Il cervello impara a vedere di nuovo - Le Scienze

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26 ottobre 2016
Il cervello impara a vedere di nuovo
Una sperimentazione italiana su soggetti affetti da retinite
pigmentosa, seguiti prima e dopo l'impianto di una
microprotesi all'interno degli occhi, ha mostrato che il cervello
può reimparare a interpretare gli stimoli provenienti dalla
retina anche dopo molti anni di cecità (red)
neuroscienze
Cortesia Castaldi E., Cicchini G.M.,
Cinelli L., Biagi L., Rizzo S., Morrone
M.C. (2016).
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percezione
La cecità è un problema sanitario globale, con 40 milioni di persone colpite
in tutto il mondo. Diversi laboratori stanno cercando di realizzare sofisticate
protesi in grado di porre rimedio al danneggiamento della retina, la
membrana nervosa sensibile alla luce che si trova nel bulbo oculare ed è
una componente fondamentale della visione. Buona parte dei casi di cecità
è infatti l'esito di una degenerazione retinica che si manifesta in modo lento
e progressivo.
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Per raggiungere l'obiettivo di una protesi retinica efficace e affidabile
occorre però rispondere a una domanda cruciale: in che misura il cervello
dei soggetti non vedenti da molto tempo sarebbe ancora in grado di
elaborare le informazioni che provengono dalla retina? Elisa Castaldi e
Maria Concetta Morrone, due ricercatrici dell'Università di Pisa, hanno
affrontato la questione studiando pazienti affetti da retinite pigmentosa,
una malattia ereditaria che porta gradualmente alla totale cecità a causa di
una degenerazione della retina.
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L’amore non è più una questione per
artisti e filosofi, ma terreno di indagine
anche per i ricercatori, come spiega il
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movimento
Fondo oculare di uno dei soggetti coinvolti nello studio: a sinistra è visibile l'impianto protesico
(Cortesia Castaldi E., Cicchini G.M., Cinelli L., Biagi L., Rizzo S., Morrone M.C., 2016)
Secondo quanto riferito in un articolo pubblicato su “PLoS ONE” Castaldi e
Morrone hanno impiantato in occhi di volontari un microchip in grado di
tradurre gli stimoli visivi in segnali, che poi sono stati trasmessi alle cellule
dei gangli della retina, un tipo di neuroni che si trova nello strato più interno
di questa membrana, a monte del nervo ottico rispetto al tragitto dei
segnali verso il cervello. In seguito le due scienziate hanno verificato
l'effetto della stimolazione sia in base a quanto riferito dai soggetti sia in
base alle scansioni di risonanza magnetica sul loro cervello.
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Il risultato della sperimentazione è stato positivo. I pazienti hanno infatti
imparato a riconoscere stimoli visivi inusuali, come i lampi di luce, e questa
capacità è risultata correlata con un incremento dell'attività a livello della
corteccia cerebrale e del talamo, una struttura posta alla base del cervello,
importante per l'elaborazione delle informazioni sensoriali.
Tuttavia, questa attivazione ha richiesto un lungo periodo di
addestramento. Quanto più il soggetto si esercitava tanto più il suo
cervello rispondeva agli input e tanto più percepiva gli stimoli visivi generati
dall'impianto protesico. In altre parole, si instaurava un meccanismo di
rinforzo positivo: più il soggetto percepiva la luce, più imparava a percepire
e migliorava questa percezione.
Diario civile, su Rai Storia: Vittorio
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drammatica storia di Solomon
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I risultati sono importanti perché mostrano che, dopo l'impianto di un
dispositivo protesico, il cervello subisce un rimodellamento plastico che gli
permette di "reimparare" a gestire i nuovi segnali visivi. L'esito dello studio
appare ancora più rilevante se si considera che c'è una plasticità cerebrale
residua anche dopo molti anni di deprivazione sensoriale, di cui si potrà
tenere conto anche nella stessa realizzazione degli impianti protesici.
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