la socializzazione

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LEZIONE:
“LA SOCIALIZZAZIONE”
PROF.SSA SIMONA IANNACCONE
La socializzazione
Indice
1 Il processo di socializzazione --------------------------------------------------------------------------- 3 2 Gli agenti di socializzazione ---------------------------------------------------------------------------- 6 3 La socializzazione imperfetta ------------------------------------------------------------------------ 13 Riferimenti bibliografici ------------------------------------------------------------------------------------ 14 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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La socializzazione
1 Il processo di socializzazione
La società si assicura la continuità da una generazione all’altra attraverso il processo di
socializzazione, che permette la formazione della personalità degli individui e l’apprendimento dei
modelli comportamentali della società in cui sono inseriti. Individui diversi devono acquisire abilità
complesse, un linguaggio comune, un comune modo di relazionarsi, di comunicare e di
comportarsi, pena l’impossibilità della stesa vita sociale. Ma se la presenza di questi elementi
comuni è ciò che garantisce la continuità del nostro vivere sociale, in che modo questi elementi
hanno origine? Come è possibile che individui differenti per intelligenza, inclinazioni, prestanza
fisica ecc. riescano a condividere con gli altri tutti questi aspetti che costituiscono la nostra vita
quotidiana? Attraverso quale processo la società garantisce la propria esistenza consentendo ai
nuovi nati di accettarne le regole e i modelli, non solo perché imposti, ma in quanto sentiti come
naturalmente parte di sé?
I modelli culturali presentano la caratteristica essenziale di non essere inscritti nel patrimonio
genetico dell’essere umano, ma di dover essere appresi da parte di ogni nuovo nato a seconda delle
caratteristiche della società in cui egli deve vivere. Gli studi di Sigmund Freud e dei suoi discepoli,
di Mead e della psicologia dell’età evolutiva hanno evidenziato l’importanza dei processi attraverso
cui le norme sociali vengono interiorizzate dal bambino così da divenire parte della sua stessa vita
psichica. Fin dalla nascita, l’essere umano non solo interagisce con il proprio corpo e con il suo
ambiente fisico, ma anche con gli altri esseri umani. Sin dall’inizio la biografia dell’individuo
coincide con la storia dei suoi rapporti con gli altri; e questo perché anche le componenti non sociali
dell’esperienza infantile vengono mediate dagli altri individui, e tramite loro, dall’esperienza
sociale. Quasi ogni aspetto della vita del neonato coinvolge altri essere umani: la sua esperienza
degli altri è determinante per tutta la sua esistenza. Sono gli altri che creano i modelli attraverso i
quali il neonato percepisce il mondo, ed è solo grazie a questi modelli che l’organismo riesce a
stabilire un rapporto stabile con il mondo esterno, non soltanto con il mondo sociale, ma anche con
l’ambiente fisico.
Questi stessi modelli interessano anche l’organismo, interferendo con il suo funzionamento.
Sono gli altri, per esempio, che stabiliscono i modelli secondo i quali viene soddisfatta la richiesta
di cibo del bambino, e così facendo agiscono sul funzionamento del suo organismo.
Perciò la società non soltanto impone i suoi modelli sul comportamento infantile, ma giunge a
organizzare i suoi bisogni primari.
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Il processo attraverso il quale gli individui sviluppano lungo tutto l’arco della loro vita, nel
corso dell’interazione sociale con vari gruppi sociali, di solito a partire dalla famiglia, un grado
minimo e poi via via sempre più specializzato di competenze comunicative e di abilità all’interno di
una determinata cultura, adottando i modelli di comportamento, le norme, i valori della propria
società, è appunto la socializzazione.
Le norme, a loro volta, rappresentano uno dei più importanti elementi di coesione e di
riproduzione culturale di un gruppo umano. La loro trasmissione può manifestarsi tanto nelle forme
tradizionali dell’educazione (familiare, scolastica), quanto come socializzazione politica e religiosa,
cioè in forme in cui la comunicazione fra generazioni non ha necessariamente carattere anagrafico.
Il processo che consente il rapporto con l’altro riguarda sia la prima socializzazione, che
l’individuo intraprende nell’infanzia e attraverso la quale diventa un membro della società, sia ogni
successivo processo che introduca un individuo già socializzato in nuovi settori del mondo
oggettivo della sua società. Si distingue così la socializzazione primaria da quella secondaria1.
Ogni individuo nasce all’interno di una determinata struttura sociale, dove incontra le persone
che hanno cura della sua socializzazione e mediante le quali egli accoglie un determinato mondo
culturale. Si può dire che le persone importanti per il bambino, e tramite le quali avviene il suo
processo di mediazione culturale, formano il piccolo veicolandogli un mondo culturale da esse
selezionato.
Una caratteristica tipica della prima socializzazione è l’influenza della vita emotiva. Come è
stato fatto notare dalla psicologia infantile freudiana, il bambino si identifica con le persone che
influiscono su di lui secondo modalità emozionali. La socializzazione primaria, infatti, avviene solo
tramite l’identificazione con l’altro importante. Grazie all’identificazione con le persone che si
curano di lui e degli atteggiamenti che hanno nei suoi confronti, il bambino diventa capace di
acquistare un’identità soggettivamente coerente e di aver coscienza di sé.
Ciò che più di ogni altra cosa è necessario interiorizzare è il linguaggio. Grazie al linguaggio,
e per mezzo di esso, vari schemi motivazionali e interpretativi vengono acquisiti come
istituzionalmente definiti. Tramite la veicolazione delle parole il soggetto introietta dei significati
condivisi dalla propria collettività.
1
Secondo il sociologo italiano Ferrarotti la socializzazione primaria sarebbe per propria natura non utilitaria,
costituendo un valore in se e per se. La socializzazione secondaria avrebbe invece carattere strumentale, riguardando i
ruoli e le funzioni che l’uomo è chiamato a ricoprire o svolgere nella società. La socializzazione secondaria avverrebbe
attraverso le istituzioni intese a favorire lo sviluppo dell’individuo come realtà autonoma a autosufficiente.
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Il processo di socializzazione non si conclude con l’infanzia, ma si protrae durante tutta il
corso dell’esistenza. La formazione primaria viene infatti a modificarsi sulla base dell’introiezione
da parte del soggetto dei sistemi di conoscenza relativi al ruolo al quale il soggetto stesso è legato.
Pertanto, definiremo socializzazione secondaria quell’insieme di pratiche messe in atto dalla
società che consentono agli individui di assumere ed esercitare ruoli adulti. Il compito della
socializzazione secondaria consiste nella formazione delle capacità sociali specifiche necessarie
all’esercizio dei ruoli stessi.
Le società moderne sono società altamente differenziate, cioè comprendono una gamma molto
ampia di ruoli e di relative posizioni. Ogni individuo ricopre nella società una pluralità di ruoli i
quali si collocano in sfere di vita separate tra loro. L’insieme dei ruoli svolti (ruoli familiari, ruoli
lavorativi ecc.) da un individuo si designa in genere con il termine inglese role set. La
composizione dell’insieme dei ruoli svolti da un individuo muta continuamente nel tempo lungo
l’arco della vita.
Le diverse nozioni di socializzazione possono essere combinate entro un modello di sviluppo
nel tempo. Da questo punto di vista si distingue una socializzazione della prima infanzia, condotta
principalmente nel nucleo familiare, una socializzazione scolare e, infine, un progressivo processo
di socializzazione in età adulta per adeguarsi a ruoli culturalmente definiti.
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Gli agenti di socializzazione
Si possono indicare i gruppi o i contesti sociali all’interno dei quali avvengono significativi
processi di socializzazione con la definizione di agenti di socializzazione. In tutte le culture il più
importante di questi ultimi che dalla prima infanzia all’adolescenza collega tra loro, in una
sequenza, le varie generazioni è la famiglia.
Certamente il sistema familiare può assumere molte forme diverse, il complesso dei contatti
sperimentati dal bambino non è affatto omogeneo da cultura a cultura. La madre è in generale la
persona più importante nella prima infanzia, anche se la divisione dei ruoli all’interno della famiglia
varia notevolmente nelle diverse culture, ma la natura del rapporto tra madre e bambino dipende
dalla forma e dalla regolarità dei loro contatti. Ciò è a sua volta condizionato dal carattere
dell’istituzione familiare e dal rapporto che questa ultima ha con altri gruppi sociali.
Nella famiglia avviene lo sviluppo intellettuale e psichico del bambino, nei primi scambi
interpersonali si formano infatti i futuri modelli di comportamento che faranno da filtro alle
esperienze successive, in cui il bambino prende coscienza dell’esistenza del mondo circostante,
inizia a dare un significato a tutto ciò che lo circonda, impara a conoscere se stesso e a comunicare
in modi diversi.
Quando il bambino inizia a conoscere se stesso, verso i due anni, si rende conto anche che
esistono dei collegamenti tra sé e gli altri, percepisce che le persone sono legate in un campo di
relazioni sociali e non sono isolate l’una dall’altra. Questo è il primo passo verso la comprensione
della più ampia realtà sociale: la comprensione dei rapporti tra le persone, la scoperta di una
relazione tra sé e la mamma o il papà. Il secondo passo consiste nell’acquisizione della coscienza
delle norme sociali che si sviluppa nel bambino tra i diciotto e ventiquattro mesi, prima di allora
egli non si rende conto che c’è qualcosa che può essere fatto e qualcosa che non si può fare, e da qui
entra in gioco l’importanza dell’educazione di genitori, i quali iniziano a dare delle norme che
devono essere rispettate, in primo luogo all’interno della vita familiare, e poi anche fuori, nei
rapporti con il mondo esterno.
La famiglia rappresenta, quindi, il nucleo fondamentale in cui si stabiliscono i primi legami
emotivi, si apprendono il linguaggio e si interiorizzano i valori della cultura della società di
appartenenza. In ogni società la famiglia è l’istituzione cardine per la socializzazione primaria e
quindi per la trasmissione delle norme e dei valori sociali.
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Nelle società occidentali contemporanee, gran parte della socializzazione precoce avviene
all’interno di un contesto familiare ristretto. Anche nella società italiana la maggioranza dei bambini
trascorre i primi anni di vita in una famiglia di tipo nucleare, cioè un’unità domestica composta da
madre, padre e uno o due altri figli. In molte altre culture, invece, anche zie, zii e nipoti sono spesso
parte di una medesima unità familiare e contribuiscono allo svezzamento dei bambini. Del resto,
anche all’interno delle società occidentali il contesto può assumere molte forme diverse. Tuttavia,
si vanno affermando nuovi modelli con unità familiari ancora più ridotte come quella
monoparentale, composta da un solo genitore e figli; i bambini possono essere affidati a due
soggetti che svolgono la funzione di madre e due che assumono quella di padre (i genitori divorziati
e i loro nuovi partner). Inoltre, una quota consistente di donne sposate lavora oggi fuori casa e
ritorna alla propria occupazione retribuita relativamente presto dopo la nascita del bambino.
Per la socializzazione del bambino può essere molto negativo il contesto. Una proporzione
piuttosto grande di bambini, per esempio, è soggetta alla violenza o all’abuso sessuale da parte di
un genitore, di bambini più grandi o altri adulti, esperienze che hanno effetti a lungo termine sulle
loro vite future.
Sarebbe però sbagliato pensare al processo di socializzazione familiare come un processo
unilaterale; il bambino, e persino il neonato, reagiscono a questo processo, vi partecipano e vi
collaborano in vario grado.
La socializzazione è sempre, in vario grado, un processo reciproco, nel senso che coinvolge
non solo il socializzato ma anche il socializzante. Di norma i genitori riescono a educare, più o
meno compiutamente, i loro figli secondo i modelli generali stabiliti dalla società e da essi stessi
desiderati. Ma anche i genitori vengono trasformati, talvolta radicalmente, dall’esperienza della
maternità e della paternità, le quali si configurano per loro come processi di socializzazione a nuovi
ruoli.
Un’altra ragione dell’importanza della famiglia deriva dalla specifica collocazione che occupa
all’interno delle istituzioni sociali più ampie. Nella maggior parte delle società tradizionali,
l’appartenenza familiare determina in buona misura la posizione sociale dell’individuo per tutto
l’arco della vita. Ognuno di noi dal momento in cui nasce ha uno status ascritto di classe, di
religione, di razza ecc., che influenza notevolmente il processo di interazione e socializzazione.
Anche se nelle moderne società occidentali, nonostante la classe sociale di appartenenza della
famiglia influisca profondamente sui modelli di socializzazione, la posizione sociale non è
determinata così fortemente dalla nascita: generalmente il ruolo sociale dell’individuo è un fatto
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La socializzazione
autonomo e dovuto alle capacità individuali. Pochi bambini, infatti, adottano senza riserve il punto
di vista dei genitori. Ciò vale in particolare nel mondo contemporaneo, dove il cambiamento è
onnipresente. L’esistenza stessa di diversi agenti della socializzazione, inoltre, porta a molte
divergenze tra il punto di vista dei bambini, degli adolescenti e quello dei genitori.
La scuola è la prima istituzione sociale extradomestica con la quale l’individuo entra in
rapporto e l’ingresso nella scuola segna convenzionalmente l’inizio della socializzazione
secondaria. La scuola rappresenta un ambiente qualitativamente diverso da quello domestico
nell’orizzonte del quale si è svolta prevalentemente la socializzazione primaria. Essa è un agente
formativo che opera un’importante funzione di socializzazione dei soggetti in età più evolutiva,
fungendo da tramite tra la famiglia e la società e preparando in tal modo il bambino al suo futuro
ruolo di adulto. Alla scuola le moderne società occidentali hanno assegnato il compito istituzionale
di socializzare i giovani addestrandoli all’apprendimento di particolari abilità e alla condivisione di
un universo di valori e di regole di convivenza sociale. Attraverso il processo di istruzione la società
si garantisce un certo livello di solidarietà e di unità sociale, trasmettendo senso di appartenenza e di
fedeltà a una stessa cultura e a uno stesso gruppo.
La figura dell’insegnante, per quanto possa spesso assumere atteggiamenti di stampo familiare
e di tipo materno o paterno, è quella del portatore di un ruolo sociale specifico, definito da
caratteristiche oggettive di competenza e da norme impersonali di prestazione. Nell’interazione con
l’insegnante il bambino impara prima di tutto modelli di comportamento adeguati ad una situazione
definiti in termini di rapporti di autorità assai più impersonali di quelli esperiti nella situazione
familiare. Inoltre, nella situazione scolastica il bambino imparerà in modo assai più esplicito che
non nella precedente esperienza familiare a strutturare la propria azione in termini di rapporti
mezzi/fini: gli vengono indicati degli obiettivi di apprendimento (ad es., la capacità di risolvere un
problema di geometria), i mezzi adeguati per realizzarli (lo svolgimento di determinati esercizi), i
criteri per verificare se l’obiettivo è stato o meno raggiunto e la sua prestazione viene valutata e
sanzionata positivamente o negativamente mediante un sistema di incentivi e disincentivi.
Sulla base delle proprie prestazioni, lo scolaro viene indotto a confrontarsi, in modo esplicito
o implicito con i propri compagni ed a sperimentare quindi una situazione oggettivamente
competitiva, oppure viene stimolato a cooperare con essi al fine della realizzazione di un bene
comune. La socializzazione scolastica,quindi, al di là dei contenuti specifici dell’insegnamento,
trasmette, in base al modo in cui viene attuata e al tipo di rapporti sociali nei quali si esplica, una
serie di modelli di comportamento che si rifanno ai principi di autorità, di prestazione, di
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competizione e di cooperazione. Le reazioni degli insegnanti, inoltre, influiscono sulle aspettative
che i bambini hanno nei confronti di se stessi, condizionandoli ad autovalutarsi con gli stessi criteri
applicati dagli insegnanti.
Fuori dall’ambito familiare i bambini imparano a obbedire a qualcuno non per l’amore o la
protezione che questi gli offre, bensì perché così è richiesto da un sistema sociale che impone
l’adesione alle sue regole. Il comportamento personale entra in tal modo a far parte di un sistema di
registrazione sociale che consente al bambino di diminuire la sua dipendenza dai modelli familiari e
di costruire legami entro un più ampio orizzonte sociale. È nell’ambito scolastico che si
costruiscono i gruppi dei pari e il sistema di distribuire i bambini nelle classi in base all’età rafforza
questo processo.
Un altro agente di socializzazione è il gruppo dei pari, che a differenza della famiglia, della
scuola non si basa su un rapporto gerarchico tra chi trasmette e chi riceve elementi della
socializzazione, ma si fonda proprio sull’abolizione delle differenze di posizione sociale all’interno
del gruppo. Con l’espressione “gruppo dei pari” si fa riferimento a un tipo qualunque di gruppo
caratterizzato da un rapporto paritario e simmetrico fra i suoi membri, dovuto al fatto che questi
hanno in comune alcune condizioni di base, come la stessa età, ruoli identici, condizioni sociali
molto simili. In alcune culture, e particolarmente nelle società tradizionali di piccole dimensioni, i
gruppi dei pari sono formalizzati in gradi di età ognuno dei quali ha certi diritti e responsabilità che
cambiano con l’invecchiamento. Ci sono spesso cerimonie o riti specifici che segnano il passaggio
di un individuo da un grado di età all’altro. Un esempio tipico di sequenza in gradi di età è quella
costituita da: infanzia; età dell’iniziazione alle attività guerriere; età dei guerrieri; prima e tarda
vecchiaia. All’interno della sequenza, i soggetti non si spostano come individui ma come gruppi.
Nelle società occidentali, data l’alta percentuale di donne che lavorano fuori casa, i bambini
già da piccoli si trovano insieme nelle scuole materne e stabiliscono tra loro rapporti di amicizia. Il
gruppo dei pari è un importante agente di socializzazione, perché esercita una particolare influenza
nella tarda infanzia e nell’adolescenza. Si tratta di fasi in cui gli individui conquistano un’identità
relativamente stabile, spesso attraverso una reazione negativa nei confronti dei modelli appresi in
famiglia e nella scuola. Via via che l’influenza del gruppo dei pari aumenta, quella dei genitori
passa in secondo ordine, perché all’interno del gruppo i bambini possono interagire con i propri
simili su un piano di parità. Il gruppo dei pari risulta allora importante in quanto propone nuove
norme e valori , all’interno di una dinamica interattiva tra eguali.
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Questi rapporti sono più democratici di quelli tra genitori e figli. Il termine «pari» indica
soggetti «uguali» e i rapporti di amicizia tra bambini tendono ad essere ragionevolmente egualitari.
Essendo fondati sul mutuo consenso, piuttosto che sulla dipendenza, com’è tipico della situazione
familiare, i rapporti tra pari prevedono un intenso scambio di dare e avere. Gli stessi genitori, in
virtù del loro potere, possono imporre dei codici di condotta ai propri figli; nel gruppo dei pari
invece, il bambino scopre un diverso contesto di interazione, all’interno del quale le regole di
condotta possono essere messe alla prova ed esplorate2.
I rapporti tra pari rimangono spesso importanti per tutto l’arco dell’esistenza, specialmente
nelle aree in cui la mobilità é scarsa e gli individui rimangono membri della medesima cerchia
informale o conservano lo stesso gruppo di amici per tutta la vita o quasi.
I gruppi dei pari dal momento in cui si formano fino alla tarda adolescenza vanno incontro a
un’evoluzione che segue di solito tre tappe fisse:
• gruppi informali (6-10 anni circa), sono dotati di poche regole, legate soprattutto ai
giochi e alle attività da svolgere. I membri si avvicendano molto facilmente senza
che il gruppo ne risenta, non ci sono dei leader;
• gruppi formali (11-15 anni circa), sono dotati di strutture rigide e all’interno si
creano divisioni ed esclusioni. I membri che meglio riescono nelle varie attività e che
sono più socievoli sono i più popolari, ricercati ed ammirati da tutti. I più impopolari
sono di solito individui con piccoli problemi,che di solito riguardano l’aspetto fisico,
o con difficoltà psicologiche, come ansia, insicurezza, vittimismo ecc. Di solito in
questi gruppi i personaggi più popolari lo diventano sempre di più, perchè chi piace
agli altri aumenta la sua autostima e si comporta in modo da piacere sempre di più,
mentre chi si sente rifiutato si isola e riscuote sempre meno simpatia;
• comitive (16-24 anni), formate da persone con caratteristiche e interessi comuni e
che in genere provengono da uno stesso ambiente socioculturale. A differenza dei
gruppi formali, le comitive sono miste e spesso diventano il punto di partenza per la
nascita di coppie.
Interferiscono ormai nell’azione di tutti gli agenti della socializzazione anche i mezzi di
2
Cfr.G. H. Mead, Mind, Self and Society, Chicago, University of Chicago Press, trad. it. Mente, sé e società, Firenze,
Barbera, 1966; J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino, Einaudi, Torino, 1967; Id. (1924), Le language et la pensée
chez l’énfant, Delachomx Neuchatel (trad. it. Il linguaggio e il pensiero del fanciullo, Editrice Universitaria, Firenze
1955); Id. (1946), La formation du symbole chez l’enfant, Delachomx et Niestle, Paris (trad. It. La formazione del
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comunicazione di massa. La diffusione di questi ultimi influenza sicuramente le scelte e le
opinioni degli individui nel processo di socializzazione, anche se in modo e in misura diversa.
Questa forte presenza dei mass-media, se da un lato consente una più facile veicolazione delle
informazioni, dall’altro costituisce un pericolo in termini di formazione, perché la fruizione acritica
dei messaggi può determinare fenomeni devianti, come l’eccessiva dipendenza, il conformismo ecc.
La caratteristica dei mezzi di comunicazione di massa, giornali e riviste, radio e televisione, cinema,
reti telematiche, è di raggiungere un largo pubblico senza richiedere un contatto personale tra
l’emittente e i destinatari dei messaggi. I mass-media rispetto alla famiglia e alla scuola
costituiscono un’agenzia di socializzazione molto più fluida e informale, anche se però presentano
un potere socializzante altrettanto forte, in quanto non forniscono solo informazioni da cui gli
individui rimarrebbero altrimenti esclusi, ma offrono modelli di ruolo e rappresentano stili di vita.
Attraverso soprattutto la pubblicità, non soltanto persuadono i consumatori a gradire le offerte
di mercato, ma anche esaltano il valore sociale di certe qualità, come la bellezza, il successo, la
ricchezza, la giovinezza ecc. I mass-media riflettono prontamente e in notevole misura
contribuiscono a costruire i mutamenti delle norme e dei valori sociali e ne consentono l’estensione
a masse che non ne sono immediatamente protagoniste. Certamente i mass-media, dalla carta
stampata alla radio, sono stati e continuano a essere in grado di influenzare atteggiamenti e opinioni
di un pubblico sempre più vasto.
Ma oggi la televisione si propone addirittura come agenzia di socializzazione, in grado di far
concorrenza, nella costituzione di una mentalità sociale comune, alla scuola, anche perché
mediamente un bambino, nelle moderne società industrializzate, trascorre più tempo davanti al
televisore che a scuola.
La televisione incoraggia un comportamento passivo: non appena i programmi pongono
interrogativi che richiedono riflessione e concentrazione, si cambia canale. L’esposizione alla
televisione pare riduca la soglia media di attenzione dei bambini. Tuttavia, sembra diventare sempre
più l’unico mezzo di comunicazione universalmente diffuso e in grado, grazie ai collegamenti via
satellite, di diffondere in ogni parte del mondo i medesimi modelli culturali.
Anche in questo caso è necessario, quindi, una corretta utilizzazione dei mezzi che la
tecnologia mette a disposizione di tutti, per costruire consapevolmente, e non subire, le proprie
opinioni e i propri atteggiamenti.
simbolo nel bambino, La Nuova Italia, Firenze, 1974); Id., Etudes Sociologiques, Droz, Genève (trad. it. Studi
sociologici, Angeli, Milano 1989)
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Oltre a quelli menzionati, esistono tanti altri agenti di socializzazione, quanti sono i gruppi, o
contesti sociali, in cui l’individuo trascorre una parte significativa della propria vita: gruppi
religiosi, organizzazioni giovanili, associazioni di vario tipo, partiti politici ecc. Ognuno di questi
agenti può proporre valori e modelli di comportamenti diversi e spesso in conflitto reciproco.
Anche l’ambiente lavorativo è certamente un ambito in cui si svolgono processi di
socializzazione, sebbene soltanto nelle società industriali avvenga che grandi quantità di persone
“vadano a lavorare”, che raggiungano cioè ogni giorno luoghi di lavoro completamente separate
dalle abitazioni. Nei paesi industrializzati, il momento di “andare a lavorare” per la prima volta
segna generalmente nella vita di un individuo un passaggio molto più significativo che nelle società
tradizionali. L’ambiente lavorativo pone spesso problemi prima sconosciuti e può richiedere grossi
aggiustamenti del modo di pensare e del comportamento di una persona.
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La socializzazione
3 La socializzazione imperfetta
Va tenuto presente che il rapporto tra agenti di socializzazione e individuo è da intendersi
come reciproca interazione e non come semplice accettazione passiva. Se è vero, cioè, che
l’individuo viene modificato dagli elementi culturali da lui appresi, è altrettanto vero che questi
vengono fatti propri secondo modalità di rielaborazione individuale. La conseguenza di ciò è
l’impossibilità di una “socializzazione perfettamente riuscita”. Questa “imperfezione” del processo
consente a sua volta lo spazio alle peculiarità individuali ed è pertanto di rilevanza essenziale e
decisamente positiva. A volte, però, le carenze della socializzazione stanno a indicare ambiti in cui
gli agenti tipici della socializzazione falliscono o semplicemente omettono il proprio compito. Si
verificano così situazioni che possono avere conseguenze gravissime per i soggetti implicati. Ciò
può verificarsi tanto durante la socializzazione primaria, quanto durante quella secondaria. In questi
casi si generano condizioni che implicano, seppure a livelli diversi, l’isolamento del soggetto. Data
la priorità della socializzazione primaria, gli effetti più evidenti dell’insuccesso sono riscontrabili in
essa. Ciò non toglie che anche una carente socializzazione secondaria produca effetti devastanti.
Osservazioni sperimentali e studi di diverso tipo, hanno accertato che la mancata
socializzazione primaria, e in particolare la mancanza di interazione sociale con gli adulti e
soprattutto con la madre durante l’infanzia, ha effetti pesantemente negativi sullo sviluppo delle
capacità di base e della personalità, e quindi in generale sulla vita dell’individuo. Pare che in
assenza di questo tipo di socializzazione si resti quasi sprovvisti di personalità, incapaci di
affrontare anche le più semplici avversità.
In certe condizioni (in presenza di casi di bambini “selvaggi”, vissuti in isolamento, il cui
comportamento sembrava assomigliare più a quello degli animali che a quello degli essere umani)
va almeno fatto un accenno al processo della risocializzazione3, caratterizzato da una brusca rottura
con le forme culturali precedentemente introiettate dall’individuo e l’assimilazione da parte di
questo di norme e valori totalmente diversi. Essa si realizza di solito quando le persone si trovano
parzialmente o totalmente isolate in un ambiente diverso. Questa esperienza si verifica spesso nelle
istituzioni totali (ospedali psichiatrici, prigioni), quei luoghi dove gli individui vengono confinati
per un periodo della loro vita e dove essi, oltre a essere separati dal resto della società, sono
sottoposti a nuove forme di disciplina e di pressione.
3
Cfr. I. Robertson, Elementi di sociologia, Zanichelli, Bologna, 1992
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La socializzazione
Riferimenti bibliografici
Bagnasco A., Barbagli M., Cavalli A., Corso di Sociologia, Il Mulino 1997
Becchi E., Julia D. (a cura di), Storia dell’infanzia, Laterza, Bari, 1996
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Donati P., La famiglia come relazione sociale, Angeli, Milano, 1989
Id., Sociologia della famiglia, Clueb, Bologna, 1978
Emiliani F., Carrugati F., Il mondo sociale dei bambini, Il Mulino, Bologna, 1985
Ferrarotti F., Manuale di Sociologia, Laterza, Roma- Bari, 1992
Giddens A., Sociologia, Bologna, Il Mulino, 1994
Morcellini M., Passaggio al futuro. La socializzazione nell’età dei mass-media, Franco
Angeli, Milano, 1992
Saraceno C., Alla scoperta dell’infanzia, De Donato, Bari, 1972
Id., Età e corso della vita, Il Mulino, Bologna, 1986
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