Confessione, o la responsabilità del ridere – Davide

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21/9/2015
Paper Street ­ Confessione, o la responsabilità del ridere – Davide Carnevali | Michele Di Mauro
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Confessione, o la responsabilità del ridere – Davide Carnevali | Michele Di Mauro
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Vi è mai capitato di chiedervi
perché ridiate? No, non
"cosa" vi faccia ridere ma "per
quale ragione" il vostro corpo
reagisca a un determinato
stimolo con il riso. Si sbadiglia
per ossigenare le cellule, si
tossisce per liberare i
polmoni, si starnutisce per
espellere germi dal naso, ma
ridere a cosa serve?
Fondamentalmente ad
alterare il ritmo della nostra
respirazione: il nostro corpo
intuisce che qualcosa non va
come dovrebbe e scatena
una reazione scomposta. Ridere dunque, per quanto ci sembri un piacere, è innanzitutto
un atto di protezione.
Ora, vi chiederete voi, cosa c'entra tutto questo con un festival di teatro? Il fatto è che
rispetto ad altre forme d'arte, il teatro non prescinde mai dalla sua dimensione sociale;
così, mentre sul palco va in scena uno spettacolo, in platea e tutto attorno ne prende vita
un altro: quello del pubblico, quello delle sue reazioni. Pertanto, perché il pubblico ride?
Vogliamo domandarcelo a proposito dello spettacolo che finora ha registrato il più nutrito
ed entusiasta consenso di pubblico a Short Theatre – e ci valgano da testimone oltre
cinque minuti di applausi (cosa davvero rara di questi tempi, tanto più per una lettura
scenica; la mise en espace rientra nel progetto Fabulamundi).
Come suggerisce il titolo stesso, Confessione è un'apologia. Abito scuro, gessato,
cravatta elegante, sorriso platealmente smagliante, Michele Di Mauro veste i panni di
"un ex presidente che ha portato il suo Paese sull'orlo della crisi", come recita il sottotitolo
di questo brillante monologo del 2012 del nostrano autore internazionale Davide
Carnevali. "Un" ex presidente, si badi bene, generico, immaginario; ma ci vuole ben
poco perché il pubblico romano lo identifichi subito con il personaggio politico più
influente della storia italiana degli ultimi venti anni; e perché immediatamente rinverdisca
rancori troppo a lungo frustrati e altrettanto troppo rapidamente trasferiti al di lui erede.
Ma ad ogni modo.
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L'ex presidente si presenta innanzi al pubblico, quello stesso pubblico che ha manipolato
per anni, per fare mea culpa: rivela menzogne, inganni, sotterfugi; confessa tutto, con
sentimento e sfacciataggine, senza rinunciare alla sua inveterata capacità affabulatoria –
e, per inciso, va detto che la perfetta simbiosi tra l'ambiente sonoro di G.U.P. Alcaro e la
grande prova d'attore di De Mauro restituisce splendidamente tutta l'altalenante
ambiguità di questa improbabile e pur verosimile confessione.
Alla base del testo di Carnevali, infatti, si nasconde un meccanismo retorico assai
raffinato. Apparentemente l'iniziale surrealtà della situazione suscita il riso del pubblico;
ma, a stare bene attenti, è un ridere più nervoso di quanto sembri. Si ride per
esorcizzare una paura, un'anomalia rispetto al normale andamento delle cose –
ricordate? –, eppure qui è come se andasse in scena un evento a lungo atteso: la
mortificazione del tiranno, la sua contro­apoteosi, lo smascheramento della sua
banalità. Noi spettatori crediamo di ridere per piacere, per il piacere che suscita il suo
"ridicolo", e in realtà ci riscopriamo a ridere per "vendetta". Di confessione in confessione, il discorso dell'ex­presidente comincia però a prendere
una direzione imprevista; ma non si tratta dell'ennesima capovolta menzognera del
premier, al contrario, tutto a un tratto ci rendiamo conto che c'è ben poco da ridere. "Se
io ho fatto tutto quel che ho fatto" – citiamo a braccio – "è perché il popolo mi ha votato,
perché il popolo non una ma due volte me l'ha lasciato fare, mi ha dato il tempo per
farlo". Touché.
A proposito del ridere abbiamo parlato di "anomalia della normalità", Pirandello d'altronde
il "comico" lo definiva avvertimento del contrario. Ecco, ora non c'è più nulla di comico,
ora non c'è più nulla da ridere, ora il ridicolo pagliaccio siamo diventati noi.
Continuare a ridere quando si è ormai compreso a fondo la natura di tale "contrario", di
tale buffa stranezza, servirà solo a negare la nostra responsabilità "sul" reale.
Insomma, quella che sembrava una grande catarsi collettiva tanto attesa si ribalta
all'improvviso in impietoso, tacito, vibrante atto di accusa. Per questo, dopotutto, non
possiamo che definirla "apologia": l'imputato è assolto, il giudice è colpevole.
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Paper Street ­ Confessione, o la responsabilità del ridere – Davide Carnevali | Michele Di Mauro
Eppure qualcuno ride ancora. Forse ride perché ha capito, ride perché ha paura che
questa sia la verità, ride per prendere le distanze. Perché è meglio riderci su e
trasformarla in anomalia, no?
Uno spettacolo che dovrebbe girare ovunque, entrare nelle case degli Italiani, bussare
alla coscienza e chiedere se ci sia ancora da ridere.Sarebbe una rivoluzione.
(Foto ©Claudia Pajewski)
Giulio Sonno
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