modello per una politica economica progressista

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CRITICAsociale ■ 27
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DOCUMENTO ■ ANALISI E PROPOSTE DEI SOCIALDEMOCRATICI TEDESCHI SULLA CRISI IN EUROPA
MODELLO PER UNA POLITICA ECONOMICA PROGRESSISTA
I
International Policy Analysis – Friedrich Ebert Stiftung
l concetto di «crescita sociale» presentato in queste pagine rappresenta la proposta della Friedrich Ebert Stiftung (Fes) per un modello di politica economica
progressista. L’obiettivo è sviluppare un modello di crescita che combini la
prosperità per tutti con la sostenibilità e la giustizia. Il target principale dell’analisi è la Germania, ma è chiaro che l’orizzonte è europeo e globale.
Sebbene la politica economica progressista qui delineata sia indirizzata direttamente al
superamento dell’attuale crisi socio-economica per mezzo di una crescita sociale, strutturata
equamente, il suo obiettivo indiretto è alleviare la crisi politica e ambientale che sta coinvolgendo la Germania, l’Europa e il resto del mondo.
La crescita sociale, focalizzandosi su istruzione, salute e protezione ambientale, allenta
la pressione sulle risorse naturali più di quanto faccia il modello convenzionale di crescita
fondato sul mercato. Essa consente inoltre i risultati che i cittadini si aspettano dalle politiche
democratiche, in particolar modo l’occupazione e la maggiore condivisione della prosperità
che il lavoro permette.
In questo modello, le crescita sociale conferisce legittimità a una democrazia che sembra
aver perso vigore, non tanto a causa dell’opacità delle sue procedure quanto piuttosto per risultati socialmente poco accettabili – in altre parole, a causa dell’incapacità degli Stati di
governare il mercato nell’interesse della società.
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
I
l concetto di «crescita sociale» presentato in queste pagine rappresenta la proposta della
Friedrich Ebert Stiftung (Fes) per un modello di politica economica progressista. L’obiettivo
è sviluppare un modello di crescita che combini la prosperità per tutti con la sostenibilità e
la giustizia. Il target principale dell’analisi è la Germania, ma è chiaro che l’orizzonte è europeo e globale.
Sebbene la politica economica progressista qui delineata sia indirizzata direttamente al
superamento dell’attuale crisi socio-economica per mezzo di una crescita sociale, strutturata
equamente, il suo obiettivo indiretto è alleviare la crisi politica e ambientale che sta coinvolgendo la Germania, l’Europa e il resto del mondo. La crescita sociale, focalizzandosi su
istruzione, salute e protezione ambientale, allenta la pressione sulle risorse naturali più di
quanto faccia il modello convenzionale di crescita fondato sul mercato. Essa consente inoltre
i risultati che i cittadini si aspettano dalle politiche democratiche, in particolar modo l’occupazione e la maggiore condivisione della prosperità che il lavoro permette. In questo modello,
le crescita sociale conferisce legittimità a una democrazia che sembra aver perso vigore, non
tanto a causa dell’opacità delle sue procedure quanto piuttosto per risultati socialmente poco
accettabili – in altre parole, a causa dell’incapacità degli Stati di governare il mercato nell’interesse della società.
Questo testo è basato su di una pluralità di studi e riflessioni che sono emersi in anni recenti o all’interno della Fes o commissionati dall’organizzazione stessa - in parte nell’ambito
del progetto “Germania 2020” (2007-2009), in parte nel quadro del progetto che ne è stata
la continuazione, “Crescita Sociale”. La lunga bibliografia include le suddette pubblicazioni,
ma riflette anche i diversi contributi di eminenti esperti. All’interno della Fes, René Bormann,
Michael Dauderstädt, Philipp Fink, Sarah Ganter, Sergio Grassi, Björn Hacker, Marei JohnOhnesorg, Gero Maaß, Christoph Pohlmann, Markus Schreyer, Hubert Schillinger e Jochen
Steinhilber, hanno collaborato nell’ambito di una task force.
SUMMARY
La crisi economica e finanziaria ha evidenziato senza mezze misure la debolezza del modello di crescita attualmente dominante. Evidentemente, quel tipo crescita, ampiamente abbandonata alle forze di mercato, non era sostenibile. Spinta dal generale ripiegamento dello
Stato e dalla liberalizzazione del mercato del lavoro, in Germania, e in realtà nel resto del
mondo, l’ineguaglianza reddituale si è accresciuta. Una situazione esacerbata da uno sviluppo
economico squilibrato, mosso da una globalizzazione dei mercati finanziari che ha portato
all’esplosione degli asset finanziare dei corrispondenti debiti.
A livello internazionale, questo sviluppo ha preso la forma di un grosso squilibrio nei
commerci e nei movimenti di capitale. A oggi, al notevole surplus di alcuni paesi fa da contraltare il deficit di altri. Negli anni, avanzi e disavanzi hanno generato un alto livello di
esposizione e debiti esteri, che, combinati con il debito pubblico che è cresciuto bruscamente
dall’inizio della crisi, hanno raggiunto un livello alla lunga insostenibile. Le strategie di riduzione del debito richiedono ora un capovolgimento degli attuali flussi di capitale. Ad ogni
modo, il peso dell’aggiustamento non può essere sostenuto unicamente dai paesi in deficit;
i paesi che contano su di un surplus – e la Germania in particolare – devono partecipare
anch’essi.
Un semplice ritorno alla situazione ante-crisi pare poco convincente. Se si vuole imboccare il sentiero di una crescita più bilanciata e sociale, è tempo di dire addio all’idea di mercati
finanziari «efficienti». La crisi ha mostrato come i mercati siano caratterizzati piuttosto dal
ripetersi regolare di comportamenti azzardati e cambiamenti d’umore. Devolvere l’allocazione del capitale ai mercati finanziari ha condotto a errori colossali. Alla luce di tali enormi
fallimenti del mercato, sono richiesti sia l’effettiva regolazione delle banche e dei mercati
finanziari, sia l’impegno degli Stati per una più decisa politica sociale e industriale.
Obiettivi del modello di crescita sociale qui proposto sono il cambiamento del corso della
politica economica e il rafforzamento della domanda domestica. La futura crescita in Germania riguarderà primariamente i servizi, non l’industria. C’è una grande questione da affrontare, soprattutto nei servizi pubblici come istruzione, salute e previdenza. Molti bisogni,
in particolar modo avvertiti dalle fasce economiche medio-basse della popolazione, non possono essere soddisfatti a causa della carenza di potere d’acquisto. Questo è il motivo per cui
un nuovo modello di crescita economica, che sia sociale, macroeconomicamente realizzabile,
strutturalmente coerente ed equo è necessario per assorbire, con un lavoro decente, la disoc-
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cupazione o la sottoccupazione in un settore dei servizi in crescita; per accrescere l’occupazione e la produttività complessive; per migliorare la distribuzione del reddito.
Per ridurre l’ineguaglianza, che è una delle cause della crisi fiscale, la politica deve essere
usata più vigorosamente, ad esempio innalzando l’aliquota massima e reintroducendo l’imposta sulla ricchezza. Per ridurre gli squilibri nell’Eurozona, il coordinamento delle politiche
salariali ha un senso, allo stesso modo di una più stretta coordinazione delle politiche economiche, includendo la sorveglianza degli avanzi e disavanzi delle partite correnti. Eurobond
condivisi potrebbero rappresentare l’inizio di una genuina integrazione, anche fiscale, all’interno dell’Eurozona.
La crescita sociale deve guidare i mercati, non solo in Europa ma anche globalmente,
mantenendo i loro effetti lungo un sentiero socialmente desiderabile. Ciò include standard
minimi in riferimento alle condizioni lavorative, salvaguardando il welfare state e una politica
monetaria globale che controlli le turbolenze dei tassi di cambio, che risultano tanto dannose
per l’economia reale. Una politica economica progressista che implementi questo modello
dovrebbe pertanto essere basata sul seguente programma in dieci punti:
1) Garantire un’offerta di credito stabile con una effettiva regolazione del mercato finanziario; 2) Utilizzare la politica dell’istruzione per stimolare le forze della crescita ed espandere le opportunità per tutti; 3) Aprire nuove aree di crescita con la politica industriale; 4)
Rafforzare la posizione dei lavoratori per mezzo del salario minimo e della codeterminazione;
5) Finanziare il settore pubblico adeguatamente ed equamente riformando la politica fiscale;
6) Stabilizzare l’economia e la situazione debitoria per mezzo di una politica fiscale anti-ciclica; 7) Rafforzare le forze della crescita in Europa tramite una robusta architettura di finanza
pubblica; 8) Operare per una maggiore stabilità nell’Eurozona tramite il coordinamento politico-economico; 9) Assicurare un lavoro decente per tutti per mezzo di standard europei e
globali; 10) Gestire la globalizzazione attraverso un nuovo ordine economico e monetario.
1. Il Problema: Crescita Sbilanciata
La crisi globale economica e finanziaria scoppiata nel 2007, che aveva appena iniziato a
mostrare segni di essere - almeno in parte – superata, è tornata in tutta la sua intensità. Mentre
in alcuni Stati gli enormi patrimoni finanziari e il prodotto interno lordo (Pil) del periodo
pre-crisi sono stati più o meno restaurati, altri purtroppo continuano a soffrire le conseguenze
della crisi in termini di bassa crescita, alta disoccupazione e debito pubblico. L’allarmante
livello del debito pubblico, quanto meno, non è il risultato delle politiche anti-crisi che, in
primo luogo, per mezzo di salvataggi bancari e pacchetti di stimolo economico, hanno permesso il rapido superamento della crisi. Ora la crisi dei mercati finanziari si è trasformata in
una crisi del debito pubblico che, dal canto suo, minaccia di innescare una nuova crisi bancaria.
La crisi economica dimostra che il modello prevalente di crescita economica ha punti
deboli fondamentali. Un semplice ritorno alla situazione pre-crisi sembra irrealistica. In linea
con questo, recentemente si è aperto un ampio dibattito sui vantaggi e gli svantaggi della
crescita economica. Questo va di pari passo con un altro dibattito sui fallimenti dello Stato
e del mercato, causati dalla crisi economica e finanziaria. Dobbiamo capire gli errori risultanti
da processi di crescita non guidati, in modo da essere in grado di sviluppare strategie alternative. Il modello di «crescita sociale» serve a questo scopo. Un modello di crescita deve
essere socialmente equilibrato e quindi anche meno soggetto a crisi. Ciò comporta un ruolo
più attivo per lo Stato, non solo a livello nazionale, ma anche a livello internazionale nel
quadro della cooperazione tra i paesi nel coordinamento della politica economica e sociale.
La crisi non è nata dal nulla. Le sue cause si rintracciano in un lungo periodo di crescita
globale sbilanciata, accompagnato da una sempre più iniqua distribuzione del reddito che, a
sua volta, ha portato a un’esplosione delle attività finanziarie. Tali attività hanno avuto il
loro rovescio della medaglia nell’accumulo di enormi debiti derivanti dal bilancio dello Stato
e dai disavanzi delle partite correnti. In molti paesi, questo è stato aggravato dall’iper-indebitamento delle famiglie, per esempio, negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Grecia, Spagna
e Irlanda. In alcuni paesi - per esempio, Stati Uniti, Giappone e Grecia - le autorità pubbliche
hanno fatto ricorso profondamente al debito, finanziando la domanda necessaria per la crescita. Il rapido sviluppo parallelo dei debiti e del mercato degli asset fino allo scoppio della
crisi è stato reso possibile dalla mancanza di regolamentazione dei mercati finanziari globali
e dalla avventata distribuzione del rischio senza adeguata trasparenza e controllo.
In questo modo, si sono consolidati grandi squilibri accumulati nel commercio internazionale che non potevano essere riequilibrati attraverso meccanismi di mercato o di prezzo.
Nell’Eurozona, nonostante la forte crescita, le divergenze tra gli Stati membri negli ultimi
anni sono aumentate. La politica monetaria unica della Banca centrale europea (Bce) ha incoraggiato una crescita asimmetrica sospinta dal debito nei paesi dell’Europa meridionale
(caratterizzati in passato da alti tassi d’interesse), con marcati squilibri delle partite correnti,
crollate nella crisi dei mercati finanziari.
Questa crescita asimmetrica è stata resa possibile dalle seguenti tendenze a lungo termine
che, a loro volta, hanno avuto - e continuano ad avere - ripercussioni per la crescita globale
(Dauderstädt 2011b):
• Globalizzazione: L’internazionalizzazione dei mercati per quanto riguarda informazioni,
capitali, beni, servizi e lavoro ha favorito la crescita a partire dall’inizio degli anni novanta.
La trasformazione delle economie ex comuniste - soprattutto della Cina - e il coinvolgimento
crescente dei paesi emergenti e in via di sviluppo nell’economia globale hanno permesso
una divisione internazionale del lavoro e degli utili derivanti dalla specializzazione, aumentando così la produttività. In termini globali, questo ha portato a una maggiore prosperità.
D’altra parte, questo modello di globalizzazione, orientato esclusivamente al mercato e alla
concorrenza, ha costretto tutti i paesi interessati a subire grandi sconvolgimenti al fine di
adattarsi alle nuove circostanze.
• Aumento delle disuguaglianze: L’aumento dei redditi si è tradotto nell’aumento delle
diseguaglianze, poiché il potere distributivo degli Stati, dei sindacati o dei dipendenti è stato
indebolito dalla concorrenza globale per le entrate fiscali, gli investimenti e l’occupazione a
favore delle corporation, dei detentori di asset e investitori. In pratica, uno scenario caratte-
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rizzato da utili in aumento e caduta dei salari può essere colto in tutti i paesi, così come un
divario crescente tra ricchi e poveri, come conseguenza della distribuzione estremamente
diseguale dei frutti della globalizzazione.
• Mercati finanziari soggetti a crisi: la liberalizzazione dei mercati globali dei capitali ha
anche fatto sì che il settore finanziario oggi operi in gran parte isolato e scollegato dall’economia reale. A breve termine, i movimenti di capitali speculativi spesso minacciano la stabilità dei sistemi finanziari ed economici. Negli ultimi anni e decadi dunque, l’economia
globale è sempre più soggetta a crisi.
A prima vista, l’economia della Germania - in particolare la sua economia di esportazione
- ha beneficiato di questi sviluppi. Offre una gamma di prodotti - beni strumentali e di lusso
- per i quali, grazie alla disuguaglianza di crescita globale, la domanda dall’estero è forte.
La Germania ha internazionalizzato i suoi processi produttivi, il cui esito è - nel confronto
internazionale - forte e relativamente elevato nel settore industriale, a fianco di un settore
dei servizi relativamente piccolo.
A un esame più attento, tuttavia, possono essere individuati una serie di sviluppo problematici in Germania. Per esempio, a causa della sua forte dipendenza dalle esportazioni,
l’industria e l’economia tedesche sono molto sensibili alle crisi all’estero. Ciò condiziona
non solo il settore bancario, che sulla scia della crisi finanziaria globale è stato portato sull’orlo del disastro e ha dovuto essere salvato dallo Stato, ma anche l’economia reale. A un
livello di circa meno 5%, il crollo della crescita in Germania nel 2009 è stato tra i peggiori
sulla scena internazionale. Sebbene la disoccupazione fosse aumentata moderatamente, quel
dato nascondeva un calo massiccio di ore lavorate a causa di riduzioni del lavoro continuato
nel tempo e del lavoro di breve durata.
In una prospettiva a lungo termine, anche la crescita della Germania e la dinamica dell’occupazione sono deludenti nel confronto internazionale. La crescita è stata piuttosto debole
fino al 2005 a causa della dipendenza predominante dalle eccedenze di esportazione a scapito
della domanda interna. E’ anche allarmante, nel confronto internazionale, la bassa, e in rapido
calo, crescita della produttività aggregata (van Ark et al. 2009). Le cifre della disoccupazione
in Germania sono state elevate per un considerevole periodo, anche prima della crisi. Grazie
all’avanzata del capitalismo dei mercati finanziari e a una politica del mercato del lavoro
che ha promosso il lavoro precario, i salari reali hanno ristagnato. Le disuguaglianze del reddito e della ricchezza sono aumentate più rapidamente che in qualsiasi altro paese Ocse (Bontrup 2010). I lavoratori con qualifiche basse continuano in particolare ad avere grandi difficoltà a entrare nel mercato del lavoro. Di conseguenza, già nel corso degli anni precedenti
la crisi, sempre meno persone hanno beneficiato dello sviluppo economico; le opportunità
di mobilità economica e sociale si sono deteriorate e il rischio di povertà (soprattutto in età
avanzata) è aumentato. Questi gravi problemi sociali minacciano non solo un ulteriore sviluppo economico, ma anche la coesione sociale.
Lo Stato in Germania si è inoltre ritirato da molti settori della vita economica e sociale
negli ultimi anni. Ciò si riflette, da un lato, nello sviluppo delle spese di governo in rapporto
al Pil, che, poco prima che scoppiasse la crisi, è sceso al valore più basso dalla riunificazione
in poi. Come conseguenza di ciò, nel settore pubblico in Germania si ha ora uno dei più bassi
rapporti di investimento e di spese per la formazione iniziale e continua, così come per le
infrastrutture pubbliche. Ciò ha frenato la crescita economica negli ultimi anni e minato le
basi della crescita futura.
Il gettito fiscale è sceso drasticamente a seguito di ampi tagli fiscali, in virtù dei quali lo
Stato, negli ultimi dieci anni, ha rinunciato a un fatturato di circa 350 miliardi di euro e si
trova ora a un livello molto basso nel confronto internazionale. L’obiettivo di utilizzare tagli
fiscali per stimolare l’attività di investimento tra le aziende private non è stato tuttavia raggiunto. Invece, i tagli fiscali hanno ridotto la capacità redistributiva del sistema fiscale tedesco. Capitali e asset sono poco tassati, una circostanza che finisce per accelerare la disuguaglianza del reddito e della ricchezza. Al contrario, i beneficiari di redditi da lavoro, in particolare il ceto medio - come anche i consumatori – stanno effettivamente portando sempre
più sulle proprie spalle il peso complessivo delle imposte e l’onere contributivo. Di conseguenza, lo Stato e principalmente i Länder e le municipalità, che gestiscono la maggior parte
degli investimenti pubblici, non hanno la forza finanziaria di cui hanno bisogno per affrontare
i compiti che si presentano. Nemmeno l’obiettivo di ridurre il debito pubblico potrebbe essere
raggiunto. Il debito pubblico tedesco è cresciuto a causa del lungo periodo di debole crescita
economica e di disoccupazione elevata anche prima della crisi ed è fortemente aumentato
sulla scia dei salvataggi di politica fiscale necessari per superare la crisi attuale (Priewe /
Rietzler 2010).
A causa del suo forte orientamento alle esportazioni, la crescita in Germania è crollata
drasticamente (meno 5%). D’altra parte, è stata in grado di recuperare molto più velocemente
di altri paesi dal momento che ha beneficiato in modo sproporzionato dalla recente ripresa
globale. Una ripresa aiutata dai pacchetti di stimolo economico del governo e dalle politiche
monetarie espansive delle banche centrali applicate in maniera massiccia a livello mondiale.
Le agevolazioni al mercato del lavoro hanno consentito modesti aumenti dei salari nominali.
Tuttavia, l’economia tedesca è tornata al suo modello di crescita squilibrata, legato alle esportazioni. Gli attuali tassi di interesse reali, davvero molto bassi - a causa dei bassi tassi di interesse nominali e di un’inflazione leggermente superiore – hanno anch’essi rafforzato la
crescita. «Il miracolo economico post-crisi», tuttavia, dipende dalla domanda europea e globale, come è stato prima della crisi. I paesi in via di sviluppo ed emergenti che attualmente
stanno sostenendo la ripresa dell’economia mondiale si trovano a dover lottare contro il surriscaldamento delle loro economie, l’afflusso di capitali speculativi e il profilarsi di bolle sui
prezzi. Ci sono considerevoli rischi macroeconomici e le carenze di politica pubblica, sia in
Europa che nel mondo, rendono fragile la base della ripresa e iniqua la distribuzione dei suoi
vantaggi.
Le crisi economiche sono destinate a peggiorare se le loro cause non vengono affrontate
e le loro manifestazioni non sono adeguatamente regolamentate e gestite. Una crescita economica non guidata aumenta ulteriormente rischiosi sviluppi a livello mondiale: per esempio,
in passato, la crescita economica ha determinato un aumento dei gas serra (CO2) e causato
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l’aumento del prezzo delle materie prime. La protezione del clima rappresenta una sfida importante per l’azione collettiva globale, dal momento che gli inquinatori - le famiglie, le società e i paesi – si comportano come free-rider rispetto a coloro che fanno economie. La
competizione per l’accesso alle materie prime condurrà - nel migliore dei casi - a una maggiore concorrenza tra gli importatori di materie prime per i mercati dei paesi esportatori (in
modo che siano in grado di pagare per quelle materie prime) e a una competizione per migliorare l’efficienza delle risorse, ma potrebbe anche trasformarsi in conflitti per il controllo
territoriale ed economico delle risorse naturali.
L’aumento della popolazione mondiale sta inoltre progressivamente diventando una minaccia per la crescita, anche se in passato il fattore demografico è stato fondamentale per sostenere la crescita economica. La transizione demografica da popolazioni stabili o in calo a
una situazione in cui la vita media si prolunga sta modificando radicalmente la struttura anagrafica delle società. L’offerta di lavoro tenderà a diminuire, mentre i bisogni e le aspettative
della popolazione anziana aumenteranno. I disagi legati a questa transizione demografica
cominceranno a farsi sentire in Germania solo a partire dal 2020, anche se probabilmente
avranno l’effetto positivo collaterale di ridurre la disoccupazione.
2. Il Dibattito intricato tra Liberali di Mercato e Scettici della Crescita
Le interpretazioni correnti delle crisi tendenziali dei modelli di crescita dominanti variano
ampiamente. Da un lato, vi sono quelle che sostengono, per quanto possibile, approcci miranti a soluzioni giuridicamente codificate sulla base di consenso politico e democraticamente
legittimate. Queste dovrebbero essere globali o almeno multilaterali, europee o nazionali.
D’altra parte, vi sono coloro che sono convinti che grazie a un ruolo statale minimo la competizione tra nazioni, imprese e singoli individui porterà alla soluzione dei problemi attuali
a livello nazionale, europeo e mondiale. Per gli stati creditori, i titolari di asset e la maggioranza dei datori di lavoro il fascino di questa opzione è che simili soluzioni tendono a riflettere le loro attitudini e interessi.
Un contesto caratterizzato da una frattura tra coloro che sostengono la globalizzazione,
l’europeizzazione e la crescita e coloro che si oppongono frontalmente. Questi ultimi vogliono frenare la globalizzazione a favore della circolazione nazionale, regionale e locale
delle merci e delle finanze e rinunciare alla crescita; i primi ritengono invece positivi gli sviluppi legati alla globalizzazione, anche se vorrebbero organizzarla in modo diverso. Coloro
che abiurano la crescita si posizionano sullo spettro politico dalle destre alle sinistre radicali:
le frange della destra cercano la salvezza nello smantellamento della globalizzazione a favore
della circolazione nazionale, regionale o locale delle merci e della finanza e del ritorno alla
politica populista-nazionalista; le frange della sinistra sognano di costruire un eco-socialismo
in un paese liberato dai dettami del mercato mondiale e della crescita e chiedono inoltre la
contrazione della crescita («decrescita») al fine di consentire ai paesi in via di sviluppo ed
emergenti, tenendo conto dei limiti ambientali, di crescere ulteriormente.
PERCHÉ LA CRESCITA?
I critici alla crescita, conservatori (Miegel 2010), verdi (Seidl/Zahrnt 2010) e di sinistra (Passadakis/Schmelzer 2011) che siano, fondamentalmente mettono in discussione
l’opportunità di un’ulteriore crescita. L’ambiente non è in grado sostenerla, essa non
soddisfa più le esigenze «genuine», non rende più felice la gente e si basa sullo sfruttamento di natura e persone, specialmente nei paesi più poveri. La compulsione per una
maggiore crescita si manifesta, da un lato, come il risultato della necessità di finanziare
e mantenere i sistemi di sicurezza sociale e, dall’altro, è legata alla necessità di soddisfare
gli interessi commerciali del capitale.
Questa critica non regge. La crescita è importante al fine di soddisfare importanti
esigenze sociali che non sono ancora state soddisfatte. La crescita ha senso anche nei
settori che rimangono sottosviluppati, quali l’istruzione, la salute e la protezione del clima. La crescita economica non è necessario che consumi più materie prime ed energia.
Ad esempio, può anche derivare dalla trasformazione delle attività domestiche in impieghi correlati al mercato del lavoro. La crescita non è pertanto da respingere a tutti i
livelli. E’ piuttosto una questione di quali beni reali e servizi dovrebbero essere forniti
e di quali redditi dovrebbero crescere. Più istruzione, più energia, più previdenza, più
salute e più rinnovabili sono socialmente desiderabili. I redditi delle persone più povere
in Germania, e non solo, dovrebbero inoltre aumentare nel prossimo futuro.
Tuttavia, la crescita non è affatto una panacea automatica. Ad esempio, sebbene i
sostenitori acritici della crescita siano ansiosi di sottolineare che, senza di essa, la piena
occupazione e la più equa distribuzione mai saranno raggiunte, questa è solo una mezza
verità. In primo luogo, la piena occupazione potrebbe anche essere raggiunta attraverso
la redistribuzione del lavoro necessario e del reddito, anche se sarebbe molto più difficile
politicamente senza crescita. In secondo luogo, come il passato ha dimostrato, la crescita
non è garanzia di piena occupazione e di distribuzione del reddito più equa. Al fine di
raggiungere o mantenere la piena occupazione, la crescita deve essere superiore alla soglia di occupazione garantita da un aumento della produttività aggregata. Ma questi guadagni di produttività possono essere convertiti - come è spesso avvenuto in passato anche in più tempo libero. Questo dovrebbe essere distribuito in modo tale che grandi
gruppi di lavoratori non diventino disoccupati di lunga durata, offrendo loro la riduzione
dell’orario di lavoro settimanale, più vacanze o più opportunità di pensionamento in età
avanzata.
In ultima analisi, la crescita continua ad avere un senso dove esistono ancora grandi
bisogni insoddisfatti: che sia tra la povera gente a basso reddito o in settori con basso
potere d’acquisto quel che conta è che vi siano esigenze sostanziali da soddisfare (Dauderstädt 2010a). Al contrario, non vi dovrebbe essere alcun aumento dei beni di lusso
che difficilmente migliorano la prosperità sociale.
In Germania, le posizioni politiche più radicali hanno finora svolto un ruolo relativamente
marginale e si esprimono quasi esclusivamente fuori dal parlamento. Anche se critiche alla
crescita, alla globalizzazione e l’euroscetticismo si incontrano spesso nel dibattito pubblico,
bisogna constatare che - almeno finora - non si sono coagulate in un punto di vista politico
serio. Tuttavia, in fondo vi sono anche notevoli differenze tra coloro che sostengono la crescita
e credono che sia necessaria l’estensione della disponibilità a cercare soluzioni sovranazionali
e ad assumersi la responsabilità globale ed europea per iniziative solidali in tal senso.
Queste differenze si manifestano in particolare con riguarda a:
La gestione/governance democratica e sociale della globalizzazione;
Il rapporto tra gli orientamenti relativi al lato dell’offerta e al lato della domanda in politica economica;
L’importanza della cooperazione e competizione tra Stati;
La questione del contenimento dei mercati globali - specialmente dei mercati finanziari
- per mezzo di standard e regolamenti concordati a livello internazionale.
Il dibattito di politica economica tedesca è dominato dalla tradizionale scissione tra coloro
che attribuiscono maggiore importanza alle forze di mercato, all’iniziativa privata e alla «responsabilità personale» e coloro che desiderano instaurare relazioni sociali, o anche ecologiche, più egualitarie tramite l’intervento statale nel, e contro, il mercato. Il ruolo di governo
dello Stato non è in discussione. Nel primo «campo» l’accento viene posto sulle forze del
lato dell’offerta, che sono ostacolate da un’eccessiva regolamentazione del governo, da tasse
troppo alte e da forti sindacati; nell’altro campo tutto ciò è considerato come una correzione
necessaria ai fallimenti del mercato. Se la prima fazione ritiene le disuguaglianze fattori naturali e importanti per la crescita che devono essere pertanto accettati, la seconda sostiene
che esse siano il risultato del potere del mercato e che, anche nell’interesse della crescita a
lungo termine, debbano essere livellate.
3. Il Concetto di «Crescita Sociale»
Il concetto di «crescita sociale» è inteso per definire un paradigma che offra un’alternativa
al discorso dominante basato su una crescita guidata dal mercato, ma anche allo scetticismo
attualmente in voga rispetto alla crescita stessa. L’idea è ridefinire nozioni chiave quali lavoro, creazione di valore, produttività, investimento e debito e di istituire una politica economica rivitalizzata. Il punto focale sta nel riconoscimento che i mercati in generale – e, in
particolare, i mercati finanziari – si sono dimostrati inadatti a garantire l’allocazione razionale
delle risorse e la distribuzione del reddito. I bisogni sociali si distinguono fondamentalmente
a causa di un’ineguale distribuzione del potere d’acquisto. L’approccio verrà espresso in termini di concrete raccomandazioni di politica economica, il cui inserimento nel paradigma
della «crescita sociale» conferirà loro una più forte giustificazione e consistenza.
La «crescita sociale» è intesa per offrire al maggior numero possibile di persone l’opportunità di un lavoro decente e la condivisione della prosperità sociale. E’ inutile dire che
è possibile distribuire solo ciò che viene prodotto – ma le persone dovrebbero poter ricevere
la loro legittima quota di benessere. Una distribuzione volta ad aumentare l’occupazione e
la produttività dovrebbe sostanziarsi in un aumento del consumo privato e pubblico, ma
anche in più tempo libero. Ciò include settimane lavorative più brevi, più periodi di vacanza
e un più lungo, e garantito, periodo di pensionamento. L’aumento di lavoro e produttività richiede investimenti in stock di capitale tangibili e intangibili, incluso il capitale umano. Questi investimenti sociali devono essere promossi, incanalati e liberati dai rischi dei mercati finanziari (Dauderstädt 2010d).
3.1 Lavoro, Produttività, Investimenti
Sul lato dell’offerta, la crescita economica è la risultante di più lavoro e/o di una maggiore
produttività (vedi la Figura 1). Entrambi scaturiscono primariamente da maggiori investimenti, che creano nuovi posti di lavoro, o dalla modernizzazione degli stock di capitale, in
grado di rendere il mercato del lavoro più produttivo. Comunque, i tre fattori chiave della
crescita richiedono una definizione più precisa per avere la patente di «buoni» o «sociali».
• Un lavoro decente è un’occupazione decentemente pagata che consente ai lavoratori di
badare a sé stessi e alle proprie famiglie in modo adeguato. Esso consente anche ai lavoratori
di avere un ruolo nella propria azienda. Queste condizioni vengono raggiunte al meglio in
una situazione di piena occupazione, poiché questa conferisce sostanziale potere di mercato
ai salariati. Deve essere notato, comunque, che il lavoro addizionale rimpiazza il lavoro non
dichiarato («nero»), quello domestico e quello volontario, e crea nuova prosperità in quanto,
e se, più produttivo.
• La produttività sociale si differenzia dalla produttività tradizionalmente intesa e misurata
poiché essa tiene in considerazione (negativamente) le esternalità ed esclude gli incrementi
produttivi raggiunti a spese dei lavoratori. Il valore di un prodotto – bene o servizio – esprime
un bisogno sociale. La creazione di valore può anche risultare da miglioramenti nella qualità
dal punto di vista dei consumatori. Gli apparenti incrementi di produttività, ottenuti solamente
per mezzo di un maggiore output o di un minore input di prezzo, di una intensificazione del
lavoro (in altre parole, più lavoro nello stesso tempo), di una riduzione nascosta della qualità
o di un orientamento verso una struttura di domanda elitaria, sono il risultato di una distribuzione ineguale del reddito che non accresce il benessere sociale aggregato.
• Gli investimenti sociali sono spese che generano crescita sia creando lavoro si accrescendo la produttività. La ristrutturazione degli asset tra differenti modalità di investimento
finanziario non conta. Oltre ai tradizionali investimenti del settore privato in migliori stock
di capitale e dunque in nuovi e più produttivi lavori, le spese governative non dovrebbero
concentrarsi solo su «mattoni e malta» (in altre parole, infrastrutture), ma anche in istruzione,
ricerca e salute. Le spese dei privati in abitazioni, istruzione e simili contribuiscono ad accrescere la prosperità nel lungo periodo.
Vi sono investimenti nell’economia privata solo se gli investitori possono attendersi un
ritorno che giustifichi la loro spesa iniziale, spesso finanziata con prestiti. Le imprese si at-
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tendono una domanda per i loro prodotti; lo Stato si attende più elevate entrate fiscali; i
privati si attendono redditi in crescita e/o costi in discesa (ad esempio, gli affitti). I redditi
aumentano solo se altri attori sostengono le spese corrispondenti. Motivo per cui essi hanno
bisogno di accedere al reddito o al credito (vedi la Sezione 3.2).
Se da un lato, non tutti gli investimenti economici privati sono utili per la crescita sociale
in se stessa, dall’altro l’economia privata ignora sistematicamente gli investimenti ad alto
valore sociale. Questi fallimenti del mercato sollevano la questione di cosa dovrebbe crescere
in futuro. Sebbene il settore industriale continui a occupare un’importante posizione nell’economia della Germania, non può essere assunto che la sua crescita porterà nel lungo termine a un maggiore impiego. Infatti, la quota di Pil detenuta dal settore industriale sta declinando da diverse decadi nei paesi più sviluppati, anche se in Germania tale trend si sta dimostrando meno accentuato. In diretto contrasto, l’impiego nel settore dei servizi è in crescita. In questo settore esiste un considerevole potenziale di crescita, in particolar modo nei
servizi sociali.
La crescita sociale avrà anche luogo in modo predominante attraverso l’espansione della
fornitura di servizi, specialmente in aree quali istruzione, previdenza e salute.
Grafico 1: Il Lato dell’Offerta della Crescita Sociale
Pieno impiego - Crescita Sociale - Valore = bisogno sociale
Codeterminazione - Lavoro decente - Produttività sociale - Sostenibilità
Lavoro »Sociale«: lavoro da casa, lavoro volontario, lavoro non dichiarato
Investimenti sociali - Qualità (per i consumatori)
Qui, inoltre, la crescita si concretizzerà, d’altro canto, in impiego addizionale e, dall’altro,
in più alta produttività. I nuovi lavori stanno in parte assorbendo gli inoccupati o coloro che
involontariamente lavorano solo part time e, in parte, i servizi svolti all’interno delle famiglie
stanno mutando in servizi offerti sul mercato. Questo accresce il Pil, sebbene la prosperità
sociale si accresca solo quando il lavoro orientato al mercato diventa più professionale, più
produttivo e di migliore qualità. Si è a lungo temuto che la produttività dei servizi non potesse
realmente aumentare (un fenomeno conosciuto come «morbo di Baumol»). Ad ogni modo,
questa tesi sottostima importanti componenti della produttività, come la qualità e il capitale
intangibile.
3.2 Domanda e Distribuzione
La crescita sociale richiede – come ogni stabile e sostenibile processo di crescita – uno
sviluppo adeguato della domanda aggregata. La domanda sociale è condizionata dai valori
aggregati di redditi, trasferimenti statali e prestiti addizionali (vedi il Grafico 2). I redditi
hanno un impatto sulla domanda solo se vengono spesi direttamente o vengono sottratti dallo
Stato – mediante tasse e contributi – o dal sistema finanziario a coloro che li dovrebbero
spendere. Come regola generale, il denaro deviato attraverso lo Stato viene speso dal momento che sia i destinatari di trasferimenti che lo Stato come fornitore di beni pubblici faticano a risparmiare. Per quanto riguarda i risparmi messi a disposizione del settore finanziario,
le cose si fanno ancora più problematiche in quanto essi vengono convogliati in strumenti di
investimento che a malapena riescono a stimolare l’economia reale, almeno direttamente.
Tuttavia, il settore finanziario - specialmente quando la politica monetaria della banca centrale è accomodante – può anche creare i prestiti aldilà dei risparmi di altri attori (soprattutto
le famiglie, ma anche imprese e, raramente, lo Stato). Solo questi prestiti, che superano il risparmio, alimentano la crescita.
La crescita in realtà richiede che i settori o gli attori siano disponibili a contrarre debiti
in modo da assorbire i risparmi di altri attori e settori. Senza questa disponibilità a contrarre
debiti, la crescita si arresterebbe sin quando una crescente offerta non trovasse una sufficiente
domanda, ma non alimentata dalla caduta dei prezzi. Questa disponibilità dipende dal tasso
di interesse. I tassi devono essere inferiori ai rendimenti attesi. Con riferimento all’economia
nel suo insieme, comunque, la banca di emissione deve scegliere il tasso di interesse in modo
tale che il prestito risultante totale e la corrispondente domanda non eccedano di troppo le
reali opportunità di offerta, evitando dunque di generare un effetto puramente inflattivo. In
passato la Bundesbank tedesca e la Banca Centrale Europea, dal punto di vista della Germania, hanno agito in maniera troppo restrittiva, determinando una caduta della domanda al di
sotto dell’offerta potenziale e generando disoccupazione e crescita debole.
Per un periodo, comunque, i prestiti possono compensare la mancanza di domanda dovuta
ai bassi salari, come è successo negli Stati Uniti negli anni prima dello scoppio della crisi finanziari del 2007. L’esempio americano mostra, comunque, che un debito galoppante non
può essere un sostenibile sostituto per redditi troppo bassi e non equamente distribuiti.
Grafico 2: Circolazione del Reddito
Reddito familiare da salari e altri redditi, come i trasferimenti sociali
Tasse e contributi - Risparmi - Spese dei consumatori
Trasferimenti - Produzione di beni pubblici e servizi - Prestiti del settore finanziario
Produzione per il mercato
Reddito familiare da salari e altri redditi, come pure i trasferimenti sociali
più nuova rete del debito
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Alti redditi conducono a un elevato tasso di risparmio. In Germania e in molti altri paesi
la distribuzione dei redditi negli ultimi venti anni è diventata marcatamente iniqua. I redditi
delle fasce più ricche della popolazione sono cresciuti molto più rapidamente di quelli degli
strati più poveri. Questo non solo ha frenato la domanda, ma ha causato l’emergere di una
struttura della domanda sempre più orientata verso gli interessi delle famiglie più ricche
(beni di lusso e posizionali). Questa tendenza è stata rafforzata dalla diminuzione della pressione fiscale sulle famiglie più ricche. Questi sgravi fiscali hanno anche limitato la capacità
dello Stato di soddisfare i bisogni sociali di beni e servizi pubblici. In futuro, quindi, è necessario garantire che la creazione di valore aggiunto venga anche condivisa dai dipendenti.
Solo in questo modo si eviterà che la debolezza della domanda sia di ostacolo alla crescita.
3.3 Stato e Mercato
Per cominciare, la circolazione del reddito tra offerta e domanda opera a prescindere dal
fatto che i bisogni sociali siano soddisfatti pubblicamente e collettivamente o privatamente
tramite il mercato. L’assunzione frequentemente espressa secondo cui le tasse e i contributi
abbasserebbero la domanda è sbagliata, come già spiegato. Al contrario, quando lo Stato si
sobbarca tutte le spese non sostenute dal settore privato, la domanda e la crescita vengono
create e ne consegue un aumento dell’impiego e della crescita. Rimane una giustificazione
per lo scetticismo nei confronti dello Stato nell’assunto per cui lo Stato stesso potrebbe essere
un fornitore meno efficiente rispetto al mercato e all’impresa privata. Solo in questo caso ci
si potrebbe attendere una maggiore crescita dalla privatizzazione.
Un possibile vantaggio del mercato è il miglior aggiustamento dell’offerta alla domanda
attraverso meccanismi di prezzo. Idealmente, i prezzi dovrebbero riflettere le preferenze sociali e guidare i fattori della produzione verso quelle attività che forniscono l’offerta corrispondente a quelle preferenze. La realtà, comunque, è differente:
• Vi sono marcate differenze di reddito e ricchezza e il potere d’acquisto è distribuito iniquamente. Ciò distorce la relazione tra i prezzi e le preferenze e i bisogni sociali.
• Il meccanismo di prezzo esclude costi esterni – come le emissioni inquinanti – e benefici
e funziona male rispetto ai beni pubblici (ad esempio, sicurezza sociale, stabilità dei mercati
finanziari e via dicendo).
• A causa delle asimmetrie informative i benefici per i consumatori sono significativamente più piccoli. Ad esempio, un consumatore compra un bene e in tal modo accresce il
Pil, ma più tardi si rende conto che il prodotto acquistato lo soddisfa poco (o per nulla).
• I mercati dei capitali rispetto ai quali i prezzi degli asset si suppone riflettano i rendimenti attesi – contrariamente alla vecchia ipotesi popolare sui mercati efficienti – non sono
così efficienti, ma operano piuttosto condizionati “dall’istinto del gregge”. In tal modo essi
guidano gli investimenti verso segmenti – ad esempio, l’edilizia negli Usa, in Spagna e Irlanda – nei quali i bisogni sociali possono, in ultima analisi, essere meno significativi di
quanto i mercati si aspettano.
Per tutte queste ragioni, che riflettono fallimenti di mercato, la regolazione dei mercati
è necessaria e lo Stato deve occuparsi di determinati bisogni sociali. Comunque, l’efficienza
potrebbe migliorare se l’offerta fosse soddisfatta da imprese private in vece dello Stato. Ad
ogni modo, efficienza e produttività non devono essere confuse con la riduzione dei costi.
Questi ultimi possono risultare dall’affievolimento della pressione sui salari o su altri prezzi
di input, che significa mera ridistribuzione della prosperità.
A un’analisi più attenta, la domanda spesso esprime il fatto che lo Stato dovrebbe accompagnare i cambiamenti strutturali in economia, consentendo alla forze di mercato di agire
con una certa libertà. Lo Stato ha sempre sviluppato politiche industriali, sia direttamente
attraverso l’aperto sostegno a settori ben precisi o aree, sia indirettamente, promuovendo,
ad esempio, la competitività internazionale tramite la pubblica istruzione e il sistema formativo/addestrativo o, ancora, per mezzo di stimoli economici, come la compensazione per
brevi periodi lavorativi, che hanno reso più semplice al settore edilizio e manifatturiero affrontare la crisi economica e finanziaria, evitando la perdita di potenziale produttivo, di potenziale di crescita e know-how.
Inoltre, vi sono numerosi esempi storici che confermano che il mercato non funziona
sempre meglio dello Stato nell’aprire nuove aree di crescita in maniera effettiva e sostenibile
(microprocessori, internet, energie rinnovabili). La crisi economico-finanziaria, per giunta,
ha dimostrato che consentire alle forze di mercato di determinare troppo liberamente il gioco
dei mercati non sempre apporta benefici alla società. Lo Stato dovrebbe insomma tentare,
nel quadro di una politica industriale e strutturale sostenibile, di guidare gli investimenti e i
flussi di capitale verso utilizzi lungimiranti e progressisti che beneficino la società nel complesso. Allo stesso tempo, non dovrebbe tentare di sovvertire inevitabili cambiamenti strutturali, ma sostenere politiche sociali per i necessari aggiustamenti ai processi ambientali,
economici e sociali. Non c’è alternativa all’organizzare la produzione e il consumo futuri
secondo modalità in grado di conservare le risorse e di preservare clima e ambiente.
3.4 Integrazione Europea e Globalizzazione
Nei mercati transazionali la circolazione dei redditi (vedi Grafico 2) ha luogo lungo i
confini nazionali e non può essere regolata e bilanciata da uno Stato sovranazionale se gli
attori privati o i singoli Stati generano squilibri. Sulla base di differenti livelli di redditi nazionali la competizione globale – o europea – tra forza lavoro ostacola lo sviluppo dei salari
in molti paesi, slegandoli in maniera crescente dall’evoluzione della produttività. L’ineguaglianza dei redditi sta crescendo in molti paesi. Ad ogni modo, l’ascesa di alcuni attori, come
la Cina, sta riducendo la disuguaglianza globale tra paesi. La relativa crescita dei risparmi,
comunque, stimola la speculazione sui mercati degli asset.
La crescita sociale al livello globale ed europeo auspica un pieno impiego, legato a incrementi della produttività tramite investimenti nell’economia reale. La domanda deve essere
consentita grazie a una migliore distribuzione, in particolare per mezzo di salari orientati
dalla produttività.
• Globalmente, questo significa che, specialmente nei paesi poveri, la disoccupazione
deve essere ridotta, le condizioni di lavoro migliorate e i salari alzati. Le strategie basate sui
surplus di esportazione e sui bassi salari dovrebbero essere bilanciate da strategie mirate alla
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domanda interna e alla lotta alla povertà. Finanziare i necessari investimenti non dovrebbe
essere prerogativa di un mercato dei capitali scarsamente regolato e soggetto agli istinti del
gregge, alle manie e agli attacchi di panico degli attori che vi operano.
• Vi è anche un alto livello di ineguaglianza in Europa, che prende innanzi tutto la forma
di grandi differenziali di reddito tra paesi, sebbene l’ineguaglianza all’interno della gran
parte degli Stati sia aumentato negli anni recenti. Gli ultimi progressi a livello regionale, che
hanno ridotto il gap tra i paesi (e che la crisi del debito ha bruscamente interrotto), devono
essere rivitalizzati nel quadro di una strategia di crescita europea. Nell’Unione Europea, inoltre, i requisiti per gli investimenti non dovrebbero essere abbandonati al libero mercato. Troppo è stato investito – e avventatamente – nell’immobiliare spagnolo e irlandese; scelta sbagliata con gravi conseguenze. L’occupazione a condizioni decenti in un singolo mercato deve
essere protetta per mezzo di alti standard minimi relativi a orario di lavoro, condizioni e remunerazione. Offerta e domanda in Europa devono essere gestite da una politica economica
coordinata che promuova uno sviluppo compatibile, a livello ambientale e sociale, che consenta di raggiungere obiettivi solidi in termini di crescita e impiego e che limiti gli squilibri.
Uno dei problemi chiave dell’attuale sistema monetario internazionale discende dal fatto
che una valuta nazionale – al momento, il dollaro statunitense – viene utilizzata come moneta
globale e come principale valuta di riserva. Al fine di rendere disponibile liquidità sufficiente
per l’economia globale, il paese che emette la valuta di riserva globale deve avere un deficit.
La stabilità dell’economia globale e del sistema monetario internazionale, comunque, dipende dal livello di fiducia dei mercati dei capitali sulla stabilità della principale moneta di riserva. I deficit scuotono questa fiducia, e ciò si è riflesso in rapide fluttuazioni del valore
reale del dollaro. Grazie alla posizione dominante economico-politica degli Stati Uniti e in
mancanza di alternative, questa fiducia – almeno sino a tempi recenti – mai è andata persa
interamente.
Dato che le riserve internazionali di valuta sono state detenute tradizionalmente in dollari,
gli Usa sono stati in grado di perseguire una politica domestica espansiva, che ha favorito
un insostenibile livello dei prezzi degli asset e un boom dei consumi. Nell’attuale sistema
monetario globale, l’accumulazione di riserve da parte della Cina, combinata con politiche
monetarie e fiscali espansive negli Usa, si è tradotta in un « symmetrical maladjustment »:
sin quando i paesi in surplus sono disponibili a mantenere le loro riserve in dollari, nessuno
sarà sottoposto ad alcuna pressione per l’aggiustamento. Le politiche monetarie e fiscali del
paese detentore della valuta di riserva dominante (gli Usa) sono orientate prioritariamente
verso obiettivi economici domestici e pertanto, più o meno, accettano gli effetti negativi (in
termini di eccesso o di carenza di offerta) della liquidità globale. In un contesto di deregolamentazione dei mercati finanziari, un sistema monetario mondiale strutturato in tal modo
determina cicli di « boom and bust», in altre parole alla periodica creazione ed esplosione di
bolle sui prezzi degli asset. Fin quando non verranno intrapresi seri passi per ridurre gli squilibri globali e per ristabilire un certo equilibrio nell’economia mondiale, si verificheranno
nuove crisi finanziarie ed economiche, dannose per la crescita globale e quindi anche per la
prosperità di tutti i paesi.
4. «Una Traiettoria per il Futuro»: Una Politica Economica Progressista
Come dovrebbe essere il nuovo modello di crescita sociale e quali strumenti di politica
economica potrebbero essere utilizzati per implementarlo? Nel breve periodo, dobbiamo superare la crisi del debito, che deve essere accompagnata da una ri-regolazione strutturale dei
mercati finanziari. Nel medio e lungo termine abbiamo bisogno di un modello di crescita
che consenta e garantisca più equilibrio sociale e sostenibilità ambientale. Dato che è irrealistico attendersi tutto ciò dalle forze di mercato – anche se queste forze fossero dispiegate
sulla base di un’ingegnosa politica economica per raggiungere tali obiettivi –, il successo
dipende più che mai dalle politiche governative. In un’economia globalmente interdipendente, un’effettiva politica economica sovranazionale richiede la stretta cooperazione dei
governi nazionali e lo stabilimento di strutture regolatorie e di governance.
4.1 Superare la Crisi del Debito
La crisi del debito ha le sue radici nell’economia reale e nel sistema finanziario. Nell’economia reale l’ineguaglianza di reddito all’interno dei paesi e – in parte causati da quella – gli
squilibri macroeconomici tra i paesi si sono accresciuti (Busch 2009). Senza il crescente indebitamento dei settori e il deficit di quei paesi che, nell’attesa di crescere nel lungo termine,
siano disponibili a consumare e a investire oltre i propri redditi, la crescita della quale i paesi
in surplus avevano beneficiato sarebbe collassata ben prima della crisi finanziaria. Il sistema
finanziario, da un lato, ha creato le condizioni per consentire a una crescita guidata dal debito
di mantenersi funzionante per tanto tempo, dall’altro, ha procrastinato un processo di crescita
insostenibile, accantonando momentaneamente ed eludendo i rischi. Peggio ancora: la percezione del rischio ha fluttuato in modo caotico tra falso ottimismo e attacchi di panico, determinando un approfondimento della crisi con gravi conseguenze per l’economia reale.
Soltanto un intervento massiccio di politica fiscale e monetaria da parte delle banche
centrali e dei governi è stato in grado di limitare e mitigare gli effetti di questa crisi dei mercati finanziari sull’economia reale. Come risultato, i valori degli asset hanno recuperato bene,
ma a scapito di una ristrutturazione dal lato del passivo dagli Stati, che ha ormai assunto una
proporzione molto più grande di debiti e di rischio (Dullien/von Hardenberg 2011; Dullien
2010a; McKinsey 2011 ). Per spianare la strada a una crescita nuova e sostenibile, la sostanziale riduzione del debito è inevitabile. Ciò può essere realizzato in tre modi - che possono
essere combinati – (Dauderstädt 2009b):
1. Un « taglio» al debito (e alla ricchezza), che ha già avuto luogo con riguardo ai debiti
privati (ad esempio, i mutui americani). La cancellazione del debito nei confronti degli Stati
ha meno senso, anche perché in molti casi si colpiscono le banche che devono poi essere
ricapitalizzate o salvate. In questo modo non ci sarebbe alcun taglio, ma solo un cambiamento di debitore; lo Stato rimarrebbe seduto sul debito (come una sorta di debitore di ultima «istanza»).
CRITICAsociale ■ 31
2. Le eccedenze di spesa da parte dei creditori portano a eccedenze delle entrate da parte
dei debitori. A tal fine, i paesi in surplus dovrebbero essere disposti ad accettare disavanzi
delle partite correnti; i detentori di asset dovrebbero investire e/o consumare pesantemente
o essere tassati di più (tasse sulla ricchezza, prelievi sul patrimonio, imposte di successione).
3. Un’inflazione molto più alta ma controllata – tra il 4 e il 6% annui – per diversi anni
svaluterebbe il debito in termini reali. Le banche centrali dovrebbero fare i conti con questi
aumenti di prezzo e non rispondere con aumenti dei tassi di interesse. In particolare, i più poveri percettori di redditi regolari – pensioni, benefit sociali, bassi salari – dovrebbero essere
protetti dalla caduta dei loro standard di vita e dalla diminuzione del loro potere d’acquisto
da una sorta di aggiustamento inflattivo nella forma di aumenti di reddito o sgravi finanziari.
La via d’uscita dalla crisi coinvolge tutti e tre queste componenti. Dal punto di vista di
una politica economica progressista, comunque, la seconda componente sarà dominante.
Essa riduce il rischio distributivo per i poveri e riduce gli squilibri della crescita. Allo stesso
tempo, i mercati finanziari devono essere regolati in modo tale che nessun’altra bolla sugli
asset possa emergere. Ciò non significa una irragionevole restrizione dei prestiti per l’economia reale ma un contenimento della speculazione, più trasparenza e una chiara attribuzione
di rischi e responsabilità. A tal fine tutte le banche ombra devono essere abolite e, allo stesso
tempo, la miriade di prodotti finanziari esotici deve essere resa trasparente, una tassa sulle
transazioni finanziare deve essere introdotta e il settore finanziario nel suo complesso deve
essere temperato da un solido e «noioso» modello di business (finanziamento dell’economia
reale, maturità, trasformazione del rischio) con strutture di remunerazione adeguata (Kamppeter 2011; Kapoor 2010; Dullien/Herr/Kellermann 2009, 2011).
4.2 Scenari per una Germania Sociale
In Germania, il modello di crescita basato sulla contrazione dei salari e il ritiro dello
Stato deve essere corretto. Ciò ha causato divisioni sociali e una crescita fragile, asimmetricamente dipendente dall’export (Bontrup 2010). La domanda domestica, in particolare in
aree caratterizzate da bisogni sociali sostanziali – come le energie rinnovabili, l’istruzione,
la previdenza e la sanità – deve essere rinforzata per mezzo di una più equa distribuzione di
reddito e di un più solidamente finanziato consumo pubblico. In queste aree, possono essere
creati ulteriori posti di lavoro e reddito addizionale.
La Friedrich-Ebert-Stiftung (Fes), in tre grandi ricerche, ha simulato scenari diversi per
la crescita sociale in Germania:
1. Il primo studio, nel quadro del progetto Futuro 2020, è stato portato avanti da Bartsch
Econometrics nel 2008/2009 (Bartsch et al. 2009a; Bartsch et al. 2009b). Esso assume una
aumento nell’investimento pubblico, specialmente nell’addestramento lavorativo e nell’istruzione, così come una politica salariale orientata alla produttività. Il risultato, comparato con
uno scenario base legato a una politica economica invariata rispetto all’attuale, evidenziava
la possibilità di avere una crescita molto più sostenuta, con un tasso di disoccupazione più
basso, una migliore distribuzione e un debito pubblico più basso (Bormann et al. 2009a; Bormann et al. 2009b).
2. Un secondo studio sulla crescita attraverso l’espansione dei servizi sociali, portato avanti
da Prognos (2010/2011), ha calcolato che la creazione di circa un milione di posti di lavoro,
specialmente nel settore previdenziale, incrementerebbe il Pil di circa 22 miliardi di euro (in
altre parole, di circa l’1% del Pil attuale), 2/3 dei quali passerebbero attraverso lo Stato (metà
in tassazione, metà in contributi sociali) e 1/3 attraverso il mercato. I contribuenti finanzierebbero circa 1/3 del loro reddito addizionale da salario aumentando le spese in consumi individuali, mentre i restanti 2/3 arriveranno dalle spese nei servizi pubblici (Prognos 2011b).
3. In un terzo studio (2011) sull’Interdipendenza tra lo Sviluppo del Mercato della Salute
e lo Sviluppo dell’Economia e dell’Occupazione, il Rheinisch-Westfälische Institut für Wirtschaftsforschung (Rwi) ha esaminato le conseguenze per crescita e occupazione di una forte
espansione – 2% annuo – del settore della salute. Esso assume una crescita media della produttività reale dell’1% annuo, con la produttività del settore della salute in aumento solo dello
0.5%. Entro il 2030, in questo caso, la quota di valore aggiunto del settore della salute aumenterà dal 10 al 13% e la sua quota di occupazione dal 12 al 16% dell’economia della Germania.
In corrispondenza di ciò, la spesa per la salute crescerà in proporzione alle spese dei contribuenti, sebbene in una quota maggiore tra i più poveri (dal 16 al 24%) rispetto agli altri (dal 6
al 10%). Anche le aliquote contributive aumenteranno rapidamente. Ad ogni modo, le spese
in altre aree non diminuiranno in termini assoluti e anche il welfare si estenderà (Rwi 2011).
La Germania può quindi seguire differenti sentieri di crescita, che includano la transizione
energetica e l’espansione dei servizi sociali, senza aumentare l’indebitamento dei contribuenti
e dello Stato. Il suo alto surplus dell’export denuncia l’esistenza di potenziali di consumo e
investimento non sfruttati a pieno. Tuttavia, la Germania non deve temere un calo della sua
prosperità. Sebbene le strutture di consumo e produzione debbano cambiare, la trasformazione può avere luogo in un contesto di crescita per mezzo di più impiego e produttività più
alta, senza involontarie riduzioni nei consumi tradizionali. A tal fine, deve essere assicurato
uno stabile potere d’acquisto per soddisfare i nuovi bisogni. Essi possono essere ottimamente
raggiunti per mezzo di una più equa distribuzione del reddito e di una limitazione nella crescita degli asset (Dauderstädt 2011a; Pfaller 2010b).
4.3 Crescita Sostenibile per l’Economia Mondiale
La crescita tedesca orientata all’export ha contribuito all’emergere di squilibri nell’economia europea e globale, che si sono rivelati insostenibili sul lungo periodo (Artus 2010;
Dauderstädt/Hillebrand 2009; Dullien 2010b; Münchau 2010). La crescita sociale – come
descritta in precedenza – aiuterà a migliorare la situazione economica. A prescindere dalla
Germania, comunque, vi sono diversi paesi – in particolar modo Cina, Giappone e alcuni
esportatori di petrolio – che possono contare su considerevoli surplus relativi all’export. Come rovescio della medaglia vi sono massicce esportazioni di capitali che innescano nei paesi
beneficiari fenomeni di crescita «esuberanti» e gonfiati (Priewe 2011). Di regola, questi squilibri sono accompagnati da differenti trend salariali, ossia stagnazione dei salari reali combinata con bassi costi unitari dei salari in molti paesi in surplus (specialmente, Germania e
32 ■ CRITICAsociale
Giappone) e rapidi aumenti unitari dei costi salariali in molti paesi in deficit (ad esempio,
l’Europa periferica) - (Dauderstädt 2009a; Busch 2009).
La crescita pre-crisi ha in certo modo ridotto gli ancora enormi differenziali di reddito
tra i paesi in Europa e anche globalmente (Dauderstädt 2010c; 2011c), sebbene accompagnata
da, a fronte di ciò, perversi flussi di capitale dai paesi poveri (Cina) a quelli ricchi (Stati Uniti). Questo rende ancora più importante stabilire la ripresa economica dei paesi più poveri
su basi sostenibili e liberarli dalla subordinazione ai veloci movimenti ondulatori del mercato
del capitale. Finanziare l’espansione dei loro stock di capitale - in forma di capitale sociale,
infrastrutture e capitale umano, come la sanità e l’istruzione – deve essere un impegno a lungo termine e a prova di speculazione. Gli incrementi di produttività che ne risulteranno, beneficeranno la società nel suo complesso in un dato paese come a livello mondiale, anche se
in particolari settori e località non mancheranno dolorosi processi di aggiustamento (Dauderstädt 2010b).
La sostenibilità della crescita non solo è minacciata dalla sua dipendenza dal mercato finanziario, ma anche dall’immenso sfruttamento delle risorse globali. La crescita dei prezzi
delle materie prime indica che il consumo desiderato eccede l’attuale – e, nel caso di molte
risorse, futuro – livello dell’offerta. Il meccanismo di prezzo farà in modo che nel lungo periodo l’offerta aumenti e che la domanda, soggetta a considerazioni di economicità e sostituzione, tenda relativamente a diminuire. Ma i prezzi crescenti gravano sui poveri in maniera
sproporzionata e il più intensivo sfruttamento delle risorse minerarie è accompagnato spesso
da pesanti costi sociali e da inquinamento ambientale, che anche i prezzi crescenti altrettanto
spesso non riflettono adeguatamente.
Ad ogni modo, dato che a causa della crescita tradizionale le emissioni nocive pesano
duramente sulle basi naturali della vita, il clima specialmente (Netzer 2011), la via d’uscita
non può semplicemente essere rinunciare alla crescita o la «decrescita». Troppe persone ancora non hanno nutrimento, vestiti, abitazioni, diritto alla salute e istruzione. La crescita sociale deve pertanto essere applicata selettivamente sotto vari aspetti: il reddito dei poveri dovrebbe crescere più rapidamente; gli investimenti che risparmiano risorse nel medio termine
dovrebbero crescere; i servizi sociali dovrebbero crescere sino al punto di incontrare i bisogni
sociali, senza contare il fatto che richiedono in genere uno sfruttamento meno intensivo delle
risorse (Spangenberg/Lorek 2003).
4.4 Governance Democratica di Economie Interdipendenti
Considerato l’enorme impatto dei rischi globali che abbiamo descritto, il successo dei
percorsi nazionali di sviluppo dovrebbe essere assicurato da una politica economica globale
cooperativa e strutturale. In contrasto con il discorso dominante sulla globalizzazione negli
anni novanta, in cui l’economia veniva depoliticizzata, lo Stato screditato e i processi globali
tenuti a distanza dal «Moloch» statale, negli anni a venire la politica dovrà rimpiazzare il
primato dell’economia. La ricerca di nuovo spazio politico in questo quadro dovrebbe essere
caratterizzata da soluzioni pragmatiche, comunque, oltre lo statalismo, ma anche oltre l’ostilità nei confronti dello Stato. Ciò apre la possibilità di condurre un dibattito politico sulla
moderna concezione dello Stato – ma anche specialmente a livello regionale e globale (Steinhilber 2008).
Anche se la sua fissazione sull’export diminuirà, la Germania rimarrà anche in futuro
dipendente da una economia globale funzionante. La sua prosperità dipenderà, tra le altre
cose, dal fatto che i beni internazionali e i mercati finanziari rimangano stabili e che gli elementi della regolazione economica globale possano essere adattati alle nuove condizioni.
Creare un politica economica esterna praticabile e mirata alla cooperazione e all’integrazione
sarà un compito cruciale per il futuro. Data la relativa debolezza della voce della Germania
nel concerto delle potenze economiche, ciò potrà essere realizzato solo nel contesto di una
forte Unione Europea.
Il fatto è che in Europa, come dimostrato dalla crisi e dagli sforzi per superarla, ma anche
rispetto alle sfide comuni che si prospettano – ad esempio, con riferimento alla ulteriore globalizzazione dei mercati, al cambiamento climatico, alla crescente scarsità di risorse e al mutamento demografico – , la politica economica non può essere ancora per molto confinata
all’interno dei confini nazionali. Il mercato unico e l’unione monetaria hanno creato da tempo
una situazione di condivisa responsabilità e competenza tra i livelli nazionale e sopranazionale all’interno dell’Ue. Ad ogni modo, la crisi economico- finanziaria ha rivelato numerosi
difetti, carenze e squilibri nel parziale processo di integrazione (Busch/Hirschel 2011; Hacker
2011a). Il suo progetto centrale – la formazione di un mercato unico e di un’unione economica e monetaria (Emu) – ha in realtà portato prosperità all’interno degli Stati membri, ma
allo stesso tempo gli effetti negativi della globalizzazione in Europa si sono sono acuiti. L’integrazione ha avuto inizialmente luogo come un processo di «creazione di mercato» tra le
aziende, ma anche tra gli Stati: smantellando barriere commerciali e intensificando la competizione, abbassando salari, contributi di sicurezza sociale e carico fiscale e mi migliorando
le condizioni di locazione in una modalità «market friendly ». In contrasto, il processo di
«modellamento e correzione del mercato», caratterizzato per esempio da standard sociali e
di protezione dell’occupazione comuni o da organizzazione istituzionale e ulteriori sviluppi
nelle competenze delle politiche Ue, ha continuato ad aggrapparsi (Höpner/Schäfer 2010) a
un «minimalismo costituzionale» (Platzer 2009).
Tuttavia, problemi e difficoltà, incluso il collasso dell’euro e, in ultima analisi, dell’Europa e dell’Idea europea – possono essere evitati solo rafforzando strumenti politici di correzione e modellamento del mercato e, in ultima istanza, per mezzo di «più Europa», intesa
come unione politica (Arbeitskreis Europa 2010b). L’obiettivo finale deve essere la conversione dell’Ue in un’unione politica con diritti di partecipazione democratica simili a quelli
garantiti nei paesi membri. Comunque, non dovrà esserci una semplice centralizzazione del
decision-making di politica economica intergovernamentale a Bruxelles. Questo sarebbe giustificato solo se fosse controllato democraticamente (ad esempio, nel quadro del metodo comunitario) - (Collignon 2010). Prima che un simile scenario diventi realtà, non resterà altro
che rinforzare la coordinazione e l’accordo tra le politiche economiche statali. Ciò significa
anche, comunque, che l’Ue, o tutti i membri Ue uniti, avranno istituzionalmente il diritto di
esprimersi su questioni politiche finora appannaggio degli Stati individualmente (Heise/Heise
2010). In particolare, ciò significa mettere in agenda l’intenzione di avanzare nelle misure
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di integrazione: «più Europa» nel senso di rafforzare ulteriormente il principio di competizione e di restringere la finalità politica condurrebbe all’implosione del progetto europeo.
Ciò che è decisivo, allora, è un nuovo paradigma per la governance che comprenda l’equalizzazione degli squilibri economici e il progresso sociale nell’Ue come un compito centrale
(Hacker/van Treeck 2010).
Benché negli anni recenti la politica di sicurezza abbia in modo crescente eclissato il dilemma dello sviluppo globale, ora la questione della crescita sociale sta tornando con prepotenza in agenda, anche a livello globale. Questo argomento determinerà sostanzialmente la
futura costituzione del mondo. E’ diventato evidente che i problemi di sviluppo non sono più
soltanto legati al Sud del mondo. L’impoverimento di molte regioni del Nord, non solo del
Sud, ha condotto a una crisi che sta minacciando anche i centri della prosperità globale. Il
modello di sviluppo sinora in auge viene messo in questione dalle crisi ambientali conseguenti
allo sviluppo economico di determinati paesi. La crescita sociale a livello globale non sarà
mai un’opzione se non verrà abbinata a un nuovo modello di sviluppo, che combini in ogni
paese la ristrutturazione ambientale dell’economia con una più giusta distribuzione (Netzer
2011). Rispetto al livello globale, ciò significa che i paesi meno sviluppato devono essere aiutati ad aprirsi a nuovi sentieri di crescita che devono tenere conto di quattro fattori:
1. Crescita ambientale con un’enfasi sulla riduzione delle emissioni di CO2;
2. Una crescita socialmente sostenibile che crei lavoro;
3. Una crescita sostenuta non più soggetta alla volatilità del mercato dei capitali;
4. Una crescita dovuta all’integrazione regionale e all’intensificazione delle infrastrutture.
A questo fine, la crisi regolatoria (con riferimento alle banche) e la crisi della governance
economica globale (con riferimento agli squilibri globali) deve essere risolta.
Ad ogni modo, le strutture del decision-making a livello globale – in particolare nel caso
delle organizzazioni internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e la Banca
Mondiale – continuano a fronteggiare seri problemi concernenti la legittimità e l’accettabilità.
Queste organizzazioni sono ancora dominate dai tradizionali paesi industrializzati di cui rappresentano primariamente gli interessi. Esse riflettono l’equilibrio di potere economico risalente al periodo della loro creazione, dopo la Seconda guerra mondiale, e non l’attuale
configurazione di forze. Pertanto sono considerate poco rappresentative e non democratiche
dai paesi emergenti e in via di sviluppo. Comunque, informali ma potenti forum della governance, come il G7/G8 che va lasciando spazio al G20, hanno ormai dilatato i propri confini, includendo alcuni paesi leader tra gli emergenti, ma vivono anch’essi problemi di legittimità che inducono i paesi non rappresentati a non riconoscerne l’autorevolezza.
La soluzione di sfide chiave per il futuro che si stanno presentando a livello globale possono essere raggiunte solo con la collaborazione dei paesi emergenti e in via di sviluppo, che
in anni recenti sono stati strettamente integrati nelle strutture della finanza e del commercio
internazionali (Joerißen/Steinhilber 2008). Il multilateralismo post-bellico delle istituzioni di
Bretton Woods, che stanno oggi soccombendo sotto il peso delle loro strutture obsolete, deve
essere integrato in nuove istituzioni nei medesimi termini. Benché il G20 rappresenti un inizio
nello stabilimento di un forum in cui le attuali economie dominanti possano confrontarsi su
un piano di parità (Pohlmann/Reichert/Schillinger 2010), tutto ciò – così come le timide riforme del Fmi e della Banca Mondiale – non è sufficiente per dar luogo a una integrazione
positiva. La comunità internazionale ha già iniziato cautamente ad affrontare la questione di
efficienti e sostenibili strutture di governance globale, che aiutino a ridurre l’incertezza e la
complessità sulla base della fiducia e ad aprire una nuova finalità allo sviluppo.
5. Un programma in 10 Punti per una Politica Economica Progressista
Il seguente programma in 10 punti evidenzia le più importanti riforme necessarie o opportune per implementare il concetto di «crescita sociale».
5.1 Garantire una Stabile Offerta di Credito con una Effettiva Regolazione
5.1 dei Mercati Finanziari
La crescita sociale, come ogni forma di crescita, dipende da un’adeguata offerta di credito. Deve essere garantito che i mercati finanziari – con la loro propensione al breve periodo,
il periodico eccessivo appetito per il rischio e l’irrefrenata tendenza al prestito, per non parlare
dell’influenza perniciosa degli “istinti del gregge” – non sprofondino ripetutamente il sistema
finanziario, e in ultima analisi l’economia nel suo insieme, in crisi di proporzioni catastrofiche. In mercati finanziari integrati a livello transnazionale, le banche hanno sia creditori stranieri sul lato delle passività (depositi) sia debitori sul lato degli asset (investimenti). La protezione dei depositanti, il sostegno alla liquidità (prestatori di ultima istanza) e la valutazione
degli asset (con conseguenze per le riserve minime e via discorrendo) messi in pratica a livello nazionale sono sempre meno fattibili. In piccoli paesi con sistemi bancari sovradimensionati – Islanda, Irlanda, Svizzera – lo Stato può rapidamente essere sopraffatto.
Se si vuole che un simile fallimento del mercato venga superato e, in ultima analisi, che i
contribuenti siano protetti, una più forte, comprensiva ed efficiente regolazione dei mercati
finanziari si rende necessaria, in modo da ridurre il predominio del settore finanziario e da
rendere più solida l’economia reale (offerta di credito ai privati e alle imprese) (Kamppeter
2011; Dullien/Herr/Kellermann 2009, 2011). Gli elementi centrali della nuova regolazione
dei mercati finanziari che, idealmente, dovrebbe essere implementata uniformemente a livello
globale ma, se no, quantomeno a livello europeo, sono i seguenti (Noack/Schackmann-Fallis
2010; Kapoor 2010; Dullien/Herr 2010; Arbeitskreis Europa 2009; Steinbach/Steinberg 2010):
• Più trasparenza e la chiusura delle possibili scappatoie dalle norme per mezzo di una
supervisione centralizzata del mercato finanziario, che sia, per quanto possibile, uniforme,
potente e transazionale. Dovrà avere l’autorità a emettere direttive e di imporre condizioni,
proprio come le autorità nazionali preposto alla supervisione.
• Monitoraggio unificato della stabilità del sistema finanziario.
• Riserve di capitali più alte e anti-cicliche e requisiti di liquidità per tutte le banche e gli
intermediari finanziari; bando per le entità con bilancio patrimoniale in perdita senza copertura di capitale e imposizione di limiti alle opportunità per banche e attori del sistema finan-
3-4 /2012
ziario di accumulare nuovi debiti (la cosiddetta leverage ratio) per ridurre gli incentivi per
comportamenti speculativi e propensi all’indebitamento da parte degli investitori e per rafforzare la stabilità del sistema finanziario in situazioni di crisi.
• Più elevati requisiti di capitale per le banche sistemicamente rilevanti e piani di emergenza e di liquidazione (i cosiddetti «living wills»), mediante i quali le istituzioni transazionali possano essere liquidate in caso di insolvenza senza danneggiare qualcun altro; tutto ciò
per accrescere il costo per i privati di un fallimento scaturente da pratiche speculative.
• Riduzione del proprietary trading da parte delle banche commerciali, forse anche una
più stretta separazione dei prestiti tradizionali dalle banche di investimento; una più stretta
regolamentazione delle agenzie di rating e lo stabilimento di un’agenzia di rating europea
da finanziare con fondi comunitari (Arbeitskreis Europa 2010b).
• Riduzione del ruolo delle agenzie di rating private e modelli di rischio interno bancario
per valutarne l’adeguatezza patrimoniale.
• Riduzione della contabilizzazione del giusto valore in regime di quasi mercato.
• Limiti sulla rivendita di prestiti (cartolarizzazioni) da parte delle banche commerciali.
• Più stretta regolamentazione dei derivati di trading e fare in modo che essi vengano
esclusivamente regolati per mezzo delle stanze di compensazione (riduzione del mercato
over-the-counter).
• Un legge europea sulla bancarotta per gli istituti di credito che garantisca una ordinata
e agile liquidazione delle banche insolventi.
• Stabilimento di un «Mot» finanziario che valuti accuratamente il valore sociale e i rischi
di nuovi strumenti finanziari, sia per le banche che per gli investitori, prima della loro introduzione. Simili strumenti dovrebbero essere consentiti solo se in grado di fornire benefici
sociali (Dullien/Herr/Kellermann 2009, 2011).
• Introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie (Paul/Neumann 2011), così come
più severe, e più orientate al lungo termine, regolazioni sui bonus per i manager bancari che,
in particolare nel breve periodo, renderebbero meno attrattiva la ricerca del profitto e la speculazione sui mercati finanziari internazionali, così riducendo le fluttuazioni dei mercati.
Il tradizionale sistema bancario tripartito della Germania deve essere mantenuto e incoraggiato poiché ha dimostrato il suo valore – in particolare grazie alle casse di risparmio e
al settore cooperativo – come saldo ancoraggio nella crisi. Ciononostante le banche dei Land
(Landesbanken) dovrebbero essere consolidate e sviluppati nuovi modelli di business, sostenibili sul lungo periodo. Un’effettiva regolamentazione dei mercati finanziari è anche la
condizione chiave per una politica monetaria orientata alla crescita. Senza un’effettiva regolamentazione, questa sarebbe inevitabilmente frustrata nei suoi sforzi per assicurare la stabilità dei prezzi e del mercato finanziario solo per mezzo di una politica sui tassi di interesse.
Con un’effettiva regolazione dei mercati finanziari in atto, aumenterebbe lo spazio di manovra per perseguire una politica monetaria orientata alla crescita (Winkler 2008; Illing 2011).
5.2 Utilizzare la Politica dell’Istruzione per Stimolare le Forze della Crescita
5.2 ed Espandere le Opportunità per Tutti
Sul lato dell’offerta, la crescita sociale è dipendente da un buona e continua formazione.
Istruzione e conoscenza aumentano la produttività del lavoro e così contribuiscono alla crescita e alla prosperità (Prognos 2011a; Blossfeld et al. 2011). L’istruzione è un bene pubblico
che migliora le prospettive di vita delle persone. Fallimento del mercato significa insufficienti
risorse destinate dal mercato e dal settore pubblico all’istruzione. Solo una politica di istruzione governativa può adeguatamente fornire l’investimento nell’istruzione necessario per
la crescita e l’occupazione, senza che le ineguaglianze sociali si accentuino e che la coesione
sociale venga pregiudicata. Studi comparativi internazionali relativi agli standard educativi
dimostrano che la spesa della Germania in istruzione è circa sul livello medio Ocse e che sta
perdendo terreno rispetto ai paesi più virtuosi in tal senso. Le prospettive della formazione
continua sono parimenti sfavorevoli: quest’ultima deve essere incrementata se si vuole garantire la qualità del lavoro sui tempi lunghi, considerando l’aumento dell’età di pensionamento. In futuro, insomma, la Germania deve investire di più nella formazione iniziale e
continua, ma anche apportare aggiustamenti strutturali nel settore dell’istruzione (Borgwardt
2011; Wernstedt/John-Ohnesorg 2010; Autorengruppe Bildungsberichterstattung 2010).
Lo scopo di una politica dell’istruzione deve essere un sistema educativo socialmente giusto e altamente performante, che parta dal’educazione nella prima fanciullezza per arrivare
alla formazione continua degli adulti. Non è sufficiente per questo proposito avere singole
scuole di buon livello o alcune università di prestigio: è necessario un orizzonte nazionale che
includa le aree urbane e rurali. Solo un ampio impegno pubblico potrà raggiungere tutti i bambini, i ragazzi, gli apprendisti e gli studenti, senza condizionamenti legati al reddito familiare.
Solo in questo modo possiamo ridurre la forte correlazione tra successo educativo e origine
sociale, tra numero di giovani senza qualifiche e alto tasso di abbandono scolastico. Le seguenti
misure sono necessarie a questo fine (Baumert 2010; John-Ohnesorg 2009; Wernstedt 2010):
• La divisione dei compiti tra governo federale, länder e municipalità (con riferimento
alle scuole, all’istruzione di eccellenza e alla ricerca) necessita di essere ridefinita al fine di
assicurare una adeguata base finanziaria per i compiti che ci si trova a dover affrontare.
• L’istruzione deve diventare più individualizzata a tutti i livelli: i cosiddetti studenti a
rischio non sono un gruppo omogeneo. Un maggior addestramento alle lingue è particolarmente importante.
• L’istruzione deve iniziare prima, poiché l’educazione precoce e il sostegno all’apprendimento lasciano segni indelebili sui successivi step. Sostenere l’educazione dei bambini, in
particolar modo minori di tre anni, deve diventare un impegno sempre più sentito: è importante creare molti ambienti dedicati alla cura e formazione del bambino nei cosiddetti «Kitas
» (centri per la cura dei bambini con genitori impegnati a tempo pieno) e kindergarten; i periodi e gli orari di apertura dovrebbero essere adattati (anche per favorire la compatibilità tra
lavoro e vita familiare) e gli approcci pedagogici e lo staff migliorati, con l’inserimento di
personale qualificato.
• Il sistema scolastico deve essere orientato su un più lungo periodo e ogni tipo di selezione
deve essere preceduto da una fase di istruzione inclusiva, indirizzata a una maggiore permeabilità orizzontale e verticale. Ci si dovrebbe orientare a un sistema scolastico a due livelli.
CRITICAsociale ■ 33
• E’ necessario accrescere il numero delle scuole a tempo pieno che non solo si occupano
della cura del bambini, ma anche di formazione pomeridiana erogata da staff qualificato, in
ambienti adeguati e con supporti educativi idonei. Esse potrebbero essere integrate in reti
educative locali in grado di fornire un supporto individualizzato.
• Espandere i tirocini e le scuole professionalizzanti full-time consentirebbe di soddisfare
i bisogni avvertiti di adeguato e operativo avviamento professionale. Per venire incontro alle
esigenze di coloro che non ricevono un addestramento a una professione che garantisca un
futuro lavorativo soddisfacente, devono essere adottate al più presto misure sostenibili, come,
ad esempio, l’intensificazione del sostegno ai giovani immigrati.
• La spesa per l’istruzione, la ricerca e la scienza deve crescere (almeno fino al 10% del Pil).
• I cambiamenti tecnologici fanno sì che aumenti la richiesta di personale qualificato in
tutte le aree. Strettamente connessa a ciò, esiste la possibilità per i singoli lavoratori di migliorare i propri guadagni. Per questa ragione, sia chi lavora sia chi è disoccupato con una
bassa, intermedia o alta qualifica deve ricevere ulteriore e migliore addestramento a tutti i
livelli della sua vita lavorativa, non solo per rimediare alla carenza di lavoratori qualificati
ma anche per far fronte all’innalzamento dell’età pensionistica. I sussidi di disoccupazione
dovrebbero tramutarsi in sussidi di occupazione (Schmid 2008). I diritti collegati a ferie,
permessi e ritorno al lavoro per dipendenti in formazione dovrebbero essere estesi e i fondi
aziendali per la formazione previsti negli accordi collettivi per le piccole-medie imprese devono essere sostenuti (Bosch 2010). Infine, ognuno dovrebbe aver diritto alla formazione e
al supporto individualizzato.
5.3 Aprire Nuove Aree di Crescita con la Politica Industriale
Come ogni processo di crescita, la crescita sociale non è caratterizzata dalla conservazione strutturale ma dal cambiamento. Al fine di soddisfare le esigenze del mercato, della
ristrutturazione ambientale e del rinnovamento dell’economia e della società – cambiamento
climatico, distruzione dell’ambiente, esaurimento delle risorse naturali – in futuro la politica
industriale ambientale dovrà identificare e promuovere con tempestività aree di crescita, ma
anche assicurare la sostenibilità sociale e ambientale (Schepelmann 2010). L’industria ambientale della Germania è un buon esempio di politica industriale di successo (Bmu 2009).
Comunque, senza un intervento politico – che stabilisca target, traducendoli in parametri
ambientali e tetti al consumo di risorse e alla loro costante estrapolazione nelle differenti
aree di produzione e consumo privato – questo importante settore industriale non sarebbe
emerso (Fischedick/Bechberger 2009). Lo Stato, per mezzo della regolamentazione legale,
il suo potere d’acquisto e di mercato e la ricerca ambientale, le sue infrastrutture, le politiche
economiche e fiscali, può e dovrebbe giocare un ruolo attivo e funzionare pertanto come un
importante technology driver e motore di innovazione. In tale quadro, esso dovrebbe promuovere lo sviluppo e l’introduzione nel mercato di prodotti innovativi e sostenibili, per
mezzo di significativi incentivi economici all’investimento (Meyer-Stamer 2009).
In futuro, nell’area della protezione climatica e ambientale, invece di dispendiosi programmi di intervento diretti dello Stato, dai risultati incerti, il consumo ambientale dovrebbe,
ad esempio, essere pienamente incorporato in un sistema commerciale dei diritti di emissione
di CO2 che, guidato dai prezzi, sia il più globale possibile (Löschel 2009; Knopf et al. 2011).
Vale la pena di considerare una legge nazionale relativa alla protezione climatica, che preveda
specifiche linee-guida per tutte le autorità locali e settori economici in un piano di implementazione. L’obiettivo sarebbe fondamentalmente il cambiamento delle attitudini di tutti
gli attori economici e di ecologizzare tutte le strutture produttive e le catene di creazione del
valore. Per mezzo di chiare linee guida di efficienza energetica e di obiettivi di riduzione dei
target di CO2, dovrebbe essere data ulteriore spinta alla domanda e all’offerta nel quadro di
direttive pubbliche di approvvigionamento e contratti di allocazione (Pfaller/Fink 2011).
Il livello locale dovrebbe godere di una particolare priorità. Nel framework di un dialogo
sociale, i bisogni dovrebbero essere determinati e le soluzioni attivate e sperimentate. Ciò
renderà possibile integrare strettamente e collegare network di consumatori, di imprese, di
scienziati, politici e amministratori. Soprattutto, in questo modo le linee guida governative
sulla protezione climatica, sulle risorse, sul consumo di energia, potranno aiutare a raggiungere i target climatici nazionali e a migliorare la competitività internazionale delle imprese
sugli emergenti “mercati green”. Inoltre, questo processo di dialogo può contribuire alla reciproca riconciliazione dei vincitori e dei perdenti della modernizzazione. Un radicale cambiamento strutturale può comunque condurre anche a un inasprimento delle condizioni sociali
per molti; un problema che dovrà essere risolto con la maggiore celerità possibile
(Pfaller/Fink 2011; Bär et al. 2011).
La crescita futura dipenderà considerevolmente dallo sviluppo del settore dei servizi.
Una politica industriale moderna deve dunque porre fine alla politica di sostegno e alla discriminazione finanziaria contro i beni non fisici. Oltre che dallo sviluppo di servizi collegati
all’industria a elevato valore aggiunto, la crescita sociale dipende primariamente dalla crescita di servizi sociali di alta qualità. La Germania, nel confronto internazionale, denuncia
un significativo gap occupazionale al proposito. Oltre ai servizi al business, esistono servizi
orientati socialmente di elevata qualità che mostrano i più alti tassi di crescita nei paesi dell’Europa a 15. Sullo sfondo dei cambiamenti demografici in atto, stanno crescendo considerevoli esigenze al riguardo, per esempio nell’area dell’assistenza ai malati e agli anziani e
nel sistema socio-educativo; pertanto il sostanziale potenziale di crescita e impiego è sin
troppo evidente.
La domanda di servizi sociali è spesso debole sul libero mercato a causa del cosiddetto
effetto Baumol (Baumol 1967) – anche conosciuto come «morbo del costo di Baumol». Le
aziende private spesso non soddisfano tale domanda adeguatamente. Questi fallimenti del
mercato possono ad ogni modo essere superati attraverso una intelligente politica dei servizi
(Bienzeisle et al 2011; Schett-Kat 2010). Ciò non deve implicare una strategia di basso profilo
di sviluppo dei servizi che tenti di accrescere la domanda potenziale e favorire un’ulteriore
espansione dei servizi per mezzo di riduzioni dei costi, incoraggiando i settori a basso salario
e amplificando i differenziali di reddito. Una simile strategia ultimamente conduce solo a
lavori mal pagati e precari e, in tal modo, a servizi di scarsa qualità e basso valore aggiunto.
L’espansione di servizi sociali di alta qualità, come dimostrano i paesi scandinavi, è possibile
anche combinando differenziali salariali moderati, più alti salari e una più limitata inegua-
34 ■ CRITICAsociale
glianza sociale. Comunque, una tale strategia di alto profilo richiede uno Stato più attivo,
nel ruolo di finanziatore, produttore e/o datore di lavoro in questo settore. In particolare, i
meccanismi di finanziamento statale, come i sistemi di sicurezza sociale, possono contribuire,
in primo luogo, allo sviluppo della domanda per servizi sociali in generale e, in secondo luogo, a una adeguata fornitura e accesso per tutti ai medesimi servizi. L’esempio scandinavo
mostra che un alto tasso di spesa governativa rispetto al Pil non è un ostacolo allo sviluppo
economico complessivo (Heintze 2011; Schettkat 2011).
Istruzione, famiglia e politiche fiscali devono essere in futuro meglio coordinate con la
creazione e promozione di occupazioni decenti con buoni salari nel settore dei servizi sociali.
Nelle politiche educative la previdenza deve essere tenuta in conto per consentire che gli addetti siano meglio addestrati, supportando e formalizzando qualificazioni formative e professionali riconosciute dallo Stato. La qualità più alta può accrescere l’accettazione e la disponibilità a pagare tra i potenziali consumatori. Le politiche famigliari, d’altro canto, possono
incoraggiare l’impiego femminile e creare nuove opportunità di lavoro nei servizi sociali, sia
sul lato della domanda che dell’offerta (Luc 2011). In particolare, l’integrazione di donne ben
formate e qualificate nel mercato del lavoro accresce la domanda e l’offerta di servizi sociali.
Attualmente, tali servizi sono forniti principalmente da donne, a casa. In futuro, il focus delle
politiche famigliari dovrebbe essere meno sul trasferimento di benefit, come i sussidi previsti
per l’infanzia, e in misura maggiore sui benefit “in natura”, come l’espansione dell’assistenza
all’infanzia (nidi, centri diurni, strutture per bambini minori di tre anni), che rispondano alle
esigenze delle persone e che siano, per quanto possibile, gratuiti.
5.4 Rafforzare la Posizione dei Lavoratori con la Previsione di un Salario Minimo
5.4 e della Codeterminazione
La crescita sociale richiede una politica salariale che assicuri ai lavoratori la partecipazione nella creazione di valore e innalzi così il potere d’acquisto delle masse. La stagnazione
dei salari reali e la crescita della ineguaglianza del reddito non devono essere rimossi solo
per considerazioni di giustizia sociale, ma anche perché contribuiscono alla stagnazione della
domanda interna e conseguentemente al basso tasso aggregato di crescita e all’aumento degli
squilibri interni (Joebges 2010; Joebges et al. 2010). La politica salariale dovrà in futuro essere orientata più decisamente verso aumenti nominali in termini di produttività dei salari in
proporzione ai guadagni di produttività aggregata sul lungo periodo più il tasso di inflazione
posto come obiettivo dalla banca centrale – non solo in Germania, ma a livello globale. Solo
in questo modo la domanda domestica potrà essere rinforzata in maniera sostenibile e il pericolo di squilibri emergenti all’interno dell’Unione Monetaria Europa ridotti (Busch 2010;
Busch/Hirschel 2011; Pusch 2011). Sebbene in Germania i contratti collettivi stabiliscano
dei limiti alla politica salariale, il governo può influenzare lo sviluppo dei salari:
• La previsione generale, completa, di un minimo legale dei salari fortifica la posizione di
ogni singolo lavoratore in contrattazione salariale e quindi aiuta a prevenire tabelle salariali
al ribasso basso e lo sviluppo di bassi salari, o peggio di salari da fame, che minacciano la capacità delle persone di far quadrare il bilancio (Bosch et al 2009a; Bosch et al. 2009b). I salari
minimi costringono le imprese a competere sulla base di una maggiore produttività e innovazione, a differenza dei bassi salari. Un salario minimo legale, per esempio, 8,5 euro l’ora, non
solo migliorerebbe la situazione economica di cinque milioni di persone, ma aumenterebbe
anche i guadagni di circa 14,5 milioni di famiglie private. Servirebbe inoltre ad alleviare l’onere per il bilancio pubblico tedesco per la somma di circa 7 miliardi di euro (per esempio, il
sostegno ai redditi più basso e le maggiori entrate fiscali) - (Ehrentraut et al. 2011).
• Il governo dovrebbe smettere di promuovere i cosiddetti mini- e midi- job e reintrodurre
l’obbligo generale di sicurezza sociale al fine di correggere gli sviluppi negativi vissuti dal
mercato del lavoro negli ultimi anni.
• La codeterminazione a livello di impianti produttivi e imprese deve essere estesa e i contratti collettivi generali devono essere rafforzati da imprese tenute ad aderire ad associazioni
dei datori di lavoro o a dichiarare l’obbligatorietà generale dei contratti collettivi di lavoro. Il
governo può e deve dare un aiuto sostanziale a rafforzare i sindacati in modo che siano in grado
di trarre pieno vantaggio del margine macroeconomico di distribuzione e di ottenere buone
condizioni di lavoro (Hörisch 2010; Greifenstein 2011; Greifenstein / Weber 2009, 2008).
• Inoltre, in futuro il governo potrà e dovrà essere una presenza più potente come datore
di lavoro, non solo perché i servizi pubblici e i servizi di interesse generale, in particolare,
sono caratterizzati da significative esigenze e carenze, ma anche perché lo Stato ha il potenziale per stabilire degli standard per decenti e ben pagati posti di lavoro in un importante
segmento del mercato del lavoro, inviando in tal modo importanti segnali positivi ad altri
segmenti del mercato del lavoro. Simili effetti positivi possono essere raggiunti legando la
concessione degli appalti pubblici al rispetto delle norme minime in materia di salari dignitosi
e condizioni di lavoro.
5.5 Finanziare le Funzioni Pubbliche Correttamente ed Equamente tramite
5.5 una Riformata Politica Fiscale
Il concetto di crescita sociale si basa sul fatto che lo Stato e la comunità sono responsabili
di un numero significativo di compiti qualitativamente impegnativi. L’azione dello Stato deve
compensare i fallimenti del mercato in molti settori e quindi creare le condizioni per una crescita equilibrata dell’economia, della finanza e di uno sviluppo ambientalmente e socialmente
sostenibile. Al fine di superare la mancanza di fondi in settori chiave della politica - per esempio, l’istruzione, dove esiste un deficit di almeno 25 miliardi di euro - e di essere in grado di
effettuare l’investimento necessario per il futuro, lo Stato deve avere risorse finanziarie sufficienti. Sullo sfondo del deficit di bilancio e dell’alto debito pubblico, il finanziamento delle
spese supplementari per mezzo di un ulteriore aumento del debito pubblico è difficilmente
sostenibile. Ciò che è necessario è il consolidamento di un bilancio sostenibile in futuro.
Anche se tutti gli aspetti della gestione statale devono certamente essere sottoposti a riflessione critica, l’esame degli investimenti programmati dello Stato in futuro e i problemi
di finanziamento non possono essere risolti esclusivamente da tagli alla spesa. Gli investimenti pubblici in Germania, insieme alla pressione fiscale, sono scesi al livello più basso
nel confronto internazionale. Una strategia di bilancio responsabile, orientata al futuro e sostenibile, deve pertanto ottimizzare le entrate e migliorare la base di finanziamento. In altre
3-4 / 2012
parole, l’obiettivo dovrebbe essere quello di alzare le tasse in alcune zone. In particolare, la
situazione delle entrate dei comuni e dei Länder deve essere migliorata, dal momento che in
futuro notevoli investimenti pubblici dorano essere ivi implementati e beni e servizi di interesse generale dovranno essere forniti.
Nell’ambito della politica fiscale, dunque, tutte le parti della società e tutte le fasce di reddito devono partecipare, sulla base della solidarietà e della giustizia sociale, nel fornire le entrate pubbliche necessarie per queste politiche (Corneo 2010). Oltre alle considerazioni di
giustizia (principio di base: la tassazione secondo la capacità di pagare), l’aumento delle tasse
deve sempre prendere in considerazione gli effetti di incentivazione (rinnovamento ambientale, evitando crisi finanziarie). Sulla base di considerazioni di distribuzione e giustizia, ma
anche di stabilizzazione, in futuro, in primo luogo, lavoratori più retribuiti dovrebbero sopportare il peso degli aumenti delle tasse. Considerando la crescente disuguaglianza di reddito
e ricchezza e il fatto che il reddito da capitale immobilizzato in Germania è poco tassato nel
confronto internazionale, il reddito da attività finanziarie dovrebbe essere tassato regolarmente
e più pesantemente. Le seguenti misure sono ragionevoli e appropriate (Mende et al 2011.):
• Un aumento dell’aliquota massima dell’imposta sul reddito: questo non avrebbe un effetto negativo sul versante della domanda, in quanto i percettori di alti redditi riuscirebbero
a risparmiare una percentuale maggiore del loro reddito. Aumentare la tassazione al 49% su
un reddito imponibile di 100.000 euro o 200.000 euro frutterebbe alle casse pubbliche circa
7 miliardi di euro all’anno. Inoltre, per i redditi particolarmente elevati, un aumento di un
ulteriore 3% sulla parte superiore dell’aliquota massima per i redditi oltre i 250.000 o i
500.000 € (una tassa sui ricchi) si potrebbe immaginare come esplicitamente collegato al
finanziamento della spesa necessaria all’istruzione.
• Revoca delle agevolazioni fiscali introdotte ai sensi della « Legge di accelerazione della
crescita»: Ciò consentirebbe l’accumulo di 5.6 miliardi di euro di budget.
• Riforma della tassazione sulle imprese: il taglio dell’ultima riduzione dell’imposta sulle
società e l’aumento delle tasse sulle plusvalenze potrebbe portare fino a 40 miliardi di euro.
D’altra parte, le agevolazioni fiscali dovrebbero essere utilizzate per incoraggiare le imprese
che investono nel capitale reale e in ricerca e sviluppo (R&S), in particolare, nei settori orientati al futuro e nei mercati di punta; ad esempio l’introduzione permanente di ammortamento
decrescente al 30%.
• Alzare l’imposizione sulle professioni: al fine di migliorare la situazione finanziaria di
città, comuni e distretti la tassa professionale dovrebbe essere aumentata, in particolare ampliando la base imponibile per includere tutti coloro che sono economicamente attivi, in particolare i lavoratori autonomi e i professionisti.
• Alzare l’imposta sugli immobili: lo stesso vale per l’imposta sugli immobili la cui base
imponibile deve essere modernizzata.
• Aumentare l’imposta sulle plusvalenze: questa dovrebbe essere nuovamente sollevata,
dal suo attuale 25 al 29% (esclusa la tassa sui ricchi) o 32% (compresa la tassa sui ricchi) o
sostituita con la reintroduzione della tassazione “di sintesi”.
• Riformare la tassazione sulle successioni: attraverso la riforma dell’imposta di successione, si manterrebbe la gratuità dell’eredità di piccole e medie imprese e doni all’interno
della cerchia familiare, ma si tasserebbero adeguatamente i trasferimenti più importanti di
asset fino a 5 miliardi di euro.
• Reintrodurre l’imposta sul patrimonio: solo questo potrebbe fruttare circa 16-20 miliardi
di euro e un contributo significativo alla riduzione delle disparità di reddito e ricchezza
(Schratzenstaller 2011).
• Introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie: questo sarebbe anche un importante
contributo alla riduzione delle disparità di reddito e a ricchezza - costringendo i responsabili
della crisi finanziaria a partecipare ai costi per superarla - e per prevenire le crisi future. Introdotta a livello europeo, anche con aliquote relativamente basse (per esempio, 0,05%) potrebbe aumentare i ricavi di circa 12-20 miliardi di euro all’anno (Paul / Neumann 2011).
• Abolire la scissione delle imposte sul reddito tra le coppie e introdurre la tassazione individuale (Färber et al. 2008).
• Tassare in modo più pesante l’utilizzo di energie e risorse non rinnovabili, nonché le
emissioni (tasse Eco): questo potrebbe ulteriormente rafforzare le finanze pubbliche e anche
ottenere importanti e utili effetti di incentivazione ambientale (Pfaller 2010a).
• Impegnarsi costantemente contro l’evasione fiscale: i paradisi fiscali internazionali e
le scappatoie fiscali dovrebbero essere preclusi.
Le entrate supplementari provenienti da queste misure consentiranno allo Stato di svolgere in futuro le attività finanziare, e di gestire la spesa necessaria, per la crescita sociale e
raggiungere la redistribuzione del reddito e della ricchezza necessari per uno sviluppo economico più sostenibile. Una tassazione equa e trasparente contribuirebbe anche a lenire il
senso di alienazione dei cittadini dallo Stato in corso da anni. Le nuove entrate fiscali permetterebbero di fornire, oltre alla sicurezza sociale, una più alta qualità dei servizi pubblici
sociali che consenta a tutti di partecipare al meglio alla vita economica e sociale.
La capacità dello Stato di aumentare le tasse deve essere protetta contro la concorrenza
internazionale. Ciò vale in particolare per la tassazione delle società in Europa. Al fine di ridurre la concorrenza basata sulla bassa imposizione sulle società e quindi di garantire la redditività dello Stato in materia di entrate fiscali, la struttura fiscale e gli effetti sulle altre forme
di imposizione, un accordo dovrebbe essere raggiunto in Europa sulle norme quadro in materia di tassazione societaria uniforme. Ciò richiede l’introduzione di un obbligo, a livello
Ue, su una base consolidata di valutazione e un minimum tax rate (Hull/Risorto 2007; Risorto/Hull 2011).
5.6 Stabilizzare l’Economia e la Situazione Debitoria per Mezzo di una Politica Fiscale
5.6 Anti-Ciclica
Nella crisi, l’attuazione delle politiche fiscali anti-cicliche è stata in grado di limitare la
recessione economica e di riportare l’economia mondiale rapidamente su un percorso di crescita. Le politiche di stimolo economico sono state a lungo accolte con perplessità, o perché
considerate inefficaci, o perché suscettibili di far salire la spesa pubblica, il Pil e il tasso di
indebitamento, e quindi sospettate di lasciare le generazioni future con un monte debiti ancora
3-4 /2012
più alto. In realtà, le politiche fiscali anti-cicliche in passato hanno avuto decisamente successo, sia in Germania che, ancor più, in altre economie. Una politica efficace di stimolo
economico non deve lasciarsi alle spalle il debito permanente se le eccedenze, derivanti durante il boom dopo ogni crisi, vengono utilizzate per il servizio e a ridurre il debito. Una politica anti-ciclica non solo stabilizza a breve termine la crescita economica, ma rafforza anche
la crescita a più lungo termine, perché la spesa societaria, che è molto sensibile alle fluttuazioni economiche, come la R&S, non è sospesa durante la crisi e continua invece a essere
investita in capitale e know-how e quindi nel potenziale di crescita dell’economia. Prolungare
una ripresa economica per quanto possibile, consente ai dipendenti precari e ai disoccupati
di lungo termine l’accesso al lavoro «normale».
A lungo termine, le esperienze in Germania e gli eventi più recenti della zona euro dimostrano chiaramente che i debiti pubblici non devono essere ridotti per mezzo di un’austerità
compulsiva nella crisi, ma solo da una crescita sostenuta dopo il superamento della crisi. Ridurre il deficit, riducendo le spese e aumentando i ricavi, nel bel mezzo di una crisi, non serve
a raggiungere l’obiettivo dichiarato, ma piuttosto prolunga il rallentamento economico e in
definitiva si rivela controproducente. Le riforme strutturali sul mercato del lavoro, senza il
giusto ambiente macroeconomico, smorzano i consumi e quindi la crescita. Anche in questo
caso, quindi, una politica anti-ciclica risulta essere una misura di accompagnamento per aiutare
a mantenere la ripresa economica nel tempo (Dauderstädt 2007; Lenz 2011; Heise/Leers 2011).
La politica anti-ciclica appartiene, quindi, all’armamentario degli strumenti di una politica
economica volta alla stabilità. Non dovrebbe essere meramente discrezionale: stabilizzatori
automatici dovrebbero essere costruiti nel sistema economico - ad esempio, nel sistema fiscale e sociale - e non indeboliti, per esempio, dalla riduzione dei contributi sociali in una
ripresa economica che in una successiva fase di rallentamento economico dovrebbero poi
essere recuperati. In questo contesto, il nuovo freno al debito è altamente discutibile. Si rischia di ostacolare gli investimenti importanti nel futuro, nel quadro di un politica pro-ciclica
di bilancio.
Il deficit pubblico non può in definitiva essere decisamente influenzato dalla politica di
bilancio, perché è il risultato dello sviluppo economico e dell’interazione delle imprese private, i privati e degli altri paesi. Sarebbe dunque meglio, da un punto di vista della crescita
e della politica di stabilità, orientare la politica finanziaria lungo un sentiero di spesa più a
lungo termine piuttosto che agli obiettivi di disavanzo. Mentre le fluttuazioni cicliche delle
entrate e delle spese possono quindi essere tollerate, e pertanto il loro effetto stabilizzatore
può essere sfruttato, la politica dovrebbe solo prevedere la spesa di Stato compatibile con il
trend di lungo periodo di crescita. Di conseguenza, possono essere programmati investimenti
sufficienti in materia di istruzione e infrastrutture e il saldo complessivo emergente non sarebbe una ragione per deviare da questo percorso, verso l’alto o verso il basso. Orientare la
politica finanziaria lungo un sentiero di spesa di lungo termine significa non solo prevenire
le influenze pro-cicliche e quindi stabilizzare la situazione economica a lungo termine lungo
un sentiero di crescita, ma anche stabilizzare il livello di debito governativo. Proprio per
questa ragione è più importante che le finanze governative e il debito pubblico siano sostenibili piuttosto che una riduzione del debito pubblico fine a sé stessa (Vesper 2008, 2011;
von der Vring 2010; Fischer et al. 2010).
5.7 Consolidare le Forze della Crescita in Europa per mezzo di una Robusta
5.7 Architettura di Finanza Pubblica
La crisi ha reso evidente l’esistenza di particolari problemi nell’Eurozona rispetto al finanziamento statale, ma anche più generalmente rispetto all’offerta di capitali nelle economie
degli Stati membri. Da un lato, gli Stati devono contrarre debiti per finanziare gli investimenti
pubblici nel quadro di una politica fiscale anti-ciclica. Dall’altro lato, comunque, i governi
sono anche i garanti dei propri sistemi bancari nazionali, sebbene siano strettamente integrati
nel mercato europeo dei capitali. Nella crisi ciò si è rivelato essere di particolare intralcio e
la principale ragione del rapido aumento nel debito. Sebbene una migliore regolazione bancaria (vedi Sezione 5.1) ridurrebbe tali rischi, in ultima analisi, sono necessarie ulteriori garanzie ed erogazioni di liquidità.
Una crescita sostenibile e sociale in Europa deve fornire un’offerta di credito fondata su
solide basi e indipendente da mercati valutari irrazionali. Le istituzioni europee sono necessarie a tal proposito per assicurare liquidità agli Stati e – importante a livello sistemico – alle
banche. Queste istituzioni devono, inoltre, avere a disposizione risorse di capitali indipendenti
dal mercato, così come chiare competenze di supervisione e regolamentazione. In ultima
istanza, la Banca Centrale Europea, con le sue di principio illimitate possibilità di creazione
del credito e della moneta, deve essere il garante dell’intero sistema. A questo proposito, si
possono prevedere emendamenti ai trattati per abolire le restrizioni – imposte sulla base di
una ormai obsoleta filosofia politica monetaria che durante la crisi è stata superata (per mezzo
dell’acquisto di bond governativi e via dicendo). Un chiaro segnale ai mercati nel senso che
la speculazione contro importanti istituzioni dell’Eurozona dovrà sempre confrontarsi con
la resistenza della Bce ridurrebbe in maniera significativa il rischio di simili comportamenti
sui mercati (Dauderstädt 2011d e 2011e; Schreyer 2011).
La seconda importante salvaguardia di queste istituzioni dell’offerta di capitale europeo
sono le garanzie solidaristiche di tutti gli Stati membri prima e dell’intera Eurozona poi. Uno
strumento chiave potrebbe essere un Fondo monetatio europeo che emettesse bond comunitari eurobond), garantiti congiuntamente dagli Stati membri dell’Eurozona e messi sul mercato a un tasso d’interesse uniforme e basso. Per evitare i problemi derivanti dagli azzardi
morali, dovrebbe esservi un tetto all’indebitamento in eurobond, pari al massimo del 60%
del Pil (blue bond). Prendere a prestito sopra quel tetto – red bond – riguarderebbe soltanto
la responsabilità nazionale degli Stati rilevanti e in caso di mancanza di disciplina fiscale e
capacità di credito sarebbe particolarmente dispendioso. Il concetto centrale sottostante ai
blue bond e ai red bond è la solidarietà fra gli Stati membri, che comunque non esime gli
Stati membri dall’assumersi le proprie specifiche responsabilità (Delpla/von Weizsäcker2011;
Deubner 2010).
Le regioni più povere dovrebbero avere la priorità nell’allocazione del credito in Europa.
Dato che gli stock di capitale devono crescere in quelle aree – ed è attesa una tendenza versa
una più alta produttività marginale – gli investimenti nella periferie hanno un più grande va-
CRITICAsociale ■ 35
lore economico. Il compito più urgente è condurre prima possibile gli Stati colpiti dalla crisi
lungo un sentiero di crescita. Un fondo di crisi sarebbe utile per finanziare gli investimenti
in capitale reale, innovazione e istruzione e può essere alimentato da contributi di solidarietà
o dal prelievo di ricchezza nei paesi dell’Eurozona (Hacker 2011a). Tale prelievo è giustificato perché l’esperienza passata dimostra che i valori patrimoniali sono stati protetti contro
rapide svalutazioni durante la crisi dall’intervento dello Stato e in futuro saranno in grado di
preservare il loro valore a lungo termine solo in presenza di crescita. Questo fondo di investimento europeo dovrebbe essere strettamente legato a una strategia di crescita ri-orientata
a livello Ue. La strategie di Lisbona ed Europa 2020 hanno portato a una corsa al ribasso tra
gli Stati membri. Dovrebbero essere sostituite da un mix politico economicamente forte, socialmente equo e ambientalmente sostenibile; da una politica che si concentri sempre più
sulla qualità della vita (Arbeitskreis Europa 2010a; Collignon 2008; Kellermann et al. 2009).
A lungo termine, le sole misure correttive non sono sufficienti per ridurre la pressione
della concorrenza. L’approccio attualmente dominante che «mantiene la sovranità» e accetta
le realtà costituzionali come dato di fatto immodificabile sta inevitabilmente arrivando ai
suoi limiti, come dimostra il fatto che più di una correzione si rende necessaria. Al contrario,
si impone una politica attiva e creativa europea. All’Unione Europea nel lungo periodo deve
quindi essere attribuita la competenza fiscale ed essa deve essere in grado di utilizzare le risorse del bilancio comunitario, attraverso l’espansione o la nuova creazione di fondi di investimento regionali, strutturali e di altro tipo, al fine di assicurare la convergenza delle condizioni economiche, di lavoro e degli standard di vita.
Proposte di vasta portata, come ad esempio attivare trasferimenti finanziari tra gli Stati
membri o la creazione di una assicurazione di disoccupazione unica europea per bilanciare
i cicli regionali di “boom and bust”, richiedono la diffusione di un cultura della solidarietà
all’interno dell’Unione Europea. In futuro, ciò diventerà più importante per evitare che alcuni
Stati finiscano per beneficiare in modo significativo dal processo di integrazione, mentre
altri vengano lasciati indietro. I possibili strumenti spaziano da un contributo di solidarietà
europea, a un trasferimento fiscale europeo, a un’unione fiscale. L’obiettivo di tutto ciò non
sarebbe di allineare le strutture economiche e produttive, ma una politica di crescita sociale
che si adatti a particolari contesti nazionali. Come risultato, l’individualità degli Stati Ue
non verrà meno, e i vantaggi economici comparati nazionali non saranno livellati verso il
basso. In un futuro, più robusto, accordo federale (che si dovrà sviluppare da una unione di
Stati in uno Stato federale europeo) la parità delle condizioni di vita dovrà essere l’obiettivo
a lungo termine.
5.8 Garantire più Stabilità nell’Eurozona per mezzo di una Politica Economica Coordinata
Il problema centrale della crisi europea può essere risolto sostenibilmente solo riducendo
gli squilibri delle partire correnti (Münchau 2010; Spahn 2010). D’altro canto, una strategia
che punti sul consolidamento del budget o sulla contrazione dei salari solo nei paesi afflitti
da deficit, con l’obiettivo di stimolare la competitività e mettere sotto controllo il budget e i
surplus dell’export, non avrà successo, perché finirà con l’inibire la domanda aggregata e
con il determinare una crescita dell’indebitamento nei paesi colpiti dalla crisi. Al contrario,
i paesi che hanno perseguito la suddetta strategia hanno considerevoli e condivise responsabilità rispetto allo scoppio della crisi nell’Eurozona (Dullien 2010b). Per contrastare i fenomeni correlati all’attuale crisi, evitare squilibri macroeconomici e incoraggiare la crescita
sociale in Germania ed Europa, in futuro sia la crescita del debito privato e pubblico, così
come gli errori macroeconomici che la sottendono, dovranno essere controllati o corretti al
più presto. A tal fine, devono essere intrapresi ulteriori passi per l’integrazione politica, specialmente per più forti coordinazione e controlli europei sulle economie nazionali, la finanza,
i salari, la tassazione e le politiche sociali (incluso lo stabilimento di un framework uniforme
di linee guida e di standard sociali minimi). Queste misure vanno ben oltre un approccio monodimensionale alle criticità del debito pubblico. (Hacker/van Treeck 2010; Arbeitskreis Europa 2010b; Heise/Heise 2010; Hacker 2011b).
Il Patto di Stabilità e Crescita dovrebbe essere sviluppato in un patto di stabilità delle
partite correnti – in altre parole, esteso per raggiungere l’obiettivo di un bilanciamento delle
partite correnti e della situazione debitoria delle famiglie e delle imprese di un paese. Nel
caso di squilibri delle partite correnti superiori al 3% del Pil dovrebbero prevedersi sanzioni
automatiche, mentre le necessarie misure di aggiustamento dovrebbero seguire un approccio
simmetrico: in alte parole, sia i paesi in surplus che in deficit dovrebbero essere obbligati a
ridurre gli squilibri delle partite correnti (Dullien 2010b).
Oltre alla politica finanziaria e fiscale, le politica salariali e sociali sono parte importante
di qualsiasi combinazione di politiche per correggere gli squilibri macroeconomici in Europa
(Fischer et al 2010; Joebges 2010). Al fine di aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori e
quindi di contribuire alla crescita sociale in aumenti dei salari nominali in Europa, gli Stati
membri dovranno in futuro essere più strettamente associati, a lungo termine, ai tassi di crescita della produttività aggregata e ai tassi di inflazione della banca centrale al fine di evitare
distorsioni della concorrenza legate ai prezzi. Per quanto riguarda l’andamento del costo unitario del lavoro questo comporta, a seconda della situazione, non solo aggiustamenti verso
il basso - nei paesi in deficit - ma anche verso l’alto (in paesi con eccedenze delle partite
correnti). La politica salariale deve essere maggiormente coordinata a tal fine e i salari nazionali esistenti oggetto di rinegoziazione estesa, in reti transnazionali di negoziazione dei
salari (Pusch 2011; Busch 2010). E’ quindi indispensabile una più forte europeizzazione istituzionale e organizzativa dei sindacati e delle associazioni dei datori di lavoro (Platzer 2010;
Busemeyer et al. 2007).
Il Dialogo macroeconomico (Med), per esempio, potrebbe quindi essere ripreso come
un forum per il forte coordinamento delle politiche salariali nazionali divergenti, come un
organismo congiunto del Consiglio europeo, la Commissione europea, la Bce e le parti sociali. Deve essere costantemente tenuto in considerazione che nel sistema europeo degli «Stati del mercato» (Busch 2009) una politica che porta a una corsa al ribasso dei salari, delle
imposte e dei contributi sociali in nome della competitività di prezzo non può offrire una
strategia sostenibile per la crescita e la prosperità. Non aumenta la qualità della vita, ma aumenta solo la redistribuzione del reddito e della ricchezza dal basso verso l’alto e aumenta
quindi il rischio di deflazione (Arbeitskreis Europa 2010a; Evans/Coats 2011).
36 ■ CRITICAsociale
5.9 Favorire un Lavoro Decente per Tutti per mezzo di Standard Europei e Globali
Crescita sociale implica «lavoro dignitoso per tutti ». Questo deve essere perseguito e
attuato non solo in Germania, ma anche in Europa e a livello globale. A livello europeo
questo obiettivo è ostacolato dalla deliberata creazione di un sistema di Stati di mercato
(Busch/Hirschel 2011). In un regime di politica monetaria unica, ma ancora in gran parte
determinata dalle politiche fiscali nazionali, gli Stati membri competono per investimenti di
capitali, i luoghi di produzione e posti di lavoro. Bassi salari, norme sociali, contributi sociali
e agevolazioni fiscali vengono utilizzati come vantaggi competitivi per questo scopo, che è
in contrasto con l’obiettivo di un «lavoro dignitoso per tutti». Invece di usare la leva fiscale,
i contributi sociali e i livelli salariali come merce di scambio in un sistema di Stati di mercato,
in futuro, dovranno essere introdotti meccanismi per riportate la coesione sociale al centro
del coordinamento degli sforzi europei (Hacker/van Treeck 2010).
Al fine di regolare la concorrenza intra-europea per investimenti, posti di lavoro e luoghi
di produzione, «un patto di stabilità sociale» dovrebbe supervsionare l’armonizzazione della
concorrenza. Si potrebbe definire un corridoio che impedisca ai salari e alle prestazioni sociali
di staccarsi dalla crescita generalizzata del reddito. Questo “modello del corridoio” servirebbe, ad esempio, a introdurre salari minimi, a seconda della performance economica espressa come percentuale del reddito nazionale medio - per prevenire la crescente differenziazione dei salari e l’espansione dei settori a basso salario. I salari in tutti gli Stati Ue dovrebbe garantire almeno un livello minimo di vita (Zitzler 2006).
La spesa sociale negli Stati membri dovrebbe essere collegata allo sviluppo del reddito
nazionale da capitale e gli intervalli dovrebbero essere stabiliti in modo che il totale delle
spese sugli anziani, sull’assistenza sanitaria, sull’incapacità lavorativa e la disoccupazione tra le altre cose - possano variare secondo gli sviluppi economici. Questo meccanismo di coordinazione assicurerebbe che l’attuale stretta correlazione tra progresso economico e sociale
nell’Ue sia mantenuta, ma che le pratiche pericolose di dumping, con le quali i singoli paesi
cercano di ottenere vantaggi competitivi, si fermino. Lo scopo di tutti gli Stati deve essere
quello di coniugare alta produttività con un elevato tasso di spesa sociale (Busch 2011). La
spesa in istruzione dovrebbe essere anche integrata nel suddetto “modello del corridoio” o
in una patto di stabilità sociale. Come nel caso di un patto di stabilità delle partite correnti,
tutto dipende da un’intelligente compensazione tra politiche coordinate e implementate a livello decentrato da un lato, e linee guida stabilite a livello centrale europeo dall’altro. Ciò
potrebbe essere ottenuto da un Metodo Aperto di Coordinamento ridisegnato nel quadro della
Strategia Europa 2020 (Hacker 2009; Arbeitskreis Europa 2010b).
Un «lavoro dignitoso per tutti» è anche una condizione chiave per la crescita sociale a
livello globale. A questo fine, gli standard internazionali devono consentire alle persone nei
paesi meno sviluppati di migliorare rapidamente il proprio reddito, ribaltare il trend verso le
disparità di reddito e la drammatica crescita dell’ineguaglianza nella distribuzione di ricchezza sociale e, in generale, stimolare la creazione, ovunque, di lavori decenti. Nei paesi in
via di sviluppo, i sistemi sociali devono essere espansi a tal proposito (Razavi 2011). In particolare, la recente crisi finanziaria ed economica dimostra che sistemi sociali basici sono
necessari anche nei paesi in via di sviluppo. L’ulteriore espansione di queste strutture e le
iniziative di rilievo, come il piano di protezione sociale dell’Ilo, dovrebbero essere valorizzate
negli anni a venire (Cichon et al. 2011).
5.10 Gestire la Globalizzazione tramite un Nuovo Ordine Economico e Monetario
La crisi finanziaria ed economica ha acclarato che la più stretta coordinazione delle politiche economiche e la cooperazione tra gli Stati sono necessarie non solo a livello europeo,
ma anche globale. Durante la crisi finanziaria i primi elementi di una simile cooperazione
potrebbero essere individuati. La loro forma e intensità è risultata del tutto nuova e hanno le
potenzialità per avere successo. Ad esempio, gli Stati più importanti hanno trovato l’accordo
sull’implementazione simultanea di politiche fiscali anti-cicliche. Allo stesso tempo, vi sono
stati accordi monitorati a livello internazionale di rinuncia a misure protezionistiche. La cooperazione tra le banche centrali, nel quadre di misure espansive di politica monetaria, durante
la crisi ha parimenti registrato un notevole successo. Anche se queste misure si sono rivelate
insufficienti a evitare la rapida caduta dei livelli di crescita nel 2009, la ripresa economica
globale successiva si è dimostrata comparativamente rapida. Soprattutto, il management
della crisi da parte degli Stati è apparso incoraggiante.
Una simile coordinazione delle politiche monetarie e fiscali non deve rimanere limitata
a periodi di gestione delle crisi. La stretta cooperazione macroeconomica e l’azione unificata
devono proseguire in futuro e hanno un ideale ancoraggio strutturale e istituzionale, in particolare al fine di prevenire nuove crisi e consentire la crescita sociale a livello globale. Solo
per mezzo di salvaguardie economiche esterne – in altre parole, una soluzione condivisa ai
problemi globali a livello globale – una strategia nazionale di crescita sociale in Germania
può avere successo. Rafforzare una stabile e adeguata crescita nell’economia globale – che
sia per larga parte libera da periodiche o cicliche crisi finanziarie ed economiche – deve
essere l’obiettivo comune.
Il problema degli squilibri globali, che hanno contribuito così tanto alla crisi economica
e finanziaria, deve essere risolto. L’obiettivo deve essere quello di portare a regolazioni simmetriche dei saldi delle partite correnti sia nei paesi in deficit che nei paesi in surplus (Priewe
2011). Solo in questo modo gli enormi squilibri strutturali e la deviazione deflazionistica
nell’economia globale che li accompagna, possono essere ridotti. Questo dovrebbe essere
accompagnato da un migliore coordinamento e monitoraggio delle politiche macroeconomiche in tutti i paesi. L’esito di tali riforme deve essere che tutti i paesi si impegnino non
solo a mantenere le proprie case in ordine, ma anche a mantenere la stabilità economica globale e finanziaria. A tal fine, sistemi di allerta precoce per i test critici dovrebbero essere sviluppati (ad esempio, rispetto al debito pubblico, alla bilancia delle partite correnti, alle riserve
valutarie, alla stabilità del sistema finanziario e così via). Le sanzioni dovrebbero essere irrogate a un paese che non riesca a tenere il passo con gli impegni presi o con le necessarie
misure di adeguamento.
Sul lungo termine, vi dovrebbe essere una graduale transizione dall’utilizzo di valute puramente nazionali – come il dollaro Usa – come moneta di riserva globale verso una valuta
genuinamente globale e verso la creazione di asset di riserva del sistema monetario interna-
3-4 / 2012
zionale. Un ruolo fondamentale potrebbe essere svolto dagli esistenti diritti speciali di prelievo
(Dsp) del Fondo monetario internazionale (Fmi). I Dsp, come moneta e strumento di pagamento non legati a una particolare economia nazionale, potrebbero essere ancorati in un quadro
stabile e assegnati o rilasciati in conformità con regole chiare. L’offerta dovrebbe essere adeguata e sufficientemente flessibile per consentire tempestivi aggiustamenti per soddisfare la
cangiante domanda di liquidità. Tali aggiustamenti potrebbero così essere indipendenti dagli
interessi sovrani e dalla politica macroeconomica del paese detentore della valuta di riserva
dominante. Un primo passo importante sarebbe quello di aumentare la percentuale di Dsp come valuta di riserva globale nel sistema baasto sul dollaro come moneta di riserva.
Il Fmi ha compiti anche più gravi da eseguire. L’interdipendenza economica e finanziaria
tra i paesi è aumentata enormemente sulla scia della globalizzazione. Comunque, non esiste
ancora alcuna autorità con la responsabilità di assicurare che le decisioni importanti di politica economica e finanziaria adottate a livello nazionale siano reciprocamente coerenti e contribuiscano alla stabilità globale. Questo compito fondamentale potrebbe e dovrebbe in futuro
essere svolto da un Fmi riformato. Tale ancoraggio istituzionale sarebbe di gran lunga migliore rispetto agli attuali arrangiamenti ad hoc (G7/8, G20). Il Fmi dovrebbe essere ampliato
nella direzione di una banca centrale internazionale per farne quindi un prestatore globale di
ultima istanza, con la creazione di Dsp come valuta propria, emessa come moneta di riserva
globale e gestita in senso anti-ciclico. La possibilità di concessione illimitata - sia condizionata che incondizionata – di assistenza in termini di liquidità creerebbe, con una riforma del
Fmi in questo senso, una (più favorevole) garanzia collettiva contro le crisi a livello globale.
Ciò potrebbe, in particolare, impedire ai paesi in via di sviluppo di costruire forme di autoprotezione, sotto forma di accumulo di riserve valutarie, e quindi di altre forme di liquidità
a fronte di potenziali crisi della bilancia dei pagamenti (Kellermann 2009).
Più attenzione politica deve quindi essere prestata in futuro alla riforma e al funzionamento del sistema monetario internazionale. Deve essere chiaro a tutti i partecipanti che la
soluzione può consistere solo in una cooperazione più inclusiva e migliore tra le nazioni e
che questo richiede anche una nuova - illuminata - comprensione degli interessi nazionali.
Approcci cooperativi in politica economica globale saranno quindi indispensabili in futuro.
6. Epilogo
La crisi finanziaria globale ha inaugurato una svolta decisiva nel dibattito economico,
dominato per oltre trenta anni dal modello di mercato liberale. La promessa di prosperità per
tutti, determinata dal libero gioco delle forze di mercato - attraverso la triade deregolamentazione-privatizzazione-liberalizzazione - non sembra più sostenibile. Il cosiddetto «trickledown effect» del Washington Consensus ha beneficiato solo pochi. Al contrario, il divario
tra ricchi e poveri in quasi tutti i paesi si è ampliato e a una élite economica privilegiata fa
da contraltare una moltitudine di perdenti della globalizzazione. Il fallimento manifesto della
«mano invisibile» ha aperto la possibilità di delineare un percorso alternativo, sostituendo
la fede economica liberale nei meccanismi di mercato, propagandata come l’unica via, con
l’azione politica e una maggiore capacità di governance.
In effetti, la politica ha riacquistato la sua prevalenza sul mercato nella prima fase della crisi.
Lo Stato è intervenuto nel momento del bisogno, ha forgiato pacchetti di stimolo economico,
salvato istituti bancari vacillanti e sostenuto il mercato del lavoro. Tuttavia, il debito pubblico
che ha accompagnato questo sforzo ha dato luogo a nuovi fenomeni critici. Ciò ha permesso ai
rappresentanti dell’economia liberale di attuare energicamente il loro vecchio programma nella
seconda fase della crisi, alludendo a vincoli pratici e dichiarando l’assenza di alternative. Politiche fiscali pro-cicliche, il consolidamento di bilancio, l’austerità e i tagli al welfare godono di
approvazione nel dibattito politico in misura maggiore oggi, mentre si tenta di uscire dalla crisi,
rispetto a prima che la crisi cominciasse. Allo stesso tempo, una regolamentazione più severa
dei mercati finanziari è rimasta in gran parte una dichiarazione di intenti, come lo è stata un più
ampia politica di cooperazione economica e di coordinamento internazionale.
Che cosa accadrà se gli attori politici non prenderanno spunto dagli elementi fondamentali della crescita sociale, come indicato sopra, e se la possibilità di rimodellare le credenze
economiche non sarà colta? La crisi globale ha portato davanti ai nostri occhi gli alti costi di
rimanere sul sentiero di sviluppo indicato dal fondamentalismo di mercato: crollo della crescita, stagnazione economica, disoccupazione persistente e in aumento in molti paesi, stretta
creditizia, montagne di debito, impotenza politica, crescente esclusione e divisione sociale.
Il persistere di queste situazioni di crisi e la gravità delle loro conseguenze hanno dato luogo
a una discussione fondamentale - anche tra i campioni delle ideologie di mercato di centrodestra - sulla correttezza delle ipotesi proposte da oltre trent’anni sull’aumento della dipendenza degli individui dal mercato, a fronte del ritiro dello Stato e delle sue prerogative.
La finestra di opportunità per la sostituzione del modello fondamentalista di mercato si sta
chiudendo in fretta. Tuttavia, vi è ancora una possibilità per trasformare il dibattito per mezzo
di un nuovo modello di politica economica progressista. Un’opportunità da non perdere! s
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