L`altra musica - Euterpe Venezia

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64 — l’altra musica
Il paesaggio sonoro
di Venezia
nità di aumentare le nostre immaginazioni critiche, di comprendere il nostro mondo e i nostri
incontri con esso secondo molteplici registri di sentimento. Pensare nell’ambito di una “democrazia dei sensi” significa che nessun senso è privilegiato rispetto agli altri».
Così Michael Bull e Les Back, curatori del volume Paesaggi sonori edito da Il Saggiatore nel 2008, ci indicano la via
per esplorare il mondo e con questo spirito abbiamo af-
te attività artigianali – e naturale, ma può anche essere utilizzato, manipolato, trasformato, da elaborazioni
elettroacustiche.
Fino a oggi sono state effettuate varie sessioni di registrazioni, in collaborazione con gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Venezia guidati dal docente di Sound
design Davide Tiso, gli studenti del Conservatorio di musica «C. Pollini» di Padova guidati dal docente di Elettroacustica Matteo Costa e gli studenti del Conservatorio di
musica «B. Marcello» di Venezia guidati dal docente di
Musica elettronica Paolo Zavagna, per riprendere, fra gli
altri, suoni di acqua, campane, l’attività all’interno di uno
squero e di una vetreria, animali, vaporetti, barche, vociare, passi nelle calli e tanti altri. A questa prima fase di
riprese seguiranno altre sessioni di registrazioni in particolari condizioni climatiche, atmosferiche, stagionali e
in particolari momenti della giornata o in particolari occasioni festive e/o istituzionali.
Al lavoro sul campo è seguito un seminario, tenutosi
il 30 aprile 2010 nel Salone degli Arazzi della Fondazio-
frontato l’universo sonoro di Venezia. Il progetto sul paesaggio sonoro veneziano, attualmente in corso di svolgimento, nasce all’interno del laboratorioarazzi, ciclo di seminari sulla musica elettroacustica promossi dall’Istituto per la musica della Fondazione Giorgio Cini di Venezia (cfr. p. 93). La mappatura dei suoni della città lagunare vuole essere un’esperienza multiforme: ‘ecologica’, nel
senso di relazione ed equilibrio uomo/ambiente; didattica, con il coinvolgimento degli studenti durante le sessioni di ripresa del suono; performativa, nel momento in cui
i materiali sonori raccolti vengono utilizzati come «campioni» da elaborare dal vivo con strumenti elettroacustici; compositiva, tramite la realizzazione di brani musicali
basati sui, o ispirati ai, suoni registrati; filosofica, poiché,
come suggerisce Jacques Attali nel saggio Bruits del 1977,
«il mondo non si guarda, si ode».
Il suono del paesaggio sonoro ha valore documentario, concreto, di testimonianza, di salvaguardia del patrimonio antropico – si pensi che certi suoni potremmo non sentirli più, come quelli, ad esempio, legati a cer-
ne Giorgio Cini, che ha permesso lo scambio di informazioni con altre esperienze operanti nell’ambito del paesaggio sonoro, sia documentarie sia compositive. Antonella Radicchi, nell’intervento Sull’immagine sonora della città. La creazione di paesaggi sonori nel progetto della città contemporanea, ha illustrato «le potenzialità insite nel progetto di
paesaggio sonoro all’interno del processo di riqualificazione della città contemporanea»; Giancarlo Toniutti ha
analizzato due sue composizioni basate su registrazioni
di suoni naturali; Ilaria Mancino ha parlato dell’«esperienza vissuta in una città che è entrata nel novero delle Città della Musica dell’Unesco: Bologna. La struttura
urbanistica di Bologna facilita la trasmissione del suono
e quindi della comunicazione, della voglia di fare musica
ma anche amplifica i rumori con conseguente sensazione di straniamento della popolazione. La mappa acustica della città, infatti, mostra la sua ragnatela di strade medioevali inserita nel contesto sonoro previsto per le zone
industriali. E quando il rumore è il dato essenziale in cui
vive e cresce ogni cittadino, la sensibilizzazione al pae-
Per una mappatura
dei suoni della città lagunare
P
ensare con le nostre orecchie offre l’opportu-
l’altra musica
«
di Giovanni Morelli e Paolo Zavagna
l’altra musica — 65
serbatorio per la soundscape composition, pratica compositiva
elettroacustica, le cui origini risalgono ai lavori di Barry
Truax e Murray Schafer presso la Simon Fraser University alla fine degli anni sessanta. All’epoca partì il World
Soundscape Project, che nasceva come «un inizale tentativo di dare attenzione all’ambiente sonoro attraverso
un corso sull’inquinamento acustico» (http://www.sfu.
ca/~truax/wsp.html). Barry Truax, in un articolo apparso nel n.13 del 2008 della rivista «Organised Sound» dal
titolo Soundscape Composition as Global Music: Electroacoustic
Music as Soundscape, afferma che la soundscape composition non è «uno stile o un sottogenere della musica elettroacustica» ma un «principio organizzativo, un insieme
di strategie di ascolto e quindi un punto di riferimento
per tutta la musica elettroacustica con riferimenti al mondo reale».
Al progetto di mappatura sonora di Venezia partecipa anche il fotografo Riccardo Zipoli, che ha accettato la
sfida di ‘fotografare il suono’, e le cui immagini colgono
aspetti visivi dei meccanismi fisici che producono le onde
tecture di Londra come evento collaterale della Biennale Architettura di Venezia presso la Fondazione Giorgio
Cini (27 agosto 2010).
I suoni registrati verranno inoltre inseriti nel sito veneziasoundmap.org, attualmente in fase di realizzazione e permanentemente aggiornabile. Sulla scorta di altre
esperienze simili come ad esempio London sound survey, New York sound map, Montreal sound map e Firenze sound map, sarà possibile accedere, tramite una mappa di Venezia, alle registrazioni, ascoltando i campioni ad
alta risoluzione. Sarà possibile inoltre scaricare i suoni,
che verranno pubblicati con licenza Creative Common
by-nc-sa, la licenza che permette di utilizzare documenti purché citandone la fonte (by), facendone un uso non
commerciale (non commercial ) e condividendoli allo stesso
modo (share alike). Sempre con l’intento di condividere il
materiale sonoro raccolto, alcuni suoni verranno ‘caricati’ all’interno del free sound project (freesound.org), un progetto di mappatura sonora a livello planetario.
Un altro possibile utilizzo dei suoni raccolti è quello di
sonore: dettagli di campane che diventano figure astratte
– mai però completamente slegate dall’oggetto raffigurato in modo da renderlo comunque riconoscibile –, particolari del getto di una fontana o di vaporetti che attraccano sono solo alcuni esempi delle sue fotografie. Anche
la regista Alberta Ziche, che ha seguito tutte le fasi del lavoro e realizzerà su di esso un documentario di cui si può
vedere un breve estratto in anteprima su http://vimeo.
com/17981041, ha partecipato con entusiasmo al progetto fin dalla sua nascita.
Un progetto aperto, in continua evoluzione, che testimonia e fa rivivere, aggrega e stimola, che accoglie e abbraccia la definizione di acustemologia, data da Steven Feld nel libro curato da Bull e Back citato all’inizio, come «l’unione tra acustica ed epistemologia, e l’indagine sulla supremazia del suono come
modalità di conoscenza e di esistenza nel mondo». ◼
l’altra musica
saggio sonoro è un processo che ha il sapore di una fisioterapia o della psicoterapia quando il racconto di una città passa e si esprime attraverso la mutazione morfologica
dei suoi suoni»; Massimo Liverani ha riassunto le tappe
del «paesaggio sonoro nella musica» e in chiusura Enrico Coniglio, nel suo intervento sulle Topofonie di Venezia e
Laguna: dal field recordings alle soundscape compositions, ha trattato «brevemente del concetto di paesaggio sonoro contemporaneo e del concetto di “topofonia” che è definibile come “l’insieme dei suoni autoctoni che appartengono
a un dato luogo e tempo”».
I materiali sonori raccolti sono stati anche l’occasione –
il ‘tema’ – per una perfomance musicale tenuta dall’Arazzi Laptop Ensemble (i cui membri Stefano Alessandretti, Ongakuaw, Luca Richelli, Julian Scordato, Giovanni
Sparano, Davide Tiso, Paolo Zavagna, hanno collaborato anche alle sessioni di registrazione e all’organizzazione
del seminario) in occasione del simposio Beyond Entropy.
When energ y becomes form organizzato da Stefano Rabolli
Pansera dell’Architectural Association School of Archi-
Immagini tratte dal video-documentario di Alberta Ziche.
66 — l’altra musica
A Padova ritornano
i suoni «Ostinati!»
versità di Padova deve rispettare un doppio criterio alla base delle sue scelte: da una parte deve
essere conservatrice, ossia confermare la sua vocazione
avventurosa, da sempre lontana dai cliché; dall’altra, deve tentare di rinnovarsi per incuriosire una nuova generazione di ascoltatori, assetati di sorprese. Non è semplice
muoversi tra le maglie di questa sottile ambiguità, in un
panorama musicale sempre più frantumato e sfuggente,
Berne fa parte dei punti di riferimento stabili del Centro d’Arte, rappresenta uno di quegli artisti seguiti ciclicamente e documentati in diverse fasi produttive. È stato
invitato per la prima volta nel lontano 1980, all’interno di
una tre-giorni che è rimasta memorabile a Padova. Erano i tempi in cui il Centro d’Arte fungeva un po’ da apripista nazionale per un certo tipo di musiche: jazz di ricerca, contemporanea non allineata (l’avveniristico cartellone di «Musica Oggi»…), giovani talenti.
Berne per un certo periodo è stato considerato un po’
pretenzioso e indigesto: in realtà negli anni si è affermato come tra i pochi compositori-improvvisatori di grande caratura, un vero «narratore» sonoro che, partendo dal
soul e da Julius Hemphill, è arrivato a governare un insieme di strategie musicali in costante divenire. Così, dopo
i gruppi con Paul Motian, e i progetti via via denominati Bloodcount, Paraphrase, Quicksand, Big Satan e Buffalo Collision, ecco adesso Los Totopos, nuovo combo
che allinea i clarinetti di Oscar Noriega – già ascoltato nel
quartetto di Chris Speed la scorsa stagione – il piano di
ma soprattutto alle prese con una penuria di risorse ancor più marcata, in questa congiuntura di vacche magre.
In un contesto dove il «marchio» comunicativo gioca
un ruolo essenziale per fidelizzare un pubblico, il Centro
d’Arte propone invece un approccio unitario alla musica d’oggi, rifiutandosi di etichettare il suo cartellone. Né
«jazz», né «contemporanea», né tantomeno «world»: il titolo della rassegna è da alcuni anni «Ostinati!», a suggerire semplicemente la convinzione di proporre autori di
valore, laterali a qualsivoglia contenitore, spesso legati alla rassegna da un rapporto antico, rinnovato dalla vitalità
di musiche in continua mutazione. Oppure porta in superficie musiche dal sottosuolo, che nel circuito del nostro territorio non troverebbero mai un pertugio da cui
emergere.
La rassegna che si annuncia per il prossimo anno ricalca queste premesse, a partire dal prologo, affidato al nuovo progetto del sassofonista Tim Berne, il quartetto Los
Totopos (21 gennaio, cinema teatro Torresino).
Matt Mitchell e la batteria di Ches Smith (già a fianco di
Mary Halvorson e della rock band «Xiu Xiu»).
Nell’autunno del 2008 il Centro d’Arte aveva promosso un piccolo festival dedicato al collettivo di «El Gallo Rojo», tra le realtà più rigorose e di qualità della musica indipendente italiana. Sempre con l’intento di approfondire le diverse sfaccettature di un fenomeno in divenire, è rimasto fecondo il collegamento con la spina dorsale di quell’insieme di musicisti, vale a dire la coppia ritmica formata da Danilo Gallo e Zeno De Rossi (rispettivamente contrabbasso, percussioni, strumenti vari). I
quali, lateralmente a svariati progetti, hanno dato vita a
«Guano Padano», un trio + ospiti, che sviluppa uno stile
musicale indefinito, orientato verso la rivisitazione personale di accenti folk-blues americani arricchiti da incursioni sulla forma canzone e con spazio per l’improvvisazione. L’esito è stato salutato con ampio successo, anche
per la partecipazione su disco di Alessandro Alessandroni (il fischiatore nelle musiche per il cinema di Morrico-
La nuova rassegna del
Centro d’Arte dell’Università
O
di Stefano Merighi
l’altra musica
gni nuova rassegna del Centro d’Arte dell’Uni-
l’altra musica — 67
le sue improvvisazioni radicali, ma anche nelle composizioni da camera o nei gruppi funk derivati dal Miles Davis
elettrico. La collaborazione con Sommer risale all’album,
in cui figurava anche lo scomparso bassista Peter Kowald.
«Baby» Sommer è tra le figure leggendarie del free jazz
di quella che fu la ddr ed è ancora elemento stabile dello Zentralquartett (con gli altri tedeschi ex-«orientali» Ulrich Gumpert, Ernst Ludwig Petrowsky e Connie Bauer).
E se è vero che la musica europea è poco presente nelle feste di «Ostinati!», l’esibizione di The Thing (Torresino, 1 aprile) di sicuro può sopperire a questa relativa assenza. Una figura come il sassofonista improvvisatore Mats
Gustafsson, da molti anni colonna della musica anarchica svedese, merita più di una vetrina. E il lungo sodalizio
con il bassista Ingebrigt Håker-Flaten e il batterista Paal
Nilssen-Love (entrambi norvegesi), sotto il marchio The
Thing – omaggio a Don Cherry – fotografa con la giusta
intensità una musica estrema, essenziale, necessaria. Da
dieci anni The Thing coniuga originalità scandinava e filiazione dal free jazz americano, mettendo in corto circu-
ta del trombettista (Greenleaf Records) e hanno da poco
pubblicato un cd per la prestigiosa Winter&Winter. Sempre al Torresino il concerto, venerdi 18 marzo.
Su di un versante più raccolto, segnato da una conversazione raffinata e sapiente, sarà uno tra gli appuntamenti più attesi (Torresino, 25 marzo) di «Ostinati!», ossia il
duetto formato dal trombettista Wadada Leo Smith e
dal batterista Günter «Baby» Sommer. Un duetto raro da
ascoltare dal vivo, dunque preziosissimo. Wadada rappresenta una delle voci più alte del jazz creativo, fin dalle stagioni seminali nell’aacm di Chicago, un altro territorio che
il Centro d’Arte ha visitato a lungo, dagli anni settanta a
oggi. Wadada è un maestro della world music, intesa però non superficialmente come accostamento tra linguaggio occidentale e profumi di musiche etniche, ma come rifondazione di una ricerca verso una purezza spirituale che
implica uno studio serio delle tradizioni africane e orientali. Smith propone un suo sistema sonoro, che egli chiama
«Ankhrasmation», una sintassi flessibile, declinabile nel-
ito l’energia jazzistica, l’amore per il punk e per gli autori
rock come PJ Harvey, White Stripes, Björk.
Un collegamento Italia-Usa è invece quello realizzato
da anni dal chitarrista napoletano Marco Cappelli, entrato con autorevolezza nel giro degli esploratori musicali di
New York e che ora propone le alchimie del suo Acoustic
Trio, in compagnia del bassista Ken Filiano e del batterista
Satoshi Takeishi (Torresino, 15 aprile). Un altro protagonista dei suoni della «Big Apple», spesso ascoltato come sideman e poco come leader, è lo splendido batterista Ben Perowsky. Ora il Centro d’Arte colma la lacuna, invitando Perowsky a presentare il repertorio del suo recente lavoro in
quartetto, «Esopus Opus» (21 aprile, teatro delle Maddalene), che spazia dai rifacimenti di Hendrix e Beatles a brani
originali che sintetizzano una miriade di stili. Nel gruppo,
spiccano i fiati di Chris Speed e il pianoforte di Bojan Z. ◼
l’altra musica
ne), Bobby Solo, Gary Lucas.
Il gruppo conta sulla sapiente chitarra di Alessandro
«Asso» Stefana (elemento della band di Vinicio Capossela)
e invita il multistrumentista Vincenzo Vasi, tra i talenti più
eclettici della scena odierna. «Guano Padano» sarà al Torresino di Padova il 25 febbraio.
E proseguendo nella presentazione dei gruppi newyorchesi meno noti in Italia ma laggiù attivissimi (il Centro
d’Arte aveva iniziato anni fa con i Sex Mob e insistito fino
alla scorsa stagione con i Fieldwork), tocca stavolta ai Kneebody lanciarsi presso il pubblico padovano. È una formazione attiva da diversi anni, incentrata sull’amicizia e sulla ferrea cooperazione tra cinque strumentisti disinibiti,
virtuosi. Gente che sa suonare di tutto, come dimostrano le collaborazioni con Ani DiFranco e Chaka Khan, al
di fuori dei circuiti jazz. E che ama i volumi rotondi, quasi rock-jazz anche se non proprio, con piano Fender e basso elettrico a disegnare trame funk come contorni per le
narrazioni di tromba e sassofoni. Apprezzati e supportati
da Dave Douglas, i Kneebody hanno inciso per l’etichet-
Sopra: il sassofonista Tim Berne
con il suo nuovo progetto Los Totopos (foto di Valerie Trucchia).
A fronte: The Thing (foto di Krz ysztof Penarski ).
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Le arcane suggestioni
dell’intreccio sonoro
Ludovico Einaudi si racconta
L
a cura di John Vignola
l’altra musica
udovico Einaudi è un musicista di professione.
Lo confessa lui stesso, raccontando una carriera
che ha attraversato la sperimentazione sui timbri
e la riappropriazione della melodia, unendo tre decenni sull’onda di un successo di pubblico crescente. Un riscontro, quello con gli ascoltatori, confermato da The Ro-
non si vergogna delle melodie e della presa diretta del suono.
Perché dovrebbe, del resto? L’ossessione della melodia
è un aspetto della mia espressività, da sempre. È lo scheletro, il nerbo di tutto ciò che si può fare. Senza melodia
non c’è musica. Certo, poi si può lavorare sulle oscillazioni di determinate idee melodiche, però si parte da quelle.
Da quella partenza si arriva a risultati quasi trascendenti.
Esattamente. La mia formazione classica si è stratificata, con il tempo, fino a diventare inestricabile con ricordi più primitivi, con l’interesse per il folk, l’etnica, il popolare contemporaneo. Non voglio escludere nessun elemento e forse per questo comunico bene con il pubblico.
Un pubblico che ha riscoperto le partiture, se si pensa al successo
di altri suoi colleghi.
Probabilmente una pecca grave del musicista classico è
yal Albert Hall Concert, che rende conto di una sua esibiziostata quella di pensare di rinnovare un linguaggio a prione recente a Londra, e da un rapporto sempre più intenso
ri, senza tenere conto di quello che è il referente ultimo,
e stratificato con le tecnologie di comunicazione, così le
ovvero chi va nei teatri e ascolta i dischi. Un peccato di
chiama lui, che possono permettere di «proporre agli apsuperbia che stiamo ancora scontando, ma che la mia gepassionati idee e spunti discutendoli in diretta».
nerazione non intende ripetere.
Partiamo dalla professione, appunto, di musicista.
Oltre a numerosi concerti dal vivo, lei utilizza anche la Rete per
Dire che la mia è una professione può sembrare scandacomunicare con gli appassionati.
loso, chiaramente, perché magari si azzera l’aspetto creSono affascinato dalla simultaneità. L’idea di fare, per
ativo. Io però intendo questa affermazione come un atesempio, un duetto a distanza, servendosi solo di un paio
to di fede, un approfittare del momento, non un semplidi computer e della webcam, azzera i problemi fisici nel
ce lavoro meccanico.
far viaggiare l’ispirazione. È una cosa bellissima se è usaAl di là di questo giocare con le parole, il suo percorso è riuscito
ta con criterio e soprattutto se non scalza l’esibizione venel tempo a riprendere la tradizione senza rinnegare i cambiamenra e propria e l’integrazione con altri supporti, tipo il cd.
ti del linguaggio del Novecento musicale, quello delle avanguardie.
Nel futuro molti pronosticano però la fine di un supporto materiaUna pacificazione inevitabile, che conosce bene chi, cole, per il lavoro dei musicisti.
me me, ha praticato l’elettronica in tempi non sospetti.
Per ora non è così: c’è ancora bisogno di un archiMi sono accorto che il nostro traguardo finale dovrebvio fisico. Io lavoro con la materia e penso a un dibe essere sempre la comunicazione, quindi trovare un
sco, a un’opera, dall’inizio alla fine. Il futuro però non
modo per arrivare a condividere suggemi spaventa. Lo stiamo aspettanstioni, spesso le più arcane, che i suoni e
do senza ansie, ma con curiosità. ◼
i loro intrecci si portano dietro. Non c’è
Gorizia
frattura, su questo, ma evoluzione.
Teatro Comunale Giuseppe Verdi
Lo testimonia bene il recente Nightbook, che
22 febbraio, ore 20.45
Ludovico Einaudi (foto di Stefano Costantino).
l’altra musica — 69
Goran Bregović:
a Padova
la rock star
della world music
esperienze novecentesche, soprattutto a livello di sonorità leggera dal tango al rock, dal pop alle marcette (ancora molto usate nella Ex Jugoslavia grazie alle numerose
scoppiettanti bande di ottoni).
Di se stesso Bregović dice: «Non ho mai avuto un’educazione musicale, bensì una sorta di conoscenza inconscia, che mi fornisce una percezione di qualcosa che, pur
non conoscendo, capisco. Anche Beethoven, verso la fine della sua esistenza, riusciva a comporre senza poter
di Guido Michelone
sentire nulla, perché c’era qualcosa che sentiva per lui. Il
mio, comunque, rimane un approccio semplice alla musirmai è quasi una rock star delca, come in tutte le altre cose. Al tempo del
la world music, ascoltato entusiamio successo nella Ex Jugoslavia ho fatsticamente da generazioni di apto dei dischi negli studios dei Pink Floyd
Padova – Gran Teatro Geox
passionati in tutto il mondo, come probae per me loro sono sempre stati un model11 febbraio, ore 21.00
bilmente toccherà anche al pubblico del
lo dal punto di vista della loro immagine
Gran Teatro Geox di Padova venerdì 11 febbraio alle
pubblica».
21.00: tuttavia non si può fare a meno di pensare a Goran
E conclude, prendendo sempre a modello il mitiBregović, sessantenne giovanilissimo, come all’unico arco quartetto inglese: «[Dei Pink Floyd] quasi non si cotista veramente popolare e cosmopolitica, diventato fanoscono i loro volti e si possono incontrare per strada
moso a causa della peggiore tra le guerre civili nell’ultimo
senza che tu ti accorga di loro. Li ho visti in concerto
decennio del ventesimo secolo, grazie però a una musica
e potevano sembrare persone come mio padre. Musifestosa, allegra, ironica, dissacrante, quasi a rispecchiacisti di questo tipo non sono ossessionati dalla rincorre i tanti volti di una società multietnica complessa. Gosa verso il successo. Ciò che ho oggi è quello che ho soran, bosniaco, nato a Sarajevo da padre croato e mamma
gnato tutta la vita: un grosso pubblico ai miei concerserba, dopo il divorzio dei genitori vive nella zona a preti e numerosi acquirenti dei miei dischi, senza pedominanza musulmana entrando in contatto con le tre le
rò essere costretto ad apparire in un certo modo». ◼
culture (e nazionalità) che formano la Bosnia-Erzegovina: araba, cattolica e ortodossa.
Del passato di Bregović si possono ricordare gli inizi al
violino e poi alla chitarra, l’adolescenza trascorsa a Napoli a suonare folk, il ritorno in patria dove in breve diventa
famosissimo con il leggendario gruppo rock Bijelo Dugme (Bottone bianco) indiscutibilmente il più talentuoso nella Jugoslavia degli anni settanta e ottanta. Ma è solo
quando la band si scioglie e si mette a comporre per il cinema che Bregović diventa internazionalmente famoso.
Il suo primo lavoro, lo score del Tempo dei gitani (1989)
per la regia di Emir Kusturica, ottiene subito unanimi
Goran Bregović.
consensi di pubblico e critica, che apprezzano tanto la
storia quanto la frizzante, energetica colonna sonora. La
collaborazione tra Bregović e Kusturica diventa tra le più
strette, inventive, paritetiche, come negli esempi classici
di Nino Rota con Federico Fellini o di Prokofiev con Ejzenstejn. Nel film successivo, Arizona Dream (1993), Goran scrive canzoni addirittura cantate da Iggy Pop; per il
capolavoro Underground (1995) c’è la Palma d’oro a Cannes anche grazie allo score, benché il sodalizio s’incrini
di colpo per le accuse del regista di eccessivo uso concertistico delle partiture filmusicali.
Ma la strada di Bregović è ormai quella della celluloide,
allargata ai cineasti europei come Patrice Chereau (La Regina Margot), Radu Mihăileanu (Train de Vie), Chris Menges (The Lost Son), Roberto Faenza (I giorni dell’abbandono),
non senza una propria attività di recital e di album con
un gruppo chiamato Wedding and Funeral Band: da segnalare in tal senso i cd per case discografiche interazionali Silence of the Balkans (1997), Ederlezi (1998), Songbook
(2000), Goran Bregović’s Karmen with a Happy End (2007).
Tutta la musica di Goran trae ispirazione da antichi temi zigani e dal folclore slavo meridionale: con opportune metamorfosi attualizzanti è quindi il segno marcato
di un’intelligente fusione della tradizione polifonica balcanica, delle radici popolari ritualizzate, delle moderne
l’altra musica
O
70 — l’altra musica
Nuovo disco
e nuovo tour
per Max Gazzè
Niccolò Fabi, Paola Turci e altri ancora, con cui instaura un’amicizia profonda consacrata anche da molte collaborazioni reciproche. I primi due dischi, Contro un’onda
del mare del 1995 e La favola di Adamo ed Eva del 1998, iniziano a farlo conoscere al pubblico, in particolare grazie
al singolo «Vento d’Estate», registrato in duetto con Niccolò Fabi. Sanremo diventa tappa inevitabile: vi partecipa
di Tommaso Gastaldi
nel 1999 con «La Musica può Fare», nella sezione Giovani. Come spesso accade a un non entusiasmante risconanno scorso è stato muto per un
tro sanremese (arriverà ottavo) corrisponpo’ di tempo. E se normalmente
de un buon successo della canzone nei mequesto per un cantautore può essi successivi, elevando il brano al rango di
Mestre – Teatro Toniolo
sere un problema, per Max Gazzè è stata
«tormentone» estivo. L’anno successivo è
15 gennaio, ore 21.00
una nuova occasione di formazione artidi nuovo al Festival, questa volta tra i big,
stica. Nel lungometraggio Basilicata Coast to Coast diretcon «Il timido ubriaco», singolo trainante del terzo omoto da Rocco Papaleo ha infatti interpretato il personagnimo disco, Max Gazzè. Poesia gentile, vissuta tra l’irogio di Franco Cardillo, falegname con la passione per il
nia e le tematiche più svariate, dalla narrazione amorosa
contrabbasso rimasto senza parole come conseguenza di
all’analisi del sociale, il mondo musicale di Gazzè non ha
una delusione d’amore. Nel film i protagonisti riabbracconfini. Raccoglie dal quotidiano, dal passato e da visioni
ciano i sogni musicali che avevano abbandonato col mafuturibili, tutto materiale che trasforma in musica senza
turare degli anni, riunendo la loro band e iniziando una
paura di esplorare la complessità dei generi, senza curarscanzonata attraversata della Basilicata a piedi, da costa
si delle mode. In questo si sente che i riferimenti ai quaa costa. Una specie di Easy Rider appiedata che ha coli attinge si rifanno a Battisti, a Battiato e più in generame meta Scanzano Jonico. In qualità di unico vero mule alla poesia piuttosto che alla narrazione. Ma non bisosicista anche al di fuori della finzione cinematografica,
gna dimenticare che Gazzè è un musicista prima che un
Gazzè compone la canzone che si sente nei titoli di coda,
cantante: un bassista consumato, fedele alle quattro
«Mentre Dormi». Galvanizzato dal buon succescorde del Fender Standard Jazz. Si sente che c’è
so del film e del brano, ritorna in sala d’incimoltissima esperienza nel suo sound, e molti
sione, dove lavora con un gruppo di vecpassaggi rimandano ai Police, dei quali si è
chi amici per produrre Quindi?, un disempre dichiarato grande fan. Ha suonasco che lui stesso definisce onesto, reto sia in una cover band da lui formata, I
gistrato in maniera diretta, con struPolis, sia nei Gizmo, gruppo musicale
mentazioni vintage e con un uso licapitanato da Stewart Copeland, batmitato di software musicali proprio
terista e fondatore – assieme a Sting –
per mantenere intatta la spontaneidei Police. Dopo un tour «Di Comutà del suono.
ne Accordo» con Marina Rei e PaoMax Gazzè nasce a Roma ma trala Turci, viene pubblicato Dall’aratro
scorre la prima parte della sua vialla radio, in cui il nostro riflette sui
ta a Bruxelles, iniziando a suonare
cambiamenti della società, dalla vita
il pianoforte per poi abbracciare defiagreste ai modelli di vita contemponitivamente il basso. Ha alle sue spalle
ranea. Nel disco troviamo anche «Il
una lunga gavetta consumata in giro per
solito sesso», una delle sue canzoni
l’Europa con i Play 4, gruppo specializzapiù famose. A seguito dell’esperiento in nothern soul, genere molto in voza di attore, ha prestato il suo volto
ga nell’Inghilterra degli anni
anche nella messa in scena del musessanta. Sentito il richiasical Jesus Christ Superstar, nel quamo della madre patria, rile ha interpretato il ruolo di Erotorna agli inizi degli ande. Lontano dalla musica, Max
ni novanta nella Capitale
Gazzè pratica il reiki, discie inizia un proprio perplina orientale che ha come
corso artistico nel
obiettivo l’armonizzaziomondo cantautone del corpo, del cuore,
rale nazionale.
della mente e dello spiEntra in conrito con la realtà unitatto con una
versale. Vista la sicuscena di musirezza e la tranquillicisti quali Datà con cui affronta
niele Silvestri,
ogni suo progetto,
sembra proprio
funzionare. ◼
l’altra musica
L’
Max Gazzè.
León Gieco incanta
Villa dei Leoni
Aprono la serata le canzoni
di Giovanni Dell’Olivo
Q
di Leonardo Mello
uasi in sordina, senza particolari messaggi pro-
mozionali, lo scorso 31 ottobre al Teatro Villa
dei Leoni di Mira si è tenuto un mirabile momento pubblico/concerto dal titolo Terre di emigranti, terre
di incontri, che ha visto
protagonista il celebre
cantautore argentino
di origine piemontese
León Gieco (1951), di
passaggio in Italia nella veste di membro della Giuria del xxv Festival del Cinema latino-americano di Trieste. Definito da alcuni il Bruce Springsteen del Sudamerica,
Gieco – autore e interprete di canzoni-manifesto fra le quali Solo le pido a Dios, Cinco Siglos Igual, La Memoria,
che lo identificano come paladino dei diritti umani e della solidarietà nei confronti degli umili e degli emarginati – si caratterizza musicalmente per la
personale, originalissima sintesi di folclore latino e rock americano. Nel corso della
sua lunga carriera – nel
2006 si è aggiudicato il
Grammy Latin Award
– ha collaborato con
artisti del calibro di
Bob Dylan, Sting, Pete Seeger, Mercedes Sosa, i cubani Pablo Milanés e Silvio Rodríguez, i cileni Inti Illimani. Nato nel 1951 in un
paesino vicino a Santa Fé, appena diciottenne si trasferisce a Buenos Aires, dove comincia a entrare in contatto con il mondo rock locale. Nella prima metà degli anni
settanta ha già al suo attivo tre dischi, ma la censura imposta dalla dittatura militare lo spinge a trasferirsi per un
anno a Los Angeles. Nel 1981 compie un lungo viaggio
all’interno del proprio Paese, intitolato «De Ushuaia a la
Quiaca», con l’intento di raggiungere anche luoghi impervi e lontani dove la musica nasce spontanea, per registrarla nel suo ambiente naturale: di questi tre anni passati in giro per l’Argentina restano duemila fotografie,
cinquanta ore di videofilmati e tre lp. Dal 1989 inizia la
grande notorietà che lo porta a incontrare i nomi illustri
citati poco prima, e a ottenere un gran numero di premi
e onoreficienze.
Durante la serata mirese Gieco si è esibito sia in assolo, con chitarra e armonica, che con un gruppo di turnisti chiamati ad accompagnarlo per l’occasione, proponendo una selezione dei pezzi più celebri del suo repertorio. L’incontro è stato arricchito dalla proiezione della
pellicola Mundo Alas, documentario di straordinaria carica emotiva che vede protagonista lo stesso cantante assieme a un gruppo di musicisti disabili in tournée per l’Argentina. Ad omaggiare la presenza del grande cantautore
è stato chiamato, per
aprire la serata, Giovanni Dell’Olivo,
che ha proposto in
trio, oltre che pezzi
propri come «Ernesto non fa più il medico» e «Il tempo»,
alcuni brani della nostra tradizione
popolare. Il compositore veneziano, dopo il graffiante affresco La saga del Commenda e l’elaborato lavoro di recupero e riproposta della tradizione che ha
preso il titolo di Lagunaria, uscito nel
2009 (cfr. VMeD n.
3, p. 58, n. 21, p. 17,
n. 27, p. 29 e n. 31, p.
54) sta ora ponendo
le basi per un nuovo
progetto, immaginato insieme a Gianni De Luigi e incentrato su una figura quasi mitica della Venezia degli anni settanta, il bandito-acrobata Kociss.
Attraverso una vera
e propria drammaturgia, che unisce la
parola narrativa alla musica e alle canzoni, Dell’Olivo affronterà – stando a quanto ci anticipa – quella drammatica parabola esistenziale, conclusasi a trentun anni con uno scontro a fuoco in pieno
centro storico, raccontando la vicenda umana del fuorilegge in relazione a quella del suo alter ego nella polizia, Arnaldo La Barbera. Ma di questo tributo – partecipato ma non agiografico – all’antieroe veneziano Kociss torneremo a parlare quando si concluderà il lavoro preparatorio e sarà già tempo di debutti. ◼
León Gieco (pressenza.com).
l’altra musica
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72 — l’altra musica
Fogli Volanti:
preziose testimonianze
di cultura
e vita popolare
C
di Gualtiero Bertelli
l’altra musica
he fossero «Zirudelle», o «Canzonieri», o
«Fatti», per oltre un secolo quei fogli di carta sottile, dai colori a pastello e stampata
in bianco e nero, hanno costituito la principale,
se non unica, fonte di guadagno dei Cantastorie dell’Italia settentrionale. Li vendevano nelle
piazze, nei mercati, nelle strade nel corso delle loro esibizioni.
Le «Zirudelle», come le chiamavano in
Emilia-Romagna, erano fogli di carta colorata, talvolta di dimensioni ridotte, stampati da un solo lato e contenevano filastrocche o poesie in dialetto, spesso assieme a numeri del Lotto o altri suggerimenti. Piazza Marino, uno dei Cantastorie più famosi che abbiamo incontrato nell’articolo precedente, era un
produttore inesauribile di zirudelle, capace di improvvisare rime e strofe all’impronta su qualsiasi argomento.
Divertire
era l’obiettivo di queste
composizioni,
e ci riuscivano
debordando talvolta nel campo del
doppio senso o dello
scurrile vero e proprio.
Componimenti satirici o comici in tutto simili
alle zirudelle furono diffusi in tutte le regioni dell’Italia
Settentrionale dai diversi Cantastorie; in Lombardia, ad esempio, presero il nome di «Bosinate».
I «Canzonieri» erano fogli grandi
di carta colorata, stampati fronte/retro, che riproducevano i testi delle canzoni in voga che nelle esibizioni pubbliche si alternavano con le altre forme compositive, allo scopo di attirare l’attenzione del
pubblico e costituire rapidamente il treppo.
Furono distribuiti dagli anni quaranta in poi,
quando la
capillare diffusione della radio aveva
portato in ogni
sperduto paese
i motivi lanciati dai cantanti più
famosi: Rabagliati, Natalino Otto, la
Ferida, il Trio Lescano e tanti altri.
L’editore Campi di
Foligno, uno dei più
prolifici stampatori di
Fogli Volanti, produceva anche «Il Canzoniere della
radio», un libricino che ebbe
una distribuzione capillare,
venduto anche attraverso
le edicole, che costituisce
oggi una preziosa fonte di informazione sul
mondo della musica leggera negli
anni quaranta/
cinquanta.
Ma i prodotti più originali della creatività dei
Cantastorie sono «i Fatti»,
costituiti da fogli stampati da un
solo lato con disegni e decorazioni in
bianco e nero. Raccontavano fatti tragici,
l’altra musica — 73
talvolta vengono stampati anche su quattro facciate, raggiungendo la dimensione di una pagina di giornale.
Fino ai primi decenni del Novecento le tipografie, grandi o anche piccole, che stampano i fogli volanti sono molte, sparse in tutto il nord Italia. Alcune, come la Ranzini
di Milano, la Salani di Firenze, la Artale Matteo di Torino,
si dettero stili ben riconoscibili per impaginazione, grafica e caratteri tipografici.
Con l’affermazione del sistema produttivo industriale su
quello artigianale, la produzione si accentra in alcune tipografie, come Arti Grafiche Elio Gualandi di Bologna,
Grafiche Veronesi e infine la già citata Campi di Foligno
che negli anni cinquanta, il momento di maggior espansione del fenomeno editoriale, assunse una presenza e un
peso sempre maggiori sul mercato nazionale.
Il processo di alfabetizzazione e di scolarizzazione avviato su tutto il territorio nazionale, la comparsa di una vera
e propria stampa «popolare» basata su settimanali dedicati e fotoromanzi, e poi la televisione, segnarono l’inizio di
una parabola discendente che per lungo tempo risparmiò
i Cantastorie, ma ridusse rapidamente la produzione di
Fogli Volanti. Ormai i fatti giungevano in ogni casa con la
rapidità della realtà e i giornali li riprendevano illustrandoli a fondo in ogni loro aspetto. I Cantastorie, anche quelli ancora in attività, rappresentano un sedimento culturale, una rappresentanza attiva di un passato prossimo, eppure lontano, un cumulo di suggestioni che possono dare
alimento a ciò che di più prezioso ha un popolo: la memoria. ◼
l’altra musica
commoventi o strazianti (il reduce che torna dalla Russia
e trova la moglie risposata con un altro, la bambina gettata
nel pozzo, lo smemorato, la bambina salvata dal cane, ecc.),
spesso composti all’indomani degli accadimenti, venendo
così a svolgere la funzione di veri e propri giornali cantati.
Le ballate erano eseguite con tale partecipazione da coinvolgere il pubblico fino alle lacrime.
I «Fatti» erano così strutturati: la metà superiore era occupata dai riquadri disegnati che illustravano gli episodi salienti della storia, la metà inferiore conteneva la «canzone» che narrava la tragedia. E così sono giunti sino a noi
gli echi de «La vita e morte del brigante Chiavone» o del
bandito sardo Stocchino, «Il grande miracolo di S. Antonio da Padova» o la tragica fine della squadra del Torino,
«L’effetto degli aeroplani e dei dirigibili» e l’attentato a Togliatti e così via fino a tempi a noi molto prossimi, come
quelli della strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Lo scopo dei Cantastorie era vendere per poter campare; un treppo senza vendita era un treppo fallito. Per questo accanto ai fogli volanti vendevano di tutto: la statuetta
della madonna di Lourdes con la bottiglietta d’acqua benedetta, la medaglietta del Santo che aveva fatto il miracolo, santini e immaginette sacre di ogni tipo.
D’altra parte l’origine dei Fogli Volanti precede di molto la vicenda dei Cantastorie di cui stiamo raccontando. I
primi fogli e libretti con storie, disegni, calendari, preghiere incominciarono a circolare fin dalla fine del XV secolo e successivamente si arricchirono di informazioni su
guerre, battaglie, omicidi e testi di canzoni e ballate che
così si diffusero da una parte all’altra dell’Europa.
Un gran numero di fogli e scritti volanti comparvero
con la Riforma nell’Europa centro-settentrionale, arrivando sin nelle nostre valli del Piemonte e della Lombardia, orientando l’opinione pubblica verso determinate idee religiose e politiche. Una tiratura particolarmente elevata ebbero, ad esempio, alcuni scritti polemici di
Martin Lutero che, secondo le indicazioni dello stesso
Lutero, furono diffusi (comprese le ristampe) in quattromila copie.
Sarebbe quindi possibile ricostruire e documentare
la storia d’Italia, e anche d’Europa, attraverso l’analisi di fogli volanti e le vicende da essi narrate. Naturalmente più ci avviciniamo ai tempi nostri e maggiore
è la massa dei documenti a disposizione. Ma anche
periodi a noi più lontani possono essere ampiamente documentati.
Trattandosi di materiale a stampa, i Fogli Volanti nella loro trasformazione formale seguono la storia di questo mezzo di comunicazione, passando da
stampe incerte, con testi brevi e disegni xilografati, alla stampa con la famosa «pedalina», la macchina della propaganda clandestina dell’antifascismo,
dalle vignette che ricalcavano lo stile de «La Domenica del Corriere» fino al più recente rotocalco
stampato su carta bianca più robusta, entrando così nel sistema produttivo commerciale e della comunicazione di massa.
A questo punto «imprenditori» sono non solo i
Cantastorie capaci di scrivere le proprie canzoni e
ballate, ma anche gli stessi editori e tipografi che
commissionano «storie» a vari autori e distribuiscono i loro fogli da vendere alla rete dei Cantastorie, ma anche alle edicole e ad altri soggetti capaci di far giungere ovunque quei fogli che
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Un 2011 di musica
e teatro al
Fondamenta Nuove
I
di Ilaria Pellanda
l programma musicale del Teatro Fondamenta Nuo-
l’altra musica
ve per il 2011 si apre con due concerti in esclusiva assoluta, che vedranno protagonisti due tra i più talentuosi e influenti pianisti della scena jazz contemporanea.
Si parte giovedì 13 gennaio con l’americano Anthony
momento dello spettacolo in duo con il sassofonista Jurg
Wickihalder.
Giovedì 3 febbraio a salire sul palco saranno i Digital
Primitives, originale trio che combina blues, funky, free
jazz, ritmi africani, pop e tutto quello che gli passa fra le
mani. Formato dal sassofonista Assif Tsahar con il batterista Chad Taylor e con un personaggio indomabile come
Cooper-Moore, che si esibisce con incredibili strumenti autocostruiti, il trio evoca suoni provenienti quasi da
una giungla virtuale, con echi di slide guitar del delta, ruvidi
blues urbani, spoken-jazz di rivendicazione sociale, infuocati assoli di free che trasportano l’ascoltatore in una sorta di viaggio sciamanico tra i segreti della musica popolare americana.
Coleman, già protagonista nel 2008 al Teatro Goldoni di
Ma il Fondamenta Nuove non nutre il suo pubblico di
un indimenticabile concerto per il Giorno della Memosola musica. Anche in questo nuovo anno, infatti, il Tearia. Musicista tra i più intelligenti e originali della scena
tro veneziano prosegue l’indagine delle traiettorie più oridowntown newyorchese, pianista estroso e raffinato studioginali e sperimentali della scena italiana, utilizzando moso vicino all’avanguardia di John Zorn, nonché artista cedalità flessibili che prevedono, oltre agli spettacoli, anlebre per la capacità di reinterpretare muche residenze artistiche, laboratori, inconsiche della tradizione ebraica miscelandole
tri, in stretta collaborazione con il progetVenezia
con ritmi e sonorità di tutto il mondo, Coleto «Esperienze» di Giovani a Teatro (cfr.
Teatro Fondamenta Nuove
man è stato invitato come artista in residenpp.75-81).
za dal Centro Veneziano di Studi Ebraici
Il 18 gennaio giunge a Venezia la compamusica
Internazionali in collaborazione con Venegnia Città di Ebla, guidata da Claudio An13 gennaio, ore 21.00
tian Heritage per studiare il repertorio mugelini, che sarà in scena con una conferenAnthony Coleman
sicale ebraico veneziano. Proprio per ceza/spettacolo sul progetto «Pharmakos»,
16 gennaio, ore 18.00
lebrare questo speciale soggiorno e la primentre il 20 presenterà La metamorfosi, creIréne Schweizer
ma tappa del suo lavoro sul campo, Coleazione liberamente ispirata al racconto di
Jurg Wickihalder
3 febbraio, ore 21.00
man presenta al pubblico una selezione delFranz Kafka.
Digital Primitives
le sue migliori composizioni ebraiche, spaIn febbraio l’appuntamento è con un alziando tra il mondo ashkenazita dell’Eurolestimento site-specific al Museo Fortuny da
teatro
pa centrale e dell’est, e quello sefardita del
parte della compagnia Anagoor: si trat18 gennaio
mediterraneo.
ta di Ballo Venezia, nuovo episodio di un
compagnia Città di Ebla,
Domenica 16 sarà la volta della pianista
progetto che porterà poi al debutto nei
conferenza/spettacolo
svizzera Iréne Schweizer, nome di culto del
prossimi mesi e che continuerà l’indagisul progetto «Pharmakos»
jazz europeo da oltre quarant’anni, artista
ne che la compagnia di Castelfranco sta
20 gennaio
Compagnia Città di Ebla,
che ha saputo sintetizzare la ricerca più spesvolgendo sul rapporto tra arte e contemLa metamorfosi
rimentale dell’improvvisazione con le radiporaneità. Prima dell’evento la compaci africane, la tradizione classica con quelgnia terrà anche un laboratorio dedicaVenezia
la afroamericana. Al Fondamenta Nuove si
to ancora una volta ai Giovani a Teatro. ◼
Palazzo Fortuny
esibirà in una prima parte in solo, formufebbraio
la che l’ha resa famosa e nella quale mostra
A sinistra: Anthony Coleman
Anagoor, Ballo Venezia
tutte le sue anime creative, e in un secondo
A destra: Città di Ebla, La metamorfosi
(allestimento site-specific)
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