni delle
99
C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 145.
Ibidem.
100
48
idee di giustizia e di ordine, che costituiscono l’elemento ideale di ogni
diritto”101.
Se Duguit affidava la ricerca dell’armonia sociale soprattutto all’azione
autonoma dei gruppi, Hauriou riserva su questo piano un ruolo più forte
per lo Stato, considerato “l’Istituzione in grado di dar seguito concreto
all’idea di società in generale”102.
Ne deriva “l’aspirazione ad una specie di socialismo corporativo in cui le
associazioni sorgono e si sviluppano per forza propria, ma l’obbedienza
allo Stato le trasforma ciascuna in erogatrice di un servizio pubblico”103.
Gurvitch definisce la nuova categoria come un diritto di integrazione
distinto dai rapporti giuridici, che pur permangono nei sistemi politici
che adottano il diritto sociale, derivanti dalla tutela della sfera
individuale o dalla subordinazione di tutti all’ordine superiore dello
Stato. La sua funzione generale è “l’integrazione oggettiva di una totalità
attraverso la sistemazione della comunione tra membri”104.
La dottrina del Gurvitch105 nasce con un obiettivo preciso chiarito nella
sua opera L’idèe du droit social ovvero superare l’individualismo
101
G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 170.
C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 145.
103
Ivi, p. 146.
104
G. GURVITCH, L’idèe du droit social , Paris, 1932, p. 16.
105
Per l’esposizione critica della dottrina i due volumi di G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit. e Le temps présent
et l’idèe du droit social, Paris, 1932, dei quali il primo, oltre contenere l’esposizione critica del sistema rifà la storia del
diritto sociale dal sec XVI ai giorni nostri, il secondo applica la teoria del diritto sociale ai tre problemi più urgenti della
odierna scienza giuridica: il problema del diritto internazionale, quello del diritto del lavoro e quello delle fonti del
diritto. Per la giustificazione filosofica della dottrina, il volume, L’experience juridique et la philosophie pluraliste du
droit, Paris, 1935.
102
49
giuridico cosi come “i suoi due antipodi naturali, l’universalismo
tradizionalista e il collettivismo meccanicista, entrambi ostili all’idea
stessa di diritto, i quali altro non sono che una forma di
superindividualismo”106.
Nella sua costruzione l’autore si pone in forte contrasto con il principio
autoritativo del diritto, contro <<l’autorità personificata e soggettivata>>
che trasforma il diritto sociale in diritto subordinativo, ma non contro
<<l’autorità oggettivamente>>107 considerata poiché Gurvitch riconosce
che il diritto trae la sua forza obbligatoria108 dall’autorità, a condizione
però questa sia “oggettiva e impersonificabile”109.
Nel trattato del 1932 Gurvitch affronta quindi il problema delle relazioni
tra il diritto sociale e la potestà coercitiva dello Stato distinguendo in
proposito tra quattro tipi di diritto sociale. Il primo tipo è costituito dagli
ambiti di diritto sociale puro ed indipendente, superiore o almeno
equivalente per importanza al diritto dello Stato. L’autore esemplifica
queste forme di diritto sociale facendo riferimento al diritto
internazionale, al diritto non organizzato della Nazione in quanto
comunità, che dobbiamo sempre considerare prevalente rispetto alla
volontà dello Stato in quanto apparato; il diritto canonico legittimato
106
G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 9.
Cfr. N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch), in <<Riv. Int. di Filosofia del Diritto>>, 1936, p.
412.
108
Cfr. G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 19.
109
Ivi, p. 108.
107
50
dalle modalità della separazione tra lo Stato e la Chiesa, e quello che
Gurvitch definisce il diritto economico. Questo ultimo, è il potere che i
grandi soggetti economici, come gruppi e non come individui, hanno di
dare una autonoma veste giuridica ai rapporti economici, a volte anche
dopo confronti improntati alla lotta, come ad esempio nel caso dei
contratti collettivi di lavoro.
Un secondo genere è quello del diritto sociale puro, ovvero il diritto
dotato di una sfera di autonomia giuridica al di fuori del volere statale,
ma non del tutto indipendente, poiché sottomesso in alcune parti alla
tutela della legge in generale. In questa tipologia Gurvitch inserisce tutte
le azioni che lo Stato pone in essere per integrare i gruppi fra loro ed il
diritto che contrassegna e caratterizza le forme <<della proprietà
federalista>>, citando a tal proposito le società per azioni, le cooperative,
in cui lo Stato può assumere il compito di regolamentare alcuni rapporti
fra gli aderenti e l’istituzione, ad esempio tutelare il diritto di recesso dei
singoli.
Il terzo tipo di diritto sociale è annesso all’ordinamento statale ma con
autonomia giuridica riconosciuta ai gruppi, è il caso dell’autogoverno
locale, delle corporazioni di mestieri aventi carattere obbligatorio sancito
dallo Stato, le associazioni sindacali quando sono soggetti di diritto
pubblico, i sevizi pubblici decentrati, gli ordini professionali e le
minoranze etniche.
51
L’ultimo genere è quello del <<diritto sociale che si condensa in ordine
del diritto statale>>110 il che avviene “quando la tradizionale
interpenetrazione individualistica del diritto costituzionale democratico
viene rivista nel confronto con l’idea di diritto sociale”111 .
E’ quanto accade ogni volta che il principio della sovranità popolare,
come somma delle volontà individuali dei cittadini, viene integrata con
quella della volontà collettiva della Nazione.
Quest’ultima “non è una questione di tecnica della rappresentanza”112,
ma di apertura permanente delle istituzioni politiche alla partecipazione
dal basso, “un modo di riconsiderare i diritti come diritti di
partecipazione al tutto di ricostruzione dei rapporti politici in senso
federale”113.
Bobbio nell’illustrare i generi citati sostiene che Gurvitch procede alla
seguente specificazione: diritto sociale puro e diritto sociale condensato
nell’ordinamento giuridico di uno Stato, distinzione fondata sull’assunto
che il diritto sociale puro è sanzionato da <<una coazione
condizionata>> che ammette la possibilità giuridica di sottrarvisi
mediante l’uscita dalla totalità sociale e diritto sociale condensato
110
La tesi secondo cui il diritto statuale democratico non è un diritto subordinativo o d’imperio, ma un diritto sociale
condensato (diritto organizzato sovrapposto ad un diritto non organizzato), serve secondo l’autore, a risolvere quattro
tradizionali difficoltà della teoria dello Stato: il principio della sovranità del popolo, il problema della personalità
morale degli organi dello stato, il problema dei diritti pubblici soggettivi, il problema dello Stato federale. Cfr. G.
Gurvitch, L’idèe du droit social, cit..
111
C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 148.
112
Ibidem.
113
Ibidem.
52
nell’ordinamento giuridico dello Stato caratterizzato da <<una coazione
incondizionata>>, che non ammette la possibilità giuridica di
sottrarvisi114.
Altrettanto interessante è l’opinione di Renard. Sul significato di autorità,
scrive: “L’autorità non viene dagli uomini. Non dal basso: la legge del
numero. Non dall’alto: il diritto divino dei legisti. L’autorità non è una
qualità speciale per cui la volontà di questo o di quello si dimostri
superiore alla volontà del tale e del tal’altro: la volontà del principe o
della maggioranza superiore alla volontà dei soggetti o della minoranza:
l’autorità ha il suo fondamento immediato nelle esigenze della vita
sociale, quali si rilevano all’esame della ragione”115.
“L’autorità e quindi la forza obbligatoria della regola giuridica trovano
quindi il fondamento in Gurvitch, come per Renard, nel fatto sociale”116.
Il concetto di diritto si pone di conseguenza come concetto indivisibile
dall’idea di società; “il diritto è diritto sociale per eccellenza, quello
individuale […] è un fatto secondario rispetto al diritto sociale”117.
Analizzando la nuova categoria così come concepita bisogna rilevare che
per diritto sociale, in opposizione a diritto individuale, Gurvitch intende
il diritto di integrazione di una comunità distinto tanto dal diritto di
coordinazione che ha i suoi presupposti teorici nella dottrina
114
Cfr. N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch),cit., p. 412.
G. RENARD, La Théorie de l’istitution, Parigi, 1930, p. 618.
116
N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch), cit., p. 412.
117
Ibidem.
115
53
dell’individualismo contrattualistico, quanto dal diritto di subordinazione
che rappresenta non tanto una categoria giuridica a se stante, quanto
piuttosto una forma degenerativa del diritto sociale data dal suo
asservimento al diritto individuale. Per questo la posizione del diritto
sociale si determina due direzioni tipiche: “Come superamento
dell’individualismo dominante nella scienza e nella tecnica giuridica,
superamento già in atto nella realtà sociale soprattutto per il progressivo
formarsi delle associazioni economiche e della società internazionale, e
in potenza nelle più notevoli ed autorevoli elaborazioni scientifiche degli
ultimi anni da un lato, come opposizione allo statalismo giuridico di tipo
gerarchico monistico e universalistico, in relazione ai principi della
democrazia sociale dall’altro”118.
Per attuare questo superamento, l’autore propone la categoria di
<<transpersonalismo>>, considerato come “una concezione etica del
tutto particolare”119, che sintetizza la contrapposizione tra individualismo
e universalismo nell’idea di
<<flusso supercosciente di creazione
pura>> (Spirito), “la cui sostanza è formata da un’infinità di coscienze
personali indissolubili che partecipano all’atto creativo”120.
Gurvitch fonda sulla categoria del transpersonalismo la sua concezione
di diritto sociale inteso come diritto di comunione affermando che: “Il
118
Ivi, p. 400.
L. BRUNI, Per una economia di comunione – un approccio multidisciplinare, Roma, 2004, p. 156.
120
G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 10.
119
54
diritto sociale è un diritto autonomo di comunione che integra in modo
oggettivo ogni <<tutto>> attivo reale che incarna un valore positivo
fuori dal tempo. Questo diritto prende origine direttamente dal tutto, per
regolare la sua vita interiore, indipendentemente dal fatto che questo
tutto sia organizzato oppure no. Il diritto di comunione rende partecipi al
tutto in modo immediato, nella relazione giuridica che da lui emana,
senza separare questo tutto in un soggetto separato dai propri
membri”121.
Gurvitch definisce cosi il diritto sociale come un diritto di integrazione in
contrapposizione sia con il diritto di separazione delimitativa sia con il
diritto di subordinazione o di dominio. Il diritto sociale come diritto di
integrazione
“è
prodotto
da
ogni
fusione
parziale,
da
ogni
interpenetrazione del <<Noi>> che è alla base normale della vita di ogni
gruppo. Perché questo noi non si aliena e resta fedele a se stesso […]
ogni gruppo attivo, nel realizzare valori positivi, crea il proprio diritto di
integrazione, un sistema di diritto sociale”122.
Gurvitch evidenzia quindi come il diritto sociale renda i soggetti ai quali
si rivolge direttamente partecipi di un tutto, che a sua volta partecipa
direttamente ai rapporti giuridici dei suoi membri e per questa ragione
secondo l’autore il diritto sociale è fondato “sulla fiducia, sullo sforzo
121
122
Ivi, p. 15.
G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 71.
55
comune, sulla solidarietà, quanto il diritto di separazione e di
coordinazione delimitativa è basato sulla differenza e i conflitti”123.
Esso è un diritto autonomo di comunione riguardante totalità attive, volto
a disciplinare la vita della totalità stessa e a impegnarne i membri per la
parte della loro esistenza che riguarda il compito comune da compiere
quello che la comunità si è assunta.
Infatti la comunione del <<tutto>> che Gurvitch chiama anche <<totalità
immanente>> produce la sintesi tra l’uno e il multiplo, tra l’individuale
e l’universale, che si generano reciprocamente in un movimento continuo
di mutua partecipazione. Perché si realizzi questa comunione però c’è
bisogno <<dell’ideale morale>>, cioè lo <<spirito>>, “inteso come
flusso creatore supercosciente, alla cui attività creatrice concorrono
un’infinità di persone, considerate insostituibili, come valori in sé”124.
Questo <<spirito transpersonale>> costituisce anche l’incarnazione del
sociale alla massima purezza, e si può affermare che il tutto sociale porta
in se l’impronta dello spirituale. Nello specifico, accanto ad <<un essere
sociale ideale>>, l’autore colloca <<un essere sociale empirico o
reale>>, pieno di conflitti e di deformazioni, separato come da un abisso
dall’essere sociale ideale che non riesce mai a raggiungere. L’essere
sociale empirico non può, per Gurvitch, considerarsi <<sociale>> se non
123
124
Ivi, p. 72.
L. BRUNI, Per una economia di comunione – un approccio multidisciplinare, cit., p. 157.
56
nella misura in cui presenta una forma di relazione con lo spirito, ovvero
nella misura in cui si tratta di una realtà spiritualizzata.
Lo spirito però non può agire se non manifestandosi nella realtà sociale
empirica, e quindi la <<totalità immanente>> non è solo un ideale
morale, ma anche <<una tensione essenziale>>125 di ogni essere sociale
empirico verso l’essere sociale ideale, indipendentemente dalla distanza
che lo separa da questo.
“In questa tensione dell’empirico verso l’ideale che il diritto diventa il
sostegno più efficace nel processo di avvicinamento, poiché si pone
come intermediario tra la socialità ideale e quella empirica”126.
Nella costruzione dell’autore di fondamentale importanza è il nesso che
intercorre tra la transpersonalità della società e la funzione integratrice
del diritto sociale.
Il tutto sociale considerato come totalità immanente, è sintesi dinamica
dell’individuale e dell’universale, dei molti e dell’uno, è un sistema di
equilibri fondato sulla fusione delle prospettive reciproche.
Questa sintesi è quindi il prodotto dell’integrazione dei membri nel suo
seno: “La società è <<un tutto integrantesi>> per l’integrazione dei suoi
stessi membri, posto che per ordinazione si intenda[…] la in-ordinazione
125
126
Ibidem.
Ivi, p. 158.
57
di un membro nel tutto”127, ovvero l’introduzione in un ordine che si
attua in una comunione o collaborazione reciproca dei membri, e non in
una opposizione dei singoli, come avviene nell’ individualismo
contrattualistico, né in una sottomissione ad un tutto superiore come
nello statalismo gerarchico.
Ogni gruppo sociale è una <<totalità immanente molteplice>>, non
univoca,
perché
riunisce
soggetti
liberi
e
non
costretti
alla
subordinazione, ma nemmeno separata dai suoi membri, poiché è dotata
di “una ragione di esistenza e di azione che va al di là delle singole
volontà che la compongono”128.
Infatti sostiene l’autore che: “Integrare un membro in un <<tutto>>
significa farlo partecipe a questo <<tutto>> come un elemento di
generazione della sua totalità e secondo i principi della sua unità, senza
tuttavia sottomette l’elemento integrato a un comando unilaterale”129.
La totalità può quindi darsi una organizzazione interna e presentarsi
all’esterno come una persona collettiva complessa, “ma le sovrastrutture
dirigenziali, agiscono rettamente solo se rispettano le ragioni della
società non organizzata sottostante, in genere motivata da istanze
egualitarie e non verticistiche”130.
127
N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch), cit., p. 401.
C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 147.
129
G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 18.
130
Ibidem.
128
58
Osserva Gurvitch che non si entra in una organizzazione in virtù della
semplice ricerca131 di tutela dei diritti individuali, infatti la fusione
parziale che il diritto sociale richiede è una cosa diversa dalla semplice
disciplina delle relazioni tra soggetti distinti, dalla sociabilità ridotta a
una ricerca dell’equilibrio pacifico fra individui in posizione reciproca.
Poiché l’insieme formato dai soggetti del diritto sociale si crea per un
dinamico compito comune e non per una statica tutela delle differenze tra
membri cambia secondo l’autore la natura132 stessa dell’idea di diritto.
Il diritto passa da quella che per Gurvitch può definirsi una concezione
negativa o limitativa, ad una funzione che “[…] è anche un ordine di
collaborazione positiva, di sostegno, di aiuto, di conformazione. Bisogna
abituarsi a vedere nel diritto un ordine di pace, di unione, di lavoro
comune, di servizio sociale, oltre che un ordine di guerra, di separazione
disgiuntiva, di riparazione. Bisogna imparare a distinguere il diritto dalla
morale senza staccarlo da essa completamente, come avviene invece nel
procedimento individualista che oppone a torto la sfera esteriore che il
diritto deve rappresentare, dalla sfera unicamente interiore che la morale
deve incarnare”133.
Il diritto sociale proprio perché è strumento di integrazione in una
totalità, è anche esso dotato di una forma obbligante, specificatamente
131
Cfr. C.DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., pp. 147-50
Cfr. C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 147.
133
G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 19.
132
59
diretta verso i suoi membri dato che il suo compito è la regolamentazione
interna, e circoscritta agli scopi dell’organizzazione e non a tutti i
rapporti sociali dei membri stessi.
“La relazione giuridica che si instaura in una istituzione è data dalla
mutua compenetrazione delle aspettative e dei doveri dei singoli nella
vita e negli scopi del gruppo”134, quindi posto che il diritto sociale ha una
sua funzione primaria nella disciplina interna, esso produce anche un
potere sociale esterno del gruppo nei confronti di coloro che non
partecipano all’organizzazione.
Tuttavia i gruppi portatori di diritto sociale non sono tutti in condizione
paritaria all’interno del grande raggruppamento sociale costituito dalla
nazione, che Gurvitch definisce come la società sottostante all’istituzione
avente poteri generali, vale a dire lo Stato.
Infatti, il diritto sociale può essere particolare, come avviene per gli
interessi difesi da un sindacato, o comune, se riguarda un interesse
nazionale: in caso di conflitto, esiste una scala gerarchica ideale, in base
alla quale possiamo appellarci alla prevalenza dell’interesse comune nei
confronti di quello particolare.
Ritiene Bobbio che per comprendere il significato del diritto in funzione
dell’integrazione
134
sociale,
bisogna
“spogliarsi
dei
pregiudizi
C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 148.
60
individualistici e universalistici intorno alla nozione di diritto”135 e farlo
derivare non dalla norma generale o dalla volontà, ma dall’unione o
comunione associativa, processo a cui Gurvitch da il nome di <<fatto
normativo>>.
Nella dottrina del fatto normativo sta, secondo Bobbio, “la novità di
visuale della concezione giuridica dell’autore”136. Si è detto nella prima
parte del presente scritto che la differenza fra diritto sociale e diritto
individuale diventa evidente quando si considera che i fatti normativi da
cui trae forza obbligatoria il diritto individuale, sono completamente
diversi da quelli da cui trae forza obbligatoria il diritto sociale. I primi
sono i fatti della relazione con gli altri, della sociabilità per opposizione
reciproca, i secondi sono “i fatti della unione e della sociabilità per
fusione parziale”137, i primi danno origine ad una società per
delimitazione ed equazione, i secondi ad una società per comunione ed
interpenetrazione.
Il diritto sociale è quindi fondato sul fatto, in quanto trae la sua
caratteristica dal semplice fatto della comunione di persone, fatto che
come detto genera il diritto, e di conseguenza è definito normativo138.
135
N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch), cit., p. 401.
Ibidem.
137
G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 20.
138
GURVITCH ripropone in tutti e tre i libri, ovvero L’idèe du droit social, cit., pp. 132-153; Le temps présent et l’idèe
du droit social, cit., pp. 213-295; L’experience juridique et la philosophie pluraliste du droit, cit., pp. 138-152, il
problema delle fonti del diritto e afferma che per fonte del diritto si deve intendere “il fondamento della forza
obbligatoria del diritto in vigore; questa fonte, o fonte primaria o fonte reale del diritto, è costituita dai fatti normativi
136
61
Di notevole interesse è quanto sostenuto da Bobbio, secondo il quale la
teoria del fatto normativo inaugura un nuovo metodo nello studio del
diritto che può essere definito <<ideal-realista>>139 che supera i due
precedenti, tradizionalmente antagonistici, del sociologismo e del
normativismo, poiché cerca di non separare l’elemento ideale o
normativo dall’elemento reale o sociologico del diritto, ma di coglierli
entrambi in una visione unitaria.
La funzione sociale non è qualcosa di estraneo alla struttura giuridica, ma
anzi vi è immanente, di conseguenza la teoria del diritto deve essere
insieme “descrizione sociologica”140 e “determinazione normativa”141 del
fenomeno giuridico essenziale che è appunto il fatto normativo.
Il concetto di diritto sociale, quindi, commesso ai valori transpersonali,
opposto a quello individuale che esprime valori personali, si lega alle
differenti forme della socialità, da cui discendono le diverse forme di
estrinsecazione dei fatti normativi.
Nello specifico la socialità spontanea si presenta sotto due forme distinte,
ovvero la socialità spontanea per interpenetrazione, la fusione parziale
[…] quelle che si dicono comunemente fonti del diritto, la legge e la consuetudine, sono le fonti secondarie o fonti
formali e non sono altro che i procedimenti tecnici per la constatazione delle fonti primarie”.
139
Cfr. N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch), cit., p. 403.
140
Ibidem.
141
Ibidem.
62
del noi, e la socialità spontanea per interdipendenza, la mera
instaurazione dei rapporti con gli altri142.
Da questa bipartizione derivano diversi gradi d’intensità della socialità
spontanea, infatti se considera il grado della fusione parziale si individua
una integrazione superficiale che si esprime nella massa, una
integrazione più intima che si realizza nella comunità ed in ultimo una
forma di integrazione profonda al massimo grado rappresentata dalla
comunione.
All’interno di queste tre forme di socialità “l’intensità di fusione e la
forza di pressione non corrispondono affatto”143 poiché si instaura
secondo Gurvitch una relazione inversamente proporzionale tra intensità
ed espansione tanto che all’espansione di una corrisponde il
restringimento dell’altra, e ciò evidenzia come il maggiore equilibrio si
realizzi nell’ambito della forma intermedia dello stato di comunità e che
tale stato per questa ragione si rivela la forma più stabile e più sicura di
socialità.
Dal lato della socialità per interdipendenza, il differente grado di
intensità produce tre tipi di relazioni e nello specifico relazioni di
avvicinamento, di allontanamento e miste.
142
143
Cfr. G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 177.
Ivi, p. 179.
63
I rapporti con gli altri, quindi, esprimendosi in processi di unione o
separazione tra i gruppi e tra gli individui non si istaurerebbero senza
una preesistente fase di interpenetrazione, “poiché l’interdipendenza
presuppone sempre l’operatività di simboli comunicativi che possono
favorire l’unità delle coscienze solo in dipendenza di una precedente
unione intuitiva”144.
Secondo Gurvitch, il risvolto giuridico di tali connotazioni è dato dalla
caratterizzazione sociale ed individuale del diritto, infatti la differenza tra
le due forme di socialità esaminate, che come illustrato riflette i suoi
effetti sulle diverse modalità di estrinsecazione dei fatti normativi,
conduce direttamente alla concettualizzazione dl diritto sociale “inteso
come diritto di integrazione, di comunione e di collaborazione in una
totale antigerarchia”145.
Infatti,
strettamente
connesso
ai
risvolti
transpersonali,
poiché
espressione della socialità per interpenetrazione fondata sull’unione
intuitiva, il diritto sociale si differenzia dal diritto individuale, che
esprime valori personali, poiché manifestazione della socialità per
interdipendenza costituta sulla comunicazione simbolica.
Il diritto sociale è: “Diritto di pace, di aiuto scambievole, di lavoro in
comune, mentre il diritto individuale è diritto di guerra, di conflitto, di
144
A. SCERBO, Diritti sociali e pluralismo giuridico in Gurvitch, in Trigor: rivista di scienze della comunicazione – A.
III (2011) n.1( gennaio-giugno), p. 46.
145
G. GURVUTCH, Le temps present, et l’idée du droit social, cit., p. 7.
64
separazione”146. Di qui, la conclusione che ogni potere giuridico “è
funzione del diritto sociale […] sempre impersonale, oggettivo,
immanente, non costituisce mai una dominazione e non è proiettato al di
fuori della molteplicità dei membri che costituiscono un <<Noi>>. Al
contrario il diritto individuale, come diritto di separazione e di equazione
per eccellenza, non costituisce mai di per se stesso un potere”147.
Da queste premesse, si comprendono le ragioni poste a fondamento del
favore148 dimostrato dal Gurvitch per il diritto sociale, che non discende
mai da atti impositivi provenienti dall’esterno, perché è sempre un diritto
autonomo inerente ad ogni <<Noi>> particolare149, e poiché non posto
dall’esterno favorevole all’autonomia giuridica delle parti interessate.
Nell’approfondire il rapporto tra diritto e potere, La Torre osserva che in
Gurvitch il potere politico, anche “ là dove assume le forme estreme
della dominazione”150 si basa sempre su un qualche tipo di socialità, in
genere <<per interpenetrazione>>, talvolta, nei casi di <<dominazione>>
sulla socialità <<per interdipendenza>>, di modo che si può ritenere che
“il potere politico è saldamente vincolato al fenomeno giuridico”151.
Parallelamente con i diversi gradi della socialità per interpenetrazione
Gurvitch opera una suddivisione del diritto sociale: “come la socialità
146
G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 184.
Ivi, p. 185.
148
Cfr. A. SCERBO, Diritti sociali e pluralismo giuridico in Gurvitch, cit., p. 46.
149
Cfr. G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 184.
150
A. SCERBO, introduzione, la Dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 9.
151
M. LA TORRE, Norme,istituzioni, valori. Per una teoria istituzionalistica del diritto , Roma-Bari, 1999, p. 180.
147
65
per interpenetrazione si distingue secondo il suo grado di intensità in
massa, comunità e comunione cosi il diritto sociale ad essa
corrispondente può suddividersi in diritto sociale della massa, diritto
sociale della comunità e diritto sociale della comunione”152.
Il livello più superficiale d’integrazione è quindi realizzato dal diritto
sociale della massa in cui alla esclusività del diritto oggettivo segue la
negazione dei diritti soggettivi, ovvero Gurvitch sostiene che “il diritto
sociale della massa è caratterizzato dall’esclusività del <<diritto
oggettivo>> (prescrizioni) e dalla negazione quasi totale dei <<diritti
soggettivi>>”153, e per questo motivo da origine ad una specie di diritto
molto vicina al diritto subordinativo di dominazione.
Al contrario, il diritto sociale della comunità realizza il maggior
equilibrio
tra
“diritto
sociale
<<oggettivo>>
e
diritti
sociali
<<soggettivi>>”154, poiché la comunità costituisce da un lato
l’espressione di socialità più stabile ed efficace, dall’altro la fonte del
diritto più sicura, considerata la capacità di far emergere la distanza tra le
caratteristiche essenziali delle credenze giuridiche e tutte le altre.
Infine, il diritto sociale della comunione, “dovrebbe in teoria essere il più
intenso quanto a validità e il meno intenso quanto a violenza”155, tuttavia
l’autore sostiene che la comunione favorisce un diritto sociale con una
152
G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 185.
Ivi, p. 186.
154
Ivi, p. 187.
155
Ibidem.
153
66
validità più attenuata poiché la stessa è in genere fugace ed instabile e
legata all’influenza di fattori mistici e morali.
È interessante notare anche quale connotazione assume il diritto
individuale in rapporto ai vari tipi di rapporti connessi con la socialità
per interdipendenza, in particolare l’autore individua <<un diritto
interindividuale di allontanamento>> che si origina dal conflitto e si
manifesta nel diritto di guerra e nel diritto della proprietà alienabile;
<<un diritto individuale di avvicinamento>> che si manifesta in istituti
come la donazione e la concessione ed infine <<un diritto individuale
misto>> la cui manifestazione classica è il diritto contrattuale156.
Nell’analisi della costruzione và però inserito un ulteriore tassello in
merito ai piani di profondità delle diverse specie del diritto. Sotto questo
aspetto rileva il conflitto tra diritto organizzato e diritto non organizzato,
infatti Gurvitch precisa che: “Ogni diritto organizzato è sempre
sovrapposto ad un diritto non organizzato ed ogni diritto non organizzato
ha sempre la tendenza di coprirsi con una crosta più stabile e più fredda
di diritto organizzato”157.
156
157
Cfr. Ivi, pp. 189-192.
Ivi, p. 193.
67
Infatti “in ogni tutto sociale è possibile distinguere la sottostruttura della
comunità
oggettiva
non
organizzata
e
la
soprastruttura
dell’organizzazione sovrapposta”158.
L’organizzazione sociale non è elemento essenziale alla nozione di
diritto sociale, vi è infatti un diritto sociale non organizzato come vi è
quello organizzato e tra questi due piani fondamentali della realtà
giuridica sussiste una perpetua tensione derivante dal fatto che il diritto
organizzato non riesce “nel suo schematismo riflesso”159, ad esprimere a
pieno il diritto non organizzato più dinamico e più ricco di contenuto.
Importante è cogliere il rapporto tra i due, “il diritto sociale non
organizzato ha non solo geneticamente ma anche necessariamente
priorità sul secondo ed il secondo, il diritto sociale organizzato, deve
mantenersi strettamente aderente al primo”160.
Attraverso
questa
costruzione
Gurvitch
“rompe
la
necessaria
concatenazione tra diritto ed organizzazione, rottura che sembra essere il
passaggio essenziale e necessario per innalzansi dalla dimensione
dinamica della socialità a quella certa della giuridicità”161. Di
conseguenza “apre la strada ad una modalità di confronto più
articolata”162, secondo la quale esiste vero diritto di integrazione quando
158
G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 29.
G. GURVITCH, Sociologia del diritto, cit., p. 194.
160
N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch), cit., p. 404.
161
A. SCERBO, Diritti sociali e pluralismo giuridico in Gurvitch, cit., p. 47.
162
Ibidem.
159
68
è fondato sul diritto non organizzato prodotto dalla comunità sottostante,
quindi si assisterà all’espansione del diritto di subordinazione quando si
realizza il distacco tra diritto organizzato e diritto spontaneo e
l’organizzazione che ne deriva acquista il carattere di una associazione di
dominazione163.
Il campo della sovranità giuridica non organizzata costituisce il
fondamento del riconoscimento e della previsione di una pluralistica
diffusione degli ordinamenti giuridici, che tra l’altro “si preannuncia
senza una precisa disposizione giuridica poiché questa è data dai
mutamenti a dalle variazioni dettate dalla storia”164.
Tale organizzazione ricostruisce intermini non formali il rapporto tra
società e diritto tanto che anche il soggetto politico più rappresentativo,
lo Stato, non solo non ha più il ruolo esclusivo nella produzione del
diritto, “ma è anche chiamato a confrontarsi, proprio sotto l’aspetto
giuridico”165, con le altre diverse realtà sociali.
Tuttavia, nella costruzione dell’autore, non tutte le forme di socialità
sono in grado di produrre diritto, infatti per svolgere questa funzione
163
Cfr. G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 30 “quando il diritto sociale organizzato si rende indipendente dal
diritto sociale della comunità non organizzata, esso perde il suo carattere di diritto di integrazione e si trasforma in un
diritto subordinativo, sostituendo all’associazione di collaborazione l’associazione di dominio”.
164
A. SCERBO, Diritti sociali e pluralismo giuridico in Gurvitch, cit., p. 49.
165
Ibidem.
69
“esse devono incarnare con la loro esistenza valori positivi e condivisi,
realizzanti per i consociati l’idea di giustizia”166.
Non è possibile concepire un diritto slegato dall’idea di giustizia, il
diritto in quanto tale rappresenta sempre e comunque uno sforzo per
raggiungerla, e la costruzione teorica dell’autore si caratterizza per il
rapporto tra questa e l’idea morale. Infatti Gurvitch partendo dalla
discordanza irrimediabile tra l’armonia dell’idea morale e la disarmonia
della realtà sociale concepisce la giustizia come strumento essenziale per
l’attuazione della morale, come momento indefettibile anteriore, distinto
da questa ed al contempo indispensabile per il raggiungimento della
morale stessa167.
La giustizia di per sé non è un ideale morale, ma “la razionalizzazione
dell’idea morale, l’idea morale in un ordine di stabilità e sicurezza”168.
Ogni diritto, invero, è il tentativo di realizzare uno dei molteplici aspetti
della giustizia in eterogenei ambiti sociali, a condizione che siano capaci
di garantire con la loro esistenza e la loro attività un minimo di validità
alle regole cosi statuite169. Quindi ogni sistema coercitivo ed ogni poter
per essere legittimati devono fondarsi su un diritto preesistente nella
realtà sociale che li organizza.
166
A. R. FAVRETTO, Dal pluralismo dei rapporti sociali al pluralismo della normatività. Individui e diritto in Tönnies
e Gurvitch, in Riv. di Sociologia del diritto n. 3, 1992, p. 67.
167
Cfr. L. BRUNI, Per una economia di comunione – un approccio multidisciplinare, cit., pp. 157-60.
168
N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch), cit., p. 402.
169
G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 70.
70
Secondo Gurvitch il diritto sociale come ogni diritto è fondato su una
corrispondenza ed una interdipendenza, tra pretese e doveri, secondo una
struttura imperativa-attributiva, è un sistema di diritto oggettivo ma
anche un sistema di diritti soggettivi, non disciplina solamente ma
attribuisce ai gruppi e agli individui interessati competenze e
rivendicazioni giuridiche autonome. La giustizia, quindi, “non è più
commutativa o distributiva, ma commutativa e distributiva ad un
tempo”170. Il diritto, come tentativo di realizzare la giustizia171, viene
determinato dal Gurvitch attraverso cinque punti che distinguono la
regola giuridica dal quella morale172, ovvero la regola giuridica è:
rigidamente determinata; multilaterale, quindi di carattere imperativoattributivo e non solo imperativo; il diritto è ordine; in quanto trae la sua
forza dal fatto normativo è sempre diritto positivo173; la coazione non è
elemento essenziale del diritto, di conseguenza il diritto positivo ha piena
validità anche senza coazione.
La sintesi dei concetti illustrati è espressa dall’autore nella Dichiarazione
dei diritti sociali, opera che, volendo esse soprattutto un manifesto
rivendicativo, non risponda ad esigenze dottrinarie per cui “Gurvitch a
170
G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 101.
Cfr. A. R. Favretto, Dal pluralismo dei rapporti sociali al pluralismo della normatività. Individui e diritto in
Tönnies e Gurvitch, cit., p. 69, che “mette in piena luce l’idea di giustizia come armonizzatrice di antinomie”.
172
N. BOBBIO, Istituzione e diritto sociale.(Renard e Gurvitch), cit., p. 402.
173
Cfr. G. GURVITCH, L’idèe du droit social, cit., p. 107 “la nozione di diritto naturale è una nozione contraddittoria,
al massimo si può distinguere un diritto positivo formale, constato cioè con procedimenti teorici formali, da un diritto
positivo intuitivo, constatato con una visione diretta ed immediata del fatto normativo […] e molte teorie del diritto
naturale confondono questa seconda specie di diritto positivo con il diritto naturale”, traduzione mia.
171
71
differenza dei suoi testi più teorici, sente qui la necessità di esplicitare
qui diritti al plurale”174, come rivendicazioni specifiche “che possono
essere intese come continuità del principio del diritto sociale”175, nel
tentativo di affiancare ai diritti del cittadino i diritti specifici del
produttore, del consumatore e dell’uomo in uno spirito di fratellanza tra
gli individui ed i gruppi.
174
175
C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 150.
Ibidem.
72
CAPITOLO III
LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI SOCIALI
3.1 Premessa alla dichiarazione dei diritti sociali
Nel 1940 Wells pubblicò un pamphlet, intitolato I Diritti dell’Uomo176
sostenendo l’assunto che, nel mondo contemporaneo, i diritti dell’uomo
erano in realtà completamente annullati dall’azione dei governi, non solo
nei paesi totalitari e avevano bisogno di essere riaffermati sia a livello
intellettuale sia a livello politico.
Nel 1944, Gurvitch delinea la conclusione di 15 anni di ricerche nel
campo della filosofia della legge in una Dichiarazione dei Diritti Sociali
che dedica specificamente al futuro della Francia, ma i cui principi
fondamentali sono evidentemente validi per la ricostruzione della società
in genere.
Il progetto di Dichiarazione dei diritti sociali è stato tradotto in Italia
solo nel 1949177 ed appartiene alla letteratura del tempo di guerra, ovvero
a quella letteratura programmatica che durante lo stesso conflitto ha
preparato il terreno
176
177
per la ricostruzione morale ed istituzionale che
Cfr. H.G. WELLES, On the Rights of Man, London, 1940.
Cfr. G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit..
73
avrebbe dovuto investire i vari Stati appena fosse stata riconquistata la
pace.
Il lavoro di Gurvitch non ha perduto il suo interesse anche se sono venute
meno le circostante contingenti in cui fu scritto, infatti conserva la sua
importanza considerato il contributo recato all’approfondimento teoretico
del problema ed alla sua concreta interpretazione istituzionale.
L’autore è mosso dalla convinzione che non sia più possibile una reale e
stabile democrazia politica se questa non viene integrata da un’analoga
democrazia economica, e di conseguenza coglie la necessità di analizzare
i mezzi idonei per garantire alla democrazia sociale ed economica un
contenuto quanto più concreto possibile.
Come sostenuto da Bobbio, il progetto dell’autore si distingue da ogni
altro tentativo compiuto dalla dottrina precedente poiché interpreta la
crisi dello Stato moderno, l’interna inadeguatezza del regime
democratico analizzata alla luce dei principi del pluralismo giuridico
definito “come uno degli aspetti più interessanti in cui si presenta nella
cultura contemporanea la polemica contro lo Stato moderno […] di
questo movimento di idee Georges Gurvitch, filosofo sociologo e
giurista, è oggi il teorico più agguerrito e il più autorevole portavoce”178.
Infatti, nella polemica dell’autore contro il monopolio giuridico dello
Stato, ed in senso ancora più ampio contro la concezione monistica della
178
N. BOBBIO, Introduzione alla Dichiarazione dei diritti sociali, cit., p.13.
74
società, concepita solo come società politica, il progetto di dichiarazione
e gli accompagnamenti teoretici che l’accompagnano acquistano grande
efficacia.
I principali motivi della costruzione progettata si possono richiamare
sinteticamente seguendo la traccia della prefazione fornita da Bobbio:
“In sede sostanziale, partendo dalla visione pluralistica dell’uomo, la
dichiarazione distingue nettamente tre sfere di diritti sociali, quelli del
produttore (diritti al lavoro, diritti del lavoro, diritto di libertà sindacale),
quelli del consumatore (diritti alla sussistenza, alla distribuzione della
ricchezza, alla sicurezza economica, alla gestione dei servizi, ecc) e
quelli del cittadino (diritti alla vita, all’educazione, alla libertà di
associazione e di professione)”179.
In sede formale, e per Bobbio questo è l’aspetto più interessante, la
Dichiarazione intende fondare la garanzia dei diritti sociali non più sui
principi dello Stato liberale poiché ritenuti insufficienti, quali la legalità,
la divisione dei poteri e la sovranità popolare, ma sul principio ispiratore
della società pluralista della limitazione reciproca e dell’equilibrio dei
gruppi, o, in concreto, dello sviluppo parallelo dell’organizzazione
politica (Stato) e dell’organizzazione economica, e all’interno di questa,
dell’ordinamento dei produttori e di quello dei consumatori180.
179
180
Ivi, pp. 26-7.
Ibidem.
75
Nella Dichiarazione dei Diritti Sociali, Gurvitch esplicita i legami tra la
dottrina del diritto sociale e le riforme legate ad un più fattivo intervento
dello Stato nelle questioni sociali181.
Nel capitolo intitolato I precedenti l’autore parte dalle posizioni assunte
nel periodo di guerra dal presidente statunitense considerando il discorso
di Roosvelt del 1941182 sulle <<quattro libertà fondamentali>>, ovvero la
libertà di parola ed espressione, la libertà di religione, la libertà dal
bisogno e quella dalla paura, alle quali il presidente aggiunge “il diritto
alle pari opportunità economiche, il diritto al lavoro, il diritto alle
assicurazioni, il diritto di beneficiare dei risultati del progresso
scientifico e del costante miglioramento del livello di vita”183. Cita
inoltre, quanto ipotizzato, senza seguito concreto, nel disegno di una
Nuova Dichiarazione dei Diritti184 avanzata nel gennaio del ‘43
dall’Istituto Statunitense di Pianificazione delle Risorse Nazionali ed un
analogo programma proposto a Filadelphia l’anno successivo dalla
Conferenza Internazionale del lavoro.
Obiettivi di questi ultimi progetti erano la piena occupazione, il
miglioramento delle condizioni di vita, l’istruzione e la qualificazione
181
Cfr. C. DE BONI, Lo Stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Vol.1, cit., p. 141.
G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 31.
183
Ivi, p. 32.
184
Cfr. National Resources Development, Report for 1943, Part.I. Post War Plan and Program, National Resources
planning Board, Washington, D.C., pp. 2-19.
182
76
professionale, il riconoscimento di un salario minimo vitale, la sicurezza
sociale e sanitaria, la difesa dell’infanzia e della maternità.
In ultimo Gurvitch cita i testi costituzionali degli ultimi decenni prima
della seconda guerra mondiale che contengono esplicitamente o
implicitamente dichiarazioni dei diritti sociali tra i quali include le tre
Dichiarazioni dei Diritti proclamate in Russia nel 1918, nel 1924-1925 e
la Costituzione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (U.R.S.S.) del
1936. Gurvitch osserva come queste corrispondano esattamente ai tre
periodi della rivoluzione sociale russa, ovvero “l’epoca della rivolta,
della lotta e delle guerre civili, l’epoca della vittoria contro gli avversari,
l’epoca della stabilizzazione e cristallizzazione dei risultati della
Rivoluzione”185. Passa poi ad analizzare la dichiarazione contenuta nel
capitolo X della Costituzione del 1936, in cui i diritti sociali si riducono,
nella maggior parte dei casi alle prerogative, ai doveri e ai compiti dello
Stato Socialista definito “parente prossimo dello Stato Borghese
servitore, protettore e signore, ma ancora più onnipotente e assoluto”186.
Tuttavia allo Stato Socialista è riconosciuto il merito di avere
“l’ispirazione indiscutibilmente migliore”187 poiché è sostenuto dal
tentativo di liberare il lavoro dell’uomo dal potere del denaro e del
profitto privato, anche se neppure in questa forma di stato gli individui e
185
G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 42.
Ibidem.
187
Ibidem.
186
77
i gruppi sono riconosciuti come centri attivi di tutela dei propri diritti
poiché non sono chiamati a controllare il potere dal basso e non ricevono
alcuna garanzia di autonomia e di libertà. “Restano fino a nuovo ordine
esclusivamente beneficiari della liberazione ottenuta per essi dallo Stato
Sovietico”188. Gurvitch, pur riconoscendo che i precedenti tentativi
possano essere considerati ricchi di insegnamenti non nasconde “un certo
sentimento di inquietudine e di apprensione”189 unito ad un sentimento di
delusione. Ii testi in questione non sarebbero vere dichiarazioni dei diritti
ma programmi e promesse di legislazione sociale dello Stato, in cui gli
interessati apparrebbero come beneficiari più o meno passivi e non come
“centri attivi di creazione e di difesa dei propri diritti sociali”190. Al
riguardo “Se il diritto sociale viene correttamente indentificato, con i due
aspetti paralleli della pressione dei gruppi sullo Stato e l’intervento dello
Stato per regolare l’azione dei gruppi, crea contraddizioni politiche ed
economiche che logicamente possono portare solo a un’organizzazione
sociale ed economica imposta dallo Stato, al corporativismo e al
totalitarismo, un vicolo cieco nel quale si trova ora la maggior parte dei
socialisti e dei liberali”191. Ciò sarebbe causato dal fatto che nei
precedenti citati mancherebbero totalmente i mezzi con i quali gli
interessati potrebbero lottare per l’attuazione e la tutela dei propri diritti,
188
Ibidem.
Ivi, p. 44.
190
Ibidem.
191
Cfr. N. CHIAROMONTE, Politics, Vol. II, n. 1, 1945.
189
78
“l’effettiva garanzia del legame indissolubile tra i diritti sociali e le
istituzioni e procedure democratiche è inesistente”192. Infatti, le
precedenti dichiarazioni non rafforzano la democrazia eludendo il
problema di raggiunge “un ulteriore grado di liberazione”193 necessario
per realizzare e difendere ogni vero diritto sociale, ovvero che ogni
individuo ed ogni gruppo diventino da “comparsa nella vita giuridica a
creatore e protagonista attivo”194, lasciando quindi irrisolta la questione
relativa alla capacità di uno Stato autoritario di soddisfare i diritti sociali,
o almeno la maggior parte di questi.
Per Gurvitch affinché una dichiarazione dei diritti sociali possa produrre
una vera liberazione, non può e non deve prescindere dalla tutela della
libertà umana in tutte le sue forme, pertanto malgrado i vari progetti ed i
testi costituzionali citati “abbiamo ritenuto di dover intraprendere questo
lavoro e ci siamo decisi a proporre un nostro progetto di Dichiarazione
dei Diritti Sociali”195.
Prima di illustrare il suo progetto, Gurvitch tuttavia si ferma ad
analizzare i motivi per i quali le precedenti dichiarazioni sono rimaste
prive di validità e di forza e hanno avuto un effetto meramente
declamatorio osservando che il problema dell’efficacia dei diritti e
fortemente legato alle tecniche ed alle procedure previste per la loro
192
G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 44.
Ibidem.
194
Ibidem.
195
Ivi, p. 45.
193
79
tutela. Infatti, chiarisce l’autore, che molti giuristi del XIX secolo hanno
considerato i diritti sanciti nella dichiarazioni solo come dei principi
morali privi di valore giuridico, ed avevano precisato che le dichiarazioni
dei diritti avevano un significato per coloro che credevano nell’esistenza
di un diritto naturale come diritto imprescrivibile, immutabile, superiore
nella sua validità al diritto positivo, ma cosi facendo “man mano che
perdeva consistenza questa dottrina, essi non trovavano più alcuna
giustificazione alle dichiarazioni di diritti”196.
Per Gurvitch questo tipo di argomentazione non sarebbe condivisibile
poiché non terrebbe conto di diversi aspetti fondamentali del problema
tra cui si individua il fatto di ignorare che la vita giuridica non si sviluppi
tutta sullo stesso piano, ma in piani di diversa profondità, ovvero <<piani
di diritto>>197 ed in merito a questo aspetto cita Deguit: “Al vertice la
legge suprema, superiore a tutte le altre, la Dichiarazione dei Diritti. Al
di sotto di essa, le leggi costituzionali, che le sono subordinate, ma che
sono superiori alle leggi ordinarie. Infine queste ultime che non possono
contenere alcuna disposizione contraria alle leggi costituzionali o alla
dichiarazione. Il sistema costituisce una forte tutela […] contro l’arbitrio
legislativo”198.
196
Ivi, p. 48.
G. GURVITCH, Eléments de Sociologie Juridique, cit., p. 167 e s.s. e Sociologia del diritto , cit, p. 221 e ss..
198
L. DUGUIT, Traité de Droit Costitutionel, vol. V.III, Paris, p. 644.
197
80
Il diritto formulato nella dichiarazioni non ha bisogno di essere un diritto
naturale per dimostrarsi indipendente e superiore al diritto dello Stato,
poiché esso esprime il diritto spontaneo della Nazione come diritto
dotato di un’immensa forza dinamica e che non può essere espresso in
nessuna organizzazione particolare manifestandosi pienamente “nel loro
insieme
variegato,
al
quale
è
superiore”199.
Le
dichiarazioni
rappresentano l’elemento più dinamico del diritto scritto, poiché
esprimono pienamente il diritto spontaneo e vivente della Nazione
trasmettendo questo dinamismo spontaneo all’intero ordinamento
giuridico e spingendo quest’ultimo verso trasformazioni continue ed
immanenti, “i diritti proclamati nelle dichiarazioni sono infatti i più
vicini ai valori ed alle idee giuridiche che costituiscono un elemento
essenziale ed indispensabile della vita di ogni diritto”200. In Gurvitch
questi valori e queste idee, adattandosi alle strutture sociali e alle
condizioni storiche concrete nelle quali devono trovare attuazione,
ricevono nei regimi democratici un simbolico riconoscimento nelle
dichiarazioni di diritti, e al pari di tutti i simboli diventano strumenti di
mediazione tra l’ideale ed il reale modificandosi al mutamento della
realtà sociale. “Non si può dunque201 fare a meno delle dichiarazioni dei
diritti nei regimi democratici come in generale dei simboli nella vita
199
G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 49.
Ivi, pg51.
201
Corsivo mio.
200
81
sociale”202; ciò comporta che: "Nella cornice di una società universale, là
esistono, per ciascuno di noi, tante società particolari quanti sono gli
interessi particolari […]. Questa è la chiave per tutti problemi che
possono essere sollevati dal conflitto tra diversi tipi di doveri sociali”203.
Secondo Gurvitch: “Il fine della Società è la fratellanza degli uomini e
dei gruppi, che si realizza mediante la molteplicità nell’unità, ovvero una
pluralità di associazioni di collaborazione paritaria, integrate nella
comunità nazionale e dirette alla protezione della libertà e della dignità
umana di ogni partecipante”204 ed ancora “il pluralismo dei gruppi e
degli insiemi autonomi ed equivalenti, che fungono da reciproci
contrappesi, costituisce una delle garanzie fondamentali della libertà
umana e dei diritti sociali dell’uomo”205. I diritti dell’uomo, di
conseguenza, diventano i diritti sociali dell’uomo, ma l’individuo non
viene assorbito dalla società e tanto meno dallo Stato ma, al contrario,
solo nella società pluralistica la difesa dei diritti dell’individuo viene
riconosciuta come uno degli interessi fondamentali del gruppo. Questo è
il motivo per cui l’autore distingue nettamente la sua Dichiarazione sia
dalle citate proposte di legislazione sociale sia dalla stesura di una nuova
Costituzione. Legislazioni sociali e costituzioni non esprimono giustizia
202
G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 52.
Cfr. G. GURVITCH, L’idée du droit social, cit., pp. 347-06.
204
G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 79.
205
Ivi, p. 99.
203
82
ma, al più, “un compromesso profondamente instabile fra società e Stato,
forza e giustizia”206.
Gurvitch precisa che il progetto di Dichiarazione dei diritti sociali è
fondato su una interpretazione particolare del concetto di diritto sociale
poiché il termine diritto sociale è stato spesso usato nel senso di un
diritto legato <<alla politica sociale dello Stato>>, nello specifico a
quella parte della legislazione di uno Stato riguardante la questione
sociale, ovvero quel complesso delle regole giuridiche, delle leggi statali
poste a protezione dei soggetti più deboli della società e dirette a
disciplinare l’intervento dello Stato in campo economico. Egli ritiene che
questa accezione non possa essere condivisa, poiché non tiene conto del
fenomeno del pluralismo giuridico nella vita reale del diritto, ovvero del
fatto che ogni insieme o gruppo possiede la capacità di produrre il
proprio ordine giuridico autonomo capace di regolare la propria vita
interna, pluralismo giuridico che l’autore definisce una conseguenza
diretta del pluralismo di fatto nella realtà sociale.
Come già sostenuto, alcune dichiarazioni dei diritti sociali si limitano a
formulare dei programmi di azione dello Stato e a parlare dei suoi doveri
e dei suoi diritti, ma non attribuiscono agli interessati, siano essi gruppi o
individui, alcun diritto sociale proprio, nessuna autonomia giuridica e
nessuna garanzia circa la propria libertà positiva ed il proprio ruolo
206
Cfr. N. CHIAROMONTE, Politics, cit..
83
attivo, in una prospettiva che non attribuisce nessuna facoltà di
autogoverno o di difesa dei propri diritti.
A ben vedere quindi, se il diritto sociale è solo regolamentazione statale
delle misure di aiuto e di distribuzione di benefici materiali, si dovrebbe
ritenere che anche i regimi autoritari e totalitari sarebbero capaci in linea
teorica, come le democrazie, “di realizzare un uguale diritto sociale
preoccupandosi del benessere materiale dei produttori e dei consumatori
resi però schiavi”207. Quindi, completare la Dichiarazione dei diritti
politici con una Dichiarazione dei diritti sociali, considerando le due
dichiarazioni necessariamente complementari, significa “proclamare i
diritti dei produttori, dei consumatori e dell’uomo, garantendo
un’effettiva partecipazione a tutti gli aspetti della vita, del lavoro, della
sicurezza, del benessere, dell’educazione, dell’attività culturale”208 e a
tutte le possibili manifestazioni dell’autonomia giuridica e del controllo
democratico da parte degli stessi interessati.
Gurvitch ricorda che Proudhon aveva sostenuto la necessità di
completare ed equilibrare la <<Costituzione Politica>> attraverso una
<<Costituzione Sociale>> indipendente di cui il primo pilastro dovrebbe
essere costituito dalla dichiarazione dei diritti economici dei gruppi e
207
208
G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 71.
Ivi, p. 74.
84
degli individui, dichiarazione che servirebbe da fondamento per
l’instaurazione della democrazia economica209.
Una dichiarazione dei diritti politici completata da una dichiarazione dei
diritti sociali significa da un lato proclamare sul piano giuridico la
negazione di ogni sfruttamento, di ogni dominio, di ogni arbitrio e di
ogni forma di diseguaglianza, significa negare ogni ingiustificata
limitazione della libertà dei gruppi e degli individui; dall’altro significa
proclamare il diritto degli individui e dei gruppi ad una organizzazione
pluralista della società, la sola capace di garantire la libertà umana.
Gurvitch analizza anche le resistenze che la realizzazione dei valori
giuridici simboleggiati dalla dichiarazione trova in un determinata
struttura sociale, poiché ogni dichiarazione dei diritti è inizialmente
diretta contro qualche cosa, contro quelli che l’autore definisce “gli
ostacoli che le dichiarazioni devono superare”210. Egli sostiene inoltre
che nel XVIII secolo, le dichiarazioni dei diritti sociali hanno dovuto
superare ostacoli relativamente semplici come eliminare le vestigia delle
antiche servitù feudali, ovvero i privilegi di nascita, l’autocrazia politica
e l’intolleranza religiosa. In esse, continua l’autore, lo Stato è posto come
unico difensore della libertà umana identificata esclusivamente con la
libertà individuale.
209
210
G. GURVITCH, L’idée du droit social, cit., 1932, pp. 360-66.
G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 53.
85
Di contro nel XX secolo, gli ostacoli che l’autore si propone di superare
con la sua dichiarazione dei diritti sociali, sono definiti dall’autore stesso
“molto più pericolosi per i valori democratici”211, infatti Gurvitch
osserva come il nuovo <<feudalesimo economico>> quello determinato
dal cambiamento del capitalismo, da prima fondato sulla libera
concorrenza ed ora capitalismo organizzato, ha portato nella vita politica
ed in quella economica alla supremazia delle grandi società per azioni,
dei trust, dei cartelli e delle istituzioni bancarie e di conseguenza al
sorgere di vaste organizzazioni di dominio autoritario che sfugge ad ogni
tipo di controllo democratico.
Il <<feudalesimo economico>> “non si accontenta più di asservire
milioni di uomini ad un potere arbitrario nella sfera economica; esso
forma un governo privato, che intervenendo continuamente nel normale
funzionamento della democrazia politica, provoca lo smembramento
dell’autorità dello Stato ed impedisce con il muro di denaro ogni
indispensabile riforma”212.
Al contempo, egli ritiene che i principi democratici non siano
riconosciuti nella vita quotidiana, che si svolge per la maggior parte degli
uomini nelle officine, nelle fabbriche o negli uffici e che sia scemata la
fede
211
212
nel valore di questi principi ed in coloro che li difendono.
Ibidem.
Ivi, p. 54.
86
“Viviamo nell’epoca dei Leviatani e se non impariamo ad adoperarli
come contrappesi gli uni contro gli altri per difendere la libertà umana
diventeremo loro schiavi”213 e sarebbe quanto le dichiarazioni dei diritti
dovrebbero impedire.
L’azione accresciuta e rafforzata dello Stato democratico potrebbe essere
diretta contro se stesso in quella che l’autore definisce ”dialettica
dell’intervento dello Stato”214 capace di abbattere gli ostacoli che si
frappongono allo sviluppo delle forze autonome dei gruppi
e degli
individui chiamati a limitare lo Stato ed a fungere da contrappeso in una
nuova organizzazione economica215.
Quanto più numerosi sono gli ostacoli che la realtà sociale pone, tanto
più le dichiarazioni dei diritti e le nuove tecniche di difesa della libertà
umana devono essere originali, combattive ed efficaci, infatti “le nuove
dichiarazioni dei diritti, fondate su simboli nuovi, devono essere
formulate per trionfare a seguito di lotte eroiche con avversari terribili,
per superare immensi pericoli e per sfruttare le più grandi difficoltà al
fine di servirsene per la piena attuazione dell’ideale democratico”216.
Ultimo dei problemi affrontati è quello della Proclamazione, infatti
Gurvitch si interroga su chi dovrebbe approvare la Dichiarazione: se
213
Cfr. G.D.H. COLE, Europe, Russia, and the Future, London-New York, 1940, p. 87.
G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 57.
215
Per una descrizione sociologica dei nuovi ostacoli alla realizzazione dei valori democratici cfr. G.
GURVITCH, Democracy as a Sociological Problem, in <<Journal of Legal Sociology>>, V.I, n. 1-2, 1942,
pp. 46-71.
216
G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 58.
214
87
questa dovrebbe essere approvata solo dall’Assemblea Costituente
politica, quale rappresentante dei cittadini, o anche dai produttori e
consumatori-utenti riuniti in un Consiglio economico Costituente
Nazionale. La risposta più logica ed auspicabile dovrebbe corrispondere
alla seconda ipotesi poiché quest’ultima deve essere considerata anche
quella
più
conforme alla tecnica pluralista ispiratrice della
Dichiarazione stessa.
La nuova Dichiarazione dei diritti sociali dovrebbe essere approvata
tanto dai cittadini quanto dai produttori e dai consumatori, per diventare
cosi una sorta di nuovo patto o di nuovo <<Contratto Sociale>> concluso
tra lo Stato e l’Organizzazione Economica Nazionale, capace di
obbligare e sottomettere alla dichiarazione stessa nelle loro relazioni, nei
loro
conflitti
e
nella
loro
collaborazione
e
a
difenderla
congiuntamente217.
3.2 Il produttore, il consumatore, il cittadino, l’uomo
Per continuare l’analisi della Dichiarazione dei diritti sociali appare
necessario soffermarsi sull’analisi di alcuni fondamentali articoli.
Tra essi spiccano l’art. II secondo cui: “Ogni uomo, ogni cittadino, ogni
produttore ed ogni consumatore, i gruppi come gli individui, sono
217
Ivi, p. 103.
88
riconosciuti liberi ed uguali tra di loro e nelle rispettive sfere della loro
attività”218 e l’art. IX per il quale: “La libertà individuale e collettiva
garantita dai diritti sociali è limitata soltanto dall’uguale libertà di tutti
gli altri individui e gruppi, come anche dalla loro fratellanza e dagli
interessi generali: politici, economici e culturali della Nazione”219. Il
progetto di dichiarazione di Gurvitch è suddiviso in: i diritti sociali dei
produttori, i diritti sociali dei consumatori ed i diritti sociali dell’uomo
che si equilibrano e completano reciprocamente completando ed
equilibrando i diritti politici dei cittadini.
Partendo dalla definizione del Zoon polikon Gurvitch osserva come da
un lato si debbano distinguere più aspetti dell’essere umano, infatti
quest’ultimo oltre ad essere un ente è un produttore, è un consumatore è
un cittadino e dall’altro come le categorie citate non esauriscono il suo
essere: “Sotto il produttore, il consumatore ed il cittadino alberga l’uomo
indipendentemente dalla sua qualità”220.
Infatti, ogni essere umano è al contempo produttore, consumatore e
cittadino e questo non impedisce che i rispettivi interessi di gruppo siano
diversi, al contrario vi sono alcune antinomie che si presentano sia
all’interno di ogni essere umano sia nella vita sociale e da qui deriva
l’esigenza di equilibrare tali interessi servendosi di tecniche speciali.
218
Ivi, p. 79.
Ivi, p. 81.
220
Ibidem.
219
89
Gurvitch sostiene che queste antinomie nella vita sociale spesso sono
nascoste da conflitti più visibili, cita ad esempio la lotta di classe in cui
produttori e consumatori fanno il più delle volte causa comune, ma dopo
aver eliminato o fortemente ridimensionato l’avversario comune,
l’antinomia indissolubile tra di essi torna il primo piano.
Per Gurvitch è produttore ogni uomo valido che si trova nella condizione
di età favorevole per svolgere un’attività continuativa, desidera ricevere
la massima retribuzione per il suo lavoro e desidera lavorare nelle
migliori condizioni.
Tuttavia, ogni essere umano, indipendentemente dal fatto che sia un
produttore, è per tutta la vita un consumatore, ossia avverte dei bisogni
che possono essere soddisfatti per mezzo di determinate attività.
All’interno della categoria dei consumatori, vi è un insieme più ristretto
che è dato dagli utenti, coloro che hanno interessi speciali in settori
particolari dell’industria come “ad esempio dell’imprese che producono
abbigliamento nei confronti delle manifatture di tessuti”221 o nei riguardi
di uno specifico servizio come ad esempio “il caso dei genitori degli
scolari che hanno un interesse particolare al buon funzionamento di una
scuola”222.
221
222
Ivi, p. 66.
Ibidem.
90
Per capire le antinomie tra queste categorie, l’autore sostiene che basti
considerare che il produttore ha interesse a mantenere i prezzi elevati dei
prodotti del settore industriale in cui lavora e rivendica il rispetto e la
dignità del lavoro, al contrario il consumatore è interessato ai prezzi bassi
in qualsiasi campo produttivo e reclama l’abbondanza, l’utente, infine, è
interessato ai prezzi bassi nel settore il cui è cliente.
Secondo Gurvitch, “il socialismo marxista credeva in maniera utopica,
che i conflitti tra i gruppi sarebbero scomparsi dopo l’eliminazione della
lotta di classe”223, al contrario “il sindacalismo il più delle volte ha
tutelato solo i diritti dei produttori sacrificando quelli dei consumatoriutenti e le cooperative hanno fatto l’errore inverso”224.
Il progetto di Dichiarazione dei diritti, invece, applicando la tecnica
pluralista, contrappone i diritti sociali dei produttori a quelli dei
consumatori e ricercando il loro equilibrio nell’organizzazione
economica nazionale, fondata sull’uguaglianza tra i due gruppi che
devono essere riconosciuti come equivalenti in una <<democrazia
economica>>.
L’autore analizza infine la categoria dei cittadini, questi non hanno gli
stessi interessi dei produttori e dei consumatori, infatti come individui e
come gruppi hanno interessi legati al territorio, alla tranquillità e
223
224
Ibidem.
Ibidem.
91
all’ordine, al buon funzionamento dei servizi pubblici e di conseguenza a
tutte le limitazioni necessarie a questo scopo. Questi interessi si pongono
su un piano differente, quello dei diritti politici, da quello in cui si
affermano gli interessi dei produttori e dei consumatori, quello dei diritti
sociali, e possono entrare in conflitto tra di essi, per questo i diritti
politici dei cittadini che si affermano in una sfera differente da quella dei
diritti sociali dei produttori e dei consumatori, devono essere delimitati
ed al contempo equilibrati dei diritti di questi ultimi. L’uomo
indipendentemente dalla sua qualità di produttore, consumatore o
cittadino ha degli interessi e dei diritti sociali che non possono essere mai
negati, primo tra tutti l’interesse dell’uomo di potersi muovere
liberamente tra i gruppi, entrando ed uscendo da essi senza costrizioni, in
quello che Gurvitch definisce il desiderio-diritto dell’uomo di essere
rispettato e di agire indipendentemente dalla sua partecipazione a gruppi.
Nello specifico gli articoli che vanno dal VIII al X del progetto di
dichiarazione prevedono che l’interessato ha diritto di chiedere la
protezione di un gruppo o di un insieme contro un altro gruppo o insieme
quando vede minacciata la propria libertà.
Un uomo, infatti, potrebbe essere come produttore membro della
comunità di operai della fabbrica in cui lavora, come consumatore
membro di una cooperativa, come utente far parte di una associazione di
utenti, come cittadino membro di un Comune ed infine come uomo
92
partecipare ad associazioni culturali o scientifiche. Secondo Gurvich,
nessuno di questi gruppi e nessuno dei loro insiemi deve avere la
possibilità di assorbire interamente l’uomo, altrimenti ciò equivarrebbe
ad asservirlo. Se l’individuo avverte che il gruppo o l’insieme dei gruppi
nei quali si è integrato, diventa troppo esigente imponendogli obblighi
che gli impedirebbero di compire i propri doveri nei riguardi degli altri
gruppi ai quali partecipa ugualmente, deve avere i mezzi necessari per
difendere la sua libertà. Egli ritiene inoltre che il primo rimedio sia
l’attribuzione all’interessato del diritto di far agire per suo conto e per la
propria tutela gli altri gruppi ed insiemi, nei quali è integrato e che
risultano lesi dalle pretese esorbitanti del gruppo troppo esigente.
Quindi se la comunità dei lavoratori della fabbrica nella quale l’operaio è
assunto, la cui maggioranza appartiene ad un sindacato professionale, si
arroga il diritto di imporre a questo operaio l’obbligo di aderire al citato
sindacato, impedendogli l’adesione ad un sindacato concorrente.
Dovrebbe essere inoltre riconosciuto il diritto, all’operaio interessato, un
intervento, per difendere la propria libertà di scelta tra i sindacati, quello
al quale appartiene o vorrebbe appartenere. Questo sistema di appello,
che l’autore ipotizza utilizzabile anche contro lo Stato quando questo
mette in pericolo la libertà di un individuo, non può funzionare senza
frizione se non si provvede ad organizzare un sistema speciale di
tribunali paritari tra i gruppi ed i loro insiemi. L’ultima istanza di questa
93
possibile catena-serie di appelli dovrebbe essere affidata alla Corte
suprema paritaria composta da ugual numero di giudici eletti dal
Parlamento politico dello Stato e dal Consiglio Economico Nazionale ed
operante sulla base del diritto spontaneo e vivente dall’intera comunità
nazionale.
Nella costruzione dell’autore rilevante è l’articolo X225; partendo
dall’assunto che tale articolo, nel progetto della Dichiarazione, fonda i
limiti della libertà dei gruppi e degli individui sui principi di fratellanza e
di interesse generale al cui interno vanno distinti, necessariamente,
l’aspetto politico, economico e culturale, al fine del chiarire il concetto
stesso di interesse generale. Si “è abusato molto
del principio
dell’interesse generale”226, da un lato per secoli si è attribuito il
monopolio della rappresentanza e della tutela dell’interesse generale
dello Stato considerato al vertice della gerarchia dei gruppi, dall’altro
questo, “specialmente dopo Ruosseau, è stato concepito come interesse
uguale per tutti”227 il che necessitava di una diversa giustificazione per la
225
Cfr. Ivi, p. 81. “Ogni abuso della libertà individuale collettiva, che la pone in conflitto con i principi di uguaglianza e
di fratellanza e con i differenti aspetti dell’interesse generale, fondati sull’equilibrio degli interessi contrari,sarà
represso. Questa repressione è attribuita ad ogni organizzazione in quanto rappresenta un aspetto dell’interesse generale.
Se l’azione separata di una di queste organizzazioni è insufficiente, è prevista la loro azione comune. Nell’ipotesi di
conflitti tra queste organizzazioni, gli abusi saranno repressi dai tribunali paritari di diverse categorie e, in ultima
istanza, da una Corte Suprema Paritaria, che agisce in nome della Comunità Nazionale”.
226
Ivi, p. 107.
227
Ivi, p. 108.
94
tutela statalista visto che “l’interesse identico in tutti richiedeva una
organizzazione unica per la tutela”228.
Tuttavia, quanto sostenuto in merito alle varie configurazioni
dell’interesse generale è per l’autore una serie di dogmi incapaci di
superare una analisi obiettiva, infatti il monopolio dell’interesse generale
è stato attribuito allo Stato considerato come l’unico gruppo
<<soprafunzionale>>, ovvero depositario della totalità indissolubile delle
competenze, e conseguentemente si è sostenuto che l’interesse generale
potesse essere rappresentato esclusivamente da un gruppo dotato di
competenza universale, ma in queste argomentazioni è stato commesso
un triplice errore. Per Gurvitch il primo di questi risiede nel fatto che lo
Stato come insieme di raggruppamenti territoriali è un <<gruppo
funzionale>> e non <<soprafunzionale>>229. Infatti durante i periodi
storici vi sono mutamenti di funzioni e di competenze dello Stato,
mutamenti favoriti dal fatto che non esiste una gerarchia stabile di
raggruppamenti e che nei differenti tipi di società tale gerarchia ha
conosciuto vari capovolgimenti poiché lo Stato si è trovato al vertice solo
228
Ibidem.
Cfr. Ibidem, “è funzionale poiché vi è una comunità politica soggiacente ed in quanto organizzazione sovrapposta,
dal momento che ogni organizzazione sovrapposta poiché vincolata a scopi precisi e limitati, è per la sua stessa struttura
necessariamente funzionale”.
229
95
in determinate epoche e solo in alcuni tipi di società e conseguentemente
perso tale posizione in altre o il altre società230.
Il secondo errore risiederebbe nel fatto che solo la comunità nazionale e
la società sovrannazionale sono soprafunzionali e proprio per questa
ragione possono esprimersi in modo adeguato solo nella pluralità delle
comunità funzionali e delle organizzazioni sovrapposte e secondo
Gurvich è il diritto spontaneo, per sua natura variabile, “di queste due
comunità soprafunzionali a decidere la gerarchia dei gruppi in una data
società”231. In ultimo argomentando il terzo errore l’autore sostiene che
se la possibilità di perseguire l’interesse generale fosse legata alla
capacità
di
rappresentare
“l’insieme
indissolubile
degli
aspetti
dell’interesse generale”232, solo la comunità nazionale, ovvero la
Nazione, e la comunità internazionale dovrebbero avere il monopolio di
questa funzione e non lo Stato.
Al contrario di quanto sostenuto dalle teorie suddette non esistono
interessi identici, nemmeno all’interno dello stesso gruppo o in rapporto
allo stesso individuo, poiché vi è sempre un perenne conflitto tra
interessi contrari ed equivalenti.
“L’interesse generale consiste in un equilibrio mutevole di interessi
contrari, ed esistono tanti aspetti molteplici ed equivalenti dell’interesse
230
Cfr. sulla variazione della gerarchia dei gruppi e la costante inversione del loro ordine, G. GURVITCH, Eléments de
Sociologie Juridique, cit., pp. 179-242.
231
G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 108.
232
Ivi, p. 109.
96
generale, quante sono le possibilità di equilibrare gli interessi
generali”233; l’interesse generale, quindi, non è un genere astratto, ma un
universale concreto in cui trovano un loro posto tutti gli interessi opposti.
Da questa concezione di interesse come bilanciamento, equilibrio di
interessi tra loro opposti, deriva per l’autore, una pluralità di aspetti
equivalenti dell’interesse generale e ognuno di questi aspetti può essere
rappresentato da differenti comunità funzionali ed organizzazioni
sovrapposte. In questo modo, il comune interesse politico nel quale si
bilanciano gli interessi opposti, delle differenti regioni e dei differenti
gruppi locali deve essere rappresentato “dal Comune, dal Dipartimento,
dallo Stato e dalla Società delle Nazioni”234 come l’interesse comune dei
produttori, dei consumatori-utenti e delle differenti professioni ed
industrie deve essere rappresentato “dall’Organizzazione Economica
Regionale, Nazionale ed Internazionale”235.
In conclusione, Gurvich arriva a sostenere che questi differenti aspetti
dell’interesse generale devono essere sottomessi <<all’interesse generale
globale>> che risiede solo nella comunità soprafunzionale della Nazione
e della Società Internazionale e che è capace di riunire la totalità degli
aspetti236. Gli interessi dello stesso uomo come cittadino, come
produttore e come consumatore non coincidono di conseguenza,
233
Ibidem.
Ivi, pp 109-10.
235
Ibidem.
236
Cfr. Ibidem, e per l’analisi dell’interesse generale in Gurvitch cfr. G. Gurvitch, L’idée du Droit Social, cit, p. 39 ss..
234
97
dovrebbero essere riconosciuti come entità separate e godere di diritti
specifici. Naturalmente, la libertà di creare tanti gruppi quanti sono i
diversi interessi e campi di attività sarebbe illimitata. Ma, nella sfera
economica, la giustizia sarebbe garantita essenzialmente permettendo ai
consumatori e ai produttori di controllare reciprocamente i rispettivi
diritti.
La libertà politica consisterebbe nel garantire la libera competizione e la
interazione fra i gruppi, e diventerebbe un concreto interesse comune
invece di un diritto astratto. A loro volta, i gruppi stessi sarebbero
controllati dal diritto assoluto dell’individuo di entrarci o di uscirne a
seconda della propria libera volontà.
3.3 I doveri e i diritti sociali derivanti dalla proprietà
Trattando il problema della proprietà, Gurvitch propone l’ammissione di
tre tipi di proprietà, individuale, pubblica e sociale, da applicarsi in
campi diversi, e tutti basati sulla nozione che la proprietà deve essere
considerata una funzione pubblica, ma è soltanto nelle ultime pagine del
libro che l’autore chiarisce: "ciò che importa veramente è dare un ruolo
preponderante, e una speciale protezione legale, alla proprietà sociale e
federalista”, cioè alla proprietà comune dei mezzi di produzione, che
nella sua impostazione è la questione fondamentale.
98
Gli articoli del progetto di dichiarazione dedicati alla proprietà, ovvero
l’art. VI della sezione generale e l’artt. XLIII – XLVIII della IV sezione
sono ispirati ad una concezione del problema della proprietà che
necessita qualche delucidazione.
L’autore ritiene che nella sfera economica non si possa far prevalere la
libertà umana senza annullare il potere dell’uomo sull’uomo, da
considerarsi un effetto del potere dell’uomo sulle cose, di conseguenza la
lotta contro la degenerazione del poter fondato sulla proprietà, ovvero un
potere che si esprime in domino sui gruppi e sui singoli, deve essere lo
scopo essenziale perseguito da ogni dichiarazione dei diritti sociali.
Il diritto di subordinazione e di dominio, al quale come visto secondo
l’autore si oppone il diritto sociale, è una degenerazione di quest’ultimo
che deriva dall’assoggettamento del diritto sociale stesso al diritto
individuale dei proprietari. “Proclamare dei Diritti Sociali significa
rendere impossibile questo assoggettamento”237. Gurvitch sostiene che
per evitare questo assoggettamento non basti trasferire la proprietà dei
mezzi di produzione dai soggetti individuali ad un soggetto collettivo,
come lo Stato, poiché il semplice cambiamento di soggetti non è
sufficiente per sfuggire al pericolo di sfruttamento e di dominio, inoltre
“non si è considerato che la proprietà attribuita a soggetti collettivi, e
237
G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 133.
99
specialmente allo Stato, poteva conservare la sua natura assoluta
consentendo ogni possibile abuso”238.
Secondo l’autore quindi, la consapevolezza che cambiare i soggetti
titolari della proprietà industriale non comporta necessariamente il
cambiamento della sua natura, ha indotto all’eccesso contrario.
Infatti Gurvitch sostiene che alcuni giuristi, tra i quali cita Duguit239,
hanno creduto che per risolvere “il problema fosse sufficiente proclamare
che ogni proprietà è una funzione sociale, soggetta a limitazioni
fondamentali attraverso una serie di obbligazioni positive a carico dei
proprietari che potrebbe restringere la proprietà dentro una rete sempre
più stretta di garanzie e limitazioni”240 e partendo da questa
considerazione, hanno tratto la conclusione che il mutamento dei soggetti
della proprietà avesse una importanza secondaria dato che la proprietà
stessa tendeva <<all’oggettivazione>>, ovvero <<a forme di proprietà
senza proprietari>>241.
L’autore riconosce da un lato che questa concezione contiene una idea
giusta, ovvero la proprietà a prescindere dall’appartenenza, deve essere
assoggettata a restrizioni, controllata sotto il profilo dei possibili abusi e
trasformata in una <<funzione sociale>>, ma dall’altro ritiene che sia
238
Ivi, p. 134.
Cfr. Sulla teoria pruodiana della proprietà G. Gurvitch Idèe du Droit Socia, cit., pp 392-402.
240
G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 134.
241
Cfr. per la critica alla dottrina <<della proprietà oggettivizzata>>, G.Gurvitch, Socialisme e Proprieté, in Experience
Juridique et Philosophie Pluraliste du Droit, Paris, 1935, pp. 266-96.
239
100
completamente errata la conclusione che il mutamento dei soggetti abbia
poca o nessuna importanza. Infatti, secondo Gurvitch se non considera
il cambiamento dei soggetti si elude la questione, poiché senza di questo
<<trasformare la natura intrinseca della proprietà>>242 significherebbe
limitare la proprietà solo attraverso la legislazione e l’intervento dello
Stato.
Soluzione che, per Gurvitch, è inammissibile poiché non è in grado di
fornire nessuna garanzia, né nella lotta contro il dominio dei monopoli
industriali e finanziari, né dal punto di vista della concentrazione diretta
o indiretta del diritto proprietà nelle mani dello Stato, e che si pone come
alternativa al corporativismo paternalistico o allo statalismo puro e
semplice anch’essi ugualmente inammissibili.
Di conseguenza, per risolvere la questione è necessario legare il
cambiamento
dei
soggetti
della
proprietà
industriale
con
la
trasformazione della natura intrinseca della proprietà, il trasferimento del
diritto di proprietà dei mezzi di produzione da un lato non deve
rafforzare il potere coercitivo dello Stato, ma al contrario limitarlo in
favore della libertà dei gruppi e degli individui, dall’altro deve
determinare un cambiamento effettivo nella struttura della proprietà
stessa “rendendola intrinsecamente vincolata, limitata, umanizzata,
242
Cfr. G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 135.
101
pervasa internamente dal diritto sociale e da garanzie efficaci contro ogni
possibile abuso”243.
Per Gurvitch la soluzione risiede quindi nell’attribuire i mezzi di
produzione ad un <<soggetto collettivo complesso e multiplo>> posto al
di fuori dello
Stato, in cui i singoli partecipanti diventino
<<comproprietari indivisi>> dei mezzi di produzione stessi in quella
forma di proprietà, equilibrio tra molteplicità e l’unicità che si limitano
reciprocamente, che l’autore definisce <<la proprietà federalista>>. “La
proprietà
federalista
diventa
una
proprietà
sociale
allorché
è
universalizzata ed integrata in un insieme posto al servizio dell’interesse
economico generale, quando è fondata su quote che non sono
trasmissibili, né accumulabili al di fuori del lavoro effettivamente
prestato, quando infine è gestita effettivamente da tutti i comproprietari,
gruppi ed individui su un piano di uguaglianza”244.
In sintesi, la proprietà federalista, come forma di proprietà in cui non è
possibile la divisione dei beni ma solo il rimborso delle quote ai gruppi
ed agli individui uscenti, diversa e distinta dalla semplice comproprietà,
diventa una proprietà sociale solo quando è attribuita ad una
organizzazione economica245 indipendente dallo Stato e fondata sulla
243
Ibidem.
Ivi, p. 136.
245
che il Gurvitch individua nell’Organizzazione Economica Nazionale.
244
102
democrazia industriale e sulla parità tra i produttori ed i consumatoriutenti246.
L’autore osserva come ogni proprietà federalista sia “una proprietà
potenzialmente ristretta e limitata”247 poiché la decisione in merito alla
destinazione dei beni che la costituiscono dipende da una molteplicità di
fattori e le relazioni tra i soggetti che con i beni stessi sono regolate dal
diritto sociale che riguarda la comunità e di conseguenza il legame
interno della proprietà federalista diventa da potenziale ad attuale
attraverso le disposizioni concrete del diritto sociale
creato dalla
comunità dei comproprietari ed espresso nella loro organizzazione.
Definire e precisare la portata ed il valore della proprietà federalista
come proprietà sociale serve, secondo Gurvitch, a comprendere le
disposizioni particolari sulla proprietà contenute nel progetto di
dichiarazione sono fondate sulla netta distinzione tra proprietà sociale,
proprietà pubblica e proprietà individuale. Queste tre forme devono
necessariamente equilibrarsi tra loro all’interno dell’economia nazionale,
ma tale equilibrio si deve adeguare alle mutevoli e variabili circostanze.
Assumono rilievo anche delle forme miste di proprietà la cui rilevanza
sarà nelle fasi intermedie. “Queste forme miste della proprietà possono
246
Cfr. Ivi, p. 93, “Poiché tutta la richezza del paese è subordinata al Diritto della Nazione ed ogni proprietà
deve essere considerata come una funzione sociale, ogni forma di proprietà legittima, cioè che non nuoce ai
diritti della Nazione, né ai diritti dell’Organizzazione Economica nazionale, né ai diritti dei produttori e
consumatori, né ai diritti di proprietà di altre persone o gruppi, è pienamente tutelata dalla legge e dai
tribunali, sia essa individuale o collettiva”.
247
Ivi, p. 136.
103
essere
semi-pubbliche
e
semi-individuali,
semi-sociali
e
semi-
individuali, o infine, anche, semi-pubbliche, semi-sociali, semiindividuali.
Esse
sorgeranno
ogni
volta
che
lo
Stato
[…],
l’Organizzazione Economica Nazionale […], o, infine, un accordo tra i
due formeranno delle regies di diverso tipo”248. Queste regies
rappresentano l’integrazione nell’economia collettiva delle imprese
private, controllate collettivamente attraverso delle concessioni.
Gurvitch conclude asserendo: “Ciò che importa veramente è di attribuire
a una forma particolare, quella della proprietà sociale federalista – la
migliore per la difesa della libertà dei gruppi e degli individui e per
l’umanizzazione e la limitazione intrinseca della proprietà – il ruolo
preminente nella vita industriale ed una speciale tutela giuridica.
D’altronde, solamente in questo modo le altre forme di proprietà […]
possono, anch’esse, essere effettivamente limitate e trasformate in
funzioni sociali”249.
248
249
Ivi, p. 137.
Ivi, p. 138.
104
CAPITOLO IV
IL CONTROLLO SOCIALE
Il controllo sociale può essere definito come un insieme di saperi, poteri,
strategie e istituzioni attraverso cui le élite di potere preservano un
particolare ordine sociale, collocato in un preciso momento storico che
dona specificità al concetto di normalità e di patologia.
Il secolo XX si caratterizza per lo studio del controllo sociale come ramo
particolare della sociologia anche se si può riscontrare che le definizioni
date nel secolo precedente abbiano influito, e non sempre in modo
ottimale, su analisi e definizioni di questo concetto portando a difficoltà
interpretative.
Infatti: “La sociologia del XIX secolo tendeva ad identificare la
sociologia con una filosofia della storia o con una teoria dell’evoluzione;
a contrapporre e conciliare <<l’ordine>> e il <<progresso>>; ad
accentuare i conflitti tra <<società>> e <<individuo>> per difendere sia
l’uno che l’altra; ad ignorare la struttura pluralista fondamentale di ogni
società globale e a parlare della <<<Società>> con la maiuscola, come se
fosse possibile caratterizzare un tipo di società globale senza prendere in
considerazione le variazioni nella gerarchia dei gruppi particolari; e,
infine, a vedere nei valori, nelle idee, negli ideali collettivi e nelle loro
espressioni simboliche, sia dei semplici prodotti della realtà sociale, sia,
105
al contrario, dei produttori indipendenti, e, a volte, trascendenti, di questa
realtà”250.
Quanto detto sembrava essere stato superato nell’evoluzione che la
sociologia aveva compiuto nel secolo XX ma a ben guardare questo non
risponde esattamente alla realtà poiché quella concezione riappare in
maniera celata in molti autori che trattano <<il controllo sociale>>.
Per Émile Durkheim251 la normalità, associata alla morale comune, è la
media dei comportamenti: il normale è riferito ad un tipo sociale
determinato, in un dato momento e in un determinato luogo,quello
realizzato e definito dai fatti del passato. Al contrario ciò che mette in
discussione l'ordine sociale e i valori dominanti della media della
popolazione è considerato patologico per quella società in quel
momento, in relazione al grado di sviluppo raggiunto. Si deduce così che
il normale e il patologico sono concetti relativi, connessi al tempo e
all'evoluzione di una particolare società. I mutamenti sociali implicano
un cambiamento dei valori dominanti, anche all'interno della stessa élite,
che modificano le condizioni dell'esistenza collettiva e di conseguenza
ciò che oggi è patologico per l'ordine sociale può essere necessario per
l'evoluzione successiva dello stesso ordine sociale.
250
251
G. GURVITCH, Il Controllo Sociale, Roma, 1997, p. 61.
Cfr. Per un approfondimento É. DURKHEIM, Le regole del metodo sociologico, Milano, 1963.
106
Analizzare il controllo significa anche proporlo come fatto sociale e
come tale spiegarlo, utilizzando altri fatti sociali, senza ricorrere a
tautologie.
Per Durkheim i fatti sociali sono fenomeni collettivi ed esistono
indipendentemente dall'uso che l'individuo né fa, esistevano prima di lui
ed esistono al di fuori di lui, esistono al di fuori delle coscienze
individuali, devono essere dotati di potere coercitivo e imperativo in
virtù dei quali s'impongono all'individuo con o senza il suo consenso,
anche se sono percepiti con "naturalità". Quando ci si conforma la
coercizione non si fa sentire ma essa si afferma nel momento stesso in
cui si cerca di resisterle. I fatti sociali si presentano sia in forme
cristallizzate sia sottoforma di correnti sociali.
Il controllo sociale non è quindi un'entità trascendente ma è un fatto
sociale; è anche il risultato dell'interazione, aperta a qualunque
contrattazione, tra gli individui e di come essi definiscono la realtà
collettiva.
Edward Alsworth Ross definisce il controllo sociale come un
meccanismo intenzionale mosso dalla collettività verso l’individuo
perché esso si conformi ai valori che formano l’ordine sociale. Cerca di
dimostrare che l’ordine sociale si fondi sul controllo sociale, definendo le
forme di controllo come strumenti e ponendo il diritto come la forma
principe su cui s’instaura il controllo nella struttura della società. Il
107
termine controllo sociale è stato, quindi, usato con diverse accezioni.
Queste definizioni risultano in molti casi divergenti e ricomprendono sia
problemi eterogenei sia una molteplicità di espressione concernenti
concezioni di vari pensatori.
Per Alberto Giasanti “E’ così possibile comprendere nello stesso
concetto realtà distanti tra loro come, ad esempio, i processi di
socializzazione e lo Stato contemporaneo. Possono rientrare nella stessa
accezione di controllo il sistema sanitario come quello scolastico, il
tempo libero come l’assistenza sociale, cosicché tutto diventa controllo e
tutti diventano controllori”.252
Per questo autore sono tre i significati che possono attribuirsi al
termine/concetto controllo sociale.
Il primo: “intende per controllo tutti fenomeni e i processi che regolano
le condotte umane per scopi collettivi”253.
Il secondo: “fa riferimento al controllo come alla modalità attraverso la
quale individui e collettività vengono influenzati”254.
Il terzo: “vede il concetto di controllo messo in connessione con quello
di devianza nel senso che i mezzi e gli strumenti del controllo tendono a
ridurre le tendenze devianti”255.
252
A. GIANSANTI, presentazione a G. Gurvitch Il Controllo Sociale, cit., p. 9.
Ibidem.
254
Ibidem.
255
Ibidem.
253
108
Tra i principali fautori della prima interpretazione spiccano Ross256 il
quale è il primo a creare un lavoro sistematico sul controllo sociale,
Cooley257 il quale sviluppa il tema del controllo sociale all’interno della
teoria generale del processo sociale, Sumner258 il quale sostiene che i
costumi controllano i modi di pensare riguardo a tutte le esigenze ed
anche La Piere259 per il quale il controllo sociale deve essere considerato
come la totalità dei processi e delle interazioni sociali che contribuiscono
a mantenere l’ordine sociale.
Nella società post-tradizionale il controllo sociale, secondo Ross, è il
principale tra i meccanismi destinati a provocare la conformità
dell’individuo a un comportamento che consegue dall’interiore
concordanza con i valori della collettività. Quando si tratta di
condizionamenti
spontanei
e
non
intenzionali,
Ross
usa
la
denominazione <<influsso sociale>> distinto dal controllo sociale come
controllo intenzionale della collettività sull’individuo, “ dominio sociale
che si propone di adempiere, e adempie, una funzione nella vita della
società”260.
256
Cfr. E. A. ROSS, Social control. A Survey of the Order, Cliveland and London, 1969 (1° ed.1901).
Cfr. C.H. COOLEY, Social Process, New York, 1964 (1° ed.1918).
258
Cfr .W.G. SUMNER, Costumi di gruppo, trad. it. A.M.Cirese, Milano, 1962 (1°ed.1906).
259
Cfr. R.T. LA PIERE, A Theory of Social Control, New York, 1954.
260
Cfr. E.A. ROSS, Social control. A Survey of the Order, cit, 1901, p. VIII.
257
109
La seconda interpretazione è avvallata da K. Mannheim261 secondo il
quale il controllo sociale non è altro che la manipolazione delle
situazioni attraverso un influsso da attuarsi sulle masse e sulla
collettività.
La terza è avvallata da molti autori tra i quali spicca Parson262 “per il
quale il controllo sociale è inteso come teoria a medio raggio nella teoria
generale del sistema sociale. Per Parson i meccanismi fondamentali di
controllo sociale sono da ricercarsi nei normali processi di interazione in
un sistema sociale integrato istituzionalmente dove la forma più generale
di controllo è rappresentata dal diritto”263.
Per Giasanti lo scritto del Gurvitch sul controllo sociale si può
posizionare tra le prime due definizioni poiché riprende elementi ed
analisi sia dell’una che dell’altra.
Il presupposto è di considerare la sociologia europea orientata allo studio
degli apparati normativi, mentre quella americana sarebbe orientata allo
studio del controllo sociale diffuso.
Gurvitch infatti, dopo una ricostruzione su base storica del controllo
sociale, che parte dall’Europa, approda nella cultura americana per creare
la base del suo sistema, per poi ritornare all’Europa divenendo egli stesso
teorico della struttura del sistema sociale. A Gurvitch va il merito quindi
261
Cfr. K. MANNHEIM, Uomo e società in un’età di ricostruzione. Studi sulla struttura sociale moderna, trad. it. M.
Negri, Roma, 1972 (1°ed.1940).
262
Cfr. T. PARSON, Il sistema sociale, trad.it. di L. Gallino, Milano, 1965 (1°ed. 1951).
263
A. GIANSANTI, presentazione a G. Gurvitch Il Controllo Sociale, cit., p. 20.
110
di aver unificato gli studi europei e americani “nel senso che la teoria del
controllo sociale viene acquisita accanto alle varie sociologie speciali che
studiano il diritto, la politica, la religione e, in genere, gli apparati
normativi”264.
Da sempre qualsiasi aggregazione sociale si è dotata di uno strumento
per poter dare coerenza e uniformità a tutti coloro che facevano parte di
quella aggregazione, questo strumento è <<il controllo sociale>>.
Ogni gruppo umano infatti creerà delle forme di controllo sociale in
relazione alle sue caratteristiche e al momento storico in cui si trova.
Possiamo dire che, secondo l’autore, due sono i principali significati del
termine controllo a seconda che la traduzione sia effettuata nel mondo
anglosassone oppure nel continente europeo.
Chiarisce Gurvitch: “Se in inglese il senso corrente del termine
<<controllo>> è quello di potere, potenza, dominio, autorità, in tutte le
altre lingue europee <<controllo>> significa sorveglianza, ispezione,
accertamento, cioè unicamente l’attività del controllare”265.
Queste interpretazioni portano
necessariamente a
divergenze
e
problematiche che devono essere affrontate e risolte per superare la
problematica espressa.
264
265
V. TOMEO, Controllo sociale e analisi sociologica in <<devianza ed emarginazione>>, 10, 1986, p. 89.
G. GURVITCH, Il Controllo Sociale, cit., p. 30.
111
Per Tomeo: “Con il termine <<controllo>>, entrato nell’uso e nel lessico
della sociologia e delle scienze sociali da alcuni decenni, si definisce
quell’insieme di processi e di istituzioni sociali con i quali il sistema
sociale e i gruppi che ne fanno parte influenzano o costringono la
condotta dei soggetti individuali o collettivi verso la conformità alle
norme o alle regole dominanti della collettività”266.
Notevole rilievo pratico assume, alla luce di quanto detto, la definizione
fornita da Gurvitch stesso sul controllo sociale “come l’insieme sia dei
modelli culturali, di simboli sociali, di significati collettivi, di valori, di
idee e di ideali, sia di atti e di processi che li prendono e li applicano e
attraverso i quali ogni società globale, ogni gruppo particolare, ogni
forma di società e ogni membro (individuo) partecipante supera delle
autonomie, delle tensioni e dei conflitti che sono loro propri, attraverso
equilibri temporanei e instabili, trovando così dei punti di riferimento per
dei nuovi sforzi di creazione collettiva”267.
Rilevanti sono anche gli avvenimenti storici che hanno portato alle
riflessioni e alla genesi del concetto del controllo sociale, principalmente
la rivoluzione d’ottobre da lui stesso vissuta.
Formazione, deduzione e riflessione da quell’accadimento che porta il
controllo sociale ad essere creato dal basso, indipendente e svincolato
266
267
V. TOMEO, voce <<controllo>>, in Gli strumenti del sapere contemporaneo, Torino, 1985, pp. 150-1.
G. GURVITCH, Il Controllo Sociale, cit., p. 73.
112
dall’ordinamento giuridico e dallo Stato che lo crea, e fondato “sulla
dialettica tra gli strati profondi della società, sulle manifestazioni micro (i
fenomeni elementari) e macro (le classi) della società sulle possibilità di
una pianificazione collettivistica autogestita”268.
Per Gurvitch solo la dialettica permette quel dinamismo necessario per
affrontare lo studio della molteplice realtà sociale per cui “la sociologia è
una scienza che studia i fenomeni sociali totali nell’insieme dei loro
aspetti e dei loro movimenti, captandoli nei tipi dialettizzati, micro
sociali, di gruppo e globali, che si fanno e si disfanno”269.
Ma vi è di più poiché la dialettica è utilizzabile anche per ”sdogmatizzare
la sociologia, sdogmatizzare le scienze sociali particolari per costringerle
tutte a collaborare insieme effettivamente”270.
Emerge quindi che tutto l’apparato sociologico non si basa su un piano
unico ma su una serie di piani che possono essere sia verticali che
orizzontali.
Per quanto concerne il piano verticale, ossia la sociologia in profondità,
esso analizza il dinamismi, il movimento con le sue logiche tensioni e
contraddizioni ed antinomia.
268
A. GIANSANTI, presentazione a G. Gurvitch Il Controllo Sociale, cit., p. 12.
G. GURVITCH, La vocation actuelle de la sociologie, Paris, 1950 (La vocazione attuale della sociologia, introd. e
trad. it. di S. CERNUSCHI, Bologna, 1965, p. 6.
270
G. GURVITCH, Dialectique et sociologie, Paris, 1962 (Dialettica e sociologia, introd. di G. Marchesi, Roma, 1968,
p. 240.
269
113
Vi sono dieci piani: la superficie morfologica ed ecologica, le
organizzazioni sociali, i modelli sociali, le condotte collettive
relativamente regolate, l’interconnessione tra i ruoli sociali, le attività
collettive, i simboli sociali, le condotte collettive nuove e creatrici, le
idee e i valori collettivi, gli stati mentali e gli atti psichici collettivi.
Questi piani vicendevolmente si combinano tra loro e creano il fenomeno
sociale globale.
Nel piano orizzontale, ossia della sociologia differenziale, vengono
studiati dei gruppi attivi, denominati raggruppamenti, che sono ben
osservabili nel loro agire ed interagire e che cercano una certa univocità
nelle condotte, un equilibrio e una collocazione all’interno dei vari
gruppi che li compongono.
I raggruppamenti tipologici sono di tre tipi: gli infinitamente piccoli, i
corpi intermedi, le società globali. Tutti questi tre raggruppamenti sono
studiati in maniera separata ma dialetticamente sono uniti in quanto gli
uni si relazionano costantemente con gli altri ed anche perché per avere
una comprensione dell’uno bisogna comprendere gli altri.
Altra distinzione di rilievo che deve essere considerata per poter
comprendere pienamente i risvolti che sottendono questi piani è tra realtà
microsociologiche e macrosociologiche. Nelle prime i fatti sociali sono
generalizzati e astratti al massimo grado facendo sì che si possano
osservare attentamente i legami tra società e individuo.
114
Per Giansanti: “Al livello microsociologico esistono una pluralità
graduata di <<noi>> che comporta almeno tre gradi: la massa, la
comunità, la comunione. Questi tre gradi si differenziano al variare
dell’intensità delle fusioni: debole per la massa, forte per la comunità, al
massimo di calore per la comunione”271.
Chiarisce Gurvitch: “In breve se c’è un noi, si afferma sempre come un
focolare di intimità, di calore, ma a gradi estremamente variabili che
possono essere così pochi da ridurre il noi allo stato di pura virtualità e la
partecipazione dei membri alla passività quasi completa”272.
Nelle realtà macrosociologiche vengono invece studiate le classi sociali
come corpo che si colloca in una posizione intermedia tra i fatti
elementari e le società globali.
“La classe sociale è dunque un’unità collettiva reale dotata delle seguenti
caratteristiche: sovra-funzionale riguardo al contenuto, estesa riguardo
all’ampiezza, permanente per durata, a distanza con riferimento alla
misura di dispersione, di fatto per base di formazione, aperta per il modo
di accesso, strutturata ma non organizzata, di divisione come
orientamento, refrattaria rispetto alla penetrazione della società globale,
271
272
A. GIANSANTI, presentazione a G. Gurvitch Il Controllo Sociale, cit., p. 14.
G. GURVITH, La vocation actuelle de la sociologie, cit., p. 113.
115
incompatibile rispetto ai raggruppamenti tra loro, dotata di costrizione
condizionata”273.
La classe è quindi dinamica con una molteplicità di funzioni, all’interno
della quale si trovano vari gruppi e che creano valori, simboli, ideologie
e modelli.
Per comprendere meglio il pensiero di Gurvitch, oltre i concetti illustrati,
è necessario soffermarsi sui determinismi sociali e i tempi sociali.
I primi concernono la possibilità che i fatti studiati si possano inserire in
una realtà dotata di coerenza e quindi con un certo determinismo.
“Bisogna però pensare ad una serie mutevole differenziata di
determinismi che, inseriti nei processi reali dell’esperienza, si presentano
con caratteri propri relativi e variabili, contingenti e discontinui, proprio
come lo sono le società globali, i gruppi sociali e le forme di società. Il
tutto dipende […] dal fatto che non esiste elemento costitutivo della
realtà sociale che non sia inserito in un continuo atto di creazione e di
trasformazione che implichi un rovesciamento delle situazioni”274. Vi è
in pratica una uguaglianza dei centri del determinismo sociale e delle
libertà individuali, poiché la libertà umana, collettiva e individuale,
273
274
A. GIANSANTI, presentazione a G. Gurvitch, Il Controllo Sociale, cit., p. 14.
Ivi, p. 16.
116
produce i suoi specifici determinismi, combattendoli, limitandoli e
dominandoli attraverso la libertà che si sprigiona nel suo stesso sforzo275.
Per quanto concerne i tempi sociali essi sono plurimi, coordinano e
spostano i fenomeni sociali totali come produttori e prodotto del tempo
sociale, facendolo nascere e muovere.
Giansanti sostiene che, “Non si può analizzare alcun fenomeno o quadro
sociale concreto senza collocarlo nel tempo in cui vive e senza
considerare la molteplicità dei modi di prendere coscienza del tempo nei
differenti quadri sociali, nonché la molteplicità dei tempi reali in cui i
quadri sociali stessi si muovono”276.
Altro concetto rilevante è quello di struttura inteso come “un equilibrio
precario, fra le gerarchie e le scale multiple, nel quale può esprimersi un
gruppo particolare e di cui nessuna società globale può fare a meno”277.
Il concetto di struttura, nella sua vocazione, mette in rilievo l’insieme
sociale che precede virtualmente e attualmente ogni equilibrio, gerarchia,
scala278.
La società come afferma Braudel279, effervescente, innovatrice,
discontinua, rivoluzionaria è quella che Gurvitch cerca come più
significativa, più ricca di conseguenze e di prospettive, contribuendo cosi
275
Cfr. G. GURVITCH, Determinismi sociali e libertà umane, Città Nuova, Roma, 1969, p. 3.
Cfr. A. GIANSANTI, presentazione a G. Gurvitch Il Controllo Sociale, cit., p. 16.
277
G. GURVITCH, Structure socials et sistèmes de connaissance, in <<La notion de structure et de la connaissance>>,
Paris, 1957, p. 308.
278
Cfr. G. GURVITCH, La vocation actuelle de la sociologie, cit., p. 500.
279
Cfr. F. BRAUDEL, Testimonianza personale, in <<Inchiesta>>, XIV, 63-4, 1984, p. 46.
276
117
a dare “uno dei sistemi sociologici più originali e significativi del nostro
tempo”280.
Gurvitch dopo essersi affrancato dai concetti della sociologia del XIX
secolo, che facevano affidamento sulle teorie dell’evoluzione, sull’idea
di progresso, di ordine e sull’indagine dei conflitti tra società e individuo,
sostiene che per studiare il controllo sociale bisogna necessariamente
individuare e indagare i modelli culturali, i simboli sociali, gli ideali e i
valori, nel loro insieme, ma anche come essi vengono attuati nella società
con azioni e processi specifici che sono mirati a sconfiggere le tensioni e
i conflitti dei gruppi sociali e degli individui, per raggiungere un
equilibrio momentaneo e instabile e per dare nuova linfa alle motivazioni
degli sforzi collettivi.
Individua così cinque le condizioni per dare oggettività e scientifica al
allo studio del controllo sociale.
La prima concerne “l’abbandono del postulato gratuito secondo il quale
<<il
controllo
sociale>>
deriverebbe
dal
<<progresso>>
o
dall’<<evoluzione>> della società, come se esso non esistesse o fosse
<<privo di elementi morali>> nelle società arcaiche”281. Infatti in
qualsiasi società si riscontra il controllo sociale non solo in quella
dell’epoca dell’autore ma anche in quelle classicamente definite
280
281
P.A. SOROKIN, Sociological Theory of Today, New York, 1966, p. 465.
G. GURVITCH, Il Controllo Sociale, cit., p.62.
118
<<magiche>> e <<religiose> con la conseguenza che “la gerarchia della
specie e l’intensità del controllo sociale cambiano a contatto con ogni
tipo di società globale, con congiuntura sociale concreta e con ogni
forma particolare di raggruppamento sociale”282.
La seconda “è quella di sganciare il problema del controllo sociale da
ogni legame con l’antinomia tra <<ordine>> e <<progresso>> poiché sia
l’uno che l’altro concetto sono fondati sulla confusione tra giudizi di
valore e giudizi di realtà”283.
Il controllo sociale è per l’autore russo una effettività che può essere
verificata e di cui non si può discutere differentemente dell’<<ordine>> e
del <<progresso>> che sono come dei miraggi anche al causa del fatto
che il controllo sociale non è sostegno dell’ordine nè strumento del
progresso.
“Ciò che da un punto di vista sembra essere <<l’ordine>> appare come
disordine da un altro punto di vista. D’altronde nella stessa società e
negli stessi gruppi integrati ad essa si producono incessantemente delle
modificazioni dei punti di vista.
La realtà sociale è piena di tensioni di differenti forme (sovrastrutture
organizzate e infrastrutture non organizzate; lotte tra i gruppi, comprese
le classi sociali; concorrenza tra i simboli, i valori e le idee; competizione
282
283
Ivi, p. 63.
Ibidem.
119
tra i loro diversi gradi <<d’effervescenza>> e di <<cristallizzazione>>
ecc.) così come è piena d’equilibri variabili e instabili di diversa natura.
Possiamo osservare esattamente la stessa situazione nell’ambito di quella
realtà sociale che chiamiamo <<controllo sociale>>”284.
La terza “è quella di rendersi conto che quest’ultimo non è legato in
modo particolare ai cosiddetti conflitti tra <<la società>> e gli
<<individui>>285.
Da ciò deriva che il controllo sociale non può essere ridotto né ad un
sistema che impone l’ordine sociale dall’esterno a dei singoli ne può
essere utilizzato per creare una società da questi singoli individui né
infine può essere ridotto ad una regolamentazione o creazione della
società compiuta esclusivamente dalla stessa società.
Gurvitch ritiene che sia la vita individuale che quella collettiva abbiano
delle manifestazioni a vari livelli occorre quindi che le società e gli
individui siano confrontati sui medesimi piani.
In sintesi, ciò che viene manifestato a livello individuale nel mondo
esterno deve essere confrontato con le manifestazioni della collettività
dello stesso tipo, le pressioni che vi sono all’interno del singolo con le
pressioni all’interno dei gruppi, le aspirazioni dell’individuo con quelle
della collettività, i comportamenti reiterati del singolo con i costumi
284
285
Ibidem.
Ivi, p. 64.
120
collettivi. “Opposizioni e conflitti, pressioni e rivolte si producono tra
diversi piani di profondità della realtà sociale, cosi come si producono tra
i diversi livelli <<all’interno>> degli individui”286.
Spesso le contraddizioni che si manifestano tra i vari livelli di profondità
sono in realtà conflitti paralleli tra il singolo e la società. “<<L’io>>,
<<l’altro>> e il <<noi>> non rappresentano che tre poli nell’unità
indissolubile della vita mentale cosciente. Comunemente si designa come
coscienza individuale la direzione verso l’io; come <<processo
intermentale>> la direzione verso la comunicazione tra <<l’io>> e <<gli
altri>>, con la mediazione dei segni e dei simboli, e, infine, come
<<mentalità sociale>> o come <<coscienza collettiva>> la direzione
verso il <<noi>> che sono fondamento di questi segni e simboli. Tuttavia
tra il <<noi><, l’<<io>>, e l’<<altro>> vi sono costantemente delle
reciprocità e delle tensioni che costituiscono la vita psichica e la
coscienza propriamente detta287.
Il controllo sociale è quindi legato a situazioni di tensione, di conflitto e
di rivolta che caratterizzano la vita sociale e quella individuale attraverso
una lotta permanete tra diversi piani in profondità, gruppi, modelli,
regole, valori, idee e ideali e non attraverso effettive opposizioni tra la
società e gli individui.
286
287
Ibidem.
Cfr. ivi, p. 65.
121
La quarta condizione per una ricerca scientifica sul controllo sociale è
quella di partire dall’assunto che ogni tipo di società globale è un
microcosmo di gruppi e che ogni gruppo particolare è un microcosmo di
forme di socialità disposto in diversi modi a seconda dei tipi di società e
di gruppi e a seconda delle congiunture storiche e sociali concrete.
Il controllo sociale infatti sarebbe una questione che si pone non solo
considerando i diversi tipi di società globali, ma anche in relazione al
gruppo particolare ed anche, in alcuni casi, in rapporto alle forme di
società. Vi è quindi un inscindibile pluralismo di fondo tra i vari
<<centri>>, ovvero tra le forme di società, i gruppi e le società globali,
ed ognuna di queste manifestazioni della realtà sociale deve creare
eterogenee forme di controllo basate su un sistema gerarchico.
Osserva Gurvitch come differenti tipologie di controllo sociale siano
riscontrabili ad esempio nelle società feudali, capitalistiche e borghesi
così come siano riscontrabili nei gruppi della chiesa, dei sindacati e delle
scuole ed anche nella massa e nella comunità.
A quanto detto l’autore aggiunge la considerazione che vi è una modifica
del carattere dei gruppi non solo per quanto concerne i tipi “ma anche
seconda delle loro integrazioni alle congiunture sociali particolari”288 il
che aumenta notevolmente i vari sistemi utilizzati per il controllo.
288
Ivi, p. 66.
122
Ne sono un esempio la Chiesa, lo Stato, la famiglia nei quali loro sistemi
di controllo sono mutevoli in relazione ai tipi di società globali nei quali
sono integrati.
Occorre dunque, per Gurvitch non cadere nelle generalizzazioni sul
controllo sociale e sulle possibilità di sviluppo di questo concetto, poiché
nella società vi sono sempre diversi sistemi di controllo che possono
nella loro evoluzione svilupparsi in diverse direzioni, le quali in alcuni
casi, possono essere opposte tra loro.
Il maggior grado di confusione si crea nel momento in cui si riscontra
una diversificazione netta che si riferisce alle forme di controllo e ai
centri di controllo, infatti la classificazione in forme di controllo deriva
dalla differenziazione di diversi modelli culturali, di simboli, idee e
valori, mentre la classificazione in centri di controllo è legata alla varietà
delle forme di socialità, dei gruppi e delle società globali. “Ogni centro o
agenzia di controllo sociale può in linea di massima servire da centro
attivo per realizzare le forme più diverse del controllo sociale; e nella
loro combinazione particolare in un sistema o in un tutto di controllo
(che corrisponde a un’unità sociale specifica e da essa applicata) che
risiede il principale interesse sociologico del problema del controllo
sociale”289.
289
Ivi, p. 67.
123
La quinta ed ultima condizione, per un’analisi scientifica del controllo
sociale, riguarda la precisazione del ruolo dei valori, delle idee e degli
ideali e delle forme simboliche in cui sono espressi nella realtà sociale e
il loro utilizzo come parametri di differenziazione di forme di controllo.
L’autore sostiene che bisogna superare sia il punto di vista idealista che
quello positivista poiché i valori culturali, le idee e gli ideali non sono né
determinati dalla realtà sociale né un qualcosa di trascendente da essa,
infatti questi hanno “con la vita sociale un rapporto funzionale, reciproco
e bilaterale”290 poiché sono distinti e peculiari nelle varie epoche
storiche, ai tipi sociali e alle strutture sociali concrete attraverso le quali è
possibile coglierne l’essenza, sperimentarli e metterli alla prova,
apportando anche una modifica alla realtà sociale poiché da essa sono
parzialmente creati.
Per Gurvitch solo attraverso il superamento della contrapposizione
fallace tra il relativismo e l’assolutismo è possibile comporre il controllo
sociale e la differenziazione delle sue forme su criteri chiari, senza
dissociare queste forme dalla realtà sociale di cui esse fanno parte e
senza annullarle nelle tecniche e nei mezzi di controllo.
Quello che l’autore ha voluto evitare è l’identificazione delle forme di
controllo con i mezzi per attuare il controllo stesso, essi infatti possono
da un lato realizzare varie forme di controllo, dall’altro essere diversi al
290
Ivi, p. 68.
124
fine di realizzare una sola di queste forme. “Solo questa concezione
permette di descrivere esattamente il ruolo che i <<modelli>> e gli
<<stereotipi>> svolgono nel controllo sociale e nelle sue diverse
forme”291.
I modelli, che non svolgono tutti un ruolo diretto nel controllo sociale,
ovvero non possono essere considerati tutti espressione delle sue forme
si suddividono in “tecnici” e “culturali”: i primi sono da considerarsi solo
come strumenti per realizzare il controllo, come immagini stereotipate di
comportamenti collettivi che si attuano nella routine; quelli culturali
invece sono le principali forme di controllo sociale diretto, modelli
culturali simbolici espressi dalle idee, i valori, gli ideali collettivi che si
perpetuano nella società con l’azione della vita collettiva.
Non è necessario però che gli ideali, le idee e i valori siano forzatamente
standardizzati in modelli, perché possono agire come forme di controllo
nell’azione libera, spontanea e indipendente, infatti “ la loro azione
immediata, particolare, individualizzata e spontanea può essere
incomparabilmente più efficace e la validità dei modelli simbolicoculturali, come forme di controllo sociale, dipende dall’intensità del loro
legame con i valori, le idee, e gli ideali”292.
291
292
Ibidem.
Ivi, p. 70.
125
Altra forma, non meno importante, sono gli atti collettivi che creano
nuovi valori e idee e che spesso hanno una forza maggiore delle altre
forme di controllo. Pertanto un’altra distinzione da fare e quella tra forme
e specie di controllo, per completare il quadro di differenziazione con i
centri di controllo e i mezzi di controllo.
Ogni specie di controllo può essere suddivisa in tre forme: modelli
simbolico-culturali; valori, idee, ideali collettivi; esperienze, aspirazioni,
creazione di idee, valori e ideali nuovi. Queste forme di controllo
rappresentano “tre piani in profondità in ogni specie di controllo;
l’intensità di questi piani varia a seconda delle congiunture sociali, i tipi
di società e i diversi gruppi”293. Questa distinzione appare più utile di
quelle generalizzate che si riferiscono alle forme premeditate e non del
controllo sociale, alle forme coscienti e non coscienti o a quelle formali o
meno, infatti
queste opposizioni creano delle separazioni che sono
innaturali e rigide dove invece nella realtà “non vi sono che gradi diversi
di intensità e transizioni continue”294, poichè la sola distinzione da
mantenere, oltre alle tre citate, è quella
tra forme autoritarie e
democratiche.
Occorre inoltre precisare ciò che Gurvitch ritiene essere il controllo
sociale, le sue forme, e come esso si caratterizza ed estrinseca e rilevare
293
294
Ibidem.
Ivi, p. 71.
126
che “si possono distinguere tante specie di controllo sociale quante sono
le possibili e differenti scale di valori, di ideali e di sistemi di idee
diverse, considerando come principali forme di controllo sociale la
religione (e, nella società arcaica, la magia in con concorrenza con la
religione), la morale, il diritto, l’arte, la conoscenza e l’educazione”295.
Tutte queste forme di controllo si possono differenziare in una
molteplicità di sottospecie o varietà, infatti la gerarchia interna di esse
varia, anche in relazione al tipo di gruppo o società, così come varia
all’interno di ciascuna varia la preponderanza delle sottospecie a cui
corrispondono.
Esemplificando, per quanto concerne la conoscenza, che corrisponde ai
vari gruppi o società, si può avere sia una conoscenza filosofica sia una
percettiva così come una politica oppure tecnica; la medesima cosa
avviene in relazione al diritto in cui vi potrebbe essere una predominanza
o di quello sociale così come quello intuitivo oppure organizzato o
interindividuale.
Dalla definizione di Gurvitch sul controllo sociale data in precedenza e la
metodologia utilizzata per la differenziazione delle specie si può
osservare che: “Il controllo sociale, in questa interpretazione, non è altro
che un nome diverso per ciò che viene chiamata la <<sociologia
culturale>> o la <<sociologia dello spirito umano>>. E’ solo un titolo
295
Ivi, p. 73.
127
comune attribuito alla sociologia religiosa, alla sociologia morale, alla
sociologia del diritto […]”296.
Tutti questi settori della sociologia analizzano sia i valori (collettivi) sia i
simboli (sociali) sia i modelli culturali relazionandoli sempre con i
gruppi e le società ma, altresì, storicizzandoli.
Consegue necessariamente che il controllo sociale ha il medesimo
oggetto di indagine della sociologia che studia lo spirito umano. Ciò
invece che li differenzia sono le problematiche affrontate da questi due
concetti che concernono sia il punto in cui vengono osservati sia il
metodo.
In primo luogo il campo di studio del controllo sociale interessa la varie
correlazioni che si instaurano tra le specie e forme di controllo “in quanto
elementi o parti integranti di un sistema o di un insieme di controlli”297.
Il problema del controllo è presente anche nelle società arcaiche dove le
varie specie di controllo non hanno ancora una differenziazione o, se la
hanno, essa è insufficiente. “Si tratta qui della concorrenza e di equilibri
variabili che si stabiliscono tra due sottospecie di controllo sociale
sovrannaturale, la magia e la religione. Si arriva così a confrontare i
296
297
Ivi, p. 74.
Ivi, p. 75.
128
diversi rami della sociologia dello spirito […], a collegarli tra loro, a
integrare in un tutto, a far coagulare insieme i loro risultati”298.
Il moltiplicarsi delle ricerche effettuate sul controllo sociale potrebbero
concorrere a realizzare una modello, ovvero una introduzione generale
adatta ad una molteplicità di branche della scienza sociologia, come
quella del diritto, quella religiosa, dell’arte, per poter impedire un
isolamento di queste discipline e per aumentare la loro importanza nelle
varie società o gruppi.
Nel secondo invece: “mentre si pone l’accento su diversi rami della
sociologia dello spirito, sulle relazioni funzionali tra simboli, i valori e le
idee da una parte e le congiunture e strutture sociali dall’altra, quando le
si giudica come elementi di un insieme, come settori di un sistema di
controllo sociale, ci si orienta sempre più allo studio della loro azione
pratica su queste congiunture e queste strutture”299.
Le varie specie del controllo sociale infatti, in relazione ad uno dei loro
aspetti, riguardano le variazione delle molteplici gerarchie delle varie
specie di controllo ed anche le oscillazioni dell’efficacia delle loro azioni
sui vari gruppi o unioni particolari.
In questo modo da un lato si affronta l’argomento sotto l’angolatura del
controllo sociale evitando, allo stesso tempo, il pericolo di isolare le une
298
299
Ibidem.
Ivi, p. 75-6.
129
dalle altre le manifestazioni culturali differenziate, dall’altro si valorizza
la sociologia dello spirito con i problemi di strutturazione sociale.
Per Gurvitch: “Bisogna contrapporre alle specie di controllo sociale le
forme di controllo sociale che si possono caratterizzare come dei piani o
livelli in profondità che si manifestano in seno ad ogni specie di
controllo sociale così come in ogni sistema globale. Poiché le
<<specie>> e le <<forme>> di controllo sociale si incrociano, il loro
numero si moltiplica considerevolmente”300.
Come analizzato in precedenza tra le varie forme di controllo di cui la
prima studia le forme normali di controllo come gli usi, i simboli, i
modelli; la seconda esamina le forme spontanee di controllo mediate dai
valori, dagli ideali e dalle idee; la terza concerne le forme collettive
dirette, aspirazioni e creazioni che erano la forma spontanea di controllo
e che portava alla creazione di valori nuovi; assume, nella costruzione
del Gurvitch, un’importanza fondamentale la prima di quelle elencate,
considerata come ispirata dalle altre e fonda su queste, la cui
rappresentazione
esterna
è
un’organizzazione
o
soprastruttura
organizzata.
300
Ibidem.
130
Per Gurvitch essa: “E’ una combinazione schematica di modelli più o
meno rigidi e cristallizzati che centralizzano e pongono in gerarchia delle
condotte collettive”301.
Ma queste sovrastrutture, esercitando un potere, rischiano di allontanarsi
dalle spontanee manifestazioni della vita sociale a causa anche dalla loro
rigidità. Infatti il controllo sociale organizzato si pone in conflitto con un
altro tipo di controllo, più flessibile, che si basa su valori idee e ideali,
definito dall’autore il controllo sociale spontaneo. Questo tipo di
controllo, nella sua forma più elevata si esterna con atti di creazione e di
esperienza.
Quando vi è una netta separazione tra questi due tipi di controllo sociale
quello organizzato muta in controllo sociale automatico ma, di contro, se
vi è una interazione tra i due tipi di controllo, ossia il controllo sociale
organizzato e radicato nel in quello spontaneo, allora esso diviene un
controllo sociale democratico.
Per Gurvitch: “Bisogna distinguere non meno di quattro forme principali
di controllo sociale che si incrociano con sei principali specie <<tipi>>:
1) Il controllo sociale organizzato (che può essere sia autocratico che
democratico a seconda dei sui rapporti con le forme spontanee di
controllo); 2) Il controllo sociale che si effettua con l’aiuto di pratiche e
usi culturali come i simboli non codificati in sovrastrutture organizzate e
301
Ivi, p. 77.
131
che a livelli diversi sono più o meno flessibili […]; 3) Il controllo sociale
spontaneo messo in atto dai valori, dalle idee e dagli ideali collettivi; 4)
Il controllo sociale ancora più spontaneo messo in atto dalle esperienze
collettive, dalle aspirazioni e dalle creazioni collettive comprese le
rivolte e le rivoluzioni”302.
Queste forme di controllo sono le più rilevanti all’interno di ogni società
o di ogni gruppo poiché si pongono continuamente in relazione con le
congiunture sociali concrete e “così non solo la gerarchia della specie
(tipi) varia in un dato sistema di controllo sociale, ma cambia anche il
ruolo o l’intensità delle diverse forme di controllo, tenendo conto delle
specie (tipi) e dei sistemi particolari di controllo globale”303.
E’ quindi necessario che si pongano in contrapposizione sia i centri del
controllo sia le specie che le sue forme.
I centri, ovvero gli organi o le agenzie del controllo sociale individuati
dall’autore sono le società globali, i gruppi e le forme di socialità, ed
ognuno di essi è in grado di originare e di applicare qualsiasi specie di
controllo.
Secondo Gurvitch però le osservazioni empiriche ci comprovano come
diversi tipi di società globali, di gruppi e di forme di socialità sostengano
forme e specie particolari di controllo e favoriscano una loro
302
303
Ivi, p. 78.
Ibidem.
132
combinazione in insiemi specifici, mentre, osserva l’autore, diverse
specie, forme e sistemi di controllo sociale esercitino influenze
diversificate sui vari centri di controllo, e come l’analisi di queste
relazioni funzionali specifiche sia il principale oggetto della ricerca
sociologica concreta ed empirica in materia al controllo sociale.
Oggetti dello studio delle specifiche relazioni funzionali è lo studio e la
ricerca sociologica sul controllo sociale304.
Lo studio del controllo a livello sociologico non può considerare oggetti
del medesimo ne i mezzi ne le tecniche ne strumenti del controllo infatti
“essendo immenso il numero dei controlli sociali, essendo anche infinito
il numero di centri di controllo sociale, come quello delle congiunture
sociali che ne derivano, i mezzi tecnici o strumenti del controllo
mostrano una flessibilità, una tale propensione a variare e una tale
relatività che non si possono fissare o descrivere senza cadere in
generalizzazioni e dogmatizzazioni eccessive305. Vi è una indipendenza
dei mezzi del controllo sociale dalle forme e dalle specie come dai centri
di controllo poiché “diverse specie, forme e centri possono utilizzare
mezzi identici di controllo, mentre le stesse specie, forme ed organi
304
305
Cfr. Ibidem.
Ivi, p.79.
133
possono utilizzare per la realizzazione dei mezzi o strumenti del tutto
diversi”306.
Per Gurvitch quindi: “Lo studio sociologico del controllo sociale è solo
al suo inizio e il suo sviluppo ulteriore, nella misura in cui raggiungerà
una maggiore decisione, promette di servire alla <<sociologia dello
spirito>> come un’introduzione molto importante ed indispensabile”307.
306
307
Ivi, p. 80.
Ibidem.
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141
INDICE
pag.
PREMESSA
1
CAPITOLO I
LA TECNICA PLURALISTA, IL PLURALISMO SOCIALE E
LA DEMOCRAZIA PLURALISTA
3
CAPITOLO II
IL DIRITTO SOCIALE
44
CAPITOLO III
LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI SOCIALI
73
3.1 Premessa alla dichiarazione dei diritti sociali.
73
3.2 Il produttore, il consumatore, il cittadino, l’uomo.
88
3.3 I doveri e i diritti sociali derivanti dalla proprietà.
98
CAPITOLO IV
IL CONTROLLO SOCIALE
Bibliografia
105
135
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