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09 maggio 2016 delle ore 13:11
A TEATRO
di Giulia Alonzo
Il teatro rosso di Rothko
Arriva a Roma l’opera ispirata alla biografia dell’artista
Mettere in scena un testo teatrale è come
dipingere un quadro. Il punto di partenza
ottimale è lo stesso: una buona conoscenza della
società e del contesto storico, poi si studia il
campo e si allestisce la scena, si schiarisce la
voce e si preparano i pennelli, si indossano i
costumi e si tira la tela, si calcola la giusta
illuminazione, si fanno prove. Ci si guarda
attorno, e si comincia. Uno degli incontri più
riusciti tra le due arti è stato l’happening, le
performance a metà le arti visive e il teatro.
Rosso, testo di John Logan, già vincitore di sei
Tony Award nel 2010, portato in scena da
Ferdinando Bruni e Alejandro Bruni Ocaña per
la regia di Francesco Frongia, inizia proprio con
la messa in scena di un’opera d’arte. E non è
un’opera qualsiasi, perché la storia è quella di
Markus Rothkowitz, ebreo trasferitosi dalla
Russia agli USA quando aveva dieci anni e
diventato pittore famoso con il nome di Mark
Rothko. E poi l’opera è uno dei Seagram
Murals, commissionati appunto da una
importante azienda di liquori per il suo
ristorante all’interno del nuovo Four Seasons
Hotel. Siamo alla fine degli anni Cinquanta. Lo
spettatore si ritrova in uno studio d’artista, con
le grandi tele dove vibrano le magiche tonalità
di rosso predilette dal pittore. È il primo giorno
di lavoro del nuovo assistente di Rothko, che
incuriosito assiste alla messa in scena della
magia, alla creazione di un capolavoro da parte
di uno degli artisti che ha segnato la rottura con
la precedente arte figurativa, aprendo la strada
del contemporaneo. Grazie al giovane
assistente, nasce una dialettica che porta alla
luce la matassa mentale che custodisce l’arcano
dell’intero suo lavoro, mostrando, anche se a
un livello piuttosto superficiale, la linguistica
di uno dei padri fondatori dell’espressionismo
astratto, di cui espose i fondamenti teorici nei
celebri "sei punti” pubblicati dal "New York
Times” nel 1940. I Seagram Murals danno poi
l’occasione per sviscerare due concetti
fondamentali della sua poetica: in primis l’odio
di Rothko per la società, tanto che alla fine dopo
lunga diatriba, restituisce l’assegno pur di non
concedere i propri lavori per trasformarli in
mero arredamento per gente ricca; in secondo
luogo, l’amore odio per il colore ‘rosso’.
corniola? Che cos’è ‘rosso’?!” (John Logan,
Rosso)
Il rosso è il colore del sangue e della forza, è il
colore della rabbia e dell’amore. È il colore che
per eccellenza rappresenta la vita. Il colore con
il quale Rothko si è creato uno scudo, dal mondo
e da se stesso, per sovrastare le sue paure, di
morire e di essere dimenticato, attraverso la
vittoria del colore nero: "Di una cosa sola al
mondo io ho paura, che un giorno il nero
inghiotta il rosso”. Quella di Rothko è un’arte
consapevolmente inquieta e inquietante. Ogni
pennellata è una tragedia, espressione del vitale
per vanificare la morte. Ogni quadro diventa
opera teatrale. E il nesso tra pittura e teatro
diventa ancora più chiaro quando Rothko
spiegava che i quadri piccolo "sono come
romanzi, quelli grandi somigliano invece a
drammi teatrali in cui si partecipa direttamente”.
Non solo oggetti, ma esseri con i quali parlare
e che, se si sa ascoltare, rispondono.
Giulia Alonzo
In scena dal 10 maggio 2016 Teatro India
ROSSO di John Logan traduzione di Matteo
Colombo regia di Francesco Frongia con
Ferdinando Bruni e Alejandro Bruni Ocaña luci
di Nando Frigerio produzione Teatro dell'Elfo
"E il rosso! E il rosso! E il rosso! Nemmeno so
cosa vuol dire! Cosa vuol dire ‘rosso’, per me?
Intendi scarlatto? Intendi cremisi? Intendi
prugna-gelso-magenta-borgogna-salmone-carminio-
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