Carmen - ilgiornalegrandieventi.it

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Anno XX - Numero 46 - 18 giugno 2014
L’Intervista
Parla il regista spagnolo
Emilio Sagi, che racconta
questa Carmen nata per il
Teatro Santiago del Cile.
A Pag.
2
La storia dell'opera
Dalle critiche della vigilia
alla versione definitiva
che Bizet non vide
A Pag.
6e
pag. 7
L’arte delle sigaraie
Così nasce un sigaro
A Pag.
8
Le nacchere
Storie e curiosità
di uno strumento musicale
divenuto simbolo di Spagna
A Pag.
9
Viaggio a Siviglia
Itinerario nei luoghi
di Carmen
A pag. 14
CARMEN
di Georges Bizet
Carmen
2
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Parla il regista spagnolo Emilio Sagi
Una Carmen semplice, che guarda alla voglia
di libertà della gitana
E
’ centrata sullo spirito
popolare della Spagna questa Carmen
firmata dal regista spagnolo Emilio Sagi.
Sagi è una delle figure di
spicco della scena lirica
spagnola, il quale dopo
aver conseguito un dottorato di ricerca in filosofia
presso l’Università di
Oviedo, sua città natale, si
trasferì a Londra per studiare musicologia e quindi
tornare a Oviedo nel 1980
per esordire come direttore
di scena con La Traviata di
Verdi e nel 1982 debuttare
come regista con il Don Pasquale di Donizetti. Iniziò,
così, per lui una carriera
che lo portò nel 1990 ad essere per nove anni direttore del Teatro de la Zarzuela e quindi dal 2001 al 2005
Direttore Artistico del Teatro Real di Madrid. Ora dal
2008 ricopre la stessa carica
al Teatro Arriaga di Bilbao.
Questa produzione, creata
per il Teatro Municipal di
Santiago del Cile, dove è
andata in scena nel 2011,
è la terza Carmen che Sagi
ha realizzato dal suo debutto con Bizet: la prima
fu al Teatro dell’Opera di
Liegi e la seconda - più
grande per le maggiori
dimensioni del palcoscenico - al Teatro Real di
Madrid, quando Sagi ne
era direttore artistico.
«Sia in questa nuova produzione – spiega il regista - come nelle precedenti, il fulcro è
il personaggio di Carmen: la
donna che lotta per la sua libertà e il suo modo di concepi-
re la vita; una donna che non
rinuncia alla verità neppure
davanti al coltello di Don José. Carmen non mente e
quando smette di amare lo dice. Non so quante volte si ricorre la parola “libertà” in
quest’ opera, ma sicuramente
molte. «Libera è nata e libera morrà», dice la gitana nel
duetto finale prima di morire
e tale frase, a mio avviso, riassume la filosofia dell’opera.
Questo mi ha colpito e tale
elemento è stato sempre al
centro delle mie regie, ma nel
corso degli anni ho cercato di
fare le cose più semplici. Questa volta ho chiesto allo scenografo Daniel Bianco ed alla
costumista Renata Schussheim linee molto essenziali e
non scontate, in modo da non
trovarsi di fronte ad una Spagna di “gerani in vaso” . L’azione si svolge nel tempo della
guerra civile spagnola, tra gli
anni ‘30 e gli anni ‘40 del
‘900, quando c’era la povertà
della Spagna del dopoguerra e
questo dà più lustro alla storia
appassionata di Carmen. L’era che precede l’avvento di
Franco è un’epoca della Spagna, come lo possono essere
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quella di Filippo II e Carlo III.
Un tempo di miseria e basta».
Un tempo equidistante tra
il suo contesto originale
ed il mondo di oggi?
«Non ho voluto lasciare l’azione nel XIX secolo, né traslarla nel nostro tempo, così
da permettere all’immaginazione di lavorare un po’. Reputo che, almeno nell’opera, una troppa attualizzazione non sia conveniente,
perché molte cose nella
partitura e nel libretto diverrebbero assurde. Bisogna trovare un equilibrio
tra ciò che è l’opera e ciò
che è il pubblico del Ventunesimo secolo. Questa è la
grande sfida: combinare
tradizione e l’attrattiva per
i giovani. Lasciate che la
gente veda un grande spettacolo com’è sempre stata
l’opera, ma con il rigore
teatrale.
Potrebbe quest’opera essere astratta dall’ambiente
andaluso?
«Un certo colore lo deve avere. Beh ... io sono spagnolo e
non mi verrebbe mai di eliminarlo dal contesto di Siviglia,
perché penso che sia quello
che ha affascinato Prosper
Mérimée nello scrivere il romanzo. Ovviamente c’è una
componente esotica: forse a
quel tempo la Spagna era un
po’ la Polinesia di oggi e penso che questo aspetto debba essere raccontato, anche perché
la musica è piena di arie spagnole e sembra quasi impossibile che Bizet la scrisse senza
conoscere la Spagna. Ci sono
poi quei personaggi estroversi del sud della Spagna
con il sangue “caliente” come Carmen, la quale è improvvisamente in uno stato d’animo meraviglioso e
poi totalmente negativo.
Penso che sia molto tipico
di quella zona e dunque
ambientare l’azione in
quella zona mi è sembrato
fondamentale.
Conosce gli scritti di
Nietzsche sull’opera Carmen?
«Sì ed hanno rappresentato
una grande critica a Richard
Wagner... Nietzsche voleva
una persona in carne e ossa,
non eroi del Walhalla. E penso che, in realtà, come diceva
Nietzsche, Carmen è un’opera molto mediterranea, solare
anche se è una grande tragedia. Personalmente, non mi
piace nulla di queste Carmen
troppo enfatiche soprattutto
di coloro che non provengono
da una cultura latina: se sono
arrabbiati lo mostrano fin dall’inizio ed io non sono d’accordo. Carmen è il diavolo! E
poi devo spiegare loro che in
Spagna i diavoli sono affascinanti, sorridenti, solari. Carmen è una positiva e sorridente, fino alla fine quando si arrabbia e diventa una bestia.
Ma è proprio questa la sua
bellezza: con cambiamenti
dall’inizio alla fine.
Stagione Estiva 2014
Terme di Caracalla
14 luglio - 9 agosto
A.M.
LA BOHEME
di Giacomo Puccini
Daniele Rustioni
Davide Livermore
Direttore
Regia
23 luglio - 8 agosto
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
di Gioachino Rossini
Stefano Montanari
Lorenzo Mariani
Direttore
Regia
Stagione d’Opera 2013 -2014
del Teatro dell’Opera di Roma
21 - 31 ottobre
RIGOLETTO
di Giuseppe Verdi
Renato Palumbo
Leo Muscato
Direttore
Regia
CARMEN
La Locandina ~ ~
Terme Costanzi, 18 - 28 giugno 2014
~~
Opera in quattro atti
dal romanzo di Prosper Merimée
Libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy
Musica di Georges Bizet
Prima rappresentazione: Parigi, Opéra-comique (Salle Favart) 3 marzo 1875
Direttore
Regia
Maestro del Coro
Scene
Costumi
Luci
Emmanuel Villaume
Emilio Sagi
Andrea Giorgi
Daniel Bianco
Renata Schussheim
Eduardo Bravo
Personaggi / Interpreti
Carmen (Ms)
Don José (T)
Escamillo (Bar)
Micaëla (S)
Frasquita (S)
Mercédès (Ms)
Le Dancaïre (T)
Le Remendado (T)
Zuniga (B)
Moralès (Bar)
Clémentine Margaine /
Nancy Fabiola Herrera 19,21,24,28 /
Giuseppina Piunti 26
Dmytro Popov /
Andeka Gorrotxategui 19,21,24,26,28
Kyle Ketelsen /
Simón Orfila 19,21,24,26,28
Eleonora Buratto /
Erika Grimaldi 19,21,24 26,28
Hannah Bradbury
Theresa Holzhauser
Marco Nisticò
Pietro Picone
Gianfranco Montresor
Alexey Bogdanchikov
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Allestimento del Teatro Municipal di Santiago del Cile
E
Il
Giornale dei Grandi Eventi
’ l’opera in assoluto
più rappresentata al
mondo la Carmen di
Bizet. Andata in scena per
la prima volta nel 1875 a
Parigi all’ Opéra Comique, dove venne accolta
da un clamoroso flop,
Carmen è tratta da una
novella di Prosper Merimée, ed incentrata sul
quel personaggio della sigaraia gitana destinata a
divenire una delle figure
più popolari del melodramma ed emblema di
un erotismo dionisiaco il
cui richiamo prelude fatalmente alla tragedia.
Questo allestimento, firmato dal regista spagnolo
Emilio Sagi, con le scene
di Daniel Bianco ed i costumi di Renata Schussheim, viene dal Teatro
Municipal di Santiago del
Carmen
Cile, dove ha debuttato
nel 2011. L’impianto si
basa su una semplicità
delle forme ed è ambientato nella Spagna povera
degli anni ‘30 del 900 del
pre-franchismo, epoca
che esalta questa storia
piena di passione.
Le interpreti della provocante sigaraia protagonista, saranno la mezzosoprano francese Clémenti-
ne Margaine (la quale sostituisce
l’annunciata
Anita Rachvelishvili che
ha dato forfait per motivi
di salute), Nancy Fabiola
Herrera e Giuseppina
Piunti.
Sul podio il transalpino
cinquantenne Emmanuel
Villaume, per la prima
volta alla direzione dell’Orchestra dell’Opera di
Roma.
3
Le Repliche
giovedì 19 giugno, h. 20.00
venerdì 20 giugno, h. 20.00
sabato 21 giugno, h. 18.00
domenica 22 giugno, h. 16.30
martedì 24 giugno, h. 20.00
mercoledì 25 giugno, h. 20.00
giovedì 26 giugno, h. 20.00
venerdì 27 giugno, h. 20.00
sabato 28 giugno, h. 18.00
Un’ambientazione che guarda alla Spagna povera del pre-franchismo
La vicenda si svolge in Spagna, intorno al 1820.
La Trama
ATTO I: in una piazza di Siviglia, presso la manifattura di tabacchi e
la caserma delle guardie. Moralés, capo dei dragoni, osserva l'andirivieni dei passanti. La giovane contadina Micaëla aspetta di parlare con il suo fidanzato, il brigadiere Don José, ma non trovandolo è costretta ad allontanarsi, ripromettendosi però di tornare
al prossimo cambio della guardia.
Attirando l'attenzione generale, irrompono le sigaraie che escono
dalla fabbrica per la pausa di mezzogiorno. Solo Don José, che ha
promesso fedeltà a Micaëla non si mostra interessato alle giovani
e non attende, come gli altri, la bella zingara Carmen. Quando ella, per provocarlo, gli getta un fiore, Don José è talmente turbato
che ascolta appena Micaëla, che gli porta una lettera della madre
lontana.
All'interno della manifattura tra le sigaraie scoppia una zuffa e
Carmen viene arrestata dal tenente delle guardie Zuniga, per
aver picchiato una donna e viene affidata a Don José. Questi, ottenuta da lei la promessa di un appuntamento all'osteria, la aiuta
a fuggire.
ATTO II: nella taverna di Lillas Pastia, due mesi dopo. Nel luogo di
ritrovo dei contrabbandieri, Carmen attende danzando con le
amiche l'arrivo di Don José, appena liberato dal carcere dove era
stato rinchiuso per aver favorito la sua fuga. Per questo la gitana
rifiuta la corte del torero Escamillo e anche di unirsi ai contrabbandieri Dancaìre e Ramendado per tornare sulle montagne.
Torna Don José, che ha ancora il fiore donatogli da Carmen e la
zingara danza per lui. Suona la ritirata, ma José, irretito da Carmen, non riesce a staccarsi da lei. Così, quando Zuniga, che segue
le tracce di Carmen, gli ordina di rientrare in caserma, egli si ribella e minaccia il tenente con la pistola. Intervengono i contrabbandieri a separarli, ma il destino di José ormai è compromesso
ed egli decide di unirsi ai fuorilegge insieme a
Carmen.
ATTO III: sui monti, presso il rifugio dei contrabbandieri. Mentre i
contrabbandieri bivaccano, Don José è torturato dai rimorsi: la vita del fuorilegge non fa per lui. Carmen, ormai stanca di questo
amore, pensa ad Escamillo e, insieme alle compagne Frasquita e
Mercédès, legge il futuro. Le carte rivelano a Carmen che la morte è vicina.
Una parte della banda, con le ragazze, va avanti per fermare i doganieri. Don José, rimasto a guardia della merce, si scontra in
duello con Escamillo, che è venuto in montagna per trovare Carmen. I due uomini vengono separati da Carmen, ed Escamillo si
allontana dopo aver invitato la ragazza a Siviglia per la sua prossima corrida.
In quel momento Micaëla, arrivata sul luogo per annunciare a
Don José che la madre sta morendo, supplica il brigadiere di
tornare al suo villaggio. Esortato dai presenti, José decide di seguirla, ma prima minaccia Carmen, della quale è ancora innamorato.
ATTO IV: la Plaza de Toros, a Siviglia. Il popolo acclama il corteo
dei toreri e tra la folla c'è anche Carmen. Ormai è legata ad Escamillo e non si cura degli avvertimenti delle amiche che le dicono
di guardarsi da Don José.
Mentre Escamillo si reca alla corrida, Carmen incontra Don José,
il quale, sull'orlo della disperazione, si fa avanti. Ma nonostante
le sue suppliche, Carmen lo schernisce e gli restituisce in malo
modo l'anello che egli le aveva donato.
Mentre Escamillo trionfa nell'arena, Don José accecato dalla gelosia, uccide Carmen con una pugnalata e poi si costituisce ai gendarmi.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Dmytro Popov e Andeka Gorrotxategui
Carmen
Il brigadiere Don Josè,
lacerato dalla gelosia
per la zingara
A
dividersi il ruolo di Don Josè, amante deluso, sono i tenori
Dmytro Popov (18, 20, 22, 25, 27) e Andeka Gorrotxategui
(19, 21, 24, 26, 28).
Dmytro Popov, ucraino,è nato a Kiev dove
ha studiato. Il suo debutto internazionale è
stato nella La Traviata in Norvegia. Vincitore
del 2 ° premio al concorso internazionale
Operalia di Placido Domingo, ha cantato diversi ruoli con l’Opera Nazionale Lettone di
Riga. Nel 2009 ha fatto il suo debutto alla
Deutsche Oper di Berlino in Madama Butterfly. Nello stesso anno ha iniziato a collaborare con l’Opera di Stoccarda.Ha cantato al Co- Dmytro Popov
vent Garden come Lykov in una nuova produzione della Sposa dello Zar di Rimskij-Korsaky e quindi presso l’Accademia di Santa Cecilia con Le campane di Rachmaninov sotto Antonio Pappano.
Andeka Gorrotxategui è nato a Bilbao. Si è esibito nei più prestigiosi
teatri in Spagna e in Europa negli ultimi anni tra cui, Madrid, Sevilla,Oviedo,La Fenice di Venezia e l’Opera di Roma (Caracalla). Ha cantato in Messico e Argentina. Nel 2011 ha debuttato in Italia con Madama
Butterfly a Novara ed al Festival Donizetti di Bergamo. Nel 2012 ha cantato El Gato Montés al Teatro de la Zarzuela (Madrid), Werther al Teatro
Argentino , Belisario al Bergamo Festival e Madama Butterfly al Teatro
Gayarre. Nel 2013 ha cantato I Masnadieri e Madama Butterfly alla Fenice,
Werther a Salisburgo, Madama Butterfly al Teatro Bicentenario, El Gato
Montés a La Maestranza e Tosca a Caracalla e Padova.
Kyle Ketelsen e Simón Orfila
Il torero Escamillo,
prima ignorato e poi
amato da Carmen
I
baritoni Kyle Ketelsen (18, 20, 22, 25, 27) e
Simón Orfila (19, 21, 24, 26, 28) danno voce al torero Esamillo, vincitore nell’arena e
nel cuore di Carmen.
Kyle Ketelsen è nato a Clinton (USA) ed ha
studiato presso l’ University of Iowa. Ha debuttato come Sprecher in Die Zauberflöte. Nelle ultime stagioni è stato Angelotti nella Tosca,
Don Giovanni e Figaro (Mozart) per il suo debutto a New York. La sua prima volta all’O- Kyle Ketelsen
pera di San Francisco è stata come Escamillo
in Carmen. Nella stagione 2007-2008, è tornato a Covent Garden dove
si è ancora esibito come Escamillo. Ha cantato Leporello nel Don Giovanni per il proprio debutto alla Los Angeles Opera e al Gran Teatre
del Liceu. La stagione 2008-2009 l’ha iniziata a Covent Garden come
Leporello nel Don Giovanni diretto da Sir Charles Mackerras, seguita
da un ritorno al Gran Teatre del Liceu di Barcellona ne Le Nozze di Figaro. Il suo repertorio concertistico comprende anche il Requiem di
Verdi, La Passione secondo Matteo di Bach (BWV 244).
Simón Orfila è nato a Menorca nel 1976. Si è poi trasferito a Madrid
per studiare canto. Ha partecipato a numerosi concerti e recital in
Spagna e in Europa. Tra questi: l’apertura della Auditorio Alfredo
Kraus a Aspe (Alicante). Il repertorio concertistico comprende Requiem di Mozart e di Verdi, La Creazione, Stabat Mater di Rossini
.Quello operistico comprende tra gli altri: Turandot , Le Nozze di Figaro , Norma, Lucia di Lammermoor, La Donna del Lago, Don Giovanni , Aida , La Cenerentola , Il Viaggio a Reims , Socrate Immaginario , Samson et
Dalila , I Puritani , Bohéme,Tosca, Elisir d’amore, Adriana Lecouvreur , Semiramide , Breve Vita , Adelaide di Borgongna, La fattucchiera, Favorite,
Un Ballo in Maschera, Il Trovatore.
5
Clémentine Margaine, Nancy Fabiola Herrera
e Giuseppina Piunti
N
Carmen, seducente e
volubile gitana
el ruolo della protagonista Carmen si alternano i mezzosoprano Clémentine Margaine (18, 20, 22, 25, 27), Nancy Fabiola Herrera (19, 21,
24, 28) e Giuseppina Piunti (26). Il mezzosoprano francese Clémentine Margaine è stata membro
della Deutsche Oper di Berlino, dove ha avuto un grande successo nel ruolo di Carmen di Bizet e quindi come
solista in una versione messa del Requiem di Verdi e nei
panni di Marguerite ne La dannazione di Faust a Berlioz.
Nel 2006 è stata Bradamante nell’Alcina di Händel, Annio La Clemenza di Tito di Mozart e la Terza Signora ne
Il flauto magico ad Avignone, Reims e Vichy. Il suo re- Clémentine Margaine
pertorio concertistico comprende oratori come Le Petitte Messe Solennelle e lo Stabat Mater di Rossini, il Requiem di Verdi, Duruflé e
Mozart, lo Stabat Mater di Dvorak, l’Oratorio di Natale di Saint-Saens, Kindertotenlieder di Mahaler e Canti e danze della Morte di Musorgskij.
Nancy Fabiola Herrera nata in Venezuela, è cresciuta alle Canarie e studiato
a New York. Ha debuttato con Carmen al Metropolitan di New York con la regia di Zeffirelli. Ha cantato Maddalena nel Rigoletto e interpretato Luisa Fernanda con Placido Domingo al Teatro Real di Madrid. Assieme al tenore ha
cantato per le celebrazioni del debutto di Domingo a Porto Rico. Ha interpretato Carmen nei più importanti teatri spagnoli.Nel suo repertorio Rosina de Il
barbiere di Siviglia; Suzuki in Madama Butterfly. Molto apprezzata anche in Cina dove ha debuttato nel 2004 con Carmen e nel 2005 come Dorabella di Così
fan tutte. Ha cantato il Requiem di Verdi nel Festival di Puerto Rico.Sempre con
carmen e Domingo ha debuttato all’arena di Verona.
Giuseppina Piunti, nata a San Benedetto del Tronto, si è diplomata in pianoforte e canto. Ha esordito come Alice nel Falstaff al Filarmonico di Verona.
Al Massimo di Palermo è la Prima Dama nello Zauberflöte mozartiano. Più
volte ospite del Festival di Wexford , vi ha cantato Monica nella Fiamma di
Respighi, Delia nella Fosca di Gomes e Sapho di Massenet. All’Opera di Roma è stata Monica nella Fiamma, Olga in Fedora di Giordano accanto a Placido Domingo e Juliette ne Les contes d’Hoffmann. Ha partecipato alle celebrazioni per il bicentenario del Teatro Verdi di Trieste. Dal 2001 si apre a una carriera più internazionale.
Eleonora Buratto e Erika Grimaldi
A
Micäela sposa
promessa di Don Josè
cantare nel ruolo di Micäela sono i soprano Eleonora Buratto (18, 20,
22, 25, 27) e Erika Grimaldi (19, 21, 24 26, 28). Eleonora Buratto è
nata a Mantova nel 1982. Ha studiato per oltre tre anni sotto la guida del Maestro Pavarotti. Nel 2007 ha vinto la competizione “A. Belli” del
Lirico Sperimentale di Spoleto, dove ha debuttato nel ruolo di Musetta ne
La Bohéme. Presso il Wexford Festival Opera ha debuttato Sofia ne Il Signor
Bruschino e preso parte alla produzione di Old maid and the Thief Ha debuttato in Thais (Crobyle) per l’apertura della stagione del Regio di Torino e
Despina nel Così fan tutte al Palau de les arts di Valencia.Ha debuttato il ruolo di Creusa nel Demofoonte di Jommelli diretta dal M° Muti al Festival di
Pentecoste di Salisburgo, all’Opera Garnier di Parigi e al Ravenna Festival.
Erika Grimaldi è nata ad Asti ne 1980, ha debuttato nel ruolo di Serpina ne
La serva padrona. Nel 2003 è stata Lauretta nel Gianni Schicchi di Puccini ed
è stata nuovamente Serpina ne La serva Padrona. Ha vinto il 1° premio al
Concorso Lirico Internazionale di Orvieto in seguito al quale ha cantato ne
Il matrimonio segreto (Carolina) e debuttato nel Don Giovanni. E’ stata poi
Mimì ne La Bohème al Regio di Torino, Medea di Cherubini ancora al Regio
di Torino ed al Bellini di Catania. Nel 2009 ha interpretato i ruoli di Adina
ne L’elisir d’amore, Pamina ne Il flauto magico di Mozart al Teatro Massimo di
Palermo e Donna Anna in Don Giovanni. Si è esibita nei tre concerti dell’ Arena di Verona ospitati a New York, Abu Dhabi e San Paolo del Brasile, riproposti l’anno seguente a Monaco di Baviera e a Colonia. Nel ruolo di Anaï
in Moïse et Pharaon – è stata diretta da Riccardo Muti. Poi i debutti come
Micäela nella Carmen Elisetta ne Il matrimonio segreto di Cimarosa e Amelia
nel Simon Boccanegra di Verdi con il quale è stata recentemente in Giappone.
Pagina a cura di Tina Alfieri
Carmen
6
Q
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La storia dell’opera
Da racconto a tinte fosche, ai vertici della lirica
uando nel 1872 la direzione dell’Opéra-Comique commissionò a
Bizet di scrivere un’opera su
libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, la scelta cadde
su Carmen, testo a tinte forti
ispirato all’omonima novella
di Prosper Mèrimée, pubblicata il 1 ottobre del 1845 nella
“Revue des Deux Mondes”.
L’argomento, che già come racconto aveva suscitato un enorme scalpore per la crudezza degli eventi narrati, fece sorgere
forti perplessità alla direzione
del teatro parigino, nelle persone dei direttori De Leuven e Du
Locle, abituati ad argomenti
sdolcinati ed a lieto fine. Questo il dialogo tra librettista
Halèvy e il direttore De Leuven, narrato dal primo, in merito alla scelta di un tema così
scabroso per quel teatro francese, in genere abituato a argomenti sdolcinati e a lieto fine.
«Carmen di Mérimée?- disse De
Leuven a Ludovic Halévy, che
con Henri Meilhac firmò il libretto per Bizet - Ma non è stata uccisa dal suo amante? Un sottobosco di ladri, zingari, sigarettaie all’Opéra-Comique? Per carità, nel teatro delle famiglie, delle
feste nuziali! Farmi scappare il
pubblico. No, no impossibile,
niente da fare!».
«Insistetti - racconta Halévy spiegando che la nostra sarebbe stata una Carmen più dolce, più mansueta e che inoltre avremmo introdotto un personaggio nella tradizione dell’Opéra-Comique, una giovane innocente e pura fanciulla».
Alla fine gli artisti ebbero la
meglio e la direzione del teatro parigino accettò, seppur al
grido: «Vi prego, però, non fatela morire!».
Ottenuta la commessa, Bizet
cominciò a lavorare alla composizione, che però interruppe
presto per dedicarsi ad un altro
lavoro più urgente, il Don Rodrigue commissionatogli dall’Opéra. Solo all’inizio del 1874
Parigi, Opéra Comique, Salle Favart
Bizet riprese in mano Carmen e
si ritirò nel sobborgo parigino
di Bourgival, per dedicarsi all’orchestrazione delle milleduecento pagine di partitura
della Carmen che venne poi
venduta all’editore Choudens.
Nell’estate di quello stesso anno la composizione era conclusa ed in dicembre iniziarono le prove all’Opéra Comique. Anche durante le prove
Bizet rimise più volte mano al
suo lavoro, ora per snellire,
ora per venire incontro a questa o quella richiesta dei committenti. Fu solo l’appoggio
dei due cantanti protagonisti,
la Galli-Marié e Paul Lhérie,
che si riuscì a evitare lo stravolgimento della storia originaria in favore di un lieto fine
voluto dagli impresari. Tuttavia De Leuven, uno dei due
direttori del teatro, non convinto si dimise, lasciando all’altro, Du Locle, tutto il rischio dell’eventuale fiasco
dell’opera.
Differenze con la
novella di Mérimée
Le differenze tra l’opera e la
novella di Mérimée sono sostanziali. La tradizione vuole
Prosper Merimée avrebbe appreso il soggetto della sua
opera letteraria da Eugenia de
Montijo, futura moglie di Napoleone III, in un fortunato incontro in carrozza durante il
suo primo viaggio in Spagna.
Lo scrittore parigino incastonò la storia in una cornice
narrativa che gli permise di
distanziarsi dai crudi eventi
narrati, adottando la formula
del “racconto nel racconto”. Il
testo letterario si apre con il
narratore nei panni di un giovane archeologo francese che
per motivi di studio si trova in
Spagna. Durante il soggiorno
in Andalusia incontra Josè e
Carmen già amanti, per poi
rincontrare l’uomo condanna-
Henri Meilhac e Ludovic Halévy
to a morte in attesa del patibolo e da lui ascolterà il racconto
del suo tragico e folle amore
per la indomita gitana. Il testo
termina con una analisi filologica sugli zingari, sui loro usi
e costumi e sulla loro lingua,
analisi che tende ad accentuare il distacco dell’autore dalla
novella. Carmen, nel ricordo
sbiadito del viaggiatore e di
Don José, si trasforma in un
personaggio da cui prendere
le distanze, per la paura di
guardare il lato più oscuro
dell’essere umano.
L’opera di Bizet
Non così nell’opera di Bizet, in
cui la forza drammatica della
zingara si erge con un vigore
che richiama alla mente il
Don Giovanni mozartiano:
un vera e propria femme fatale, insomma, una dark lady
ante litteram!
E l’eroicità negativa di Carmen è accentuata ancor più
dagli altri personaggi che la
circondano, alcuni dei quali
creati interamente dalla penna
dei due geniali librettisti (che
non a caso erano anche quelli
preferiti da Offenbach per le
sue operette). Prima tra tutti,
la figura di Micaëla, introdotta
per accontentare il pubblico di
buoni borghesi dell’OpèraComique. Questa angelica
fanciulla, vestita con il tipico
costume basco, sboccia come
un fiore candido valorizzato
dalle bellissime pagine di musica destinatele da Bizet, è ricavata da un’osservazione di
Don Josè nella novella: «Ero
giovane, allora, pensavo sempre
al mio paese e non potevo credere
che ci fossero delle belle fanciulle
senza veste blu e senza trecce sulle spalle». E nuovo è anche il
personaggio del torero Escamillo, nell’opera principale rivale di Don Josè, che riprende
la figura di poco conto e un
po’ sbiadita di quel Lucas, anch’egli picador, che per Mérimée rappresenta uno dei
tanti “amorazzi” della zingara. Ed infine Don Josè, a cui
nel primo atto per mezzo di
Micaëla arriva il perdono dalla madre, perdono che è inspiegabile per chi non conosce
l’antefatto dell’omicidio e della fuga dalla propria terra,
narrato da Mérimée. Questo
crudele bandito, temuto in
tutta la Spagna, che nella novella si avvelena la vita perché esasperato dall’inafferrabilità della zingara, si riduce a essere nell’opera un
innamorato timido e accecato dalla gelosia. Nonostante i
toni meno crudi del lavoro
musicale rispetto a quello letterario, quando la Carmen
andò in scena, il 3 marzo 1875
la direzione del teatro sconsigliò le famiglie di portare a
teatro mogli e figlie e fino al
momento del debutto tra ca-
merini e palcoscenico dell’Opéra Comique si respirava
un’atmosfera di forte nervosismo. Dopo il primo atto alla
Salle Favart dove ebbe luogo
la prima, ad alcuni giovani
che si congratulavano con lui,
Bizet rispose: «Sono le prime
parole che sento stasera e ho paura che saranno le ultime».
Forse quella sera andò proprio
così, ma nonostante l’insuccesso quell’anno la Carmen
contò ben 45 repliche. Pochi
giorni dopo la “prima”, l’autore pubblicò uno spartito per
canto e pianoforte che modificava la stesura originale, tenendo conto delle modifiche
apportate durante le prove e
di altri ripensamenti.
Per l’autunno Carmen fu inserita nella stagione di Vienna,
dove però per consuetudine
non si davano opere di genere
comique. Per questo mentre
preparava una nuova versione dove i dialoghi parlati fossero sostituiti da recitativi cantati, Bizet morì il 3 giugno.
L’edizione per Vienna – che
divenne poi la veste nella quale l’opera fu conosciuta nel
mondo - fu terminata da dall’amico Ernest Guiraud, il
quale, per rispetto all’autore,
utilizzò i balletti di un’altra
opera di Bizet, Jolie fille de
Perth (1867). La “nuova” Carmen andò in scena all’ Hofoper il 23 ottobre 1975.
Il debutto in Italia avvenne al
Teatro Bellini di Napoli il 15 novembre 1879 nella versione ritmica italiana di Achille de Lauzières. Direttore d’orchestra
Vincenzo Fornari ed interprete
principale Célestine Galli-Marié
prima interprete del ruolo. L’opera la prima sera non fu accolta con grande successo, soprattutto nei primi due atti, ma le sere successive il pubblico si mostrò più caloroso.
A Roma il debutto fu al Teatro
Argentina il 7 gennaio 1884 in
una stagione allestita da
Edoardo Sonzogno. Sul podio
Edoardo Mascheroni e sempre la Galli-Marié nel ruolo di
Carmen, dove se ne diedero
28 rappresentazioni. ‘anno
successivo, il 7 novembre, il
lavoro di Bizet approdò al Costanzi, sempre diretto da Mascheroni, ma con protagonista
Virginia Ferni. Oggi Carmen,
dopo la Bohème è l’opera più
rappresentata nei teatri di tutto il mondo.
Cla. Ca.
Il
Carmen
Giornale dei Grandi Eventi
N
7
Carmen, opéra-comique “anomala”
el 1741 Charles Simon Favart mise in scena
la Chercheuse d’esprit, un’opéra-comique
che trattava in maniera ironica e licenziosa
il tema di Dafni e Cloe. Favart era figlio di un pasticciere che amava mettere in musica le sue ricette ricorrendo alle più popolari arie operistiche del
tempo.
L’opéra-comique era allora un genere popolare basato su musica preesistente alla quale si adattava
un testo inizialmente di carattere comico. La struttura prevedeva un’alternanza fra musica e prosa,
analogamente a quanto accadeva, in Germania, nel
Singspiel. Nella seconda metà del Settecento, sotto
la spinta della querelles de buffons che aveva contrapposto i sostenitori dell’opera comica italiana a
quelli dell’opera seria francese, l’opéra-comique
acquisì una dignità artistica, trasformandosi in un
genere musicale autonomo, interamente creato.
Fra i primi autori, il filosofo-musicista Rousseau,
che nella citata querelle (scoppiata dopo la rappresentazione a Parigi nel 1752 della Serva padrona di
Pergolesi) si era schierato dalla parte italiana e che
compose appunto Le devin du village.
Il teatro francese nel corso dei secoli ha prodotto
numerose forme musicali. L’opéra-comique è certamente fra le più longeve e soggette a trasformazioni.
Se infatti all’inizio era di sapore comico, nel tardo
Settecento fece propri gli ideali della rivoluzione
francese trasformandosi (secondo il genere letterario della piece au sauvatage) in un’opera drammatica con finale lieto.
Nel 1825 François-Adrien Boïeldieu rappresentò
La dame blanche destinata a diventare un modello
per l’opéra-comique ottocentesca: musica di facile
dieu e da Auber agli inizi del secolo fu contraddetto da Bizet quando mise mano a Carmen.
Sensualità e passione
non piacquero al pubblico
percezione con abbondanza di marcette, danze,
canzonette, una trama leggera con lieto fine.
L’opéra-comique rappresentò così nell’Ottocento il versante “frivolo”, anche se non comico o
parodistico (ruolo ricoperto poi dall’operetta
d’Offenbach) in alternativa alle atmosfere serie
e tragiche della tragedie-lyrique o del grand-opéra
o dell’opéra-lyrique.
Lo spirito dell’opéra-comique anticipato da Boïel-
Nella sua versione originale l’opera ispirata a Mérimée era strutturata secondo l’alternanza musica e
prosa; solo successivamente – per la prima rappresentazione a Vienna del 23 ottobre 1875 - i dialoghi
parlati furono sostituiti da recitativi, ma oggi si possono vedere in scena entrambe le versioni.
La struttura, dunque, era quella dell’opéra-comique. L’atmosfera era tuttavia assai differente. E’ vero che in Carmen ci sono deliziosi momenti di leggerezza e di danza. E’ vero che Bizet usa ironia e
freschezza. E’ però anche vero che Carmen è fra le
donne più sensuali del teatro musicale, il suo carattere passionale e libero (una grande femminista) irretisce il debole Don Josè che per lei diserta e diventa fuorilegge. E’, infine, un’opera tragica nella
quale la protagonista muore pugnalata in scena,
una morte annunciata e affrontata dalla ragazza
con un coraggioso atto di sfida nei confronti del
proprio carnefice.
Il Teatro dell’Opéra-comique a Parigi era frequentato da famiglie borghesi in cerca di un divertimento sano, interessate ad un teatro di evasione. Il 3
marzo 1875 Carmen ebbe un effetto scioccante sulla
platea che non si aspettava colori così accesi, sensualità e illegalità, pugnalate e morti.
Per questo il pubblico fischiò l’opera, procurando al
povero Bizet l’ultima cocente delusione di una vita
artistica vissuta troppo rapidamente e spenta esattamente tre mesi dopo quel fiasco, il 6 giugno 1875.
Roberto Iovino
Danze e ritmi spagnoli in Carmen
La Habanera e le altre
«L
es danses espagnoles
n'existent qu'à Paris»,
questo il commento di
un deluso Gautier al rientro, in
Spagna, da un baile nacional che
nella fantasia del giovane poeta e
di un suo amico si era tinto dei
rutilanti colori della Cachucha, del
Bolero e di mille altre indiavolate
danze sensuali, dove la bellezza
della donna si ammanta di seducente carnalità e la vita si mescola fatalmente alla morte. Ma di
funebre si stagliarono agli occhi
dei due giovani solo due vecchi
danzatori con tanto di nacchere
«qui ne se consolaient pas entre
eux». L'uomo, nella feroce penna
del poeta, sembrava fremere
d'orrore alla sola idea che la sua
compagna
gli si potesse
avvicinare
con qualche
figurazione
di danza, e
gli occhi perennemente
bassi della
coppia sembravano celare ai due esecutori la loro ormai decrepita realtà. Un boléromacabre che si poneva a incommensurabile distanza dalle
trionfali esibizioni di Fanny Elssler, la stella austriaca tutta fuoco e dalla sua celebre Cachucha.
Dalla "danzatrice pagana", contrapposta all'eterea Maria Taglioni dallo stesso Gautier, egli
si veniva convincendo essersi
generata la vera Cachucha.
Ecco, dunque, toccato un punto
nodale: l'autenticità della danza
spagnola nel teatro e nell'opera
dell'Ottocento. A lungo si è discusso della trasposizione di forme della tradizione popolare,
della loro stilizzazione e di quan-
to la mescolanza dei generi sia alla base della couleur locale così ricercata non solo dal teatro del
XIX secolo.
L’ Habanera
E' indubbio che proprio il movimento delle braccia e l'atteggiarsi
del corpo contribuiscano a definire il temperamento di Carmen,
la cui aria di sortita coincide con
l'esotica Habanera. Tuttavia l'esecuzione ben poco richiama la forma originaria della Habanera,
danza nata a Cuba tra i ñañigos
(la gente di colore dei quartieri
bassi dell’Avana) dalla per una o
più coppie probabile fusione di
danze di origine africana con le
cadenze dei colonizzatori spagnoli. Un ritmo binario lento, che
consta di una breve introduzione, di due parti di 8 o 16 battute e
di un finale. Non ha passi obbligati, ma caratteristico è il Contoneo, la lenta e ritmica oscillazione
dei fianchi che richiama tutta la
sensualità delle popolazioni tropicali. Così se la musica rimanda
al El arreglito di Sebastián Yra-
dier, la Habanera di Carmen richiama la Escuela bolera che grande fortuna conobbe proprio nella
Francia dell'Ottocento e sulla quale si innestarono elementi della
Danse d'école. E Carmen, gitana di
razza e trasformatrice di quel tabacco che proprio da Cuba proveniva, si lancia in questa danza sensuale per ammaliare i presenti.
La Seguidilla
Analoga stilizzazione del folklore vale anche per la Seguidilla, che
sottolinea l'ambientazione nell'aria "Près de la porte de Séville" e per
il Polo, danza andalusa di origine
gitana che Bizet riprese da Cuerpo
Bueno di Manuel Garcia per il
preludio del quarto atto.
D’altronde, una lunga tradizione
aveva accompagnato la fortuna
della danza "alla spagnola", dai
canari e dalle cascarde dei trattati
di danza dei maestri italiani al
tempo della dominazione spagnola, alle entrate pittoresche dei
vari paesi nei balletti di corte, di
cui è esempio Le Bourgeois Gentilhomme di Lully e Molière
(1670). A quella stessa linea si ricollegano le danze nazionali delle ambascerie del Lago dei Cigni di
Petipa, Ivanov e Cajkovskij
(1895) e il graduale formarsi dello stereotipo che portò ad identificare l'Italia con la Tarantella, la
Scozia con la Giga, la Spagna con
il Bolero. Frutto dell'incontro della cultura francese con quella iberica, Carmen si presta a molteplici
letture anche nel balletto. Esse
possono oscillare dall'accentuazione del carattere francese nell'androgina protagonista dell'omonimo balletto di Roland Petit
(1949) ove Zizi Jeanmaire appare
con i capelli à la garçonne e l'Habanera è chiamata ad enfatizzare l'assolo di Don José, al colore tutto
spagnolo della Carmen di Antonio
Gades e Carlos Saura (1983) che
innesta brani di Flamenco sulla
partitura di Bizet e ove aleggia lo
spirito del Duende. Qui una selvaggia, animalesca Carmen, secondo Henri-François Rey, incarna il sentire di uomini che del sesso avvertono il lato oscuro e misterioso.
Claudia Celi
8
C
Carmen
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Il lavoro della sigaraia Carmen nella manifattura del tabacco
L’arte antica delle Torcedoras
uba è la patria del sigaro, questo non è
certo un segreto per
nessuno. Proprio a Cuba, sono nati infatti, ormai due secoli fa, quelli che sarebbero
poi passati alla storia come i
migliori sigari del mondo e
non a caso, proprio della capitale cubana, hanno preso il
loro nome: Avana, o più correttamente, Habanos.
Storicamente il percorso del
tabacco cubano verso il Vecchio Continente passava obbligatoriamente attraverso
la Spagna che, sino a quando
mantenne Cuba tra i propri
possedimenti
coloniali
(1895), risultava a tutti gli effetti monopolista di questo
prodotto. Difatti molti dei
racconti sul sigaro Avana
transitano per il Paese iberico, in primis l’indimenticabile
Carmen, l’opera di Bizet nata
appunto attorno alla metà
dell’800 e che vede come
protagonista una sigaraia,
arrotolatrice di sigari “Avana”. Perché Avana tra virgolette? Semplicemente perché
era la consuetudine di importare tabacco in foglie dall’isola caraibica, per poi arrotolarlo nelle Reali Manifatture di Siviglia, dove i sigari
erano chiamati “puros”.
All’epoca della novella di
Mérimée, ovvero alla metà
del XIX secolo, da alcuni decenni molti imprenditori
spagnoli (catalani e asturiani), tedeschi ed inglesi avevano impiantato produzioni
di alto livello nelle loro manifatture dell’Avana, intuendo con largo anticipo l’importanza commerciale del
concetto di Denominazione
d’Origine. Già agli albori del
secolo XX, Cuba ratificò un
accordo commerciale con la
Francia nel quale venivano
riconosciute e garantite le rispettive Denominazioni (sigari Habanos da una parte,
Champagne e Cognac dall’altra): un’interessante e sorprendente anticipazione del
lavoro delle DOC, DOP e
IGT che sta caratterizzando
questi ultimi anni l’Europa.
Prodotto naturale
Ma, tornando all’aspetto che
più cattura il nostro immaginario collettivo, vale a dire il
sigaro come oggetto di pia-
cere e di grande artigianato
nonché come parte integrante della cultura caraibica (ed
in particolar modo cubana),
vale la pena accennare brevemente al lungo percorso
che porta a generare quello
che, a tutti gli effetti, è oggi
uno dei più importanti prodotti presenti sui mercati di
tutto il mondo e, in particolar modo, uno dei pochissimi prodotti che possa a
tutt’oggi ancora fregiarsi
del titolo (purtroppo oggi
molto abusato) di prodotto
“naturale”.
150 lavorazioni
Le fasi della lavorazione del
magico cilindretto tabaccoso
sono innumerevoli (addirittura si parla di oltre 150), a
partire dalla preparazione
dei campi, rigorosamente a
mano, con il solo ausilio degli animali da soma e utilizzando concimi organici, sino
alla raccolta in più “passaggi” sulla pianta, foglia per
foglia, per raccoglierle alla
giusta maturazione, alle varie fasi di essiccamento, fermentazione, selezione, ecc.
Le foglie, dopo un periodo
di invecchiamento che va
dai sei mesi ai due anni (in
dipendenza della loro classificazione e delle rispettive
caratteristiche organolettiche), finalmente giungono
alla manifattura, dove si sublima il processo di grande
capacità manuale che caratterizza l’intero ciclo produttivo. E qui, chiaramente, dopo le fasi di preparazione
delle foglie e di nuova selezione, il ruolo di regine lo ri-
vestono indiscutibilmente le
incredibili torcedoras, le sigaraie, che, suddivise in ranghi
negli storici banconi delle
fabbriche, danno letteralmente forma ai sogni dei
grandi appassionati di tutto
il mondo. La magia della
creazione di un Habano partendo semplicemente da un
mazzetto di foglie di tabacco, ha chiaramente dell’incredibile. Solo chi ha avuto il
privilegio di poter accedere
L
alle prestigiose manifatture
cubane
(Partagas, H.Upmann, Romeo y Julieta, El Laguito, La
Corona, ecc) può capire la magia dei
profumi, del vociare,
dei gesti… insomma
di tutto ciò che sta
attorno a questo magico e delicato momento della creazione del sigaro cubano, dove l’arte del
torcedor è fondamentale per un prodotto
perfetto.
Le donne a Cuba
non sono sempre
state gradite in questi stabilimenti. La prima fabbrica tutta al femminile (oggi… mista) fu voluta da Fidel Castro
negli anni Settanta (El Laguito, dove nascono i mitici
Cohiba), a dimostrazione del
ruolo fondamentale rivestito
dalla mano d’opera femminile all’interno del mondo
“tabacalero” dell’isola. La
donna è comunque oggi
sempre più importante nel
mondo del sigaro a Cuba.
Non a caso le due principali
fabbriche dell’Avana sono
dirette da donne, Emila Tamayo a El Laguito, Hilda
Barò a Partagas, e non a caso
alcune delle fasi lavorative
continuano ad essere a loro
esclusivo appannaggio; ad
esempio la scostolatura delle
foglie e la prima selezione
“per classi”, in cui si distinguono per una maggior affidabilità e precisione. Proprio
da quest’ultimo passaggio,
fase in cui le donne tengono
appoggiate alle cosce le foglie intere di tabacco, è nata
la leggenda – da sfatare una
volta per tutte – che i sigari
cubani vengano arrotolati
“direttamente sulle cosce
delle sigaraie”. Niente di più
falso, come si può d’altra
parte anche facilmente intendere pensando più attentamente alla cosa, ma nulla
che infici il fascino storico
delle sigaraie cubane e di
quel prezioso oggetto di puro piacere che nasce dalla loro sapiente lavorazione.
Victor Aguilera
Esperto internazionale di sigari
Così nasce un sigaro
e fasi di arrotolamento del sigaro cubano sono innumerevoli anche se, per la
verità, ciascun torcedor e ciascuna torcedora applicano in maniera leggermente differente tecniche apprese nelle varie manifatture. I maestri, infatti, sono fondamentali nell’apprendere quest’arte e
ciascuna fabbrica ha, per
lo più, una sua vera e propria scuola, con metodi
che non sempre sono i
medesimi. In generale,
possiamo dire che la base
di partenza è il banco del
torcedor, con la dotazione
della tavoletta, della chaveta (una specie di cutter gigante con il quale
si tagliano le foglie), di un barattolino di colla
vegetale d’amido di mais, di una ghigliottina
per portare alle giuste dimensioni il sigaro
già arrotolato, nonché del famoso morde, vale
a dire lo stampo delle varie “vitolas”, ossia i
tipi di sigaro, che viene introdotto nella pressa per mettere in forma il sigaro per una ventina di minuti prima di essere ricoperto definitivamente con la foglia di “capa” che ne costituirà il vero abito esterno.
Chiaramente, non possiamo dimenticare la
materia prima! Quindi un mazzo di foglie di
seco, uno di volado ed uno di ligero (le tre componenti del ripieno di un Habano), oltre a foglie di capote (la sottofascia) e di capa (la foglia
esterna). A questo punto di stende generalmente una mezza foglia di capote e con le
mani si inizia a realizzare la combinazione
delle foglie che costituiranno il ripieno, ripiegandole su se stesse a mo’ di fisarmonica. Si
iniziano a stendere sul capote e si inizia ad arrotolare dal basso verso
l’alto sino a che non si è
ottenuto il primo bitorzoluto cilindretto, che verrà
poi tagliato a seconda delle dimensioni del sigaro
da realizzare e sarà messo
in pressa nel morde per alcune decine di minuti.
Operazioni estremamente
delicate, nelle quali l’arte e l’esperienza delle
torcedoras sono importantissime per ottenere
un prodotto perfetto, che abbia la giusta ed
omogenea composizione, e quindi consistenza, così da permettere una combustione ideale.
Una volta estratto dalle tavolette, verrà passata la capa a mano e applicata la perilla (la testa
arrotondata del sigaro) utilizzando una punta
di colla di amido. Il sigaro è pronto, ma sarà
fumabile solamente a partire dal quinto o sesto giorno dalla manifattura, in quanto dovrà
cedere molta della propria umidità residua.
V.A.
Si ringrazia la Casa del Habano di Fausto Fincato
per la gentile collaborazione.
Il
Carmen
Giornale dei Grandi Eventi
«J
Strumento mediterraneo, simbolo di Spagna
9
Le nacchere: il ritmo sensuale della Carmen
e vais danser en
votre honneur, et
vous verrez, seigneur, comment je fais
moi-même accompagner
ma danse …» e la bella
Carmen incomincia a
muovere i suoi passi
sensuali di fronte allo
sguardo rapito di Don
José. Siamo in pieno secondo atto dell’opera di
Bizet, nella locanda di
Lilias Pasta, covo di contrabbandieri, soldati e
gitani. La situazione è
caliente: il compositore
francese sceglie di rispettare l’accento impudico, quasi erotico che
Prosper Mérimée ha
pensato per questa scena, quando nella versione originale della sua
novella vi fa consumare
su un letto l’amore tra
Carmen e Don José. L’atmosfera non è quella di
una semplice osteria ma
di una casa gitana dove
l’amore si compra e si
vende. E nella partitura
dell’opera, Bizet ci tiene
a sottolineare che nel
momento in cui Carmen
si appresta cantare, Don
José la devore des yeux, la
“divora con gli occhi”.
Appena intonato il celebre gorgheggio cadenzato (la, la, la…) il ritmo accelera, e con esso la voce
della zingara, accompagnata dal movimento
sensuale del corpo, ma
soprattutto dal battere
ritmato degli strumenti
che cela tra le dita e che
rendono il momento intenso e passionale.
Sono le nacchere, con il
loro suono cavo e cadenzato, a dare il tempo alla
danza di Carmen. Un
clac-clac che cala immediatamente il pubblico
nel cuore della Spagna
meridionale, in quell’Andalusia dai colori
caldi che fa da scenario
all’opera. Le castañuelas,
le nacchere, sono un elemento tipico della tradizione musicale del sud
della Spagna, dove accompagnano il Flamenco e altri balli andalusi,
aragonesi, valenziani.
C’è un’unica altra regione nel Mediterraneo dove ad oggi le nacchere
sono diffuse come in
Spagna, ed è l’Italia centro-meridionale, nella
quale vengono utilizzate
nelle tarantelle e prendono anche il nome di castagnette
resistente, ma per ottenere il caratteristico timbro
vuoto sono adatti anche
l’avorio e la ceramica.
Esiste una versione del
libretto di Halévy e
Meilhac, l’originale messa in atto all’Opéra-Comique e particolarmente
fedele al testo di Mérimée, in cui la protagonista non usa le tipiche
nacchere di legno. Poco
nacchere che questa Carmen particolarmente intraprendente farà vibrare
per la sua danza passionale.
prima di incominciare a
cantare Carmen si guarda intorno in cerca delle
sue nacchere, e non trovandole si rivolge scherzosamente a Don José
chiedendogli se è stato
lui a rubarle «Où sont mes
castagnettes... qu'est-ce que
j'ai fait de mes castagnettes? C'est toi qui me les a
prises, mes castagnettes? ».
Don José, divertito, risponde di no, e a quel
punto la gitana solleva
con fare deciso un piatto
di ceramica e lo fracassa
a terra esclamando: «ah!
bah! et voilà des castagnettes! ». Poi, raccolti due
frammenti di coccio, introduce il suo ballo: « Je
vais danser en votre honneur, et vous verrez, seigneur, comment je fais claquer ces morceaux de faïence! (…)». I “morceaux de
faïence”, vale a dire i pezzi di ceramica, saranno le
nuove, originalissime
Erodoto fa menzione di
donne egiziane suonatrici di tamburelli e di
κροτλα, crotali, il nome
greco delle nacchere.
Agli antichi Greci le nacchere arriveranno già
nella forma a conchiglia
tramite la mediazione
dei Fenici (sembra che a
questo popolo di grandi
navigatori si debba anche
la diffusione della tradizione in Andalusia). Nel
mondo classico greco-romano, il suono dei crotali
diventa caratteristico della danza dionisiaca e orgiastica, eseguita da etere-ballerine dette crotalistrie. Marziale ricorda il
fascino di queste danzatrici, che provenivano
dall’africa settentrionale,
dal vicino oriente e, per
l’appunto, dall’Iberia.
Nel medioevo l’uso delle
nacchere si diffonde tramite i menestrelli, fino a
diventare nel rinascimen-
Un ritmo nei secoli
Di strumenti simili, costituiti da due oggetti a percussione reciproca, si trovano tracce già nell’Egitto del III millennio a.C.
to molto comune nelle feste (ne è attestato l’uso in
occasione del matrimonio di Cosimo II de’Medici, nel 1608). Negli ultimi tre secoli, accanto all’utilizzo nelle danze popolari, le nacchere entrano a far parte del contesto musicale “ufficiale” e
vengono elevate al rango
di strumento d’orchestra.
Georges Bizet non è il so-
Le Nacchere
Composte di due elementi uguali, incavati a
forma di conchiglia e legati tra loro all’estremità
per mezzo di un cordoncino, le nacchere fanno
parte della famiglia musicale degli idiofoni, cioè
degli strumenti in cui il
suono è prodotto dalla
vibrazione del corpo
stesso senza l’utilizzo di
corde o membrane. Nelle danze spagnole vengono il più delle volte
adoperate a coppie, una
per mano. La coppia tenuta nella mano destra,
più piccola di dimensioni, serve per eseguire i
vari disegni ritmici della
musica e viene designata in spagnolo con la parola hembra (femmina);
quella tenuta nella mano
sinistra, necessaria a segnare il ritmo fondamentale, viene detta macho (maschio).
Per
la costruzione
di questo
strumento
viene solitamente usato
un legno molto
lo a farle comparire in
un’opera: accanto a lui
Verdi nel Trovatore, Wagner nel Tannhauser,
Strauss nel Salome. Nonostante il passare dei secoli, il meccanismo che fa
suonare le nacchere è rimasto immutato: si fissano gli strumenti ai pollici
con il cordoncino e si
provoca la reciproca percussione dei due elementi con il rapido movimento delle altre dita. Un’operazione semplice? Bizet non doveva essere di
questo parere.
Scrive infatti in un’annotazione della partitura:
«La parte delle nacchere appartiene al ruolo di Carmen,
ma se l'attrice incaricata
non sa suonare questo strumento, dovrà mimarne i movimenti, e le nacchere saranno suonate da un percussionista dell'orchestra».
Jacopo Matano
Carmen
10
D
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La gitana andalusa in una serie di incisioni del pittore della sua terra
Picasso, grande illustratore per Carmen
a quando Carmen
è venuta al mondo
non ha mai finito
di dare scandalo: la sua
figura, come per un oscuro
sortilegio di una zingara,
si è magicamente distaccata dalla penna che la creò
più di due secoli fa trasformandola in un disegno
vivente dalle ambigue e
seducenti fattezze. Questo
processo di creazione da
inanimato ad animato ha
un ben valido erede nel ritratto di Dorian Gray
(1890) del geniale Oscar
Wilde, in cui il motivo del
quadro che si anima per
mostrare l’altro sé, avvolto
com’è da una mollezza
tutta decadente, non riesce
ad acquistare quella carica
vitale che invece in Carmen risulta incontenibile.
La personalità spietata e
amorale di questa gitana
ha sedotto, sin dal suo apparire, milioni di uomini e
donne a tal punto che lo
Pablo Picasso - Danza nell’arena
stesso Nietzsche affermò,
dopo aver riascoltato ancora una volta l’opera di
Bizet, che la gitana: «Si
avvicina leggera, morbida, con cortesia…La sua
serenità è africana…la
sua felicità è breve, improvvisa, senza remissione…L’amore come fatum, come fatalità, cinico
innocente, crudele». Carmen, insomma, come paradigma della libertà senza
regole, della donna per eccellenza che porta con se
le voluttà del corpo dentro
ad un’atmosfera esotica di
feste e corride, in un continuo e sensuale contrasto
tra i piaceri della vita e le
seduzioni della morte.
L’immagine di questa
doppia Carmen bella, seducente e allegra fuori, eppure portatrice aberrazione e rovina non può
non richiamare alla mente
la pittura visionaria di
Goya, in cui bello e brutto
Pablo Picasso - Torero Ecsamillo
si mescolano generando
una galleria di mostruose
facce deformi che si alternano ai maliziosi e seducenti sguardi delle belle
Majas.
Soggetto prediletto
Molti furono gli artisti
che, sedotti dalla fisicità e
dalla carica vitale del personaggio, vollero indagare
nel cuore della più femminea tra le donne.
Il più illustre fu senza dubbio, Pablo Picasso (18811973) che nel 1949 produsse una serie di incisioni
raffiguranti il racconto di
Mérimée.
I personaggi disegnati,
Carmen e il torero Escamillo, hanno curiosamente i nomi dei protagonisti dell’opera di Bizet e
non quelli della novella,
come a testimoniare la
completa osmosi che le
due opere hanno ormai
nell’immaginario collettivo. Escamillo indossa il
tipico abbigliamento dei
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LO POTRETE COSÌ LEGGERE PRIMA DI VENIRE IN TEATRO
Pablo Picasso - Carmen
toreri ed è raffigurato in mezzo alla folla
nell’atto di colpire il toro.
Carmen, invece, viene
rappresentata prima di
profilo e poi di tre quarti,
mai di fronte, per evidenziarne l’inafferrabilità e
l’ambiguità di pensiero. Il
pittore volle concentrare
l’attenzione sull’occhio
nero della zingara, unico
elemento
che
lascia
trasparire un po’ della sua
complessa psicologia. Anche da morta Carmen continua a guardare con
sguardo irriverente il mondo che, imbrigliato nelle
proprie regole, ha paura di
tutto ciò che gli appare
“diverso”. E così anche
nella novella i lettori,
quando Don Josè uccide
brutalmente la donna
liberandosi di quello scomodo alter ego, provano
una sensazione di disagio
nel continuare sentirsi osservati, anche se ancora per
un solo attimo, da quell’occhio che tarderà a chiudersi: «Cadde al secondo
colpo, senza un grido. Mi
pare ancora di vedere il
suo grande occhio nero
guardarmi fisso; poi si appannò e si chiuse».
Cl.C.
Curiosità operistiche
Quando Carmen
fu strangolata
D
el fatto, la cui data è imprecisata, ne fu
testimone il direttore d’orchestra Ian
Reid. Avvenne a Heidelberg, città della
Germania sud-occidentale. Don Josè entrando
in scena nel 4° atto dimenticò il coltello in camerino e nella scena finale, dovendo comunque
risolvere tragicamente la questione, decise di
strangolare Carmen. La povera cantante, che
non s’aspettava d’essere afferrata al collo, si ribellò con tutte le sue forze, offrendo al pubblico
una recitazione davvero realistica e formando
forse al contempo nei neofiti d’opera l’idea che
fosse quella la canonica fine della la seduttiva
sigaraia.
Il
Carmen
Giornale dei Grandi Eventi
11
La passione di Bizet per l’opera nelle sue lettere
A
Nietzsche scopre Carmen
Genova, dal 1880
al 1884 il Teatro
Carlo Felice restò
chiuso per una vertenza
che contrappose i palchettisti al Comune. Della crisi del massimo teatro cittadino approfittarono naturalmente gli altri palcoscenici privati, ovvero il
Politeama Genovese e il
Paganini.
Il 26 novembre 1881 il Paganini mise, dunque, in
scena in prima cittadina
Carmen di Bizet. Fra gli
spettatori, quella sera, c’era il filosofo e scrittore tedesco Friedrich Nietzsche.
Nietzsche era un frequentatore di Genova e della
Riviera. Amava il mare, il
profumo delle colline, trovava una vivificante tran-
quillità seduto su uno scoglio in solitudine; ma gli
piaceva frequentare anche
i teatri, ascoltare musica,
senza alcun preconcetto
d’autore o di stile.
Acceso wagneriano
Com’è noto Nietzsche era
stato un acceso wagneriano, totalmente conquistato dalla personalità artistica e umana del grande Richard. Ma, deluso dall’atteggiamento morale ed
etico, riflessivo e antistintivo del teatro di Wagner,
se n’era poi gradualmente
allontanato per trasformarsi in un critico estremamente severo e implacabile del suo stile e della
sua poetica.
A casa del librettista Halévy
U
Duello al pianoforte
tra Bizet e Liszt
na sera dell'anno 1861, lo scrittore francese Ludovic
Halévy, autore con Meilhac del libretto di Carmen,
riunì nella sua casa parigina, alcuni intimi amici e
colleghi tra i quali figuravano il grande pianista e compositore ungherese Franz Liszt e il giovane Georges Bizet, che
era all'epoca appena tornato dall'Italia.
Dopo cena, gli invitati passarono nello studio per gustare
caffè e sigari. Liszt si mise al pianoforte eseguendo per gli
amici una delle sue recenti composizioni, come al solito irta di difficoltà e di passaggi arditissimi. In un crescendo
vertiginoso Liszt fa esplodere gli accordi finali della sonata
in una serie di pirotecnici, virtuosistici passaggi, scatenando l'applauso entusiastico dei presenti che si congratularono per la maestria con la quale aveva eseguito il difficile
brano senza la minima sbavatura. «S i- rispose Liszt- questo pezzo è difficile, orribilmente difficile e io non conosco in Europa che due pianisti capaci di eseguirlo: Hans von Bılov ed io».
Halévy, allora, si rivolse al giovane Bizet, del quale aveva
sentito lodare la prodigiosa memoria, chiedendogli se
avesse notato uno dei passaggi che lo avevano colpito, accennandone nel frattempo al pianoforte il tema con qualche accordo. Bizet accolse l'invito e sedutosi alla tastiera,
suonò completamente a memoria il frammento. Liszt, stupefatto e affascinato dalla strabiliante facoltà memonica del
giovane, lo interruppe e gli pose sotto gli occhi il manoscritto della sua composizione, invitandolo ad eseguire l'intero brano. In mezzo allo sbalordimento generale, Bizet
suonò senza errori tutto il pezzo, con una verve e un'audacia paragonabili a quelle dell'autore, se non superiori. I presenti scoppiano in nuovi, più entusiastici applausi.
Liszt, calmata l'emozione generale, si avvicinò a Bizet ed afferrandogli la mano gli disse: «Mio giovane amico, io credevo
non vi fossero che due soli capaci di lottare vittoriosamente contro le difficoltà di cui mi prese vaghezza rendere irto questo pezzo; mi ero ingannato, siamo invece in tre e, debbo aggiungere, per
voler esser giusto, che il più giovane dei tre è forse il più audace e
il più brillante».
A. C.
L’incontro con l’opera di
Bizet, per la prima volta
ascoltata dal filosofo proprio a Genova, si rivelò
fondamentale.
In Carmen Nietzsche individuò il prototipo dell’opera mediterranea, antiwagneriana.
E’ stato, del resto, sostenuto da molti, che fra i
meriti indiscutibili di Bizet è da annoverarsi proprio la capacità di offrire
un prodotto assolutamente autonomo e originale,
distaccato non solo da
Wagner, ma anche da
Verdi, ovvero dai due
punti di riferimento fondamentali del teatro dell’epoca.
Del suo ascolto di Carmen
Nietzsche parlò in varie
lettere inviate all’amico
compositore Peter Gast,
pseudonimo di Heinrich
Köselitz: «Urrà! Amico! –
si legge in una lettera del
28 novembre 1881 – Ancora una volta ho conosciuto
qualcosa di bello: un’opera di
Georges Bizet (chi è mai costui?): Carmen. Si fa ascoltare come una novella di Merimée, spiritosa, vigorosa,
qua e là commovente. Un vero talento francese dell’opera
comica, per nulla disorientato da Wagner: un vero scolaro di Hector Berlioz; cosa che
io avevo ritenuto impossibile! A quel che pare i francesi
in quanto a musica drammatica sono su una migliore
strada dei tedeschi; essi hanno su questi la supremazia in
un punto essenziale: in loro
la passione non è tirata per i
capelli (come in Wagner)…».
E qualche giorno dopo,
tornò sull’argomento: «Il
fatto che Bizet sia morto è
per me un grave colpo. Ho
sentito la Carmen una seconda volta e di nuovo ne ho
riportato l’impressione di
una novella di prim’ordine,
come di un Merimée. Un’anima così passionale eppure
così piena di grazia! Per me
quest’opera vale un viaggio
in Spagna, un’opera altamente meridionale, non rida
amico mio, non è facile che io
col mio gusto mi sbagli così
radicalmente».
Infine, l’8 dicembre ag-
giungeva:
«Molto in
ritardo la
mia memoria (che alcune volte è
ostruita)
scopre che
esiste veramente di
Merimée
una novella
intitolata
Carmen e
che lo schema e i concetti e anche la coerenza tragica di quest’artista sopravvivono nell’opera…».
Nietzsche individuò dunque in Carmen e nel suo
colorismo passionale ma
anche ricco di sfumature e
di poesia, l’alternativa a
Wagner. Pesò certamente
nel suo giudizio l’astio ormai nutrito per l’amico di
un tempo. Basta rileggere
cosa scrisse a Overbeck il
22 febbraio 1883, a pochi
giorni dalla morte di Wagner: «Wagner era di gran
lunga la persona più ricca
che io abbia mai conosciuto e
in tal senso da sei anni ho
molto sofferto di questa man-
F
canza. Ma fra noi due c’era
qualcosa, come un’offesa
mortale; e sarebbero potute
succedere cose terribili se
fosse vissuto più a lungo…».
Un amore per la Carmen
quello di Nietzsche che
durò tutta la vita. Nel
maggio 1888 da Torino
scriveva: «Ho udito ieri –
lo credereste ? – per la ventesima volta il capolavoro di
Bizet. Ancora una volta persistetti in un soave raccoglimento, ancora una volta
non fuggii Questa vittoria
sulla mia impazienza mi
sorprende. Come rende perfetti una tale opera!».
Roberto Iovino
Un insolito Nietzsche
Filosofo e compositore
ilosofo e pensatore di
forte personalità, travagliato interiormente, anima inquieta, condannato alla pazzia,
Friedrich Nietzsche, come è noto, ha costituito
un motivo di
ispirazione per
molti compositori. Si pensi, per rimanere nell’ambito della cultura
tedesca, a Richard Strauss o a
Gustav Mahler
od a Arnold
Schöenberg.
Meno conosciuta è invece
l’attività creativa in campo
musicale dello stesso
Nietzsche. Da bambino
aveva studiato il pianoforte
e, pur mancandogli un organico studio dell’armonia
e della composizione, ci ci-
mentò con forme complesse e articolate, guidato, sulla scia dei propri credi filosofici, dall’istinto. Fra le
sue composizioni si ricordano il Weihnachtsoratorioum, il poema sinfonico
Ermanarich, Herbstlich sonnige Tahe per quartetto vocale e pianoforte e qualche
brano per pianoforte a
quattro mani.
R. I.
Carmen
12
I
I
Il
Giornale dei Grandi Eventi
I librettisti
Ludovic Halévy
ndissolubilmente legato al librettista Meilhac e al compositore Offenbach, Ludovic Halévy, nato a
Parigi il 1 gennaio 1834, rappresenta
uno scrittore tra i più originali e innovativi nel genere dell’operetta.
Grazie al padre Léon (1802-1883),
autore noto al pubblico parigino e allo zio Fromental, l’opera costituiva
già nell’infanzia di Ludovic un elemento centrale. Incaricato, poi, presso il Ministero degli
Interni e poi nel Ministero per l’Algeria
svolse i suoi compiti
con misura e ponderatezza, riservando
uno speciale riguardo per il valore della
famiglia, quasi in
contrasto con le abitudini dei personaggi
che scaturivano dalla
sua fantasia. Con
Meilhac fornì per anni commedie e trame
ai teatri e ai compositori francesi, in particolare a Offenbach, componendo per quest’ultimo
i libretti di operette come La belle
Hélène (1864), Barbe-Bleu (1866), La
Périchole (1868) e Les Brigands (1869),
oltre a Orphée aux Enfers (1858), scritta in collaborazione con Crémieux, e
Bataclan. Con garbo, brio e sottili tocchi di audace ironia la società parigina del Secondo Impero si svelava di
volta in volta nella sua frivolezza (La
Vie parisienne, 1866, scritta con
Meilhac) o nella misera condizione
della sua aristocrazia (Le Chateau à
Toto 1868), in opere in cui la satira è
sempre in gioco con indulgenza e
bontà.
Nel 1869 venne meno la collaborazione con Offenbach. Nei lavori che
seguirono, Halévy e Meilhac abbandonarono l’intento satirico, pur continuando a ritrarre
con sensualità e audacia i costumi dell’epoca. Capolavoro di
questo periodo fu
Frou-Frou (1869), un
ragionamento sulla
futilità della vita e
sulle grandi virtù
femminili.
Halévy però pensava
ad un nuovo teatro,
sentiva la necessità di
affrontare i grandi temi sociali, a differenza
dell’amico
Meilhac forte di altri sentimenti sulla
vita e sul teatro; conclusa la loro collaborazione Halévy diede alle stampe Abbé Constantin (1882). Alla fine
degli anni Settanta, il suo salotto parigino era frequentato da tutti gli
esponenti del mondo artistico e letterario e nel 1884 divenne membro
dell’Accademia di Francia. Morì a
Parigi l’8 maggio del 1908.
Henri Meilhac
l librettista francese Henri
Meilhac, nato a Parigi il 21 gennaio 1831, prima del consenso ottenuto con Garde, toi, je me garde,
commedia in un atto presentata al
Palais Royal di Parigi nel 1855, era
impiegato in una libreria e dal 1852
collaborava sotto lo pseudonimo di
Thalin al Journal pour rire con disegni
e scritti satirici. Da quel successo, il
genere del vaudeville, allora molto in
voga, lo occupò freneticamente e dal 1855 al
1861 compose ben tredici commedie.
Ma la produzione più
significativa e memorabile legata al nome
di Meilhac risale agli
anni di lavoro a fianco
di
Ludovic
Halévy, con cui collaborò per vent’anni
dal 1861 al 1881, soprattutto ai libretti
musicati da Offenbach, per il quale i due
scrissero tra l’altro opere buffe come
La Belle Hélène (1864) e Barbe-Bleu
(1866), La Granduchessa di Gérolstein
(1867), La Périchole (1868), Les Brigands
(1869), Le Petit Duc (1878) o commedie
come Fanne Lear (1868), Frou-Frou
(1869), Tricoche et Cacolet (1872).
Due personalità profondamente diverse, quelle di Meilhac e Halévy, in
alcuni aspetti contrapposte, ma sicu-
ramente complementari: l’arte del
boulevardier e della continua parodia
dei costumi in Meilhac e un’acuta
sensibilità verso i grandi temi politici e sociali in Halévy.
Meilhac compose anche libretti per
suo conto, fra i quali quello di Manon
(1884) per Massenet, e collaborò con
Millaud (Le Mari de Babette, 1882,
Santarellina, 1883), Gauderaux (Pépa,
1864), Delavigne e Gille.
Non mancano nel
repertorio
di
Meilhac lavori impegnativi e sofisticati come Le Petit-fils
de Mascarille (1859),
Decoré (1888) e Grosse Fortune (1896),
opere che caratterizzano l’autore come
particolare rappresentatore – ma anche protagonista –
della “Belle époque”
e della vita parigina.
Solo o in collaborazione, si conta che abbia firmato 115
lavori dei più diversi generi. Il 6
aprile 1888 fu nominato membro
dell’Accademia di Francia.
Nel maggio del 1897, all’età di
66 anni, Hénri Meilhac fu colpito
da un’emiplegia che dopo averlo
paralizzato lo condusse in breve
alla morte, avvenuta a Parigi il 6
luglio.
Prosper Merimée, autore della novella
Un funzionario statale
prestato alla letteratura
U
omo di grande
cultura, parigino doc nato nel
1803, Prosper Mérimée
si laureò in giurisprudenza superando in
breve tempo gli esami
d’avvocato e coltivando nel frattempo la passione ereditata dal padre per la pittura e per
la letteratura. Grazie all’amicizia con Stendhal
e Ampère poté incontrare nel salotto Stapfer
gli uomini di cultura
più rilevanti del suo
tempo: Viollet-le-Duc,
Delécluze, Victor Coussin, Saint-Beuve e Girardin.
Impiegato presso il Ministero del Commercio,
pubblicò nel 1825 l’ope-
ra Le Théâtre de Clara
Gazul, comédienne espagnole, una raccolta di
cinque commedie attribuite ad una fantomatica attrice spagnola liberale e spregiudicata e
nel 1827 La Guzla (anagramma di Gazul), una
serie di ballate e canti
popolari che l’autore
faceva credere fossero
stati trascritti da un italiano di ritorno dall’Illiria. Il successo ottenuto
da Mérimée fu tale che
persino Puskin tradusse qualcuna di queste
canzoni in russo.
Dopo il successo ottenuto con il romanzo
storico Chronique du règne de Charles IX e la
novella Mateo Falcone
(1829), grazie alla protezione della famiglia
de Broglie raggiunse la
carica di capo di Gabinetto del conte d’Argout presso il Ministero
della Marina, passando
poi al Commercio e agli
Interni. Nel 1833 Mérimée fu nominato
ispettore generale dei
monumenti storici.
Risalgono a questo periodo una serie di novelle, fra cui Colomba
(1840), la storia di una
vendetta in Corsica. In
seguito ad una serie di
impegnativi viaggi di
lavoro, iniziò anche lo
studio della cultura
russa con le traduzioni
di Puskin e Gogol e ancora oggi Mérimée è
considerato il primo
ad aver introdotto in
Francia la
letteratura
russa. Negli stessi
anni scrisse Carmen
(1845), alla
cui fama
contribuì
l’opera di
Bizet.
Profondamente legato
alla famiglia imperiale,
divenne all’epoca del
Secondo Impero quasi
uno scrittore ufficiale
di corte. Psicologicamente distrutto dalla
disfatta di Sedan, Mérimée morì a Cannes il
23 settembre 1870 all’età di 67 anni. Molti
suoi lavori, fra cui le
Lettres à une inconnue
(1873) furono pubblicati postumi.
Pagina a cura di
Michela Marini
Il
Carmen
Giornale dei Grandi Eventi
L’autore
13
Il geniale e sfortunato
Georges Bizet
A
ncora bambino,
Georges Bizet,
nato a Parigi nel
1838, acquisì i primi elementi di musica dal padre Adolfo, buon maestro di canto e compositore, e dalla madre
Aimée Delsarte, di origine spagnola, sorella di
una celebre pianista. All’età di dieci anni entrò
A
in conservatorio, studiando con grandi musicisti quali Marmontel,
Zimmerman, Gounod, e
Jacques-François
Halévy, di cui più tardi
sposò la figlia. Ben presto il proprio talento gli
permise di raggiungere
mete come il primo posto in un concorso bandito da Offenbach nel 1856
e il secondo posto al
“Prix de Rome” nel 1857.
Già noto negli ambienti
musicali parigini, grazie
anche alla Sinfonia in do
maggiore composta a 17
anni nel 1855, Bizet si
trasferì a Roma dal 1857
al 1860, soggiornando
anche a Napoli e in altre
città italiane e lavorando
nel 1858/59 al Don Procopio, opera tratta da un
libro di Cambiaggio.
Negli stessi anni comparvero i primi attacchi
di un male alla gola che
lo accompagnò per tutta
la vita provocandogli,
inoltre, profonde crisi
depressive. Tanti progetti furono abbandonati, alcune opere già compiute distrutte (La Guzla
de l’Emir, Ivan IV, Grisélidis) e i dubbi sulle proprie capacità lo tormentarono continuamente
anche perché mai una
sua opera era sopravvissuta più di una stagione.
Nel 1860 tornò a Parigi
per assistere la madre
gravemente malata. In
questo periodo compose
diverse opere, come Les
Pêcheurs des Perles (I Pescatori di Perle, 1863) e La
Jolie Fille de Perth (La Bella Fanciulla di Perth,
1867), presto attaccate
duramente dalla critica:
le accuse denunciavano
un eccessivo “verdismo” e “wagnerismo”.
Nel 1868, dopo una violenta crisi, portò a termine Roma, una suite sinfonica iniziata nel periodo
del soggiorno italiano.
Dopo un breve periodo
di servizio nella Guardia
Nazionale, in occasione
della guerra francoprussiana, Bizet compose Djamileh (1872), cui
seguirono nuove accuse
di “wagnerismo”, che in
parte determinarono il
grave insuccesso dell’opera. Nello stesso anno
apparvero anche le musiche di scena per L’Arlesienne di Daudet. Nell’estate 1874, dopo alcune
interruzioni, Bizet terminò le 1200 pagine di
partitura di Carmen, che
i
librettisti
Henri
Meilhac
e
Ludovic
Halévy avevano tratto
dall’omonima novella di
Mérimée. L’opera andò
in scena all’Opéra-Comique di Parigi nel 1875,
suscitando una pessima
accoglienza della critica.
Ritiratosi da Parigi nella
vicina Bougival, Bizet
morì il 3 giugno 1875 e
non fu esclusa l’ipotesi
di un suicidio. Sei mesi
dopo, il pubblico di
Vienna decretò per Carmen
un
clamoroso
trionfo.
Luca Pesante
Il Paese che in realtà Bizet mai visitò
La Spagna, terra di ispirazione musicale
scoltando in Carmen la Seguidilla
o l’Habanera, così squisitamente spagnole nello spirito e nel
colore, si può pensare a
un soggiorno di Bizet
nella penisola iberica a
respirare a pieni polmoni il folclore che, straordinariamente ricco di
umori e di sapori, nasce
da una sintesi di elementi molti diversi, cristiani ed arabi.
In realtà Bizet non oltrepassò mai i Pirenei, la
sua è una Spagna immaginaria; verosimile certo, ma totalmente inventata.
Nell’arco della storia
della musica, la Spagna
ha spesso influenzato la
cultura francese e non
solo quella, anche se si
deve piuttosto parlare
di “prestiti” reciproci.
Risalendo a un lontano
passato, i trovatori, i
cantautori medioevali
che con le loro liriche
musicali celebrarono la
cultura del castello, fecero sicuramente tesoro
di esperienze arabe provenienti appunto dall’area iberica. Da lì, del resto, arrivo il Rebab, progenitore arabo del nostro violino.
Ma è soprattutto fra Ottocento e Novecento che
i rapporti si fecero stretti.
Compositori spagnoli
come Albeniz, Granados, De Falla soggiornarono a lungo a Parigi, a
fine Ottocento divenuta
l’incontrastata capitale
culturale europea. Lì De
Falla, ad esempio, conobbe tutta i musicisti
francesi dell’epoca, collaborò con Picasso,
scrisse per i Balletti russi di Diaghilev. In quel
contesto la cultura francese guardò alla Spagna
con evidente interesse.
Emanuel Chabrier compose la colorita rapsodia
orchestrale
Espana,
Eduard Lalo La Symphonie espagnole. E poi toccò
a Debussy con Iberia e
con varie liriche da camera. E, soprattutto,
guardò alla Spagna Ravel: si pensi alla Rapsodia spagnola e, specialmente, al Bolero che ri-
mane uno
dei capolavori assoluti del
sinfonismo novecentesco,
saggio
mirabile
di orchestrazione.
Merita,
ancora in
ambito
teatrale,
una citazione, lo
splendido
Don Chisciotte di
Massenet.
Il simpatico eroe di
Cervantes, del resto,
può vantare una presenza davvero massiccia
nel teatro europeo a partire dal Seicento per arrivare al Novecento.
Possiamo ricordare le
opere di Anfossi, di Caldara, di Salieri. E, risa-
lendo l’Ottocento, l’opera di Mendelssohn oppure il balletto di
Minkus o, ancora, il
poema sinfonico di Richard Strauss.
Ma rimanendo a un discorso spagnolo più generale, vale la pena ricordare l’attenzione della liederistica per il colore iberico: gli Spanische
Lieberslieder di Schumann e gli Spanisches
Liederbuch di Hugo
Wolf.
Infine, per approdare ai
giorni scorsi, il compositore tedesco Hans Werner Henze che ha da poco festeggiato i suoi 80
anni, ha inserito in una
delle sue opere teatrali
più recenti, Venus und
Adonis, sette interludi
strumentali, sette Boleri
che in un acceso colorismo rileggono naturalmente in un’ottica moderna l’atmosfera folclorica iberica.
Roberto Iovino
14
Carmen
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Viaggio nei luoghi di Carmen
La splendida Siviglia,
città senza mezzi toni
A
Spagna caliente e
passionale di Mérimée e Bizet non
poteva che trovare la sua
ambientazione nella città
di Siviglia. Nella capitale
dell'Andalusia, infatti, tutto, dalle passioni ai sentimenti, dalla vita quotidiana alla gastronomia, è vissuto al massimo, senza risparmio, senza mezzi toni.
Lo si percepisce appena
giunti in città, anzi prima.
Già dal treno superveloce
che in appena due ore e
mezzo ed al prezzo di una
settantina di euro in classe
turistica, attraversando mezza Spagna, collega Madrid
con questa città, che con i
suoi oltre 700mila abitanti è
la quarta realtà del paese.
Appena usciti dalla stazione o dall'aeroporto, la cosa
che colpisce è una luce diversa, forte, accecante, capace di esaltare i colori. Il
clima torrido d'estate e
temperato d'inverno, riempie l'aria del profumo di
fioriture pressoché perenni. Le case, i palazzi hanno
tinte forti: il rosso sangue
di toro contrasta con gli
ocra accesi, con i blu delle
maioliche, con i bianchi abbaglianti delle costruzioni
minori, la cui monocromia
è spezzata dal nero delle
cancellate di ferro battuto
che si rincorrono a limitare
chiostri o piccoli cortili.
L'architettura è fortemente
influenzata dalle varie dominazioni che si sono susseguite e la topografia conserva essenzialmente il carattere moresco, con strade
strette e tortuose, vicoli ciechi, piazzette.
La città si è sviluppata lun-
go il corso del fiume Guadalquivir, che attraversa la
città da nord a sud ed è navigabile fino alla foce di
Sanlúcar de Barameda.
Proprio la possibilità di essere il principale porto fluviale del paese contribuì a
fare la fortuna di Siviglia,
soprattutto dopo la scoperta delle "Indie". Le navi che
giungevano dal Nuovo
Mondo attendevano in
mare la corrente giusta per
risalire il fiume Guadalquivir con i loro carichi di ricchezze, come l'oro e le preziosissime spezie che, una
La Torre de Oro
volta scaricati, venivano
portati negli edifici attigui
alla Torre de Oro (il cui nome è dovuto al rivestimento, ormai scomparso, di
piastrelle dorate) ed il tabacco proveniente da Cuba
instradato alla manifattura
per la lavorazione. Una curiosità: per risalire il fiume
le navi gettavano in acqua i
carichi superflui, compresa
spesso parte delle coperture di splendido mogano,
legno che veniva raccolto a
valle presso la città di
Sanlúcar de Barameda, do-
La fabbrica di tabacco, ora Università
ve sorse una fiorente lavorazione di mobili proprio
di mogano.
La fabbrica del tabacco
La manifattura del tabacco, dicevamo. E' qui che è
ambientato il primo atto
dell'opera di Bizet, Carmen.
In realtà il nome della protagonista dovrebbe essere
Maria Carmen, per l'usanza
spagnola di far precedere il
nome della Vergine ai suoi
titoli. Un nome importante
quello di Maria del Carmelo, tanto che la sua festa il 16
luglio è vissuta in tutta la
cattolicissima quasi come
una ricorrenza nazionale.
Dal centro storico-culturale della città, che è il quartiere ebraico di Santa Cruz,
per andare verso l'Università che ora occupa l'edificio della manifattura del
tabacco, si percorrono dedali di stradine con cortili e
patii abbelliti da fiori rigogliosi. Si incontra il grande
complesso della Cattedrale,
costruita sui resti della Moschea Maggiore abbattuta
nel XV secolo, che con le
sue cinque navate in stile
gotico divenne il monumento religioso più grande
del mondo cristiano. L'opera fu portata a termine
nel 1506 (anno in cui a Roma si poneva la prima pietra dell'attuale Basilica di
San Pietro). All'interno,
nella Cappella della Vergine de Antigua, si trova uno
dei presunti sepolcri di
Crisoforo Colombo. Accanto alla Cattedrale, il Patio degli Aranci e la Giralda,
ex minareto, ora il monumento più singolare della
città.
Basta attraversare la piazza
che ci si trova di fronte alla
Porta del Leone, attraverso
la quale si accede all'Alcazar, la residenza reale più
grande d'Europa. Qui, prima della fortezza del IX secolo, vi furono l'acropoli
romana, una basilica paleocristiana e edifici visigoti. Straordinario il Salone
degli Ambasciatori con la
sua grande cupola di filigrana dorata. L'eredità araba dei giardini dell'Alcazar
La Plaza de Toros de la Real maestranza
ci divide dall'imponente
vecchia Manifattura del tabacco, ora – come abbiamo
detto – sede dell'Università,
un edificio del XVIII secolo
disegnato da Sebastian
Van der Borcht, che per superficie è la maggiore costruzione pubblica di Spagna dopo l'Escorial. Splendida è la facciata su via San
Fernando. Da qui si accede
al vestibolo con la doppia,
superba scalinata ed al Patio dell'Orologio. La fabbrica
rimase in funzione fino alla
fine del XIX secolo. Nel
1895, infatti, la Spagna perse Cuba, suo ultimo possedimento americano, e si interruppe così l'approvvigionamento di tabacco dall'Arcipelago delle Antille.
A Sud-Est dell'Università,
da non perdere i Giardini di
Maria Luisa con la grande
Plaza de España di forma semicircolare. Lungo la semiellisse, un fascione decorato con tanti quadri in
splendide maioliche ripercorre la storia di ogni singola provincia spagnola.
Fu il luogo di accoglienza
della grande Esposizione
Iberoamericana del 1929 e
nel grande e curatissimo
parco su cui si affaccia vi
sono quelli che furono gli
splendidi padiglioni delle
Esposizioni, anch'essi decorati da maioliche policrome.
Il quartiere delle taverne
Nell'opera passa un mese
e, nel secondo atto, troviamo Carmen nella taverna
di Lillas Pastia. Un riferimento vero non c'è, ma
presumibilmente la protagonista avrebbe frequentato la zona della Via Mateos
Gagos, sempre nel quartiere di Santa Cruz, piena di
bar ed osterie molto animate, tra cui famoso è il
Bar Giralda, ricavato in alcuni antichi bagni arabi,
dove si può gustare una eccellente varietà di "tapas",
oppure il popolarisismo
Quartiere di San Bartolomé.
Questa zona, a cui si accede dalla Porta della Carne (il
nome deriva da un antico
mattatoio), conserva immutato tutto il fascino dell'autentica Sivilla, con la
trama urbana che più di
ogni altro luogo ha mantenuto gli schemi arabi, pur
combinandosi con l'architettura civile e cattolica dei
secoli XVII e seguenti. Dopo aver incontrato splendidi esempi di gotico, mudejar e stile rinascimentale,
come la Casa di Pilato, il Palazzo Mañara, dove visse
Miguel de Mañara che
ispirò il personaggio di
don Giovanni, si arriva ancora nella Piazza dell'Alfalfa, zona rinomatissima per
le buone "tapas".
La Plaza de Toros
Lungo il fiume Guadalquivir sorge la famosa Plaza de
Toros de la Real Maestranza.
Siamo al quarto atto di Carmen. Il dramma passionale
si avvicina. Il quartiere è
quello dell'Arenal, quello
che al mondo è più legato
all'arte della tauromachia.
L'edificio circolare della
Plaza de Toros con la famosa Porta del Principe e la
superba galleria di archi a
mezza volta, risale al XVIII
secolo. Di fronte, nella
piazza, da non molti anni
sorge la statua dedicata a
Carmen la Cigarrera (Carmen la sigaraia) che prorpio in questo luogo, secondo il racconto di Mérimée e
Bizet, fu pugnalata per
amore da José, mentre il torero Escamillo trionfava
nell'arena. Carmen cade a
terra, il dramma si è compiuto. Lo spirito caliente di
Siviglia ha travolto ancora
una volta i protagonisti.
Andrea Marini
Il
Giornale dei Grandi Eventi
A
Dal mondo della musica 15
Dal 18 giugno al 4 luglio
Musica di dieci nazioni nei Giardini della Filarmonica
Roma, a due passi da
piazza del Popolo, in
questo periodo estivo i
Giardini della Filarmonica Romana (via Flaminia 118) si trasformano, come ogni anno, in
uno spazio aperto dove musica,
danza, poesia, cinema, concorrono a creare un confronto stimolante tra culture di diversi
paesi. Un porto franco aperto alla scoperta, alla reciproca conoscenza, all’incontro tra persone,
un crogiolo di esperienze artistiche varie e vitali. Grazie al contributo qualificato e appassionato delle realtà internazionali che
animano la vita culturale della
città, quest’anno saranno dieci
fra aree geografiche e nazioni
provenienti da quattro continenti ad animare le serate della
stagione estiva della Filarmonica, dal 18 giugno al 4 luglio, occasione anche per ‘svelare’ questo suggestivo luogo segreto di
Roma che non molto tempo fa,
il FAI, Fondo Ambiente Italiano, ha inserito nell’elenco dei
luoghi da salvaguardare.
Africa sudanese, Argentina,
Austria, Iran, Repubblica di
Malta, Norvegia, Portogallo,
Slovacchia, Spagna e Ungheria
A
portano nei Giardini i loro migliori artisti, le loro tradizioni, il
loro presente, i loro sapori. Da
un lato aspetti quanto mai caratteristici delle loro tradizioni artistiche, ma dall’altro non tralasciano di offrire squarci del
grande repertorio classico, romantico e del Novecento. Accanto al fado e al flamenco, alle
melodie slovacche dei Diavoli
Zingari e alle raffinatezze iraniane dell’ensemble Mastan,
troviamo il pianoforte di Schumann e Liszt, i Lieder di Schubert, Brahms e Berg, le esplorazioni di Crumb, Ligeti e Ho-
sokawa.
E come da tradizione, tra un appuntamento e l’altro, si potrà fare una gradevole pausa al ristorante del giardino (Cucina by
Angelina), dove si gusteranno
anche i piatti della tradizione
gastronomica delle nazione
ospite del giorno.
La rassegna si inaugura mercoledì 18 giugno con la Spagna
che presenta un suo giovanissimo talento, il chitarrista Rafael
Aguirre erede della grande tradizione chitarristica del suo
paese che annovera fra i suoi
padri Andrés Segovia.
Fra i numerosi appuntamenti,
da segnalare la prima assoluta
di Galghi (La barca) il 25 giugno
(replica il 2 luglio) nella giornata dedicata al Viaggio, tema che
dà il titolo alla manifestazione
di quest’anno: si tratta di uno
spettacolo teatrale e musicale
che si muove tra due spazi,
quello reale dei barconi di profughi ed emigranti che solcano
il Mediterraneo per sbarcare in
Europa, e quello immaginario
della scenografia e della drammaturgia che rimette in scena,
per una volta, il viaggio. A riunire i due spazi gli attori. Anzi, i
non attori: dieci rifugiati africani – uomini, donne e bambini –
giunti in Italia e a Roma negli
ultimi anni, con i loro racconti,
la memoria del viaggio affrontato per arrivare qui. Insieme a loro, una voce narrante e cinque
musicisti, anche loro africani.
Cla. Lan.
INFO tel. 06 3201752
www.filarmonicaromana.org
BIGLIETTI 10 € a spettacolo; biglietto giornaliero 15 €; Hieros Gamos 15 €.
Le proiezioni, le mostre, il recital “Viver em pleno vento” (18.6) e gli
incontri-conferenze sono ad
ingresso gratuito
Presenza femminile nella lirica
35° edizione del Rossini Opera Festival
Poche donne ai vertici dei teatri
A Pesaro, Armida,
Barbiere e Aureliano
in Palmira
ffida il podio a tre donne
di talento, il Festival allo
Sferisterio di Macerata che
quest’anno, dal 18 luglio al 10
agosto, celebra la sua 50° edizione: Julia Jones dirigerà l’Aida (che
inaugurò la prima stagione del
1921), Eun Sun Kim la Tosca e
Speranza Scappucci La Traviata.
«Una scelta forse un po’ inusuale –
spiega il direttore artistico Francesco Micheli – in omaggio alle
eroine del melodramma che trasgrediscono le regole a costo della vita». La direttrice d'orchestra Xian Zhang
Già dalle parole del direttore artistico si capisce quanto la presenza femminile ai vertici della musica sia una
rarità. I dati dicono che è solo del 3,9% la presenza femminile nei posti di vertice delle istituzioni operistiche e sinfoniche in Italia, mentre la presenza nelle orchestre rimane sempre di minoranza. Nelle 14 fondazioni liriche italiane
troviamo solo una donna Sovrintendente, Rosanna Purchia al San Carlo di
Napoli che peraltro è affiancata nella gestione da un commissario straordinario., mentre direttore generale de la Scala è Maria Di Freda e direttore degli allestimenti scenici del Carlo Felice di Genova Sabrina Cuccu.
Se si guarda alle istituzioni sinfoniche, l’unica donna direttore musicale è la
cinese Xian Zhang alla guida della Verdi a Milano. Tra gli elementi delle orchestre, invece, la presenza femminile è attestata sul 20%. All’estero non va
meglio. Su 20 teatri europei sotto esame, una sola donna è al vertice: Helga
Schmidt al palau di Valencia, mentre nel settore Festival solo Helga RablStadler è presidente a Salisburgo, dove l’italiana Cecilia Bartoli è direttore del
Festival di Pentecoste.
Cla. Lan.
T
re interessanti
produzioni per
il Rossini Opera
Festival di Pesaro, che
dal 10 al 22 agosto
presenterà la sua 35°
edizione: Armida per
la regia di Luca Ronconi sarà in scena il
10, 13, 16 e 19 agosto
all’Adriatic Arena; Barbiere di Siviglia commedia di
Cesare Sterbini sarà nella versione semiscenica dell’Accademia di Belle Arti di Urbino al Teatro Rossini
l’ 11, 14, 17 e 20 agosto; Aureliano in Palmira, penultima opera del Catalogo, rossiniano nella sua prima dell’edizione critica con la regia di Mario Martone sarà sempre al Teatro Rossini il 12, 15, 18 e 22 agosto. In cartellone anche il 18 luglio concerto conclusivo dell’Accademia Rossiniana nei pressi del Teatro
Sperimentale; il 13 e 16 agosto al teatro Rossini Il
viaggio a Reims dei giovani dell’Accademia Rossiniana; 21 agosto la Petitte Messe Solenelle diretta da Alberto Zedda. Nelle Marche è anche da segnalare in
tardo autunno un’altra perla lirica, quale il Festival
Pergolesi Spontini, giunto alla sua 14° edizione, dal 5
al 21 dicembre tra Jesi, Maiolati Spontini, San Marcello e Montecarotto.
Cla. Lan.
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