Anno XX - Numero 46 - 18 giugno 2014 L’Intervista Parla il regista spagnolo Emilio Sagi, che racconta questa Carmen nata per il Teatro Santiago del Cile. A Pag. 2 La storia dell'opera Dalle critiche della vigilia alla versione definitiva che Bizet non vide A Pag. 6e pag. 7 L’arte delle sigaraie Così nasce un sigaro A Pag. 8 Le nacchere Storie e curiosità di uno strumento musicale divenuto simbolo di Spagna A Pag. 9 Viaggio a Siviglia Itinerario nei luoghi di Carmen A pag. 14 CARMEN di Georges Bizet Carmen 2 Il Giornale dei Grandi Eventi Parla il regista spagnolo Emilio Sagi Una Carmen semplice, che guarda alla voglia di libertà della gitana E ’ centrata sullo spirito popolare della Spagna questa Carmen firmata dal regista spagnolo Emilio Sagi. Sagi è una delle figure di spicco della scena lirica spagnola, il quale dopo aver conseguito un dottorato di ricerca in filosofia presso l’Università di Oviedo, sua città natale, si trasferì a Londra per studiare musicologia e quindi tornare a Oviedo nel 1980 per esordire come direttore di scena con La Traviata di Verdi e nel 1982 debuttare come regista con il Don Pasquale di Donizetti. Iniziò, così, per lui una carriera che lo portò nel 1990 ad essere per nove anni direttore del Teatro de la Zarzuela e quindi dal 2001 al 2005 Direttore Artistico del Teatro Real di Madrid. Ora dal 2008 ricopre la stessa carica al Teatro Arriaga di Bilbao. Questa produzione, creata per il Teatro Municipal di Santiago del Cile, dove è andata in scena nel 2011, è la terza Carmen che Sagi ha realizzato dal suo debutto con Bizet: la prima fu al Teatro dell’Opera di Liegi e la seconda - più grande per le maggiori dimensioni del palcoscenico - al Teatro Real di Madrid, quando Sagi ne era direttore artistico. «Sia in questa nuova produzione – spiega il regista - come nelle precedenti, il fulcro è il personaggio di Carmen: la donna che lotta per la sua libertà e il suo modo di concepi- re la vita; una donna che non rinuncia alla verità neppure davanti al coltello di Don José. Carmen non mente e quando smette di amare lo dice. Non so quante volte si ricorre la parola “libertà” in quest’ opera, ma sicuramente molte. «Libera è nata e libera morrà», dice la gitana nel duetto finale prima di morire e tale frase, a mio avviso, riassume la filosofia dell’opera. Questo mi ha colpito e tale elemento è stato sempre al centro delle mie regie, ma nel corso degli anni ho cercato di fare le cose più semplici. Questa volta ho chiesto allo scenografo Daniel Bianco ed alla costumista Renata Schussheim linee molto essenziali e non scontate, in modo da non trovarsi di fronte ad una Spagna di “gerani in vaso” . L’azione si svolge nel tempo della guerra civile spagnola, tra gli anni ‘30 e gli anni ‘40 del ‘900, quando c’era la povertà della Spagna del dopoguerra e questo dà più lustro alla storia appassionata di Carmen. L’era che precede l’avvento di Franco è un’epoca della Spagna, come lo possono essere Il G iornale dei G randi Eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. 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Lasciate che la gente veda un grande spettacolo com’è sempre stata l’opera, ma con il rigore teatrale. Potrebbe quest’opera essere astratta dall’ambiente andaluso? «Un certo colore lo deve avere. Beh ... io sono spagnolo e non mi verrebbe mai di eliminarlo dal contesto di Siviglia, perché penso che sia quello che ha affascinato Prosper Mérimée nello scrivere il romanzo. Ovviamente c’è una componente esotica: forse a quel tempo la Spagna era un po’ la Polinesia di oggi e penso che questo aspetto debba essere raccontato, anche perché la musica è piena di arie spagnole e sembra quasi impossibile che Bizet la scrisse senza conoscere la Spagna. Ci sono poi quei personaggi estroversi del sud della Spagna con il sangue “caliente” come Carmen, la quale è improvvisamente in uno stato d’animo meraviglioso e poi totalmente negativo. Penso che sia molto tipico di quella zona e dunque ambientare l’azione in quella zona mi è sembrato fondamentale. Conosce gli scritti di Nietzsche sull’opera Carmen? «Sì ed hanno rappresentato una grande critica a Richard Wagner... Nietzsche voleva una persona in carne e ossa, non eroi del Walhalla. E penso che, in realtà, come diceva Nietzsche, Carmen è un’opera molto mediterranea, solare anche se è una grande tragedia. Personalmente, non mi piace nulla di queste Carmen troppo enfatiche soprattutto di coloro che non provengono da una cultura latina: se sono arrabbiati lo mostrano fin dall’inizio ed io non sono d’accordo. Carmen è il diavolo! E poi devo spiegare loro che in Spagna i diavoli sono affascinanti, sorridenti, solari. Carmen è una positiva e sorridente, fino alla fine quando si arrabbia e diventa una bestia. Ma è proprio questa la sua bellezza: con cambiamenti dall’inizio alla fine. Stagione Estiva 2014 Terme di Caracalla 14 luglio - 9 agosto A.M. LA BOHEME di Giacomo Puccini Daniele Rustioni Davide Livermore Direttore Regia 23 luglio - 8 agosto IL BARBIERE DI SIVIGLIA di Gioachino Rossini Stefano Montanari Lorenzo Mariani Direttore Regia Stagione d’Opera 2013 -2014 del Teatro dell’Opera di Roma 21 - 31 ottobre RIGOLETTO di Giuseppe Verdi Renato Palumbo Leo Muscato Direttore Regia CARMEN La Locandina ~ ~ Terme Costanzi, 18 - 28 giugno 2014 ~~ Opera in quattro atti dal romanzo di Prosper Merimée Libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy Musica di Georges Bizet Prima rappresentazione: Parigi, Opéra-comique (Salle Favart) 3 marzo 1875 Direttore Regia Maestro del Coro Scene Costumi Luci Emmanuel Villaume Emilio Sagi Andrea Giorgi Daniel Bianco Renata Schussheim Eduardo Bravo Personaggi / Interpreti Carmen (Ms) Don José (T) Escamillo (Bar) Micaëla (S) Frasquita (S) Mercédès (Ms) Le Dancaïre (T) Le Remendado (T) Zuniga (B) Moralès (Bar) Clémentine Margaine / Nancy Fabiola Herrera 19,21,24,28 / Giuseppina Piunti 26 Dmytro Popov / Andeka Gorrotxategui 19,21,24,26,28 Kyle Ketelsen / Simón Orfila 19,21,24,26,28 Eleonora Buratto / Erika Grimaldi 19,21,24 26,28 Hannah Bradbury Theresa Holzhauser Marco Nisticò Pietro Picone Gianfranco Montresor Alexey Bogdanchikov ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA Allestimento del Teatro Municipal di Santiago del Cile E Il Giornale dei Grandi Eventi ’ l’opera in assoluto più rappresentata al mondo la Carmen di Bizet. Andata in scena per la prima volta nel 1875 a Parigi all’ Opéra Comique, dove venne accolta da un clamoroso flop, Carmen è tratta da una novella di Prosper Merimée, ed incentrata sul quel personaggio della sigaraia gitana destinata a divenire una delle figure più popolari del melodramma ed emblema di un erotismo dionisiaco il cui richiamo prelude fatalmente alla tragedia. Questo allestimento, firmato dal regista spagnolo Emilio Sagi, con le scene di Daniel Bianco ed i costumi di Renata Schussheim, viene dal Teatro Municipal di Santiago del Carmen Cile, dove ha debuttato nel 2011. L’impianto si basa su una semplicità delle forme ed è ambientato nella Spagna povera degli anni ‘30 del 900 del pre-franchismo, epoca che esalta questa storia piena di passione. Le interpreti della provocante sigaraia protagonista, saranno la mezzosoprano francese Clémenti- ne Margaine (la quale sostituisce l’annunciata Anita Rachvelishvili che ha dato forfait per motivi di salute), Nancy Fabiola Herrera e Giuseppina Piunti. Sul podio il transalpino cinquantenne Emmanuel Villaume, per la prima volta alla direzione dell’Orchestra dell’Opera di Roma. 3 Le Repliche giovedì 19 giugno, h. 20.00 venerdì 20 giugno, h. 20.00 sabato 21 giugno, h. 18.00 domenica 22 giugno, h. 16.30 martedì 24 giugno, h. 20.00 mercoledì 25 giugno, h. 20.00 giovedì 26 giugno, h. 20.00 venerdì 27 giugno, h. 20.00 sabato 28 giugno, h. 18.00 Un’ambientazione che guarda alla Spagna povera del pre-franchismo La vicenda si svolge in Spagna, intorno al 1820. La Trama ATTO I: in una piazza di Siviglia, presso la manifattura di tabacchi e la caserma delle guardie. Moralés, capo dei dragoni, osserva l'andirivieni dei passanti. La giovane contadina Micaëla aspetta di parlare con il suo fidanzato, il brigadiere Don José, ma non trovandolo è costretta ad allontanarsi, ripromettendosi però di tornare al prossimo cambio della guardia. Attirando l'attenzione generale, irrompono le sigaraie che escono dalla fabbrica per la pausa di mezzogiorno. Solo Don José, che ha promesso fedeltà a Micaëla non si mostra interessato alle giovani e non attende, come gli altri, la bella zingara Carmen. Quando ella, per provocarlo, gli getta un fiore, Don José è talmente turbato che ascolta appena Micaëla, che gli porta una lettera della madre lontana. All'interno della manifattura tra le sigaraie scoppia una zuffa e Carmen viene arrestata dal tenente delle guardie Zuniga, per aver picchiato una donna e viene affidata a Don José. Questi, ottenuta da lei la promessa di un appuntamento all'osteria, la aiuta a fuggire. ATTO II: nella taverna di Lillas Pastia, due mesi dopo. Nel luogo di ritrovo dei contrabbandieri, Carmen attende danzando con le amiche l'arrivo di Don José, appena liberato dal carcere dove era stato rinchiuso per aver favorito la sua fuga. Per questo la gitana rifiuta la corte del torero Escamillo e anche di unirsi ai contrabbandieri Dancaìre e Ramendado per tornare sulle montagne. Torna Don José, che ha ancora il fiore donatogli da Carmen e la zingara danza per lui. Suona la ritirata, ma José, irretito da Carmen, non riesce a staccarsi da lei. Così, quando Zuniga, che segue le tracce di Carmen, gli ordina di rientrare in caserma, egli si ribella e minaccia il tenente con la pistola. Intervengono i contrabbandieri a separarli, ma il destino di José ormai è compromesso ed egli decide di unirsi ai fuorilegge insieme a Carmen. ATTO III: sui monti, presso il rifugio dei contrabbandieri. Mentre i contrabbandieri bivaccano, Don José è torturato dai rimorsi: la vita del fuorilegge non fa per lui. Carmen, ormai stanca di questo amore, pensa ad Escamillo e, insieme alle compagne Frasquita e Mercédès, legge il futuro. Le carte rivelano a Carmen che la morte è vicina. Una parte della banda, con le ragazze, va avanti per fermare i doganieri. Don José, rimasto a guardia della merce, si scontra in duello con Escamillo, che è venuto in montagna per trovare Carmen. I due uomini vengono separati da Carmen, ed Escamillo si allontana dopo aver invitato la ragazza a Siviglia per la sua prossima corrida. In quel momento Micaëla, arrivata sul luogo per annunciare a Don José che la madre sta morendo, supplica il brigadiere di tornare al suo villaggio. Esortato dai presenti, José decide di seguirla, ma prima minaccia Carmen, della quale è ancora innamorato. ATTO IV: la Plaza de Toros, a Siviglia. Il popolo acclama il corteo dei toreri e tra la folla c'è anche Carmen. Ormai è legata ad Escamillo e non si cura degli avvertimenti delle amiche che le dicono di guardarsi da Don José. Mentre Escamillo si reca alla corrida, Carmen incontra Don José, il quale, sull'orlo della disperazione, si fa avanti. Ma nonostante le sue suppliche, Carmen lo schernisce e gli restituisce in malo modo l'anello che egli le aveva donato. Mentre Escamillo trionfa nell'arena, Don José accecato dalla gelosia, uccide Carmen con una pugnalata e poi si costituisce ai gendarmi. Il Giornale dei Grandi Eventi Dmytro Popov e Andeka Gorrotxategui Carmen Il brigadiere Don Josè, lacerato dalla gelosia per la zingara A dividersi il ruolo di Don Josè, amante deluso, sono i tenori Dmytro Popov (18, 20, 22, 25, 27) e Andeka Gorrotxategui (19, 21, 24, 26, 28). Dmytro Popov, ucraino,è nato a Kiev dove ha studiato. Il suo debutto internazionale è stato nella La Traviata in Norvegia. Vincitore del 2 ° premio al concorso internazionale Operalia di Placido Domingo, ha cantato diversi ruoli con l’Opera Nazionale Lettone di Riga. Nel 2009 ha fatto il suo debutto alla Deutsche Oper di Berlino in Madama Butterfly. Nello stesso anno ha iniziato a collaborare con l’Opera di Stoccarda.Ha cantato al Co- Dmytro Popov vent Garden come Lykov in una nuova produzione della Sposa dello Zar di Rimskij-Korsaky e quindi presso l’Accademia di Santa Cecilia con Le campane di Rachmaninov sotto Antonio Pappano. Andeka Gorrotxategui è nato a Bilbao. Si è esibito nei più prestigiosi teatri in Spagna e in Europa negli ultimi anni tra cui, Madrid, Sevilla,Oviedo,La Fenice di Venezia e l’Opera di Roma (Caracalla). Ha cantato in Messico e Argentina. Nel 2011 ha debuttato in Italia con Madama Butterfly a Novara ed al Festival Donizetti di Bergamo. Nel 2012 ha cantato El Gato Montés al Teatro de la Zarzuela (Madrid), Werther al Teatro Argentino , Belisario al Bergamo Festival e Madama Butterfly al Teatro Gayarre. Nel 2013 ha cantato I Masnadieri e Madama Butterfly alla Fenice, Werther a Salisburgo, Madama Butterfly al Teatro Bicentenario, El Gato Montés a La Maestranza e Tosca a Caracalla e Padova. Kyle Ketelsen e Simón Orfila Il torero Escamillo, prima ignorato e poi amato da Carmen I baritoni Kyle Ketelsen (18, 20, 22, 25, 27) e Simón Orfila (19, 21, 24, 26, 28) danno voce al torero Esamillo, vincitore nell’arena e nel cuore di Carmen. Kyle Ketelsen è nato a Clinton (USA) ed ha studiato presso l’ University of Iowa. Ha debuttato come Sprecher in Die Zauberflöte. Nelle ultime stagioni è stato Angelotti nella Tosca, Don Giovanni e Figaro (Mozart) per il suo debutto a New York. La sua prima volta all’O- Kyle Ketelsen pera di San Francisco è stata come Escamillo in Carmen. Nella stagione 2007-2008, è tornato a Covent Garden dove si è ancora esibito come Escamillo. Ha cantato Leporello nel Don Giovanni per il proprio debutto alla Los Angeles Opera e al Gran Teatre del Liceu. La stagione 2008-2009 l’ha iniziata a Covent Garden come Leporello nel Don Giovanni diretto da Sir Charles Mackerras, seguita da un ritorno al Gran Teatre del Liceu di Barcellona ne Le Nozze di Figaro. Il suo repertorio concertistico comprende anche il Requiem di Verdi, La Passione secondo Matteo di Bach (BWV 244). Simón Orfila è nato a Menorca nel 1976. Si è poi trasferito a Madrid per studiare canto. Ha partecipato a numerosi concerti e recital in Spagna e in Europa. Tra questi: l’apertura della Auditorio Alfredo Kraus a Aspe (Alicante). Il repertorio concertistico comprende Requiem di Mozart e di Verdi, La Creazione, Stabat Mater di Rossini .Quello operistico comprende tra gli altri: Turandot , Le Nozze di Figaro , Norma, Lucia di Lammermoor, La Donna del Lago, Don Giovanni , Aida , La Cenerentola , Il Viaggio a Reims , Socrate Immaginario , Samson et Dalila , I Puritani , Bohéme,Tosca, Elisir d’amore, Adriana Lecouvreur , Semiramide , Breve Vita , Adelaide di Borgongna, La fattucchiera, Favorite, Un Ballo in Maschera, Il Trovatore. 5 Clémentine Margaine, Nancy Fabiola Herrera e Giuseppina Piunti N Carmen, seducente e volubile gitana el ruolo della protagonista Carmen si alternano i mezzosoprano Clémentine Margaine (18, 20, 22, 25, 27), Nancy Fabiola Herrera (19, 21, 24, 28) e Giuseppina Piunti (26). Il mezzosoprano francese Clémentine Margaine è stata membro della Deutsche Oper di Berlino, dove ha avuto un grande successo nel ruolo di Carmen di Bizet e quindi come solista in una versione messa del Requiem di Verdi e nei panni di Marguerite ne La dannazione di Faust a Berlioz. Nel 2006 è stata Bradamante nell’Alcina di Händel, Annio La Clemenza di Tito di Mozart e la Terza Signora ne Il flauto magico ad Avignone, Reims e Vichy. Il suo re- Clémentine Margaine pertorio concertistico comprende oratori come Le Petitte Messe Solennelle e lo Stabat Mater di Rossini, il Requiem di Verdi, Duruflé e Mozart, lo Stabat Mater di Dvorak, l’Oratorio di Natale di Saint-Saens, Kindertotenlieder di Mahaler e Canti e danze della Morte di Musorgskij. Nancy Fabiola Herrera nata in Venezuela, è cresciuta alle Canarie e studiato a New York. Ha debuttato con Carmen al Metropolitan di New York con la regia di Zeffirelli. Ha cantato Maddalena nel Rigoletto e interpretato Luisa Fernanda con Placido Domingo al Teatro Real di Madrid. Assieme al tenore ha cantato per le celebrazioni del debutto di Domingo a Porto Rico. Ha interpretato Carmen nei più importanti teatri spagnoli.Nel suo repertorio Rosina de Il barbiere di Siviglia; Suzuki in Madama Butterfly. Molto apprezzata anche in Cina dove ha debuttato nel 2004 con Carmen e nel 2005 come Dorabella di Così fan tutte. Ha cantato il Requiem di Verdi nel Festival di Puerto Rico.Sempre con carmen e Domingo ha debuttato all’arena di Verona. Giuseppina Piunti, nata a San Benedetto del Tronto, si è diplomata in pianoforte e canto. Ha esordito come Alice nel Falstaff al Filarmonico di Verona. Al Massimo di Palermo è la Prima Dama nello Zauberflöte mozartiano. Più volte ospite del Festival di Wexford , vi ha cantato Monica nella Fiamma di Respighi, Delia nella Fosca di Gomes e Sapho di Massenet. All’Opera di Roma è stata Monica nella Fiamma, Olga in Fedora di Giordano accanto a Placido Domingo e Juliette ne Les contes d’Hoffmann. Ha partecipato alle celebrazioni per il bicentenario del Teatro Verdi di Trieste. Dal 2001 si apre a una carriera più internazionale. Eleonora Buratto e Erika Grimaldi A Micäela sposa promessa di Don Josè cantare nel ruolo di Micäela sono i soprano Eleonora Buratto (18, 20, 22, 25, 27) e Erika Grimaldi (19, 21, 24 26, 28). Eleonora Buratto è nata a Mantova nel 1982. Ha studiato per oltre tre anni sotto la guida del Maestro Pavarotti. Nel 2007 ha vinto la competizione “A. Belli” del Lirico Sperimentale di Spoleto, dove ha debuttato nel ruolo di Musetta ne La Bohéme. Presso il Wexford Festival Opera ha debuttato Sofia ne Il Signor Bruschino e preso parte alla produzione di Old maid and the Thief Ha debuttato in Thais (Crobyle) per l’apertura della stagione del Regio di Torino e Despina nel Così fan tutte al Palau de les arts di Valencia.Ha debuttato il ruolo di Creusa nel Demofoonte di Jommelli diretta dal M° Muti al Festival di Pentecoste di Salisburgo, all’Opera Garnier di Parigi e al Ravenna Festival. Erika Grimaldi è nata ad Asti ne 1980, ha debuttato nel ruolo di Serpina ne La serva padrona. Nel 2003 è stata Lauretta nel Gianni Schicchi di Puccini ed è stata nuovamente Serpina ne La serva Padrona. Ha vinto il 1° premio al Concorso Lirico Internazionale di Orvieto in seguito al quale ha cantato ne Il matrimonio segreto (Carolina) e debuttato nel Don Giovanni. E’ stata poi Mimì ne La Bohème al Regio di Torino, Medea di Cherubini ancora al Regio di Torino ed al Bellini di Catania. Nel 2009 ha interpretato i ruoli di Adina ne L’elisir d’amore, Pamina ne Il flauto magico di Mozart al Teatro Massimo di Palermo e Donna Anna in Don Giovanni. Si è esibita nei tre concerti dell’ Arena di Verona ospitati a New York, Abu Dhabi e San Paolo del Brasile, riproposti l’anno seguente a Monaco di Baviera e a Colonia. Nel ruolo di Anaï in Moïse et Pharaon – è stata diretta da Riccardo Muti. Poi i debutti come Micäela nella Carmen Elisetta ne Il matrimonio segreto di Cimarosa e Amelia nel Simon Boccanegra di Verdi con il quale è stata recentemente in Giappone. Pagina a cura di Tina Alfieri Carmen 6 Q Il Giornale dei Grandi Eventi La storia dell’opera Da racconto a tinte fosche, ai vertici della lirica uando nel 1872 la direzione dell’Opéra-Comique commissionò a Bizet di scrivere un’opera su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, la scelta cadde su Carmen, testo a tinte forti ispirato all’omonima novella di Prosper Mèrimée, pubblicata il 1 ottobre del 1845 nella “Revue des Deux Mondes”. L’argomento, che già come racconto aveva suscitato un enorme scalpore per la crudezza degli eventi narrati, fece sorgere forti perplessità alla direzione del teatro parigino, nelle persone dei direttori De Leuven e Du Locle, abituati ad argomenti sdolcinati ed a lieto fine. Questo il dialogo tra librettista Halèvy e il direttore De Leuven, narrato dal primo, in merito alla scelta di un tema così scabroso per quel teatro francese, in genere abituato a argomenti sdolcinati e a lieto fine. «Carmen di Mérimée?- disse De Leuven a Ludovic Halévy, che con Henri Meilhac firmò il libretto per Bizet - Ma non è stata uccisa dal suo amante? Un sottobosco di ladri, zingari, sigarettaie all’Opéra-Comique? Per carità, nel teatro delle famiglie, delle feste nuziali! Farmi scappare il pubblico. No, no impossibile, niente da fare!». «Insistetti - racconta Halévy spiegando che la nostra sarebbe stata una Carmen più dolce, più mansueta e che inoltre avremmo introdotto un personaggio nella tradizione dell’Opéra-Comique, una giovane innocente e pura fanciulla». Alla fine gli artisti ebbero la meglio e la direzione del teatro parigino accettò, seppur al grido: «Vi prego, però, non fatela morire!». Ottenuta la commessa, Bizet cominciò a lavorare alla composizione, che però interruppe presto per dedicarsi ad un altro lavoro più urgente, il Don Rodrigue commissionatogli dall’Opéra. Solo all’inizio del 1874 Parigi, Opéra Comique, Salle Favart Bizet riprese in mano Carmen e si ritirò nel sobborgo parigino di Bourgival, per dedicarsi all’orchestrazione delle milleduecento pagine di partitura della Carmen che venne poi venduta all’editore Choudens. Nell’estate di quello stesso anno la composizione era conclusa ed in dicembre iniziarono le prove all’Opéra Comique. Anche durante le prove Bizet rimise più volte mano al suo lavoro, ora per snellire, ora per venire incontro a questa o quella richiesta dei committenti. Fu solo l’appoggio dei due cantanti protagonisti, la Galli-Marié e Paul Lhérie, che si riuscì a evitare lo stravolgimento della storia originaria in favore di un lieto fine voluto dagli impresari. Tuttavia De Leuven, uno dei due direttori del teatro, non convinto si dimise, lasciando all’altro, Du Locle, tutto il rischio dell’eventuale fiasco dell’opera. Differenze con la novella di Mérimée Le differenze tra l’opera e la novella di Mérimée sono sostanziali. La tradizione vuole Prosper Merimée avrebbe appreso il soggetto della sua opera letteraria da Eugenia de Montijo, futura moglie di Napoleone III, in un fortunato incontro in carrozza durante il suo primo viaggio in Spagna. Lo scrittore parigino incastonò la storia in una cornice narrativa che gli permise di distanziarsi dai crudi eventi narrati, adottando la formula del “racconto nel racconto”. Il testo letterario si apre con il narratore nei panni di un giovane archeologo francese che per motivi di studio si trova in Spagna. Durante il soggiorno in Andalusia incontra Josè e Carmen già amanti, per poi rincontrare l’uomo condanna- Henri Meilhac e Ludovic Halévy to a morte in attesa del patibolo e da lui ascolterà il racconto del suo tragico e folle amore per la indomita gitana. Il testo termina con una analisi filologica sugli zingari, sui loro usi e costumi e sulla loro lingua, analisi che tende ad accentuare il distacco dell’autore dalla novella. Carmen, nel ricordo sbiadito del viaggiatore e di Don José, si trasforma in un personaggio da cui prendere le distanze, per la paura di guardare il lato più oscuro dell’essere umano. L’opera di Bizet Non così nell’opera di Bizet, in cui la forza drammatica della zingara si erge con un vigore che richiama alla mente il Don Giovanni mozartiano: un vera e propria femme fatale, insomma, una dark lady ante litteram! E l’eroicità negativa di Carmen è accentuata ancor più dagli altri personaggi che la circondano, alcuni dei quali creati interamente dalla penna dei due geniali librettisti (che non a caso erano anche quelli preferiti da Offenbach per le sue operette). Prima tra tutti, la figura di Micaëla, introdotta per accontentare il pubblico di buoni borghesi dell’OpèraComique. Questa angelica fanciulla, vestita con il tipico costume basco, sboccia come un fiore candido valorizzato dalle bellissime pagine di musica destinatele da Bizet, è ricavata da un’osservazione di Don Josè nella novella: «Ero giovane, allora, pensavo sempre al mio paese e non potevo credere che ci fossero delle belle fanciulle senza veste blu e senza trecce sulle spalle». E nuovo è anche il personaggio del torero Escamillo, nell’opera principale rivale di Don Josè, che riprende la figura di poco conto e un po’ sbiadita di quel Lucas, anch’egli picador, che per Mérimée rappresenta uno dei tanti “amorazzi” della zingara. Ed infine Don Josè, a cui nel primo atto per mezzo di Micaëla arriva il perdono dalla madre, perdono che è inspiegabile per chi non conosce l’antefatto dell’omicidio e della fuga dalla propria terra, narrato da Mérimée. Questo crudele bandito, temuto in tutta la Spagna, che nella novella si avvelena la vita perché esasperato dall’inafferrabilità della zingara, si riduce a essere nell’opera un innamorato timido e accecato dalla gelosia. Nonostante i toni meno crudi del lavoro musicale rispetto a quello letterario, quando la Carmen andò in scena, il 3 marzo 1875 la direzione del teatro sconsigliò le famiglie di portare a teatro mogli e figlie e fino al momento del debutto tra ca- merini e palcoscenico dell’Opéra Comique si respirava un’atmosfera di forte nervosismo. Dopo il primo atto alla Salle Favart dove ebbe luogo la prima, ad alcuni giovani che si congratulavano con lui, Bizet rispose: «Sono le prime parole che sento stasera e ho paura che saranno le ultime». Forse quella sera andò proprio così, ma nonostante l’insuccesso quell’anno la Carmen contò ben 45 repliche. Pochi giorni dopo la “prima”, l’autore pubblicò uno spartito per canto e pianoforte che modificava la stesura originale, tenendo conto delle modifiche apportate durante le prove e di altri ripensamenti. Per l’autunno Carmen fu inserita nella stagione di Vienna, dove però per consuetudine non si davano opere di genere comique. Per questo mentre preparava una nuova versione dove i dialoghi parlati fossero sostituiti da recitativi cantati, Bizet morì il 3 giugno. L’edizione per Vienna – che divenne poi la veste nella quale l’opera fu conosciuta nel mondo - fu terminata da dall’amico Ernest Guiraud, il quale, per rispetto all’autore, utilizzò i balletti di un’altra opera di Bizet, Jolie fille de Perth (1867). La “nuova” Carmen andò in scena all’ Hofoper il 23 ottobre 1975. Il debutto in Italia avvenne al Teatro Bellini di Napoli il 15 novembre 1879 nella versione ritmica italiana di Achille de Lauzières. Direttore d’orchestra Vincenzo Fornari ed interprete principale Célestine Galli-Marié prima interprete del ruolo. L’opera la prima sera non fu accolta con grande successo, soprattutto nei primi due atti, ma le sere successive il pubblico si mostrò più caloroso. A Roma il debutto fu al Teatro Argentina il 7 gennaio 1884 in una stagione allestita da Edoardo Sonzogno. Sul podio Edoardo Mascheroni e sempre la Galli-Marié nel ruolo di Carmen, dove se ne diedero 28 rappresentazioni. ‘anno successivo, il 7 novembre, il lavoro di Bizet approdò al Costanzi, sempre diretto da Mascheroni, ma con protagonista Virginia Ferni. Oggi Carmen, dopo la Bohème è l’opera più rappresentata nei teatri di tutto il mondo. Cla. Ca. Il Carmen Giornale dei Grandi Eventi N 7 Carmen, opéra-comique “anomala” el 1741 Charles Simon Favart mise in scena la Chercheuse d’esprit, un’opéra-comique che trattava in maniera ironica e licenziosa il tema di Dafni e Cloe. Favart era figlio di un pasticciere che amava mettere in musica le sue ricette ricorrendo alle più popolari arie operistiche del tempo. L’opéra-comique era allora un genere popolare basato su musica preesistente alla quale si adattava un testo inizialmente di carattere comico. La struttura prevedeva un’alternanza fra musica e prosa, analogamente a quanto accadeva, in Germania, nel Singspiel. Nella seconda metà del Settecento, sotto la spinta della querelles de buffons che aveva contrapposto i sostenitori dell’opera comica italiana a quelli dell’opera seria francese, l’opéra-comique acquisì una dignità artistica, trasformandosi in un genere musicale autonomo, interamente creato. Fra i primi autori, il filosofo-musicista Rousseau, che nella citata querelle (scoppiata dopo la rappresentazione a Parigi nel 1752 della Serva padrona di Pergolesi) si era schierato dalla parte italiana e che compose appunto Le devin du village. Il teatro francese nel corso dei secoli ha prodotto numerose forme musicali. L’opéra-comique è certamente fra le più longeve e soggette a trasformazioni. Se infatti all’inizio era di sapore comico, nel tardo Settecento fece propri gli ideali della rivoluzione francese trasformandosi (secondo il genere letterario della piece au sauvatage) in un’opera drammatica con finale lieto. Nel 1825 François-Adrien Boïeldieu rappresentò La dame blanche destinata a diventare un modello per l’opéra-comique ottocentesca: musica di facile dieu e da Auber agli inizi del secolo fu contraddetto da Bizet quando mise mano a Carmen. Sensualità e passione non piacquero al pubblico percezione con abbondanza di marcette, danze, canzonette, una trama leggera con lieto fine. L’opéra-comique rappresentò così nell’Ottocento il versante “frivolo”, anche se non comico o parodistico (ruolo ricoperto poi dall’operetta d’Offenbach) in alternativa alle atmosfere serie e tragiche della tragedie-lyrique o del grand-opéra o dell’opéra-lyrique. Lo spirito dell’opéra-comique anticipato da Boïel- Nella sua versione originale l’opera ispirata a Mérimée era strutturata secondo l’alternanza musica e prosa; solo successivamente – per la prima rappresentazione a Vienna del 23 ottobre 1875 - i dialoghi parlati furono sostituiti da recitativi, ma oggi si possono vedere in scena entrambe le versioni. La struttura, dunque, era quella dell’opéra-comique. L’atmosfera era tuttavia assai differente. E’ vero che in Carmen ci sono deliziosi momenti di leggerezza e di danza. E’ vero che Bizet usa ironia e freschezza. E’ però anche vero che Carmen è fra le donne più sensuali del teatro musicale, il suo carattere passionale e libero (una grande femminista) irretisce il debole Don Josè che per lei diserta e diventa fuorilegge. E’, infine, un’opera tragica nella quale la protagonista muore pugnalata in scena, una morte annunciata e affrontata dalla ragazza con un coraggioso atto di sfida nei confronti del proprio carnefice. Il Teatro dell’Opéra-comique a Parigi era frequentato da famiglie borghesi in cerca di un divertimento sano, interessate ad un teatro di evasione. Il 3 marzo 1875 Carmen ebbe un effetto scioccante sulla platea che non si aspettava colori così accesi, sensualità e illegalità, pugnalate e morti. Per questo il pubblico fischiò l’opera, procurando al povero Bizet l’ultima cocente delusione di una vita artistica vissuta troppo rapidamente e spenta esattamente tre mesi dopo quel fiasco, il 6 giugno 1875. Roberto Iovino Danze e ritmi spagnoli in Carmen La Habanera e le altre «L es danses espagnoles n'existent qu'à Paris», questo il commento di un deluso Gautier al rientro, in Spagna, da un baile nacional che nella fantasia del giovane poeta e di un suo amico si era tinto dei rutilanti colori della Cachucha, del Bolero e di mille altre indiavolate danze sensuali, dove la bellezza della donna si ammanta di seducente carnalità e la vita si mescola fatalmente alla morte. Ma di funebre si stagliarono agli occhi dei due giovani solo due vecchi danzatori con tanto di nacchere «qui ne se consolaient pas entre eux». L'uomo, nella feroce penna del poeta, sembrava fremere d'orrore alla sola idea che la sua compagna gli si potesse avvicinare con qualche figurazione di danza, e gli occhi perennemente bassi della coppia sembravano celare ai due esecutori la loro ormai decrepita realtà. Un boléromacabre che si poneva a incommensurabile distanza dalle trionfali esibizioni di Fanny Elssler, la stella austriaca tutta fuoco e dalla sua celebre Cachucha. Dalla "danzatrice pagana", contrapposta all'eterea Maria Taglioni dallo stesso Gautier, egli si veniva convincendo essersi generata la vera Cachucha. Ecco, dunque, toccato un punto nodale: l'autenticità della danza spagnola nel teatro e nell'opera dell'Ottocento. A lungo si è discusso della trasposizione di forme della tradizione popolare, della loro stilizzazione e di quan- to la mescolanza dei generi sia alla base della couleur locale così ricercata non solo dal teatro del XIX secolo. L’ Habanera E' indubbio che proprio il movimento delle braccia e l'atteggiarsi del corpo contribuiscano a definire il temperamento di Carmen, la cui aria di sortita coincide con l'esotica Habanera. Tuttavia l'esecuzione ben poco richiama la forma originaria della Habanera, danza nata a Cuba tra i ñañigos (la gente di colore dei quartieri bassi dell’Avana) dalla per una o più coppie probabile fusione di danze di origine africana con le cadenze dei colonizzatori spagnoli. Un ritmo binario lento, che consta di una breve introduzione, di due parti di 8 o 16 battute e di un finale. Non ha passi obbligati, ma caratteristico è il Contoneo, la lenta e ritmica oscillazione dei fianchi che richiama tutta la sensualità delle popolazioni tropicali. Così se la musica rimanda al El arreglito di Sebastián Yra- dier, la Habanera di Carmen richiama la Escuela bolera che grande fortuna conobbe proprio nella Francia dell'Ottocento e sulla quale si innestarono elementi della Danse d'école. E Carmen, gitana di razza e trasformatrice di quel tabacco che proprio da Cuba proveniva, si lancia in questa danza sensuale per ammaliare i presenti. La Seguidilla Analoga stilizzazione del folklore vale anche per la Seguidilla, che sottolinea l'ambientazione nell'aria "Près de la porte de Séville" e per il Polo, danza andalusa di origine gitana che Bizet riprese da Cuerpo Bueno di Manuel Garcia per il preludio del quarto atto. D’altronde, una lunga tradizione aveva accompagnato la fortuna della danza "alla spagnola", dai canari e dalle cascarde dei trattati di danza dei maestri italiani al tempo della dominazione spagnola, alle entrate pittoresche dei vari paesi nei balletti di corte, di cui è esempio Le Bourgeois Gentilhomme di Lully e Molière (1670). A quella stessa linea si ricollegano le danze nazionali delle ambascerie del Lago dei Cigni di Petipa, Ivanov e Cajkovskij (1895) e il graduale formarsi dello stereotipo che portò ad identificare l'Italia con la Tarantella, la Scozia con la Giga, la Spagna con il Bolero. Frutto dell'incontro della cultura francese con quella iberica, Carmen si presta a molteplici letture anche nel balletto. Esse possono oscillare dall'accentuazione del carattere francese nell'androgina protagonista dell'omonimo balletto di Roland Petit (1949) ove Zizi Jeanmaire appare con i capelli à la garçonne e l'Habanera è chiamata ad enfatizzare l'assolo di Don José, al colore tutto spagnolo della Carmen di Antonio Gades e Carlos Saura (1983) che innesta brani di Flamenco sulla partitura di Bizet e ove aleggia lo spirito del Duende. Qui una selvaggia, animalesca Carmen, secondo Henri-François Rey, incarna il sentire di uomini che del sesso avvertono il lato oscuro e misterioso. Claudia Celi 8 C Carmen Il Giornale dei Grandi Eventi Il lavoro della sigaraia Carmen nella manifattura del tabacco L’arte antica delle Torcedoras uba è la patria del sigaro, questo non è certo un segreto per nessuno. Proprio a Cuba, sono nati infatti, ormai due secoli fa, quelli che sarebbero poi passati alla storia come i migliori sigari del mondo e non a caso, proprio della capitale cubana, hanno preso il loro nome: Avana, o più correttamente, Habanos. Storicamente il percorso del tabacco cubano verso il Vecchio Continente passava obbligatoriamente attraverso la Spagna che, sino a quando mantenne Cuba tra i propri possedimenti coloniali (1895), risultava a tutti gli effetti monopolista di questo prodotto. Difatti molti dei racconti sul sigaro Avana transitano per il Paese iberico, in primis l’indimenticabile Carmen, l’opera di Bizet nata appunto attorno alla metà dell’800 e che vede come protagonista una sigaraia, arrotolatrice di sigari “Avana”. Perché Avana tra virgolette? Semplicemente perché era la consuetudine di importare tabacco in foglie dall’isola caraibica, per poi arrotolarlo nelle Reali Manifatture di Siviglia, dove i sigari erano chiamati “puros”. All’epoca della novella di Mérimée, ovvero alla metà del XIX secolo, da alcuni decenni molti imprenditori spagnoli (catalani e asturiani), tedeschi ed inglesi avevano impiantato produzioni di alto livello nelle loro manifatture dell’Avana, intuendo con largo anticipo l’importanza commerciale del concetto di Denominazione d’Origine. Già agli albori del secolo XX, Cuba ratificò un accordo commerciale con la Francia nel quale venivano riconosciute e garantite le rispettive Denominazioni (sigari Habanos da una parte, Champagne e Cognac dall’altra): un’interessante e sorprendente anticipazione del lavoro delle DOC, DOP e IGT che sta caratterizzando questi ultimi anni l’Europa. Prodotto naturale Ma, tornando all’aspetto che più cattura il nostro immaginario collettivo, vale a dire il sigaro come oggetto di pia- cere e di grande artigianato nonché come parte integrante della cultura caraibica (ed in particolar modo cubana), vale la pena accennare brevemente al lungo percorso che porta a generare quello che, a tutti gli effetti, è oggi uno dei più importanti prodotti presenti sui mercati di tutto il mondo e, in particolar modo, uno dei pochissimi prodotti che possa a tutt’oggi ancora fregiarsi del titolo (purtroppo oggi molto abusato) di prodotto “naturale”. 150 lavorazioni Le fasi della lavorazione del magico cilindretto tabaccoso sono innumerevoli (addirittura si parla di oltre 150), a partire dalla preparazione dei campi, rigorosamente a mano, con il solo ausilio degli animali da soma e utilizzando concimi organici, sino alla raccolta in più “passaggi” sulla pianta, foglia per foglia, per raccoglierle alla giusta maturazione, alle varie fasi di essiccamento, fermentazione, selezione, ecc. Le foglie, dopo un periodo di invecchiamento che va dai sei mesi ai due anni (in dipendenza della loro classificazione e delle rispettive caratteristiche organolettiche), finalmente giungono alla manifattura, dove si sublima il processo di grande capacità manuale che caratterizza l’intero ciclo produttivo. E qui, chiaramente, dopo le fasi di preparazione delle foglie e di nuova selezione, il ruolo di regine lo ri- vestono indiscutibilmente le incredibili torcedoras, le sigaraie, che, suddivise in ranghi negli storici banconi delle fabbriche, danno letteralmente forma ai sogni dei grandi appassionati di tutto il mondo. La magia della creazione di un Habano partendo semplicemente da un mazzetto di foglie di tabacco, ha chiaramente dell’incredibile. Solo chi ha avuto il privilegio di poter accedere L alle prestigiose manifatture cubane (Partagas, H.Upmann, Romeo y Julieta, El Laguito, La Corona, ecc) può capire la magia dei profumi, del vociare, dei gesti… insomma di tutto ciò che sta attorno a questo magico e delicato momento della creazione del sigaro cubano, dove l’arte del torcedor è fondamentale per un prodotto perfetto. Le donne a Cuba non sono sempre state gradite in questi stabilimenti. La prima fabbrica tutta al femminile (oggi… mista) fu voluta da Fidel Castro negli anni Settanta (El Laguito, dove nascono i mitici Cohiba), a dimostrazione del ruolo fondamentale rivestito dalla mano d’opera femminile all’interno del mondo “tabacalero” dell’isola. La donna è comunque oggi sempre più importante nel mondo del sigaro a Cuba. Non a caso le due principali fabbriche dell’Avana sono dirette da donne, Emila Tamayo a El Laguito, Hilda Barò a Partagas, e non a caso alcune delle fasi lavorative continuano ad essere a loro esclusivo appannaggio; ad esempio la scostolatura delle foglie e la prima selezione “per classi”, in cui si distinguono per una maggior affidabilità e precisione. Proprio da quest’ultimo passaggio, fase in cui le donne tengono appoggiate alle cosce le foglie intere di tabacco, è nata la leggenda – da sfatare una volta per tutte – che i sigari cubani vengano arrotolati “direttamente sulle cosce delle sigaraie”. Niente di più falso, come si può d’altra parte anche facilmente intendere pensando più attentamente alla cosa, ma nulla che infici il fascino storico delle sigaraie cubane e di quel prezioso oggetto di puro piacere che nasce dalla loro sapiente lavorazione. Victor Aguilera Esperto internazionale di sigari Così nasce un sigaro e fasi di arrotolamento del sigaro cubano sono innumerevoli anche se, per la verità, ciascun torcedor e ciascuna torcedora applicano in maniera leggermente differente tecniche apprese nelle varie manifatture. I maestri, infatti, sono fondamentali nell’apprendere quest’arte e ciascuna fabbrica ha, per lo più, una sua vera e propria scuola, con metodi che non sempre sono i medesimi. In generale, possiamo dire che la base di partenza è il banco del torcedor, con la dotazione della tavoletta, della chaveta (una specie di cutter gigante con il quale si tagliano le foglie), di un barattolino di colla vegetale d’amido di mais, di una ghigliottina per portare alle giuste dimensioni il sigaro già arrotolato, nonché del famoso morde, vale a dire lo stampo delle varie “vitolas”, ossia i tipi di sigaro, che viene introdotto nella pressa per mettere in forma il sigaro per una ventina di minuti prima di essere ricoperto definitivamente con la foglia di “capa” che ne costituirà il vero abito esterno. Chiaramente, non possiamo dimenticare la materia prima! Quindi un mazzo di foglie di seco, uno di volado ed uno di ligero (le tre componenti del ripieno di un Habano), oltre a foglie di capote (la sottofascia) e di capa (la foglia esterna). A questo punto di stende generalmente una mezza foglia di capote e con le mani si inizia a realizzare la combinazione delle foglie che costituiranno il ripieno, ripiegandole su se stesse a mo’ di fisarmonica. Si iniziano a stendere sul capote e si inizia ad arrotolare dal basso verso l’alto sino a che non si è ottenuto il primo bitorzoluto cilindretto, che verrà poi tagliato a seconda delle dimensioni del sigaro da realizzare e sarà messo in pressa nel morde per alcune decine di minuti. Operazioni estremamente delicate, nelle quali l’arte e l’esperienza delle torcedoras sono importantissime per ottenere un prodotto perfetto, che abbia la giusta ed omogenea composizione, e quindi consistenza, così da permettere una combustione ideale. Una volta estratto dalle tavolette, verrà passata la capa a mano e applicata la perilla (la testa arrotondata del sigaro) utilizzando una punta di colla di amido. Il sigaro è pronto, ma sarà fumabile solamente a partire dal quinto o sesto giorno dalla manifattura, in quanto dovrà cedere molta della propria umidità residua. V.A. Si ringrazia la Casa del Habano di Fausto Fincato per la gentile collaborazione. Il Carmen Giornale dei Grandi Eventi «J Strumento mediterraneo, simbolo di Spagna 9 Le nacchere: il ritmo sensuale della Carmen e vais danser en votre honneur, et vous verrez, seigneur, comment je fais moi-même accompagner ma danse …» e la bella Carmen incomincia a muovere i suoi passi sensuali di fronte allo sguardo rapito di Don José. Siamo in pieno secondo atto dell’opera di Bizet, nella locanda di Lilias Pasta, covo di contrabbandieri, soldati e gitani. La situazione è caliente: il compositore francese sceglie di rispettare l’accento impudico, quasi erotico che Prosper Mérimée ha pensato per questa scena, quando nella versione originale della sua novella vi fa consumare su un letto l’amore tra Carmen e Don José. L’atmosfera non è quella di una semplice osteria ma di una casa gitana dove l’amore si compra e si vende. E nella partitura dell’opera, Bizet ci tiene a sottolineare che nel momento in cui Carmen si appresta cantare, Don José la devore des yeux, la “divora con gli occhi”. Appena intonato il celebre gorgheggio cadenzato (la, la, la…) il ritmo accelera, e con esso la voce della zingara, accompagnata dal movimento sensuale del corpo, ma soprattutto dal battere ritmato degli strumenti che cela tra le dita e che rendono il momento intenso e passionale. Sono le nacchere, con il loro suono cavo e cadenzato, a dare il tempo alla danza di Carmen. Un clac-clac che cala immediatamente il pubblico nel cuore della Spagna meridionale, in quell’Andalusia dai colori caldi che fa da scenario all’opera. Le castañuelas, le nacchere, sono un elemento tipico della tradizione musicale del sud della Spagna, dove accompagnano il Flamenco e altri balli andalusi, aragonesi, valenziani. C’è un’unica altra regione nel Mediterraneo dove ad oggi le nacchere sono diffuse come in Spagna, ed è l’Italia centro-meridionale, nella quale vengono utilizzate nelle tarantelle e prendono anche il nome di castagnette resistente, ma per ottenere il caratteristico timbro vuoto sono adatti anche l’avorio e la ceramica. Esiste una versione del libretto di Halévy e Meilhac, l’originale messa in atto all’Opéra-Comique e particolarmente fedele al testo di Mérimée, in cui la protagonista non usa le tipiche nacchere di legno. Poco nacchere che questa Carmen particolarmente intraprendente farà vibrare per la sua danza passionale. prima di incominciare a cantare Carmen si guarda intorno in cerca delle sue nacchere, e non trovandole si rivolge scherzosamente a Don José chiedendogli se è stato lui a rubarle «Où sont mes castagnettes... qu'est-ce que j'ai fait de mes castagnettes? C'est toi qui me les a prises, mes castagnettes? ». Don José, divertito, risponde di no, e a quel punto la gitana solleva con fare deciso un piatto di ceramica e lo fracassa a terra esclamando: «ah! bah! et voilà des castagnettes! ». Poi, raccolti due frammenti di coccio, introduce il suo ballo: « Je vais danser en votre honneur, et vous verrez, seigneur, comment je fais claquer ces morceaux de faïence! (…)». I “morceaux de faïence”, vale a dire i pezzi di ceramica, saranno le nuove, originalissime Erodoto fa menzione di donne egiziane suonatrici di tamburelli e di κροτλα, crotali, il nome greco delle nacchere. Agli antichi Greci le nacchere arriveranno già nella forma a conchiglia tramite la mediazione dei Fenici (sembra che a questo popolo di grandi navigatori si debba anche la diffusione della tradizione in Andalusia). Nel mondo classico greco-romano, il suono dei crotali diventa caratteristico della danza dionisiaca e orgiastica, eseguita da etere-ballerine dette crotalistrie. Marziale ricorda il fascino di queste danzatrici, che provenivano dall’africa settentrionale, dal vicino oriente e, per l’appunto, dall’Iberia. Nel medioevo l’uso delle nacchere si diffonde tramite i menestrelli, fino a diventare nel rinascimen- Un ritmo nei secoli Di strumenti simili, costituiti da due oggetti a percussione reciproca, si trovano tracce già nell’Egitto del III millennio a.C. to molto comune nelle feste (ne è attestato l’uso in occasione del matrimonio di Cosimo II de’Medici, nel 1608). Negli ultimi tre secoli, accanto all’utilizzo nelle danze popolari, le nacchere entrano a far parte del contesto musicale “ufficiale” e vengono elevate al rango di strumento d’orchestra. Georges Bizet non è il so- Le Nacchere Composte di due elementi uguali, incavati a forma di conchiglia e legati tra loro all’estremità per mezzo di un cordoncino, le nacchere fanno parte della famiglia musicale degli idiofoni, cioè degli strumenti in cui il suono è prodotto dalla vibrazione del corpo stesso senza l’utilizzo di corde o membrane. Nelle danze spagnole vengono il più delle volte adoperate a coppie, una per mano. La coppia tenuta nella mano destra, più piccola di dimensioni, serve per eseguire i vari disegni ritmici della musica e viene designata in spagnolo con la parola hembra (femmina); quella tenuta nella mano sinistra, necessaria a segnare il ritmo fondamentale, viene detta macho (maschio). Per la costruzione di questo strumento viene solitamente usato un legno molto lo a farle comparire in un’opera: accanto a lui Verdi nel Trovatore, Wagner nel Tannhauser, Strauss nel Salome. Nonostante il passare dei secoli, il meccanismo che fa suonare le nacchere è rimasto immutato: si fissano gli strumenti ai pollici con il cordoncino e si provoca la reciproca percussione dei due elementi con il rapido movimento delle altre dita. Un’operazione semplice? Bizet non doveva essere di questo parere. Scrive infatti in un’annotazione della partitura: «La parte delle nacchere appartiene al ruolo di Carmen, ma se l'attrice incaricata non sa suonare questo strumento, dovrà mimarne i movimenti, e le nacchere saranno suonate da un percussionista dell'orchestra». Jacopo Matano Carmen 10 D Il Giornale dei Grandi Eventi La gitana andalusa in una serie di incisioni del pittore della sua terra Picasso, grande illustratore per Carmen a quando Carmen è venuta al mondo non ha mai finito di dare scandalo: la sua figura, come per un oscuro sortilegio di una zingara, si è magicamente distaccata dalla penna che la creò più di due secoli fa trasformandola in un disegno vivente dalle ambigue e seducenti fattezze. Questo processo di creazione da inanimato ad animato ha un ben valido erede nel ritratto di Dorian Gray (1890) del geniale Oscar Wilde, in cui il motivo del quadro che si anima per mostrare l’altro sé, avvolto com’è da una mollezza tutta decadente, non riesce ad acquistare quella carica vitale che invece in Carmen risulta incontenibile. La personalità spietata e amorale di questa gitana ha sedotto, sin dal suo apparire, milioni di uomini e donne a tal punto che lo Pablo Picasso - Danza nell’arena stesso Nietzsche affermò, dopo aver riascoltato ancora una volta l’opera di Bizet, che la gitana: «Si avvicina leggera, morbida, con cortesia…La sua serenità è africana…la sua felicità è breve, improvvisa, senza remissione…L’amore come fatum, come fatalità, cinico innocente, crudele». Carmen, insomma, come paradigma della libertà senza regole, della donna per eccellenza che porta con se le voluttà del corpo dentro ad un’atmosfera esotica di feste e corride, in un continuo e sensuale contrasto tra i piaceri della vita e le seduzioni della morte. L’immagine di questa doppia Carmen bella, seducente e allegra fuori, eppure portatrice aberrazione e rovina non può non richiamare alla mente la pittura visionaria di Goya, in cui bello e brutto Pablo Picasso - Torero Ecsamillo si mescolano generando una galleria di mostruose facce deformi che si alternano ai maliziosi e seducenti sguardi delle belle Majas. Soggetto prediletto Molti furono gli artisti che, sedotti dalla fisicità e dalla carica vitale del personaggio, vollero indagare nel cuore della più femminea tra le donne. Il più illustre fu senza dubbio, Pablo Picasso (18811973) che nel 1949 produsse una serie di incisioni raffiguranti il racconto di Mérimée. I personaggi disegnati, Carmen e il torero Escamillo, hanno curiosamente i nomi dei protagonisti dell’opera di Bizet e non quelli della novella, come a testimoniare la completa osmosi che le due opere hanno ormai nell’immaginario collettivo. Escamillo indossa il tipico abbigliamento dei PER RICEVERE PREVENTIVAMENTE IL GIORNALE, ISCRIVETEVI ALLA NOSTRA MAILING SCRIVENDO A: [email protected] LO POTRETE COSÌ LEGGERE PRIMA DI VENIRE IN TEATRO Pablo Picasso - Carmen toreri ed è raffigurato in mezzo alla folla nell’atto di colpire il toro. Carmen, invece, viene rappresentata prima di profilo e poi di tre quarti, mai di fronte, per evidenziarne l’inafferrabilità e l’ambiguità di pensiero. Il pittore volle concentrare l’attenzione sull’occhio nero della zingara, unico elemento che lascia trasparire un po’ della sua complessa psicologia. Anche da morta Carmen continua a guardare con sguardo irriverente il mondo che, imbrigliato nelle proprie regole, ha paura di tutto ciò che gli appare “diverso”. E così anche nella novella i lettori, quando Don Josè uccide brutalmente la donna liberandosi di quello scomodo alter ego, provano una sensazione di disagio nel continuare sentirsi osservati, anche se ancora per un solo attimo, da quell’occhio che tarderà a chiudersi: «Cadde al secondo colpo, senza un grido. Mi pare ancora di vedere il suo grande occhio nero guardarmi fisso; poi si appannò e si chiuse». Cl.C. Curiosità operistiche Quando Carmen fu strangolata D el fatto, la cui data è imprecisata, ne fu testimone il direttore d’orchestra Ian Reid. Avvenne a Heidelberg, città della Germania sud-occidentale. Don Josè entrando in scena nel 4° atto dimenticò il coltello in camerino e nella scena finale, dovendo comunque risolvere tragicamente la questione, decise di strangolare Carmen. La povera cantante, che non s’aspettava d’essere afferrata al collo, si ribellò con tutte le sue forze, offrendo al pubblico una recitazione davvero realistica e formando forse al contempo nei neofiti d’opera l’idea che fosse quella la canonica fine della la seduttiva sigaraia. Il Carmen Giornale dei Grandi Eventi 11 La passione di Bizet per l’opera nelle sue lettere A Nietzsche scopre Carmen Genova, dal 1880 al 1884 il Teatro Carlo Felice restò chiuso per una vertenza che contrappose i palchettisti al Comune. Della crisi del massimo teatro cittadino approfittarono naturalmente gli altri palcoscenici privati, ovvero il Politeama Genovese e il Paganini. Il 26 novembre 1881 il Paganini mise, dunque, in scena in prima cittadina Carmen di Bizet. Fra gli spettatori, quella sera, c’era il filosofo e scrittore tedesco Friedrich Nietzsche. Nietzsche era un frequentatore di Genova e della Riviera. Amava il mare, il profumo delle colline, trovava una vivificante tran- quillità seduto su uno scoglio in solitudine; ma gli piaceva frequentare anche i teatri, ascoltare musica, senza alcun preconcetto d’autore o di stile. Acceso wagneriano Com’è noto Nietzsche era stato un acceso wagneriano, totalmente conquistato dalla personalità artistica e umana del grande Richard. Ma, deluso dall’atteggiamento morale ed etico, riflessivo e antistintivo del teatro di Wagner, se n’era poi gradualmente allontanato per trasformarsi in un critico estremamente severo e implacabile del suo stile e della sua poetica. A casa del librettista Halévy U Duello al pianoforte tra Bizet e Liszt na sera dell'anno 1861, lo scrittore francese Ludovic Halévy, autore con Meilhac del libretto di Carmen, riunì nella sua casa parigina, alcuni intimi amici e colleghi tra i quali figuravano il grande pianista e compositore ungherese Franz Liszt e il giovane Georges Bizet, che era all'epoca appena tornato dall'Italia. Dopo cena, gli invitati passarono nello studio per gustare caffè e sigari. Liszt si mise al pianoforte eseguendo per gli amici una delle sue recenti composizioni, come al solito irta di difficoltà e di passaggi arditissimi. In un crescendo vertiginoso Liszt fa esplodere gli accordi finali della sonata in una serie di pirotecnici, virtuosistici passaggi, scatenando l'applauso entusiastico dei presenti che si congratularono per la maestria con la quale aveva eseguito il difficile brano senza la minima sbavatura. «S i- rispose Liszt- questo pezzo è difficile, orribilmente difficile e io non conosco in Europa che due pianisti capaci di eseguirlo: Hans von Bılov ed io». Halévy, allora, si rivolse al giovane Bizet, del quale aveva sentito lodare la prodigiosa memoria, chiedendogli se avesse notato uno dei passaggi che lo avevano colpito, accennandone nel frattempo al pianoforte il tema con qualche accordo. Bizet accolse l'invito e sedutosi alla tastiera, suonò completamente a memoria il frammento. Liszt, stupefatto e affascinato dalla strabiliante facoltà memonica del giovane, lo interruppe e gli pose sotto gli occhi il manoscritto della sua composizione, invitandolo ad eseguire l'intero brano. In mezzo allo sbalordimento generale, Bizet suonò senza errori tutto il pezzo, con una verve e un'audacia paragonabili a quelle dell'autore, se non superiori. I presenti scoppiano in nuovi, più entusiastici applausi. Liszt, calmata l'emozione generale, si avvicinò a Bizet ed afferrandogli la mano gli disse: «Mio giovane amico, io credevo non vi fossero che due soli capaci di lottare vittoriosamente contro le difficoltà di cui mi prese vaghezza rendere irto questo pezzo; mi ero ingannato, siamo invece in tre e, debbo aggiungere, per voler esser giusto, che il più giovane dei tre è forse il più audace e il più brillante». A. C. L’incontro con l’opera di Bizet, per la prima volta ascoltata dal filosofo proprio a Genova, si rivelò fondamentale. In Carmen Nietzsche individuò il prototipo dell’opera mediterranea, antiwagneriana. E’ stato, del resto, sostenuto da molti, che fra i meriti indiscutibili di Bizet è da annoverarsi proprio la capacità di offrire un prodotto assolutamente autonomo e originale, distaccato non solo da Wagner, ma anche da Verdi, ovvero dai due punti di riferimento fondamentali del teatro dell’epoca. Del suo ascolto di Carmen Nietzsche parlò in varie lettere inviate all’amico compositore Peter Gast, pseudonimo di Heinrich Köselitz: «Urrà! Amico! – si legge in una lettera del 28 novembre 1881 – Ancora una volta ho conosciuto qualcosa di bello: un’opera di Georges Bizet (chi è mai costui?): Carmen. Si fa ascoltare come una novella di Merimée, spiritosa, vigorosa, qua e là commovente. Un vero talento francese dell’opera comica, per nulla disorientato da Wagner: un vero scolaro di Hector Berlioz; cosa che io avevo ritenuto impossibile! A quel che pare i francesi in quanto a musica drammatica sono su una migliore strada dei tedeschi; essi hanno su questi la supremazia in un punto essenziale: in loro la passione non è tirata per i capelli (come in Wagner)…». E qualche giorno dopo, tornò sull’argomento: «Il fatto che Bizet sia morto è per me un grave colpo. Ho sentito la Carmen una seconda volta e di nuovo ne ho riportato l’impressione di una novella di prim’ordine, come di un Merimée. Un’anima così passionale eppure così piena di grazia! Per me quest’opera vale un viaggio in Spagna, un’opera altamente meridionale, non rida amico mio, non è facile che io col mio gusto mi sbagli così radicalmente». Infine, l’8 dicembre ag- giungeva: «Molto in ritardo la mia memoria (che alcune volte è ostruita) scopre che esiste veramente di Merimée una novella intitolata Carmen e che lo schema e i concetti e anche la coerenza tragica di quest’artista sopravvivono nell’opera…». Nietzsche individuò dunque in Carmen e nel suo colorismo passionale ma anche ricco di sfumature e di poesia, l’alternativa a Wagner. Pesò certamente nel suo giudizio l’astio ormai nutrito per l’amico di un tempo. Basta rileggere cosa scrisse a Overbeck il 22 febbraio 1883, a pochi giorni dalla morte di Wagner: «Wagner era di gran lunga la persona più ricca che io abbia mai conosciuto e in tal senso da sei anni ho molto sofferto di questa man- F canza. Ma fra noi due c’era qualcosa, come un’offesa mortale; e sarebbero potute succedere cose terribili se fosse vissuto più a lungo…». Un amore per la Carmen quello di Nietzsche che durò tutta la vita. Nel maggio 1888 da Torino scriveva: «Ho udito ieri – lo credereste ? – per la ventesima volta il capolavoro di Bizet. Ancora una volta persistetti in un soave raccoglimento, ancora una volta non fuggii Questa vittoria sulla mia impazienza mi sorprende. Come rende perfetti una tale opera!». Roberto Iovino Un insolito Nietzsche Filosofo e compositore ilosofo e pensatore di forte personalità, travagliato interiormente, anima inquieta, condannato alla pazzia, Friedrich Nietzsche, come è noto, ha costituito un motivo di ispirazione per molti compositori. Si pensi, per rimanere nell’ambito della cultura tedesca, a Richard Strauss o a Gustav Mahler od a Arnold Schöenberg. Meno conosciuta è invece l’attività creativa in campo musicale dello stesso Nietzsche. Da bambino aveva studiato il pianoforte e, pur mancandogli un organico studio dell’armonia e della composizione, ci ci- mentò con forme complesse e articolate, guidato, sulla scia dei propri credi filosofici, dall’istinto. Fra le sue composizioni si ricordano il Weihnachtsoratorioum, il poema sinfonico Ermanarich, Herbstlich sonnige Tahe per quartetto vocale e pianoforte e qualche brano per pianoforte a quattro mani. R. I. Carmen 12 I I Il Giornale dei Grandi Eventi I librettisti Ludovic Halévy ndissolubilmente legato al librettista Meilhac e al compositore Offenbach, Ludovic Halévy, nato a Parigi il 1 gennaio 1834, rappresenta uno scrittore tra i più originali e innovativi nel genere dell’operetta. Grazie al padre Léon (1802-1883), autore noto al pubblico parigino e allo zio Fromental, l’opera costituiva già nell’infanzia di Ludovic un elemento centrale. Incaricato, poi, presso il Ministero degli Interni e poi nel Ministero per l’Algeria svolse i suoi compiti con misura e ponderatezza, riservando uno speciale riguardo per il valore della famiglia, quasi in contrasto con le abitudini dei personaggi che scaturivano dalla sua fantasia. Con Meilhac fornì per anni commedie e trame ai teatri e ai compositori francesi, in particolare a Offenbach, componendo per quest’ultimo i libretti di operette come La belle Hélène (1864), Barbe-Bleu (1866), La Périchole (1868) e Les Brigands (1869), oltre a Orphée aux Enfers (1858), scritta in collaborazione con Crémieux, e Bataclan. Con garbo, brio e sottili tocchi di audace ironia la società parigina del Secondo Impero si svelava di volta in volta nella sua frivolezza (La Vie parisienne, 1866, scritta con Meilhac) o nella misera condizione della sua aristocrazia (Le Chateau à Toto 1868), in opere in cui la satira è sempre in gioco con indulgenza e bontà. Nel 1869 venne meno la collaborazione con Offenbach. Nei lavori che seguirono, Halévy e Meilhac abbandonarono l’intento satirico, pur continuando a ritrarre con sensualità e audacia i costumi dell’epoca. Capolavoro di questo periodo fu Frou-Frou (1869), un ragionamento sulla futilità della vita e sulle grandi virtù femminili. Halévy però pensava ad un nuovo teatro, sentiva la necessità di affrontare i grandi temi sociali, a differenza dell’amico Meilhac forte di altri sentimenti sulla vita e sul teatro; conclusa la loro collaborazione Halévy diede alle stampe Abbé Constantin (1882). Alla fine degli anni Settanta, il suo salotto parigino era frequentato da tutti gli esponenti del mondo artistico e letterario e nel 1884 divenne membro dell’Accademia di Francia. Morì a Parigi l’8 maggio del 1908. Henri Meilhac l librettista francese Henri Meilhac, nato a Parigi il 21 gennaio 1831, prima del consenso ottenuto con Garde, toi, je me garde, commedia in un atto presentata al Palais Royal di Parigi nel 1855, era impiegato in una libreria e dal 1852 collaborava sotto lo pseudonimo di Thalin al Journal pour rire con disegni e scritti satirici. Da quel successo, il genere del vaudeville, allora molto in voga, lo occupò freneticamente e dal 1855 al 1861 compose ben tredici commedie. Ma la produzione più significativa e memorabile legata al nome di Meilhac risale agli anni di lavoro a fianco di Ludovic Halévy, con cui collaborò per vent’anni dal 1861 al 1881, soprattutto ai libretti musicati da Offenbach, per il quale i due scrissero tra l’altro opere buffe come La Belle Hélène (1864) e Barbe-Bleu (1866), La Granduchessa di Gérolstein (1867), La Périchole (1868), Les Brigands (1869), Le Petit Duc (1878) o commedie come Fanne Lear (1868), Frou-Frou (1869), Tricoche et Cacolet (1872). Due personalità profondamente diverse, quelle di Meilhac e Halévy, in alcuni aspetti contrapposte, ma sicu- ramente complementari: l’arte del boulevardier e della continua parodia dei costumi in Meilhac e un’acuta sensibilità verso i grandi temi politici e sociali in Halévy. Meilhac compose anche libretti per suo conto, fra i quali quello di Manon (1884) per Massenet, e collaborò con Millaud (Le Mari de Babette, 1882, Santarellina, 1883), Gauderaux (Pépa, 1864), Delavigne e Gille. Non mancano nel repertorio di Meilhac lavori impegnativi e sofisticati come Le Petit-fils de Mascarille (1859), Decoré (1888) e Grosse Fortune (1896), opere che caratterizzano l’autore come particolare rappresentatore – ma anche protagonista – della “Belle époque” e della vita parigina. Solo o in collaborazione, si conta che abbia firmato 115 lavori dei più diversi generi. Il 6 aprile 1888 fu nominato membro dell’Accademia di Francia. Nel maggio del 1897, all’età di 66 anni, Hénri Meilhac fu colpito da un’emiplegia che dopo averlo paralizzato lo condusse in breve alla morte, avvenuta a Parigi il 6 luglio. Prosper Merimée, autore della novella Un funzionario statale prestato alla letteratura U omo di grande cultura, parigino doc nato nel 1803, Prosper Mérimée si laureò in giurisprudenza superando in breve tempo gli esami d’avvocato e coltivando nel frattempo la passione ereditata dal padre per la pittura e per la letteratura. Grazie all’amicizia con Stendhal e Ampère poté incontrare nel salotto Stapfer gli uomini di cultura più rilevanti del suo tempo: Viollet-le-Duc, Delécluze, Victor Coussin, Saint-Beuve e Girardin. Impiegato presso il Ministero del Commercio, pubblicò nel 1825 l’ope- ra Le Théâtre de Clara Gazul, comédienne espagnole, una raccolta di cinque commedie attribuite ad una fantomatica attrice spagnola liberale e spregiudicata e nel 1827 La Guzla (anagramma di Gazul), una serie di ballate e canti popolari che l’autore faceva credere fossero stati trascritti da un italiano di ritorno dall’Illiria. Il successo ottenuto da Mérimée fu tale che persino Puskin tradusse qualcuna di queste canzoni in russo. Dopo il successo ottenuto con il romanzo storico Chronique du règne de Charles IX e la novella Mateo Falcone (1829), grazie alla protezione della famiglia de Broglie raggiunse la carica di capo di Gabinetto del conte d’Argout presso il Ministero della Marina, passando poi al Commercio e agli Interni. Nel 1833 Mérimée fu nominato ispettore generale dei monumenti storici. Risalgono a questo periodo una serie di novelle, fra cui Colomba (1840), la storia di una vendetta in Corsica. In seguito ad una serie di impegnativi viaggi di lavoro, iniziò anche lo studio della cultura russa con le traduzioni di Puskin e Gogol e ancora oggi Mérimée è considerato il primo ad aver introdotto in Francia la letteratura russa. Negli stessi anni scrisse Carmen (1845), alla cui fama contribuì l’opera di Bizet. Profondamente legato alla famiglia imperiale, divenne all’epoca del Secondo Impero quasi uno scrittore ufficiale di corte. Psicologicamente distrutto dalla disfatta di Sedan, Mérimée morì a Cannes il 23 settembre 1870 all’età di 67 anni. Molti suoi lavori, fra cui le Lettres à une inconnue (1873) furono pubblicati postumi. Pagina a cura di Michela Marini Il Carmen Giornale dei Grandi Eventi L’autore 13 Il geniale e sfortunato Georges Bizet A ncora bambino, Georges Bizet, nato a Parigi nel 1838, acquisì i primi elementi di musica dal padre Adolfo, buon maestro di canto e compositore, e dalla madre Aimée Delsarte, di origine spagnola, sorella di una celebre pianista. All’età di dieci anni entrò A in conservatorio, studiando con grandi musicisti quali Marmontel, Zimmerman, Gounod, e Jacques-François Halévy, di cui più tardi sposò la figlia. Ben presto il proprio talento gli permise di raggiungere mete come il primo posto in un concorso bandito da Offenbach nel 1856 e il secondo posto al “Prix de Rome” nel 1857. Già noto negli ambienti musicali parigini, grazie anche alla Sinfonia in do maggiore composta a 17 anni nel 1855, Bizet si trasferì a Roma dal 1857 al 1860, soggiornando anche a Napoli e in altre città italiane e lavorando nel 1858/59 al Don Procopio, opera tratta da un libro di Cambiaggio. Negli stessi anni comparvero i primi attacchi di un male alla gola che lo accompagnò per tutta la vita provocandogli, inoltre, profonde crisi depressive. Tanti progetti furono abbandonati, alcune opere già compiute distrutte (La Guzla de l’Emir, Ivan IV, Grisélidis) e i dubbi sulle proprie capacità lo tormentarono continuamente anche perché mai una sua opera era sopravvissuta più di una stagione. Nel 1860 tornò a Parigi per assistere la madre gravemente malata. In questo periodo compose diverse opere, come Les Pêcheurs des Perles (I Pescatori di Perle, 1863) e La Jolie Fille de Perth (La Bella Fanciulla di Perth, 1867), presto attaccate duramente dalla critica: le accuse denunciavano un eccessivo “verdismo” e “wagnerismo”. Nel 1868, dopo una violenta crisi, portò a termine Roma, una suite sinfonica iniziata nel periodo del soggiorno italiano. Dopo un breve periodo di servizio nella Guardia Nazionale, in occasione della guerra francoprussiana, Bizet compose Djamileh (1872), cui seguirono nuove accuse di “wagnerismo”, che in parte determinarono il grave insuccesso dell’opera. Nello stesso anno apparvero anche le musiche di scena per L’Arlesienne di Daudet. Nell’estate 1874, dopo alcune interruzioni, Bizet terminò le 1200 pagine di partitura di Carmen, che i librettisti Henri Meilhac e Ludovic Halévy avevano tratto dall’omonima novella di Mérimée. L’opera andò in scena all’Opéra-Comique di Parigi nel 1875, suscitando una pessima accoglienza della critica. Ritiratosi da Parigi nella vicina Bougival, Bizet morì il 3 giugno 1875 e non fu esclusa l’ipotesi di un suicidio. Sei mesi dopo, il pubblico di Vienna decretò per Carmen un clamoroso trionfo. Luca Pesante Il Paese che in realtà Bizet mai visitò La Spagna, terra di ispirazione musicale scoltando in Carmen la Seguidilla o l’Habanera, così squisitamente spagnole nello spirito e nel colore, si può pensare a un soggiorno di Bizet nella penisola iberica a respirare a pieni polmoni il folclore che, straordinariamente ricco di umori e di sapori, nasce da una sintesi di elementi molti diversi, cristiani ed arabi. In realtà Bizet non oltrepassò mai i Pirenei, la sua è una Spagna immaginaria; verosimile certo, ma totalmente inventata. Nell’arco della storia della musica, la Spagna ha spesso influenzato la cultura francese e non solo quella, anche se si deve piuttosto parlare di “prestiti” reciproci. Risalendo a un lontano passato, i trovatori, i cantautori medioevali che con le loro liriche musicali celebrarono la cultura del castello, fecero sicuramente tesoro di esperienze arabe provenienti appunto dall’area iberica. Da lì, del resto, arrivo il Rebab, progenitore arabo del nostro violino. Ma è soprattutto fra Ottocento e Novecento che i rapporti si fecero stretti. Compositori spagnoli come Albeniz, Granados, De Falla soggiornarono a lungo a Parigi, a fine Ottocento divenuta l’incontrastata capitale culturale europea. Lì De Falla, ad esempio, conobbe tutta i musicisti francesi dell’epoca, collaborò con Picasso, scrisse per i Balletti russi di Diaghilev. In quel contesto la cultura francese guardò alla Spagna con evidente interesse. Emanuel Chabrier compose la colorita rapsodia orchestrale Espana, Eduard Lalo La Symphonie espagnole. E poi toccò a Debussy con Iberia e con varie liriche da camera. E, soprattutto, guardò alla Spagna Ravel: si pensi alla Rapsodia spagnola e, specialmente, al Bolero che ri- mane uno dei capolavori assoluti del sinfonismo novecentesco, saggio mirabile di orchestrazione. Merita, ancora in ambito teatrale, una citazione, lo splendido Don Chisciotte di Massenet. Il simpatico eroe di Cervantes, del resto, può vantare una presenza davvero massiccia nel teatro europeo a partire dal Seicento per arrivare al Novecento. Possiamo ricordare le opere di Anfossi, di Caldara, di Salieri. E, risa- lendo l’Ottocento, l’opera di Mendelssohn oppure il balletto di Minkus o, ancora, il poema sinfonico di Richard Strauss. Ma rimanendo a un discorso spagnolo più generale, vale la pena ricordare l’attenzione della liederistica per il colore iberico: gli Spanische Lieberslieder di Schumann e gli Spanisches Liederbuch di Hugo Wolf. Infine, per approdare ai giorni scorsi, il compositore tedesco Hans Werner Henze che ha da poco festeggiato i suoi 80 anni, ha inserito in una delle sue opere teatrali più recenti, Venus und Adonis, sette interludi strumentali, sette Boleri che in un acceso colorismo rileggono naturalmente in un’ottica moderna l’atmosfera folclorica iberica. Roberto Iovino 14 Carmen Il Giornale dei Grandi Eventi Viaggio nei luoghi di Carmen La splendida Siviglia, città senza mezzi toni A Spagna caliente e passionale di Mérimée e Bizet non poteva che trovare la sua ambientazione nella città di Siviglia. Nella capitale dell'Andalusia, infatti, tutto, dalle passioni ai sentimenti, dalla vita quotidiana alla gastronomia, è vissuto al massimo, senza risparmio, senza mezzi toni. Lo si percepisce appena giunti in città, anzi prima. Già dal treno superveloce che in appena due ore e mezzo ed al prezzo di una settantina di euro in classe turistica, attraversando mezza Spagna, collega Madrid con questa città, che con i suoi oltre 700mila abitanti è la quarta realtà del paese. Appena usciti dalla stazione o dall'aeroporto, la cosa che colpisce è una luce diversa, forte, accecante, capace di esaltare i colori. Il clima torrido d'estate e temperato d'inverno, riempie l'aria del profumo di fioriture pressoché perenni. Le case, i palazzi hanno tinte forti: il rosso sangue di toro contrasta con gli ocra accesi, con i blu delle maioliche, con i bianchi abbaglianti delle costruzioni minori, la cui monocromia è spezzata dal nero delle cancellate di ferro battuto che si rincorrono a limitare chiostri o piccoli cortili. L'architettura è fortemente influenzata dalle varie dominazioni che si sono susseguite e la topografia conserva essenzialmente il carattere moresco, con strade strette e tortuose, vicoli ciechi, piazzette. La città si è sviluppata lun- go il corso del fiume Guadalquivir, che attraversa la città da nord a sud ed è navigabile fino alla foce di Sanlúcar de Barameda. Proprio la possibilità di essere il principale porto fluviale del paese contribuì a fare la fortuna di Siviglia, soprattutto dopo la scoperta delle "Indie". Le navi che giungevano dal Nuovo Mondo attendevano in mare la corrente giusta per risalire il fiume Guadalquivir con i loro carichi di ricchezze, come l'oro e le preziosissime spezie che, una La Torre de Oro volta scaricati, venivano portati negli edifici attigui alla Torre de Oro (il cui nome è dovuto al rivestimento, ormai scomparso, di piastrelle dorate) ed il tabacco proveniente da Cuba instradato alla manifattura per la lavorazione. Una curiosità: per risalire il fiume le navi gettavano in acqua i carichi superflui, compresa spesso parte delle coperture di splendido mogano, legno che veniva raccolto a valle presso la città di Sanlúcar de Barameda, do- La fabbrica di tabacco, ora Università ve sorse una fiorente lavorazione di mobili proprio di mogano. La fabbrica del tabacco La manifattura del tabacco, dicevamo. E' qui che è ambientato il primo atto dell'opera di Bizet, Carmen. In realtà il nome della protagonista dovrebbe essere Maria Carmen, per l'usanza spagnola di far precedere il nome della Vergine ai suoi titoli. Un nome importante quello di Maria del Carmelo, tanto che la sua festa il 16 luglio è vissuta in tutta la cattolicissima quasi come una ricorrenza nazionale. Dal centro storico-culturale della città, che è il quartiere ebraico di Santa Cruz, per andare verso l'Università che ora occupa l'edificio della manifattura del tabacco, si percorrono dedali di stradine con cortili e patii abbelliti da fiori rigogliosi. Si incontra il grande complesso della Cattedrale, costruita sui resti della Moschea Maggiore abbattuta nel XV secolo, che con le sue cinque navate in stile gotico divenne il monumento religioso più grande del mondo cristiano. L'opera fu portata a termine nel 1506 (anno in cui a Roma si poneva la prima pietra dell'attuale Basilica di San Pietro). All'interno, nella Cappella della Vergine de Antigua, si trova uno dei presunti sepolcri di Crisoforo Colombo. Accanto alla Cattedrale, il Patio degli Aranci e la Giralda, ex minareto, ora il monumento più singolare della città. Basta attraversare la piazza che ci si trova di fronte alla Porta del Leone, attraverso la quale si accede all'Alcazar, la residenza reale più grande d'Europa. Qui, prima della fortezza del IX secolo, vi furono l'acropoli romana, una basilica paleocristiana e edifici visigoti. Straordinario il Salone degli Ambasciatori con la sua grande cupola di filigrana dorata. L'eredità araba dei giardini dell'Alcazar La Plaza de Toros de la Real maestranza ci divide dall'imponente vecchia Manifattura del tabacco, ora – come abbiamo detto – sede dell'Università, un edificio del XVIII secolo disegnato da Sebastian Van der Borcht, che per superficie è la maggiore costruzione pubblica di Spagna dopo l'Escorial. Splendida è la facciata su via San Fernando. Da qui si accede al vestibolo con la doppia, superba scalinata ed al Patio dell'Orologio. La fabbrica rimase in funzione fino alla fine del XIX secolo. Nel 1895, infatti, la Spagna perse Cuba, suo ultimo possedimento americano, e si interruppe così l'approvvigionamento di tabacco dall'Arcipelago delle Antille. A Sud-Est dell'Università, da non perdere i Giardini di Maria Luisa con la grande Plaza de España di forma semicircolare. Lungo la semiellisse, un fascione decorato con tanti quadri in splendide maioliche ripercorre la storia di ogni singola provincia spagnola. Fu il luogo di accoglienza della grande Esposizione Iberoamericana del 1929 e nel grande e curatissimo parco su cui si affaccia vi sono quelli che furono gli splendidi padiglioni delle Esposizioni, anch'essi decorati da maioliche policrome. Il quartiere delle taverne Nell'opera passa un mese e, nel secondo atto, troviamo Carmen nella taverna di Lillas Pastia. Un riferimento vero non c'è, ma presumibilmente la protagonista avrebbe frequentato la zona della Via Mateos Gagos, sempre nel quartiere di Santa Cruz, piena di bar ed osterie molto animate, tra cui famoso è il Bar Giralda, ricavato in alcuni antichi bagni arabi, dove si può gustare una eccellente varietà di "tapas", oppure il popolarisismo Quartiere di San Bartolomé. Questa zona, a cui si accede dalla Porta della Carne (il nome deriva da un antico mattatoio), conserva immutato tutto il fascino dell'autentica Sivilla, con la trama urbana che più di ogni altro luogo ha mantenuto gli schemi arabi, pur combinandosi con l'architettura civile e cattolica dei secoli XVII e seguenti. Dopo aver incontrato splendidi esempi di gotico, mudejar e stile rinascimentale, come la Casa di Pilato, il Palazzo Mañara, dove visse Miguel de Mañara che ispirò il personaggio di don Giovanni, si arriva ancora nella Piazza dell'Alfalfa, zona rinomatissima per le buone "tapas". La Plaza de Toros Lungo il fiume Guadalquivir sorge la famosa Plaza de Toros de la Real Maestranza. Siamo al quarto atto di Carmen. Il dramma passionale si avvicina. Il quartiere è quello dell'Arenal, quello che al mondo è più legato all'arte della tauromachia. L'edificio circolare della Plaza de Toros con la famosa Porta del Principe e la superba galleria di archi a mezza volta, risale al XVIII secolo. Di fronte, nella piazza, da non molti anni sorge la statua dedicata a Carmen la Cigarrera (Carmen la sigaraia) che prorpio in questo luogo, secondo il racconto di Mérimée e Bizet, fu pugnalata per amore da José, mentre il torero Escamillo trionfava nell'arena. Carmen cade a terra, il dramma si è compiuto. Lo spirito caliente di Siviglia ha travolto ancora una volta i protagonisti. Andrea Marini Il Giornale dei Grandi Eventi A Dal mondo della musica 15 Dal 18 giugno al 4 luglio Musica di dieci nazioni nei Giardini della Filarmonica Roma, a due passi da piazza del Popolo, in questo periodo estivo i Giardini della Filarmonica Romana (via Flaminia 118) si trasformano, come ogni anno, in uno spazio aperto dove musica, danza, poesia, cinema, concorrono a creare un confronto stimolante tra culture di diversi paesi. Un porto franco aperto alla scoperta, alla reciproca conoscenza, all’incontro tra persone, un crogiolo di esperienze artistiche varie e vitali. Grazie al contributo qualificato e appassionato delle realtà internazionali che animano la vita culturale della città, quest’anno saranno dieci fra aree geografiche e nazioni provenienti da quattro continenti ad animare le serate della stagione estiva della Filarmonica, dal 18 giugno al 4 luglio, occasione anche per ‘svelare’ questo suggestivo luogo segreto di Roma che non molto tempo fa, il FAI, Fondo Ambiente Italiano, ha inserito nell’elenco dei luoghi da salvaguardare. Africa sudanese, Argentina, Austria, Iran, Repubblica di Malta, Norvegia, Portogallo, Slovacchia, Spagna e Ungheria A portano nei Giardini i loro migliori artisti, le loro tradizioni, il loro presente, i loro sapori. Da un lato aspetti quanto mai caratteristici delle loro tradizioni artistiche, ma dall’altro non tralasciano di offrire squarci del grande repertorio classico, romantico e del Novecento. Accanto al fado e al flamenco, alle melodie slovacche dei Diavoli Zingari e alle raffinatezze iraniane dell’ensemble Mastan, troviamo il pianoforte di Schumann e Liszt, i Lieder di Schubert, Brahms e Berg, le esplorazioni di Crumb, Ligeti e Ho- sokawa. E come da tradizione, tra un appuntamento e l’altro, si potrà fare una gradevole pausa al ristorante del giardino (Cucina by Angelina), dove si gusteranno anche i piatti della tradizione gastronomica delle nazione ospite del giorno. La rassegna si inaugura mercoledì 18 giugno con la Spagna che presenta un suo giovanissimo talento, il chitarrista Rafael Aguirre erede della grande tradizione chitarristica del suo paese che annovera fra i suoi padri Andrés Segovia. Fra i numerosi appuntamenti, da segnalare la prima assoluta di Galghi (La barca) il 25 giugno (replica il 2 luglio) nella giornata dedicata al Viaggio, tema che dà il titolo alla manifestazione di quest’anno: si tratta di uno spettacolo teatrale e musicale che si muove tra due spazi, quello reale dei barconi di profughi ed emigranti che solcano il Mediterraneo per sbarcare in Europa, e quello immaginario della scenografia e della drammaturgia che rimette in scena, per una volta, il viaggio. A riunire i due spazi gli attori. Anzi, i non attori: dieci rifugiati africani – uomini, donne e bambini – giunti in Italia e a Roma negli ultimi anni, con i loro racconti, la memoria del viaggio affrontato per arrivare qui. Insieme a loro, una voce narrante e cinque musicisti, anche loro africani. Cla. Lan. INFO tel. 06 3201752 www.filarmonicaromana.org BIGLIETTI 10 € a spettacolo; biglietto giornaliero 15 €; Hieros Gamos 15 €. Le proiezioni, le mostre, il recital “Viver em pleno vento” (18.6) e gli incontri-conferenze sono ad ingresso gratuito Presenza femminile nella lirica 35° edizione del Rossini Opera Festival Poche donne ai vertici dei teatri A Pesaro, Armida, Barbiere e Aureliano in Palmira ffida il podio a tre donne di talento, il Festival allo Sferisterio di Macerata che quest’anno, dal 18 luglio al 10 agosto, celebra la sua 50° edizione: Julia Jones dirigerà l’Aida (che inaugurò la prima stagione del 1921), Eun Sun Kim la Tosca e Speranza Scappucci La Traviata. «Una scelta forse un po’ inusuale – spiega il direttore artistico Francesco Micheli – in omaggio alle eroine del melodramma che trasgrediscono le regole a costo della vita». La direttrice d'orchestra Xian Zhang Già dalle parole del direttore artistico si capisce quanto la presenza femminile ai vertici della musica sia una rarità. I dati dicono che è solo del 3,9% la presenza femminile nei posti di vertice delle istituzioni operistiche e sinfoniche in Italia, mentre la presenza nelle orchestre rimane sempre di minoranza. Nelle 14 fondazioni liriche italiane troviamo solo una donna Sovrintendente, Rosanna Purchia al San Carlo di Napoli che peraltro è affiancata nella gestione da un commissario straordinario., mentre direttore generale de la Scala è Maria Di Freda e direttore degli allestimenti scenici del Carlo Felice di Genova Sabrina Cuccu. Se si guarda alle istituzioni sinfoniche, l’unica donna direttore musicale è la cinese Xian Zhang alla guida della Verdi a Milano. Tra gli elementi delle orchestre, invece, la presenza femminile è attestata sul 20%. All’estero non va meglio. Su 20 teatri europei sotto esame, una sola donna è al vertice: Helga Schmidt al palau di Valencia, mentre nel settore Festival solo Helga RablStadler è presidente a Salisburgo, dove l’italiana Cecilia Bartoli è direttore del Festival di Pentecoste. Cla. Lan. T re interessanti produzioni per il Rossini Opera Festival di Pesaro, che dal 10 al 22 agosto presenterà la sua 35° edizione: Armida per la regia di Luca Ronconi sarà in scena il 10, 13, 16 e 19 agosto all’Adriatic Arena; Barbiere di Siviglia commedia di Cesare Sterbini sarà nella versione semiscenica dell’Accademia di Belle Arti di Urbino al Teatro Rossini l’ 11, 14, 17 e 20 agosto; Aureliano in Palmira, penultima opera del Catalogo, rossiniano nella sua prima dell’edizione critica con la regia di Mario Martone sarà sempre al Teatro Rossini il 12, 15, 18 e 22 agosto. In cartellone anche il 18 luglio concerto conclusivo dell’Accademia Rossiniana nei pressi del Teatro Sperimentale; il 13 e 16 agosto al teatro Rossini Il viaggio a Reims dei giovani dell’Accademia Rossiniana; 21 agosto la Petitte Messe Solenelle diretta da Alberto Zedda. Nelle Marche è anche da segnalare in tardo autunno un’altra perla lirica, quale il Festival Pergolesi Spontini, giunto alla sua 14° edizione, dal 5 al 21 dicembre tra Jesi, Maiolati Spontini, San Marcello e Montecarotto. Cla. Lan.