Riemerge dai fondali la storia del 12 settembre ’44 Mondo sommerso - Ritrovamento di relitti della seconda guerra mondiale conservati nelle profondità del mare Adriatico / 06.02.2017 di Franco Banfi, testo e foto Immerso nel silenzio e nell’oblio del mare Adriatico, al largo della costa di Svetac (arcipelago di Vis), Lorenz Marovic e suo figlio Andy hanno ritrovato i resti di due aerei americani affondati durante la seconda guerra mondiale e il relitto del piroscafo N. Maris, affondato nel 1932. Con straordinaria perseveranza hanno raccolto i rapporti dei sopravvissuti rovistando negli archivi navali, e hanno studiato le carte nautiche per mesi prima di organizzare le ricerche. Poi, hanno dotato la loro imbarcazione di un sonar a scansione laterale, potente ed estremamente dettagliato, e hanno condotto le indagini idrografiche. Per prima cosa hanno fatto la scansione del fondale marino, di zone note ai pescatori. Questo tipo di sonar trasmette delle onde sonore (energia) e analizza il segnale di ritorno (eco) che ha rimbalzato sul fondo del mare o di altri oggetti. In una scansione lato, l’energia delle onde sonore è trasmessa a forma di ventaglio che spazza il fondo marino direttamente sotto la sonda, tipicamente a una distanza di cento metri su entrambi i lati. L’intensità del segnale di ritorno viene continuamente registrato, creando un’«immagine» del fondo dell’oceano chiaramente visibile sul display posto sul ponte di coperta della barca. Dopo vari tentativi, un giorno, il sonar di Lory e Andy ha dato prova di qualcosa che riposava sul fondo del mare, alcune «immagini» chiare hanno dato il via alla seconda parte delle ricerche che prevedeva alcune immersioni tecniche per verificare i risultati del sonar. Mi sono unito a una speciale spedizione di subacquei professionisti e tecnici, con l’obiettivo di documentare con le mie foto queste incredibili scoperte. Ho incontrato Tom Baier e altri tre subacquei tecnici per pianificare le immersioni in dettaglio. A causa delle rilevanti profondità (tra i 60 e i 110 metri) abbiamo scelto di immergerci in un contesto tecnico, utilizzando dei rebreather, apparecchi a circuito chiuso e bombole riempite con diverse miscele di gas (elio, azoto e ossigeno). Questi set up ci hanno permesso di rimanere sott’acqua per un tempo superiore alla norma e con la necessaria sicurezza, e di raccogliere la quantità maggiore di informazioni possibile per documentare e riconoscere i relitti. Una progettazione accurata delle immersioni è un elemento chiave per il risultato positivo di una simile spedizione. Nulla deve essere ignorato e una ridondanza corretta è obbligatoria, anche se ciò comporta attrezzature pesanti e profonda conoscenza su come utilizzare tutto questo nel peggiore dei casi. Il primo giorno ci siamo immersi nel punto dove abbiamo visto segnali di resti di uno degli aerei, appoggiato sul fondale a 95 metri. Guardando il monitor del sonar, abbiamo visto chiaramente la forma delle ali e parte della fusoliera per cui l’entusiasmo si è impennato: si trattava di un relitto dove nessuno era mai stato prima, ma anche una scoperta che rompeva il silenzio dell’oblio riportando in superficie i ricordi degli eventi che causarono l’affondamento. Abbiamo provato l’emozione della scoperta, anche se solo per pochi minuti per non perdere la concentrazione: durante le operazioni erano necessari controllo e calma. Fotografare a 95 metri di profondità non è un compito facile, non si può fare con qualsiasi attrezzatura fotografica e non è per tutti i fotografi, bisogna avere una profonda conoscenza delle immersioni tecniche e della fotografia subacquea. A 95 metri di profondità, tutto deve essere in grado di sopportare una pressione di 10,5 bar e tutto deve essere chiaro nella nostra mente. Nulla può essere improvvisato: non c’è tempo da perdere per tentare diverse impostazioni fino a trovare quella corretta. Il fotografo subacqueo deve padroneggiare le regole della fotografia, l’attrezzatura fotografica, la progettazione dell’immersione e l’equipaggiamento subacqueo che sta usando. Con un tempo di fondo di soli 25 minuti, abbiamo fatto una singola immersione di 166 minuti, di cui 130 minuti di decompressione (ndr: soste a diverse profondità, in modo da de-saturare i tessuti dei sub). Il risultato di questa immersione è quello che si vede nelle immagini, raffiguranti il relitto di un aereo PBY Catalina, affondato il 12 settembre 1944 nel tentativo di salvare cinque sopravvissuti in un mare molto mosso. I sopravvissuti erano l’equipaggio del Consolidated B-24H Liberator #41-28762 Tailwind, assegnato al 515 Squadrone bombardieri del Gruppo 376, Quindicesima aviazione militare dell’unità bombardieri pesanti, a San Pancrazio (Italia). Il 12 settembre 1944, l’equipaggio aveva in programma di partecipare al raid su Monaco di Baviera, con l’intento di colpire la fabbrica Allach BMW Motor. Quel giorno a Monaco di Baviera la fabbrica Allach BMW e la fabbrica di aerei Wasserburg lavoravano a pieno regime quando sono state colpite da una flotta aerea composta da circa 330 aerei; Boing B-17 e Consolidated B-24 bombardieri pesanti coadiuvati da aerei caccia P-38 e P-51. Il campo di concentramento Allach fu aperto il 19 marzo 1943, era il più grande sottocampo di quello di Dachau, il primo campo di concentramento nazista. Nel campo di Allach transitarono circa 200mila persone. Il compito principale del campo era di fornire con i prigionieri operai l’armamento di fabbrica BMW, che produceva armi e riparava motori aeronautici per Junkers. Sulla via del ritorno a San Pancrazio, il controllo del timone del B-24H si inceppò e l’aereo uscì dalla formazione iniziando una lenta curva a sinistra a causa di una vibrazione di coda. All’equipaggio fu ordinato di gettarsi con il paracadute nel mezzo del mare Adriatico a circa 50 miglia a nord dell’isola di Vis. Iniziò un’intensa missione di salvataggio e cinque membri dell’equipaggio furono recuperati dal velivolo da pattugliamento PBY Catalina, che ora riposa nel dimenticatoio a 95 m di profondità. Un’altra missione di soccorso trovò altri due membri del B-24H, mentre altri quattro membri dell’equipaggio non sono mai stati trovati. Nonostante il mare mosso e il forte vento, il capitano del PBY Catalina riuscì a fare un ammaraggio in mare aperto e prese a bordo i cinque sopravvissuti, ma l’aereo non riuscì più a decollare. Iniziò a riempirsi d’acqua e fu abbandonato al suo destino. Il suo equipaggio così come gli uomini salvati furono raccolti da un LCI, un mezzo di sbarco britannico per il trasporto delle truppe da sbarco, una nave anfibia, e portati in salvo sull’isola di Vis. I resti del PBY Catalina appartengono al mare e restano là allineati sul fondo quasi con precisione matematica. Solo la parte inferiore è parzialmente sepolta nel fondo sabbioso; la coda e le strutture in plexiglas, insieme ad alcune strutture sono andate perse, ma la maggior parte del relitto è ancora riconoscibile con facilità, anche se l’aereo è totalmente ricoperto da incrostazioni di vita marina, com’è ovvio che sia dopo aver trascorso 72 anni nel mare Adriatico. In conformità con la legge croata, la scoperta del relitto è stata dichiarata al dipartimento governativo e militare, ed è ora vietato immergersi nel sito. Dopo che avranno fatto l’indagine e il recupero necessario, la zona sarà aperta al pubblico e sarà possibile immergersi con permessi rilasciati dai centri di immersione, in base alle norme di legge croata.