AMEDEO GUILLET: TRA GUERRA E DIPLOMAZIA

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA
“SAPIENZA”
FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE E RELAZIONI INTERNAZIONALI
TESI DI LAUREA IN STORIA DEI TRATTATI E POLITICA INTERNAZIONALE
AMEDEO GUILLET: TRA GUERRA E DIPLOMAZIA
Relatore:
Chiar.mo Prof.
Gianluigi Rossi
Candidato:
Giovanni Andrea Pavia
Matricola 1098736
Anno Accademico 2009-2010
2
“Il coraggio è un atteggiamento spirituale che può essere acquisito o naturale. Perché il
coraggio esista, è necessario possedere la volontà di essere all'altezza delle aspettative”.
Amedeo Guillet
INDICE
Pag.
Introduzione..............................................................................................................4
Breve biografia.........................................................................................................6
PARTE PRIMA
Capitolo I – Campagna d’Etiopia (1935-1936)........................................11
1.1
Premessa................................................................................................................11
1.2
Fase preparatoria...............................................................................................13
1.3
Lo scontro..............................................................................................................14
1.4
Fine della guerra e inizio dell’amministrazione italiana...................20
1.5
Nasce il Gruppo Bande Amhara a cavallo................................................23
Capitolo II – Guerra civile spagnola (1936-1939)................................26
2.1 Principali cause del conflitto..........................................................................26
2.2 Inizio delle ostilità ed intervento europeo...............................................32
2.3 Principali operazioni militari e attività italiana.....................................34
3
Capitolo III – Seconda Guerra Mondiale e fine dell’AOI....................38
3.1 L’entrata in guerra dell’Italia..........................................................................38
3.2 Inizio delle operazioni militari in A.O.I......................................................39
3.3 Resistenza italiana in Eritrea e fine dell’A.O.I.........................................41
3.4 La guerra privata di Amedeo Guillet...........................................................47
3.5 Il difficile ritorno in Patria...............................................................................52
Capitolo IV – Attività all’interno del SIM.....................................................54
4.1 Cenni sulla storia del SIM................................................................................54
4.2 Attività del SIM in A.O. e collegamento con la resistenza..................56
4.3 Attività di Amedeo Guillet all’interno del SIM........................................59
PARTE SECONDA
- Egitto...................................................................................................................................62
- Yemen.................................................................................................................................65
- Giordania..........................................................................................................................68
- Marocco.............................................................................................................................69
- India.....................................................................................................................................70
Conclusione.......................................................................................................................72
Ringraziamenti...............................................................................................................74
Bibliografia........................................................................................................................75
4
INTRODUZIONE
Amedeo Guillet: di certo uno dei più grandi italiani che la storia del
nostro Paese ricordi, un uomo che ha servito l‟Italia senza mai
risparmiarsi, prima con le armi e poi con la diplomazia. Chi ebbe la
fortuna di conoscerlo personalmente lo descrive come vero cavaliere:
una persona estremamente coraggiosa e dotata di un forte senso
dell‟onore e del dovere, ma al contempo umile e generosa; valori questi
da molti dimenticati al giorno d‟oggi.
Disse di lui l‟allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi
nel conferirgli la Gran Croce dell‟Ordine Militare d‟Italia, massima
onorificenza militare italiana, leggendone la motivazione, il 6 novembre
del 2001:
“Combattente della seconda guerra mondiale, già più volte decorato per
il coraggio e l'abnegazione dimostrati in numerose azioni belliche, si
distingueva in maniera particolare per la straordinaria capacità
organizzativa, l'eccezionale ardimento e l'altissimo valore quale
comandante di formazioni irregolari in Africa Orientale. Nel periodo
successivo alla guerra, per circa quaranta anni, ha continuato a servire la
Repubblica esprimendo eccelse doti di ideatore e di organizzatore, fino
ad assumere elevate responsabilità istituzionali, sempre dimostrando
5
profondo amore per la Patria. Luminoso esempio di cittadino e di
soldato, fedele servitore dello Stato e benemerito della Nazione, da
additare alle attuali e future generazioni”.
Nella mia tesi esaminerò il personaggio di Amedeo Guillet, partendo da
alcuni cenni biografici essenziali. Il blocco centrale, come suggerisce il
titolo, è costituito dall‟analisi dell‟operato di Amedeo Guillet sotto il
profilo militare e sotto il profilo diplomatico, descrivendo al contempo le
vicende di politica internazionale e il contesto storico nel quale si trovò
ad agire.
6
BREVE BIOGRAFIA
Amedeo Guillet nacque a Piacenza il 7 febbraio del 1909 da una nobile
famiglia piemontese e capuana. Frequentò l‟Accademia militare di
Modena, da cui uscì nel 1931 col grado di sottotenente di Cavalleria del
Regio Esercito Italiano. Venne da subito assegnato al reggimento
“Cavalleggeri di Monferrato”, dimostrando una particolare attitudine per
l‟equitazione. Per questo motivo venne presto inserito nella squadra
italiana di equitazione per le Olimpiadi di Berlino del 1936. Tuttavia si
ritirò ben presto per partecipare alle prime operazioni militari in
Abissinia, nel 1935; qui ebbe modo di distinguersi al comando di un
reparto di Spahis libici, riportando diversi successi che lo misero in luce
presso gli ufficiali di grado più elevato.
Nel 1937, su proposta del generale Frusci, partecipò alla guerra civile
spagnola, nella quale si distinse nella battaglia di Santander. Dopo un
breve periodo di convalescenza a causa della malaria venne trasferito in
Libia.
Poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, Guillet fu
inviato in Eritrea col compito di formare e comandare il Gruppo Bande
Amhara, forte di 1700 uomini circa di etnia etiope, yemenita ed eritrea.
Partecipò alle operazioni belliche contro l‟Inghilterra per difendere
l‟Africa Orientale Italiana, dando nuovamente prova di grande coraggio
7
e spirito di abnegazione, in particolare durante una fase della battaglia di
Agordat nel 1941, quando, alla testa del suo Gruppo Bande, si lanciò in
due cariche disperate (le ultime che la storia militare di questo continente
ricordi) riuscendo a rallentare di ventiquattro ore l‟avanzata inglese verso
le truppe italiane in ritirata verso Agordat e dando a queste ultime il
tempo necessario ad organizzare le difese. L‟operazione riuscì: le vite di
migliaia di soldati furono salvate, anche se ciò costò la vita a diversi
uomini, tra cui il tenente Renato Togni, suo grande amico.
Dopo le sconfitte di Cheren, Ad Teclesan e dopo la perdita di Asmara,
l‟Africa Orientale Italiana era ormai persa e l‟unico modo per agevolare
gli italiani che ancora combattevano in Africa del nord era resistere il più
possibile in Africa Orientale. Guillet così si tolse l‟uniforme ed iniziò a
compiere vere e proprie azioni di guerriglia, trovando rifugio nella
periferia di Massaua sotto falsa identità. La situazione tuttavia si faceva
sempre più difficile e Guillet fu costretto a sciogliere il Gruppo Bande
Amhara e a fuggire verso lo Yemen per poi far ritorno in Italia nel 1943,
dopo una lunga serie di disavventure. Giunto a Roma, chiese uomini e
denaro per tornare a combattere in Africa, ma venne assegnato al
Servizio Informazioni Militari. Dopo l‟armistizio dell‟8 settembre
raggiunse il Re a Brindisi e si mise a sua disposizione. Continuò ad
operare nel SIM, nel quale svolse anche l‟incarico di agente segreto nel
1945.
Una volta finita la guerra, Guillet rassegnò le dimissioni dall‟Esercito
italiano e si laureò in Scienze Politiche. Nel 1947 vinse il concorso
pubblico per la carriera diplomatica e nel 1950 venne destinato
all‟ambasciata del Cairo, nel 1954 fu inviato nello Yemen come
incaricato d‟affari, nel 1962 fu ambasciatore in Giordania, nel 1967 in
Marocco e nel 1971 in India, concludendo la sua carriera diplomatica nel
1975 per raggiungimento del limite di età.
8
Trascorse l‟ultimo periodo della sua vita tra l‟Irlanda, dove si dedicò
all‟allevamento dei cavalli, e Roma.
Amedeo Guillet si spense il 16.06.2010 all‟età di 101 anni. Le sue ceneri
riposano nella cappella di famiglia, presso il cimitero di Capua.
9
PARTE PRIMA
AMEDEO GUILLET MILITARE
10
CAPITOLO PRIMO
CAMPAGNA D’ETIOPIA (1935-1936)
1.1 Premessa.
L‟Italia iniziò ad interessarsi alle regioni del corno d‟Africa già a partire
dagli anni 60 del IXX secolo. Da questo momento in poi intraprese
timidamente
una
penetrazione
nell‟area,
dapprima
culturale
e
commerciale, poi politica e militare.
Nel 1869 la compagnia navale Rubattino, preceduta dall‟opera di
esplorazione di molti connazionali1, acquistò la baia di Assab e nel 1882
la vendette al governo italiano. Poco dopo gli egiziani si ritirarono dal
corno d‟Africa e l‟Italia approfittò di questo per concludere accordi con
la Gran Bretagna che prevedevano l‟occupazione italiana del porto di
Massaua, che, insieme alla baia di Assab, costituì i c.d. possedimenti
italiani nel Mar Rosso. Negli anni seguenti l‟Italia riuscì ad usufruire,
attraverso l‟acquisizione diretta o tramite l‟acquisto da parte di società
1
Cfr. Mario Baratta, Luigi Visintin – Altante delle colonie italiane – Novara 1928 pag. X “Parecchi
dei nostri viaggiatori con febbrile attività si diedero alla esplorazione di quel territorio che poi costituì
la nostra Eritrea […] G. M. Giulietti […] Gustavo Bianchi […] Pietro Sacconi […] Pietro Porro […]
Giuseppe Sapeto e dal padre Stella, e i viaggi di Sebastiano Martini, di Pietro Antonelli e di Ruspoli e
di altri parecchi”.
11
private come la Filonardi, dei porti di Chisimaio e del Benadir, oltre che
dei benefici del protettorato di diverse cittadine più o meno importanti.
Nel 1878 Bismarck riunì un importante Congresso a Berlino, con lo
scopo di attuare una vera e propria spartizione dei territori ancora liberi;
tutte le potenze ottennero dei territori, tranne l‟Italia. La frustrazione
derivante dall‟esito del Congresso fu una delle più forti molle che spinse
l‟Italia ad impegnarsi nella spartizione dell‟Africa. Fu così che, nel 1885,
reagendo all‟eccidio dell‟esploratore Bianchi, occupò i porti di Massaua
e Zela. Nel 1887 l‟Etiopia cominciò a reagire e, dopo essere stata
respinta una prima volta dalle difese italiane, riportò una netta vittoria
nella piana di Dogali.
Mentre i territori Eritrei avevano un‟organizzazione tribale, senza una
vera e propria struttura statale, l‟Etiopia in quel periodo era guidata dal
negus neghesti (Menelik dal 1889, dopo aver sconfitto il negus Johannes
IV, suo rivale), che aveva autorità sui vari ras, secondo un sistema che
ricorda il nostro feudalesimo. L‟Italia, desiderosa di espandere i propri
domini verso l‟interno, venne nuovamente in contatto con l‟Etiopia nel
corso degli anni „80 del IXX secolo. Il 2 maggio 1889 fu stipulato il
Trattato di Uccialli tra Italia ed Etiopia, con la finalità principale di
stabilire i reciproci rapporti tra i due Paesi. Tuttavia nacque una grave
controversia riguardo all‟interpretazione dell‟art. 17: nella versione
italiana, infatti, l‟Etiopia si impegnava a lasciare che l‟Italia curasse le
sue relazioni internazionali, divenendo di fatto un protettorato italiano,
mentre nella versione in lingua amarica era scritto che l‟Etiopia poteva
facoltativamente usufruire della collaborazione del governo italiano nelle
sue relazioni internazionali2. Questo, insieme ad altri motivi di attrito
legati alla presenza dell‟Italia nella regione, fecero scoppiare la Guerra di
Abissinia, nel 1895. Il conflitto terminò nel 1896 con un esito disastroso
2
Cfr. Scipione Gemma – Storia dei Trattati 1815-1948 – Firenze 1949 pag. 310 e seguenti.
12
per l‟Italia, a seguito della tristemente nota disfatta di Adua. Si arrivò
così al Trattato di pace Addis Abeba, col quale fu abrogato il Trattato di
Uccialli in via definitiva: l‟Italia rinunciava a qualsiasi ingerenza sulla
politica etiopica e l‟Etiopia si impegnava a riconoscere il dominio
italiano sull‟Eritrea. La dura sconfitta subita in Etiopia e la conseguente
umiliazione di fronte alle altre potenze europee, fecero nascere in una
parte del popolo italiano un forte senso di rivalsa, che tuttavia rimase
latente per molti anni. Fu risvegliato solo in epoca fascista e con lo scopo
di alimentare le mire espansionistiche del Regime nel corno d‟Africa.
1.2 Fase preparatoria.
Già dal 1928, l‟Italia aveva intrapreso una politica di riavvicinamento
con l‟Etiopia, in particolare attraverso la stipulazione di un trattato di
amicizia che prevedeva la risoluzione di eventuali futuri contrasti tra le
due nazioni attraverso arbitrato, oltre che la costruzione di una strada che
avrebbe collegato Dessiè ad Assab e la concessione all‟Etiopia di una
zona del porto di Assab.
Mussolini tuttavia mirava alla costituzione di un grande impero coloniale
che ricordasse quello romano e l‟unico territorio ancora del tutto libero
in Africa era l‟Etiopia (a parte la Liberia, di scarso interesse strategico
per l‟Italia), dunque le mire espansionistiche italiane si riversarono
ancora una volta su questo Stato. I rapporti tra Roma e Addis Abeba
andarono peggiorando a partire dal 1934, anno in cui l‟Italia subì un
13
attacco al consolato di Gondar e all‟accampamento di Ual Ual3. Italia ed
Etiopia si rivolsero alla Società delle Nazioni, che tuttavia non ritenne
colpevole dell‟incidente né l‟una né l‟altra. Seguì un secondo ricorso da
parte dell‟Etiopia, ancora una volta senza esito. Nello stesso periodo, nel
gennaio 1935, Mussolini incontrò il Ministro degli Esteri francese Pierre
Laval, per stipulare un accordo che prevedeva:
A.
La riconferma per dieci anni, per quanto riguarda i rapporti con
la Tunisia, delle Convenzioni di commercio e navigazione, consolare e
di stabilimento e di estradizione del 1896 denunciate nel 1918 e da allora
tacitamente riconfermate ogni tre mesi4;
B.
Una rettifica della frontiera tra Libia e Africa Equatoriale
francese e tra Eritrea e Costa francese dei Somali a favore dell‟Italia;
C.
Il riconoscimento all‟Italia della sovranità sull‟isola di Dumerrah;
D.
Un esplicito “desintéressement” per un eventuale futuro dominio
italiano sull‟Etiopia5.
1.3 Lo scontro.
Mussolini aveva ormai garantita la neutralità di Francia e Gran Bretagna
grazie ad una diplomazia “altalenante”; così, dopo mesi di preparazione
volta ad assicurare i collegamenti e le comunicazioni, il 2 ottobre 1935
annunciò la guerra contro l‟Etiopia, facendosi portavoce di quei rancori
3
Cfr. Roberto Cimmaruta – Ual Ual Somalia 1934 – Genova 2009.
Cfr. Charles Monchicourt – Les italiens de Tunisie et l‟accord Laval-Mussolini de 1935 – Paris 1938
vol. II pp. 3-44 “les conventions de 1896 et leur révision” e pp. 109-144 “le future statut des italiens
de Tunisie”.
5
Cfr. Monchicourt op. cit. pp. 189-232 “la population italienne et la guerre d‟Abyssinie”.
4
14
che il popolo italiano si portava dentro da anni6. Diede ordine al generale
Emilio De Bono di dare inizio alle operazioni militari, forte di 100.000
soldati italiani suddivisi in undici divisioni (di cui cinque composte da
volontari delle Camicie nere) e due divisioni eritree7.
Il giovane sottotenente Amedeo Guillet intanto, spinto dal senso del
dovere a prendere parte alle operazioni, rinunciò a partecipare alle
Olimpiadi di Berlino e raggiunse le truppe italiane in Eritrea alla testa
del suo gruppo di Spahis libici, agli ordini del maggiore Ajmone Cat.
Il 6 ottobre venne presa la cittadina di Adua, risultato molto importante
per la propaganda, visto come una sorta di rivincita dalla sconfitta subita
quaranta anni prima nello stesso luogo. Le sanzioni della Società delle
Nazioni arrivarono il 7 ottobre, votate da cinquantuno Paesi membri su
cinquantaquattro, ma senza grandi risultati in quanto vari Paesi, pur
avendo votato le sanzioni, continuarono a rifornire l‟Italia, in particolare
gli USA, non essendo membri della Società delle Nazioni, non erano
vincolati al rispetto delle sanzioni e rifornirono abbondantemente l‟Italia,
soprattutto di carburante. Ben presto il generale De Bono venne
sostituito dal più dinamico Badoglio, ritenuto più adatto a raggiungere
una rapida vittoria sull‟Etiopia.
Nel dicembre 1935 Francia ed Inghilterra, a guerra già iniziata, fecero
l‟ultimo tentativo per conciliare i rapporti tra Italia ed Etiopia: il patto
Hoare-Laval. Tale accordo prevedeva la realizzazione di un piano, da
6
Cfr. G. Rochat – Il colonialismo italiano – Torino 1974 pp. 163-164 “Quando nel 1915 l'Italia si
gettò allo sbaraglio e confuse le sue sorti con quelle degli Alleati, quante esaltazioni del nostro
coraggio e quante promesse! Ma, dopo la vittoria comune, alla quale l'Italia aveva dato il contributo
supremo di seicentosettantamila morti, quattrocentomila mutilati, e un milione di feriti, attorno al
tavolo della esosa pace non toccarono all'Italia che scarse briciole del ricco bottino coloniale altrui”.
7
Cfr. Pietro Badoglio – La guerra d‟Etiopia – Milano 1937 pp. 33-42 “la preparazione”. Interessante a
proposito dei guerrieri ascari: Emilio de Bono – La preparazione e le prime operazioni – Firenze 1936
pp. 19-20 “L‟Eritrea è stata sempre per noi una miniera di ottimi soldati. Ottimi sotto tutti i punti di
vista, ma specialmente da quello dell‟affettuoso attaccamento al proprio superiore. L‟ascaro eritreo ha
profondo il senso e il culto della giustizia. Disciplinato nel più rigoroso senso della parola si ribella di
fronte a ciò che egli stima ingiusto. Per lui l‟arruolamento è un contratto bilaterale col Governo;
entrambe le parti debbono mantenere i patti; essi non vengono a transazioni, e sul punto diritti e doveri
non accettano né imposizioni e tanto meno discussioni.”
15
presentare poi alla Società delle Nazioni, che poneva le regioni
dell‟Ogaden e del Tigrai sotto diretto controllo italiano e gran parte del
restante territorio etiope sotto influenza economica italiana. Questo
atteggiamento particolarmente conciliante verso l‟Italia è giustificato dal
fatto che le due potenze europee avessero estrema necessità di alleati da
contrapporre alla Germania nello scacchiere europeo. Mussolini si
mostrò favorevole all‟accordo, ma questo fu scoperto pochi giorni dopo
e denunciato in quanto lesivo degli interessi dell‟Etiopia, che era pur
sempre uno Stato libero, nonché membro della Società delle Nazioni già
dal 1923. Hoare e Laval furono costretti a dimettersi, mentre in Etiopia
le operazioni militari proseguivano.
Tra dicembre 1935 e gennaio 1936 fu combattuta la prima battaglia del
Tembien: dopo un‟iniziale avanzata italiana, le truppe furono respinte
con forza e costrette a cedere terreno e a ritirarsi presso Selaclacà. Qui le
truppe etiopi tentarono di attaccare sul fianco ma furono respinte dagli
Spahi di Guillet, il quale, in questo frangente, si guadagnò una medaglia
di bronzo al valore8 (oltre che una grave ferita alla mano sinistra
provocata da un proiettile a frammentazione “Dum-Dum” che gli causerà
diversi problemi durante gli anni successivi). Successivamente gli
italiani passarono al contrattacco riconquistando tutte le posizioni
precedentemente perse, ma concludendo lo scontro senza grandi
vantaggi né per l‟una né per l‟altra parte. Nel corso di questa battaglia si
ebbe uno dei rari casi attestati di utilizzo di iprite da parte italiana, il 23
dicembre, nella valle di Tacazzè. Questo evento macchiò indelebilmente
la vittoria italiana, mettendo in discussione lo stesso valore dei soldati
8
MEDAGLIA DI BRONZO al V.M.: "Avuto il compito di proteggere con una ventina di spahije il
fianco di un gruppo fortemente impegnato in combattimento, veniva attaccato da un nemico superiore
di forze e favorito da terreno insidiosissimo. Respinti gli elementi avanzati, appiedava i suoi uomini e
con ripetuti attacchi e contrattacchi a piedi ed a cavallo, costringeva in fuga l'avversario, sventando
così validamente la minaccia nemica sul grosso del gruppo. Bell'esempio di calma e di valore".
Selaclacà, 25 dicembre 1935. Registrato alla Corte dei Conti il 12 marzo 1938 – Registro n.23 Africa
Italiana - Foglio 295.
16
italiani che stavano combattendo con coraggio, tanto che questa azione
scatenò vive proteste da parte di molti ufficiali italiani che videro
compromesso il loro prestigio e il valore dei loro uomini.
Nel frattempo a sud Graziani sconfiggeva le truppe di ras Destà,
prendendo la città di Neghelli il 20 gennaio.
Seguì la battaglia dell’Endertà nel febbraio 1936: le truppe italiane
accerchiarono l‟Amba Aradam, gli etiopi attaccarono per spezzare
l‟assedio ma non riuscirono e furono costretti a ritirarsi. Al termine della
battaglia, l‟Italia riportò una netta vittoria sul nemico, conquistando
l‟Amba Aradam ed annientando l‟armata del ras e Ministro della guerra
Mulughietà. Durante questa battaglia avvenne il massacro della
Gondrand9, presso Mai Lahlà, nel quale un cantiere stradale italiano
abitato da operai ed ingegneri e difeso solo da filo spinato e pochi fucili,
fu attaccato dai guerriglieri del fitaurari Tesfai che massacrarono e
mutilarono selvaggiamente tutti gli abitanti (era loro usanza castrare i
cadaveri degli uomini ed amputare il seno a quelli delle donne, mentre i
bambini, generalmente, venivano castrati ma lasciati in vita). Anche in
questo caso intervenne Guillet con i suoi Spahi, mettendo in fuga i
predoni ancora all‟interno del recinto ed inseguendo gli altri. L‟azione fu
ingigantita dalla propaganda fascista, desiderosa di dimostrare che il
massacro della Gondrand era stato vendicato a dovere; in realtà la caccia
durò ben poco e Guillet dovette allontanarsi perché, nell‟inseguimento, si
stavano avvicinando troppo al grosso delle truppe di ras Immirù.
A fine febbraio 1936 ci fu la seconda battaglia del Tembien: le truppe
italiane ottennero una schiacciante vittoria sul nemico, grazie soprattutto
ad una memorabile azione portata avanti da rocciatori nazionali ed ascari
i quali, nel cuore della notte, scalarono le cime di Uorc Amba attaccando
9
Cfr. Angelo del Boca - Etiopia 1936: Il massacro degli uomini della Gondrand - Storia Illustrata, n.
311 ottobre 1983 e Angelo del Boca – La verità sul massacro della Gondrand.
17
il nemico di sorpresa, aiutati poi dal resto delle truppe che attaccarono
frontalmente e sul fianco, sbaragliando le truppe di ras Cassa e di ras
Sejum e subendo minime perdite.
Pochi giorni dopo ebbe inizio la battaglia dello Scirè: la nuova
offensiva italiana diretta stavolta contro le truppe del ras Immirù, il quale
aveva occupato lo Scirè. Gli abissini riuscirono a tener testa agli italiani,
infliggendo loro dure perdite, ma poi furono sorpresi dall‟aviazione
italiana durante una manovra evasiva sul fiume Tacazzè per evitare
l‟accerchiamento, ostacolate anche dai continui attacchi da parte dei
feroci guerriglieri Azebò Galla. La battaglia si concluse a favore
dell‟Italia che acquistò un grande vantaggio strategico sul nemico,
riuscendo ad occupare Gondar e Socotà. Riguardo la presa di Gondar è
necessaria una precisazione: la propaganda fascista dell‟epoca fece
passare la presa della città come una vittoria fascista, infatti il primo ad
entrare in città fu Achille Starace alla testa della sua colonna di Camicie
nere motorizzate, mentre gli Spahi del maggiore Ajmone Cat e di
Guillet, che già si trovavano sul posto da diversi giorni, avevano ricevuto
l‟ordine improvviso di fermarsi, appunto per fare in modo che le
Camicie nere avessero l‟onore di prendere l‟importante centro di
Gondar, provocando così un forte risentimento tra le truppe armate10.
Il 31 marzo 1936 fu combattuta la battaglia del lago Ascianghi:
l‟ultima grande offensiva portata dal negus contro le truppe italiane.
Dopo la sconfitta subita sullo Scirè, Hailé Selassié radunò il grosso delle
forze etiopi ancora a disposizione nella speranza di sconfiggere gli
italiani in campo aperto presso le rive del lago Ascianghi. L‟imperatore
stesso scese in campo ed incoraggiò il morale delle truppe con regali e
10
Cfr. Paolo Caccia Dominioni – Amhara – cronache della Pattuglia astrale – Milano 2006 pag. 500
“[…] ma non era possibile che il Segretario del partito [Starace] arrivasse secondo.”
Cfr. Sebastian O‟Kelly – Amedeo: vita, avventura e amori di Amedeo Guillet, un eroe italiano in
Africa orientale – Milano 2002 pp. 91-92.
18
denaro, cercando soprattutto di garantirsi la dubbia fedeltà dei cavalieri
Azebò Galla. Badoglio tuttavia conosceva in anticipo il giorno
dell‟attacco e riuscì ad organizzare le difese in modo ottimale. La
battaglia ebbe inizio con due cariche disperate di fanteria etiope che
venne però falciata dalle truppe italiane. Il negus mandò poi alla carica la
sua Guardia Imperiale, il corpo più prestigioso e meglio armato del suo
esercito, che riuscì a spezzare le linee italiane ma fu poi respinta a colpi
di baionetta dagli ascari del Battaglione Toselli. Quando Hailé Selassié si
rese conto che la sua Guardia Imperiale stava perdendo terreno, scagliò
sul nemico i cavalieri Azebò Galla i quali però, anziché piombare sugli
italiani, caricarono alle spalle la Guardia Imperiale. La rotta fu
inevitabile e catastrofica e gli italiani occuparono Dessiè.
Il negus era ormai solo; i suoi migliori generali erano stati sconfitti, i
suoi alleati gli avevano voltato le spalle. Le uniche strade praticabili
erano il suicidio o la fuga in Europa nella speranza di trovare nuovi
alleati per la sua causa. Fu proprio questa la sua scelta e il 2 maggio
lasciò l‟Etiopia per fuggire a Londra, dove vi rimase per cinque anni.
Addis Abeba volgeva ormai in uno stato di caos assoluto, in preda ai
banditi che la saccheggiavano ininterrottamente, tanto che la popolazione
europea locale aspettava con impazienza l‟entrata in città delle truppe
italiane, che avvenne il 5 maggio alle ore 16.0011. Pochi giorni prima
Graziani era riuscito a prendere da sud le città di Harar e Dire Daua.
La guerra era ormai giunta a conclusione: il 7 maggio l‟Italia annetté
ufficialmente l‟Etiopia e il 9 maggio Mussolini proclamò l‟Impero dal
balcone di piazza Venezia e nominò Pietro Badoglio viceré d‟Etiopia.
Al ritorno dalla campagna di Abissinia, Amedeo Guillet si recò a Tripoli,
dove fu decorato con la medaglia di bronzo direttamente dal Governatore
della Libia Italo Balbo per l‟impresa di Selaclacà e fu promosso tenente.
11
Cfr. Pietro Badoglio op. cit. pp. 202-203.
19
1.4 Fine della guerra e inizio dell‟amministrazione coloniale italiana.
Le perdite subite dagli etiopi, secondo il rapporto fornito alla Società
delle Nazioni da Hailé Selassié, sarebbero state di 760.000 etiopi;
tuttavia gli storici ritengono tale cifra esagerata. Lo storico italiano
Angelo Del Boca stima le perdite attorno ai 450.000 uomini fra etiopi,
somali e libici.
Le perdite italiane invece, minimizzate dalla propaganda del regime,
ammonterebbero a 4350 morti tra militari e civili, di cui 2000 sarebbero
caduti in combattimento, mentre i restanti sarebbero morti per malattia o
per incidenti. Per quanto riguarda le forze ascare, la stima delle perdite
va dai 3000 ai 4500 uomini12.
La vittoria italiana sulle forze etiopi ebbe grande risonanza in Italia,
ingigantita anche dalla propaganda fascista, che ne fece un vero e
proprio trionfo della superiore razza italiana sulla barbarie del popolo
etiope13. In realtà alla vittoria italiana seguirono mesi e mesi di dura
guerriglia, di attacchi ai convogli italiani e di sabotaggi portati avanti da
guerriglieri etiopi, per lo più ex militari rimasti fedeli al negus, che
combattevano per il suo ritorno al potere, spesso sovvenzionati dai
governi ostili alla presenza dell‟Italia in Etiopia14.
L‟amministrazione coloniale italiana, in questo primo periodo, era
affidata alla reggenza del viceré Rodolfo Graziani, succeduto a Pietro
Badoglio l‟11 giugno 1936. Graziani, sin dal suo arrivo, attuò una dura
repressione della guerriglia locale, mettendo in atto la stessa politica
12
Cfr. Giorgio Rochat - Le guerre italiane 1935-1943. Dall'impero d'Etiopia alla disfatta – Torino
2005 pag. 128
13
Cfr. Pietro Badoglio op. cit. pp. 209-217.
14
Cfr. History of the second world war - 1966 Bristol (UK), 1967 Rizzoli Milano vol. II pag. 3 “[…] Il
generale Wavell aveva ordinato di prendere in esame la possibilità di fomentare una ribellione etiopica
contro gli italiani, nel caso l‟Italia fosse entrata in guerra […] perciò, quando l‟Italia dichiarò guerra, il
colonnello Sandford venne inviato in Etiopia a capo di una piccola missione militare che doveva
svolgere la sua opera fra i capo tribù simpatizzanti”.
20
repressiva che utilizzò contro i ribelli libici negli anni venti. La violenza
con la quale portò avanti il suo compito, se da un lato ebbe come effetto
l‟eliminazione di alcune bande di guerriglieri, dall‟altro gli fece
guadagnare l‟odio e il disprezzo della popolazione locale, che mal
sopportava la sua reggenza15. Odio e disprezzo che culmineranno
nell‟attentato organizzato contro la sua persona il 19 febbraio 193716, nel
quale il viceré rimase gravemente ferito dall‟esplosione ravvicinata di
una granata. L‟ondata di violenza non terminò con l‟attentato, anzi
questo causò una durissima rappresaglia da parte delle forze di polizia
coloniale e degli stessi civili italiani residenti, incitati alla vendetta dallo
stesso Graziani. Uno dei più gravi episodi si verificò fra il 21 e il 27
maggio 1937, quando, per ordine del viceré, il generale Maletti fece
eseguire la fucilazione di 450 tra monaci e giovanissimi diaconi del
convento di Debra Libanos, dove Graziani pensava che avessero trovato
rifugio gli organizzatori dell‟attentato. Le fucilazioni vennero affidate al
45° battaglione musulmano perché si temeva che i battaglioni cristiani si
sarebbero rifiutati17.
La situazione iniziò a stabilizzarsi solo nel dicembre 1937, quando
Graziani venne sostituito dal Duca Amedeo D‟Aosta. Egli, non appena
insediato, per prima cosa destituì gran parte dei collaboratori assunti dal
suo predecessore, da lui ritenuti corrotti e poco adatti a svolgere i delicati
15
Come ho avuto modo di constatare personalmente grazie ad una conversazione che tenni nell‟agosto
2010 col signor Gebreselassie Beraki (che prestò servizio nel I battaglione III compagnia coloniale,
poi trasferito nella prima brigata del generale Gallina e in ultimo trasferito nel LXXXI battaglione
d‟istanza a Gondar al comando del generale Nasi), ultimo ascaro residente in Italia, il quale pose
l‟accento sulla cattiva reggenza di Graziani, elogiando invece l‟operato del duca Amedeo D‟Aosta.
16
La goccia che fece traboccare il vaso fu la fucilazione dei fratelli Cassà (figli del ras Cassà
Darghieu, seconda autorità dell‟impero negussita), eseguita il 21 dicembre 1936 per ordine di Graziani
a tradimento, dopo averli fatti arrendere sotto garanzia di aver salva la vita, firmata da Graziani stesso
e dal generale Tracchia. Il fatto ebbe conseguenze disastrose per l‟Italia e per la sua credibilità presso
la popolazione locale; seguirono infatti diverse diserzioni tra gli indigeni, che avevano un‟alta
considerazione della fedeltà alla parola data.
Sull‟argomento cfr. Ettore Formento – Kai Bandera - Milano 2000 pp. 34-35 “L‟Impero fu sull‟orlo
della ribellione generale; in un giorno sparirono tutte le simpatie sino ad allora guadagnate. […] La
situazione non tornò mai più quella di prima; in ogni Provincia spuntarono nuove ed irriducibili bande
di ribelli”.
17
Cfr. Ettore Formento op. cit. pag.38.
21
incarichi amministrativi propri della posizione che si trovavano ad
occupare (dei cinque Governatori l‟unico a non essere congedato fu il
generale Guglielmo Nasi di Harar, già distintosi per non aver messo in
atto la violenta politica repressiva di Graziani). Sin da subito si rese
conto che, per ottenere il controllo dell‟area, era essenziale ottenere
prima la fiducia della popolazione locale. Capiva infatti che le bande di
guerriglieri ostili al dominio italiano non sarebbero mai state sconfitte in
via definitiva finché avrebbero avuto il favore dei connazionali, che li
supportavano spesso rifocillandoli e permettendo loro di nascondere le
armi nei villaggi. Pertanto il nuovo viceré iniziò una politica più
conciliante verso gli abitanti, favorendo al contempo l‟integrazione dei
coloni italiani ed iniziando anche la costruzione di tutta una serie di
opere pubbliche (pozzi, strade, ponti ed edifici vari) volte da un lato a
migliorare le condizioni di vita nella colonia, dall‟altro a far sì che nel
popolo si infondesse la convinzione della bontà dell‟azione italiana in
Etiopia.
La nuova politica amministrativa risultò decisamente vincente e
fruttuosa: nel giro di due anni la resistenza poteva considerasi quasi del
tutto abbattuta, mentre la percezione del dominio coloniale italiano era
decisamente positiva, come dimostrano anche i resoconti dell‟epoca e
molte testimonianze indigene.
22
1.5 Nasce il Gruppo Bande Amhara a cavallo.
Il giovane tenente Guillet in questo periodo, reduce dalla guerra civile
spagnola e da una lunga convalescenza causata dalla malaria e dalla
vecchia ferita alla mano sinistra, fu convocato dal generale Frusci, da
poco nominato Governatore della regione Amhara, il quale desiderava
affidargli un importante incarico in Etiopia al fine di fargli conseguire la
promozione a capitano che non poté ottenere in Spagna18. Fu così che
Frusci, su diretto ordine del viceré, assegnò a Guillet il compito di
assemblare un reggimento interno di cavalleria indigena che avrebbe
dovuto arruolare, armare ed addestrare nel più breve tempo possibile19.
L‟unità era un Gruppo Bande: una coscrizione meno formale dei regolari
reggimenti coloniali, costituita in gran parte da soldati locali soggetti ad
una disciplina militare più blanda; sarebbe servita soprattutto per
missioni di ricognizione ed avrebbe fatto capo direttamente al generale
Frusci. L‟armata, costituita da circa 1700 uomini, doveva chiamarsi
Gruppo Bande Amhara a cavallo ed avrebbe compreso rappresentanti di
tutte le etnie locali, sia musulmani sia copti (sempre nel reciproco
rispetto delle credenze religiose): eritrei, tigrini, amhara, mercenari
yemeniti e persino ebrei (i falascià), contravvenendo alle leggi razziali
entrate in vigore nell‟Impero. Amedeo scelse poi un medico, un
veterinario, dei maniscalchi e cinque giovani tenenti italiani col compito
18
Il Governo italiano si rifiutò di concedere promozioni per meriti di guerra per la partecipazione alla
guerra civile spagnola; farlo avrebbe significato riconoscere ufficialmente la partecipazione dello
Stato italiano al conflitto, cosa che avrebbe acuito le tensioni con Francia, Inghilterra e URSS.
19
Riguardo ai sistemi di reclutamento delle unità indigene cfr. Alessandro Volterra – Sudditi
coloniali. Ascari eritrei 1935-1941 – Milano 2005 pag 78 “Il sistema di reclutamento era sottoposto al
controllo dei residenti, si trattava di funzionari coloniali o di ex ufficiali dell‟esercito che
amministravano il territorio […] ancora sotto i cicca, cioè i capi villaggio. […] Proprio ai cicca era
affidato il compito di reclutatori per conto del Governo italiano e sono loro che individuano e
selezionano i giovani da inviare sotto le armi.”
A tal proposito, nella nota 106 di pag. 78 intervista ad Amedeo Guillet del 16.07.2004: “Gli ascari
reclutati li selezionavo io […] attraverso i capi villaggio mi facevo presentare gli uomini che dovevo
prendere”.
23
di addestrare e comandare i vari squadroni: Renato Togni, Guido
Battizzocco, Filippo Cara, Alberto Lucarelli ed Ambrogio Mattinò20. La
formazione di cavalleria venne ufficialmente costituita il 1 luglio 1938.
Il Gruppo Bande Amhara di Amedeo Guillet ebbe una grande
importanza nell‟azione contro la guerriglia locale e contro i banditi (gli
shifta) che quotidianamente approfittavano del caos generale per
depredare villaggi indifesi. In particolare si distinse sconfiggendo la
banda di Uvenè Tessemmà, un ex capo militare etiope fedele al negus21
che tuttavia riuscì a fuggire; vittoria resa possibile grazie ad uno
straordinario lavoro di intelligence nei villaggi e grazie al grande valore
in campo dimostrato dagli uomini. L‟impresa fece meritare al tenente
Guillet una nuova medaglia d‟argento al Valor Militare22. Generalmente
il trattamento riservato dalle truppe italiane ai ribelli era la fucilazione
sul posto, non si prendevano prigionieri23; in quell‟occasione però
Guillet, colpito dal coraggio e dalla fierezza di quegli uomini, diede loro
la possibilità di arruolarsi nel Gruppo Bande. L‟esperimento riuscì e, per
tutta la vita del Gruppo, non si registrò neanche una diserzione, ennesima
20
Riguardo alla composizione del Gruppo Bande Amhara a cavallo Cfr. Sebastian O‟Kelly op. cit. pp.
167-174.
21
Una curiosità: Tessemmà, come anche altri capi rimasti fedeli ad Hailé Selassié, aveva giurato che
finché il negus non fosse tornato sul suo legittimo trono non si sarebbe tagliato né barba né capelli,
adottando l‟acconciatura c.d. “rastafariana”, appunto da Ras Tafarin.
22
MEDAGLIA D'ARGENTO al V.M.: "Comandante di un gruppo di Cavalleria, informato che i
nuclei ribelli molestavano le popolazioni sottomesse, accorreva prontamente caricando, fugando ed
infliggendo perdite al nemico. Avuto il cavallo morto durante la carica, saltava in groppa a quello del
proprio attendente e si slanciava fra i primi sulle posizioni avversarie. Colpito a morte anche il
secondo cavallo, proseguiva a piedi l'attacco, inseguendo e mitragliando i ribelli".
Dongur Dubà, 6 agosto 1939. R.D. 3 febbraio 1938 – Registrato alla Corte dei Conti il 25 settembre
1949 – Registro n.8 Africa Italiana - Foglio 312.
23
Cfr. Ettore Formento op. cit. pag 179 “In quell‟epoca un ribelle preso con le armi veniva fucilato
appena catturato, sul campo, quasi automaticamente, si potrebbe dire senza traumi; era un atto che
costituiva un momento del combattimento e niente più; prigionieri non se ne facevano e tutto finiva
lì”. Interessante anche quanto scritto a tal proposito dal generale Guglielmo Nasi: “Raccomando
vivamente che quei ribelli che si arrendono in combattimento o che comunque vengono catturati, non
siano passati per le armi, ma tradotti in campi di concentramento. Bisogna sfatare la leggenda che le
nostre truppe non risparmiano neanche chi si arrende”.
24
dimostrazione di fedeltà e di attaccamento al comandante da parte delle
truppe indigene24.
24
In genere la forma di protesta usata dalle truppe ascare era quella dell‟abiet: nel momento in cui
veniva dato l‟ordine “rompete le righe”, gli uomini restavano sull‟attenti disobbedendo all‟ordine
ricevuto. Questo era considerato un gesto estremo, una sorta di preavviso lanciato dalle truppe quando
disapprovavano un comando o non ritenevano il loro ufficiale idoneo al comando, perciò viene
considerato dal generale Frusci al pari di un ammutinamento. Ad ogni modo episodi di questo tipo se
ne registrano davvero pochi.
25
CAPITOLO SECONDO
GUERRA CIVILE SPAGNOLA (1936-1939)
2.1 Principali cause del conflitto.
Agli inizi del XX secolo, la Spagna presentava una situazione culturale,
politica ed economica del tutto particolare rispetto al resto d‟Europa. Dal
punto
di
vista
politico-economico,
era
composta
da
regioni
profondamente arretrate e legate ancora ad un‟economia di tipo
prettamente rurale, e regioni caratterizzate invece da un notevole
progresso in campo industriale, come ad esempio la Catalogna. Dal
punto di vista culturale, la Spagna appariva molto frammentata:
l‟avanzamento economico di alcune regioni rispetto ad altre, infatti,
contribuì pesantemente a rimarcare le già evidenti differenze culturali
esistenti tra queste e ad alimentare le tendenze separatiste (soprattutto in
Catalogna e nei Paesi Baschi, dove era più evidente il solco culturale e il
senso di appartenenza ad una realtà particolare piuttosto che nazionale).
Le regioni che presentavano un maggior grado di sviluppo industriale,
infatti, si trovarono prima delle altre ad affrontare questioni inerenti al
rapporto tra borghesia industriale e proletariato, le prime lotte sindacali e
26
l‟emergere di movimenti più o meno organizzati in difesa della classe
lavoratrice, come per esempio la UGT (Unión General de Trabajadores)
e la CNT (Confederación Nacional del Trabajo), quest‟ultima molto
vicina a posizioni anarchiche. Non stupisce, pertanto, che le regioni più
arretrate della Spagna siano quelle più attaccate alla tradizione, ai valori
cristiani cattolici e quindi anche alla monarchia. A questa situazione di
grande conflittualità interna, si aggiunga il problema delle guerre
marocchine, che impegnarono la Spagna con altissimi costi in termini
economici e di vite umane, in un già difficile periodo di crisi. Queste, a
grandi linee, le condizioni nelle quali versava la Spagna agli inizi degli
anni venti. Il re Alfonso XIII, oltretutto, si dimostrò assolutamente
inadeguato e non riuscì in nessun modo a mediare tra le diverse forze
all‟interno del Paese. Perciò, quando nel 1923 il generale Miguel Primo
de Rivera, esponente delle forze conservatrici, gli presentò il suo
“ultimatum”, il re lasciò che questi assumesse il potere ed instaurasse la
dittatura, che durò fino al gennaio 1930. In questo periodo il generale
attuò un ambizioso programma di opere pubbliche (in particolare strade
e ferrovie), dando così al Paese un‟aria di prosperità, favorito comunque
dal boom economico degli anni venti. Le cause della sua caduta, infatti,
sono da ricercare in buona parte nella crisi del 1929, che rese
irrealizzabili i suoi grandiosi progetti finanziari, costringendolo a
prendere la via dell‟esilio. Agli inizi del 1930 la Spagna versava quindi
in una situazione di confusione ancora maggiore, divisa all‟interno e
senza una guida forte capace di armonizzare gli interessi e le ideologie
contrastanti. Per un periodo, il re cercò di prendere le redini del governo,
ma i suoi insuccessi non fecero altro che allontanare la monarchia dalla
popolazione spagnola, che ormai non ne vedeva più la necessità. Le
elezioni municipali del 1931 riflettevano appieno il quadro socio-politico
della Spagna di quegli anni: in tutte le maggiori città spagnole il numero
27
dei suffragi in favore dei repubblicani fu enorme, mentre restava elevato
il numero delle preferenze conquistate dai monarchici nei centri minori,
almeno quanto bastava per garantire loro una maggioranza sul piano
nazionale. L‟esito delle elezioni portò a numerose rivolte nelle città, in
particolare a Madrid, dove il re, saggiamente, preferì abbandonare la
capitale ed il trono per evitare spargimenti di sangue che, ad ogni modo,
non avrebbero fatto altro che acuire le fratture già esistenti e l‟odio per la
monarchia. Nasceva così la seconda Repubblica spagnola (la prima,
proclamata l‟11 febbraio 1873, durò solo undici mesi). Il Governo
provvisorio che prese le redini dello Stato nei primi mesi, subito cercò di
risolvere i problemi più urgenti avviando i lavori per una riforma agraria
ed aprendo i negoziati con i baschi e i catalani per cercare di trovare una
soluzione agli antichi problemi. L‟assetto repubblicano non sanò i
considerevoli contrasti tra forze di destra e forze di sinistra, soprattutto
con riferimento alle tendenze separatiste basche e catalane e con
riferimento al rapporto con la Chiesa cattolica. La Costituzione
approvata nel 1931, che diede l‟assetto costituzionale alla seconda
repubblica, presentava una forte connotazione di sinistra e anticlericale.
Il biennio 1932-1934 viene ricordato come biennio riformista: in questo
periodo, infatti, in Spagna, oltre alla riforma agraria, vennero presi
provvedimenti volti a proibire l‟insegnamento agli ordini religiosi e ad
espropriare le terre appartenenti alla Chiesa. Questa serie di
provvedimenti fu accompagnata da un‟ondata di violenze contro il clero
spagnolo che si rese concreto in incendi di chiese ed aggressioni ad
ecclesiastici, portate avanti per lo più da estremisti anarchici, che
vedevano nell‟istituzione della Chiesa e nella stessa religione cattolica
uno dei capisaldi da abbattere della tradizione spagnola. Tali violenze
tuttavia, invece che frazionare e scoraggiare le forze di destra, le resero
più compatte e più determinate nella lotta.
28
Fu così che, in occasione delle elezioni del novembre 1933, la CEDA
(Confederación Española de Derechas Autónomas, che riuniva tendenze
politiche che andavano dal centro-destra alla destra fascista e godeva
dell‟appoggio della Chiesa cattolica, che vedeva la CEDA come mezzo
per controbilanciare le violenze della sinistra) riuscì a vincere. Seguì il
cosiddetto “biennio nero”, durante il quale, sin dall‟inizio, apparve
chiara l‟intenzione di distruggere tutto ciò che era stato fatto dal
precedente governo. Seguirono ovviamente scioperi e proteste da parte
della popolazione delle grandi città, spesso repressi nel sangue (un
esempio per tutti: la ribellione armata scoppiata nelle Asturie e
violentemente soppressa con l‟aiuto delle truppe comandate da Franco e
Goded). La repressione ebbe come risultato il rafforzamento e il
ricompattamento dell‟avversario, come sempre avviene in questi casi: i
partiti di sinistra iniziarono infatti a tentare di costituire un fronte
popolare da contrapporre alle forze nazionaliste, avvicinandosi allo
stesso tempo al comunismo sovietico. Nel 1934, intanto, le due
organizzazioni paramilitari di destra, ossia la Falange e la JONS (Juntas
de Ofensiva Nacional-Sindicalista), unirono le loro forze e si fusero
formando la FE de las JONS (Falange Española de las Juntas de
Ofensiva Nacional Sindicalista), che ebbe come leader José Antonio
Primo de Rivera, figlio dell‟ex dittatore. Il 16 febbraio 1936 la Spagna
andò alle urne e le elezioni si svolsero regolarmente e senza brogli. I
risultati elettorali riportarono una netta vittoria del fronte popolare sul
fronte nazionale, anche se la successiva propaganda nazionalista tenterà
di falsare i dati delle elezioni25. Azaña e i suoi ministri inaugurarono la
nuova amministrazione con un invito alla calma, cercando di non attuare
un‟eccessiva repressione nei confronti dei nazionalisti autori delle
25
Cfr. Hugh Thomas – Storia della guerra civile spagnola – Torino 1963 pag 96 “Ma più tardi si
fecero con queste cifre i più straordinari giochi di prestigio, per dimostrare che il Fronte popolare si
era impadronito del potere illegalmente”.
29
violente repressioni degli anni precedenti (Franco e Goded furono
semplicemente allontanati), tuttavia questa politica non portò i frutti
desiderati e una nuova ondata di violenza colpì la popolazione spagnola.
Stavolta la violenza proveniva sia dalle sinistre, euforiche per aver
ottenuto l‟amnistia e per aver tolto il potere alla CEDA, sia dalle destre,
che miravano a creare più caos possibile in modo da approfittare della
situazione di instabilità per tornare al potere, giustificati dall‟esigenza di
riportare l‟ordine nel Paese26. In questo periodo l‟unione tra le forze di
sinistra cominciò ad incrinarsi a causa di differenze di vedute circa il
carattere da dare agli scioperi, mentre, dall‟altra parte, le forze di destra
cominciarono a far fronte comune e a pensare seriamente ad un colpo di
stato “per salvare la Spagna”. Tra i congiurati troviamo Franco, Mola,
Goded, Queipo de Llano, Sanjurjo (il quale già dal febbraio 1936 aveva
iniziato ad informarsi circa la possibilità dell‟invio di soldati tedeschi in
Spagna per sostenere la causa nazionalista) e il banchiere March, il quale
già da tempo finanziava la CEDA e le forze nazionaliste dall‟estero. Il
progetto elaborato da Mola per arrivare ad un rapido controllo del
territorio prevedeva una capillare organizzazione: in ogni singola
provincia i nazionalisti avrebbero dovuto contemporaneamente prendere
il controllo dei municipi, dei principali edifici pubblici e delle vie di
comunicazione. Nel frattempo, alle sommosse nazionaliste già in corso,
si andarono ad aggiungere quelle dei contadini che avevano votato per il
fronte popolare, ma che erano rimasti profondamente delusi dalla sua
inefficienza al governo.
Nell‟estate del 1936 la situazione era ormai disperata e la Spagna
volgeva a questo punto nell‟anarchia più totale: il governo si dimostrava
26
Cfr. Hugh Thomas op.cit. pag. 100.
30
del tutto incapace di contenere l‟impeto violento dei nazionalisti da una
parte, e degli stessi repubblicani dall‟altra27.
Tutto era pronto per attuare il colpo di stato e giungere al potere, anche
se, sia Mola sia Franco, preferivano temporeggiare, al contrario di
Sanjurjo che era favorevole ad un intervento nel breve periodo. Nel
luglio 1936 Franco inviò una lettera al Primo Ministro della Repubblica
Casares Quiroga, protestando contro i provvedimenti che si stavano
attuando contro i nazionalisti, mettendolo in guardia circa i pericoli che
potevano derivare alla disciplina dell‟esercito. L‟evento che tolse ogni
incertezza ai temporeggiatori fu l‟assassinio di José Calvo Sotelo, capo
dei monarchici spagnoli, ad opera di esponenti del governo repubblicano
(si pensa accadde per vendicare l‟assassinio dell‟ufficiale di polizia José
Castillo avvenuto poco prima per mano di nazionalisti). A questo punto
Mola stabilì che l‟insurrezione sarebbe scoppiata il 17 luglio e che
sarebbe partita dal Marocco.
27
Cfr. Hugh Thomas op. cit. pp. 6-7 “Egli [il dirigente della CEDA Gil Robles] ricordò che dalle
elezioni di febbraio in poi il governo aveva avuto poteri eccezionali, che andavano dal controllo della
stampa alla sospensione di tutte le garanzie costituzionali; e ciò nonostante - disse - in quei quattro
mesi 160 chiese erano state incendiate e distrutte, erano stati compiuti 269 assassini, quasi tutti
politici, e 1287 aggressioni di varia gravità, 69 sedi di partito erano state devastate, erano scoppiati
113 scioperi generali e 228 scioperi parziali, e gli uffici di 10 giornali erano stati saccheggiati. <<Non
facciamoci illusioni! - concluse. – un Paese può vivere sotto la monarchia o sotto la repubblica, con un
sistema parlamentare o con un sistema presidenziale, sotto un regime sovietico o sotto un regime
fascista; ma non può vivere nell‟anarchia, e la Spagna oggi, disgraziatamente, vive nell‟anarchia.
Lasciatemi dire che oggi stiamo assistendo ai funerali della democrazia!>>”.
31
2.2 Inizio delle ostilità ed intervento europeo.
Il 17 luglio, come previsto, Franco attaccò la penisola Iberica partendo
dalle coste marocchine: scoppiava così la guerra civile spagnola.
Tentativi nazionalisti di prendere il potere esplosero già da subito nelle
principali città, in particolare nella Capitale e a Barcellona, con l‟intento
di ottenere il controllo delle industrie, ma vennero violentemente repressi
dai repubblicani. I nazionalisti pensavano di risolvere rapidamente il
conflitto, tuttavia trovarono un‟accanita resistenza da parte delle forze
repubblicane, radicate in particolar modo nel sud-est della penisola e nei
Paesi Baschi, mentre il resto era sotto il controllo nazionalista28. Tra le
città più importanti, i repubblicani controllavano Madrid e Barcellona,
mentre i nazionalisti avevano Siviglia.
Sin dai primissimi giorni di guerra, sia i nazionalisti sia i repubblicani,
cercarono
sostegno
economico
e
militare
dai
Paesi
europei
ideologicamente più vicini alla propria fazione; solo una parte
assolutamente minoritaria era contraria all‟intervento straniero29. Il
fronte popolare e quello nazionalista presero così ad avvicinarsi
rispettivamente a Francia, Inghilterra e Russia da una parte e ad Italia e
Germania dall‟altra; Nazioni per le quali, già da tempo, nutrivano grande
simpatia. Un intervento europeo, in fin dei conti, come sostiene lo stesso
Thomas, era già avvenuto, sebbene ancora a livello ideologico30 .
28
Cfr. Harry Browne – La guerra civile spagnola – Bologna 2000 pag. 59 “Alla data del 20 luglio si
era già prodotta quella divisione della Spagna che era destinata a determinare gran parte della prima
fase della guerra. Gli insorti controllavano l‟Andalusia occidentale, la Galizia, l‟Aragona occidentale,
le città del nord della Castiglia, l‟Estremadura e la Navarra. […] una sola grande città, Siviglia, era
nelle mani degli insorti; tutte le altre – i centri industriali come Bilbao o porti come Santander, Malaga
e Valenza – erano ancora sotto il controllo del governo.”
29
Cfr. Hugh Thomas op. cit. pag. 221 “[…] sia ben chiaro che furono proprio gli spagnoli a cercare, e
addirittura ad implorare aiuti dagli altri Paesi, e non furono le potenze europee ad insistere per
intervenire.”
30
Ivi, pag. 223 “In generale si può dire che la guerra civile spagnola fu innanzitutto il risultato
dell‟influsso, sulla Spagna, di idee e di movimenti europei. […] Così la Spagna è stata sempre la
cartina al tornasole su cui si sono verificate le concezioni politiche europee”.
32
Pertanto non deve stupire il fatto che, al dilagare delle ostilità, le altre
nazioni europee siano intervenute anche sul piano militare per difendere
quell‟ideologia caratterizzante il loro stesso sistema politico. Fu così che,
su esplicita richiesta dei dirigenti del fronte popolare31 e di quello
nazionale32, cominciarono ad affluire nella Penisola truppe, mezzi e
munizioni estere, in particolare dall‟Italia, dalla Germania, dalla Francia
e dall‟Inghilterra. L‟aiuto più ingente giunse tuttavia dall‟URSS in
favore dei repubblicani33 (anche se, inizialmente, temendo lo scoppio di
un conflitto a livello internazionale, l‟Unione Sovietica tenne un
atteggiamento piuttosto cauto), ma solo a seguito del pagamento di
un‟ingente somma34. I repubblicani ottennero poi un grande contributo
da parte di volontari provenienti da varie nazioni, i quali andarono a
costituire le famose Brigate internazionali.
Concentrando l‟attenzione sull‟intervento italiano, occorre innanzitutto
specificare che Mussolini con estrema riluttanza aveva deciso di
appoggiare militarmente Franco e che lo stesso Vittorio Emanuele III si
era dichiarato assolutamente contrario. Il solo ad appoggiare il progetto
era Ciano, il quale desiderava sfruttare l‟aiuto offerto ai nazionalisti in
funzione antibritannica. Il Governo italiano non riconobbe mai
31
Ivi, pag. 225 “La sera del 19 luglio, Giral, il nuovo Primo Ministro della Repubblica, inviò un
telegramma, en claire, al Primo Ministro francese: <<Colti di sorpresa da un pericoloso colpo
militare. La prego aiutarci immediatamente con armi ed aeroplani. Fraternamente suo Giral.>>
32
Cfr. Alberto Rovighi, Filippo Stefani – La partecipazione italiana alla guerra civile spagnola (19361939) – Stato Maggiore dell‟Esercito – Roma 1992 vol. I pag. 75 “Lo stesso giorno, il 19 luglio,
pressoché alla stessa ora in cui Giral spediva il telegramma per l‟acquisto di aerei a Blum, il generale
Francisco Franco officiava il maggiore Giuseppe Luccardi, addetto al consolato italiano di Tangeri,
per l‟acquisto in Italia di aerei da trasporto necessari al trasferimento di forze nazionali spagnole dal
Marocco alla madrepatria.”
33
Ivi, pag. 75 “Nei mesi successivi ebbe inizio l‟invio di materiale bellico sovietico, in misura
particolarmente ingente nel mese di ottobre, tantoché, alla fine della guerra, il materiale bellico inviato
dall‟unione sovietica ai repubblicani risulterà quantitativamente superiore a quello fornito agli insorti
dall‟Italia e dalla Germania sommati insieme.”
34
Ivi, pag. 74 “Fu solo verso la fine di agosto che [Stalin] autorizzò il Comintern ad istituire un
organo ad hoc per gli aiuti di materiale bellico e lo fece in seguito all‟arrivo a Mosca di una
delegazione del partito comunista spagnolo carica di <<grandi somme d‟oro>> prelevato dalla riserva
della Banca spagnola di Stato, come riferirà anni dopo il generale sovietico Walter Krivickij,
nell‟agosto 1936 capo dei servizi segreti sovietici nell‟Europa occidentale.”
33
ufficialmente il suo intervento diretto nel conflitto, facendo passare gli
oltre 70.000 uomini in armi inviati a combattere i repubblicani come
“volontari”35. Quanto invece all‟appoggio tedesco, Hitler accettò per due
motivazioni: una di ordine ideologico, per scongiurare il pericolo di un
ulteriore rafforzamento del comunismo in Europa; l‟altra di ordine
pratico, per testare le nuove tecnologie militari in vere e proprie azioni di
guerra.
2.3 Principali operazioni militari con particolare riferimento all‟attività
italiana.
A questo punto, analizzate le cause dello scoppio della guerra civile
spagnola e le motivazioni che portarono le altre nazioni ad intervenire,
per motivi di attinenza col tema fondamentale della mia tesi, ho deciso di
non proseguire con un‟analisi troppo dettagliata di quelli che furono gli
scontri che portarono alla vittoria di Franco e alla fine della seconda
Repubblica spagnola, per concentrarmi maggiormente sugli eventi che
caratterizzarono la breve partecipazione al conflitto da parte di Guillet.
In occasione dello scoppio della guerra civile in Spagna, il tenente
Amedeo Guillet, desideroso di ottenere una promozione per merito e non
grazie al suo matrimonio con Beatrice Gandolfo36, sotto la pressione del
35
In verità i “volontari” erano armati di tutto punto ed accompagnati da artiglieria, mezzi corazzati,
supporto aeronautico e addirittura armi chimiche (anche se non ci sono prove circa un loro effettivo
utilizzo da parte di truppe italiane), come abbondantemente documentato nella nota n°6 pp. 181-182
vol. I del testo ufficiale dello Stato Maggiore dell‟Esercito italiano sopracitato, supportato dal
documento in allegato al vol. II della stessa opera, conservato in MAE US-86, b.21.
36
Mussolini aveva da poco fatto approvare una legge che bloccava l‟avanzamento nella carriera
militare per gli scapoli, se non per meriti militari sul campo (questo fa parte di uno dei tanti
34
generale Frusci, nell‟agosto 1937 decise di partire volontario in Spagna
per combattere le forze repubblicane. Divenne così, sotto il falso nome di
Alonzo Gracioso, aiutante di campo del generale Frusci, al quale era
stato affidato il comando delle Fiamme nere a seguito della rotta di
Guadalajara.
Sentimenti contrastanti agitavano l‟animo di Guillet: da un lato era
entusiasta di partecipare in quanto avrebbe ricoperto temporaneamente
l‟incarico di capitano (che, a detta di Frusci, con tutta probabilità sarebbe
stato mantenuto anche dopo il rimpatrio delle Fiamme nere), dall‟altro
non era del tutto favorevole all‟intervento di altre nazioni nella
risoluzione del conflitto civile, pur simpatizzando, tra i due schieramenti,
per quello conservatore di Franco.
Da Cadice venne presto trasferito a Santander, dove Franco aveva
intenzione di riprendere l‟offensiva. Qui tuttavia venne invaso da un
forte sentimento di frustrazione: sentiva di eccedere il fabbisogno in
quanto, in qualità di aiutante di campo, spesso i suoi compiti
riguardavano l‟organizzazione degli incontri più formali, mentre era
quasi del tutto escluso dall‟attività militare sul campo. Frusci decise così
di affidargli una squadra di 300 soldati dell‟unità speciale degli Arditi, in
vista della prossima battaglia per la conquista di Santander. Poco dopo,
nell‟agosto 1937, venne infatti lanciata l‟offensiva su San Pedro de
Romeral, ultimo punto chiave da occupare prima di passare alla presa
della città. In quest‟occasione, Guillet, alla testa dei suoi uomini, riuscì a
sbaragliare rapidamente alcune posizioni nemiche avanzate e a
provvedimenti adottati per incrementare le nascite). Per questo motivo Guillet rimandò il matrimonio
per non dare l‟impressione di essersi sposato solo per ottenere la promozione a capitano e non per
amore.
35
neutralizzare alcuni autocarri corazzati russi, meritando per questa
azione una nuova medaglia d‟argento a Valor Militare37.
Nel settembre 1937 le truppe italiane furono impegnate in Aragona e
riuscirono entro la fine del mese a ottenere il pieno controllo del
territorio. A Guillet, nel frattempo, fu affidato il comando inizialmente di
un reparto di carri corazzati, poi, date le sue eccezionali doti di cavaliere,
di un Tabor di cavalleria marocchina. All‟inizio del 1938 le truppe
italiane iniziarono l‟offensiva sull‟Ebro, battaglia che li vide impegnati
fino al mese di maggio, a causa dell‟accanita resistenza del nemico.
Anche in questa occasione Guillet si distinse in diverse azioni, premiate
anche queste con una medaglia d‟argento al Valor Militare38. Nel marzo
1938 tuttavia, presso la cittadina di Teruel, Amedeo fu colto
dall‟ennesima febbre malarica e fu per questo esonerato dai
combattimenti ed inviato a Saragozza. Nel mese di luglio, tornato al
fronte sull‟Ebro, si trovò ad affrontare con i suoi un disperato attacco da
parte dei repubblicani, durante il quale rimase leggermente ferito ad una
gamba. A causa di questa ferita e della malaria fu congedato e mandato
in Libia, ormai disgustato dagli orrori di quella guerra fratricida; finiva
così la sua partecipazione alla guerra civile spagnola.
37
MEDAGLIA D'ARGENTO al V.M. "sul campo": "Con alto spirito guerriero ed encomiabile
sprezzo del pericolo, durante i dodici giorni della battaglia di Santander, chiese sempre di poter
partecipare alla lotta con reparti più avanzati. Con slancio e perizia portò al fuoco un reparto
occupando una ben munita trincea nemica, con azione ardita e con ben aggiustato lancio di bombe a
mano catturò tre carri armati nemici. Con i colori, cui spiritualmente apparteneva, raggiunse fra i
primi vari importanti obiettivi. Esempio di combattente volitivo e trascinatore".
S. Pero de Romeral-Santander, 14-25 agosto 1937. R.D. 21 luglio 1938 – Registrato alla Corte dei
Conti il 29 agosto 1938 – Registro n.24 Guerra - Foglio 250.
38
MEDAGLIA D'ARGENTO al V.M. "sul campo": "Distintosi in precedenti combattimenti si offriva
ripetutamente per le imprese più rischiose. Pieno di fede e di nostalgia per la sua arma chiedeva ed
otteneva di partecipare ad un'importante azione di guerra prendendo il comando di uno squadrone di
cavalleria marocchina spagnola e distinguendosi per bravura ed ardimento in venti giorni di continui
combattimenti. In altra circostanza in azione volontaria con i celeri divisionali occupava tre ponti
minati che il nemico aveva cominciato a far saltare e la cui distruzione avrebbe compromesso
l'avanzata della divisione". Battaglia d'Aragona e dell'Ebro, 15 marzo-16 aprile 1938.
R.D. 8 aprile 1937 – Registrato alla Corte dei Conti il 1° febbraio 1939 – Registro n.5 Guerra - Foglio
107.
36
Al termine della guerra aveva ricevuto due decorazioni italiane e ben
quattro spagnole39ma nessuna promozione a grado superiore, nonostante
i meriti.
La guerra proseguiva e le truppe italiane puntarono su Valenzia,
rimandando la conquista della città di Tortosa in quanto situata dall‟altra
parte del fiume Ebro (tutti i ponti erano stati già fatti saltare).
Poco dopo, nel settembre 1938, il governo spagnolo, sotto la pressione
delle democrazie occidentali contrarie all‟intervento nel conflitto, decise
di sciogliere le Brigate internazionali. Franco rispose con il ritiro di
10.000 soldati italiani, ma ne restavano ancora diverse decine di migliaia
più i soldati tedeschi.
Le truppe nazionaliste di Franco, nel frattempo, proseguivano seguendo
fondamentalmente due direttrici: da un lato miravano a prendere Madrid,
dall‟altro ad ottenere il pieno controllo dell‟Andalusia prendendo anche
la città di Malaga (cosa che avvenne verso la fine del 1938). Mentre le
truppe italiane erano impegnate nella battaglia dell‟Ebro, Franco diresse
diversi attacchi verso la Catalogna, arrivando a conquistarla all‟inizio del
1939. Per ultime caddero Madrid e Valenzia, nel marzo 1939. La vittoria
venne proclamata il 1 aprile 1939, tuttavia molte nazioni europee, tra cui
Francia ed Inghilterra, avevano riconosciuto già da mesi il governo
franchista (Italia e Germania lo avevano fatto già dal novembre 1936 e la
Città del Vaticano dall‟agosto 1937).
La guerra era finita e la Spagna si avviava così al lungo periodo della
dittatura franchista, che si concluse solo con la morte del Caudillo,
avvenuta nel 1975.
39
Cruz Blanca al Valor Militare (1937), Cruz Roja al Valor Militare (1938), Cruz por la Unidad
Nacional Española (1938), Cruz del Sufrimiento por la Patria (1938, per le ferite riportate durante la
guerra).
37
CAPITOLO TERZO
SECONDA GUERRA MONDIALE E FINE
DELL’AFRICA ORIENTALE ITALIANA
3.1 L‟entrata in guerra dell‟Italia.
L‟Italia, pur essendosi avvicinata alle posizioni revisioniste tedesche e in
generale alla Germania già dal 1935-1936 a seguito della conquista
dell‟Etiopia, manteneva un atteggiamento piuttosto prudente riguardo al
tema della guerra. Mussolini sapeva bene che una guerra in Europa
avrebbe avuto conseguenze catastrofiche, per questo tentò di frenare le
mire espansionistiche tedesche cercando di attuare una politica di
appeasement, sforzandosi di mantenere il concerto tra le grandi potenze
europee. Conosceva ancora meglio la situazione di arretratezza nella
quale versava il regio esercito, soprattutto dal punto di vista tecnologico;
l‟Italia non era assolutamente pronta militarmente ad affrontare un
conflitto di portata mondiale40, lo sarebbe stata, a detta dell‟allora
40
Cfr. Nicola Carnimeo – Cheren 1 febbraio-27 marzo 1941 – Genova 2009 “L‟armamento, ed, in
genere, i mezzi di offesa e di difesa delle truppe italiane sono stati altrove lumeggiati: fucili antiquati,
quali il 91 o il 70/87 modificato; fucili mitragliatori in numero ridottissimo; artiglierie antiquate come
i cannoni da 77/28 e da 70/15; aviazione insufficiente con tipi di apparecchi poco veloci e già
superati.”
38
Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, almeno per il 1942. Hitler
inizialmente si dimostrò comprensivo nei confronti dell‟Italia; iniziò a
farsi sempre più pressante verso la fine della Campagna di Francia, a
questo punto Mussolini, eccitato anche dalla possibilità di una facile
invasione della Francia da sud, dichiarò guerra a Francia e Regno Unito.
Per quanto interessante possa essere il dilungarmi in un‟analisi più
dettagliata di quelli che furono gli eventi bellici durante la seconda
guerra mondiale, mi vedo costretto, per ragioni di attinenza al tema da
me scelto, a considerare solo quegli eventi che ritengo abbiano una certa
rilevanza e una certa connessione col personaggio in questione, ovvero
gli sviluppi della guerra in Africa Orientale. Poco prima dell‟entrata
italiana in guerra tutti i grandi della politica italiana erano avversi
all‟ingresso nel conflitto, ritenendo, come ho detto, il regio esercito
impreparato. Lo stesso Mussolini, in una celebre battuta al Duca
Amedeo d‟Aosta disse: “Hitler mi dovrà portare in guerra trascinandomi
per i capelli!” e indicandosi col dito la testa calva.
3.2 Inizio delle operazioni militari in A.O.I. e conquista inglese
dell‟Etiopia.
In A.O.I. il clima era teso: il viceré conosceva bene la situazione
geopolitica africana e, in fondo, bastava osservare con un po‟
d‟attenzione una cartina dell‟epoca per accorgersi che gli inglesi,
controllando lo stretto di Suez ed il Sudan, avrebbero presto tagliato alle
colonie italiane ogni rifornimento dalla madrepatria. L‟unica possibilità
39
di vittoria per le truppe italiane in Africa orientale era contare sulla loro
schiacciante superiorità numerica e sconfiggere il nemico prima
dell‟arrivo dei rinforzi, in modo da creare un collegamento diretto con la
Libia, così da poter minacciare l‟Egitto da ovest e da sud. Un timido
tentativo in questo senso fu portato dalle truppe del generale Luigi Frusci
con la conquista della città di Cassala, al confine con l‟Eritrea, nel luglio
1940; operazione che l‟Italia pagò a caro prezzo considerando lo scarso
valore strategico della città ed il grande dispendio in termini di mezzi e
soprattutto di carburante (considerando la penuria di rifornimenti). In
agosto le truppe italiane guidate dal generale Nasi riuscirono ad occupare
la Somalia britannica, tuttavia questa fu la loro ultima azione offensiva; a
partire da questo momento, infatti, a causa dell‟arrivo di ingenti rinforzi
inglesi provenienti sia dalla madrepatria sia dalle altre colonie, gli
italiani saranno impegnati esclusivamente nel tentativo di difendersi
dalla massiccia avanzata inglese. Le truppe inglesi, infatti, dopo aver
sconfitto duramente le truppe di Graziani presso Sidi al-Barrani
(dicembre 1940), anziché cacciare definitivamente gli italiani dal nord
Africa, andarono a rinforzare le postazioni inglesi in Sudan. A questo
punto le truppe italiane in A.O.I. dovettero necessariamente cambiare
strategia e puntare tutto sulla difesa. L‟offensiva inglese partì dal Kenya
nel febbraio 1941 ed era diretta a prendere Mogadiscio, cosa che
avvenne appena tre settimane dopo. Il generale Cunningham a questo
punto decise di piegare verso l‟entroterra somalo, quindi verso l‟Etiopia
meridionale, attaccando e conquistando la città di Giggiga il 17 marzo.
Pochi giorni dopo Harar cadde e le forze di Cunningham poterono
lanciarsi verso Addis Abeba, entrando il 6 aprile nella città, un mese
prima che il negus Hailé Selassié vi facesse ritorno scortato da Wingate.
3.3 Resistenza italiana in Eritrea e fine dell‟A.O.I.
40
La resistenza italiana in Eritrea fu invece molto più accanita. Il viceré
aveva dato ordine alle truppe poste al confine col Sudan di ritirarsi fino
al forte Cherù, così fu qui che avvennero i primi scontri con le truppe di
Wavell e del generale Platt. Non appena le truppe inglesi raggiunsero i
pressi delle postazioni italiane, il generale Fongoli, comandante del forte
di Cherù, si rese conto che la sua posizione non era ottimale e che
rischiava l‟accerchiamento, decise così di far arretrare le truppe fino ad
Agordat e di riorganizzare lì la difesa, resa più facile dalla presenza di
monti tutt‟intorno alla piana dove sorge la città. Le truppe in ritirata
erano tuttavia in forte ritardo e sarebbero state di certo sorprese dal
nemico durante la manovra, per questo serviva un attacco rapido contro
le postazioni inglesi in modo da tenerle impegnate per almeno
ventiquattro ore. L‟unica unità dotata di buona mobilità che poteva
assolvere questo compito in tempi brevi era proprio il Gruppo Bande
Amhara a cavallo, pertanto il generale Fongoli convocò Guillet
spiegandogli la situazione. All‟alba del 21 gennaio 1941 Guillet, alla
testa dei suoi 1500 ascari, si lanciava in una prima disperata carica
creando il panico tra le linee nemiche. Ritiratosi presso il letto secco di
un fiume, cercava di dare l‟impressione di disporre di un numero molto
maggiore di truppe, cosicché gli inglesi dovettero inviare in ricognizione
tre carri armati pesanti Mathilda, minacciando con essi il fianco della
formazione. A questo punto il tenente Renato Togni, accortosi della
pericolosità della manovra inglese, avvisò Guillet della minaccia e si
lanciò con trenta dei suoi in un‟eroica carica contro i carri armati,
sacrificando la sua stessa vita per dare il tempo al Gruppo di cambiare
formazione41. Amedeo Guillet, afflitto per la perdita del suo grande
41
MEDAGLIA D‟ORO al V.M.: “Cavaliere eroico, più volte decorato al valore, comandante di
un‟ala di un gruppo di bande impegnate in azione ritardatrice contro un avversario soverchiante, con
audace perizia caricava il nemico infliggendogli perdite e provocando disordine e scompiglio.
Accortosi che una formazione di carri armati avversari stava per aggirare il gruppo bande, ne
41
amico ma al contempo colpito da quel sacrificio estremo, riprese il
controllo della situazione e si lanciò in una seconda carica contro le linee
nemiche, approfittando del fatto che, durante una manovra, l‟artiglieria
inglese si era posizionata momentaneamente dietro la fanteria, per cui, in
caso di attacco, non avrebbe potuto aprire il fuoco ad alzo zero contro il
Gruppo Bande senza falciare anche le truppe inglesi. Alla fine della
giornata Guillet fu informato del fatto che le truppe italiane in ritirata
verso Agordat non correvano più rischi e che poteva rientrare. La sua
missione era stata completata con successo, l‟obiettivo era stato
raggiunto: ritardare l‟avanzata della Gazelle Force di ventiquattro ore per
consentire al resto delle truppe italiane di sfuggire all‟accerchiamento.
Questa fu l‟ultima carica di cavalleria in territorio Africano: costò la vita
a 200 cavalieri ma salvò le vite di molte migliaia di soldati che,
altrimenti, sarebbero stati colti di sorpresa in formazione di marcia
durante la ritirata. Amedeo Guillet ricevette le congratulazioni da parte
del generale Fongoli e l‟ammirazione da parte delle truppe, sia italiane
sia inglesi, meritando per questa mirabile azione una nuova medaglia
d‟argento42. Il generale Fongoli fu tra gli ultimi a lasciare il forte e fu
avvertiva il comandante informandolo che, per dargli tempo di sventare la minaccia, avrebbe attaccato
a qualunque costo il nemico. Manovrò con fredda intelligenza finché messosi alla testa di parte dei
suoi cavalieri caricava l‟avversario con la certezza di andare incontro alla morte e con la coscienza che
il suo sacrificio avrebbe salvato il gruppo. Piombato sui carri avversari li aggrediva con bombe a
mano. Colpito prima al petto, poi alla fronte da raffiche di mitragliatrici, trovava la forza di lanciare
ancora una bomba e si abbatteva morto col proprio cavallo su di un carro nemico. Il nemico colpito da
tanto fulgido eroismo rendeva alla salma gli onori militari”.
A.O.I., Amascjamoi Cherù, 21 gennaio 1941.
42
MEDAGLIA D'ARGENTO al V.M. "sul campo": "Comandante di un gruppo di bande a cavallo
avuto il compito di proteggere il ripiegamento dei battaglioni di una divisione che minacciavano di
essere tagliati fuori dal nemico incalzante, con abile manovra ed intuito di comandante, attaccava
audacemente l'avversario su di un fianco, impegnandolo decisamente e attirando sul proprio reparto la
offesa nemica. In un'intera giornata di furioso combattimento a piedi ed a cavallo, caricava più volte
alla testa dei suoi reparti, piombando sull'avversario preponderante per numero e mezzi, sgominando
le fanterie di un reggimento nemico, incendiando mezzi corazzati, giungendo fin sul fianco delle
artiglierie avversarie. Avuta notizia che i battaglioni della divisione erano in salvo, rientrava col suo
gruppo bande decimato ma ancora compatto ed animato da fiero spirito combattivo. Il nemico,
attonito da tanto disperato eroismo, tributava ammirazione al valoroso avversario. Fulgido esempio di
leggendario valore e di eroico cavaliere, di comandante capace e risoluto".
Amasciamoi-Cherù (A.O.I.), 21 gennaio 1941. R.D. 25 gennaio 1946 – Registrato alla Corte dei Conti
il 14 febbraio 1946 – Registro n.2 Guerra - Foglio 146.
42
catturato poco dopo insieme ad altri 700 soldati. Intanto le truppe italiane
si erano posizionate presso Agordat e aspettavano l‟imminente attacco
inglese. Attacco che non tardò ad arrivare: il 26 gennaio iniziava infatti
la battaglia di Agordat, che si concluse il 31 dello stesso mese con una
disfatta per le truppe italiane, in particolare per l‟aviazione che si vide
decimata dai tecnologicamente avanzati apparecchi inglesi. Durante
questa battaglia Guillet ebbe l‟occasione di distinguersi nuovamente
nella difesa disperata del monte Cochen, che tuttavia dovette lasciare al
nemico numericamente superiore e supportato dai mezzi corazzati.
Degno di nota è anche il fatto di aver salvato dalla morte o dalla cattura
circa 15.000 soldati in ritirata verso Cheren: Guillet aveva infatti intuito
che le truppe inglesi, una volta preso il monte Cochen, sarebbero discese
per controllare la strada dietro Agordat e sorprendere così le truppe in
ritirata. Il giovane tenente diede così l‟allarme e raccomandò ai soldati di
ritirarsi seguendo la ferrovia sui monti piuttosto che la strada. La sua
intuizione si rivelò corretta e provvidenziale per le truppe italiane.
Gli italiani, sotto la guida del generale Carnimeo, furono così costretti a
ritirarsi presso Cheren: una cittadina situata su una piana e circondata da
undici elevate alture che la rendevano impraticabile. Una volta
posizionate, le truppe fecero saltare l‟unica via di collegamento ed
organizzarono le difese in modo impeccabile, tanto che gli stessi inglesi
furono sul punto di abbandonare l‟impresa43. La battaglia di Cheren ebbe
effettivamente inizio il 2 febbraio 1941: i primi attacchi inglesi sulle
postazioni difensive italiane furono respinti in modo formidabile e le
truppe in difesa riuscirono anche a portare diversi contrattacchi,
nonostante la schiacciante superiorità del nemico che disponeva di
43
Come confesserà anni dopo lo stesso generale Reginald Savory della IV Divisione indiana,
conversando con Amedeo Guillet durante un banchetto, e come confessò anche il generale Sir
William Platt nel 1977, in punto di morte: “Se fossi stato un arbitro per le manovre militari, avrei dato
la vittoria agli italiani”.
43
potenti mezzi corazzati Mathilda e aveva il controllo indiscusso dello
spazio aereo. Solo verso la metà del mese di marzo gli inglesi, facendo
affluire una grande quantità di truppe nei pressi del passo di Dongolaas,
precedentemente interrotto dal genio italiano, incominciarono a riportare
reali successi. A questo punto i genieri inglesi riuscirono ad aprire un
varco tra le macerie e le truppe intrapresero una prima avanzata, che
tuttavia fu abilmente respinta grazie ad un nutrito lancio di bombe a
mano. Nei giorni successivi gli attacchi inglesi proseguirono senza sosta
ma furono tutti respinti strenuamente dalla fanteria italiana, che riusciva
ancora a portare diversi contrattacchi. Per tutta la durata della battaglia
non si registrò mai un vero e proprio sfondamento delle linee difensive
italiane; queste, semplicemente si assottigliarono sempre più per via
delle perdite. Il 27 marzo gli inglesi forzarono il blocco con i carri armati
e riuscirono ad aprirsi una breccia nel fronte italiano, finiva così, dopo
cinquantatré giorni di strenua ed eroica resistenza, la difesa della città di
Cheren.
A questo punto alle truppe italiane restava solo la via della ritirata, per
tentare di ricostituire le difese a Ad Teclesan. Qui le possibilità di difesa
erano molto inferiori rispetto a Cheren; innanzitutto perché gli italiani
disponevano ormai di un numero assai ridotto di uomini e mezzi, poi a
causa della stessa conformazione orogenetica differente (a differenza di
Cheren, Ad Teclesan presentava poche alture). Il morale delle truppe,
oltretutto, era ormai molto basso a seguito della sconfitta subita, tantoché
dopo i primissimi giorni di combattimenti gli inglesi potevano già
occupare più o meno stabilmente le alture che circondavano la città. In
questa occasione Guillet organizzò una rapida azione contro dei carri
armati inglesi che si stavano avvicinando alle postazioni italiane; scelse a
caso trenta dei suoi, si nascosero nella boscaglia e si scagliarono in un
galoppo disperato lanciando bombe molotov contro i carri nemici,
44
riuscendo a distruggerne tre44. Il blitz ebbe successo e per un attimo
risollevò il morale tra le file italiane, ma fu vendicato duramente dalla
fanteria inglese, che prontamente passò al contrattacco. Pochi giorni
dopo Amedeo Guillet, mentre studiava col binocolo le postazioni
nemiche, fu colpito da un proiettile che gli causò una dolorosa ferita al
tallone sinistro, che gli procurerà gravi problemi durante tutta la sua
permanenza in Africa. Dopo un ultimo disperato attacco portato dal 10°
Granatieri di Savoia, la situazione a Ad Teclesan era ormai disperata e il
comando italiano ordinò di cessare la resistenza, era il 31 marzo.
Amedeo e il suo Gruppo Bande erano rimasti completamente isolati dal
resto dell‟esercito in ritirata e anche il nemico, occupato a prendere le
posizioni abbandonate dagli italiani in ritirata, sembrava averlo
dimenticato. Amedeo aspettò che calasse la notte per scivolare fuori
dalla sua trincea e fuggire insieme con i suoi verso Asmara, dove fu
ospitato dalla famiglia Rugiu.
Intanto l‟8 aprile cadeva anche Massaua, difesa ormai solo da poche
centinaia di uomini, mentre il comando italiano fu costretto a ritirarsi a
sud, in Etiopia, presso l‟Amba Alagi. Il 17 aprile il duca Amedeo
d‟Aosta si asserragliò con 7000 uomini, 40 cannoni e rifornimenti
sufficienti per appena tre mesi. Le truppe italiane riuscirono a respingere
valorosamente i primi attacchi, ma gli inglesi, una alla volta, occuparono
le cime circostanti, rendendo pressoché impossibile la difesa dell‟Amba
Alagi. Il 17 maggio gli italiani, rimasti ormai senza munizioni, senza
viveri e soprattutto senza acqua, furono costretti alla resa, ottenendo però
dal nemico l‟onore delle armi, in segno di rispetto e di profonda stima
44
MEDAGLIA D'ARGENTO al V.M.: "Comandante di Gruppo Bande coloniali a cavallo,
coordinava con ardente spirito combattivo l'impiego dei suoi reparti contro il nemico imbaldanzito da
precedenti successi. In un momento particolarmente difficile dell'aspra lotta, guidava con noncuranza
del pericolo un'azione contro carri armati riuscendo con lancio di bombe a mano e bottiglie di benzina
ad incendiarne due ed a mettere in fuga ed in fiamme, un terzo". Addì Teclesan (A.O.), 29-30 e 31
marzo 1941. D.P.R. 16 ottobre 1954 – Registrato alla Corte dei Conti il 18 novembre 1954 – Registro
n. 47 Esercito - Foglio 182.
45
per il coraggio e il valore dimostrato in battaglia. Poco prima della resa il
duca d‟Aosta, preoccupato per le minacce di ritorsioni che venivano
costantemente fatte alle truppe indigene, accordò loro il permesso di
abbandonare le postazioni e di fuggire, tuttavia solo pochissimi ascari lo
fecero, dando l‟ennesima dimostrazione di fedeltà, di valore e di spirito
di sacrificio.
L‟eroe dell‟Amba Alagi45 venne fatto prigioniero e inviato a Dònyo
Sàbouk, in Kenya, insieme al resto delle truppe italiane catturate.
Durante la prigionia si ammalò gravemente di malaria e tubercolosi, gli
inglesi gli concessero di far ritorno in Patria per farsi curare, ma egli
preferì restare accanto ai suoi uomini e morire con loro. Si spense il 3
marzo 1942 e fu sepolto, per sua espressa volontà, nel sacrario militare
italiano di Nyeri, insieme ai suoi prodi.
Il 27 novembre cadeva anche Gondar, ultima roccaforte italiana in Africa
Orientale, difesa ormai da pochissimi coraggiosi agli ordini del generale
Guglielmo Nasi. Si concludeva così l‟avventura italiana in Africa
Orientale ed aveva inizio l‟occupazione britannica.
Tra le motivazioni che portarono alla sconfitta delle truppe italiane, c‟è
di certo una tattica militare ancora legata a schemi statici, con l‟uso di
truppe appiedate e cavalleria che non erano in grado di competere con i
45
MEDAGLIA D‟ORO al V. M.: “Comandante superiore delle Forze Armate dell'Africa Orientale
Italiana, durante undici mesi di asperrima lotta, isolato dalla Madre Patria, circondato da nemico
soverchiante per mezzi e per forze, confermava la già sperimentata capacità di condottiero sagace ed
eroico. Aviatore arditissimo, instancabile animatore delle proprie truppe le guidava ovunque, per terra,
sul mare e nel cielo, in vittoriose offensive, in tenaci difese, impegnando rilevanti forze avversarie.
Assediato nel ristretto ridotto dell'Amba Alagi, alla testa di una schiera di prodi, resisteva oltre i limiti
delle umane possibilità, in un titanico sforzo che si imponeva all'ammirazione dello stesso nemico.
Fedele continuatore delle tradizioni guerriere della stirpe sabauda e puro simbolo delle romane virtù
dell'Italia Imperiale e Fascista”.
Africa Orientale Italiana, 10 giugno 1940 – 18 maggio 1941.
46
nuovi schemi tattici basati ormai sulla cavalleria corazzata e su una
grande elasticità di manovra46.
3.4 La guerra privata di Amedeo Guillet.
Dopo il suo breve soggiorno presso la famiglia Rugiu, dove gli fu
medicata la ferita ed ebbe modo di rifocillarsi, si mise in marcia
zoppicando verso un vicino villaggio dove viveva Ghebrè Yesus
Gheremedin, un fitaurari suo amico. Qui si liberò degli abiti europei per
indossare abiti indigeni e mescolarsi meglio alla popolazione, adottando
la falsa identità di Ahmed Abdullah al Redai, un ex soldato yemenita in
attesa di poter tornare in Patria. Durante la sua permanenza nel villaggio,
mosso anche dal ricordo del suo ultimo colloquio col duca Amedeo
d‟Aosta, prese la decisione di organizzare una guerriglia contro le truppe
inglesi. L‟obiettivo era semplice: tenere impegnati il più possibile gli
inglesi in Eritrea per evitare che andassero a rafforzare la presenza
inglese in nord Africa. Qui Guillet sperava che l‟Asse riuscisse a
sconfiggere il nemico, a prendere il Cairo e ad ottenere il controllo dello
stretto di Suez, per poi riprendere la guerra in Eritrea e scacciare
definitivamente gli inglesi dall‟Africa orientale. Non appena si sparse la
46
Cfr. Nicola Carnimeo – Cheren 1 febbraio – 27 marzo 1941 – Genova 2009: “Ne conseguì che, in
campo dottrinale, la preparazione tattica dei quadri dell‟esercito italiano, fu avviata, in tempo di pace,
verso un indirizzo mentale e spirituale completamente opposto a quello che i nuovi mezzi
richiedevano e dovevano imporre sui luoghi di combattimento, mentre nel campo operativo la capacità
combattiva delle unità era quella di formazioni appiedate, appesantite da ingombranti ed inadeguate
attrezzature, in contrapposto a quelle di altri eserciti organizzati in formazioni corazzate, mobili,
snodate, adattabili celermente ad ogni concezione ed ambiente, e capaci di sviluppare, in ogni
circostanza considerevole potenza di urto e di penetrazione, nonché le più ampie possibilità di
manovra.”
47
voce che il Cummandar as Shaitan stava costituendo una banda per
azioni di guerriglia contro gli inglesi, subito accorsero decine di indigeni,
per lo più ex membri del Gruppo Bande Amhara, pronti a collaborare
con il loro comandante per il bene del Regno d‟Italia e del popolo eritreo
stesso. Amedeo Guillet riuscì a reclutare un centinaio di indigeni, spiegò
loro la funzione della guerriglia sottolineando il fatto che non avrebbero
ricevuto alcun compenso per i rischi che avrebbero corso. Quel centinaio
di ascari, malnutriti e malvestiti diedero ancora una volta prova di grande
valore e di grande fedeltà al proprio comandante e si dichiararono pronti
a seguirlo in ogni sua impresa, affrontando nuovamente la fame, il
pericolo e le malattie. Il gruppo era costituito e ai primi di giugno era già
operativo: facevano saltare ponti, deragliare treni, rendevano le strade
impraticabili, attaccavano convogli militari, posti di blocco, depositi di
viveri e di armi, nascondendo poi il tutto in una serie di rifugi nei
villaggi circostanti, contando ovviamente sulla collaborazione della
popolazione locale.
Inizialmente gli inglesi non diedero molto peso a questi piccoli attacchi,
pensando che fossero opera di piccole bande di fuorilegge locali; poi
però si resero conto che gli assalti, sempre più frequenti, erano troppo
bene organizzati per avere a capo un semplice bandito e che erano
finalizzati quasi sempre a minare la catena di rifornimenti delle truppe
inglesi. Fu così che l‟alto comando britannico affidò al maggiore Max
Harari47 il compito di studiare il fenomeno e di annientare la banda,
aiutato dall‟efficiente capitano Sigismund Reich. Harari ben presto
scoprì che al vertice dell‟organizzazione c‟era il giovane tenente di
cavalleria Guillet; iniziò così a studiare le sue mosse, le sue strategie, la
47
Il quale, una volta terminata la guerra, divenne grande amico di Amedeo Guillet e della sua
famiglia, così come anche altri ufficiali inglesi che in tempo di guerra gli diedero la caccia. Lo stesso
Vittorio Dan Segre, all‟epoca giovane ufficiale dell‟esercito inglese, divenne in seguito suo amico e
scrisse la sua prima biografia.
48
sua storia passata e il suo profilo psicologico, mescolando la rabbia per il
dover inseguire un nemico fantasma, a un profondo senso di
ammirazione per quel personaggio quasi anacronistico, residuo
romantico di un‟epoca passata carica di valori cavallereschi, ormai
affogati dalla modernità e svuotati di significato.
In questo periodo Guillet viveva assieme alla sua donna, un‟indigena di
nome Kadija, presso la fattoria di Orlando Rizzi, suo vecchio amico,
lavorando prima come bracciante nelle campagne, poi come giardiniere
nella villa dei proprietari, a causa del fatto che la ferita al piede non gli
consentiva di eseguire lavori troppo faticosi. Durante la sua permanenza
nella fattoria dei Rizzi, Guillet non rivelò a nessuno la sua identità,
evitando il più possibile di prendere contatto con connazionali. Per la
buona riuscita delle sue imprese, era infatti assolutamente indispensabile
evitare di fornire agli avversari occasioni per reperire informazioni sul
suo conto e sull‟organizzazione della banda. Il capitano Reich tuttavia,
su ordine del maggiore Harari, nei mesi successivi pianificò controlli a
tappeto su tutta l‟area, arrivando quasi a catturare lo stesso Guillet in più
di un‟occasione. Ben due volte fu oggetto di controlli la stessa fattoria
dei Rizzi, ma Guillet, nei panni del servitore yemenita, riuscì a beffare il
nemico, arrivando, con estrema sfrontatezza, a rivolgersi in arabo al
capitano Reich chiedendo informazioni circa la ricompensa offerta dagli
inglesi per la sua stessa cattura. A tal proposito sottolineo il fatto che,
nonostante l‟immensa somma di denaro promessa dagli inglesi per la
cattura di Guillet, o anche solo per ottenere informazioni su di lui, il
Comandante diavolo non venne mai tradito né dai suoi, né dagli altri
abitanti dei vari villaggi che sapevano di lui.
Tuttavia l‟intelligence britannica stava lavorando bene: la morsa si
stringeva sempre più attorno alla banda, i controlli stavano aumentando,
mentre diminuivano i rifugi sicuri e le aree percorribili senza correre il
49
rischio di essere intercettati dai ricognitori. Un giorno, percorrendo una
strada con Kadija e alcuni dei suoi, si trovò davanti una camionetta
inglese. Il gruppo tentò di mantenere un atteggiamento tranquillo
nonostante il pericolo incombente, tuttavia l‟ufficiale inglese48
all‟interno della camionetta, senza sapere bene il perché, quasi
istintivamente, fece fuoco col suo mitra contro il gruppo di Guillet, che
trovò rifugio in un fossato, senza infine contare né morti né feriti.
Durante la seconda visita del capitano Reich alla fattoria di Orlando
Rizzi, il suo tucul venne messo sottosopra e sarebbe stato di certo
scoperto se non fosse stato per l‟abilità con la quale Kadija riuscì ad
ingannare le truppe sudanesi. In quell‟occasione lui stesso stava per
essere tradito dalla sua stessa agitazione; si sentiva ormai braccato,
sentiva la responsabilità delle vite di ciò che restava del gruppo e di
Kadija pesare sulle sue spalle come non mai. A seguito di questi
avvenimenti decise di sciogliere il gruppo, ormai ridotto a circa trenta
uomini malnutriti, coperti di stracci e di fasce per le ferite riportate nelle
innumerevoli azioni di guerriglia, pensando di ricostituirlo magari dopo
una vittoria dell‟Asse in nord Africa. È importante sottolineare che
durante tutto il periodo d‟attività del gruppo non si verificò mai una sola
diserzione; gli uomini uscivano dal gruppo o perché morivano o perché
si ammalavano o perché venivano feriti gravemente, nei quali casi era lo
stesso Guillet a costringerli a tornare a casa, spesso contro la loro stessa
volontà. Questi uomini, il cui eroismo nessuno ricorda e che mai
godranno della gloria militare di cui sono degni, lasciarono le loro case,
le loro famiglie, versarono il loro sangue, sacrificarono la loro salute, la
loro giovinezza e spesso la loro stessa vita come estrema dimostrazione
di valore, per combattere in nome di un ideale superiore di altruismo e
generosità nei confronti del popolo eritreo e del popolo italiano, senza
48
Si trattava del capitano Lory Gibbs, anche lui diventerà poi grande amico dei Guillet.
50
peraltro rivendicare per sé alcun compenso materiale. Alto esempio di
eroismo e di spirito di abnegazione.
Lo spirito che muoveva i cuori di questi coraggiosi, guardava alle dure
condizioni che l‟Etiopia avrebbe riservato alla popolazione eritrea al
termine della guerra, quando il negus, già re-insediato al potere, da
tempo d‟accordo con gli inglesi, avrebbe unito ai suoi domini i territori
eritrei, mettendo in atto la più volte minacciata repressione nei confronti
del popolo eritreo, che aveva collaborato militarmente con gli italiani
nella campagna del 1936 e in quella contro il Regno Unito.
Contrariamente a quanto sostengono molti, gli italiani erano amati dal
popolo eritreo, che avrebbe preferito mille volte restare sotto
l‟amministrazione italiana, che comunque aveva apportato grandi
miglioramenti in termini di organizzazione e di infrastrutture, piuttosto
che sottostare al governo del negus e dover sopportare l‟ostilità della
popolazione etiope49.
49
Come ho potuto constatare dalle testimonianze riportati in alcuni testi e, in modo particolare, grazie
ad un colloquio avuto nell‟estate 2010 con l‟ex shumbashi Ghebreselassié Beraki.
Interessante sull‟argomento la testimonianza raccolta da Paolo Caccia Dominioni nella sua opera
Ascari K7: "Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet,
l'ufficiale. Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un
cavallo. Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un
capretto da macello. Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti
tratta come un uomo...."
51
3.5 Il difficile ritorno in Patria.
A parte le mie personali considerazioni sul loro valore, il gruppo bande
si sciolse ed Amedeo Guillet si incamminò verso Massaua assieme a due
dei suoi, per poi da lì imbarcarsi per lo Yemen, nazione neutrale che
comunque manteneva discrete relazioni con l‟Italia. Giunto a Massaua si
rese ben presto conto di quanto fosse difficile l‟impresa: truppe inglesi,
infatti, controllavano costantemente l‟identità di tutti coloro che dal
porto si imbarcavano verso qualsiasi destinazione. A questo punto non
restava altro da fare se non farsi traghettare da qualche contrabbandiere
locale, ma per fare ciò serviva denaro e per guadagnare denaro occorreva
lavorare. Guillet così, assieme al suo fedele compagno yemenita
Daifallah, trovò lavoro come acquaiolo ambulante e, grazie all‟abilità
dell‟italiano come venditore, nel giro di poco tempo riuscirono a
guadagnare il denaro necessario. Preso contatto con un contrabbandiere,
si imbarcarono pochi giorni dopo, ma, una volta a bordo, il capitano del
sambuco, temendo che i due potessero raccontare qualcosa alle autorità,
ordinò che fossero gettati in mare nei pressi della costa della Dancalia.
Qui, una volta guadagnata la riva, furono assaliti da un gruppo di predoni
che li lasciarono più morti che vivi nel mezzo del deserto dancalo.
Passarono il resto della notte e tutto il giorno seguente cercando di
attraversare il deserto, senza cibo né acqua. Calò nuovamente la notte
quando, esausti e disidratati, decisero di fermarsi e di aspettare la morte,
che di certo li avrebbe presi al levar del sole. A questo punto vennero
tratti in salvo da un vecchio sceriffo di nome Al-Sayed Ibrahim alYamani, il quale li portò a casa sua e li rifocillò. Successivamente li
ricondusse a Massaua e da qui furono costretti a passare i controlli
inglesi prima di poter essere imbarcati. Nessuno si accorse dell‟inganno
e raggiunsero finalmente le coste yemenite. Qui rivelò la sua identità al
52
capitano di porto, il quale però non gli credette e ordinò che fosse
imprigionato finché la situazione non fosse stata chiarita. Dopo alcune
settimane fu finalmente liberato, fu trasferito in un luogo più degno e la
sua ferita fu finalmente curata a dovere. Durante il suo soggiorno nello
Yemen ebbe modo di instaurare un profondo legame di amicizia con
l‟imam Yahiah. Finalmente, nel luglio 1943, Guillet si imbarcò sul
Giulio Cesare, una nave della Croce Rossa che riportava in Italia civili e
militari italiani rimasti feriti durante la guerra, e il 2 settembre sbarcò nel
porto di Taranto. Da qui si diresse senza deviazioni a Roma per
presentarsi al comando dell‟esercito, qui richiese uomini e armi per
tornare a combattere in Eritrea. Inizialmente trovò consensi al suo piano:
il Ministero del Tesoro acconsentì a fornirgli il denaro necessario, riuscì
a trovare le armi di cui necessitava, un medico, un aereo e un pilota. Poi
arrivò l‟8 settembre, l‟Italia uscì dal conflitto ed Amedeo dovette
rinunciare alla sua impresa. Decise così di raggiungere il Re a Brindisi e
mettersi a sua disposizione, anche su suggerimento di suo fratello
Giuseppe. A Brindisi parlò molto con il Sua Maestà e con Badoglio delle
sue imprese in Africa. Successivamente fece ritorno a Roma ed iniziò a
prestare prestò servizio presso il SIM.
L‟anno seguente, per le sue mirabili gesta, fu decorato con la Croce di
Cavaliere dell‟Ordine Militare di Savoia50.
50
CAVALIERE DELL'ORDINE MILITARE DI SAVOIA: "Combattente d'Africa e Spagna, ferito e
mutilato di guerra, sei volte decorato al V.M., nell'imminenza del conflitto con l'Inghilterra, costituiva
ed approntava in A.O.I. il gruppo bande a cavallo dell'Amhara forte di 1500 uomini, forgiandone un
completo e magnifico strumento di guerra. Partecipava ininterrottamente a tutto il ciclo operativo
dello scacchiere nord, da Cassala a Teclessau, e guidava con perizia e valore personale il proprio
reparto in numerosi duri combattimenti contro un nemico preponderante, imponendosi
all'ammirazione dello stesso avversario. Dopo la caduta di Asmara, benché ammalato e ferito, col
reparto ridotto a 168 uomini si apriva la strada attraverso le linee nemiche in un violento corpo a corpo
ed organizzava un'efficiente guerriglia sulle linee di rifornimento dell'avversario. Esaurita ogni
possibilità di azione, fatto segno ad un'accanita ricerca da parte dell'avversario, riparava in paese
neutrale dal quale attraverso peripezie e difficoltà di ogni genere riusciva a rimpatriare al solo scopo di
chiedere mezzi per la continuazione della lotta. Magnifico esempio di combattente e di trascinatore
che al grande valore personale ed all'alta capacità professionale unisce profonda fede nei destini della
Patria". Africa Orientale, 10 giugno 1940-30 agosto 1943. R.D. 8 marzo 1944 – Registrato alla Corte
dei Conti il 4 dicembre 1944 - Foglio n.193.
53
CAPITOLO QUARTO
ATTIVITA’ ALL’INTERNO DEL SIM
4.1 Cenni sulla storia del SIM.
Il SIM (Servizio Informazioni Militare), istituito il 15 ottobre 1925 con
regio decreto n. 1809, fu lo strumento di intelligence militare italiano
fino al 1945.
Mario Roatta, chiamato a capo del SIM nel 1934, portò questo a
staccarsi dal limitante servizio di spionaggio e controspionaggio e ad
acquisire le caratteristiche dei moderni servizi segreti. In questo periodo,
la struttura stessa venne adeguata ai nuovi compiti, curando
particolarmente la sezione che si occupava delle intercettazioni
telefoniche e quella relativa al controspionaggio, grazie anche al
raddoppiamento dei fondi a disposizione. In questo periodo iniziò anche
ad intensificarsi l‟attività semilegale ed illegale del SIM51, sotto la spinta
51
Cfr. Giuseppe De Lutiis – I servizi segreti in Italia, dal fascismo alla seconda repubblica – Roma
1998 pp. 27-29 “[…] due relazioni […] dirette dallo stesso colonnello Emanuele al generale Roatta,
nelle quali si pianificava l‟attività terroristica dei mesi successivi. Nella prima relazione, elencava le
<<operazioni speciali>> che il colonnello considerava attuabili; […] Un aspetto interessante del
rapporto era il tariffario che accompagnava la relazione, nel quale erano elencati i compensi dovuti per
ciascun tipo di attentato, ed anche le cifre che venivano messe a disposizione, a titolo di congrua
consolazione, per quegli agenti che fossero incorsi in spiacevoli incidenti.”
54
congiunta di Mario Roatta e del colonnello Santo Emanuele, allora capo
del controspionaggio (un esempio per tutti fu la pianificazione
dell‟assassinio dei fratelli Rosselli, si pensa con la collaborazione dello
stesso Galeazzo Ciano).
Nel giugno 1937 assunse la guida del SIM Donato Tripiccione. Di idee
completamente diverse a quelle di Roatta, egli ridusse drasticamente
l‟attività del SIM, al punto che qualcuno ebbe a definirlo “un inutile
ufficio di ritagli di giornali”.
A causa di divisioni interne, l‟Italia entrò in guerra schierando ben
quattro servizi informativi differenti e completamente autonomi tra loro:
il SIM per l‟esercito, il SIS per la marina, il SIA per l‟aeronautica e il
CSMSS per il controspionaggio interno. Tale frammentazione diede
luogo ad un‟infinità di equivoci, di reciproci pedinamenti e di
vicendevoli arresti. Cesare Amè mise ordine in questa difficile soluzione
ed arrivò, nel 1942, a fare in modo che tutto il controspionaggio fosse
concentrato nel SIM, abolendo SIS e SIA, riuscendo così a trasformare il
SIM in un Ufficio funzionale ed efficiente52. Il 18 agosto 1943 Amè
venne sostituito da Carboni e si giunse così all‟8 settembre. Il SIM
ripiombò
nuovamente nel
caos:
parte dei suoi
quadri
entrò
clandestinamente a far parte della Resistenza, mentre solo quattro
ufficiali si riunirono a Bari per tentare di riorganizzare l‟Ufficio. Il SIM
assunse il nome di Ufficio informazioni e collegamento del reparto
operazioni del comando supremo e venne organizzato nei quattro
tradizionali settori: una sezione organizzativa (o situazione) per
l‟elaborazione dei dati, una sezione offensiva per la preparazione e
l‟organizzazione degli informatori nell‟Italia occupata dai tedeschi, una
52
Fu proprio durante la gestione Amè, nel settembre 1941, che il SIM riuscì a riportare il grande
successo del furto del Black Code, ossia il codice utilizzato dagli addetti militari delle ambasciate
statunitensi per comunicare con il Dipartimento di Stato. La sua conoscenza permise alle Potenze
dell'Asse di conoscere in anticipo le operazioni degli Alleati e ciò si rivelò particolarmente utile per
l‟organizzazione delle operazioni militari in Nord Africa.
55
sezione controspionaggio per la difesa da ogni azione tedesca e fascista.
A parte furono poi riorganizzati il SIS della marina e il SIA
dell‟aeronautica. L‟Ufficio Informazioni riacquisirà il nome di SIM solo
nel 1944, quando, a seguito della liberazione, poté finalmente re
insediarsi nella Capitale.
4.2 Attività del SIM in Africa orientale e collegamento con la resistenza.
Per tutta la durata del secondo conflitto mondiale, al fianco delle truppe
attive nei vari scacchieri, operò parallelamente il servizio di intelligence
militare. Con particolare riferimento allo scacchiere dell‟Africa
Orientale, è da evidenziare come l‟intensa attività del SIM, anche a
seguito della resa, e forse in misura ancora maggiore, abbia coadiuvato
efficacemente l‟azione delle varie bande di resistenza costituitesi in
funzione anti-inglese. Già dal 1939, a seguito delle richieste del duca
Amedeo d‟Aosta, il colonnello Bruttini fu chiamato alla guida
dell‟Ufficio “I” in AOI, per coordinare e razionalizzare l‟attività di
spionaggio, al tempo del tutto inadeguata.
Il fenomeno della resistenza italiana in AO, contrariamente a ciò che
pensava il comando inglese, non riguardò solamente piccole ed isolate
bande come quella di Guillet, bensì alcune bande di maggiori dimensioni
e con una migliore organizzazione che, frequentemente, prendevano
ordini dai vertici del SIM e che mantenevano quindi un costante e diretto
56
collegamento con la madrepatria (quando possibile)53. L‟azione di queste
bande cominciò ad essere percepita come pericolosa a partire dalla
seconda metà del 1941, a seguito dei successi di Rommel in Nord Africa
e dell‟entrata in guerra del Giappone. Ai guerriglieri italiani, infatti, era
stato promesso l‟invio di notevoli rinforzi e rifornimenti non appena le
forze dell‟Asse fossero riuscite ad abbattere il nemico in Africa
settentrionale. Inoltre, già dai primi del 1942, vari sommergibili
giapponesi cominciarono a prendere posizione nei pressi delle coste
somale, limitandosi tuttavia a studiare la situazione, senza mai
intervenire direttamente.
Quanto all‟effettiva consistenza numerica di tali bande, si parla di circa
7000 unità, tra ufficiali italiani, soldati e civili; tuttavia una stima precisa
è impossibile a causa della segretezza delle varie organizzazioni.
Tra le organizzazioni militari principali che si proponevano di resistere
agli inglesi, ricordiamo in particolare l‟associazione filofascista Figli
d’Italia (comandata da Muratori, generale delle Camicie nere) ed il
Fronte di resistenza, comandato quest‟ultimo dal maggiore Lucchetti e
sorto al fine di coordinare gli sforzi delle varie bande.
Tra le bande maggiormente attive in quel periodo54, oltre a quelle citate,
ricordiamo quella comandata da Angelo Bastiani (detto diavolo bianco o
diavolo zoppo), quella del maggiore Gobbi e quella di Francesco De
53
Cfr. Giuseppe Conti – Una guerra segreta, il SIM nel secondo conflitto mondiale – Bologna 2009
pag. 151 “Prima di salire sull‟Amba Alagi il duca d‟Aosta aveva ordinato al colonnello Bruttini
<<[…] di preparare un piano per la resistenza clandestina degli italiani nell‟impero e dei fedelissimi
ascari mentre l‟Amba si difenderà e specie dopo che sarà caduta>>. Bruttini gli prospettò le enormi
difficoltà di un simile piano […] Il viceré gli ordinò egualmente di collegarsi con il SIM di Roma, e di
tornare a sottoporgli il piano perché <<le truppe inglesi dovevano essere trattenute nell‟impero il più a
lungo possibile con ogni mezzo>>.” Il piano purtroppo non fu attuato se non parzialmente, in quanto
Bruttini fu arrestato dopo pochi mesi di attività.
54
Interessanti sull‟argomento:
Ettore Formento – Kai bandera – Milano 2000;
Luigi Romersa – I segreti della guerra d‟Africa – Milano 2005.
57
Martini (agente del SIM che mantenne sempre il collegamento con
Roma)55.
Le bande si trovavano ad operare su un territorio molto vasto che
comprendeva non solo l‟Eritrea e l‟Etiopia, ma anche alcune regioni di
confine della Somalia e del Sudan, pertanto, spesso risultava molto
difficile effettuare collegamenti con le altre bande e con la madrepatria.
Oltre a questo, il servizio di intelligence britannico era davvero molto
efficiente, per cui non era consigliabile l‟utilizzo dei classici sistemi di
trasmissione delle informazioni strategiche. Per queste motivazioni,
molti comandanti di bande impegnate nella resistenza affidavano la
trasmissione di messaggi e la raccolta di informazioni, a metodi poco
usuali che, tuttavia, si rivelarono essere di gran lunga migliori rispetto a
quelli classici.
Sia gli agenti del SIM, sia i comandanti delle varie bande56, infatti, sin da
subito iniziarono ad inviare persone di fiducia, per lo più indigeni che
potevano mescolarsi meglio nella popolazione civile e passare quindi
inosservati57, nei mercati, nelle locande e negli altri luoghi di
55
A parte la resistenza organizzata in vere e proprie Bande, meritano di essere ricordati i molti che,
agendo singolarmente o in piccoli gruppi, riuscirono a creare disagi all‟esercito inglese e a rallentarne
le operazioni. In particolare ricordiamo la dottoressa Rosa Dainelli, la quale, nell‟agosto 1942, riuscì a
penetrare nel deposito di munizioni inglese di Addis Abeba e a farlo brillare, riuscendo
miracolosamente a salvarsi. Ciò rappresentò un enorme danno per gli inglesi, i quali rimasero ben
presto a corto di munizioni per mitragliatrici pesanti e dovettero attendere che ne fossero prodotte di
nuove e che fossero poi inviate dalla madrepatria.
Altro esempio di grande coraggio ed eroismo fu l‟azione del capitano del SIM Francesco De Martini,
il quale, sempre nel 1942, dopo essere evaso da un campo di prigionia, riuscì prima a far saltare in aria
un deposito di munizioni a Daga (Massaua) con mezzi fortuna e poi organizzò una flottiglia di
sambuchi che pattugliarono le coste per rilevare i movimenti delle navi britanniche e comunicarli al
comando italiano via radio. Per questa serie di mirabili azioni fu decorato con la Medaglia d‟oro al
V.M.
56
Cfr. Leonida Fazi – I guerriglieri del mal d‟Africa – Roma 1968 pag. 152 “ Il comandante del
presidio Camice nere avrebbe voluto impedirgli di proseguire [a causa della presenza di ribelli], ma
Bastiani rideva e spiegava: <<Le mie informazioni non concordano con le vostre, le mie sono quelle
buone! Io cammino stendendo avanti e attorno una rete di spie, che non si vede ma c‟è e funziona. I
ribelli non ci sono…>>”
57
Cfr. Alessandro Bruttini – Il panno rosso alla porta del tucul – La Spezia 1959 pag. 121 “[Bruttini
cercò di integrare il Servizio integrandolo con] una fitta rete di accattoni in tutti i paesi delle colonie
inglesi confinanti, riunendoli in piccoli gruppi, e pose a capo di ciascun gruppo un vecchio e
intelligente ascari che avrebbe riunito le notizie, comunicandole a mezzo di emissario.”
58
integrazione sociale, nei quali era piuttosto semplice reperire
informazioni per vie informali58.
4.3 Attività di Amedeo Guillet all‟interno del SIM.
Per quanto riguarda l‟attività di Guillet come agente segreto, premetto
che le informazioni a riguardo sono davvero scarsissime, a causa del
fatto che nessuno abbia mai scritto a riguardo un testo specifico e a causa
della difficile, quando non impossibile, reperibilità dei documenti
sull‟argomento. Le uniche informazioni che reputo possano essere di
qualche interesse, le ho reperite attraverso la biografia scritta da
Sebastian O‟Kelly, il quale ottenne queste informazioni attraverso lunghi
colloqui privati con Guillet.
Tra le imprese più memorabili ricordiamo la sottrazione ai partigiani,
usando il lasciapassare di Walter Mongoli, dei gioielli del negus Hailé
Selassié, per fare in modo che fosse lo Stato italiano e non gli Alleati a
restituirli al legittimo proprietario; si infiltrò alla prima riunione di
Palmiro Togliatti, all‟arrivo del leader comunista dall‟Unione Sovietica;
usando lo stesso lasciapassare aveva poi recuperato compromettenti
archivi del Ministero degli esteri italiano dalla brigata comunista
Garibaldi; riuscì poi a recuperare uno straordinario filmato del processo
58
Cfr. Giuseppe Conti – Una guerra segreta, il SIM nel secondo conflitto mondiale – Bologna 2009
pag. 148 “Squadre specializzate in lavori stradali, idraulici, elettrotecnici e di venditori e mendicanti,
organizzate in modo da consentire l‟immediata, stretta e completa sorveglianza delle persone
sospettate.”
59
e dell‟esecuzione di Galeazzo Ciano ed Emilio De Bono, lo diede poi in
consegna agli Alleati ma non fu mai restituito59.
Un altro episodio che merita di essere ricordato si verificò il 12 giugno
1946 a Roma. L‟allora maggiore del SIM Amedeo Guillet si trovava al
Quirinale insieme all‟ufficiale inglese Vittorio Dan Segre, mentre una
gremita folla di dimostranti repubblicani si stava avvicinando al palazzo
del Re. I due si resero ben presto conto che il drappello di corazzieri che
presidiava l‟edificio non sarebbe stato sufficiente ad arginare un
eventuale atteggiamento aggressivo da parte della folla; accortisi della
situazione di pericolo, i due tentarono di escogitare qualcosa per
prevenire rischi. A questo punto il maggiore Guillet si ricordò di un
battaglione di reclute al comando del colonnello Revetria, dislocato nei
pressi del Teatro dell‟Opera. Subito corse ad allertare le truppe, che
rapidamente presero posizione di fronte al palazzo del Quirinale,
inducendo la folla, già esitante dinanzi ai soldati schierati, a desistere da
atteggiamenti aggressivi e a cambiare direzione60.
59
Cfr. Sebastian O‟Kelly op. cit. pp. 362-363
L‟episodio è descritto nell‟articolo di Sergio Romano “12 giugno 1946: un caldo pomeriggio
romano”pubblicato sul Corriere della sera del 05.06.2006.
60
60
PARTE SECONDA
AMEDEO GUILLET DIPLOMATICO
61
Al termine delle ostilità, dopo il breve periodo di attività presso il SIM,
Amedeo Guillet lasciò l‟esercito in seguito alla nascita della Repubblica
Italiana. Nel 1947, dopo un breve periodo di riflessione sulla futura
carriera da intraprendere, Guillet conseguì la laurea in Scienze Politiche
e, rifiutando l‟aiuto offertogli dalle sue conoscenze altolocate, decise di
sostenere il concorso pubblico per poter iniziare la carriera diplomatica.
Premetto che, sfortunatamente, i documenti diplomatici di cui avrei
avuto bisogno per presentare una completa analisi di quella che fu
l‟attività diplomatica di Amedeo Guillet, non sono ancora stati
pubblicati.
Oltre
a
questo,
trattandosi
spesso
di
argomenti
particolarmente delicati, inerenti a situazioni di politica internazionale
ancora in via di definizione, non è stato scritto molto a riguardo.
Tuttavia, nonostante la difficoltà nel reperire materiale, spero che la mia
se pur incompleta analisi possa fornire al lettore, quantomeno, un quadro
generale delle diverse situazioni in cui si trovò ad operare Amedeo
Guillet. Passerò ora ad esaminare le varie vicende che lo videro
protagonista, o comunque partecipe, suddividendole in base allo Stato
nel quale ebbero luogo.
1.1
Egitto.
Al termine del secondo conflitto mondiale, le relazioni diplomatiche tra
Italia ed Egitto non erano delle migliori: quest‟ultimo, infatti, pur non
avendo formalmente dichiarato guerra all‟Italia, aveva drasticamente
interrotto
ogni
rapporto
diplomatico
con
essa,
adottando
62
contemporaneamente duri provvedimenti nei confronti della popolazione
italiana ivi residente. Il principale motivo di attrito tra i due Stati era
rappresentato proprio dalle espropriazioni messe in atto nei confronti dei
coloni italiani dal governo egiziano, che, oltretutto, imprigionò anche
diverse migliaia di loro senza apparente motivo61. Nel settembre 1945 il
diplomatico italiano Giovanni De Astis fu inviato in Egitto con la finalità
da un lato di riprendere in qualche misura le relazioni con questo Stato,
dall‟altro di tentare di trovare un accordo circa la situazione dei coloni
italiani. Il governo egiziano mantenne un atteggiamento particolarmente
freddo a riguardo, manifestando inoltre la volontà di subordinare la
risoluzione della questione alla stipulazione del trattato di pace e al
pagamento delle relative riparazioni di guerra. Nel settembre 1946 venne
finalmente firmato l‟Accordo e gli scambi di Note relativi al
riconoscimento dei danni subiti dall’Egitto per effetto delle operazioni
militari svoltesi nel suo territorio ed al dissequestro dei beni in Egitto.
L‟Accordo prevedeva da parte dell‟Italia il pagamento di una
considerevole indennità e l‟impegno di assumere a suo carico le somme
prelevate dal governo egiziano sulle liquidazioni già avvenute per
assistenza a sudditi italiani bisognosi. Tale accordo era particolarmente
pesante per l‟Italia, che tuttavia decise di avviare le pratiche per la
ratifica, nel gennaio 1947, anche per favorire la ripresa delle relazioni
diplomatiche con l‟Egitto.
De Astis, nel frattempo, continuava ad intessere abilmente una fitta rete
di rapporti personali con la nobiltà egiziana e con i vertici del governo,
sempre in vista di un prossimo riavvicinamento, riuscendo così a
61
Cfr. Matteo Pizzigallo – La diplomazia italiana e i Paesi arabi dell‟oriente mediterraneo (19461952) – Milano 2008 pag. 11 “La situazione, precisava Prunas, è molto difficile a causa
dell‟internamento di circa seimila padri di famiglia e la confisca e la vendita all‟asta delle loro
proprietà. Queste vendite sembra non siano ancora cessate. Questo per non parlare della situazione dal
punto di vista morale. Per quanto riguarda gli internati, la continuazione del loro internamento
provoca un crescente numero di decessi. Le autorità incaricate della difesa dei nostri interessi possono
fare poco o niente.”
63
garantirsi il favore dello stesso re Faruq. Nel giugno 1947, l‟Italia poteva
nuovamente godere di una rappresentanza diplomatica in territorio
egiziano, nella persona di Cristoforo Fracassi, con grande soddisfazione
da parte della minoranza italiana.
Nello stesso periodo, l‟Egitto stava tentando di divincolarsi dalla
pressante presenza inglese: gli inglesi, infatti, intervenivano spesso sulle
questioni economiche egiziane e mantenevano sul territorio truppe
proprie, di cui si chiedeva lo sgombero. Proprio a causa dell‟aggravarsi
delle relazioni con il Regno Unito, l‟Egitto manifestò la sua volontà di
intensificare i rapporti con l‟Italia62 . Fu così che, in tutto il periodo
successivo, furono conclusi vari accordi italo – egiziani volti appunto a
migliorare le relazioni commerciali tra i due Stati.
Dal maggio 1948 al gennaio 1949 l‟Egitto fu impegnato nel primo
conflitto arabo-israeliano. In quest‟occasione i rapporti con l‟Italia si
incrinarono leggermente allorché l‟Italia venne accusata ingiustamente di
contrabbando di armi in favore di Israele. Subito Fracassi si attivò e
riuscì a recuperare il rapporto mettendo in evidenza l‟infondatezza delle
accuse.
Quando, nel 1950, Amedeo Guillet giunse in Egitto come Segretario di
legazione con l‟ambasciatore Prunas, era da poco salito al governo del
Paese Mustafa al-Nahhas. Questi sin da subito iniziò manifestare quelli
che erano i suoi obiettivi in politica estera: ottenere lo sgombero delle
truppe inglesi, la difesa della Palestina araba contro il neonato Stato
d‟Israele e l‟unificazione dell‟Egitto e del Sudan sotto la corona
egiziana.
62
Ivi, pag. 26 “Fracassi, il 10 ottobre 1947 scriveva: <<i motivi di questo interesse per l‟Italia nel
campo commerciale sono noti: l‟Egitto, dopo l‟entrata in vigore dei decreti del 15 luglio
[provvedimenti restrittivi in materia valutaria e di controllo delle importazioni] si trova in difficoltà
sul settore economico estero. […] Queste preoccupazioni sono aggravate dalla tensione delle sue
relazioni con l‟Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti. E perciò si guarda all‟Italia.>>.”
64
L‟attività di Guillet in Egitto, sebbene non di primo piano come sarà
nelle successive missioni, gli diede modo di meritare l‟onorificenza di
Grande Ufficiale dell’Ordine del Nilo della Repubblica Araba d’Egitto.
1.2
Yemen.
Per quanto riguarda i rapporti tra Italia e Yemen, dobbiamo evidenziare
il fatto che, nonostante l‟entrata in guerra dell‟Italia contro l‟Inghilterra e
nonostante le forti pressioni di quest‟ultima per far intervenire lo Yemen
contro l‟Italia, questi due Stati abbiano sempre mantenuto relazioni
piuttosto buone. Lo Yemen, anzi, venne anche in aiuto all‟Italia
assistendo i feriti che vi si rifugiavano e favorendo il loro ritorno in
Patria.
Nel periodo appena precedente all‟arrivo di Guillet, sia il blocco
sovietico, sia quello statunitense, cercarono di estendere la propria
influenza allo Yemen, a causa della sua posizione strategica.
L‟Imam Ahmad, figlio dell‟Imam Yahiah, si trovò ad affrontare
crescenti pressioni da parte del presidente egiziano Gamal Abd al-Nasir
perché aderisse ai piani panarabi dei nazionalisti, sostenuti con forza
dall‟Unione Sovietica in funzione antiamericana. Nell'aprile del 1956,
egli firmò quindi un patto di mutua difesa con l'Egitto e, nel 1958, lo
Yemen si unì a Egitto e Siria, anche se in una forma confederale molto
più elastica, dando vita alla Repubblica Araba Unita: una confederazione
che voleva rappresentare una sorta di "Stati Uniti Arabi" ma che finì la
65
sua breve esistenza nel settembre del 1961. Le relazioni con l'Egitto, a
questo punto, si andarono inevitabilmente deteriorando.
Fu proprio questo il periodo nel quale si trovò ad operare Amedeo
Guillet, inviato dallo Stato italiano qualità di incaricato d‟affari nel 1954.
Egli, durante la sua attività diplomatica, guardando ad una politica di
equilibrio, cercò sempre di mediare tra influssi sovietici e statunitensi,
riuscendo sempre ad evitare il completo successo di una parte e la
completa disfatta dell‟altra. Quando, ad esempio, i sovietici costruirono
il porto di Hodeida, grazie a lui, la prima nave ad accedervi fu una nave
da guerra americana. Allo stesso modo, quando l‟ambasciatore russo,
presentando le novità sui film propagandistici sovietici, iniziò a
riscuotere un certo successo nella popolazione yemenita, Guillet
incoraggiò l‟ambasciatore americano ad organizzare la proiezione di un
film western a palazzo.
Lo Yemen, in quel periodo, manteneva relazioni non troppo buone con la
Gran Bretagna, a causa del fatto che Aden offriva rifugio ai dissidenti
politici yemeniti che chiedevano il rovesciamento dell‟Imam e
l‟instaurazione di una repubblica yemenita. Anche in questo caso, l‟aiuto
offerto da Guillet, grande esperto di cultura araba in generale e della
storia dello Yemen, si rivelò molto utile nella risoluzione della
controversia63.
Contemporaneamente, sempre con l‟intento di riportare lo Yemen
nell‟area d‟influenza occidentale, Guillet potenziò l‟attività della
Missione medica italiana e fondò la Suyem, una società italo-yemenita
per lo sviluppo. A questa società, Guillet affidò la realizzazione di un
63
Come ebbe a sottolineare in una nota lo stesso Sir Ashley Clarke, ambasciatore britannico a Roma,
ringraziando il governo italiano per “l‟aiuto prestato dal ministro Guillet, che si è rivelato assai utile in
questa occasione […]: Grazie alla conoscenza quasi ventennale dello Yemen e ai rapporti personali
con l‟Imam, assolutamente unici nel loro genere, è stato in grado di fornire consigli ogniqualvolta
fosse necessario […] evitando così l‟interruzione delle relazioni anglo-yemenite, che avrebbe
pregiudicato non solo gli interessi del Regno Unito, ma anche del mondo intero.”
66
importante programma che comprendeva l‟elettrificazione della città di
Sanaa, il collegamento telefonico Italcable con Roma e con il Cairo e
l‟apertura a Taiz di un Ufficio commerciale italiano, che avrebbe
contribuito a migliorare i rapporti economici e commerciali con il nostro
Paese64.
L‟Imam Ahmad morì nel settembre del 1962 e gli succedette il figlio
Muhammad al-Badr, principe ereditario, il cui regno, tuttavia, fu di breve
durata. Ufficiali aderenti al movimento degli Yemeniti liberi ed
addestrati dall'Egitto, infatti, guidati dal colonnello Abd Allah al-Sallal,
comandante della Guardia Reale, lo deposero nello stesso anno della sua
incoronazione e presero il controllo della capitale, proclamando al
contempo la nascita della Repubblica Araba dello Yemen. Il colpo di
stato, avvenne nella notte, quando la città fu scossa dalle cannonate,
provenienti da carri armati egiziani, sparate contro il palazzo dell‟Imam,
il quale riuscì a salvarsi fuggendo da una finestra, grazie anche all‟aiuto
di Guillet, che depistò i ribelli dicendo loro che l‟Imam era rimasto
schiacciato dalle macerie. L'Egitto sostenne la neonata repubblica con
uomini e mezzi per sconfiggere le forze rimaste leali al deposto Imam.
L‟Unione Sovietica non fu da meno e supportò la repubblica con l‟invio
di un gran numero di soldati e di mezzi tecnologicamente avanzati,
anche aeronautici. Al contrario, le monarchie di Arabia Saudita e
Giordania appoggiarono logicamente al-Badr.
La guerra civile andò avanti per quasi dieci anni, indebolendo
notevolmente l‟economia egiziana, fin quando il re Faysal vi pose fine,
nel 1967, facendo rientrare in patria i militari egiziani che stazionavano e
avevano fino ad allora agito in forze sul territorio yemenita. Malgrado
sporadici scontri, nel 1968 si ebbe una riconciliazione generale e, nel
1970, l'Arabia Saudita riconobbe la Repubblica Araba dello Yemen.
64
Cfr. Enrico Serra – Professione: ambasciatore d‟Italia – Milano 1999 vol. 1 pag. 113.
67
Questa si fuse con la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen
(Yemen del Sud) il 22 maggio 1990, per dar vita all'attuale Repubblica
Unita dello Yemen. Nel 1992 Guillet tornò nello Yemen in visita
ufficiale e fu felice di poter notare il miglioramento della situazione
politica nel Paese.
1.3
Giordania.
Nel 1962 Guillet venne inviato in Giordania, per la prima volta in veste
di ambasciatore. La situazione che trovò al suo arrivo era molto difficile:
la Giordania, come anche gli altri Stati dell‟area mediorientale, stava
attraversando un periodo complesso a causa dell‟assestamento della
nuova situazione geopolitica derivante dalla costituzione dello Stato di
Israele. In particolare, a seguito del versamento da parte della Germania
di un‟ingente somma di denaro in favore di Israele, a titolo di indennizzo
per l‟Olocausto, il mondo arabo si indignò contro l‟Europa, in quanto un
gran numero di rifugiati palestinesi cominciò a riversarsi nei vicini stati
arabi causando notevoli problemi, generati, a parere loro, dagli errori
degli europei. La tensione cominciò a salire anche in Giordania e molti
cittadini tedeschi ed americani ivi residenti dovettero abbandonare il
Paese. In questa occasione, Guillet fu incaricato di organizzare il ponte
aereo d‟emergenza, meritando, per l‟importante servigio reso alla
Nazione tedesca, la Gran Croce con stella e fascia dell'Ordine al Merito
della Repubblica Federale Tedesca, nel 1968.
68
Poco dopo, nel 1967, scoppiò la guerra dei sei giorni ed Amedeo Guillet
fu impegnato nella raccolta di fondi umanitari dal governo italiano,
mentre sua moglie Beatrice Gandolfo si impegnò nel prestare soccorso ai
rifugiati, riuscendo così a conquistare la stima e l‟ammirazione da parte
della popolazione di Amman.
Durante la sua permanenza in Giordania, Guillet fu inoltre incaricato del
difficile compito di organizzare la visita di papa Paolo VI in Terra Santa,
avvenuta nel gennaio 1967; prima visita ufficiale all‟estero di un papa
cattolico che la storia contemporanea ricordi.
In occasione del suo mandato in Giordania, Guillet ebbe modo di
stringere profondi rapporti di amicizia con re Hussein e con la sua
famiglia, nonché con importanti personalità della vita politica britannica.
1.4 Marocco.
Nell‟aprile 1968, Amedeo Guillet venne inviato come ambasciatore in
Marocco.
Durante i tre anni di attività a Rabat, egli cercò in ogni modo di
rafforzare la posizione del Sultano e, parallelamente, di incoraggiare
l‟aumento di aiuti economici, sia da parte del governo italiano, sia da
parte della Banca Mondiale.
Qui, nel 1971, assistette in prima persona al tentativo di colpo di stato
organizzato dal generale Medbourgh contro il re Hassan. L‟attentato si
consumò nella villa reale di Skirat, durante i festeggiamenti in occasione
del compleanno del re, e costò la vita a circa 100 persone, tra cui varie
69
personalità politiche del Marocco e l‟ambasciatore belga Dupret, mentre
altre 200 persone circa rimasero ferite. In quel drammatico momento,
Guillet mise in pratica tutta la sua esperienza militare e, con grande
audacia e disinvoltura, riuscì a trarre in salvo l‟ambasciatore della
Grecia. In poco tempo il re Hassan riuscì a radunare delle truppe e a
fermare i ribelli. Il tentativo di golpe fu punito duramente: i capi della
rivolta vennero fucilati, mentre i cinquantotto militari ai loro ordini
vennero rinchiusi per diciotto anni nel tristemente noto carcere di
Tazmamart65.
La testimonianza di Guillet risultò di grande importanza per la
comprensione delle dinamiche del fallito attentato66.
1.5 India.
Nel 1971, a pochi mesi di distanza dall‟attentato di Skirat, Amedeo
Guillet fu nominato ambasciatore italiano in India. Anche qui, la
situazione che si presentava al suo arrivo era molto difficile, soprattutto a
causa delle forti tensioni che agitavano il Paese, dovute alla stato di
attrito con il Pakistan. Il 2 dicembre 1971, infatti, il Pakistan dichiarò
65
Qui i prigionieri venivano rinchiusi in celle delle dimensioni di 3,5x3 metri, alte appena 1,6 metri
(per impedire la deambulazione), senza un giaciglio, senza acqua corrente e, cosa più grave di tutte,
assolutamente prive di luce. Molti dei cinquantotto detenuti morirono, altri persero la ragione e solo
pochissimi riuscirono a tornare ad un‟esistenza relativamente normale.
66
Cfr. Enrico Serra op. cit. pag. 116 estratto del rapporto di Amedeo Guillet sull‟accaduto “E‟ molto
probabile che il tentativo rivoluzionario sia stato il prodotto della collusione di giovani militanti
animati da impulsi ideologici estremisti e nazionalisti, con alcuni capi e personaggi di rilievo che
assieme ad una forte ambizione personale e probabilmente al desiderio di epurare un certo entourage
del Sovrano che ritenevano corrotto, hanno mostrato invero di non possedere le dovute capacità per
organizzare e portare a termine l‟impresa”.
70
guerra all‟India, scatenando un massiccio attacco aereo che, tuttavia, fu
prontamente respinto dall‟aviazione indiana. La guerra si concluse nel
giro di pochissimi giorni, con un successo delle forze indiane, supportate
da quelle del Bangladesh (che pochi mesi prima si era visto riconosciuta
dall‟India l‟indipendenza), ma l‟evento causò il riversarsi in India di
oltre quattordici milioni di profughi. Questi si andarono a sommare ai
milioni di rifugiati che abbandonarono il loro Paese in seguito al lancio
dell‟operazione Searchlight da parte del Pakistan contro il Bangladesh,
complicando ulteriormente le già precarie condizioni di vita nel Paese.
Durante la sua permanenza in India, sin da subito, Guillet iniziò a
frequentare l‟elite politica e culturale indiana e britannica, ritrovando
anche molti ufficiali contro i quali aveva combattuto in Africa molti anni
prima e stringendo profondi legami di amicizia con alcuni di loro. Sua
moglie continuò ad operarsi a favore dei più deboli, occupandosi
assiduamente dei rifugiati che riparavano in India.
La sua opera nel Paese era volta principalmente ad ottenere dagli Stati
occidentali una miglior comprensione degli enormi problemi che
soffocavano l‟India, Paese che, comunque, con la costruzione della
prima bomba atomica nel 1970, otteneva ormai una posizione di
predominio sul continente sub-asiatico.
71
CONCLUSIONE
Amedeo Guillet, dopo l‟ultimo incarico come ambasciatore in India, si
ritirò a vita privata in Irlanda, dove si dedicò all‟allevamento dei cavalli.
Nel 1999 venne invitato dal presidente dell‟Eritrea Isaias, già capo del
Fronte di liberazione del popolo eritreo, il quale nutriva una profonda
stima per lui e lo considerava il primo patriota eritreo. Guillet accettò
l‟invito e, nel marzo 2000, intraprese il viaggio nel quale ebbe la
possibilità di ripercorrere i luoghi della sua giovinezza e delle sue
avventure passate.
Purtroppo, a causa del fatto che molti documenti non sono stati ancora
pubblicati (mi riferisco in particolare ai documenti diplomatici), la
trattazione può risultare lacunosa nella parte relativa alla carriera
diplomatica e all‟attività all‟interno del SIM, ad ogni modo spero, se non
di aver fornito al lettore una analisi del tutto completa dell‟attività
militare e diplomatica dello straordinario personaggio che fu Amedeo
Guillet, quantomeno di aver destato interesse e curiosità e di aver in
qualche misura esposto l‟alto spirito cavalleresco che sempre
caratterizzò il suo animo, tanto in veste di ufficiale del Regio Esercito
Italiano, quanto in quella di diplomatico della Repubblica Italiana.
72
Il mio lavoro non è che un piccolo contributo, affinché il ricordo non si
spenga, la sua memoria possa sopravvivere ai secoli e il suo esempio
illuminare come un faro le generazioni a venire.
73
RINGRAZIAMENTI
A sei mesi dalla sua scomparsa, voglio dedicare la mia tesi a S.E.
Amedeo Guillet: la persona che ha ispirato il mio lavoro e che ha
contribuito in misura maggiore alla sua buona riuscita, anche se in modo
indiretto. A lui va il mio ricordo e la mia profonda gratitudine.
Vorrei ringraziare poi mio padre, che mi ha sempre incoraggiato e
supportato con la sua vasta biblioteca e senza l‟aiuto del quale tutto ciò
sarebbe stato, se non impossibile, di certo assai più complicato.
Ringrazio poi il professor Rossi, relatore della mia tesi, il quale ha
pazientemente letto e revisionato il mio lavoro.
Ringrazio il dottor Michele Ravera, fu grazie a lui che riuscii a contattare
l‟eroe protagonista della mia tesi.
Un ringraziamento particolare va poi al signor Ghebreselassié Beraki, ex
ascaro, shumbashi dell‟esercito coloniale, che, attraverso brevi ma a dir
poco illuminanti conversazioni, mi ha trasmesso interessanti nozioni
sull‟argomento e soprattutto mi ha fatto comprendere lo spirito che guidò
il suo agire e quello di tutti gli altri ascari che si trovarono a vivere gli
eventi da me descritti.
74
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77
“Chi persegue alti ideali è un vincente; il tempo, che è galantuomo, gli darà ragione!”
Amedeo Guillet
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