Il tortuoso itinerario dell`integrazione europea

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PIERNICOLA SPADACCINI
IL TORTUOSO ITINERARIO DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA
Materiali per un approccio storico, filosofico e costituzionale
(Work in progress)
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PREFAZIONE
Questo lavoro intende fornire materiali utili alla comprensione
del cammino molto complicato dell’integrazione europea,
essenzialmente sul piano storico, filosofico e costituzionale.
Tanto anche perché, l’Europa, oggi, appare, in gran parte della
pubblicistica, nei media ed anche nel senso comune di molti dei
suoi cittadini, non solo e non tanto qualcosa di lontano, ma
ormai da tempo, un insieme di istituzioni ed organismi algidi e,
addirittura, contrari agli interessi dei popoli e delle nazioni del
Vecchio Continente.
Questo fatto diventa esplicito, plasticamente, nei movimenti
avversi alla moneta unica, non facilmente distinguibili anzi, molto
spesso,
piuttosto
omogenei
a
orientamenti
xenofobi,
nazionalisti, autarchici e così via.
Forse, perciò, può tornare utile l’esame di alcuni passaggi
fondanti la costruzione europea, unitamente alla memoria di
quando il Continente era diviso da barriere fisiche, economiche,
politiche e sociali.
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Il tutto rivolto a delineare un approccio più meditato ed
adeguato alle condizioni effettive dell’Europa.
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IDEE E PROGETTI DAL XVI AL XX SECOLO
L’avvento
del
mondo
moderno
segnò
il
superamento
dell’Imperium e del Sacerdotium: le aspirazioni universalistiche
della Res Publica Cristiana.
L’evento determinò, tra gli intellettuali europei, l’urgenza di
fondare un nuovo elemento unificante idoneo ad ordinare le
novità socio-politico-culturali, dominate dal caos, per una nuova
organizzazione, secondo principi essenzialmente federalisti
dando vita, così, a programmi per un diverso sistema di relazioni
tra gli Stati.
La ricerca di un rinnovato fattore unificante dell’Europa teneva
conto della circostanza che il vecchio Continente non aveva mai
trovato una possibilità di comprensione fondata su elementi
naturali, contrariamente per esempio all’America, idonei a
fornirne una chiara identificazione.
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Evidenziano questa situazione sia Paul Valèry, sia Nietzsche,
secondo i quali l’Europa andava considerata una mera
propaggine dell’Asia.
D’altra parte, lo sforzo di qualificare il nostro Continente viene
rilevato, a livello storico, facendo riferimento al Machiavelli, a
partire dalle istituzioni.
Machiavelli segnalava le caratteristiche dell’Europa come luogo
dello sviluppo delle forze materiali ma, anche, di virtù, in una
quantità di formazioni statali.
Al contrario, l’Asia, si caratterizzava per l’esistenza di un numero
molto minore di Stati e, tuttavia, di rilevante grandezza.
Dal canto suo, Montesquieu individuava l’Europa come il luogo
governato, in genere, dagli usi dei padri. Per questo essa era la
sede di sistemi temperati e, perciò, attraenti in un mondo
dominato da regimi dispotici (Montesquieu, l’esprit des lois).
Dalla constatata molteplicità di Stati prenderà le mosse un certo
numero di riflessioni circa il fondamento e la regola da applicare
alla vicenda corrente tra gli Stati, compresi i fatti bellici, come le
altre azioni umane da inquadrare nella legge naturale.
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Assistiamo ad un lavoro volto a collocare la realtà del “Sistema
Europa” nell’ambito di una prospettiva di pace.
Si segnalano autori come Matteo Palmieri e Van Groot, alla
riflessione dei quali rinviamo in questa sede, unitamente ai
pensatori che si occuparono dei trattati e, in tale ambito, della
pace e di un sistema equilibrato tra gli Stati.
Tale aspirazione trovò un importante sede formale nel Trattato,
stipulato nel 1713, tra la Spagna e l’Inghilterra, dove si evidenzia
che al Trattato stesso si è pervenuti con lo scopo di confermare e
stabilire la pace e la tranquillità del mondo cristiano, secondo il
principio “dell’equilibrio delle potenze”.
Sul principio di equilibrio va certamente detto che esso si è
dimostrato instabile ed anche non idoneo a garantire una pace
durevole in Europa, malgrado le sue, nel tempo reiterate,
riaffermazioni in sede formale.
Il principio “de quo” fonda la libertà soltanto in relazione
all’andamento dei rapporti tra Stati assolutistici. Questo per
evitare ogni egemonia e, pertanto, a rifiutare ogni prospettiva
monarco-universalista “super-statale”.
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Il principio di equilibrio porta con sé la tendenza a confermare
l’esistente, sia sul piano politico che su quello territoriale. Esso
produce, altresì, la mancata fiducia in varie formazioni statali.
Ogni aggregazione tra loro, peraltro, mostra la corda e, in nessun
modo, incrocia un’idea di collaborazione fondata sul federalismo.
Ci occupiamo, di necessità, per sommi capi, di Erasmo da
Rotterdam il quale riteneva si potesse fondare la pace in Europa
a mezzo di un arbitrato volto a superare i conflitti tra gli Stati del
nostro Continente affidando, non ai Governi ma ai Popoli, il
diritto di decidere la guerra.
Erasmo richiama la comune vicenda cristiana dell’Europa,
importata
da
un
Umanesimo
basato
sul
recepimento
dell’annunzio evangelico.
Erasmo, indirizzandosi a Carlo V, indicava la doverosa necessità
di tenere conto e tutelare la libertà in ognuno dei suoi Stati,
delineando così un primo momento federalistico che declinava le
fondamentali liberà interstatali, unitamente alla pace.
Da una diversa prospettiva muove Tommaso Campanella: una
“Teocrazia Cristiana” in ordine alla quale bisogna rammentare
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che la religione di Campanella si fondava su principi naturali e
razionali.
Dal punto di vista politico lo stesso autore prospettava
(nell’ambito di un governo ecclesiastico ‘per fare una gregge e un
pastore’) la necessità di un Senato, con a capo il Pontefice
Romano e composto dall’insieme dei Principi cristiani, con
competenze sui temi di reciproco interesse e, altresì, con potestà
coattive tese al rispetto dei deliberati del Senato.
Da Erasmo muovono un’altra serie di riflessioni, alle quali in
questa sede rinviamo, e che si svilupperanno con Voltaire….
“bisogna che noi diciamo finalmente l’Europa ragionevole”, come
ricorda il Prof. Virginio Paolo Castaldi che continua, con il liberale
Guizot, indicando come questo autore nella ‘storia della
civilizzazione in Europa’, ne rintracciava il motivo unificante nella
dialettica tra sviluppo individuale e quello sociale, per poi venire
a Benedetto Croce che, nel 1931, contro il nazifascismo,
nell’epilogo della ‘storia d’Europa nel secolo XIX’, redasse un vero
e
proprio
manifesto
europeo,
riferimento
essenziale
dell’antifascismo italiano.
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Per altro verso, ma con lo stesso obiettivo, Thomas Mann
avrebbe pubblicato “Achtung Europa”.
Concludiamo, consapevoli comunque della necessità di uno
sviluppo ulteriore della nostra e comune riflessione, indicando i
“Discorsi alla Nazione Europea” e lo “Spirito Europeo” di Julien
Benda.
Comunque, i fondamenti cristiani dell’Europa ispirarono un
progetto di Trattato per rendere perpetua la pace nel Continente,
progetto redatto da Charles Irénée Castel de Saint Pierre che
promuoveva un’alleanza permanente tra i sovrani europei in
un’assemblea che deliberasse a maggioranza, in caso di
controversie, unitamente alla previsione di sanzioni contro chi
violasse i patti sottoscritti e, così, si rendesse responsabile di
minacce alla pace.
Tocca la nostra osservazione, e non poteva essere diversamente,
l’opera di Jean Jacques Rousseau quando scrisse che la sola
possibilità contro la guerra risiedeva nella costituzione di una
Federazione di Stati dalla quale promanasse un Governo capace
di riunire i diversi popoli con legami simili a quelli che uniscono le
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persone, all’interno di un sistema normativo efficace per la sua
potestà autoritativa.
Seguendo questo percorso si sarebbe pervenuti a un sistema di
Stati europei, riuniti su base volontaria e libera, insieme ai popoli
e ai governi.
Rousseau ritenne tanto legate tra loro le prospettive della pace e
della libertà che si domandò se la costituzione di Leghe federali,
in atto al tempo suo, e suscitate per via di moti rivoluzionari,
potesse mai consentire di affermare che una Lega europea non
potesse danneggiare, in un colpo solo, tutto quello che sarebbe
stata capace di riparare nel corso dei secoli.
Malgrado l’influenza di Rousseau, Kant considerava la pace
perpetua come frutto di un accordo nel quale gli Stati si
obbligassero a terminare ogni guerra e ad impegnarsi ad evitare
tutte le guerre.
Gli Stati non dovevano creare un nuovo superstato e neppure, in
questo modo, affidarsi ad un soggetto coattivo superiore, perché
questa sarebbe stata la prospettiva di un’orribile dispotismo, di
una specie di monarchia generale derivata dalla fusione dei
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diversi organismi statali ad opera di uno solo di essi che
conseguisse la supremazia.
Diverso sarebbe stato il suscitarsi di un movimento per una forma
di aggregazione interstatale, fondata sull’imperativo categorico
che avesse la pace quale sua espressione morale.
La libertà si sarebbe fondata sul fatto che la forma costituzionale
di ogni Stato sarebbe stata la Repubblica.
Jeremiah Bentham, dall’esame dello sviluppo economico che
avrebbe reso i paesi interdipendenti, nel 1789 indicava anche lui,
avendo come scopo la fine di ogni conflitto bellico, un “Piano per
la pace universale e perpetua” sostenuto dalla libertà dei
commerci, dall’abrogazione della diplomazia segreta, dalla
riduzione degli armamenti e dalla scomparsa del colonialismo. Il
tutto sotto la giurisdizione di una Corte Internazionale.
Abbiamo esaminato alcuni tratti del dibattito intorno a
programmi politici e costituzionali dell’integrazione europea.
A questo punto viene in rilievo la circostanza per la quale
superando,
d’un
tratto
ogni
discussione,
l’America
si
caratterizzava per un evento totalmente nuovo: la rivoluzione,
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che sanciva l’indipendenza dall’Inghilterra e, insieme, dava vita
ad una Costituzione voluta dal popolo, figlia della rivolta
anticolonialista e della guerra alla Gran Bretagna, consegnata al
mondo dal lavoro di 85 saggi, sintetizzata col nome: “The
Federalist”.
I saggi mossero, nel loro lavoro, da un tendenziale scetticismo
intorno alle qualità dell’essere umano, per sua natura debole e
connotato sia dalle passioni, sia dagli interessi egoistici.
Tuttavia, i Costituenti ebbero come fonte ispiratrice l’ottimismo
della
ragione,
ritenuto
idoneo
a
mediare
gli
interessi
rappresentati dai soggetti economici ed anche quelli delle Regioni
con l’interesse generale.
Il
tratto
caratteristico
più
significativo,
tuttavia,
dell’Indipendenza americana, consisteva dalla provenienza da un
unico popolo, nei singoli Stati federati. Un popolo che si ritrovava
negli antenati comuni, nella lingua, nella religione e negli stessi
principi politici, tradizioni, usanze e, cioè, adoperando il lessico
europeo: “Una sola Nazione”.
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Lungimirante appare a questo punto della nostra disamina,
l’opera di Carlo Cattaneo. Circa l’insurrezione di Milano e la
successiva guerra, in esito alla prima guerra di indipendenza
italiana, Cattaneo scrive, tra l’altro: “….solo quando avremo gli
Stati Uniti d’Europa, avremo la pace piena….”.
Quanto alla libertà, Cattaneo riteneva che “essa fosse una pianta
dalle molte radici”.
Tra gli altri pensatori e uomini politici, spicca in Italia e in Europa,
Giuseppe Mazzini, la cui riflessione culturale e istituzionale,
comincia con un lavoro intorno alla letteratura europea e si
conclude, pressoché, al termine della sua vita, con un testo
dedicato alla politica internazionale.
Contemporaneamente alla costituzione della ‘Giovine Italia’,
Mazzini diede vita alla ‘Giovine Europa’. Con una nota: Mazzini
considerava condizione del sorgere degli Stati Uniti d’Europa il
fatto che la nazioni oppresse, dall’assolutismo, conquistassero la
propria indipendenza per mezzo di un’iniziativa autonoma del
popolo. Il pensiero e l’azione di Giuseppe Mazzini spiegarono i
propri effetti fino a segnalarsi, nel 1941, nel testo più importante
dell’europeismo teorico e militante: “Il Manifesto di Ventotene”.
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Ma molto prima V. Hugo subì il fascino e l’influenza mazziniane.
Rivolgendosi, infatti, nel 1869, ai delegati al Congresso per la
Pace, in corso a Losanna, si indirizzò a loro definendoli
“concittadini degli Stati d’Europa” e rimarcando, nondimeno, che
“la Repubblica Europea Federale è già fondata, in diritto,
nell’attesa che sia fondata nei fatti”.
Hugo sosteneva inoltre che “il primo bisogno dell’uomo, il suo
primo diritto, il suo primo dovere è la libertà. La prima servitù è la
frontiera. Chi dice frontiera dice un forzato impedimento.
Togliete l’impedimento, togliete di mezzo le frontiere, le dogane, i
soldati, in altri termini siate liberi e la pace seguirà e darà vita a
una situazione normale di lavoro, di scambio, dell’offerta e della
domanda, della produzione e del consumo, di un vasto sforzo
comune, dell’attrazione delle imprese, della circolazione delle
idee, dei flussi e dei riflussi umani. Noi vogliamo la grande
Repubblica Continentale, noi vogliamo gli Stati Uniti d’Europa, ed
io termino con questa frase: la libertà è l’inizio, la pace è il
risultato. Accanto agli Stati Uniti d’America, noi dobbiamo avere
gli Stati Uniti d’Europa. Questo giorno verrà e allora la pace dei
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popoli sarà fondata su questa base, il solo fondamento solido, la
libertà degli uomini”.
L’UNITA’ EUROPEA NEI SUOI ASPETTI COSTITUZIONALI
Gli organismi statali, unitamente al grado di omogeneità tra loro,
vengono normalmente intesi quali elementi necessari di ogni
unità che tragga sè stessa da un fondamento federale. Questo
assioma incontra gli Stati dell’Unione Europea e trova la sua base
giuridica già nei Trattati istitutivi delle Comunità Europee. Essi,
infatti, esplicitamente indicano la finalità delle istituzioni
comunitarie nel perseguimento di “una unione sempre più stretta
tra i popoli europei”.
Questa indicazione promana dagli esiti disastrosi del II conflitto
mondiale, i quali resero evidenti non solo i limiti, ma anche la
diminuita funzione degli Stati nazionali e, addirittura, del loro
decadimento ai quali, però, non si è sostituito, finora, nessun
fattore di compensazione originante da un moto popolare in
favore dell’integrazione del nostro Continente.
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Al contrario, nelle diverse compagini nazionali sono presenti
spinte nuove al particolarismo, alla messa in discussione di
quanto, finora faticosamente realizzato e, in definitiva, al
superamento, non in avanti, ma indietro, dell’Unione Europea
rispetto alla quale forze significative lavorano alla sua
risoluzione.
Questo accade mentre da diverse parti si osserva una relazione
tra diffusione crescente del benessere e, dunque, anche dei
consumi che coincidono con una tendenza manifesta alla rinunzia
e, troppo spesso, al disprezzo riguardo all’impegno politico.
La situazione interessa i giuristi, dato che le Costituzioni
documentali nascono dall’intenzione volta a qualificarle, sia in
senso politico che in quello, appunto, giuridico.
Questo è il caso dell’insieme delle norme costituzionali europee
scritte e sostanziali.
Ove
la
spoliticizzazione
trovasse
un
ulteriore
sviluppo,
mancherebbe il contesto fondante le istituzioni e le politiche del
Continente.
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Lasciamo allo studio e ad ogni ulteriore approfondimento la
navigazione nel mare magnum delle questioni europee.
Appare non pleonastico rammentare che tutto si muove
all’interno degli sviluppi e delle contraddizioni del mondo globale.
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