La Polonia tra Germania e URSS

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PERCORSI
DI STORIA EUROPEA
IPERTESTO
La Polonia
tra Germania e URSS
La rinascita dello Stato polacco
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
Riferimento
storiografico
1
IPERTESTO C
pag. 8
1
La Polonia tra Germania e URSS
Come entità statale indipendente, la Polonia cessò di esistere alla fine del Settecento, allorché Russia, Prussia e Austria si spartirono a più riprese il suo territorio, fino alla cancellazione di qualsiasi autonomia e sovranità. Al Congresso di Vienna, la spartizione venne confermata, anche se alcuni aggiustamenti di confine e l’assegnazione di Varsavia alla
Russia trasformarono l’impero zarista nella potenza egemone che ne controllava la maggior parte del territorio.
La situazione rimase immutata per tutto l’Ottocento, fino alla prima guerra mondiale,
sebbene i polacchi avessero dato vita – tra il 1794 e il 1905 – a ben sei insurrezioni e a
una rivoluzione. Nel 1914, per la prima volta dopo un secolo, un grande conflitto europeo vedeva schierate su fronti opposti le diverse potenze che dominavano il territorio polacco. Di conseguenza, in un primo tempo, il movimento nazionale si divise in due schieramenti. Da una parte, Roman Dmowski (1864-1939) e altri intellettuali conservatori
misero l’accento sulla fratellanza slava, e quindi proposero ai polacchi di combattere lealmente dalla parte dei russi, contro austriaci e tedeschi: in cambio di questo gesto di fedeltà – si proclamava – dopo la vittoria, l’impero dello zar non avrebbe potuto negare l’indipendenza della Polonia. Maggiore seguito, tuttavia, ebbe l’altra corrente, che era guidata dal
socialista Józef Pilsudski (1867-1935) e individuava nella Russia l’avversario storico della nazione polacca: dunque, occorreva appoggiarsi alla Germania e all’impero austro-ungarico e combattere al loro fianco.
Pilsudski odiava i Romanov e tutto ciò che era russo. Nel 1887, insieme al fratello di Lenin, suo fratello Bonislaw aveva organizzato un attentato contro lo zar Alessandro III; per il solo fatto di essere parente di uno dei terroristi, Józef fu deportato in Siberia. Nei cinque anni di residenza coatta, il giovane Pilsudski maturò idee socialiste e nazionali a un tempo: secondo la sua concezione,
la rinascita della Polonia avrebbe dovuto essere accompagnata da radicali riforme sociali.
Nell’agosto 1914, ormai divenuto celebre come
leader carismatico, capace di coniugare socialismo e sentimento nazionale, Pilsudski ottenne dalle autorità austriache l’autorizzazione
a costituire una Legione polacca di circa 10 000
uomini; insieme a tali truppe, da allora fino al
1917, egli combatté sul fronte orientale col grado di generale.
La situazione rimase fluida e confusa fino al novembre 1918, allorché i tedeschi, che fin dal
Il generale polacco Józef Klemens Pilsudski.
1915 avevano occupato gran parte del Paese, fu-
IPERTESTO
➔Il problema
di Danzica
rono costretti a ritirarsi in tutta fretta, a seguito della capitolazione. L’11 novembre 1918
– data della resa incondizionata del Reich – è tuttora celebrato come festa nazionale, cioè
come momento di inizio della nuova Polonia indipendente, guidata da Pilsudski. I confini del nuovo Stato, però, erano tutti da inventare.
In uno dei suoi 14 punti, il presidente americano Wilson aveva promesso la nascita di
un nuovo Stato polacco unito e indipendente. Pertanto, nel 1919, a Parigi, i rappresentanti
delle potenze vincitrici assegnarono alla Polonia alcuni territori che tolsero alla Germania e all’ormai dissolto impero austro-ungarico. A ovest, il problema più serio era rappresentato dalla città di Danzica, che non poteva essere assegnata alla Polonia perché si
trattava di una città a larga maggioranza tedesca (i polacchi erano meno del 5% dell’intera popolazione, che nel complesso ammontava a 400 000 persone). Nel medesimo tempo, tuttavia, si trattava di un ottimo porto sul Baltico e, di fatto, l’unico punto in cui il
nuovo Stato avrebbe avuto accesso al mare. Il compromesso che fu trovato dichiarò Danzica città libera: un piccolo Stato autonomo, che sarebbe stato controllato e garantito
dalla Società delle nazioni; pur non facendo parte dello Stato polacco, avrebbe comunque conservato uno stretto legame con esso, in virtù di un’unione doganale. Un corridoio
di territorio assegnato alla Polonia, invece, separò il territorio tedesco della Prussia orientale dal resto della Germania.
I confini orientali
UNITÀ VI
➔La linea Curzon
ECONOMIA E POLITICA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
2
L’artiglieria polacca
entra a Kiev, fotografia
del maggio del 1920.
Bene o male, i confini occidentali furono dunque definiti con precisione. A est, invece,
essi rimanevano quanto mai vaghi, mentre la Russia era in preda al caos e alla guerra civile. Il diplomatico inglese lord George N. Curzon propose un’ipotesi di frontiera (nota,
appunto, con il nome di Linea Curzon), ma essa non fu in alcun modo ritenuta soddisfacente dai polacchi, che avrebbero voluto riappropriarsi di gran parte dell’Ucraina, della Bielorussia e della Lituania, cioè di quei territori su cui dominava il regno di Polonia
nel lontano XVIII secolo.
Nell’aprile del 1920, Pilsudski ritenne di poter approfittare della debolezza russa e passò all’attacco, sostenuto da forze ucraine che sognavano l’indipendenza da Mosca. L’Ucraina, in effetti, dal momento del ritiro delle truppe tedesche era in preda al caos: tra il
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IPERTESTO
IPERTESTO C
➔Trattato di Riga
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La Polonia tra Germania e URSS
1918 e il 1921, si affrontarono in quella regione ben 11 eserciti. Nel 1920, il Paese era
diviso in varie entità distinte, controllate dai russi bianchi, dai bolscevichi e da organizzazioni autonomiste. Tra queste ultime, Pilsudski scelse di appoggiarsi a quella guidata
dal capo cosacco Semyon Petlura, socialista, ma accesamente antirusso e antibolscevico,
proprio come il generale polacco. Il patto sembrava molto vantaggioso per entrambi: in
cambio dell’aiuto polacco contro i comunisti russi, che ormai avevano sconfitto i bianchi e volevano recuperare la maggior parte delle terre che componevano l’impero zarista,
Petlura avrebbe permesso alla Polonia di annettere, in Ucraina occidentale, la regione della Galizia (ricca di petrolio) e la città di Leopoli.
In un primo tempo, l’attacco di Pilsudski fu travolgente e giunse fino a Kiev (maggio 1920).
Ma la controffensiva bolscevica, guidata dal generale Budënny, a capo di un’armata a
cavallo (Konarmija) che sarebbe diventata leggendaria, e da Tuchacevskij, che più tardi
avrebbe schiacciato la rivolta dei marinai di Kronstadt e la guerriglia contadina di Tambov, risospinse indietro i polacchi. Il 10 giugno, Budënny era a Kiev (che, in tal modo,
cambiava padrone per la sedicesima volta in tre anni).
Pilsudski riuscì a fermare i russi solo davanti a Varsavia, nell’agosto 1920; inoltre, dopo
una battaglia epica che, nella memoria collettiva polacca, è nota come il miracolo della
Vistola, riuscì a ricacciarli indietro e a ottenere la pace da posizioni di forza. Col trattato di Riga del 18 marzo 1921, la Russia comunista fu obbligata a cedere una fascia profonda circa 200 chilometri, che permise alla Polonia di ampliarsi avanzando profondamente in Ucraina e in Bielorussia.
Insomma, nel 1921, la Polonia non riuscì a espandersi quanto avrebbe voluto, ma verso
est tolse alla Russia comunista diversi territori, tra cui Bialystok, Brest-Litovsk e Leopoli; alla neonata repubblica di Lituania, invece, i polacchi strapparono la capitale, Vilnius.
Dopo tre anni di guerra durissima, la nuova repubblica era diventato lo Stato più grande
tra le nuove entità sorte, dopo la prima guerra mondiale, dal collasso del Reich tedesco,
dell’impero zarista e di quello austro-ungarico. Questo vasto Paese si estendeva su 38 000
chilometri quadrati, che erano ex russi per il 67%, ex austriaci per il 21%, ex prussiani per
il 12%; incuneata tra Germania e URSS, la Polonia fu guardata con estremo interesse soprattutto dai francesi, che la consideravano l’elemento centrale del sistema di Versailles (in
direzione antitedesca) e il filo spinato capace di contenere il comunismo, in direzione est.
I problemi economici e sociali del nuovo Stato
La Polonia visse negli anni Venti e Trenta in una situazione paradossale. Da un lato, molti dei suoi governanti si lasciarono trascinare da sogni di grandezza e sperarono che la Francia avrebbe concesso al nuovo Stato il Madagascar o un’altra colonia, al fine di rafforzarne il prestigio internazionale. Nello stesso tempo, il Paese presentava numerosi problemi
di ordine economico e politico, che ne minavano alla radice ogni prospettiva di grandezza.
Innanzi tutto, la Polonia era pericolosamente isolata: anzi, peggio ancora, era in contenzioso
con tutti i suoi vicini (Germania, Russia, Lituania, Cecoslovacchia).
A livello economico, dopo anni di guerra e di elevatissime spese militari, nel 1923 l’inflazione raggiunse livelli drammatici, al punto da obbligare il governo a introdurre una
nuova moneta – lo zloty – in sostituzione del marco polacco, ormai privo di ogni valore.
Poiché il Paese era frutto dell’unione di tre entità che erano state separate per più di un
secolo, in pratica l’economia nazionale era da costruire da zero, a cominciare dal sistema ferroviario: poiché le rotaie russe erano più larghe, le linee create dall’impero zarista erano incompatibili con quelle posate da tedeschi e austriaci. L’industria, concentrata a Lodz e in poche altre aree, possedeva sulla carta basi di sviluppo discrete, soprattutto nel settore tessile; in realtà, nel 1921, la produzione era al 35% di quello che era il livello del 1913; nel 1924, era salita appena al 56% e un terzo degli operai delle industrie
era senza lavoro.
La situazione era ancora peggiore nelle campagne, dove i contadini vivevano in condizioni
miserevoli e la meccanizzazione agricola rimase a lungo pressoché sconosciuta: nel 1939,
esisteva appena un trattore ogni 8400 ettari di terreno.
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➔Inflazione
elevatissima
IPERTESTO
Appello dei vescovi polacchi
DOCUMENTI
Nel 1920, mentre infuriava la guerra russo-polacca e l’Armata rossa minacciava Varsavia, i vescovi polacchi lanciarono al resto del mondo cattolico un appello in cui il conflitto era interpretato in chiave escatologica. Il comunismo ateo, cioè, venne presentato dai vescovi polacchi come una realtà satanica: come l’Anticristo, come una delle forme che può assumere “colui che si oppone contro tutto ciò
che è divino” (secondo la formula di san Paolo), il nemico per eccellenza di Cristo e della Chiesa. I vescovi polacchi, però, si spinsero fino a dare della rivoluzione russa una lettura antisemita, sposando appieno l’equazione tra bolscevichi ed ebrei.
Il vero obiettivo del bolscevismo è la conquista del mondo. La razza che tiene in mano
la direzione del bolscevismo ha già in passato soggiogato il mondo intero per mezzo dell’oro e delle banche, e ora, spinta dall’eterna cupidigia imperialista che scorre nelle sue vene,
mira già a sottomettere definitivamente le nazioni al suo giogo... L’odio del bolscevismo è
diretto contro Cristo e la sua Chiesa, soprattutto perché quelli che sono i capi del bolscevismo portano nel sangue l’odio tradizionale per il cristianesimo. Il bolscevismo è infatti la
personificazione e l’incarnazione dello spirito dell’anticristo in terra.
UNITÀ VI
N. COHN, Licenza per un genocidio. I “Protocolli degli Anziani di Sion”: storia di un falso,
Einaudi, Torino 1969, p. 126, trad. it. L. FELICI
Che cosa accomuna l’appello dei vescovi ai Protocolli dei savi anziani di Sion e al Mein Kampf
di Hitler?
Di quali strumenti, in passato, si servivano gli ebrei, nella loro lotta per la conquista del potere?
ECONOMIA E POLITICA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
4
➔Restrizione
delle libertà
➔Un Paese
multietnico
Poiché il sistema parlamentare sembrava incapace di affrontare i gravi problemi del Paese (dal novembre 1918 al maggio 1926 si susseguirono ben 14 governi), nella primavera del 1926 Pilsudski decise di assumere poteri semidittatoriali; il 12 maggio si impose a guida del paese e dichiarò che avrebbe proceduto con mezzi d’emergenza al suo
risanamento (Sanacja). Formalmente, le istituzioni non furono modificate e continuarono a funzionare, ma di fatto erano controllate da Pilsudski e dai suoi colonnelli, che continuarono a governare in questo modo anche dopo la morte del padre fondatore della repubblica, nel 1935. Col passar del tempo, tuttavia, la censura sui mezzi di informazione
si fece più rigida, fu abolita di fatto la libertà di insegnamento e numerosi docenti universitari (50, solo nel 1932) furono allontanati.
La crisi del 1929 non fece che aggravare la situazione economica. Tra il 1929 e il 1933,
la produzione industriale ebbe un crollo del 41%, mentre il reddito nazionale calò del
25% e la disoccupazione arrivò a coinvolgere il 43% della popolazione attiva. In queste circostanze, i colonnelli presero via via le distanze dalla via segnata da Pilsudski su
un punto fondamentale: l’atteggiamento da tenere nei confronti delle minoranze.
Nel 1931, infatti, la Polonia era un Paese multietnico, in cui i polacchi erano il 64%
della popolazione globale: il resto era composto da ucraini (16%), ebrei (10%), bielorussi (6%), tedeschi (2%) e lituani. Memore della tradizionale politica di tolleranza che aveva caratterizzato l’antico regno di Polonia, Pilsudski aveva cercato di coinvolgere le minoranze nella vita dello Stato. I suoi seguaci, invece, soprattutto in tempi di crisi economica si lasciarono tentare sempre più da un nazionalismo discriminante, che assegnava alla cultura polacca un ruolo di primo piano e finiva per penalizzare gli altri gruppi etnici. A ucraini e bielorussi, ad esempio, fu vietato di servirsi
delle loro lingue nelle scuole, mentre le riforme agrarie, nei territori più orientali, si
arenarono in tutti quei casi in cui la nuova distribuzione delle terre avrebbe potuto danneggiare i proprietari polacchi e avvantaggiare in modo eccessivo ucraini o bielorussi. Tra gli ucraini trovarono ampia diffusione sentimenti separatisti, che si espressero
in atti di terrorismo e di sabotaggio: nel 1934, un gruppo di estremisti arrivò a uccidere il ministro dell’interno polacco.
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Riferimento
storiografico
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IPERTESTO C
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Un contadino polacco
insieme a due ebrei,
fotografia degli anni
Venti del Novecento.
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La Polonia tra Germania e URSS
Il gruppo etnico maggiormente odiato dai nazionalisti polacchi divenne ben presto quello degli ebrei, che in molte città erano presenti in quantità veramente notevoli: a Varsavia erano il 30%, a Bialystok il 43%. Durante il conflitto del 1920-1921, la propaganda di guerra polacca aveva fatto ampio uso di temi e motivi antisemiti. Numerose cartoline postali (mezzi di comunicazione poveri e decisamente poco raffinati, ma capaci comunque di penetrare in tutte le case) raffigurarono gli ufficiali sovietici con le fattezze fisiche tipiche che da secoli la propaganda antisemita attribuiva agli ebrei: quei soldati, dunque, appaiono come esseri mostruosi, deformi e demoniaci, in quanto presentano orecchie a punta (da topo, o meglio, da vampiro assetato di sangue) e nasi enormi che li trasformano in figure grottesche, al limite del disumano.
In pratica, si trasmise ai polacchi l’idea secondo cui i bolscevichi russi non erano altro che delle marionette pilotate dagli ebrei, veri registi e manovratori della rivoluzione d’ottobre, concepita come il primo passo compiuto sulla strada del potere mondiale; e senz’altro si può dire che tale interpretazione antisemita, non meno del nazionalismo polacco e della tradizionale ostilità nei confronti del potente vicino russo,
fu decisiva nello spingere i lavoratori polacchi a difendere la loro patria dal rischio di
una dominazione sovietica.
Condiviso persino dalle alte gerarchie ecclesiastiche, il diffuso e feroce antisemitismo
spiega come mai, durante la guerra, l’esercito polacco si sia lasciato andare a numerosi pogrom, del tutto simili a quelli compiuti in Ucraina dai bianchi, durante la guerra civile
contro i bolscevichi. A guerra finita, molti nazionalisti si opposero all’applicazione del principio dell’uguaglianza effettiva di tutti i cittadini di fronte alla legge e allo stato, sancito
dalla costituzione del 1921, e riuscirono a imporre che il presidente della repubblica fosse tenuto a recitare una formula di giuramento di matrice cristiana, che nessun ebreo avrebbe potuto sottoscrivere. Inoltre, nel 1923, un provvedimento emanato dal ministero dei
culti e della pubblica istruzione di fatto concesse ai dipartimenti universitari di introdurre
il numero chiuso per gli studenti israeliti.
Pilsudski riuscì a frenare per molto tempo gli orientamenti più estremisti. Negli anni Trenta, al contrario,
col procedere della dittatura, la condizione degli ebrei
polacchi peggiorò in maniera significativa. Nell’autunno del 1937, ad esempio, il ministero dei culti
e della pubblica istruzione ritenne legittimo il provvedimento noto come ghetto dei banchi: in pratica,
a partire da quel momento, gli studenti ebrei sedettero nella parte sinistra delle aule, mentre ai cristiani era riservata la parte destra dei locali.
Il provvedimento più grave varato dal Parlamento polacco fu quello che nel 1938 privò della cittadinanza gli ebrei che vivevano all’estero; in pratica, 17 000
israeliti con passaporto polacco che lavoravano in Germania divennero improvvisamente apolidi, a partire dal 29 ottobre 1938. Inoltre, dopo che Himmler
ebbe deciso la loro immediata espulsione dal Reich,
la Polonia si rifiutò di accoglierli, sicché essi rimasero per settimane accampati alla frontiera, nella terra di nessuno. Tra questi malcapitati c’erano anche
i genitori di Herschel Grynzpan, un giovane di diciassette anni che viveva a Parigi; in preda alla rabbia, il ragazzo uccise un funzionario dell’ambasciata tedesca nella capitale francese, offrendo a Goebbels l’opportunità di scatenare il pogrom noto
come notte dei cristalli.
IPERTESTO
Antisemitismo istituzionale e discriminazione
UNITÀ VI
IPERTESTO
Alla fine degli anni Trenta, vasti settori della classe dirigente polacca erano ormai imbevuti di una mentalità nazionalista talmente esasperata da elaborare un progetto di pulizia etnica radicale. Il progetto (elaborato nel 1936-1937, ma non attuato) era di spingere un gran numero di ebrei polacchi a emigrare in Madagascar: piano che poi, nel
1940-1941, sarebbe stato temporaneamente recuperato anche dai nazisti. Il progetto era
molto caro al ministro degli Esteri polacco Jozef Beck, in quanto gli pareva capace sia di
risolvere la questione ebraica in Polonia sia di rafforzare il prestigio della Polonia stessa nel
mondo. Alla base del piano c’era la convinzione che il Paese fosse sovrappopolato e che,
in particolare, gli ebrei polacchi (3 114 000, nel 1931) fossero troppi. Partendo da un simile presupposto, Beck vedeva di buon occhio il sionismo, ma a partire dal 1936 l’Inghilterra cominciò a porre freni sempre più rigidi all’immigrazione in Palestina: di qui lo
sforzo di trovare nuove strade per incentivare l’emigrazione ebraica.
A tal fine, nell’aprile del 1936 il ministero degli Esteri emanò una direttiva, nella quale
si invitavano tutti gli ambasciatori polacchi nelle rispettive sedi a sondare presso i vari governi se era possibile ottenere la loro disponibilità per ospitare il più ampio numero possibile di emigranti ebrei. Circa un mese dopo, nel giugno del 1936, il direttore dell’Ufficio emigrazione del ministero degli Esteri proponeva una cifra più precisa, di almeno
80 000 ebrei all’anno, per ospitare i quali, però, era necessaria la collaborazione delle grandi potenze coloniali come l’Inghilterra e la Francia.
Fu proprio la Francia a rispondere positivamente alle sollecitazioni della Polonia, che
nel 1934 aveva stipulato un patto di non aggressione con la Germania e quindi si era
parzialmente allontanata dall’orbita francese. Così, il 16 gennaio 1937, il quotidiano
“Petit Parisien” riportò una dichiarazione del ministro per le Colonie Marius Moutet,
in cui si accennava alla possibilità della Francia di mettere a disposizione il Madagascar per l’emigrazione degli ebrei. La reazione del governo di Varsavia fu molto positiva, ed esso non nascose la speranza di poter trasformare in futuro la grande isola africana in una colonia polacca. La Destra radicale, il partito più antisemita di tutto lo
schieramento politico del Paese, si affrettò ad adottare la formula: «Gli ebrei in Madagascar!» come proprio slogan.
ECONOMIA E POLITICA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
6
Tra due nemici
➔Tra URSS
e Germania
Alla fine degli anni Trenta, i punti di contatto tra la Germania e la Polonia erano numerosi e tutt’altro che secondari: la radicale ostilità nei confronti del comunismo, la contrapposizione frontale alla Russia, un antisemitismo gestito dallo Stato e disposto a trovare una soluzione radicale (che anche in Germania, a quell’epoca, consisteva ancora nell’emigrazione di massa, e non nello sterminio). Eppure, la Repubblica polacca, gelosa dell’indipendenza appena ritrovata, dopo che Hitler aveva annesso l’Austria e la Cecoslovacchia
percepì che le offerte tedesche di collaborare all’aggressione contro l’Unione Sovietica avrebbero portato al soffocamento di qualsiasi ambizione di politica di potenza.
Forse, il dramma della Polonia nel 1939 consisté nella eccessiva considerazione della propria forza e nella sottovalutazione di quella dell’avversario. Orgogliosi del vasto territorio conquistato a caro prezzo negli anni 1918-1921, e ancor più fieri delle gloriose tradizioni militari del proprio Paese, i colonnelli polacchi si illusero di poter contrastare da soli l’esercito nazista, di non aver bisogno del sostegno dei russi e di essere in grado di resistere fino all’arrivo di consistenti rinforzi dalla Francia e dall’Inghilterra, o fino
a quando un massiccio attacco franco-inglese sul fronte occidentale non avesse obbligato i tedeschi a ritirare gran parte delle loro truppe per spostarle a ovest.
In realtà, nessuna di queste circostanze si verificò. Nel settembre 1939, l’offensiva tedesca fu di una potenza superiore rispetto a qualsiasi previsione; i sovietici entrarono ugualmente in territorio polacco, in accordo coi nazisti e con l’intenzione di recuperare i territori persi con il trattato del 1921. Francia e Inghilterra dichiararono guerra al Terzo Reich, ma non fecero nulla di concreto, in grado di impedire il collasso dell’esercito polacco. Dopo un mese di guerra, della Polonia non restava più assolutamente nulla, in quanto Germania e URSS si spartirono il Paese, prendendo il fiume Bug come frontiera.
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
Polacchi, ci rivolgiamo a voi – operai, contadini, intellettuali – in un momento di grande
angoscia. Alziamo la voce nelle giornate della nostra schiavitù: è la voce del socialismo polacco. Nei giorni dell’indipendenza, quella stessa voce condannò più volte le politiche dei
despoti polacchi...
Ci rivolgiamo a voi nel giorno dell’indipendenza e del socialismo. Il Primo Maggio si avvicina. Su entrambe le rive del fiume Bug verrà organizzata una festa ufficiale. Siate consapevoli che non si tratta della giornata del tributo a Stalin e a Hitler, ma di una giornata per
prepararsi in modo adeguato a una lotta coraggiosa...
La Polonia è stata sconfitta... La storia ha insegnato alla Nazione la sua più terribile lezione: per noi, ora, la strada verso la libertà passa per le stanze di tortura della Gestapo e
del GPU, per le prigioni e i campi di concentramento, per le deportazioni e le esecuzioni di
Secondo gli autori
massa...
del volantino, che
A Ovest, Inghilterra e Francia stanno combattendo contro la Germania. Il nuovo eserruolo possono
cito polacco sta lottando fianco a fianco con gli Alleati, ma dobbiamo capire che il destino
svolgere i polacchi
della Polonia non sarà deciso sulle linee Maginot o Sigfrido. L’ora della decisione per la Ponella lotta contro la
lonia arriverà quando i polacchi stessi si ribelleranno contro l’invasore. Dobbiamo aspettare
Germania e l’URSS?
con perseveranza che arrivi quell’ora. La nostra perspicacia e saggezza politica devono esQuali
errori della
sere affinate... Occorre concentrare le armi e preparare i nostri combattenti.
precedente
La nuova Polonia deve rimediare agli errori del passato. Il territorio va diviso tra i contarepubblica
dini senza il risarcimento dei proprietari. Il controllo sociale deve allargarsi alle miniere, alle
occorreva riparare?
banche e alle fabbriche. Andranno decretate le libertà di parola, di culto e di pensiero. Le
Quali gruppi
scuole e le università verranno aperte ai figli della gente comune. Le grandi sofferenze della
svantaggiati
popolazione ebraica, delle quali siamo testimoni ogni giorno, devono insegnarci come vie oppressi devono
vere in armonia con coloro che subiscono la persecuzione del nemico comune... Dobbiamo
essere oggetto
imparare a rispettare il desiderio di libertà delle popolazioni ucraine e rutene.
di una politica
N. DAVIES, La rivolta, Rizzoli, Milano 2004, p. 210, trad. it. C. BALDUCCI, C. FIORINA,
completamente
E. PERU, A. ZUCCHETTI
diversa?
Un piccolo villaggio
ebraico in Polonia.
La situazione
degli ebrei polacchi,
durante l’occupazione
nazista, era durissima:
perseguitati dalle
truppe del Reich,
dovevano subire
anche il disprezzo
di gran parte della
popolazione locale.
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO
Il testo che riportiamo venne scritto su un volantino e distribuito clandestinamente sul treno Varsavia-Cracovia il 1° maggio 1940. L’impianto politico che sta alla base del proclama è la teoria dei due nemici, secondo cui Germania e Russia erano entrambe responsabili dello smembramento della Polonia,
per quanto le potenze occidentali avessero invece dichiarato guerra solo al Terzo Reich, e non anche all’URSS. Degna di nota è soprattutto l’insistenza sui diritti delle minoranze (primi fra tutti gli ebrei), verso
le quali altri soggetti politici polacchi – decisamente più nazionalisti – non nutrivano alcuna simpatia.
IPERTESTO C
DOCUMENTI
7
La Polonia tra Germania e URSS
Proclama del Partito socialista polacco
IPERTESTO
UNITÀ VI
ECONOMIA E POLITICA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
8
Varsavia bombardata
dall’aviazione tedesca
durante la seconda
guerra mondiale.
Sul versante tedesco, la Polonia avrebbe dovuto sopportare per cinque anni un’occupazione
durissima e spietata, che da un lato costò la vita a quasi tutti i 3 milioni di ebrei residenti sul
territorio polacco, ma dall’altro avrebbe provocato un numero elevatissimo di vittime anche
fra i polacchi cattolici. Dei 10 000 sacerdoti esistenti in Polonia nel 1939, almeno 2000 furono uccisi dai tedeschi, i quali eliminarono in modo violento anche il 45% dei medici, il
57% degli avvocati, la metà degli ingegneri, il 30% dei tecnici, il 15% degli insegnanti e il
40% dei docenti universitari. Hitler si propose deliberatamente di cancellare la classe dirigente e di decapitare il mondo intellettuale della Polonia. Negli anni 1939-1941, i sovietici
agirono in modo simile nei territori che furono annessi all’Ucraina e alla Bielorussia, deportando circa 380 000 persone. Nel complesso, tra il 1939 e il 1945 perirono circa 3 milioni
di polacchi non ebrei, mentre Varsavia fu ridotta a un cumulo di macerie.
Riferimenti storiografici
1
Nazionalismi in competizione
Schiacciati dai potenti imperi confinanti, i polacchi mantennero vivo per più di un secolo il loro sogno di far risorgere una Polonia libera e indipendente. Eppure, nel corso dell’Ottocento, maturarono anche altri nazionalismi (lituano, ucraino, bielorusso), da parte di popoli che, in passato, avevano subito
proprio l’espansionismo polacco. Dopo la prima guerra mondiale, il risultato fu una forte competizione
di soggetti che temevano la Russia ma che a loro volta non riuscivano a costruire alcuna intesa, perché gelosi delle proprie specificità e propensi, molto spesso, a negare le aspirazioni altrui all’indipendenza o all’autonomia politica o culturale.
Gli incessanti sforzi dei polacchi di sopravvivere in quanto nazione non devono fare
perdere di vista la novità complessiva del periodo. Il fatto cioè, che le tendenze politiche
e culturali – romanticismo, liberalismo, radicalismo democratico, nazionalismo, socialismo,
populismo – del lungo secolo che corre dalla rivoluzione francese alla prima guerra mondiale hanno alimentato l’identità polacca quanto quella delle altre nazionalità che vivevano
un tempo nel Commonwealth polacco-lituano. Col risultato che la lotta per ricostruire la
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO
IPERTESTO C
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La Polonia tra Germania e URSS
grande patria dell’Unione polacco-lituana, possibilmente nei confini ante 1772, fu condotta
col passare degli anni sempre più dai soli polacchi e sempre meno dai non polacchi. Questi ultimi, al contrario, allentarono i legami con i compatrioti polacchi iniziando ad affermare la loro identità separata. L’ultima grande insurrezione del 1863 segna lo spartiacque dopo il quale lituani, bielorussi e ucraini avviano con decisione la scoperta della loro
patria particolare contro l’imperialismo russo e, pure, contro lo spauracchio dell’egemonia polacca.
La storiografia polacca ha dipinto nei dettagli il carattere aggressivo e predatore della
spinta verso oriente (Drang nach Osten) attuato dall’espansionismo tedesco. La storiografia tedesca ha sempre sottolineato al contrario la missione civilizzatrice germanica nelle terre
slave in preda all’arretratezza mentale e materiale. Lo stesso accadde con sorprendente simmetria più a est a partire dal XIX secolo. Ucraini, lituani, bielorussi sottolineavano con puntiglio il carattere rapace e colonizzatore della spinta espansionista polacca, mentre i polacchi ponevano viceversa l’accento sulla loro missione civilizzatrice nelle terre orientali (ucraine,
bielorusse, lituane) scarsamente sviluppate e in notevole ritardo sul resto d’Europa. In ambedue i casi, la realtà era invero più complessa, specie se si considerano la Polonia medievale e l’Ucraina moderna come un Far East sottopopolato e sempre più fertile via via che
si avanzava – magnete che attirava i più svariati elementi occidentali verso un indefinito
Oriente (wschód). […] Visto con gli occhi degli ucraini, polacco era sinonimo di espansione,
non solo economica, a discapito dell’Ucraina. La Polonia aveva colonizzato l’aristocrazia
ucraina e ne erano scaturiti due modelli di civiltà: quella signorile (polonizzata) e quella contadina (ruteno-ucraina). Su questa dicotomia, valida pure per i bielorussi-lituani, si sarebbero
in seguito sovrapposte successive divisioni territoriali dovute allo smembramento dell’Europa dopo la prima guerra mondiale. Al momento si osservava il crescere delle distanze tra
polacchi, lituani, ucraini, bielorussi. Nell’impero russo il risorgimento delle nazionalità coincise con la rivolta delle masse contro la classe dei proprietari terrieri polacchi, o polonizzati,
se di origine lituana e rutena [ucraina, n.d.r.]. […] Da una parte, le relazioni tra le diverse nazioni precedentemente unite nell’Unione della Corona polacca e del granducato di Lituania,
e tra strati alti e strati bassi della società, divenivano difficili. Dall’altra, per effetto della vitalità creativa della cultura polacca si faceva strada all’inizio del XX secolo un rinnovato sentimento polacco, una rafforzata insistenza sul carattere polacco che trascendeva le frontiere
imposte da Austria, Russia e Prussia. Fu proprio questa ri-polonizzazione delle coscienze
a entrare in conflitto con le nazioni non polacche, appunto perché invadeva il processo di
nazionalizzazione altrui, opponendosi alla presa di coscienza ucraina, lituana, bielorussa, tedesca, ebraica. […]
Chi veramente fece la Polonia tra le due guerre, chi occupò l’amministrazione e le istituzioni dello Stato non furono le antiche famiglie polacche, bensì uomini nuovi prevalentemente emersi dalla solidarietà cameratesca degli eserciti e della lotta armata. Li raggiunse
la coorte dei diplomati formati dagli istituti tecnici e dei laureati usciti dalle università della
nuova Polonia. Questa classe dirigente in ascesa, propensa al populismo, era poco interessata ai ghirigori degli intellettuali, attratta invece dai messaggi più a portata di mano di
uomini come Dmowski o Pilsudski. Il secondo incarnava il culto dell’azione, il primo si ammantava di modernità. Al patriottismo ardente di Pilsudski si contrapponeva il nazionalismo dottrinario di Dmowski. Non avrebbero potuto essere l’uno più diverso dall’altro. E
tuttavia ambedue avevano la stessa priorità: la coesione polacca. Ambedue volevano ricostruire lo Stato e la nazione. Ambedue ritenevano che le minoranze andassero avvici- Quale sorprendente
simmetria esiste tra
nate ai valori nazionali indebolitisi durante il periodo delle spartizioni. Dopo decenni di dila percezione che
visioni e di egemonia straniera era normale che si considerasse l’integrazione nazionale
di sé avevano
una missione strategica cui piegare l’azione delle maggiori istituzioni (scuola, università,
tedeschi e polacchi?
esercito). Agli inizi Pilsudski e i suoi partigiani cercarono di aprire ai non polacchi. Si penE qual era il punto
sava peraltro che solo un Commonwealth di più nazioni avesse qualche possibilità di frondi vista di coloro che
teggiare l’immensa Russia. Ma su ogni impostazione federalista nei confronti degli ucraini,
incrociavano il loro
dei bielorussi e dei lituani prevalse quasi subito un orientamento nazionalista, un fatto peespansionismo?
raltro comune agli altri popoli della regione. Col passare degli anni i governi polacchi comSpiega l’espressione
batterono in modo sempre più fermo gli ucraini e i bielorussi che aspiravano a servirsi della
«ri-polonizzazione
propria lingua e a sviluppare la propria cultura. Il potere centrale non si sognava certo di
delle coscienze».
accordar loro l’autonomia, figurarsi la sovranità. Le scuole ucraine dovevano diventare bilingui, quelle bielorusse venivano chiuse. Secondo i dettami della Costituzione i non po- Quale atteggiamento
assunse lo Stato
lacchi erano formalmente cittadini a pieno titolo, de facto venivano considerati cittadini di
polacco nei confronti
serie B, con meno diritti dei polacchi.
delle minoranze
etniche presenti
P. MORAWSKI, Il tempo di tre generazioni, in A. MORAWSKI, P. MORAWSKI, Polonia mon amour.
sul suo territorio?
Dalle Indie d’Europa alle Indie d’America, Ediesse, Roma 2006, pp. 393-402
IPERTESTO
UNITÀ VI
ECONOMIA E POLITICA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI
10
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Polacchi ed ebrei tra le due guerre
Tra le numerose minoranze etniche presenti sul territorio nazionale polacco negli anni Venti e Trenta, gli ebrei occupavano il secondo posto, dopo gli ucraini. Tuttavia, a differenza di questi, gli ebrei erano diffusi su tutto il territorio e, spesso, molto più dinamici e intraprendenti in campo economico. Di qui
le campagne di odio che, periodicamente, investirono gli israeliti e il diffuso desiderio che il paese fosse liberato dalla loro presenza.
L’élite politica, con l’eccezione dei socialisti esclusi dal potere, si pose un solo obiettivo:
la polonizzazione del paese. I polacchi si erano sempre battuti per costruire uno stato-nazione esclusivamente polacco, e l’ipotesi di uno stato aperto alle minoranze non fu nemmeno
presa in considerazione. La Polonia ai polacchi era lo slogan che imperversava. Tutti gli altri erano considerati nemici potenziali, ostacoli interni allo sviluppo dello spirito polacco. I 3
milioni 100 mila ebrei polacchi furono vittime come gli altri della guerra che la Polonia dichiarò
alle proprie minoranze. Non è lecito isolare il clima antisemita dal contesto di nazionalismo
esasperato che mutò radicalmente i rapporti tra i due popoli. Il preambolo della Costituzione
del 1921 iniziava con le parole: «Noi popolo polacco»; che tuttavia non significavano: «Noi
cittadini dello stato polacco». Cittadini, infatti, erano solo i membri di quella comunità etnica;
dunque, solo i veri polacchi. Ispirandosi a questo spirito etnocentrico, il nuovo stato negò
agli ebrei la possibilità di accedere ai diritti collettivi come minoranza e respinse le rivendicazioni autonomistiche ucraine nella Galizia orientale [Ucraina occidentale, n.d.r.]. […]
Qualcosa di peculiare, comunque, distingueva la condizione ebraica da quella delle altre minoranze inghiottite dal nazionalismo emergente. Gli ebrei non erano visti dai dirigenti
polacchi solo come una minoranza da normalizzare, ma come la minaccia per eccellenza
della nazione, il male che metteva in pericolo l’indipendenza, l’ostacolo che impediva lo sviluppo della borghesia, la quinta colonna del bolscevismo sovietico. Minaccia sui generis, peraltro, non giustificata da episodi realmente accaduti o che potessero indicare in modo evidente quali fossero gli obiettivi degli ebrei, quali attività polacche intendessero colpire o
sabotare. In realtà, gli ebrei erano il simbolo stesso di tutte le debolezze e le frustrazioni della
nazione polacca; più la Polonia si sentiva insicura, più la minaccia ebraica si profilava all’orizzonte. Tant’è che l’odio antiebraico esplose in particolare durante la crisi economica del
1929. Il mito cattolico della potenza demoniaca ebraica servì magnificamente ai polacchi per
giustificare i propri limiti, ansie e paure. […]
Come si può spiegare l’esplosione in quegli anni di sentimenti antiebraici? Un primo
motivo era costituito dalla debolezza della borghesia polacca, che a differenza della nobiltà avvertiva un senso d’inferiorità nei confronti di ebrei e tedeschi. Il suo mancato sviluppo era considerato non un limite intrinseco, ma l’effetto di una presenza estranea concorrenziale. Nel programma del 1935 del partito contadino si leggeva per esempio:
«Come classe media [commercianti], [gli ebrei] occupano posizioni molto più importanti
in Polonia che in altri paesi; così i polacchi non possono avere la propria classe media.
Sarebbe molto meglio per lo stato polacco se le funzioni di questa classe media fossero
trasferite ai polacchi». Nacque così il movimento Rozwóy (Sviluppo), che nel 1923 annoverava 100 mila membri, e il cui scopo era la polonizzazione dell’economia e il boicottaggio
del commercio ebraico.
Un altro motivo era l’estrema visibilità degli ebrei e la loro dislocazione abbastanza
uniforme in tutto il paese. Se ucraini e bielorussi erano concentrati nei lontani villaggi della
Galizia e nei kresy (le terre di confine orientali), gli ebrei si trovavano in gran numero nei più
importanti centri della vita culturale e politica del paese. Un polacco non poteva sopportare
che Varsavia, la capitale del paese, fosse abitata da 352 659 ebrei, quasi il 30% della popolazione complessiva; che a Lódz, importante centro industriale, gli ebrei fossero 202 497
(il 33,5%); che a Leopoli fossero 99 595 (il 31,9%) e a Cracovia 56 515 (il 25,8%); non poteva sopportare che in Aleje Jerozolimskie (via Gerusalemme) a Varsavia si parlasse una lingua diversa e incomprensibile e si praticasse un’altra religione, che proprio nel centro della
città pulsasse un mondo a parte. Spesso i polacchi lo chiamavano il continente nero, per
l’avversione e la ripugnanza che procurava loro la vista dei quartieri ebraici. Ebbene, questi ebrei non avevano un riferimento territoriale preciso, non rivendicavano l’autogoverno in
una regione particolare, ma aspiravano a un’autonomia politica e culturale pur vivendo nel
cuore della nazione. Per i polacchi era come se reclamassero uno stato dentro lo stato! Qualcosa di assolutamente intollerabile per un paese che aveva ritrovato l’indipendenza ma si
sentiva debole, insicuro, minacciato dai tedeschi a ovest e dai russi a est. […]
Come difendersi allora da questi ebrei percepiti come una minaccia? Non solo opponendosi a ogni loro richiesta collettiva, ma ostacolando anche qualsiasi percorso di assiF.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
IPERTESTO
IPERTESTO C
Ebrei polacchi
fotografati su un treno
diretto a Danzica,
immagine degli anni
Venti del Novecento.
milazione: infatti gli ebrei che uscivano dal proprio mondo e cercavano d’integrarsi erano
considerati corruttori dell’identità polacca. Così scriveva Roman Dmowski, leader e ideologo dell’Endecja (Narodowa Democracja), il potente partito nazonaldemocratico: «L’assimilazione, in presenza di un così ingente numero di ebrei, ci distruggerà perché essi, a
causa del carattere della loro razza, coltivano valori diversi, estranei alla nostra impostazione morale e pericolosi per la nostra vita». Per la destra non c’erano dunque possibilità
di convivenza: gli ebrei erano pericolosi come minoranza organizzata e ancor più se cercavano l’assimilazione. La soluzione logica del problema diventava una sola: l’migrazione.
A partire dagli anni Trenta questa ipotesi entrò ufficialmente nel programma del partito nazionale democratico. Come arrivarci? Attraverso la polonizzazione dell’economia, il boicottaggio del commercio ebraico, il numero chiuso per gli studenti ebrei nelle università,
la preclusione delle cariche governative.
G. ESCHENAZ, G. NISSIM, Ebrei invisibili.
I sopravvissuti dell’Europa orientale dal comunismo a oggi, Mondadori, Milano 2004, pp. 107-111
Spiega l’espressione «quinta colonna del bolscevismo sovietico».
Spiega l’espressione «polonizzazione dell’economia».
Quali elementi mettono in luce la tendenza razzista, all’interno dell’orientamento antisemita
polacco?
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
La Polonia tra Germania e URSS
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