PARTE TERZA Dal diritto naturale ai diritti dell`uomo S. Paolo (3, I) L

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PARTE TERZA
Dal diritto naturale ai diritti dell’uomo
S. Paolo (3, I)
L’importanza di Paolo di Tarso nello svilupparsi del nascente cristianesimo e di
conseguenza per tutta la storia umana futura, appare a prima vista enorme. Da un lato per
la prima volta in S. Paolo l’insegnamento si trasforma, proseguendo nella direzione
imboccata dal vangelo di Giovanni, in teologia, e la Legge in teoria morale. Dall’altro, e
conseguenzialmente, la figura di Paolo di Tarso è assolutamente centrale nel
dispiegamento delle potenzialità della nuova eresia ebraica e soprattutto nella svolta
costituita dalla sua cattolicizzazione.
La stessa universalità del messaggio cristiano, che abbiamo visto implicita nel
«messianismo compiuto» che esso comporta, viene addirittura attribuita talvolta ad
esclusivo merito del pensiero paolino, a fronte del passo evangelico «Non prendete il
cammino dei pagani, disse Gesù ai suoi discepoli, e non entrate in una città di Samaritani;
andate piuttosto verso le pecorelle perdute della casa d’Israele» (Matt., 10, 5). In questa
linea, Russell scrive: «Il cristianesimo da principio fu predicato da Ebrei a Ebrei, quasi si
trattasse di un giudaismo riformato. S. Giacomo, e in misura minore S. Pietro,
desideravano che esso restasse in questi limiti e avrebbero potuto prevalere, se non fosse
stato per S. Paolo, deciso ad ammettere nella Chiesa i gentili senza richiedere loro la
circoncisione e la sottomissione alla legge mosaica. (...) Il cristianesimo, per opera di S.
Paolo conservò gli elementi attraenti delle dottrine ebraiche, escludendo quelle che i
gentili trovavano più difficile assimilare» (1).
Certo è che S. Paolo dà una spinta decisiva all’universalizzazione della Chiesa
nascente, spinta di cui rimane memoria negli Atti degli Apostoli sul piano pratico e nelle
Epistole sul piano teorico: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e pervengano alla
conoscenza della verità. Poiché Dio è unico, ed unico è anche il mediatore tra Dio e gli
uomini, il Cristo Gesù» (I Tim., 2, 4-5). Con lui l’universalismo implicito e necessario del
cristianesimo viene ad essere oggetto di predicazione in quanto tale e diventa una prassi.
Ad esso si unisce una «degiudaizzazione linguistica» delle categorie religiose monoteiste
che le rende progressivamente accettabili in una civilizzazione romana della decadenza
già del resto «preparata» dall’orientalismo, dal manicheismo, dallo gnosticismo, dal
sincretismo misticheggiante (2). È tutt’ora aperta la discussione sull’importanza rispettiva
dell’influenza che esercitarono su Paolo lo stoicismo e la dogmatica rabbinica - alla quale
stessa la dottrina stoica non era certo ignota, almeno a partire dall’epoca del Libro dei
Maccabei (3). Michel Villey, ad esempio, sostiene la tesi di un influsso determinante di
(1) BERTRAND RUSSELL,
Storia della filosofia occidentale, op. cit.
(2) Vedi LOUIS ROUGIER, Le conflit du christianisme primitif et de la civilisation antique, op. cit.
(3) Cfr. JACQUES DUPONT, Gnosis. La Connaissance réligieuse dans les Epîtres de Saint Paul,
Lovanio 1960; JACOB JERVELL, Imago Dei. Gen. I, 26 f. im Spätjudentum, in der Gnosis, und in
den paulinischen Briefen, Gottinga 1960; G. SEGALLA, «I cataloghi dei peccati in S. Paolo», in
Atenodoro Calvo, discepolo di Posidonio e suo concittadino (;comunque, erano provenuti
proprio da Tarso Zenone, la famiglia di Crisippo, Antipatro, Archidamo (4).
In ogni caso, l’uso che egli fa delle categorie del pensiero precristiano è
profondamente trasformato. Se S. Paolo propone ai fedeli una tabella di vizi e di virtù che
ricalca modelli stoici (Philip., 4, 8), mentre i catechismi morali dello stoicismo popolare
ponevano l’adorazione degli dèi come uno dei doveri umani, per l’apostolo non sono i
doveri religiosi del cristiano alla stregua dei doveri familiari e sociali, ma tutti i doveri si
innestano nella sottomissione al Signore, perché tutto ciò piace al Signore (Coloss., 3, 18).
L’appello alla coscienza come fonte della legge naturale è comune anche a Seneca; ma in
Paolo la coscienza non è coscienza in senso puramente psicologico, ma responsabilità di
fronte ad un Dio personale, così come la legge naturale che nella.coscienza viene scoperta
non è le ὁρμαί, le pulsioni, gli «appetiti» ricercati e studiati naturalisticamente dalla
filosofia pagana (5), ma le «inclinazioni naturali» di significato etico-metafisico che
riempiranno poi tanta filosofia cristiana del diritto naturale (6). Così, i temi della τάξις e
della δόξα, centrali nella teoria paolina dell’etica naturale (Rom., 1), per come sono
sviluppati non possono in alcun modo essere ricondotti a precedenti orfici o stoici. E anzi
ormai chiaro che «wenn er deshalb; wie in Röm., I, 18-23; die Urzeit berücksichtigt, greift
er auf rabbinische Vorstellungen züruck» (7). Parimenti, il diritto naturale discende ora da
Dio e dalla creazione, e non dal «mondo», ϕύσις, concetto questo insopportabilmente
panteista; non descrive più il modo in cui le cose vanno ma esprime un comando divino
«non scritto» - altra traslazione di senso dallo jus ex non scripto (lo jus civile di produzione
non comiziale) e dai νόμοι ἄγραϕοι (le norme iscritte nella «costituzione materiale» delle
città e delle civiltà greche; cfr. Antigone) - che richiede osservanza all’uomo.
D’altra parte, con S. Paolo si apre un processo di compenetrazione del
cristianesimo con la cultura ambiente che solo poté portare ad un’idea di diritto naturale in
senso stretto, distinto non solo dal diritto positivo ma anche dalla Legge divina - con cui
condivide peraltro l’autore -, presupposto questo necessario della deteologalizzazione
totale del concetto, che ha condotto al giusnaturalismo illuminista ed ai Diritti dell’Uomo
nel loro darsi come razionalità pu ra. E portare altresì ad una idea del diritto naturale tale
da poter fondare, in analogia con la posizione giusromanistica di colui che agisce in
quanto «ha lo jus», diritti soggettivi naturali dell’individuo.
In questo senso vanno le esortazioni di S. Paolo all’«onestà naturale pagana» che
Studia Patavina, n. 15, 1968.
(4) MAX POHLENZ, Die Stoa. Geschichte einer geistiger Bewegung, op. cit.
(5) Si tramanda che addirittura Cleante abbia Scritto un trattato Περὶ ὁρμῆς; certo del
problema se n’era già occupato Aristotele, ed anche Zenone, e se ne occuperanno ancora
Panezio, Seneca, Alessandro di Afrodisia, Galeno, Gellio, Stobeo, Cicerone, Clemente
Alessandrino, ...
(6) Uno studio moderno specificamente dedicato all’approfondimento del diritto naturale
per mezzo della tematica delle inclinazioni naturali è DARIO COMPOSTA, Natura e ragione,
op. cit.
(7) JACOB JERVELL, Imago Dei. Gen. I, 26 f. in: Spütjudentuin, - in der Gnosis, und in der
paulinischer Briefen, op. cit.
non solo non è in contrasto con la Legge divina, ma in cui anzi i cristiani devono
primeggiare: «modestia vestra nota sit omnibus» (I Cor., 10, 32). Dal che le esortazioni a
seguire le regole d’uso in materia di rapporti matrimoniali (I Tim., 5, 14; Tit., 2, 5), ad
evitare le frodi e a seguire il sentimento giuridico prevalente (Tit., 2, 10), all’obbedienza
muliebre (Eph., 5, 22-23), alla moralità corrente secondo i modelli pagani (Philip., 4, 8). Da
qui anche la notissima fondazione teorica e riconoscimento teorico-pratico del politico, resi
possibili da un lato con una separazione inedita dell’aspetto giuridico-organizzativo da
quello sacrale all’interno della prima funzione; dall’altro con una sottoposizione genetica
del potere politico alla volontà divina, che se lo «eteronomizza», gli permette di assumere
uno status cristiano e di conservare una certa legittimità e competenza (8).
Infine S. Paolo, che sottolinea come Cristo con la Redenzione abbia restaurato la
fraternità naturale tra tutti gli uomini spezzata dal peccato (Eph., 2, 11-18), introduce il
principio, gravido di sviluppi futuri, che il marito deve «riconoscere il diritto» della
moglie, il padre quello dei figli, il padrone quello dei servitori (Eph., 5, 25; Eph., 6, 4;
Coloss., 3, 18).
Con la riflessione paolina dunque il diritto naturale cessa di essere un principio
razionale che può solo essere conosciuto dal saggio attraverso l’uso della filosofia, ma
diventa un’inclinazione, certo indagabile razionalmente, ma che parla innanzitutto al cuore
dell’uomo, è testimoniata dalla sua coscienza, giacché esso ormai si è interiorizzato, non è
più ordine cosmico ma principio normativo, onde non rappresenta più un invito all’amor
fati, ma un imperativo morale diretto: «Infatti, quando dei pagani privati della legge
compiono naturalmente le prescrizioni della legge, questi uomini, senza possedere la
legge, tengono a se stessi luogo di legge; mostrano la realtà di questa legge iscritta nel loro
cuore, di cui è prova la testimonianza della loro coscienza, così come i giudizi interiori di
biasimo o di lode che portano gli uni sugli altri» (Rom., 2, 14-17). E l’accoglimento della
legge naturale è un momento necessario dell’accoglimento della legge divina lato sensu (I
Cor., 11, 17) (9).
Stefano Vaj
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(8) Questa concezione, che è la sola a rendere possibile la convivenza tra il cristianesimo e
l’organizzazione politica romana, sembra storicamente legata all’attenuarsi dell’idea di
un’estrema prossimità temporale del secondo avvento, ed è destinata a rivoluzionare
completamente la tradizionale visione europea della politica.
(9) Vedi anche PHILIPPE DE LA CHAPELLE, op. cit.
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