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Euclide e l'ameba
Dialogo improbabile intorno ai fondamenti
della geometria e della spazialità nella cultura occidentale
Pietro Chistolini
II Simposio Internazionale 2010 “Fondamenti della Nuova Civiltà”
del Centro Mondiale di Studi Umanisti
29 Ottobre 2010
Per il cammino interno puoi andare oscurato o luminoso.
Fai attenzione alle due vie che si aprono davanti a te.
Silo
Si dice che nella società occidentale, dopo la Bibbia, il libro più diffuso e conosciuto sia
quello degli Elementi di Euclide. Chi infatti non è passato per cose del tipo: punto,
rette, triangoli, quadrati, teorema di Pitagora, ecc.?
La geometria è l'ossatura, è un modello sul quale si sono basate le scienze fisicomatematiche, è un modello assiomatico-deduttivo. Si parte da concetti primitivi,
intuitivi, da assiomi e teoremi; tutto fatto con rigore, precisione, razionalità, è un
modello della razionalità; e la storia della geometria è un po' anche la storia della
società occidentale, un punto di riferimento fisso per oltre 24 secoli. La geometria è,
inoltre, un qualcosa di unico, un carattere peculiare, distintivo della tradizione
occidentale, che successivamente è stato trasmesso al resto del mondo.
In altri termini la geometria appartiene al paesaggio storico e sociale in cui ci siamo
formati; appartiene al paesaggio di formazione della scienza; appartiene al paesaggio
di formazione dell'intera società occidentale.
In un’ipotetica nuova civiltà quale potrebbe essere il ruolo della scienza? Come si
conciliano le idee del nuovo umanesimo con la scienza?
In questo senso mi dedico da anni ad evidenziare la centralità dell'essere umano
anche nella scienza; a ricondurre la scienza all'agire umano, ad una narrazione; a
rendere manifesto il sottofondo mitico della scienza che la ricollega alla storia
dell'intera umanità. E anche oggi cominceremo da un mito grandioso.
Siamo ad Atene nel quarto secolo prima della nostra era, nell'Accademia Platonica.
Poche decine di uomini appartenenti ad una scuola filosofica che hanno caratterizzato
in maniera decisiva il destino dell'occidente.
Parlando di Platone ripercorriamo insieme il mito della caverna che ben sintetizza il
suo pensiero.
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In fondo ad una caverna ci sono degli uomini incatenati e costretti ad osservare delle
ombre. Gli uomini osservano e ragionano su ombre, le quali sono proiezioni di alcune
sagome, di alcune forme portate dietro un muretto da altri uomini; queste forme a
loro volta sono illuminate da un fuoco. Il fuoco illumina le forme e le loro ombre sono
proiettate sul fondo della parete della grotta.
Gli uomini osservano solo quelle ombre e non sono a conoscenza delle forme che le
generano; queste forme sono quelle che vengono chiamate le idee, le idee platoniche.
La parola greca “eidos” è stata tradotta come “idea”, ma ben diverso era il significato
originale. La traduzione più appropriata sarebbe stata “forma”.
Di queste forme però gli uomini possono avere delle intuizioni, riuscendo in qualche
maniera ad intravvedere quello che è la causa di queste ombre: il fuoco. E possono
proseguire ulteriormente in questo percorso di elevazione, di ascesi, sino ad uscire
dalla caverna e a conoscere il mondo degli alberi, delle montagne, degli uccelli e,
ancora, sino ad arrivare a quello che per Platone è il sommo bene, l'Uno, il Sole. In
altri termini queste idee -e tra queste, tra le più pure, le idee della geometria e dei
numeri-, queste forme sono una sorta di argano, di elevatore, di causa che determina
l'elevazione, dapprima verso il fuoco e poi verso il sole.
Aristotele fece notare che le idee intese come forme erano insufficienti ad illustrare
tutte le possibili cause che determinavano questo percorso e aggiunse ad esse le
cause materiali, le cause finali e le cause efficienti. Oltre a questo cominciò a
sviluppare la logica e su questa logica -nucleo e fondamento della successiva logica
occidentale- anche la fisica e la metafisica, fino a cercare di dedurre il principio primo,
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l'Uno, attraverso un percorso logico, attraverso l'uso della logica. La logica si va
sostituendo al percorso. La logica, che doveva accompagnare il cammino, si
sostituisce ad esso. Le forme, le idee non indicano più un percorso, ma diventano
solamente degli enti del nostro pensiero che bisogna mettere in ordine. È come
rimanere all'interno della caverna e mettere in ordine, e cercare e trovare un senso,
una razionalità, una logica alle ombre che vengono osservate. Cercare di intuire il
fuoco o addirittura il sole, semplicemente dalle ombre. In questo senso si è mossa poi
gran parte della cultura occidentale.
Mettere in ordine le idee, ordinare il pensiero, è un po' come avere un guardaroba, un
armadio dove mettiamo i nostri vestiti. Sappiamo quanto sia complicato trovare delle
regole comuni in una famiglia per riuscire ad avere i propri abiti in ordine. Ma come
mettere in ordine i propri e gli altrui vestiti è solo lontanamente correlato alla vita, al
vissuto, al fatto che questi vestiti vanno indossati e ci si cammina dentro e si opera
nel mondo; l'abito non è quello che conta, ma è il vissuto, il vivere nel mondo.
Questa, in maniera estremamente semplificata, è l'osservazione che fece intorno al
1900 Husserl, il fondatore della fenomenologia. Quello che conta è il vissuto: Erlebnis
lo chiama Husserl; registro lo chiama Silo: ciò che si manifesta e viene registrato dalla
coscienza, l'esperienza vissuta per effetto di un atto lanciato dalla coscienza, di un
atto intenzionale.
Torniamo intanto ad Atene; Platone e Aristotele stanno ancora dialogando. Si dice che
all'ingresso dell'Accademia Platonica fosse scritto: "Non entri qui dentro chi non sappia
di geometria”.
Ora forse riusciamo a capire perché la geometria fosse tanto importante per Platone.
Era quel riferimento, quella causa per l'elevazione, per questo percorso di ascesi così
meravigliosamente descritto dal mito della caverna.
Accadde però qualcosa. Infatti nella Repubblica di Platone si ritrovano, in più punti,
numerose critiche alla geometria e alla matematica. Qualcosa accadde all'interno della
stessa scuola. Oggi si ritiene che sia stato soprattutto Eudosso, membro
dell'Accademia, ad aver gettato le fondamenta di quello che chiamiamo il metodo
assiomatico-deduttivo.
Sappiamo che la struttura assiomatico-deduttiva della geometria parte da assiomi e
da definizioni, dalle quali derivano, si deducono -attraverso i cosiddetti teoremi- tutte
le altre affermazioni che caratterizzano la geometria. Ma per poter enunciare un
assioma c'è bisogno di ricorrere ad alcuni concetti primitivi di partenza, principi chiari
ed evidenti. Nel caso della geometria i concetti primitivi sono da oltre due millenni
quelli di punto, linea, superficie. Tutti li abbiamo appresi a scuola e ci sembrano
concetti indiscutibili, chiari, evidenti. Nei prossimi minuti, come esercizio, metteremo
in dubbio queste affermazioni, questi concetti apparentemente a priori di punto,
linea, superficie.
Il metodo assiomatico-deduttivo consiste nel fissare una lista coerente di assiomi e a
partire da questi costruire un intero edificio, come quello ad esempio della geometria;
non importa sapere da dove vengano questi assiomi o preoccuparsi troppo di darne
una qualche giustificazione.
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Per Platone lo studio delle forme e degli assiomi non deve solamente orientare verso i
teoremi, le regole logiche. Occorre approfondire, chiarire le origini di questi assiomi,
per cercare di andare oltre quello che diceva Eudosso. Per Eudosso la costruzione era
finalizzata a dare ordine alle idee del pensiero, mentre per Platone le forme e le altre
idee dovevano servire per andare aldilà di quel fuoco simbolico. Platone esprime a
chiare lettere il suo disappunto.
Ma cosa significa partire dagli assiomi piuttosto che partire dai registri, dal vissuto?
Vuol dire, in ultima analisi, ignorare l'attività intenzionale dell'essere umano, vuol dire
costruire un agglomerato di regole che si erge con un'esistenza propria, quasi
indipendente dall'uomo stesso, per cui alla fine ci ritroviamo una scienza nella quale
l'osservatore quasi scompare. Ci sono leggi che ci sovrastano e la presenza dell'uomo
viene azzerata; ma queste leggi sono in grado di rispondere alle domande esistenziali?
Sono in grado di varcare quel fuoco che aveva indicato Platone? Ovviamente no,
stiamo ancora lavorando con ombre.
E questa esternalizzazione, questa alienazione dai registri non può che condurre ad
una sorta di oscuramento, a quello che molti hanno individuato come la tendenza
nichilista della società occidentale. In questo senso anche nella scienza occorre
recuperare e riscoprire il ruolo dell'intenzionalità.
Come fare?
Torniamo, per esercizio, ai concetti primitivi della geometria: punto, linea,
superficie. Abbiamo detto che si possono adottare differenti concetti primitivi. Ad
esempio Clifford, intorno al 1870, disse che, per costruire l'edificio della geometria, si
poteva partire dall'intuizione, dall'intuizione di un generico oggetto solido e
dall'intuizione di spazio. Ciò che separa l'oggetto dal resto dello spazio la chiameremo
superficie. Se uniamo due superfici, esse si sovrappongono lungo una linea. Se
facciamo intersecare due linee, esse si incontreranno in quello che chiameremo punto.
Ecco che, brevemente, partendo dal concetto primitivo di oggetto e di spazio,
riusciamo a ricavare i vecchi concetti primitivi della geometria euclidea. A questo
punto i matematici sono soddisfatti; gli basta sapere che questi nuovi concetti
primitivi sono equivalenti ai vecchi e che tutta la geometria rimanga inalterata.
Cerchiamo però di capire le cose un po' meglio. Nel senso che intendeva Platone.
Consideriamo un bicchiere pieno d'acqua ed ecco identifichiamo subito una superficie
in quella cosa che separa l'acqua dall'aria. La superficie è quella cosa che stiamo
vedendo che separa l'acqua dall'aria, ma cosa stiamo vedendo veramente? Che cos’è?
Possiamo isolare una superficie da tutto il resto? Sarebbe come dire che una ciambella
è caratterizzata dal suo buco. Non tutte le ciambelle riescono col buco; ma la
ciambella deve avere il buco. Possiamo separare ed isolare il buco dal resto della
ciambella? Non ha senso. Esistono veramente le superfici o sono una costruzione della
nostra mente? Un'astrazione. Avviciniamoci, usiamo un microscopio, andiamo a
vedere cosa succede tra aria e acqua, che cos’è questa superficie. Ebbene, se
ingrandiamo scopriamo delle strane cose che chiamiamo molecole di aria e molecole di
acqua.
Come sono fatte?
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Ad un certo livello di ingrandimento sono forme globulari pseudo-sferiche e, di nuovo,
incontriamo una superficie. Dobbiamo ingrandire ancora e troveremo gli atomi, gli
elettroni, i nuclei, i neutroni, i protoni, ancora degli sferoidi e ancora c'è il problema
che li rappresentiamo con una superficie. Dobbiamo andare ancora più a fondo e, così
facendo, entriamo nel mondo della meccanica quantistica e la quanto-meccanica non
ci dice affatto cosa sia una superficie! Noi stiamo proiettando le nostre astrazioni.
L'unica risposta che la meccanica quantistica ci può dare è una risposta indeterminata:
il dualismo onda-corpuscolo. Molti sicuramente lo hanno sentito nominare: vuol dire
che la materia si comporta o come una particella o come un onda, a seconda del
modo in cui noi configuriamo l'esperimento, a seconda del modo in cui noi
interroghiamo la natura. Dipende dall'atto: c'è una strutturazione imprescindibile tra
l'atto osservativo e l'oggetto percepito; una struttura che non è possibile risolvere in
nessun modo, qualsiasi sia l'ingrandimento.
Questo tentativo di dare una descrizione del mondo senza l'intervento della coscienza,
dell'intenzionalità, non funziona. Alla base c'è la struttura coscienza-mondo.
Nel titolo di quest’intervento si accenna all'ameba. Cosa ci può dire l'ameba, un animaletto
unicellulare, un protozoo? Cosa ci può dire di più, di quanto non ci abbia detto Euclide e la sua
geometria? Per prima cosa osserviamo che, per quanto unicellulare, un'ameba possiede molte
funzioni primitive. Possiede delle funzioni sensoriali, ma non ha sensi, non ha vista, ha questa
specie di tatto primitivo dovuto alla membrana, ma non ha sensi propriamente detti, non ha un
sistema nervoso perché ha soltanto una cellula.
Si muove attraverso la deformazione della membrana; attraverso la formazione dei
cosiddetti pseudopodi, ma non ha muscoli, non ha arti … eppur si muove. Possiede
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tutte le funzioni che poi ritroveremo negli organismi più complessi, ma ad un livello
assolutamente primitivo in una sola cellula. C'è un'attività viscerale, riproduttiva,
motoria, sensoriale... mentale? Ha una coscienza? Mi verrebbe da dire di no. Certo, se
però intendiamo la coscienza come quel qualcosa che gestisce gli apparati vegetativi,
ecc. diremmo che ha una specie di memoria perché sa riconoscere il cibo.
Vediamo come si muove e si nutre l'ameba. Il cibo è riconosciuto attraverso questo
senso primitivo e per riconoscerlo non può non avere una percezione primitiva
automatica della spazialità; così può muoversi e può rilevare la presenza di un
oggetto, un corpo solido di cui nutrirsi. Possiede, quindi, quelle che abbiamo chiamato
intuizioni-base, le quali costituiscono la geometria euclidea: un corpo solido e una
spazialità. Già li riscontriamo nell'ameba, ma in più troviamo questa tensione,
protensione, intenzione verso l'oggetto del proprio nutrimento. Troviamo una forma
decisamente primitiva di intenzionalità che possiamo associare, pertanto, ad una
coscienza altrettanto primitiva.
Vediamo però le cose in dinamica. Questo strano animaletto ha tutte le funzioni
fondamentali che caratterizzano un essere vivente e, pur essendo composto da una
sola cellula, possiede una spazialità ed ha anche una sorta di intenzionalità. È
abbastanza facile allora immaginare che, attraverso un processo evolutivo di
adattamento crescente all'ambiente, sia stato possibile il perfezionarsi di queste
funzioni; e ritrovarle poi, in strutture più complesse ed evolute come sensi, arti,
muscoli, occhi, nelle fogge e nei modi più disparati. Ma cosa innesca, alimenta, dà una
direzione a tutto ciò? Questa forza che dà impulso all'evoluzione è l'intenzionalità, ed è
già presente in questo organismo unicellulare!
Arriviamo alla conclusione.
Le tesi sulle quali mi sono soffermato sono le seguenti:
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1. La geometria appartiene al paesaggio di formazione della società
occidentale.
2. La geometria è un modello del metodo assiomatico-deduttivo alla base
della scienza e della razionalità occidentale.
3. Attraverso l'affermarsi del metodo assiomatico-deduttivo si è
consolidato, in occidente, un atteggiamento nel quale il ruolo
dell'essere umano è marginalizzato, se non addirittura annichilito, al
cospetto delle cosiddette “leggi fondamentali”.
4. Anche nella scienza, occorre “riscoprire” l'onnipresenza e la centralità
dell'intenzionalità umana, della struttura coscienza-mondo e “ripartire”
dal vissuto, dai registri interni.
5. Una scuola filosofica di poche decine di persone ha potuto, con la sua
attività di studio e riflessione, condizionare in maniera netta l'intera
cultura occidentale al punto che, per riconsiderare i fondamenti di una
nuova civiltà, occorra ritornare a quanto avvenuto in quella scuola;
tornare e riconsiderare il nucleo di insogno di un’intera civiltà.
Ho voluto parlare della geometria perché sembra qualcosa di veramente oggettivo ed
intoccabile, ma non è così. Non è un mondo al di fuori, che sovrasta l'uomo, ma
esprime invece sempre un'intenzionalità e, comunque, è qualcosa che ci rinvia, che ci
indica quel percorso descritto dal mito della caverna.
Ma come, dove, oggi si affrontano questi argomenti? Dove praticare, dove e come
iniziare questo percorso?
Per esempio proprio qui, in un parco come questo e anche negli altri Parchi di Studio e
Riflessione nel mondo. Questi parchi nascono come testimonianza del Messaggio di
Silo e del Nuovo Umanesimo.
Ho iniziato quest’intervento con una citazione di Silo che si riferiva alle due vie del
cammino interno e l'abbiamo considerata in relazione al cammino dell'intera cultura
occidentale.
Ora vorrei terminare con un altro mito, un'altra allegoria di Platone: l'allegoria della
seconda navigazione.
Platone ci dice che gli esseri umani sono come delle navi con le vele ben issate, ben
rigonfie; le vele occorrono per andare nel mondo, alimentate e sostenute dai venti. I
venti sono i sensi, le percezioni, le opinioni, ma quando non c'è il vento bisogna
ammainare le vele. In assenza di vento esse diventano inutili; quando c'è bonaccia,
quando c'è il vuoto, si va avanti attraverso la seconda navigazione. Si prendono i remi
e si inizia a remare. La navigazione è forse più faticosa, meno automatica: si comincia
ad immergere i remi nelle profondità marine. È un primo assaggio, si comincia a
toccare il profondo e Platone è interessato a questa seconda navigazione, ad andare
oltre i semplici sensi e le opinioni e, quindi, attraverso quest’allegoria del remo che si
immerge nel mare, dare l'avvio a quel percorso d’ascesi che era stato descritto nel
mito della caverna.
Anch’io auguro a tutti noi un’intensa e profonda seconda navigazione.
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