N. 1/2012 - Associazione Italiana per l`Arbitrato

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ISSN 1122-0147
ASSOCIAZIONE
ITALIANA
PER L’ARBITRATO
Pubblicazione trimestrale
Anno XXII - N. 1/2012
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p.
D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46)
art. 1, comma 1, DCB (VARESE)
RIVISTA
DELL’ARBITRATO
diretta da
Antonio Briguglio - Giorgio De Nova - Andrea Giardina
© Copyright - Giuffrè Editore
ASSOCIAZIONE
ITALIANA
PER L’ARBITRATO
Pubblicazione trimestrale
Anno XXII - N. 1/2012
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p.
D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46)
art. 1, comma 1, DCB (VARESE)
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DELL’ARBITRATO
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Antonio Briguglio - Giorgio De Nova - Andrea Giardina
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INDICE
DOTTRINA
ULRICH HAAS - DANIELE BOCCUCCI, Il termine per la proposizione dell’« appello » davanti al Tribunale Arbitrale dello Sport ............................
ANTONIO CRIVELLARO, Advocacy in International Arbitration: an Art, a
Science, or a Technique? ....................................................................
LAURA BERGAMINI, Clausola compromissoria e tutela monitoria ................
1
39
61
GIURISPRUDENZA ORDINARIA
I)
Italiana
Sentenze annotate:
Cass. 20 giugno 2011, n. 13531, con nota di M. COMASTRI, Favor arbitrati
e art. 808-quater c.p.c. .......................................................................
Trib. Modena 5 maggio 2011, con nota di M. MARINARO, Mediazione obbligatoria e rilascio di immobile detenuto sine titulo .......................
Trib. Palermo 13 luglio 2011, con nota di C. CORBI, Il rilievo dell’improcedibilità della domanda giudiziale conseguente all’omesso esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione .............................
II)
79
85
89
Straniera
Sentenze annotate:
Olanda - Gerechtshof di Amsterdam, 28 aprile 2009, con nota di G. VALLAR, Il riconoscimento di lodi annullati nel Paese d’origine: l’approccio dei Paesi Bassi ......................................................................
97
GIURISPRUDENZA ARBITRALE
I)
Italiana
Lodi annotati:
Coll. arb. Roma, 15 novembre 2011, con nota di G. LUDOVICI, Le posizioni
giuridiche di interesse legittimo possono considerarsi disponibili ai
sensi dell’art. 1966 c.c. e quindi astrattamente compromettibili .....
127
III
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II)
Internazionale e straniera
Lodi annotati:
ICSID - Coll. Arb. 4 agosto 2011, con nota di A. DE LUCA, L’arbitrato
ICSID e l’azione collettiva: alcune osservazioni a margine del caso
Abaclat ................................................................................................
159
RASSEGNE E COMMENTI
GIORGIO DE NOVA, Contrasti tra giurisprudenza arbitrale e giurisprudenza
togata ..................................................................................................
VINCENZO VIGORITI, La trasparenza negli arbitrati sugli investimenti: le
proposte Uncitral ................................................................................
ELENA GRANATA, La riconoscibilità extra moenia ai sensi della Convenzione di New York del 1958 del lodo irrituale del lavoro previsto
dalla Legge n. 183/2010 .....................................................................
227
231
237
DOCUMENTI E NOTIZIE
Il Convegno celebrativo del Ventennale della Rivista [Andrea Atteritano] ....................................................................................................
In ricordo di Giovanni Maria Ughi [Piero Bernardini] .............................
IV
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259
261
DOTTRINA
Il termine per la proposizione dell’« appello »
davanti al Tribunale Arbitrale dello Sport
ULRICH HAAS (*) - DANIELE BOCCUCCI (**)
I. Introduzione. — II. La classificazione giuridica del « termine d’appello ».
— 1. Distinzione rispetto agli altri termini. — 2. La natura giuridica del termine (« d’appello »). — a) Le possibili opzioni. — b) L’effetto attribuito al
« termine d’appello » dall’intenzione delle parti. — c) La natura giuridica
dell’effetto preclusivo. — 3. Considerazione del termine ex offıcio o su eccezione di parte. — III. L’autonomia delle parti con riferimento al « termine
per la proposizione dell’appello ». — 1. Limiti dell’autonomia. — a) Limiti
derivanti dal diritto applicabile al merito della controversia. — b) Limiti derivanti dalla riserva di ordine pubblico. — aa) La concretizzazione della riserva di ordine pubblico. — bb) Conseguenze della riserva di ordine pubblico nel caso in esame. — (1) Abbreviazione « eccessiva » del termine. —
(2) Portata del termine. — c) Limiti derivanti dal testo dell’articolo R49 del
Codice TAS. — 2. Esercizio dell’autonomia. — IV. Il computo del termine.
— 1. Il diritto applicabile (in via sussidiaria) al computo del termine. —
2. Inizio e scadenza del termine. — a) L’evento che causa l’inizio della decorrenza. — aa) Il significato di « decisione ». — bb) La « ricezione ». —
b) Computo del termine. — aa) Il computo del termine di ventuno giorni
dell’articolo R49 del Codice TAS. — bb) Computo del termine negli altri
casi. — 3. Estensione del termine. — a) Discrezionalità dell’arbitro. — b) Il
principio della buona fede. — aa) Presentazione di un’istanza di riesame. —
bb) « Induzione » all’inosservanza del termine. — cc) Il dilemma sulle vie
legali da percorrere. — (1) Il dilemma della parte attrice. — (2) Soluzione al
problema. — dd) Il mancato rispetto senza colpa del termine. — ee) Il divieto del formalismo eccessivo. — (1) Contenuto del principio. —
(2) Esempi. — ff) Conseguenze del prolungamento del termine. — IV. Decisione del Giudice. — 1. Competenza. — 2. Forma della decisione. —
3. Contenuto della decisione.
(*) Professore ordinario nella Università di Zurigo.
(**) Collaboratore scientifico nella Università di Zurigo.
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I. La maggioranza dei procedimenti che si svolgono davanti
al Tribunale Arbitrale dello Sport (« TAS ») è rappresentata dai cosiddetti procedimenti d’appello (« appeal arbitration procedures »).
Ciò è quanto si evince, in maniera impressionante, dall’esame della
statistica. Delle 1975 domande di arbitrato presentate dal 1995 alla
fine del 2009, infatti, ben 1647 riguardano dei procedimenti di appello. A caratterizzare questi ultimi è l’oggetto della controversia,
costituito dall’« impugnazione » di un provvedimento adottato da un
organismo sportivo (ad esempio, una misura disciplinare (1), una decisione di nomina, l’accertamento di un diritto al risarcimento o di
una compensazione per formazione, ecc.) (2). Ad affrontarsi in questi procedimenti sono, per lo più, le organizzazioni sportive nazionali
ed interazionali, da un lato, e gli sportivi e/o i clubs, dall’altro. Non
è detto, però, che le parti debbano essere necessariamente quelle appena menzionate.
Il regolamento procedurale del TAS (« Codice TAS ») prevede
(agli articoli R47 ss.) delle regole specifiche, volte a disciplinare i
procedimenti di appello. La definizione di procedimenti di appello
per questo tipo di controversie, tuttavia, risulta essere alquanto fuorviante (3). Va sottolineato che, sebbene al centro del procedimento vi
sia la verifica della correttezza giuridica di una decisione di una organizzazione sportiva, il TAS non agisce come organo interno dell’associazione, in qualità di ulteriore istanza. Al contrario, anche nell’ambito dei « procedimenti di appello », il TAS effettua un esame
della controversia analogo a quello che si compie nei procedimenti
arbitrali di primo grado, nei quali la verifica della correttezza giuridica della decisione dell’associazione viene effettuata da un’istanza
indipendente, paragonabile a quelle dei giudici statali.
Il Codice TAS prevede un termine specifico per la proposizione
dell’appello. A questo proposito, l’articolo R49 di detto testo stabilisce che:
« [i]n the absence of a time limit set in the statutes or regulations of the federation, association or sports-related body concerned,
(1 )
Giustamente contrari ad una limitazione alle sole controversie disciplinari: KAUF- BÄRTSCH, in BLACKSHAW - SIEKMANN - SOEK (a cura di), The Court of Arbitration for Sport 1984-2004, 2006, 73 s.
(2) Sulle peculiarità di questo tipo di procedimenti, si veda KRÄHE, in BLACKSHAW SIEKMANN - SOEK (a cura di), The Court of Arbitration for Sport 1984-2004, 2006, 99 ss.;
SIMON, Rev. Arb., 1995, 185, 194 s.
(3) SIMON, Rev. Arb., 1995, 185, 195; LOQUIN, Clunet, 2004, 289, 294.
MANN-KOHLER
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or of a previous agreement, the time limit for appeal shall be twenty-one days from the receipt of the decision appealed against. (...) ».
La disposizione riportata prevede, quindi, che l’esercizio dell’azione, volta ad ottenere la tutela giuridica dei diritti contro i provvedimenti di un’associazione, possa avvenire soltanto entro un termine stabilito. Tale norma — com’è il caso delle analoghe previsioni
negli altri regolamenti procedurali — costituisce un ostacolo per coloro che vogliano far valere i propri diritti e solleva diverse questioni, alle quali si cercherà di dare una risposta nel prosieguo del
presente contributo.
II. 1. Il termine previsto dall’articolo R49 del Codice CAS
è da distinguersi da quello di cui all’articolo R51. Il primo si limita
solo alla fissazione del termine per la « proposizione » dell’appello,
mentre non si riferisce all’esposizione delle motivazioni di quest’ultimo. Nell’ambito temporale previsto dall’articolo R49, infatti, sarà
sufficiente il semplice deposito di una dichiarazione di appello, che
presenti i requisiti (minimi) richiesti dall’articolo R48 del Codice.
Per quanto concerne, invece, il deposito delle motivazioni dell’appello, deve farsi riferimento al termine stabilito dall’articolo R51.
Quest’ultimo comincia a decorrere con (o meglio dopo) la scadenza
del termine per la proposizione dell’appello (« following the expiry
of the time limit for the appeal »). Qualora il termine per il deposito
delle motivazioni non venisse rispettato, la domanda di arbitrato si
considera ritirata (articolo R51 del Codice TAS).
2. a) All’accordo con il quale le parti stabiliscono un termine entro cui va presentata la domanda di arbitrato è possibile attribuire diversi significati (4). Il senso (e lo scopo) della fissazione
del termine può essere, innanzitutto, quello di limitare la competenza
dell’arbitro a decidere. In questo caso il decorso inutile del termine
(4) Si veda CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima,
par. 8.2.1; KAUFMANN-KOHLER - RIGOZZI, Arbitrage international, II ed. 2010, par. 276, nota.
178; RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1037 ss.; RIGOZZI, Die
Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione); HAAS, in WEIGAND (a cura di), Practitioner’s Handbook on International Arbitration,
2002, Part 3 Art. 2 par. 74; cfr. anche BGH RIW 1976, 449, 450; SCHWAB - WALTER, Schiedsgerichtsbarkeit, VII ed. 2005, cap. 6 par. 6.
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comporterà l’incompetenza dell’arbitro a giudicare sulla controversia
e l’inammissibilità della domanda di arbitrato (5). La fissazione del
termine, inoltre, può avere anche lo scopo di impedire che una pretesa venga fatta valere. In questo caso la competenza arbitrale a decidere la controversia continuerà a sussistere anche dopo lo scadere
del termine, senza che, però, alle parti sia possibile far valere le loro
rispettive pretese, con la conseguenza che non si arriverà ad una
pronuncia sul merito. La distinzione tra le due opzioni è stata chiarita da Paulsson sostenendo che: « is the objecting party taking aim
at the tribunal or at the claim » (6).
b) Per stabilire quale sia l’effetto connesso alla fissazione del
termine, vi è bisogno di ricorrere all’interpretazione (7). Nella giurisprudenza del TAS si nota, talvolta, la tendenza a considerare la fissazione del termine come una questione relativa alla competenza arbitrale) (8). Cosı̀, ad esempio, in una decisione del TAS (9) si afferma
che:
« [t]he jurisdiction of an arbitral tribunal is an evident procedural prerequisite of the admissibility of a claim... It is also widely
recognized that an agreement to arbitrate may, like other agreements, be limited in time: i.e. the parties may agree in advance to a
certain time period, the elapse of which leads to the lapsing of the
agreement to arbitrate... The Panel is of the view that after the lapse
of the time period provided for in Art. 60 of the FIFA Statutes, and
accepted hereby and agreed by the parties, there would be no valid
agreement to arbitrate between the parties and the appeal would not
be admissible, respectively. In such a case, the CAS would have to
decline jurisdiction to rule on the merits of this case and to declare
the appeal not admissible ».
(5) Per un tale caso si veda quanto affermato dal Tribunale Federale svizzero, riportato in Bull. ASA, 1996, 673, 676.
(6) PAULSSON, in Liber Amicorum Robert Briner, 2005, 616.
(7) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par.
8.2.3; HAAS, in WEIGAND (a cura di), Practitioner’s Handbook on International Arbitration,
2002, Part 3 Art. 2 par. 74.
(8) In tal senso anche CAS [25.7.2007 - 2006/A/1166] FC Aarau AG v/ Swiss Football League, par. 49; [24.1.2007 - 2006/A/1153] WADA v/ Assis & FPF, par. 38; [20.12.2006
- 2006/A/1120] UCI v/ Gonzalez & RFEC, par. 57 s.
(9) CAS [15.9.2004 - 2004/A/674] Association P v/ FC V, par. 47 ss.
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Un’analoga opinione si rinviene nel testo di un’altra decisione (10) dello stesso Tribunale, nella quale si legge:
« [t]he Panel is of the view that after the lapse of the time period of ten days provided for in art. 60 of the FIFA Statutes, and accepted and hereby agreed by the parties, there would be no valid
agreement to arbitrate between the parties and the appeal would not
be admissible, respectively. In such a case, CAS would have to decline jurisdiction to rule on the merits of this case and to declare the
appeal not admissible. »
Permangono dei dubbi circa la correttezza di una qualificazione
della volontà delle parti, quale quella appena riportata (11). Contro di
essa depone il fatto che lo scopo perseguito dalle parti con la fissazione del termine è, di norma, quello di far accertare, in maniera
tempestiva e, soprattutto, vincolante, la correttezza giuridica — o, a
seconda del punto di vista, la contrarietà al diritto — di un provvedimento adottato da un’associazione. Questo scopo, però, è raggiungibile soltanto per mezzo di un termine che serva ad impedire, una
volta decorso, che la pretesa giuridica possa essere fatta valere, in
modo che, scaduto il termine, l’« impugnazione » di un provvedimento dell’associazione sarà sicuramente esclusa. Se, invece, l’effetto del decorso inutile del termine fosse soltanto quello di far venir meno la competenza arbitrale, continuerebbe a sussistere la possibilità che le parti sottopongano la questione vertente sulla correttezza giuridica del provvedimento associativo all’esame di un altro
organo giudicante, che potrebbe essere, ad esempio, un giudice statale. Una tale situazione potrebbe rivelarsi, nella maggior parte dei
casi, contraria allo stesso interesse delle parti (12). In favore dell’opinione qui sostenuta, possono citarsi anche le soluzioni adottate dagli
ordinamenti statali, i quali, nella misura in cui prevedono dei termini
(10) CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa de Desportos v/ Club
Valencia C.F. S.A.D., par. 56.
(11) RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1039; HAAS, in
WEIGAND (a cura di), Practitioner’s Handbook on International Arbitration, 2002, Part 3 Art.
2 par. 74; si veda anche OLG Düsseldorf NJW-RR 1988, 1271, 1272 ss.; HAAS, in HAAS HAUG - RESCHKE (a cura di), Handbuch des Sportrechts, Parte B 2. cap. par. 130.
(12) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par.
8.2.3; RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par 1039; RIGOZZI, Die
Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione); HAAS, in WEIGAND (a cura di), Practitioner’s Handbook on International Arbitration,
2002, Part 3 Art. 2 par. 74; di diversa opinione REICHERT, Handbuch Vereins- und Verbandsrecht, XI ed. 2007, par. 2912.
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per l’impugnabilità dei provvedimenti associativi (com’è il caso, ad
esempio, dell’articolo 75 del Codice Civile svizzero - « ZGB ») (13),
impiegano tali termini al fine di escludere l’azionabilità della pretesa,
con la conseguenza che una domanda presentata tardivamente risulterà essere infondata, anziché inammissibile (14).
c) A questo punto, ci si può chiedere se la decadenza dall’azionabilità del diritto, derivante dall’articolo R49 del Codice TAS,
debba essere considerata appartenente al diritto sostanziale od a
quello procedurale.
Occorre premettere che, nell’indagine che si sta conducendo,
con il termine « decadenza » — appena utilizzato — ci si riferisce a
quell’istituto elaborato nel diritto tedesco (e presente anche in quello
svizzero) che viene denominato « Verwirkung ». Non è questo, certo,
il luogo dove può illustrarsi in maniera esaustiva quali siano le similitudini (o le diversità) che gli effetti della « Verwirkung » presentano
rispetto ad istituti affini di altri ordinamenti, essendo questo un argomento che meriterebbe una trattazione apposita. Basti qui rilevare
che la « Verwirkung » è un istituto di diritto sostanziale (espressione
del principio della buona fede) in base al quale, dalla combinazione
di un elemento temporale (vale a dire il trascorrere di un determinato
periodo di tempo che, però, a differenza della prescrizione non è
predeterminato, ma può variare di volta in volta) unito ad un comportamento della parte (cui « nuoce », per cosı̀ dire, la « Verwirkung ») — caratterizzato dall’incompatibilità con l’intenzione di
far valere il diritto, tenendo presente anche quanto l’altra parte possa
legittimamente dedurre dal comportamento in questione — deriva
l’impossibilità di far valere il diritto — come sostenuto nel presente
contributo (si veda quanto riportato al paragrafo successivo) — o
l’estinzione dello stesso (15).
(13) BGE 85 II 525, 536; BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 75 par.
62; FENNERS, Der Ausschluss der staatlichen Gerichtsbarkeit im organisierten Sport, 2006,
par. 353.
(14) La situazione è analoga anche nel diritto tedesco: cfr. OLG Düsseldorf NJW-RR
1988, 1271, 1272 ss.; cfr. anche RGZ 85, 355, 356 s.; HAAS, in HAAS - HAUG - RESCHKE (a
cura di), Handbuch des Sportrechts, Parte B cap. 2, par. 130.
(15) Sulle conseguenze giuridiche della « Verwirkung » nel diritto tedesco si veda, ad
esempio, MünchKommBGB - ROTH, V ed., 2007, § 242, par. 311 (che propende per l’impossibilità di far valere il diritto) e PALANDT, BGB, 69a ed., 2010, § 242, par. 96 (che, invece,
propende per l’estinzione del diritto).
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Da un punto di vista comparativo, comunque, può rilevarsi che
le qualificazioni della « Verwirkung » sono tutt’altro che univoche (16). Mentre, infatti, alcuni ordinamenti giuridici fanno derivare
conseguenze analoghe a quelle della « Verwirkung » dal divieto dell’abuso del diritto, altri ordinamenti vedono in essa (o nell’esclusione della possibilità di esercitare l’azione) una rinuncia tacita al
diritto od un divieto processuale di far valere una pretesa dubbia (17).
Nonostante queste differenze giuridiche, l’esclusione della possibilità
di esercitare la pretesa e/o la « Verwirkung » dovrebbero essere, in
via di principio, ricondotte — in ragione della stretta connessione
con la pretesa che sta alla base — alla lex causae e, quindi, all’articolo R58 del Codice TAS (si veda, però, quanto riportato in seguito).
Prima di procedere oltre nell’analisi, comunque, si vuole sottolineare
che quando nella presente trattazione si ricorre all’uso del termine
« decadenza », esso dovrà intendersi utilizzato in luogo di « Verwirkung ».
3. Non è chiaro se l’inosservanza del termine di decadenza
nel procedimento debba essere rilevata dall’arbitro ex offıcio o su eccezione di parte (18). Mentre, ad esempio, il mancato rispetto del termine di decadenza previsto dall’articolo 75 ZGB — paragonabile a
quello dell’articolo R49 del Codice TAS — viene rilevato d’ufficio
dal giudice statale (svizzero) (19), il TAS tende ad esaminare la decorrenza del termine solo su eccezione di parte. A questo proposito,
in una pronuncia del 27 maggio 2003 (20), si legge:
« [t]he appeal is admissible... Having no evidence of the date
when the FINA Doping Panel decision was sent to the Appellant and
(16) KEGEL - SCHURIG, Internationales Privatrecht, IX ed., 2004, § 17 VI 1; NAGEL GOTTWALD, Internationales Zivilprozessrecht, VI ed., 2007, § 5 par. 42 ss.
(17) Si veda sul punto MünchKommBGB - SPELLENBERGER, IV ed. 2006, Art. 32
EGBGB, par. 125.
(18) RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1043.
(19) CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa de Desportos v/ Club
Valencia C.F. S.A.D., par. 75; BezG Zürich, in Causa Sport, 2005, 254, 258; BK - RIEMER,
ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 75 par. 62 s.; BSK - HEINI - SCHERRER, ZGB, III ed.,
2006, Art. 75 par. 22; si veda anche CAS [15.9.2004 - 2004/A/674] Association P v/ FC V,
par. 76.
(20) CAS [27.5.2003 - 2002/A/432] Demetis v/ FINA, in REEB (a cura di), Digest of
CAS Awards III 2001-2003, 2004, 419, 422; [31.1.2006 - 2005/A/971] RBF v/ IBF, par. 6.2.1:
« The Respondent has raised no objection regarding the timeliness of the Appellant’s Statement of Appeal ».
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as the Respondent did not challenge the admissibility of the appeal,
the Panel considers that the Statement of Appeal was filed within the
deadline of one month set by... the FINA Constitution ».
Una simile opinione è difficilmente conciliabile con la natura di
diritto sostanziale del termine di decadenza, visto che la conseguenza
di quest’ultima non è quella di impedire che il diritto possa essere
esercitato, bensı̀ quella di far sı̀ che esso venga meno. Se, quindi, le
parti fanno delle allegazioni su determinati fatti che indicano una
mancata osservanza del termine, l’arbitro sarà tenuto a prendere in
considerazione — come per le altre eccezioni (21) — la possibilità
che l’inosservanza in questione si sia verificata (22). Ciò significa che
la parte che vi abbia interesse non è tenuta a far valere le conseguenze legali che derivano da tali fatti — come per un’eccezione —
al fine di far valere l’inosservanza del termine. Dalla questione dell’esame d’ufficio deve, però, distinguersi quella sull’incombenza dell’onere di formulare le allegazioni necessarie alla sussunzione giuridica nella fattispecie astratta rilevante. Tale incombenza è a carico
delle parti. Non vi è, quindi, un principio che imponga all’arbitro di
condurre d’ufficio delle indagini. Non è del tutto chiaro, però, su
quale parte gravi l’onere dell’allegazione e quello della prova per
quanto concerne il mancato rispetto del termine. Per ciò che riguarda
la previsione dell’articolo 75 ZGB, comunque, l’opinione dominante
ritiene che l’onere di allegazione e quello della prova siano posti a
carico della parte che intende far valere la mancata osservanza del
termine (23).
III. Il termine di ventuno giorni, previsto dall’articolo R49 del
Codice TAS, ha natura sussidiaria, risultando applicabile soltanto in
assenza di un diverso termine stabilito dalle parti. Un termine diverso può essere previsto nei regolamenti delle associazioni, i cui
provvedimenti rappresentano l’oggetto dell’« appello », oppure in un
accordo separato intercorso tra le parti. Alcune associazioni hanno
adottato, nei loro regolamenti, il termine di ventuno giorni, fissato
nel Codice TAS (si veda, ad esempio, l’articolo 61, primo comma,
(21) Sul diritto svizzero si veda SCHALLER, Einwendungen und Einreden im schweizerischen Schuldrecht, 2010, par. 163 ss.
(22) Si veda anche RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par.
1043; cfr. anche ZEN-RUFFINEN, in Causa Sport, 2007, 67, 81 s.
(23) BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 75 par. 75.
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dello Statuto FIFA). È piuttosto comune, tuttavia, che le varie associazioni sportive facciano uso della facoltà di stabilire un termine diverso da quello in oggetto (24). Dei termini diversi si trovano, ad
esempio, all’articolo 62, terzo comma, dello Statuto UEFA (dieci
giorni), all’articolo 15, secondo comma, della Costituzione IAAF
(sessanta giorni), all’articolo 59, terzo comma, dello Statuto AIBA
(trenta giorni) ed all’articolo L1.9 del Regolamento Interno FIBA
(trenta giorni). Le normative delle associazioni presentano anche,
talvolta, delle divergenze rispetto al Codice TAS per quanto riguarda
le modalità del computo dei termini e dove — vale a dire l’autorità
presso cui — la richiesta d’arbitrato vada presentata (si veda anche
quanto riportato in seguito) (25).
1. a) Se si segue l’opinione sostenuta nel presente contributo e si ritiene, quindi, che il « termine per la proposizione dell’appello » dell’articolo R49 del Codice TAS appartenga al diritto sostanziale, è ben possibile che dei limiti all’autonomia delle parti derivino dal diritto applicabile al merito della controversia (articolo
R58 del Codice TAS). Nel caso in cui al merito risulti essere applicabile il diritto svizzero, una limitazione dell’autonomia delle parti
parrebbe, almeno a prima vista, profilarsi (26), visto che il Codice
Civile di tale ordinamento contiene una previsione, quella dell’articolo 75, che fissa un termine per l’impugnazione dei provvedimenti
adottati dalle associazioni (27). La previsione ora menzionata, infatti,
recita:
(24) RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1032; RIGOZZI,
Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di
pubblicazione); si veda anche CAS [4.7.2005 - 2005/A/831] IAAF v/ Hellebuyck (Preliminary
Decision); [27.5.2003 - 2002/A/432] Demetis v/ FINA, in REEB (a cura di), Digest of CAS
Awards III 2001-2003, 2004, S. 419, 422; [28.7.2000 - 2000/A/262] Roberts v/ FIBA, in REEB
(a cura di) Digest of CAS Awards II 1998-2000, 2002, S. 377, 380; [20.6.2006 - 2006/A/
1065] Williams v/ FEI.
(25) Sulla questione vertente sull’ammissibilità di simili previsioni, si veda CAS
[20.6.2006 - 2006/A/1065] Williams v/ FEI.
(26) Si veda sul punto CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa de
Desportos v/ Club Valencia C.F. S.A.D., par. 75 ss.; NATER, in SpuRt 2006, 139 s.; RIGOZZI,
L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1040 ss.; RIGOZZI, Die Berufungsfrist
vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione).
(27) La previsione viene interpretata — contro il suo tenore letterario — in maniera
piuttosto ampia e viene applicata anche alle decisioni degli organi dell’associazione che riguardano la competenza che la legge o gli statuti attribuiscono all’associazione stessa; cfr.
BGE 118 II 12, E. 3b; 108 II 15, E. 2; Handkommentar zum Schweizerischen Recht, NIGGLI,
2007, Art. 75 ZGB par. 6 f.; HEINI - PORTMANN, in TERCIER (a cura di), Das Schweizerische
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« Ogni [associato] ha, per legge, il diritto di contestare davanti
al giudice le risoluzioni contrarie alla legge od agli statuti ch’egli
non abbia consentite, entro un mese da quando ne ha avuto conoscenza ».
Il termine dell’articolo 75 ZGB è imperativo (28). Ci si chiede,
quindi, fino a che punto il Codice TAS o il regolamento di un’associazione possano divergere da quanto stabilito all’articolo 75 ZGB
(qualora al merito della controversia debba essere applicato il diritto
svizzero). Secondo una corretta opinione, però, non si ritiene che vi
sia alcun conflitto tra il disposto dell’articolo R49 del Codice TAS (o
delle analoghe previsioni contenute nei regolamenti delle varie associazioni) e quello dell’articolo 75 ZGB. Visto, infatti, che ai sensi
dell’articolo R58 del Codice TAS — in base al quale si determina il
diritto applicabile al merito della controversia — a dover trovare applicazione sono, in primo luogo, le disposizioni contenute nei regolamenti delle associazioni, la legislazione ordinaria (ad esempio il
diritto svizzero) andrà applicata soltanto in maniera sussidiaria o integrativa, qualora una determinata questione non sia regolata (in maniera esaustiva) dalla normativa associativa. Quest’ultima normativa
(od il termine previsto dall’articolo R49 del Codice TAS), quindi, ha
precedenza applicativa — almeno nell’ambito dei procedimenti arbitrali « internazionali » — rispetto al diritto statale (nel caso di cui si
tratta, l’articolo 75 ZGB) (29). Quanto appena sostenuto risulta essere
valido anche nel caso in cui la normativa associativa sia in contrasto
con le disposizioni imperative del diritto (sussidiariamente) applicabile al merito della controversia. L’articolo 75 ZGB non limita l’autonomia delle parti di stabilire un termine di decadenza neppure
qualora il diritto svizzero debba trovare piena applicazione alla controversia (30).
Vereinsrecht, Bd II/5, III ed., 2005, par. 281; BSK - HEINI - SCHERRER, ZGB, III ed., 2006,
Art. 75 par. 3 ss.
(28) CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa de Desportos v/ Club
Valencia C.F. S.A.D., par. 75; BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 63 par. 13;
NATER, in SpuRt, 2006, 139; FENNERS, Der Ausschluss der staatlichen Gerichtsbarkeit im organisierten Sport, 2006, par. 98, 248; ZEN-RUFFINEN, in Causa Sport, 2007, 67, 71; RIEMER, in
Causa Sport, 2005, 359, 360; HEINI - PORTMANN, in TERCIER (a cura di), Das Schweizerische
Vereinsrecht, Bd II/5, III ed. 2005, par. 281.
(29) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par.
8.2.7; RIGOZZI, L’arbitrage en matière de sport, 2005, par. 1042.
(30) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par.
8.2.7; in particolare anche CAS [20.6.2008 - 2007/A/1413] WADA v/ FIG & Vysotskaya, par.
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b) L’autonomia delle parti nella fissazione della lunghezza del
termine viene limitata anche dall’ordine pubblico (31). L’ordine pubblico è il « nucleo centrale » degli ordinamenti giuridici, i quali si
oppongono all’applicazione di norme di diritto ad esso (cioè a tale
« nucleo ») estranee e con esso non conciliabili (32). La contrarietà
all’ordine pubblico è uno dei motivi che — ai sensi dell’articolo 190,
secondo comma, lett. e) della Legge Svizzera sul Diritto Internazionale Privato (di seguito « LDIP ») — giustificano l’annullamento del
lodo. È evidente, quindi, che l’arbitro dovrà prestare una particolare
attenzione ad emettere un lodo che sia il più possibile « a tenuta di
Tribunale Federale », non applicando alcuna norma che possa essere
in contrasto con l’ordine pubblico.
aa) Se l’ordine pubblico, che l’arbitro è tenuto a rispettare,
corrisponde ai criteri indicati alla lettera e) del secondo comma dell’articolo 190 LDIP (33), è evidente che il suo contenuto non si determina né secondo l’ordine pubblico svizzero, cui si riferisce l’articolo 17 LDIP, né in base all’ordine pubblico di qualche altro stato (34). Tale ordine pubblico è rappresentato, stando alla giurisprudenza del Tribunale Federale, da un ordine pubblico universale o internazionale (35). Si tratta qui di un ordine pubblico universale o
transnazionale, spogliato della concezione prettamente svizzera (36).
Le definizioni date fin qui dal Tribunale Federale sono molteplici e
presentano notevoli sfaccettature. In esse, infatti, ci si riferisce ai
56; BERNASCONI - HUBER, in SpuRt, 2004, 268, 270; NATER, in SpuRt, 2006, 139, 143 s.; RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1041; RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione).
(31) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par.
8.2.8; ZK-IPRG/HEINI, II ed., 2004, Art. 187 par. 18; si veda anche KAUFMANN-KOHLER - RIGOZZI, Arbitrage International, II ed., 2010, par. 657
(32) KAUFMANN-KOHLER - RIGOZZI, Arbitrage international, II ed., 2010, par. 655.
(33) BSK-IPRG/KARRER, II ed., 2007, Art. 187 par. 204.
(34) ZK-IPRG/HEINI, II ed., 2004, Art. 187 par. 18; BGE 120 II 155, E. 6a.
(35) Si vedano BGer 05.01.07 [4P.210/2006], E. 4.1; BGer 08.03.06 [4P.278/2005],
E. 2.2.2; BGE 120 II 155, E. 6a, nelle quali, ad esempio, il Tribunale Federale ha ricondotto
a questo « ordine pubblico universale » il principio pacta sunt servanda, quello dell’affidamento e quello del divieto dell’abuso del diritto; BSK-IPRG/KARREN, II ed., 2007, Art. 187,
par. 219, con altre indicazioni; ZK-IPRG/HEINI, Art. 187, par. 4 (con riferimento alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo come « ordine pubblico transnazionale »).
(36) KAUFMANN-KOHLER - RIGOZZI, Arbitrage International, II ed. 2010, par. 666; ZKIPRG/HEINI, II ed., 2004, Art. 187, par. 18; si veda anche PORTMANN, in Causa Sport, 2006,
200, 203 e 205.
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« diritti o valori giuridici fondamentali riconosciuti da ogni stato civilizzato » (37), ai principi « predominanti in uno stato di diritto » (38)
od ai « principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, nel modo
in cui essi sussistono in Svizzera » (39). Visto che non tutti gli Stati
hanno i medesimi valori, si potrebbe parlare qui di un ordine pubblico internazionale con una « colorazione svizzera ». Ci si deve,
quindi, sempre chiedere se l’ordinamento giuridico da considerarsi
sia in armonia con l’ordine pubblico internazionale in questione ovvero se, in altri termini, tale ordinamento riconosce i valori fondamentali che, secondo l’opinione dominante in Svizzera, dovrebbero
costituire la base di ogni ordinamento giuridico (40). All’ordine pubblico di cui si tratta dovrà ritenersi appartenere anche il diritto alla
tutela giurisdizionale (previsto anche dall’articolo 29 della Costituzione federale svizzera). Per tale motivo, una disposizione sul termine per la proposizione dell’appello (contenuta nei regolamenti di
un’associazione) che abbia l’effetto di privare l’interessato della tutela giurisdizionale, o renda irragionevolmente difficile l’esercizio di
quest’ultima, è da considerarsi inefficace.
bb) Sembra riscontrarsi un ampio consenso sul fatto che il
termine previsto dall’articolo 75 ZGB (o, meglio, la sua lunghezza)
non debba essere considerato come il minimo di tutela giurisdizionale richiesto dalla riserva di ordine pubblico (41). Nel paragone con
il termine previsto dall’articolo 75 ZGB, inoltre, deve anche considerarsi che se tale termine si riferisce al deposito di tutta la documentazione introduttiva del procedimento (compresa la memoria di
appello), quello dell’articolo R49 del Codice TAS si riferisce soltanto al deposito della « dichiarazione di appello » (lo « Statement of
Appeal », di cui all’articolo R48 del Codice TAS) — relativamente
semplice da redigere — mentre per il deposito della memoria contenente le motivazioni dell’« appello » proposto (« Appeal Brief ») si
prevede un ulteriore termine di dieci giorni, decorrenti a partire dalla
(37) BGE 128 III 234, E 4c.
(38) BGE 128 III 191, E 4a.
(39) BGer 08.04.05 [4P.253/2004], E 3.1.
(40) BGer 05.01.07 [4P.210/2006], E 4.1.
(41) RIGOZZI, L’arbitrage en matière de sport, 2005, par. 1041; RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione);
per una diversa opinione si veda RIEMER, in Causa Sport, 2005, 359, 360.
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scadenza del termine per la proposizione dell’« appello » (« within
ten days following the expiry of the time limit for the appeal ») (articolo 51 del Codice TAS; sul punto si veda quanto riportato in precedenza). Se, allora, i termini degli articoli R49 e R51 del Codice
TAS vengono considerati congiuntamente, dovrà senz’altro escludersi che possa riscontrarsi un difetto di tutela giurisdizionale (contrario all’ordine pubblico) (42).
(1) Il tentativo delle associazioni di impedire la verifica della
correttezza delle decisioni da esse adottate, tramite la previsione di
un termine (eccessivamente) breve, è piuttosto comune. Non sempre
è chiaro, però, quando ci si trovi difronte ad una violazione di principi fondamentali caratteristici dello stato di diritto e, quindi, ad una
violazione dell’ordine pubblico. Nel compiere una simile analisi non
può obliterarsi il dato che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha
ritenuto legittima una compressione del diritto di accesso alla giustizia (statale) — riconducibile all’articolo 6, primo comma, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle
libertà fondamentali — nel caso in cui ciò risulti essere « in the interest of good administration of justice » (43). In tale contesto, la
Corte ha sempre fatto riferimento all’ammissibilità dei termini per la
proposizione della domanda nell’interesse della certezza giuridica (44). La compatibilità con l’ordine pubblico di un termine per la
proposizione dell’appello dipenderà, quindi, dalle circostanze del
caso concreto (45). È evidente, ad esempio, che per quanto concerne
(42) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par.
8.2.8; si veda anche RIGOZZI, L’arbitrage en matière de sport, 2005, par. 1041; RIGOZZI, Die
Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione).
(43) Cfr. Corte EDU (8.7.1986) Lithgow and Others v/ The United Kingdom (Application no. 9006/80; 9262/81; 9265/81; 9266/81; 9405/81) par. 194; si veda, inoltre, Corte
EDU (27.2.1980) Deweer v/ Belgium (Application no. 6903/75) par. 49; (18.2.1999) Waite
& Kennedy v/ Deutschland, NJW 1999, 1173, 1174, par. 59; Corte EDU (13.7.1990) Axelsson and Others v/ Sweden (Application no. 11960/86); sul punto anche BRINER - VON SCHLABRENDORFF, in Liber amicorum Böckstiegel, 2001, 89, 91.
(44) Si veda la documentazione riportata da VILLIGER, Handbuch der Europäischen
Menschenrechtskonvention, II ed., 1999, § 19 par. 432 ss.
(45) Si veda anche Corte EDU (8.7.1986) Lithgow and Others v/ The United Kingdom (Application no. 9006/80; 9262/81; 9265/81; 9266/81; 9405/81) par. 194: « The right
of access to the courts secured by Article 6 para 1 is not absolute but may be subjected to
limitations; these are permitted by implication since the right of access by its very nature
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le decisioni adottate in occasione delle competizioni sportive, per le
quali — in vista di particolari esigenze legate allo svolgimento di
dette competizioni, ancora in corso — è importante che la certezza
giuridica sia raggiunta in maniera rapida e definitiva, dovrà preventivarsi la fissazione di un termine per la proposizione della domanda
più breve, rispetto a quello relativo alle altre decisioni dell’associazione per le quali non sussistano le medesime esigenze di rapidità.
Nell’ambito della valutazione del diritto alla tutela giurisdizionale e dell’interesse « of good administration of justice », inoltre,
non si può evitare di considerare anche il dato che i termini previsti
per l’esercizio di tale diritto nei confronti di una decisione di un’associazione non sono, nella maggior parte dei casi, il risultato di un
« libero » accordo, intervenuto tra l’associazione sportiva e l’atleta,
ma rappresentano delle regole di diritto stabilite unilateralmente dall’associazione stessa. Per stabilire se il termine per la proposizione
della domanda è ragionevole, allora, nell’interesse della « parte debole » dovrebbe evitarsi di fissare un limite troppo « indulgente » (in
favore dell’adeguatezza del termine). Secondo una corretta opinione,
infatti, l’interesse generale dell’associazione ad una rapida risoluzione delle controversie non può giustificare a priori la fissazione, a
proprio piacimento, di termini brevi per la richiesta di tutela giurisdizionale. La fissazione di termini brevi, invece, dovrà essere accompagnata da validi motivi che la giustifichino, motivi che dovranno essere tanto più importanti, quanto più brevi sono i termini
che l’associazione intende stabilire.
Alla luce di tali indicazioni, un termine di dieci giorni per il
deposito dello « Statement of Appeal » dovrebbe essere considerato
— in via di principio — sufficiente (anche per i casi in cui non vi
sia una particolare esigenza di rapidità) (46). Alla stessa stregua, deve
ritenersi lecita la previsione di una norma che fissa un primo termine
di dieci giorni, decorrenti dalla notifica del dispositivo, entro il quale
l’interessato deve richiedere la decisione corredata delle motivazioni,
calls for regulation by the State, regulation which may vary in time and in place according
to the needs and resources of the community and of individuals. In laying down such regulation, the Contracting States enjoy a certain margin of appreciation, but the final decision as
to observance of the Conventions’ requirements rests with the Court. It must be satisfied that
the limitations applied do not restrict or reduce the access left to the individual in such a way
or to such an extent that the very essence of the right is impaired ».
(46) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par.
8.2.8; si veda nache OSWALD, in ZEN-RUFFINEN (a cura di), Le temps et le droit, 2008, 238, 250.
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cui segue un secondo termine di altri dieci giorni, decorrente dalla
data di notifica della documentazione richiesta, entro il quale va depositato lo « Statement of Appeal » (47). È evidente, invece, che il limite dell’ordine pubblico risulterebbe sicuramente violato qualora i
regolamenti dell’associazione prevedano — senza che ricorra una
valida giustificazione legata alle peculiarità dello sport — un termine
per la proposizione della domanda di arbitrato al TAS della durata
(esigua) di uno o due giorni. Una situazione problematica si profila,
poi, quando gli statuti delle associazioni, pur prevedendo la possibilità di proporre appello al TAS (ed il relativo termine), prescrivano il
previo ricorso ad un procedimento associativo (interno), la cui istituzione vada richiesta in un termine estremamente breve. In questo
contesto si fa spesso notare che anche gli ordinamenti (processuali)
nazionali prevedono, non di rado, dei termini molto brevi, entro i
quali ci si può avvalere dei mezzi di impugnazione contro le sentenze dei giudici statali. Tale paragone, però, si rivela inadeguato
sotto più punti di vista. Deve, innanzitutto, ricordarsi che il termine
dell’articolo R49 del Codice TAS è un termine di decadenza di diritto sostanziale. Ora, è ben noto che i termini di decadenza di diritto
sostanziale sono generalmente assai più lunghi di quelli previsti per
i procedimenti davanti ai giudici statali. Deve anche rilevarsi, inoltre, che nel caso dei procedimenti di giustizia ordinaria, anche qualora vengano previsti dei termini molto brevi per le impugnazioni, la
decisione che si vuole impugnare viene emanata, di norma, da un
giudice statale di prima istanza. Al contrario, quando a dover essere
impugnata è la decisione di un’associazione, il TAS rappresenta la
prima (vera) istanza di giudizio. Ed infatti, anche se il procedimento
viene denominato « appeal arbitration procedure », dietro di esso si
nasconde, invece, un (vero e proprio) procedimento di primo grado.
Le decisioni (interne) di un’associazione, del resto, non possono
certo essere equiparate ai procedimenti di primo grado che si svolgono davanti ai giudici statali. In considerazione di quanto appena
riportato, quindi, sembra doversi ritenere che la previsione di un termine per la proposizione della domanda di arbitrato al TAS della durata inferiore ai dieci giorni — senza che una simile previsione sia
accompagnata da valide giustificazioni — debba essere considerata
perlomeno problematica in vista della riserva di ordine pubblico.
8.2.8.
(47)
CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par.
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(2) Nel diritto svizzero vi sono — essenzialmente — due diversi mezzi per impugnare una decisione di un’associazione. Il
primo di essi è la domanda di annullamento prevista dall’articolo 75
ZGB, che è un’azione costitutiva (48). L’altro mezzo, invece, è quello
con il quale l’interessato può far constatare la nullità di un provvedimento dell’associazione, da parte di un giudice ordinario, tramite
un’azione di accertamento per la quale, diversamente dall’azione
prevista dall’articolo 75 ZGB, non è previsto alcun termine (49).
L’azione di mero accertamento, però, ha delle possibilità di successo
soltanto quando la decisione impugnata sia contraria ad una determinata legge od allo statuto, cosa che non sempre si rivela agevole da
appurare (50). In caso di dubbio, il diritto svizzero parte dal presupposto che — al fine di evitare situazioni di incertezza giuridica —
non vi sia nullità del provvedimento, ma semplice impugnabilità. Per
questa ragione, la parte interessata propone — in pratica — per lo
più la domanda di annullamento ai sensi dell’articolo 75 ZGB, visto
anche che con essa possono farsi valere pure i vizi di nullità (51).
In considerazione della situazione del diritto (sostanziale) svizzero, ci si interroga anche sulla portata dell’articolo R49 del Codice
TAS, vale a dire se il « termine d’appello » si applichi, o meno, a
tutte le domande volte ad impugnare un provvedimento adottato dall’associazione. La questione è di una certa importanza, poiché, se ad
essa dovesse darsi una risposta affermativa, in seguito al decorso del
termine, l’interessato non potrebbe far valere — salvo si sia verificata una violazione dell’ordine pubblico — neppure errori madornali
o assai gravi.
c) L’autonomia concessa alle parti dall’articolo R49 del Codice TAS ha ad oggetto, evidentemente, la lunghezza del « termine
d’appello ». È dubbio, invece, se tale autonomia si estenda anche ad
altre questioni, che sono strettamente legate a quella della lunghezza
del termine, come l’inizio della decorrenza del termine, le modalità
di notifica o la questione vertente sul fatto se, per stabilire il rispetto
del termine, debba valere il « principio di emissione » dell’atto, o
(48)
(49)
- SEEMANN,
(50)
(51)
HEINI - PORTMANN - SEEMANN, Grundriss des Vereinsrechts, 2009, par. 228.
BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 75, par. 91; HEINI - PORTMANN
Grundriss des Vereinsrechts, 2009, par. 229.
BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 75, par. 92 ss.
HEINI - PORTMANN - SEEMANN, Grundriss des Vereinsrechts, 2009, par. 229.
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quello della « ricezione » dello stesso (52). Poiché le questioni ora
menzionate incidono — in maniera indiretta — sulla lunghezza del
termine, pare doversi ritenere che anch’esse rientrino nell’ambito
dell’autonomia che l’articolo R49 del Codice TAS riconosce alle
parti, con la conseguenza che eventuali (divergenti) previsioni contenute nei regolamenti delle associazioni a questo riguardo, prevalgono su quanto stabilito all’articolo R49 del Codice TAS (53).
2. L’articolo R49 del Codice TAS stabilisce che l’autonomia
concessa alle parti venga esercitata tramite la previsione di un termine nei regolamenti dell’associazione (ai quali l’altra parte si è assoggettata), oppure tramite la conclusione di un apposito accordo
(« agreement ») tra le parti sulla lunghezza del termine (che può essere contenuto, ovviamente, anche in un accordo di natura più ampia, che non si limita, cioè, a stabilire l’entità del termine). Se il termine per la proposizione dell’appello viene previsto nei regolamenti
dell’associazione, quest’ultima sarà tenuta a rispettare i principi giuridici (formali e materiali) valevoli per la modifica dei regolamenti
stessi. La fissazione del termine, in particolare, dovrà essere effettuata dagli organi competenti e si dovrà osservare la gerarchia delle
norme dell’associazione, il che significa che la fissazione del termine
non può essere effettuata in violazione di norme associative di rango
superiore (54).
È dubbio se l’accordo delle parti sulla lunghezza del termine
d’appello possa essere concluso soltanto prima, o anche dopo, il decorso del termine di decadenza dell’articolo R49 del Codice TAS.
Un accordo successivo è problematico laddove il termine serve anche alla tutela dell’interesse di terzi (55), ossia a garantire l’esigenza
di certezza giuridica anche al di fuori della stretta cerchia delle sole
parti che si oppongono nel procedimento. In un tale caso il termine
d’appello è sicuramente sottratto alla disponibilità delle parti e non
può, quindi, essere modificato dopo il suo decorso. Anche negli altri
(52) Su questo punto si veda anche RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione).
(53) In questo senso anche CAS [20.6.2008 - 2007/A/1413] WADA v/ FIG & Vysotskaya, par. 56.
(54) CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par.
8.2.10 ss.
(55) Cosı̀ sul termine dell’articolo 75 ZGB RIEMER, in Causa Sport, 2005, 359, 360.
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casi (almeno ad una prima impressione), comunque, il testo dell’articolo R49 del Codice TAS sembra non prestarsi ad una modifica
« tardiva », visto che ci si riferisce ad un « previous agreement », per
la fissazione di un termine diverso da quello stabilito. Non si comprende, tuttavia, per quale motivo alle parti dovrebbe venire interdetto — a priori — un prolungamento di comune accordo del termine (di diritto materiale) di decadenza dopo la proposizione della
domanda (56).
IV. 1. Come osservato in precedenza, la decadenza (ovvero
la decadenza dal potere di esercitare l’azione) si determina — in via
di principio — in base al diritto applicabile al merito della controversia (articolo R58 del Codice TAS) (57). Lo stesso vale, inoltre,
anche per tutte le altre questioni connesse al computo del termine.
Se, allora, i regolamenti dell’associazione presentano delle lacune
per ciò che concerne il computo dei termini, dovrà farsi ricorso —
salvo diversa statuizione in detti regolamenti o diverso accordo tra le
parti — ad un’applicazione integrativa del diritto dello stato nel
quale l’associazione ha la propria sede (si veda l’articolo R58 del
Codice TAS). È dubbio, invece, se lo stesso valga nel caso in cui il
termine per la proposizione dell’appello non sia stabilito nei regolamenti dell’associazione, ma sia quello dell’articolo R49 del Codice
TAS. In tale caso, in effetti, non sembra che l’applicazione in via integrativa del diritto statale della sede dell’associazione possa essere
affermata in maniera altrettanto chiara, visto che a dover essere applicata in via principale non è una regola stabilita dall’associazione,
bensı̀ una norma emanata da un’istituzione, il TAS, che ha sede in
Svizzera e che è volta a disciplinare i procedimenti che si svolgono
davanti ad essa. Considerando le valutazioni giuridiche alla base
della formulazione dell’articolo R58 del Codice TAS, il riferimento
in via sussidiaria andrebbe fatto al diritto dello stato nel quale ha
sede l’istituzione che ha emanato la norma (sul termine). A trovare
(56) In CAS [8.9.2005 - 2004/A/727] De Lima BOC v/ IAAF, par. 21, e CAS
[18.3.2005 - 2004/A/769] Bouyer v/ UCI & AMA, par. 32 ss., il termine di decadenza viene
considerato di natura meramente dispositiva.
(57) In tal senso CAS 2004/A/953 [25.11.2005] Dorthe c/ IIHF, par. 50; [2007/A/
1364 - 21.12.2007] WADA v/FAW and James, par. 6.2.; [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.3.4; per una diversa opinione, secondo la quale deve farsi
riferimento al diritto svizzero, si veda RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral
du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione).
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applicazione al computo dei termini, pertanto, deve essere — salvo
diversa previsione contenuta nei regolamenti dell’associazione — il
diritto svizzero quale diritto della sede dell’arbitrato (58).
2. Ai sensi del dettato dell’articolo R49 del Codice TAS, il
termine inizia a decorrere a partire dalla ricezione della decisione
contro la quale si presenta l’appello (« twenty-one days from the receipt of the decision appealed against »).
a) L’inizio della decorrenza del termine è determinato, secondo quanto previsto dall’articolo R49 del Codice TAS, dalla ricezione della decisione contro la quale l’appello si rivolge.
aa) Con la parola « decisione », utilizzata all’articolo R49 del
Codice TAS, si intende — essenzialmente — la « decisione completa »:
« Per poter essere considerata completa, la decisione deve essere corredata delle motivazioni. Infatti, soltanto quando l’interessato
abbia ricevuto il testo integrale della decisione, gli sarà possibile valutare i “rischi” di un procedimento d’appello. Se il dispositivo viene
comunicato all’interessato separatamente, la valutazione delle “prospettive di successo” dell’appello che si vuole proporre potrà essere
fatta soltanto a partire dal momento in cui venga trasmessa anche la
motivazione della decisione ed è solo da questo momento che inizia
a decorrere il termine per la proposizione dell’appello (59). Dalla
questione concernente l’inizio del decorso del termine è da distinguere quella vertente sulla possibilità, per l’interessato, di proporre
appello al TAS già dopo la (sola) comunicazione del dispositivo e,
quindi, prima ancora che il termine inizi a decorrere (60). A tale domanda deve darsi una risposta affermativa, visto che con l’emanazione del dispositivo la decisione è quasi “in mundo”, vale a dire non
è più un affare interno dell’organo giudicante ed è quindi, sostanzial-
(58) Alla stessa conclusione giunge anche RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione).
(59) Cfr. CAS [15.4.2008 - 2007A/1322] Giuseppe Giannini et al v/ S.C. Fotebal
Club SA, par. 7.2.
(60) Si veda sul punto CAS [15.4.2008 - 2007A/1322] Giuseppe Giannini et al v/
S.C. Fotebal Club SA, par. 7.3.
19
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mente, impugnabile. Ciò sempre, però, che i regolamenti applicabili
non stabiliscano che si possa impugnare soltanto la decisione motivata. Se cosı̀ fosse, l’appello potrà essere presentato — di norma (61)
— soltanto dopo che le motivazioni siano state rese note.
Se un provvedimento dell’associazione decide solo su una parte
della controversia ed è (separatamente) impugnabile presso il TAS,
il termine per la proposizione dell’appello inizia a decorrere per tale
provvedimento parziale, senza che debba attendersi la decisione vertente sui restanti punti della controversia.
Alla decisione “completa” non appartengono — salvo che la
normativa dell’associazione non preveda diversamente — le indicazioni relative ai mezzi di impugnazione. L’inclusione nella decisione
di dette indicazioni, quindi, non è necessaria per l’inizio del decorso
del termine (si veda anche quanto riportato in seguito).
I regolamenti dell’associazione possono anche prevedere — in
difformità rispetto all’articolo R49 del Codice TAS — che il termine
cominci a decorrere solo a partire dal momento della ricezione di
tutti gli atti del procedimento e non, invece, già dalla sola notifica
della decisione (62).
bb) Con l’espressione « ricezione », utilizzata nell’articolo
R49 del Codice TAS, si intende che la decisione deve essere pervenuta sotto la « sfera di controllo » dell’interessato (o del suo rappresentante o di altra persona autorizzata). È dubbio se al termine in
questione debba essere attribuito anche il significato secondo il quale
l’interessato debba avere l’effettiva possibilità di prendere conoscenza della decisione. Una simile questione può assumere una certa
rilevanza nel caso in cui la decisione venga trasmessa via fax all’interessato ad un’ora talmente tarda che, in circostanze normali, non si
dovrebbe ritenere che lo stesso ne venga a conoscenza nello stesso
giorno in cui la decisione è stata inviata. La problematica va affrontata facendo riferimento al diritto applicabile al merito della contro-
(61) Ad una conclusione diversa dovrà arrivarsi qualora la decisione cominci a produrre degli effetti nei confronti dell’interessato ancor prima che la motivazione venga resa
nota.
(62) Si veda, ad esempio, CAS [7.4.2009 - 2008/A/1675] UCI v/ Ariel M. Richeze et
UCRA, par. 51.
20
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versia ed al diritto svizzero (63). Quest’ultimo prevede che, per ritenersi giunta al destinatario, non è sufficiente che la dichiarazione di
volontà (ma anche la decisione) sia pervenuta nella disponibilità (o
sotto la « sfera di controllo ») dell’interessato, ma è necessario anche
che quest’ultimo abbia la (effettiva) possibilità di prenderne cognizione (64). Il principio ora enunciato dovrà essere utilizzato anche
nell’interpretazione dell’articolo R49 del Codice TAS (65). Ciò posto,
è chiaro, però, che non rileva il fatto che l’interessato abbia concretamente preso cognizione della decisione, oppure no (66).
Accade, talvolta, che la notifica della decisione venga fatta al
destinatario a mezzo di lettera raccomandata. Nel caso in cui l’interessato non venga reperito all’indirizzo presso cui la notifica deve
avvenire, al destinatario della corrispondenza viene lasciata una comunicazione nella propria cassetta postale, con la quale si indica che
è stato compiuto un tentativo di notifica e che la relativa documentazione può essere ritirata (entro un determinato lasso di tempo)
presso gli uffici postali. Ci si può chiedere, allora, cosa succeda se
l’interessato non abbia ritirato la corrispondenza a lui destinata entro
tale lasso di tempo e la decisione sia stata rinviata all’ente sportivo.
Nel diritto svizzero, ad esempio, in un simile caso si presume che la
notifica o la ricezione siano avvenute (67). È dubbio, però, se lo
stesso principio sia applicabile anche all’articolo R49 del Codice. Ed
infatti, deve notarsi che, in primo luogo, la regola sulla « ricezione
fittizia », appena menzionata, si rivolge al caso di una notificazione
da effettuarsi in Svizzera (tramite l’impiego dei servizi postali di tale
Paese). Oltre a ciò, poi, va rilevato che l’applicazione della nozione
di « ricezione fittizia » non viene condivisa dagli altri ordinamenti (68). Va notato, infine, che la disposizione dell’articolo R49 si pre-
(63) Cfr. anche RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS),
in Causa Sport (in corso di pubblicazione).
(64) BGE 118 II 42, E. 3b; si veda anche CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação
Portuguesa de Desportos v/ Club Valencia C.F. S.A.D., par. 60.
(65) CAS [24.1.2007 - 2006/A/1153] WADA v/ Assis & FPD, par. 40 (qui, però, con
un’interpretazione restrittiva del principio).
(66) CAS [24.1.2007 - 2006/A/1153] WADA v/ Assis & FPD, par. 40; si veda anche
CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa de Desportos v/ Club Valencia C.F.
S.A.D., par. 60.
(67) Si veda l’articolo 138 del Codice di procedura civile oppure ATF 107 II 189,
191 s.
(68) Per il diritto tedesco, si veda, ad esempio: Tribunale Federale (BGH) NJW 1998,
976, 977; per il diritto austriaco: Tribunale Federale (OGH) [12.1.1971] Az. 4Ob102/70.
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figge di disciplinare in maniera uniforme (a livello internazionale)
tutte le problematiche legate al termine in essa previsto. Proprio per
tale ragione, quindi, la regola enunciata dall’articolo R49 del Codice
TAS deve essere considerata « esaustiva », senza che vi sia spazio
per il ricorso — anche in via sussidiaria — alla normativa svizzera
sulla « notifica fittizia » (tramite lettera raccomandata) (69).
Se il regolamento dell’associazione prevede determinati requisiti di forma, secondo i quali la decisione deve essere resa nota all’interessato (ad esempio a mezzo di lettera raccomandata, plico raccomandato con ricevuta di ritorno, fax, ecc.), essi vanno rispettati (70). È dubbio, tuttavia, come debba procedersi nel caso in cui le
regole in questione non siano state osservate ma l’interessato abbia,
comunque, ricevuto la decisione completa. Le conseguenze dipendono dal fatto che la forma (di notifica) concordata — secondo il
volere delle parti — abbia natura costitutiva oppure meramente dichiarativa. Alla forma va attribuita natura costitutiva quando dal rispetto della stessa dipendono l’efficacia della decisione o della dichiarazione contenuta nell’atto ed il relativo decorso del termine (71).
Di una natura dichiarativa si parlerà, invece, quando il rispetto della
forma sia finalizzato soltanto ad uno scopo documentativo od a
quello della prova (72). Sembra doversi ritenere che in caso di accordo su una forma determinata, a quest’ultima debba essere attribuita — nel dubbio — soltanto un’efficacia (o « natura ») dichiarativa. Cosı̀, se i regolamenti dell’associazione prevedono che la decisione sia trasmessa « a mezzo di lettera raccomandata », è chiaro che
la forma scritta è un requisito di natura costitutiva della decisione.
Alla modalità con cui essa va comunicata (« tramite raccomandata »), invece, va attribuita — nel dubbio — una natura meramente
dichiarativa, con la conseguenza che la decisione dell’associazione
sarà efficace (recepita e determinerà l’inizio del decorso del termine)
anche qualora il destinatario l’abbia ricevuta in un modo diverso da
quello stabilito (ad esempio via fax) (73).
(69) CAS [21.2.2012 - 2011/A/2506] Yassine Chikhaoui v/ Stéphane Canard, no. 6.9 ss.
(70) CAS [5.5.2008 - 2007A/1362& 1393] CONI v/ Petacchi & FCI, WADA v/ Petacchi & FCI, par. 5.6; RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS),
in Causa Sport (in corso di pubblicazione).
(71) In tal senso CAS [5.5.2008 - 2007A/1362& 1393] CONI v/ Petacchi & FCI,
WADA v/ Petacchi & FCI, par. 5.6 (la questione, tuttavia, non è stata, poi, decisa).
(72) Sul diritto tedesco, si veda MünchKommBGB-Einsele, V ed. 2006, § 127 par. 4 s.
(73) Cosı̀ — in generale — sugli accordi sulle modalità di comunicazione delle di-
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b) aa) Il testo dell’articolo R49 del Codice TAS non aiuta a
capire come vada computato il termine in esso contenuto, visto che
la previsione non è sufficientemente chiara (74). La recente revisione
del Codice non ha, purtroppo, fatto luce sul punto. La stessa giurisprudenza del TAS su tale (importante) questione non è univoca (75).
La problematica si concentra, essenzialmente, sulla possibilità che il
computo dei termini venga effettuato facendo riferimento all’articolo
R32 del Codice TAS, il quale prevede che:
« [t]he time limits fixed under the present Code shall begin from
the day after that on which notification by the CAS is received ».
Ora, sebbene questa previsione non contenga alcun riferimento
all’articolo R49 del Codice TAS, va anche detto che alla sua base vi
è un intento che può essere esteso all’articolo da ultimo menzionato (76). Deve, pertanto, ritenersi che la parte che intende proporre
l’appello abbia a disposizione ventuno giorni « pieni » per farlo.
Cosı̀, per fare un esempio, se la notifica della decisione sarà avvenuta il 2 di ottobre, il termine scadrà il giorno 23 dello stesso mese.
Detto termine, infatti, non inizierà a decorrere a partire dal giorno
della notifica (il 2 ottobre), bensı̀ da quello successivo (vale a dire il
3 ottobre). Questa modalità di computare i termini corrisponde, tra
l’altro, anche a valutazioni che si ritrovano, nel diritto svizzero, all’articolo 132 del Diritto delle Obbligazioni (« OR ») (77) nel combinato con il n. 1 del primo comma dell’articolo 77 OR (78).
chiarazioni di volontà nel diritto tedesco BGH NJW 2004, 1320; MünchKommBGB-Einsele,
V ed. 2006, § 127 par. 5; Bamberger/Roth/Wendtland, BGB, II ed. 2007, § 125 par. 13.
(74) Su questo punto si veda RIGOZZI, L’arbitrage en matière de sport, 2005, par.
1052.
(75) Per un inizio del decorso del termine a partire dal giorno dell’avvenuta notifica
CAS [2002/A/399 - 31.1.2003] P. v/ FINA, in: Reeb (Hrsg) Digest of CAS Awards III 20012003, 382, 385; per un inizio del decorso del termine a partire dal giorno successivo a quello
della notifica, si veda, invece, CAS [2008/A/1705 - 18.6.2009] Grasshopper v/ Club Alianza
de Lima, par. 8.3.3; [2006/A/1176 - 12.3.2007] Belarus Football Federation v/ UEFA & FAI,
par. 7.2; [2008/A/1583&1584 - 15.9.2008] Sport Lisboa e Benfica Futebol SAD v/ UEFA, &
FC Porto Futebol SAD, par. 7; [2007/A/1364 - 21.12.2007] WADA v/FAW and James, par.
6.1 s.
(76) In tal senso anche CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa de
Desportos v/ Club Valencia C.F. S.A.D., par. 69; si veda anche CAS [18.6.2009 - 2008/A/
1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.3.3 s.
(77) La previsione si applica ai relativi termini di « Verwirkung », RIEMER, Anfechtungs- und Nichtigkeitsklagen im schweizerischen Gesellschaftsrecht, 1998, par. 195; FENNERS, Der Ausschluss der staatlichen Gerichtsbarkeit im organisierten Sport, 2006, par. 357.
(78) In tal senso anche CAS [2007A/1364 - 21.12.2007] WADA v/FAW and James,
par. 6.1 s.; [24.1.2007 - 2006/A/1153] WADA v/ Assis & FPF, par. 41.
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Il termine scade — come avviene nell’ambito applicativo dell’articolo R32 del Codice TAS — alla mezzanotte dell’ultimo giorno.
Ciò significa che tale ultimo giorno rientra in pieno nel computo del
termine e può essere pienamente sfruttato (79). La domeniche ed i
giorni festivi sono inclusi nel computo del termine — come avviene
per l’articolo R32 del Codice TAS — e non valgono a prolungare lo
stesso. Se, però, l’ultimo giorno del termine cade in un giorno festivo
o non lavorativo, il termine si prolunga, automaticamente — come
nel caso dell’articolo R32 del Codice TAS —, fino alla mezzanotte
del primo giorno lavorativo utile (successivo a quello in cui il termine sarebbe altrimenti scaduto) (80). La previsione dell’articolo R32
del Codice TAS corrisponde, per quanto qui interessa, a quella del
primo comma dell’articolo 78 OR che, a sua volta, viene integrata
dalla legge federale sulla decorrenza dei termini di sabato (S
172.110.3). È dubbio se, nel caso di cui ci si occupa, per stabilire se
si abbia a che fare con una giornata non lavorativa o festiva debba
farsi riferimento al « luogo di ricezione » od a quello dal quale la
documentazione necessaria debba essere inviata. In ogni caso, però,
lo stato del diritto del luogo di ricezione va senz’altro tenuto in considerazione (81). Secondo il diritto svizzero, un sabato nel quale cade
l’ultimo giorno di un termine non va considerato come un giorno lavorativo (82).
bb) Se i regolamenti dell’associazione prevedono un termine
diverso da quello dell’articolo R49 del Codice TAS, il computo va
effettuato in base al diritto applicabile al merito della controversia (si
veda quanto riportato in precedenza). Nel caso in cui tale diritto
fosse il diritto svizzero, trova applicazione l’articolo 77 OR (83). Se
il termine è espresso in giorni, il suo computo si effettua secondo i
principi che si sono indicati a proposito dell’articolo R49 del Codice
8.3.5.
(79)
CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par.
(80) CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa
Valencia C.F. S.A.D., par. 69.
(81) CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa
Valencia C.F. S.A.D., par. 70.
(82) CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa
Valencia C.F. S.A.D., par. 69.
(83) Questa previsione corrisponde, essenzialmente, ai criteri
zione Europea sul Computo dei Termini del 15 maggio 1972.
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de Desportos v/ Club
de Desportos v/ Club
de Desportos v/ Club
stabiliti dalla Conven-
TAS (84). Se, invece, nei regolamenti dell’associazione il termine è
espresso in settimane, la sua scadenza si verifica — in applicazione
dell’articolo 77 OR — in quel giorno dell’ultima settimana che porta
lo stesso nome del giorno in cui il termine ha iniziato a decorrere.
Se il termine è espresso in mesi o in un periodo di tempo che comprende più mesi (un anno, un semestre, un trimestre), la scadenza si
verifica con il decorso del giorno dell’ultimo mese che, in base al
numero, corrisponde al giorno in cui il termine ha iniziato a decorrere (85). Se, allora, la decisione sarà stata notificata il quindici di ottobre, il termine mensile scadrà il quindici di novembre (86). Se la
fine del termine cade in un giorno non lavorativo o festivo, si applica
la stessa disciplina già esposta in precedenza con riguardo al termine
dell’articolo R49 del Codice TAS.
Poiché, spesso, i regolamenti delle associazioni fanno dipendere l’inizio della decorrenza del « termine per la proposizione dell’appello » (almeno nei confronti di una delle parti — di norma l’atleta od altro membro dell’associazione) dal verificarsi di determinate
condizioni (come, ad esempio, la ricezione di tutti gli atti del procedimento), anche la data finale del termine può risultare (di riflesso)
spostata in avanti nel tempo (87). Quest’ultima situazione può creare
dei seri disagi agli altri interessati che abbiano già fatto affidamento
sulla (supposta) validità del provvedimento. Non è chiaro, perciò, se
sia possibile che una parte decada dal potere di impugnare — sebbene il termine non sia ancora scaduto — anche per motivi diversi
dal decorso inutile del « termine d’appello » (88). È assai difficile che
si possa stabilire un limite (massimo) temporale, entro il quale
l’« appello » debba essere proposto. Molto dipenderà, invece, dalle
circostanze del caso concreto. È certo, però, che il limite risulterà
essere stato varcato qualora gli interessati abbiano fatto legittima-
(84) Per un termine di dieci giorni, si veda CAS [18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.3.3 ss.; [2007/A/1364 - 21.12.2007] WADA v/FAW
and James, par. 6.3.
(85) Si veda, per esteso, CAS [26.6.2007 - 2006/A/1175] Daniute v/ IDSF, par. 52.
(86) Per un simile computo, si veda CAS [5.5.2008 - 2007A/1362& 1393] CONI v/
Petacchi & FCI, WADA v/ Petacchi & FCI, par. 5.6 s.
(87) Per un caso del genere, si veda CAS [20.6.2008 - 2007/A/1413] WADA v/ FIG
& Vysotskaya, par. 48 ss.; [24.1.2007 - 2006/A/1153] WADA v/ Assis & FPF, par. 42 ss.;
[5.5.2008 - 2007A/1362& 1393] CONI v/ Petacchi & FCI, WADA v/ Petacchi & FCI, par.
5.8 ss.
(88) Questa problematica viene sollevata in CAS [24.1.2007 - 2006/A/1153] WADA
v/ Assis & FPF, par. 44, nel quale non si fornisce, tuttavia, una risposta.
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mente affidamento sul fatto che il provvedimento (dell’associazione)
non sarebbe stato più oggetto di impugnazione. Qualora, ad esempio,
la « parte appellante » sia venuta (in qualche modo) a conoscenza
dell’esistenza della decisione, su di essa potrà ritenersi gravare, sempre nell’ambito del ragionevole e delle sue possibilità, un obbligo di
informarsi (89). Se tale obbligo non viene adempiuto, sarebbe da ritenersi contrario alla buona fede ogni eccezione legata al fatto che il
termine non è iniziato a decorrere. Certo è, però, che l’intensità dell’obbligo in questione non potrà essere esagerata (90).
3. a) Indipendentemente dal fatto che la previsione sul termine, cui debba farsi riferimento, sia quella contenuta nel Codice
TAS, oppure sia riportata nei regolamenti dell’associazione, tale termine non potrà essere prolungato dall’arbitro (91). Ciò si evince,
chiaramente, dall’articolo R32 del Codice TAS (92), che stabilisce
quanto segue:
« [u]pon application on justified grounds, either the President
of the Panel or, if he has not yet been appointed, the President of the
relevant Division, may extend the time limits provided in these Procedural Rules, with the exception of the time limit for the filing of the
statement of appeal, if the circumstances so warrant and provided
that the initial time limit has not already expired. With the exception
of the time limit for the statement of appeal, any request for a first
extension of time of a maximum of five days can be decided by the
CAS Secretary General ».
b) È dubbio se il verificarsi di determinate circostanze successive all’emanazione della decisione possa influire sul decorso del
termine. Se si considera il principio della buona fede — che va tenuto presente sia nell’ambito del diritto processuale, che in quello
del diritto sostanziale —, sembra che al quesito posto debba darsi
(89) In questo senso CAS [20.6.2008 - 2007/A/1413] WADA v/ FIG & Vysotskaya,
par. 54 ss.
(90) Si veda anche CAS [23.6.2009 - 2008/A/1564] WADA v/ IIHF & Busch, par.
63.
(91) Neppure un giudice statale — in via di principio — può, secondo il diritto svizzero, prolungare un termine di « Verwirkung » (od effettuare una remissione in tale termine),
quando esso sia decorso. BGE 101 II 86 E. 2
(92) RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1044 s.
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(pur in assenza di una base corrispondente nel Codice TAS) una risposta affermativa (93).
aa) L’« appello » contro un provvedimento sportivo ai sensi
dell’articolo R49 del Codice TAS può essere proposto soltanto dopo
che i rimedi « interni » dell’associazione siano esauriti. Accanto ai
mezzi di impugnazione « ordinari », all’interessato è data sempre la
possibilità di presentare (senz’alcun vincolo di termine o di forma)
un’istanza di riesame. Ci si chiede, quindi, se la presentazione di una
simile impugnazione « straordinaria » possa influire sul decorso del
« termine d’appello ». Sembra doversi escludere, tuttavia, che una
« impugnazione » del tipo in oggetto possa incidere, in qualche
modo, sul termine di decadenza (94). L’istanza di riesame, quindi,
non eserciterà alcun influsso né per quanto riguarda un eventuale
nuovo inizio del decorso del termine, né per ciò che concerne una
sospensione di quest’ultimo. Quanto appena sostenuto deriva dal
principio della buona fede, visto che, se si dovesse optare per una
diversa soluzione, la « parte appellante » avrebbe il potere di prorogare il « termine d’appello » a suo piacimento (95).
bb) Può darsi che il mancato rispetto del « termine d’appello » sia da imputare non alla condotta della « parte appellante »
ma a quella della « parte appellata ». In tal caso il principio della
buona fede impedisce — in via di principio — di far gravare le conseguenze derivanti dal decorso inutile del termine sulla « parte appellante ». Ci si può chiedere da quale istituto giuridico si possa
trarre la conclusione ora indicata. Ad un primo sguardo viene in
mente un’applicazione analogica delle previsioni della prescrizione,
di cui agli articoli 135 ss. OR (96), con relativa rimessione in termini
(93) Cosı̀ anche RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport
(TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione).
(94) In questo senso, sul diritto svizzero, RIEMER, Anfechtungs- und Nichtigkeitsklagen im schweizerischen Gesellschaftsrecht, 1998, par. 196; BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst.
Teil, 1990, Art. 75, par. 74.
(95) Cosı̀, giustamente, BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 75, par. 74.
(96) Un’applicazione diretta va esclusa, visto che le previsioni in esame si riferiscono alla prescrizione (« Verjährung ») e non anche, invece, alla « Verwirkung ». Si veda
RIEMER, Anfechtungs- und Nichtigkeitsklagen im schweizerischen Gesellschaftsrecht, 1998,
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per negligenza non addebitabile, oppure il venir meno della possibilità, per la « parte appellata », di eccepire il mancato rispetto dei termini per contrarietà alla buona fede (articolo 2, comma 2, ZGB). In
Svizzera, la dottrina e la giurisprudenza tendono generalmente —
per gli altri termini di decadenza — ad applicare la previsione del
secondo comma dell’articolo 2 ZGB, ritenendo, di conseguenza, che
la decadenza causata dalla condotta della « parte appellata » non
debba essere considerata (97). La possibilità del mancato rispetto dei
termini causato da una condotta altrui può verificarsi, in particolare,
nei seguenti casi:
— Prospettarsi del ritiro del provvedimento dell’associazione.
Un caso di « induzione », che dà luogo ad un prolungamento ex lege
del termine, si verifica qualora l’associazione prospetti concretamente l’annullamento del provvedimento da essa adottato — ad
esempio nel corso di una trattativa (stragiudiziale) con la « parte appellante » — ma si comporti diversamente dopo la scadenza del
« termine d’appello » (98).
— Mancanza di chiarezza sulle istanze giuridiche interne (dell’associazione). Molto spesso capita che il mancato rispetto del « termine d’appello » sia dovuto alla mancanza di chiarezza che si riscontra circa le istanze giuridiche interne dell’associazione. Come si
è detto, con l’« appello » previsto dall’articolo R49 del Codice TAS
possono essere impugnate solo decisioni definitive (dell’associazione). Detto altrimenti, la « parte appellante » deve aver esaurito le
istanze interne di ricorso dell’associazione, prima di poter proporre
appello al TAS. Ci si chiede, quindi, se si verifichi un caso di « induzione », nel senso sopra indicato, quando a causa della mancanza
di chiarezza circa le istanze interne di ricorso (imputabile all’associazione) la « parte appellante » abbia impugnato la decisione presso
l’istanza sbagliata ed abbia, cosı̀, mancato il « termine d’appello » (99). Sembra che, all’interrogativo ora proposto, debba darsi una
risposta affermativa.
par. 192; FENNERS, Der Ausschluss der staatlichen Gerichtsbarkeit im organisierten Sport,
2006, par. 355.
(97) BGE 101 II 86 E. 2; BGE 113 II 264, E. 2e; RIEMER, Anfechtungs- und Nichtigkeitsklagen im schweizerischen Gesellschaftsrecht, 1998, par. 194.
(98) RIEMER, Anfechtungs- und Nichtigkeitsklagen im schweizerischen Gesellschaftsrecht, 1998, par. 194; FENNERS, Der Ausschluss der staatlichen Gerichtsbarkeit im organisierten Sport, 2006, par. 380.
(99) Per un caso in cui la questione di cui si discute è stata sollevata (dandosi una
risposta negativa) si veda CAS [11.6.2009 - 2008/A/1658] SC Fotbal Club Timisoara SA v/
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— Indicazione dei mezzi di impugnazione. L’eventuale necessità di riportare nella (o allegare alla) decisione l’indicazione circa i
mezzi di impugnazione proponibili si evince dal diritto applicabile
alla controversia (100). Se ciò fosse previsto, ma l’indicazione non
venga fornita alla « parte appellante », deve ritenersi che il mancato
rispetto del termine sia stato causato dalla « condotta » dell’associazione, con la conseguenza che quest’ultima non potrà far valere la
decadenza. Un dovere di istruzione sui mezzi di impugnazione può
derivare, eventualmente, anche se si considera l’« assistenza » che si
deve prestare a coloro che sono soggetti alle regole associative,
quando queste ultime sono complesse ed il « termine d’appello » è
breve. Indipendentemente, poi, dalla previsione nei regolamenti dell’associazione di un dovere di indicare i mezzi di impugnazione, si
ha a che fare con una « induzione », nel senso sopra indicato, quando
tale indicazione è errata o equivoca (101). Per la « parte appellante »,
infatti, non potranno farsi derivare pregiudizi a causa di un’erronea
indicazione dei mezzi di impugnazione (102). L’indicazione dei mezzi
di impugnazione dovrà essere tanto più chiara e trasparente quanto
più breve è il termine per la proposizione dell’« appello », visto che
la « parte appellante » avrà, di riflesso, meno tempo per controllare
la conformità dell’indicazione allo stato effettivo del diritto (103).
cc) Il termine (di diritto sostanziale) di decadenza previsto dai
regolamenti dell’associazione, o quello previsto dell’articolo R49 del
Codice TAS, possono creare delle grosse difficoltà alla parte che
vuole adire le vie legali, quando vi siano dei dubbi sulla stessa validità (od esistenza) dell’accordo arbitrale. Il motivi di una tale invalidità possono essere vari e derivare, ad esempio, dai vizi della volontà delle parti o da quelli di forma, dalla mancanza di capacità
FIFA & RFF, par. 100 ss.; si veda anche CAS [13.7.2009 - 2009/A/1759& 1778] FINA v/
Jaben & ISA, WADA v/ Jaben & ISA, par. 1.6 ss.
(100) Sul diritto tedesco, si veda HAAS, in HAAS - HAUG - RESCHKE, Handbuch des
Sportrechts, Teil B 2. Cap, par. 131 s.
(101) Si veda CAS [25.9.2009 - 2009/A/1795] Obreja v/ AIBA, par. 80 ss.; CAS
[18.6.2009 - 2008/A/1705] Grasshopper v/ Club Alianza de Lima, par. 8.2.15.
(102) Questo principio vale anche nel diritto svizzero con riferimento ai procedimenti
di giurisdizione ordinaria. Si veda BGer 13.7.2007 [1C - 89/2007], E. 2.3 con riferimento all’Art. 197 IIIa OG und Art. 49 BGG, dove il principio viene espressamente ancorato al diritto processuale.
(103) CAS [25.9.2009 - 2009/A/1795] Obreja v/ AIBA, par. 80 ss.
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soggettiva di essere parte in un procedimento arbitrale oppure dalla
non arbitrabilità dell’oggetto della controversia.
(1) La questione sulla validità del compromesso (o accordo)
arbitrale può essere sollevata — in via di principio — sia davanti ai
giudici statali, che davanti agli arbitri. La prima ipotesi si verifica
quando una parte abbia adito la giurisdizione ordinaria sul merito
della controversia e la parte avversaria sollevi l’eccezione arbitrale.
In tal caso il giudice statale dovrà verificare se vi è, in effetti, un
compromesso arbitrale tra le parti e se lo stesso riguarda l’oggetto
della controversia pendente davanti a lui. Questo è, comunque,
quanto richiede ai giudici statali l’articolo II, terzo comma, della
Convenzione di New York sul Riconoscimento ed Esecuzione delle
Sentenze Arbitrali Straniere del 1958 (« CNY »). In base a tale previsione, il giudice di uno stato contraente « cui sia sottoposta una
controversia su una questione, per la quale le parti abbiano concluso una convenzione [arbitrale]..., rinvierà le medesime, su istanza
di una di esse, ad un arbitrato, sempreché non riscontri che detta
convenzione sia caduca, inoperante o non suscettibile di applicazione ». Anche il tribunale arbitrale può — di norma —, quando sia
stato adito da una delle parti, emanare una decisione parziale o finale
sulla propria competenza. La possibilità di emanare un lodo parziale,
nel caso del TAS, non deriva direttamente del Codice TAS, bensı̀
dall’articolo 186, terzo comma, della LDIP. A tale possibilità si ricorre sempre più spesso nella giurisprudenza del TAS (104). Se, tuttavia, la decisione sulla validità del compromesso arbitrale viene
presa dall’arbitro, essa non è vincolante per i giudici statali. Sono
questi ultimi, infatti, ad avere l’ultima parola sulla validità del compromesso arbitrale.
Le conseguenze di una errata valutazione, circa la validità dell’accordo arbitrale, possono essere, in vista dei termini di decadenza,
considerevoli. Per la parte attrice, infatti, sussiste il pericolo di perdere ogni possibilità di far valere i propri diritti. Quanto appena so-
(104) Si veda RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1019;
cfr., però, CAS [27.7.2006 - 2006/A/1024 FC Metallurg Donetsk v/ Lerinc (order); [4.7.2005
- 2005/A/831] IAAF v/ Hellebuyck (Preliminary Decision); [28.7.2000 - 2000/A/262] Roberts
v/ FIBA, in Reeb (Hrsg) Digest of CAS Awards II 1998-2000, 2002, 377.
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stenuto può essere spiegato con un caso che è stato deciso dal
TAS (105):
La federazione internazionale di Hockey sul ghiaccio aveva
emanato un provvedimento nei confronti dell’« attore ». Al provvedimento in questione era stato allegato un modulo nel quale, tra l’altro, si leggeva: « the player is entitled to lodge an appeal against
this decision at the following court: Court of Arbitration for Sport
(CAS). ... The time limit for the appeal is twenty-one days after receipt of this decision ». L’attore, in un primo momento, aveva contestato il provvedimento davanti ai giudici statali del luogo dove la
federazione aveva la propria sede (Zurigo), perché, a suo avviso, non
vi era un valido compromesso arbitrale. La federazione, convenuta in
giudizio, aveva sollevato l’eccezione arbitrale, sulla base della quale
la domanda è stata, poi, rigettata dal giudice. Subito dopo ciò — ma
inevitabilmente dopo il decorso del termine relativo — l’« attore »
ha presentato domanda d’arbitrato al TAS. Il Collegio incaricato
della decisione, però, ha rigettato la domanda a causa del mancato
rispetto del « termine d’appello ».
(2) Ci si può chiedere come una simile situazione possa essere evitata. A questo proposito, vengono in rilievo diverse opzioni.
— Instaurazione di procedimenti paralleli. Una soluzione al
problema potrebbe essere — salvo per quanto riguarda, evidentemente, i costi — quella di instaurare dei procedimenti paralleli, davanti al giudice statale e davanti all’arbitro. Se il procedimento arbitrale è stato iniziato dopo quello statale, il primo risulterà essere (in
determinate condizioni) « ostacolato », ai sensi del disposto dell’articolo 186, comma 1bis LDIP, dalla pendenza del secondo — se
l’oggetto dei due procedimenti è identico —, con la conseguenza che
il procedimento arbitrale dovrà essere sospeso (106). Visto, però, che
vi sono delle eccezioni alla sospensione dovuta alla litispendenza, la
parte attrice non ha alcuna garanzia che il procedimento arbitrale
(105) CAS [25.11.2005 - 2004/A/953] Dorthe v/ IIHF; si veda anche CAS [14.3.2007
- 2006/A/1176] Belarus Football Federation v/ UEFA, par. 7.9.
(106) In generale, sulla sospensione dovuta alla litispendenza nel rapporto tra i giudici statli e gli arbitri, cfr. HAAS, in FS Rechberger, 2005, 187, 195 s.; si veda anche SCHLOSSER, in Bull. ASA, 2001, 15, 16 s. e 19 s.; sul (vecchio) diritto svizzero, si veda anche BGE
127 III 279, E. 2.
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venga, effettivamente, sospeso (107). Quanto appena detto vale anche
per il caso in cui, con lo « Statement of Appeal » si richieda anche
che il procedimento arbitrale debba essere sospeso fino a quando il
giudice statale non abbia deciso sulla (propria) competenza (108).
— Rinvio invece di rigetto. Un’altra via d’uscita al problema
potrebbe essere quella di vincolare il giudice statale, davanti al quale
l’eccezione arbitrale viene sollevata, a rinviare le parti al tribunale
arbitrale (competente), invece di rigettare la domanda. Cosı̀ facendo,
infatti, la domanda rimarrebbe pendente, con la conseguenza che il
termine di decadenza sarebbe rispettato. A prima vista, la conclusione ora riportata parrebbe essere confermata dalla previsione del
terzo comma dell’articolo II della CNY, che impone al giudice statale — qualora ravvisi l’esistenza di una valida convenzione arbitrale
— di rinviare « the parties to arbitration ». Secondo l’opinione dominante, però, l’espressione contenuta nella previsione appena menzionata sul « rinviare le parti ad arbitrato » è da intendersi in maniera
« non tecnica » (109), essendo volta soltanto ad impedire che il giudice adotti una decisione nel merito, mentre le conseguenze giuridiche vengono lasciate — dalla CNY — al diritto statale (interno) (110). A questo riguardo i singoli ordinamenti giuridici si dividono, essenzialmente, in due modelli che prevedono — nel caso
venga sollevata una valida eccezione arbitrale — o il rinvio, o la sospensione del procedimento (111). Di norma, però, non si avrà un rinvio della controversia in senso tecnico (in particolare per come viene
effettuato tra giudici statali) nel rapporto tra i giudici statali e gli arbitri (112). Quanto appena indicato è dovuto, non in ultimo, anche al
(107) RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa
Sport (in corso di pubblicazione).
(108) Per un tal caso CAS [1.6.2010 - 2009/A/1880&1881] FC Sion v/ FIFA & AlAhly Sporting Club, Essam El Haddary v/ FIFA & Al-Ahly Sporting Club, par. 45.
(109) SCHWAB - WALTER, Schiedsgerichtsbarkeit, VII ed., 2005, Cap. 45, par. 1.
(110) SCHWAB - WALTER, Schiedsgerichtsbarkeit, VII ed., 2005, Cap. 45 par. 1; HAAS,
in WEIGAND (a cura di), Practitioner’s Handbook on International Arbitration, 2002, Part 3
Art. 2 par. 114.
(111) HAAS, in WEIGAND (a cura di), Practitioner’s Handbook on International Arbitration, 2002, Part 3 Art. 2 par. 114; HAAS, in FS Rechberger, 2005, 187, 191.
(112) Sul diritto tedesco si veda STEIN - JONAS - LEIPOLD, ZPO, XXII ed., § 281 par. 3;
SCHWAB - WALTER, Schiedsgerichtsbarkeit, VII ed. 2005, Cap. 45 par. 1; per una comparazione giuridica, si veda HAAS, in FS Rechberger, 2005, 187, 191; GRUNSKY, in FS Röhricht,
2005, 1137 ss.; di diversa opinione (per un’applicazione analogica del rinvio tra giudici statali § 281 ZPO) PHBSportR/SUMMERER, 2. Teil par. 283; sul diritto (cantonale) svizzero si
veda Gerichtspräsident 2 des Gerichtskreises Thun, in Causa Sport, 2004, 44, 51 s.
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fatto che un eventuale rinvio cadrebbe nel vuoto, qualora il collegio
arbitrale non fosse stato ancora costituito oppure fosse previsto un
meccanismo di conciliazione preliminare al procedimento arbitrale (113).
— Proroga del termine. Un’altra soluzione potrebbe essere
quella di accordare all’arbitro — in contrasto con il tenore dell’articolo R32 del Codice TAS — il potere di prorogare, su istanza di
parte, il termine oppure di concedere una remissione in termini
quando l’interessato sia stato impossibilitato, senza colpa da parte
propria, a rispettare il termine (114). Talvolta viene valutata anche la
possibilità di un’applicazione analogica, nel caso di cui ci si occupa,
delle previsioni legali sulla sospensione della prescrizione (articolo
139 OR ed articolo 63 del Codice di procedura civile) per la proposizione dell’azione (115).
dd) Può darsi che il mancato rispetto del termine si sia verificato senza che alla parte interessata alla proposizione dell’« appello » sia imputabile colpa alcuna. Ci si chiede, allora, se in tali circostanze non sia il caso di concedere, in via eccezionale, un termine
aggiuntivo. A questa domanda sembra doversi dare una risposta affermativa (116). Bisogna tener presente, comunque, che se la « parte
appellante » è rappresentata da un avvocato la colpa di quest’ultimo
è da considerarsi come se fosse propria del rappresentato (117). A
questo proposito deve prestarsi attenzione al fatto che, nel diritto
svizzero, la portata dei doveri gravanti sugli avvocati — per i procedimenti davanti ai giudici statali — è assai estesa. In tali doveri rientrano, in particolare, quello di sorveglianza e quelli organizzati-
(113) P. HUBER, in SchiedsVZ, 2003, 73, 74; HAAS, in FS Rechberger, 2005, 187, 191.
(114) Si veda RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005, par. 1045.
(115) BezG Zürich, in Causa Sport, 2005, 254, 258; si veda anche CAS [14.3.2007
- 2006/A/1176] Belarus Football Federation v/ UEFA, par. 7.9; Gerichtspräsident 2 des Gerichtskreises X Thun, in Causa Sport, 2004, 44, 51; sull’applicazione analogica dell’articolo
139 OR (art. 63 del Codice di procedura civile) al termine di decadenza dell’articolo 75
ZGB, si veda, in generale, BGer, in ius.focus, 9/2011, p. 15 e FENNERS, Der Ausschluss der
staatlichen Gerichtsbarkeit im organisierten Sport, 2008, par. 379; BK - RIEMER, ZGB, Vereine, Syst. Teil, 1990, Art. 75 par. 65; BSK - HEINI - SCHERRER, ZGB, III ed., 2006, Art. 75
par. 22.
(116) RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa
Sport (in corso di pubblicazione).
(117) CAS [25.9.2009 - 2009/A/1795] Obreja v/ AIBA, par. 72, con riferimento al diritto svizzero (BGE 119 II 86, E. 2a; 112 V 255, E. 2a; 106 II 173).
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vi (118). In vista di detti doveri, ad esempio, soltanto in casi eccezionali la non osservanza del termine dovuta alla malattia dell’avvocato
viene considerata come una condotta esente da colpa. Ciò si verifica
quando la malattia sia di una gravità tale che l’avvocato sia impossibilitato, entro il termine, ad agire in prima persona o ad incaricare
dei terzi ad agire (119). Non è chiaro se, ed eventualmente fino a che
punto, questa (severa) giurisprudenza (svizzera) sia applicabile al
« termine d’appello ». Certo è, però, che in quest’ultimo caso ci si
deve orientare con accortezza (120), sia perché tale giurisprudenza si
riferisce ai termini processuali, e non a quelli di decadenza di diritto
sostanziale, sia perché la conseguenza del mancato rispetto del « termine d’appello » relativo ai procedimenti davanti al TAS — a differenza del mancato rispetto dei termini processuali — è la perdita
della possibilità di far esaminare il provvedimento dell’associazione
da una (qualche) istanza di giudizio indipendente.
ee) Cosı̀ come avviene per la formulazione delle norme, anche la loro interpretazione è soggetta — anche con riferimento al diritto alla tutela giurisdizionale ancorato all’articolo 29 della Costituzione federale svizzera — a dei limiti (che derivano dall’esigenza di
rispetto dell’ordine pubblico). Il Tribunale federale svizzero fa derivare dall’articolo 29 della Costituzione federale il « divieto di un
formalismo eccessivo » (121). Quest’ultimo rappresenta un generale
principio procedurale che ha trovato solo in parte una formulazione
« positiva » nelle norme di natura processuale (ad esempio, nell’articolo 42, quinto comma, della legge sul Tribunale federale —
« BGG ») (122).
(1) Il principio vieta l’applicazione di previsioni (procedurali)
che impediscano all’interessato di far valere un diritto, senza che ciò
sia, in alcun modo, richiesto o giustificato da un’esigenza di tutela
degli interessi delle parti del procedimento. Un simile caso si verifica quando un vizio processuale sia immediatamente riconoscibile
(118) Per una panoramica si veda CAS [25.9.2009 - 2009/A/1795] Obreja v/ AIBA,
par. 72.
(119) BGE 112 V 255, E. 2a.
(120) CAS [25.9.2009 - 2009/A/1795] Obreja v/ AIBA, par. 73.
(121) Si veda sul punto BGE 125 I 166, E. 3a-c.
(122) BGE 120 V 413, E. 6a; BGer 30.8.2005 [1P.254/2005], E. 2.5.
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dal giudice e sarebbe facilmente, e rapidamente, sanabile se il giudice facesse rilevare tale vizio alla parte interessata. Il mancato rispetto, da parte dell’arbitro, del divieto in questione può giustificare
l’impugnabilità del lodo ai sensi dell’articolo 190 LDIP (123).
Non tutti i rigorismi formali rappresentano, come sottolineato
continuamente dal Tribunale federale, un formalismo eccessivo,
bensı̀ soltanto quelli che non risultano essere giustificati dalla protezione di interessi degni di tutela e che, invece, sono meramente fini
a sé stessi. Le forme giuridiche processuali sono necessarie per il regolare svolgimento del procedimento e per garantire l’attuazione del
diritto sostanziale (124). Le comunicazioni che vengono fatte alle autorità giudiziali — specialmente quelle concernenti le memorie sulle
impugnazioni — devono, pertanto, soddisfare in generale a determinati requisiti di forma. Da esse, in particolare, devono potersi evincere l’intenzione della parte attrice di impugnare la decisione, i motivi che stanno alla base dell’impugnazione e la misura in cui la decisione debba essere modificata o, magari, annullata. Il fatto che per
la validità di un’impugnazione si richieda che la documentazione ad
essa relativa contenga almeno una sommaria esposizione dei motivi
dell’impugnazione non costituisce, quindi, né un diniego del diritto
ad essere ascoltati dal giudice, né un formalismo eccessivo (125).
(2) Può darsi che la « parte appellante » presenti il proprio
« Statement of Appeal » nel termine previsto ma abbia dimenticato
di depositare il numero necessario di esemplari (articolo R31.3 del
Codice TAS), o di pagare la somma prevista dall’articolo R65.2 del
Codice TAS oppure che lo « Statement of Appeal » manchi di qualcuno dei requisiti previsti dall’articolo R49 del Codice TAS. In tutti
questi casi, il TAS concederà, di norma, un breve termine aggiuntivo
alla « parte appellante » per sanare il vizio, invece di rigettare l’appello per l’« evidente decorso inutile » del termine ai sensi dell’articolo R49 (secondo periodo) del Codice TAS. Se il vizio viene sanato
(123) RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS), in Causa
Sport (in corso di pubblicazione).
(124) BGE 118 V 311, E. 4; 114 Ia 34, E. 3.
(125) BGE 116 II 745, E. 2b; 113 Ia 225 E. 1b; BGer 13.7.2007 [1C - 89/2007], E.
3.1; BGer 8.2.2001 [5P.405/2000], E. 3c.
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nel termine aggiuntivo concesso, il « termine d’appello » deve ritenersi osservato (126).
ff) Ci si può chiedere in quale misura il termine vada prolungato (o vada concesso, nel caso di rimessione in termini), qualora ricorra uno dei motivi che — in via eccezionale — giustificano il prolungamento del termine di decadenza. Mentre è chiaro che il termine
non potrà essere spostato in avanti all’infinito, è anche vero che è
difficile stabilire un limite massimo entro il quale il prolungamento
(o la rimessione in termini) possa essere concesso. Molto dipenderà
dalle circostanze del singolo caso. Può rilevarsi, comunque, che in
dottrina si ritiene adeguata la concessione di un termine aggiuntivo
di cinque giorni, decorrenti a partire dalla data di cessazione del motivo di impedimento (127).
V. 1. A decidere sull’osservanza dei termini per la proposizione dell’appello sono, generalmente, gli arbitri del collegio incaricato della decisione. Nel caso in cui, però, il collegio non sia ancora
costituito, l’articolo R49 (secondo periodo) del Codice TAS prevede
che il « Division President » (il presidente, cioè, della « Appeals Arbitration Division ») possa decidere sul punto in questione. Nella disposizione ora menzionata, infatti, si stabilisce che:
« [a]fter having consulted the parties, the Division President
may refuse to entertain an appeal if it is manifestly late ».
Deve notarsi, tuttavia, che il potere decisorio del « Division
President » risulta essere limitato ai casi in cui l’appello sia stato
presentato in maniera palesemente tardiva. L’esercizio del potere in
questione da parte del « Division President » è facoltativo, visto che
la decisione sul termine potrà anche essere lasciata al collegio (ancora da costituire). Qualora, però, il « Division President » decida di
esercitare il potere di cui si tratta, dovrà previamente concedersi alle
parti la possibilità di essere sentite sulla (ancora da stabilirsi) mancata osservanza del termine. Di regola, comunque, il « Division President » non si limita ad esercitare il potere di rigettare l’appello per
decorrenza inutile del termine per la sua proposizione, ma constata
(126) Per un simile caso si veda, CAS [12.3.2007 - 2006/A/1176] Belarus Football
Federation v/ UEFA & FAI, par. 7.2.
(127) RIGOZZI, L’arbitrage international en matière de sport, 2005 par. 1045.
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— in contrasto con quanto previsto dall’articolo R49 del Codice TAS
— anche (sotto un profilo « positivo ») la tempestività dell’appello
proposto (128). A questo riguardo, è lecito chiedersi se, e fino a che
punto, una tale decisione del « Division President » vincoli anche il
collegio incaricato della decisione della controversia.
2. La decisione sul rispetto del « termine d’appello » può essere adottata sia con un lodo finale, che con un lodo parziale.
3. Qualora il « termine d’appello » non fosse stato osservato,
e non ricorra alcun motivo di legge per concedere un prolungamento,
l’arbitro sarà tenuto a rigettare la domanda di arbitrato per infondatezza (e non per inammissibilità) della stessa (129). Il collegio arbitrale non gode, a questo riguardo, di alcun ambito discrezionale.
L’articolo R49 del Codice TAS non stabilisce se, affinché il termine
possa dirsi rispettato, sia sufficiente che la documentazione relativa
all’appello proposto venga inviata al TAS prima della scadenza del
termine (« principio di emissione dell’atto ») oppure se sia necessario che tale documentazione pervenga prima di detta scadenza
(« principio della ricezione dell’atto »). La soluzione va ricercata in
un’applicazione analogica dell’articolo R32 del Codice TAS (130), in
base alla quale il termine deve considerarsi rispettato quando la domanda di arbitrato (« Statement of Appeal ») sia stata spedita prima
della mezzanotte dell’ultimo giorno del termine, senza che rilevi, invece, il fatto che la domanda in oggetto sia pervenuta alla sede del
TAS prima della scadenza del termine. Per il caso, infine, in cui la
domanda di arbitrato risulti essere incompleta, potrà rinviarsi a
quanto riportato in precedenza. Di certo, però, non sarà sufficiente il
fatto che la « parte appellante » lasci intravedere la possibilità di
presentare la domanda di arbitrato, senza che dia, poi, corso a tale
proposito (131).
(128) « Disposizione » (« order ») nel caso CAS 2006/A/1041 [24.3.2006] Vassilev v/
FIBT & BBTF.
(129) Si veda RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport (TAS),
in Causa Sport (in corso di pubblicazione).
(130) CAS [15.9.2004 - 2004/A/574] Associação Portuguesa de Desportos v/ Club
Valencia C.F. S.A.D., par. 64; RIGOZZI, Die Berufungsfrist vor dem Tribunal Arbitral du Sport
(TAS), in Causa Sport (in corso di pubblicazione).
(131) Ciò si è verificato in CAS [20.6.2006 - 2006/A/1065] Williams v/ FEI.
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Most cases referred to the Court of Arbitration for Sport (CAS) in Lausanne
involve so-called “appeals arbitration proceedings”. In this regard, the case statistics are particularly telling. Between 1995 and December 2009, of the 1957 cases
referred to the CAS, 1647 consisted of appeals arbitration proceedings. A distinguishing feature of these procedures is that the subject matter of the dispute is an
appeal against a decision issued by a sporting body (for example, a disciplinary
measure, an appointment, a decision awarding damages, the determination of remuneration for the training of an athlete, etc).
The procedural rules before CAS contain, at articles R47 et seq, provisions
specifically regulating appeals procedures. However, the expression “appeals procedure” for this type of dispute is quite misleading. In fact, even if the arbitrators
are required to carry out a review of questions of law which were decided by the
sporting body, CAS cannot be considered as an internal organ existing within the
sporting body which issued the original decision. In the appeals procedure, CAS
effectively carries out a kind of first instance arbitration proceeding, during the
course of which questions of law are examined in response to an autonomous application, comparable with that of state courts.
The procedural regulations of CAS foresee, at article R49, a term for the filing of an appeal against the decision of a sporting body. This article provides, inter alia, that “in the absence of a time limit set in the statutes or regulations of the
federation, association or sports-related body concerned, or of a previous agreement, the time limit for appeal shall be twenty-one days from the receipt of the decision appealed against (...)”.
This provision, therefore, provides that the right of appeal against an order
made by a sporting body may be exercised only within an express term and constitutes, therefore, a possible barrier for those intending to challenge the legal
grounds of the said decision. In relation to the legality and fairness of this term,
various questions arise which this article intends to describe and clarify.
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Advocacy in International Arbitration:
an Art, a Science, or a Technique? (*)
ANTONIO CRIVELLARO (**)
1. From ancient to modern times. — 2. The great traditions on presentation
of evidence: Anglo-American versus continental European legal systems. —
3. What tradition has mostly influenced international arbitration? — 4. International arbitration versus standing courts: from strict to flexible procedures.
— 5. Arbitral advocacy as an « art of writing ». — 6. Techniques for oral
advocacy: the hearing. — 7. Does a cultural « conflict » still exist in international arbitration? — 8. Conclusions.
1. How to best put into effect advocacy is not such a modern
topic, as we commonly tend to consider it.
Two thousand and four hundred years ago Aristotle deeply reflected on an equivalent notion: of course, he had not in mind the
« advocate » in its contemporary meaning. He did rather philosophize about the « art of rhetoric », writing admirable pages on how
« rhetoricians » should practice it (1).
In his view, rhetoric is the typical « art of persuasion », or the
« ability of observing in any given case the available means of persuasion ». Being an art implemented « by spoken word », it is exclusively reserved to « speakers », who have three « modes of persuasion » available.
The first mode is ethos, that is the speaker’s « power of evincing a personal character which will make his speech credible ». Aristotle thought that, quite understandably, the predominant appeal on
the audience is given by the personality of the speaker.
(*) Il presente articolo è la versione scritta della relazione svolta oralmente alla giornata di apertura del Congresso ICCA (The International Council for Commercial Arbitration), Rio de Janeiro, 23-26 maggio 2010, in corso di pubblicazione da Kluwer Law International nel volume ICCA Congress Series No. 15 (Rio 2010).
(**) Avvocato in Milano.
(1) Aristotle’s Rhetoric, Book I, Chapter 2.
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The second is pathos, that is the speaker’s « power of stirring
the emotions of the hearers », or the emotional attractiveness insinuated in the message; said otherwise, the ability of putting the audience into a certain frame of mind.
The third mode is logos, the speaker’s « power of proving the
truth, or an apparent truth, by means of persuasive arguments »: this
is the attraction of the listener by the use of logic reasoning.
He went on specifying that the persuasive arguments are: (a)
the examples, corresponding to inductions in dialectic; (b) the enthymeme, corresponding to the syllogism; (c) the apparent enthymeme, corresponding to the apparent syllogism. The enthymeme
is a rhetorical syllogism, and the example a rhetorical induction. In
the end, argumentative persuasion is a « sort of demonstration »
which « stands for proof ».
Those who are in command of this art must « be able, reason
logically, understand human character and goodness in their various
forms and understand the emotions », which implies « to name them,
to know their causes and the way in which they are excited ».
Reading this language, one should not infer that the kind of
speaker depicted by Aristotle is comparable to a sort of shaman or
magician. Aristotle constantly insisted on the result that the speaker
has to eventually achieve, which is « persuading through logic ». The
« understanding and excitation of emotions » is just a means to obtain the result: « [e]veryone who effects persuasion through proof
does in fact use either enthymemes or examples; there is no other
way » (2).
(2) The following passage — self-explanatory and still valid today — is worth quoting: « And since every one who proves anything at all is bound to use either syllogisms or
inductions (and this is clear to us from the Analytics), it must follow that enthymemes are
syllogisms and examples are inductions. The difference between example and enthymeme is
made plain by the passages in the Topics where induction and syllogism have already been
discussed. When we base the proof of a proposition on a number of similar cases, this is induction in dialectic, example in rhetoric; when it is shown that, certain propositions being
true, a further and quite distinct proposition must also be true in consequence, whether invariably or usually, this is called syllogism in dialectic, enthymeme in rhetoric. It is plain also
that each of these types of oratory has its advantages. Types of oratory, I say: for what has
been said in the Methodics applies equally well here; in some oratorical styles examples prevail, in others enthymemes; and in like manner, some orators are better at the former and
some at the latter. Speeches that rely on examples are as persuasive as the other kind, but
those which rely on enthymemes excite the louder applause » (quoted from the translation
made by Professor W. Rhys Roberts).
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At Cicero’s time, approximately three centuries after Aristotle,
rhetorical and philosophical works were still mixed up. Cicero wrote
De Oratore in 55 b.c. and Orator in 46 b.c. (and died in 43 b.c.). The
work where he better defined the art of eloquentia in terms that to
some extent apply to the present topic was De Oratore - Liber III.
Reading this book, one gathers that also in Cicero’s view advocacy
was typically an « oral » exercise. However, Cicero describes the
orator more as what in modern language we would call an « intellectual » rather than an « artist » in Aristotle’s meaning. The orator
persuades the audience by his elocutio or loquendi elegantia, which
however is not self-sufficient and must be supported by a consistent
and publicly renowned actio, that is his visible conduct and the doctrinae possessio typically belonging to an homine erudito. In Cicero’s view, the best advocacy coincides with the best speeches (sermones) and the best example is given by Demostenes’ orationes (3).
Therefore, also according to Cicero the art of advocacy is exclusively aimed at « persuading other human minds » and its highest
expression is given by a « persuasive speech ».
At the time of Aristotle and Cicero, the subjective emotions of
the listener were more decisive than the objective credibility of the
speaker, or even more decisive than the evidence in his hands: the
victory of the advocate mainly depended on his ability to mentally
captivate the adhesion of the listener.
After more than two thousand years, the end purpose of advocacy remains the same — persuading the listener — but the techniques have progressed... or perhaps regressed. It is quite hard to assert that it has maintained the fascinating components of the « artistic » or « rhetorical » mission described by Aristotle and Cicero. One
should modestly recognize that now it is a profession much closer to
crafts than to art. To win the case, the modern advocate must count
more on a huge amount of disciplined training on how to build up
the case defences, and much less on his instinctive inspiration or artistic inclination.
Advocacy has become a « learned » profession: the ancient
tools of persuasion have been replaced by techniques which are
meant to identify the most apt « process » assisting a panel in find-
(3 )
De Oratore, Book III, §§ from VII to XI and §§ XXXI to XXXV.
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ing the truth in a given case. This requires less spectacular speeches
and more humble preparatory work at the counsel desk.
An advocate does now recognise that the process of persuasion
involves concrete means of communication, requiring long and burdensome preparation, such as written submissions, witness statements, documentary evidence, direct and cross-examinations, demonstrative electronic devices, oral arguments, in brief very pedestrian tools.
I would therefore be tempted to summarize these introductory
notes by offering the following realistic proposition: initiated as an
« art », century by century advocacy has become a « technique ».
This does not downgrade our profession, in that a « science » element is still inevitably involved. However, science is here represented by the underlying legal know-how, which however cannot itself alone amount to advocacy. An additional technique is needed, so
as to make legal know-how a tool for persuasion. The scientific or
cultural support strengthening the advocate’s argument will thus give
to it a « logic » which is not purely « rhetorical », but objective.
2. As well known, the common law tradition is typically featured through a mix of oral advocacy and adversarial process. This
is why one party has an almost unlimited right to obtain documents
from the other; why documents assume full evidential weight when
exhibited and discussed via a witness at the hearing; particularly,
why antagonistic cross-examinations of witnesses are admitted and
normally practiced; and why the principal (final) hearing constitutes
the most crucial and decisive phase of the entire proceedings, capable of determining its outcome.
Differently from the rigorous civil law tradition, there is no restriction to the admissibility of a witness who is an employee of the
party. Moreover, experts are normally appointed by the parties and
their reports become part of the appointing party’s evidence.
Hearings are not numerous, but quite extensive and mainly devoted to the understanding of the factual evidence through witness
examination. The examination of witness is conducted by the parties
rather than the judge (or arbitrator), through adversarial and somehow aggressive confrontation. In cross-examination, a party has virtually no restriction to the liberty to raise questions to the adverse
witness, especially when it needs to discredit his credibility. Briefly,
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the principal hearing coincides with the « court trial » in domestic
litigations.
Finally, the last word is not the strict prerogative of the respondent only.
The procedural scenario is quite different in civil law tradition,
where largely written advocacy and an inquisitorial process are employed. Accordingly, the admitted documents are those produced and
commented by counsel in his written submissions. A party may have
access to the documents of the other only in exceptional circumstances and generally must count on its own documents.
In rigorous terms, witnesses are third persons, who have personal independent knowledge of the relevant facts. Experts are appointed by the court (or tribunal) and their reports are an auxiliary
help which is meant to assist the court (or tribunal) in understanding
technical issues involved in the evidence already received from the
parties. They do not substitute for the parties’ evidence, which must
have been provided by themselves autonomously, not through the
experts. This rule is applied to the extent that if a party has failed to
discharge properly its burden of proof, it has no right to obtain from
the judge the appointment of an expert: absent the party’s proof, the
expert has nothing to evaluate or check.
Hearings are numerous, short and may be devoted to either
specific procedural or merit issues, or both.
Witnesses appear in the proceedings only to the extent they are
summoned or admitted by the judge, and are exclusively examined
by the judge himself, the party having a limited power to request the
judge to put them a given question. Cross-examinations of adverse
witnesses are rarely admitted and still conducted by the judge himself, on petition by the party concerned. Submissions of advance
written statements are normally prohibited: they are viewed as an inadmissible opportunity for incorrect parties and counsel to exert influence upon the witness during his pre-hearing preparation.
Generally, the last word solely belongs to respondent.
In one respect, both traditions are almost coinciding. This concerns the burden of proof, in that each party shall have the burden of
proving the facts relied on to support his claim or defence. The similarity does not impede some slight differences: the civil law system
gives, indeed, a more rigorous application to this rule than the common law system, which tolerates some degree of departures from the
general maxim (see infra).
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3. International arbitration has borrowed its own procedural
rules from both traditions, although it has, of course, created its own
autonomous system in addition to the rules inherited from common
or civil law.
The civil law system has undoubtedly influenced the presently
prevailing international arbitration practice whereby higher reliance
is put on written rather than oral procedure. Documents and written
pleadings are thus submitted by the parties in view of preparing the
future oral hearing and the hearing is focused on debating the most
intricate and relevant aspects and clarifying factual divergences
which remain unresolved after the closing of the written exchanges.
By contrast, the common law tradition played its cultural influence in transposing into international arbitration the practice of prehearing witness statements, the modalities for examination and, particularly, cross-examination of witnesses and experts, and the disclosure of documents on one party’s application (4).
Seen from a civil lawyer’s perspective, common law has also
transplanted into international arbitration arena its peculiar sensitiveness for the primary importance of facts upon law, and for the decisive relevance of the way factual evidence is presented. Continental
lawyers are inclined to prematurely rush towards the elaboration of
law theories and conclusions, whereas their Anglo-American colleagues are — if I may say so — less anxious to immediately find
the proper law solution. They give priority to an exhaustive factfinding permitting full and precise acquaintance with the facts; law
is presented after completion of this due diligence. The need to conclude in law is common to both, but in one case it risks to be unsupported on or contradicted by the facts, in the other the possible disadvantage is given by the longer and harder preparatory work (according to some colleagues, this is inter alia the reason why AngloAmerican counsel are the most costly).
The above Anglo-American approach has become the state of
the profession in the presentation of evidence in international arbitration. In my view, considering the obvious relevance of the facts
determination (not only in arbitration, but in any type of judicial
(4) See the comments by Karl Heinz BÖCKSTIEGEL, Presenting Evidence in International Arbitration, in ICSID Review-Foreign Investment Law Journal, vol. 16, No. 1, Spring
2001, 2.
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proceedings), the transposal of this method from common law enriches and improves international arbitration advocacy.
That the burden of proving a claim or a defence belongs to the
claimant or respondent respectively, is an obvious proposition also in
international arbitration, which however has progressively derived
from common law certain flexible variants of the above classic
maxim. I refer, for instance, to the practice of postponing the exhaustion of the burden of proof towards the end of the proceedings. This
would depart from a mandatory civil law tradition which requires to
discharge this burden either immediately or never again.
In arbitration, the pre-hearing written pleadings have fundamentally the purpose of providing the arbitrators with a large spectrum of facts and arguments. The arbitrators remain, at least temporarily, relatively indifferent as to what party first supplies the relevant
proof in the course of the proceedings. Some facts are often not disputed and no evidence will be needed in their respect; for the rest,
any evidentiary lacuna is progressively cured by either the claimant
or the respondent before or, at the latest, in the hearing. Where a lacuna remains unfilled, the arbitrators will make the appropriate procedural directions. What at the end counts, is that the evidence is
produced, no matter by whom.
In abstract terms, this system departs from the formalistic application of the time-bar rules in the submission of evidence, but is
normally tolerated. From a fair justice perspective, what is more important: making available to the arbitrators an exhaustive file before
the deliberation stage no matter who was the first in exhibiting a
proof, or applying the strict rule which rewards the most diligent
party and sanctions a belated submission discarding some pieces of
evidence? It seems clear that the first approach is preferable. Sometimes, it is also the inescapable solution, in consideration of the different cultural origins and traditions of the players (lawyers and arbitrators).
4. Before standing domestic courts, advocacy is exercised
pursuant to a body of pre-existing rules, established in procedural
codes or regulations. The court « imposes » its own rules and little
room is left to the advocate’s freedom to frame or propose procedural rules different from those which are known from the outset.
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In similar proceedings, advocacy is substantially confined to
arguing on the merits. It is within this precise ambit, not in matter of
procedure, that the advocate has ample freedom to present the case
and advocacy may display its almost unlimited facets (5).
The same procedural regime applies before international standing courts (PCA; ICJ) or ad hoc tribunals in State-to-State disputes,
where the procedural rules are pre-established. In general, the
scheme is repetitive: first, one or two substantial rounds of written
pleadings with documentary appendices, followed by oral development of the arguments of the parties. No new evidence is admitted
after the close of written pleadings. Therefore, oral development
means « recapitulation » or « interchange of argument », depending
inter alia on how interactive the court or tribunal is, but cannot include integration of evidence through new proofs (6).
In international arbitration, what — on the contrary — prevails
is the rule that favours procedural flexibility. No fixed rules exist
and, whenever possible, a mixed system is derived from common or
civil law traditions, thus achieving a variable degree of harmonisation of the two judicial cultures. Decisive influence is frequently
spent by the personal inclination and legal education of arbitrators
and counsel.
Domestic laws on arbitration and institutional regulations provide for the parties’ and arbitrators’ right to agree or fix the applicable procedural rules. This liberty gives the parties (and counsel) a
wide range of options, so that procedural rules are normally « tailored » to fit the specific needs of the single case.
« Procedural liberty » is now common to arbitration conducted
in all European countries, and applies to method and timing for: (i)
submission of written briefs; (ii) acquiring evidence through documents; (iii) acquiring evidence through witnesses; (iv) acquiring
« auxiliary » evidence through experts.
(5) For a comparative analysis of the regional systems, see the contributions by Peter LEAVER and Henry FORBES SMITH (the British perspective), Teresa GIOVANNINI (the continental European perspective), R. Doak BISHOP and James H. CARTER (the United-States perspective), Christopher LAU (the Asian perspective) in The Art of Advocacy in International
Arbitration - 2nd Edition, Editors R. Doak BISHOP and Edward G. KEHOE, JurisNet LLC May
2010.
(6) See James CRAWFORD, Advocacy before international tribunals in State-to-State
cases, in The Art of Advocacy in International Arbitration - 2nd Edition, Editors R. Doak
BISHOP and Edward G. KEHOE, JurisNet LLC May 2010, 303 ff.
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Parties may agree on conducting lengthy witness hearings (pursuant to the Anglo-American style), if they so wish, or no witness
hearing at all, if it is commonly accepted that the documentary evidence presented in the written exchanges is sufficient. They may
proceed through extensive discovery, or no discovery at all. They
may exchange written pleadings only, or — in the alternative —
limit the proceedings to oral arguments. Finally, they may opt for
mixing written and oral procedures, which is the most frequent practice.
The key issue is that the parties must agree on the procedural
rules. Failing their agreement, the arbitral tribunal has the authority
to conduct the proceedings as it considers fit, provided that (i) due
process and (ii) equality of the parties are preserved.
The parties’ autonomy includes their right to opt for either the
procedural rules of a given arbitral institution, or for those of a given
national law, or even for a-national rules of procedure (for instance
the UNCITRAL Rules or, in matter of evidence, the IBA Rules on
the Taking of Evidence).
A good example — which combines the parties’ autonomy with
the tribunal’s supervision over the compliance with due process and
equality — is given by Article 15 of the 1998 ICC Rules of Arbitration, which reads as follows:
« 15.1 — The proceedings before the Arbitral Tribunal shall be
governed by these Rules and, where these Rules are silent, by any
rules which the parties or, failing them, the Arbitral Tribunal may
settle on, whether or not reference is thereby made to the rules of
procedure of a national law to be applied to the arbitration.
15.2 — In all cases, the Arbitral Tribunal shall act fairly and
impartially and ensure that each party has a reasonable opportunity
to present its case ».
A prudent tribunal will give reasons for its final choice. In particular, it will be careful to assure that the adopted procedural rules
confer to the parties the same — and ample — opportunity to
present their case, without discriminations or unreasonable restrictions.
Most of the generally applied arbitration rules contain provisions on the taking of evidence, which are commonly framed by primarily referring to the parties’ autonomy and, subsidiarly conferring
discretion to the arbitrators. Similar provisions may be found in Articles 20 and 21 of the ICC Rules, Articles 33 to 37 of the ICSID
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Rules, Articles 19 to 22 LCIA Arbitration Rules and Articles 24 and
25 of the UNCITRAL Rules.
5. The trend of the last decades shows that in international arbitration advocacy is mostly carried by written pleadings during the
(long) first phase. Oral pleadings (including Anglo-American style
cross-examinations) are reserved to the (shorter) closing phase, but
are not per se indispensable.
Thus, written advocacy is inevitable, whereas oral advocacy is
an (important) « additive ». In other words, in international arbitration the art of advocacy is the art of drafting written submissions.
The advocate must persuade at distance the members of the tribunal
by means of written arguments and evidence. He should not wait
until the hearing for persuading them by oral eloquence: unfortunately to him, this could be too late.
The advocate must consider that diligent arbitrators (we have to
assume that all arbitrators are by definition diligent) come to the
hearings after careful analysis of the briefs and documents. Prior to
the hearing, they have inevitably made up their mind on the case and
reached a feeling about its probable outcome. For sure, they will approach the hearing with an open mind, ready to receive further clarifications which could dispel the original « sentiment » on the
chances of one or the other party. However, a diligent advocate will
avoid to submit confusing, deficient or misguiding written arguments
which create in the reader the conviction that the case is unsupported
or otherwise wrong. And he will not forget that persuading in writing is not confined to the briefs as such: he has many other opportunities to send written messages to the tribunal through the regular
correspondence exchanged between the parties and the tribunal out
of the scheduled briefs.
Moreover, the advocate has the burden to persuade all or at
least the majority of the tribunal’s members and must consider that,
when reading his written submissions, they are not sitting together:
one could be sitting in New York, one in Zurich, one in Singapore.
They will normally start exchanging views on the case on the eve of
or during the hearing. Efficient advocacy does therefore require that
the best efforts be endeavoured, at this stage, to convince the arbitrators one by one, when he is still working in isolation from his copanellists, as if he would be the one who decides the case by himself
alone.
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By « art of writing », I do not mean the art exhibited by novelists or journalists. I more humbly refer to the professional techniques
and expertise needed to file an exhaustive and convincing written
defence.
The present audience does not need an academic lecture, nor do
I have the ambition to impose on it an exhaustive lesson, but I wish
to recommend a number of rules which, in my view, make the « art
of writing » more effective.
(i) One should avoid inundating or submerging the arbitrator’s
office by excessive production of written materials, something that is
sometimes called the « Anglo-Saxonization » of the arbitration proceedings. When large documentation of thousands of pages and a
large number of witnesses and experts are objectively needed, the
logistics in the presentation become essential to avoid that the arbitrators lose track of the facts and evidence. Arbitrators must be
helped: it is surprising to see how many colleagues fail to realize the
importance of the most obvious logistic methods, such as separate
tables of contents, chronological lists, pagination, numbering of the
exhibits, proper separators between different tabs and the like.
(ii) Do not « unload » into the hands of the arbitrators a massive and disordered collection of documents, not accompanied by
specific references and guidance. Facts must be narrated and proved
orderly and clearly one by one: avoid generic references such as
« see exhibits R-74 to R-83 » and insert in your submission univocal
references to each document together with clear explanation of its
content, the fact or facts that the document is meant to prove and its
evidentiary weight. In brief, give support to each fact by referral to
the corresponding document.
(iii) An international litigator should be aware that the merits of
most of the disputes referred to an arbitral tribunal will be disposed
of more on facts than on law. Law is what it is and frequently clear
in itself. In any case, law is easier to explain than an intricate factual
background, especially when the dispute arises from long term contracts and a long history of past events. Therefore, deploy your « art
of writing » to provide the arbitrators with a precise factual understanding. In order to establish the facts, chronological summaries are
extremely useful and continuous linkages between the pleading as
such and the attached supporting documents is strongly recommended.
(iv) Concerning presentation of law, every legal ground and re49
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lief sought should be addressed specifically one by one. Even more
important, quote the relevant law or contract provisions entirely in
your written submissions and link your defences to the quoted text,
as commented or underlined. Do not overvalue the extent of the legal culture of the arbitrators: while in domestic litigation the mere
reference to the number of a given article (of a law, or of a contract)
may suffice under the principle iura novit curia, in international arbitration full quotation and interpretation of the governing law is a
burden for the counsel. Arbitrators cannot be familiar with any type
of applicable law.
(v) Exhaustive guidance by counsel in matters of law will inter
alia help arbitrators in avoiding extra petita. It is common knowledge that imprudent arbitrators do sometimes also refer to legal authorities or precedents on which none of the parties had relied on or
pleaded. This risk is removed if, through an exhaustive discussion of
the law and presentation of legal authorities, you assist them to remain within the boundaries of what relied on and pleaded by the
parties during the proceedings.
(vi) The onus probandi also applies to legal arguments, at least
whenever the proceedings are governed by a law requiring that the
law applicable to the merits must be proven by the parties and cannot be determined by the tribunal itself. The maxim iura novit curia
is indeed of a limited and uncertain application in international arbitration.
(vii) In all cases, keep in mind that arbitrators have the tendency to expect the party’s own efforts in order to be persuaded; they
expect to be « guided » in the understanding of facts and law and,
rightly, presume that who best knows the file is the counsel. If the
counsel omits an argument or a reference, do not give for granted
that the arbitrator will fill your gap on his own. Arbitration is a
« party-driven » process and the arbitrator is not supposed to be
more active or pro-active than the parties’ counsel, who is responsible for the mastery of the case.
(viii) Do not forget that the burden of proof applies to whatever
factual assertion: no such assertion may self-stand without reference
to the supporting documentary evidence. When it is so, the arbitrator
cannot give it any probative relevance.
(ix) Is there any standard style to be recommended for a written brief? Should it be argumentative or succinct? I would say exhaustive, but ordered. Order makes lengthy presentation intelligible
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and prevails over quantity. Frequent use of headings and sub-headings may be helpful. Moreover, specific complex topics might be
conveniently addressed in separate attachments and briefly referred
to in the general submission.
(x) Argue by reference to case-law, whenever this is available.
International arbitrators are in continuous search for precedents, satisfy their appetite in order to strength en your case. Whenever you
quote a previous judgment or award, describe also the underlying
facts, so as to establish the pertinence and relevance of the quotation.
(xi) Be specific and clear in requesting the relief sought: this is
also part of the party’s burden.
(xii) When drafting the closing or post-hearing submissions, try
to use them for « framing the award » that you claim or expect from
the tribunal. If you are the probable winner, the arbitrators will be
tempted to make an award symmetrical to your frame.
6. At the hearing, oral advocacy is exercised for the opening
statements, the examination of witnesses and experts and the closing
pleadings (oral argument).
I find it extremely important for a tribunal to organize a « prehearing conference » (or meeting) where parties’ counsel and arbitrators discuss and tend to agree on the format of the scheduled hearing
— i.e. timing, sequence, duration, admissibility of electronic devices, admissibility or inadmissibility of witnesses and experts in the
hearing room, ecc. — and achieve an understanding on procedural
solutions which is then incorporated in a procedural order issued by
the chairman of the tribunal. The conference is conducted under the
guidance of the chairman, a circumstance which permits to achieve
a result that will objectively benefit the efficiency of the hearing.
It is in this conference that a number of matters are definitely
cleared: whether there will be or not opening statements, how many
witnesses and experts need to be heard and in what order, whether
there will be or not a direct examination before a cross-examination,
whether cross-examination will be followed by re-direct examination, how long each such step will presumably last, how long each
counsel estimates its oral argument will last so as to apportion
equally the available time for the closing statements, whether or not
there will be post-hearing briefs, this being also a question the solution of which the counsel should know in advance in order to frame
his final oral defences accordingly.
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Holding such a pre-hearing conference has become common
practice, unless it is replaced by correspondence between tribunal
and parties with the purpose of defining the same preparatory issues
and thus avoid deadlocks or surprises at the hearing.
Looking at the practice, the oral openings (or opening statements) are frequently waived by agreement between parties and tribunal. However, this optional phase has in my view an undeniable
importance, being a remarkable opportunity for briefing the tribunal
in succinct terms on what the hearing is intended to establish. It
should be exploited as a message on how the case should be disposed of by the tribunal, and why. Being the first oral « approach »
between counsel and tribunal, advocates should keep in mind the
usual saying whereby « there is only one chance to make a good first
impression ».
Of course, the openings must not be used for anticipating the
presentation of the merits as such. This must be reserved to the last
oral argument, in order to avoid repetitions and, more important, not
prematurely disclose to the opposite party the core of the advocate’s
strategy.
When, however, the openings cannot but merely anticipate part
of the final argument and the hearing time-frame is limited, this first
presentation may be renounced with no irreparable harm to the proceedings (7).
Much more important is the examination of witnesses. It usually starts by the « direct » examination or « examination-in-chief »,
whereby a party questions its own witness. It is frequently excluded,
first for saving time, second because the parties prefer to question
their own witness in the « re-direct » examination. This occurs when
direct examination has a purely formalistic or ritualistic purpose,
such as having the witness introducing himself and confirming that
the witness statement in front of all persons in the room is indeed his
own statement, the signature appended to it on a certain date is his
own signature and the statement stands as presented.
(7) Toby LANDAU and R. Doak BISHOP, Opening statements, in The Art of Advocacy
in International Arbitration - 2nd Edition, Editors R. Doak BISHOP and Edward G. KEHOE, JurisNet LLC May 2010, 359 ff, who conclude admitting that: « If there is one point above all
others that should be born in mind with respect to opening statements, it is that there exists
no single, correct form for such a presentation. Procedural flexibility remains at the heart of
international arbitration... », 385.
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However, in other cases direct examination may become more
substantial. It is advisable to use it, for instance, for giving the witness an opportunity to correct some errors in his written statement,
if he so wishes, or to respond to new matters raised in the other party’s last written pleadings or witness statements, which were unknown to the witness when he delivered his own statement, or to update his testimony to any new fact subsequently occurred. In the case
of complex expert’s depositions, arbitrators tend to use this phase to
allow the expert to make a brief introductory presentation of the crucial issues involved in the expertise and the method followed in the
preparation of the expert report.
It is my understanding that a limited direct examination is beneficial to the process: the tribunal can obtain an initial impression
about the witness when he is still relaxed, prior to oblige him to assume a defensive posture as soon as cross-examination begins.
Once direct examination is over, the floor is given to the opposite party, which will cross-examine the same witness. Much has
been written on what counsel should not do when cross-examining
an adverse witness (8). For sure, any question on contract interpretation or on damage evaluation, or other « forensic » questions, not
only are inadmissible, but patently pointless and not helpful to the
questioning party’s case. They waste time unnecessarily and, especially, risk to annoy the tribunal. What the advocate should ask an
adverse witness is to explain certain assertions in his witness statement or in a document made by him and being part of the file, with
the intent of establishing a contradiction, or an incorrect or insincere
assertion, or a wavering behaviour, in brief with the intent to discredit his reliability (9). There are questions that must be absolutely
avoided because of the high probability to provoke a response which
is harmful to the questioning party. What tribunals like are specific
and non-leading questions that go directly to the point in dispute, be
it technical, factual or behavioural.
In general, the advocate should use the witnesses’ examinations
as a means to go through the documents, and thus help the arbitra(8) Michael HWANG, Ten questions not to ask in cross-examination in international
arbitration, in The Art of Advocacy in International Arbitration - 2nd Edition, Editors R.
Doak BISHOP and Edward G. KEHOE, JurisNet LLC May 2010, 431 ff.
(9) Guido Santiago TAWIL, Attacking the credibility of witnesses and experts, in The
Art of Advocacy in International Arbitration - 2nd Edition, Editors R. Doak BISHOP and Edward G. KEHOE, JurisNet LLC May 2010, 451 ff.
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tors in grasping the relevance of the principal documents which are
decisive for disposing of the matter (10). In addition, the advocate
should keep in mind that the target is not the adverse witness himself and that insisting on humiliating him is pointless. He must entertain the dialogue between him and the witness remembering that
the real and more important « dialogue » is between him and the arbitrators. Examination must be seen as an opportunity for sending
messages to the arbitrators in order to either reinforce their apparent
understanding of the matter, or correct the same when it appears that
they are misunderstanding it.
Re-direct examination is the last chance for the advocate to redress a poor testimony by a witness, although the only questions admissible in re-direct are those which fall within the ambit of the
cross-examination. As a general tendency, I would recommend to reserve re-direct examination only in case of emergency or real necessity. Do not abuse of it for a pure ceremonial need. Arbitrators have
the tendency to see it, especially when it is lengthily protracted, as a
sign of weakness. It should be exploited only when you need to
minimize the risk of a misunderstanding concerning certain documentary evidence on which your witness was obscure or failed to
give the most convincing explanation, whilst you have good reasons
to assume that he knows the precise answer: give him the opportunity to rectify.
Of course, the same techniques are advisable for the direct,
cross and re-direct examinations of experts.
Common law lawyers are certainly better equipped for the
above exercise, whereas civil law lawyers should improve their
training and skills in direct, cross and re-direct examinations and oral
advocacy in general. It is not here a question of legal culture as such,
in my experience, but rather a question of specific education and
training. It is rare for continental European or Latin-American law
firms to make the necessary investment for the training of their
young associates in the examination techniques. The legal culture in
itself does not play a fundamental role, because the above techniques
are capable to work efficiently, when the advocate is in full command of them, regardless of his legal background.
(10) Stephen JAGUSCH, Organization and presentation of documents to the tribunal, in
The Art of Advocacy in International Arbitration - 2nd Edition, Editors R. Doak BISHOP and
Edward G. KEHOE, JurisNet LLC May 2010, 281 ff.
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Few suggestions will be sufficient for the closings: make it succinct and schematic and make use of skeleton and power-point or
similar presentations. Do not be repetitive and do not abuse of your
time: save time for the arbitrators’ questioning (11).
7. It is not infrequent to read comments according to which
— in international arbitration — the encounter between different legal cultures « raises suspicion on both sides » or causes « mutual incomprehension, confusion and cultural confrontation » up to the extent of giving rise to « a melting pot of cultures... similar to a courtship between two legal systems that seek a marriage of convenience » (12).
The cultural differences that affect international arbitration are
emphasised as follows:
« In its fullest sense, culture provides us with a sense of security about who we are, where we belong, how we should act and
what we should do. When we are confronted by someone who does
not share or understand these “assurances”, that is to say, someone
who does not respond to the same cultural signals and codes of conduct, a sense of exile and insecurity is created » (13)
and:
« International commercial arbitration gives rise to procedural
asperities, which, even though on the surface they appear to be technical disputes, at bottom represent cultural values in conflict » (14).
I find these expressions exaggerated and unjustified. As a civil
lawyer, I never felt « a sense of exile » when pleading in London or
Bangkok against American colleagues, nor did I ever see them « insecure » because — for instance — the governing law was the law
of a European continental country or the majority of the tribunal was
(11) Richard C. WAITES and James E. LAWRENCE, Psychological dynamics in international arbitration advocacy and Audley SHEPPARD, Closing arguments, in The Art of Advocacy
in International Arbitration - 2nd Edition, Editors R. Doak BISHOP and Edward G. KEHOE, JurisNet LLC May 2010, 69 ff. and 465 ff., respectively.
(12) Ignacio GÓMEZ-PALACIO, International commercial arbitration: two cultures in a
state of courtship and potential marriage of convenience, in The American Review of International Arbitration, vol. 20, No. 2, 2009, 235 to 239. According to the author, « In the air
is a sense that “I want to get to know you” along with doubt, pride, alternating cloudy and
blue skies, attraction and reluctance. The sweethearts, already mature, at once desire and distrust the marriage that both know to be inevitable », ibidem 239.
(13) Ibidem 248.
(14) Ibidem 249.
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made of non-American arbitrators. I have no recollection, after so
many years of profession, of any mutual « courtship » in the search
for a « marriage of convenience » or other similarly sad relationships.
There are obvious over-statements in the above caricatures.
Some of the depicted difficulties were partly in existence until approximately twenty years ago. Subsequently, practice has been allowed to produce solutions little by little and, at present, the solutions that have been found in the concrete life of international arbitration prove to be amply suitable.
The above quoted opinions are principally based on the alleged
insuperable obstacles that would exist in reconciling an arbitration
procedure partly conducted under the civil law tradition with two
Anglo-American predominant procedural features, namely the pretrial discovery and the cross examination (15).
Undoubtedly, if pre-trial discovery means obtaining verbal information (depositions) and written information (document productions, interrogatories and deposition on written questions) with the
purpose of preparing an arbitration hearing, this is something that is
seldom seen in international arbitration, if ever. This is rather the
common practice in Anglo-American courts, where the object of the
pre-trial discovery is to obtain information that shall be used at the
trial against the opposite party before the court. They are often used
for discovering weaknesses in the testimony of the opponent’s witnesses or experts.
They are certainly in contrast with the civil law tradition, where
the proof is offered at the time of the demand or legal submission,
and a party is not admitted to wait until the hearing for exhibiting his
proofs.
However, none of these two procedures apply in modern international arbitration, which has found its own way for resolving the
issue in question. The way consists in allowing one party to request
the other to produce additional documents or disclose unknown
documents the existence of which may be reasonably assumed. This
practice has become very common.
The typical procedure is framed as follows. First, the parties
are required to exhibit all documents and witness statements at the
(15) Ibidem, 251 ff.
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same time on which they file a brief referring to facts that should be
proved by means of the said documents or testimonies. Second, the
tribunal has a permanent power to order the parties to exhibit documents within a given deadline. Third, a party has the right to request
the other party to produce certain other documents or, failing spontaneous disclosure, to request the tribunal to order their exhibition,
being however obliged to describe and identify the document or the
narrow and specific category of documents requested, to give the
reason why the documents are relevant to the case and to specify that
the documents in question are not in its possession. Fourth, the party
to whom the request is addressed may either spontaneously comply
or object to the disclosure of some or all of the documents requested,
specifying the relevant reasons. Fifth, the arbitral tribunal determines
whether the requested evidence is admissible in terms of relevance,
materiality and weight of evidence. Sixth, the party so directed complies with the tribunal’s order, frequently using the so-called « Redfern Schedule » (16).
This is a procedure which is unreservedly accepted by counsel
and arbitrators from all regions of the world, irrespective of their native legal background. The « melting pot of cultures » has caused no
mutual « suspicion », « incomprehension » or « confrontation ».
Quite on the contrary, all legal cultures participating in the arbitration arena have contributed to create a common playing level where
the best has been pitched up from each contributor.
Definitely, this obstacle has been successfully overcome and,
by the way, the arbitration hearing is far from resembling an AngloAmerican « court trial ».
The same is true for cross examination, which has become a
commonly adopted method for acquiring oral evidence in international arbitration. I see no abuse in it, nor cultural obstacles which
would impede its acceptance by non-Anglo-American counsel or arbitrators. As a player coming from a civil law country, I have no difficulty in recognizing that this system fits well with the purpose of
obtaining, at the end, a truth — or at least the most likely or plausible truth — from oral testimony. All that I regret, as I said before,
is that civil lawyers are less trained in making proper use of it.
(16) The above described procedure substantially corresponds to what inter alia provided in Articles 3 and 9 of the IBA Rules on the Taking of Evidence.
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Cross examination is generally criticised because it is too aggressive and hostile. In my view, first this is not necessarily true in
all cases because it depends on the character of the players, not on
the objective needs of the process; second, cross examination is conducted under the supervision of the tribunal, which tends to intervene whenever impermissible excesses must be either prevented or
discontinued.
Although cross examination as such is not unknown in the
countries of civil law, including the many jurisdictions inspired to it
(see the Spanish « contra-interrogación oral », or the Italian « controinterrogatorio », or the French « contre-interrogatoire »), one
must recognize that it is unable to convey to the tribunal the same
precise appraisal of the facts. The civil law cross examination is
made by the judge himself and little or no room is given to the
party-to-witness confrontation.
One must recognize that it is the « adversarial » confrontation
allowed under the common law system that helps the tribunal in better distinguishing sincere and correct from false or incorrect testimonies.
To close on this point, international arbitration does not deserve
the above mentioned criticism.
8. Advocacy in international arbitration has reached a level
playing field and has found its own fundamental common features.
This was made possible by the players’ availability to accept variations and adaptations to their own national traditions and by their
readiness to enter into new worlds and new cultures.
The players have accepted to cross the borders, be taken away
from their native environment and play the game in another field.
The journey is not bad at all. You might frequently discover
that the « other » field is sometimes more advantageous for it drives
your case to a more favourable conclusion, or give you more freedom in selecting the most suitable technique. Sometimes, you might
discover that both fields, the old and the new, are equally efficient or
generous in terms of procedural flexibility and that, at the end, all
systems tend to be guided by nothing else than « common sense ».
The position of advocates practicing in both fields is comparable to that of travellers having acquired two nationalities and two
passports. In my experience, I have only received benefits: I now
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feel a bit civil law lawyer, a bit common law lawyer and I play in a
cultural world where a sense of being on a familiar ground is permanently preserved, irrespective of where I am actually playing. I tried
to learn from both traditions and this has certainly enriched my professional life.
In conclusion, what is true from all litigations is also true for
international arbitration: « advocate » is the person who pleads, intercedes or speaks for another person or for a certain cause. « Advocacy » is still the « art of persuasion » on behalf of a person or cause
in Aristotle’s terms, but has developed its own techniques (17).
The only distinctive feature is that the tools which are at
present available derive from distinct historical and cultural traditions, but this is what makes international arbitration attractive for
those who practice advocacy.
Secondo l’autore, la difesa negli arbitrati internazionali ha perduto i caratteri della retorica e dell’eloquenza, cosı̀ come intese dai classici. La funzione rimane pur sempre quella di persuadere — in questo caso un collegio internazionale
di arbitri — ma non più mediante l’« arte della elocuzione », bensı̀ fruendo al meglio delle tecniche e procedure consolidatesi nella più recente prassi dell’arbitrato
internazionale.
Essa ha attinto dalla tradizione di common law e da quella di civil law in
pressoché egual misura. Dalla prima ha soprattutto mutuato le tecniche di escussione delle prove orali e il diritto di una parte di chiedere all’altra l’esibizione di
documenti rilevanti, ma posseduti unicamente dall’altra (una forma tenue del ben
più incisivo pre-trial discovery innanzi alle corti angloamericane). Dalla seconda
ha invece mutuato il carattere scritto delle prospettazioni delle parti. In tal modo,
la difesa in arbitrati internazionali è divenuta l’arte del convincere per iscritto, a
distanza, ciascuno dei membri del collegio in una fase nella quale egli esamina gli
atti in solitudine, prima di riunirsi e discutere il caso coi restanti arbitri. L’udienza
servirà a chiarire aspetti rimasti irrisolti dopo lo scambio di memorie scritte, mentre in common law essa costituisce il momento nevralgico di tutte le difese, prevalentemente orali.
Tuttavia, l’arbitrato internazionale non si è limitato ad assorbire quanto
preesisteva nell’una o nell’altra delle più note culture giuridiche. Esso ha pure
elaborato autonome regole procedurali.
Svolgere in simile contesto un effıcace patrocinio implica pertanto da un lato
la necessità di concordare sulle regole più acconce al caso concreto, dall’altro
quella di trarre il massimo beneficio dalle modalità prescelte.
(17) David J. A. CAIRNS, Advocacy and the functions of lawyers in international arbitration, in Liber Amicorum Bernardo Cremades, Madrid, La Ley, 2010, 291 ff.
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Vengono, quindi, sottolineati gli accorgimenti usualmente consigliati per
permettere agli arbitri di assimilare con precisione e nel più breve tempo possibile
le questioni che formano l’oggetto della controversia deferita alla loro decisione:
per esempio, come organizzare la produzione di documenti, come dare la dovuta
rilevanza ai fatti e come farli comprendere, come presentare le questioni di diritto,
come presentare e commentare la pertinente giurisprudenza, e cosı̀ via.
Infine, l’autore esclude che l’arbitrato internazionale possa raffıgurarsi come
un’arena in cui diverse culture giuridiche si scontrano o si fraintendono, per contrastare un’opinione che qua e là ancora riaffıora secondo la quale l’una o l’altra
parte soffrirebbe di un senso di inquietudine per vedersi chiamata a « giocare in
un terreno che non è il proprio ». La prassi ha gradualmente elaborato soluzioni
comunemente condivise: giuristi di una data cultura nazionale hanno di buon
grado fatto proprie le tecniche dell’altra, e viceversa.
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Clausola compromissoria e tutela monitoria
LAURA BERGAMINI (*)
1. Introduzione. — 2. La ricostruzione prevalente: concessione del decreto
ingiuntivo e revoca in sede di opposizione. — 3. L’esistenza di una clausola
compromissoria preclude la concessione del decreto ingiuntivo. — 4. Un’efficace riserva della tutela monitoria nell’accordo compromissorio?
1. Il procedimento regolato dagli artt. 633 c.p.c. ss. consente
un’incisiva tutela di diritti prima facie provati e potenzialmente non
contestati, permettendo la rapida formazione di un provvedimento
esecutivo potenzialmente decisorio della controversia.
Si pensi al caso dell’agente che non riceva il concordato rimborso mensile delle spese sopportate in esecuzione del contratto. Il
pregiudizio causato da tale inadempimento, pur se potenzialmente
modesto rispetto al valore del contratto, è spesso soggettivamente
importante. In questo caso, i tempi ed i costi ridotti del procedimento
ex art. 633 c.p.c. ss. consentono all’agente di ottenere una tutela più
efficace — perché più rapida e meno costosa — di quella offerta da
un giudizio a cognizione piena (arbitrale o statale). Gli esempi concreti potrebbero moltiplicarsi.
Quid juris se il contratto contiene una clausola compromissoria? Il creditore può agire ex art. 633 c.p.c., o, essendosi impegnato
alla soluzione arbitrale delle liti, è costretto ad instaurare un (costoso) procedimento arbitrale per la tutela di ogni credito nascente
dal contratto?
Questo articolo esamina le soluzioni affermatesi in dottrina e
giurisprudenza (§ 2), per poi proporre che: i) l’esistenza di una clausola compromissoria, prima facie valida e comprensiva della controversia, osta alla concessione di un decreto ingiuntivo (§ 3); e ii) tale
(* )
Dottore di ricerca nella Università LUISS Guido Carli di Roma.
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effetto non è, de jure condito, facilmente risolubile attraverso un’attenta formulazione della clausola compromissoria (§ 4).
2. Secondo giurisprudenza pressoché unanime (1), l’esistenza
di una clausola compromissoria non preclude al creditore di agire ex
art. 633 c.p.c. a tutela del proprio credito, dato che i) l’accordo compromissorio non è rilevabile d’ufficio (2); ii) non esiste, in fase monitoria, una controversia deferibile ad arbitri (3); e iii) gli arbitri non
possono concedere provvedimenti summatim e inaudita altera parte (4).
È inoltre pacifico che il decreto ingiuntivo debba essere revocato con effetto ex tunc (5), se il giudice dell’opposizione accerti la
validità dell’accordo compromissorio, tempestivamente eccepito dall’ingiunto, la sua efficacia e idoneità a ricomprendere la lite. In questo caso, infatti, si accerterebbe l’esistenza di un elemento ab origine
ostatativo all’adozione del provvedimento — i.e. incompetenza del
giudice adito, in caso di clausola per arbitrato rituale, improponibilità della domanda, in caso di clausola per arbitrato irrituale (6). Re-
(1) Ex pluribus, Cass., 4 marzo 2011, n. 5265, www.leggiditalia.it (arbitrato irrituale); App. Napoli, 27 gennaio 2010, ivi; Trib. Lodi, 11 marzo 2011, ivi; v. anche Cass., 29
ottobre 1986, n. 6339, in Riv. dir. int. priv. proc., 1988, 121 (secondo cui « il ricorso al procedimento monitorio stante la specialità dello stesso non priva gli arbitri stranieri della giurisdizione sul merito »); v. giurisprudenza citata alle note 2-8. Diversamente, v. Trib. Reggio
Emilia, 14 febbraio 2002, www.leggiditalia.it, secondo cui « in presenza di una clausola
compromissoria che devolva ad arbitri una controversia insorta fra due parti, è improponibile di fronte al Giudice ordinario il ricorso per decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 633
c.p.c. e il decreto, ove emesso, deve essere revocato. »
(2) Cass., 4 marzo 2011, n. 5265, cit.; Trib. Monza, 20 marzo 2007, ivi (rilevando
che la disciplina dell’arbitrato non contempla la concessione di provvedimenti inaudita altera parte); v. Cass., 9 luglio 1989, n. 3246 (arbitrato irrituale).
(3) Trib. Anzio, 24 novembre 2009, in Corr. mer., 2010, 832, con nota di PERIN, Il
procedimento di ingiunzione e l’eccezione di clausola compromissoria, ivi; contra Trib. Milano, 12 ottobre 1998, in Giur. it., 1999, 980 con nota di DALMOTTO.
(4) Ex pluribus, Cass., 28 luglio 1999, n. 8166, www.leggiditalia.it; Trib. Trieste, 9
marzo 2011, ivi; App. Napoli, 27 gennaio 2010, cit.; Trib. Chieti, 8 aprile 2009, ivi; Trib. Pavia, 26 gennaio 2009, ivi; Trib. Torino, 21 gennaio 2009, ivi; Trib. Modena, 22 febbraio 2008,
ivi.
(5) Ex multis, Cass., 28 luglio 1999, n. 8166, cit.; Cass., 28 ottobre 1991, n. 11460,
ivi; Trib. Lodi, 11 marzo 2011, ivi; App. Napoli, 27 gennaio 2010, cit.; Trib. Anzio, 24 novembre 2009, cit.; Trib. Pavia, 26 gennaio 2009, cit.; Trib. Monza, 16 giugno 2005, ivi (rigetto dell’opposizione); Trib. Monza, 7 marzo 2005, ivi; cfr. Trib. Messina, 5 ottobre 1982,
in Giust. civ., 1983, I, 1634, con nota di NICOTINA (che esclude la revoca del decreto in caso
di clausola compromissoria per arbitrato irrituale).
(6) Trib. Modena, 22 febbraio 2008, cit.; si veda anche Trib. Trieste, 9 marzo 2011,
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vocato il decreto, la controversia dovrebbe essere rimessa ad arbitri (7).
Si ritiene, inoltre, che il giudizio di opposizione debba giungere
ad una decisione di merito quando l’ingiunto non eccepisca l’esistenza dell’accordo compromissorio. La condotta processuale delle
parti (introduzione della domanda e mancata eccezione dell’accordo
compromissorio) dimostrerebbe, infatti, l’intenzione di non perseguire la via arbitrale rispetto alla controversia e di attribuire al giudice la decisione della domanda (e delle domande riconvenzionali
proposte in sede di opposizione) (8).
La dottrina maggioritaria raggiunge analoghe conclusioni, per
lo più asserendo il divieto per gli arbitri di concedere provvedimenti
a seguito di cognizione sommaria (9).
Giurisprudenza e dottrina tendono, quindi, ad applicare all’eccezione di accordo compromissorio un regime analogo a quello applicato all’incompetenza territoriale derogabile prima dell’intervento
della sentenza della Corte cost. n. 410 del 3 novembre 2005 (10).
cit. (che dispone la revoca del decreto ingiuntivo in ragione dell’« improponibilità della domanda » proposta in presenza di una clausola contrattuale che deferiva la soluzione delle
controversie sorte « nell’esecuzione e nell’interpretazione » del contratto a un collegio di tre
arbitri « amichevoli compositori »).
(7) Trib. Modena, 22 febbraio 2008, cit.; Trib. Gallarate, 8 aprile 2005, www.leggiditalia.it (fissando un temine per la riassunzione della causa ex art. 50 c.p.c. dinnanzi al collegio arbitrale).
(8) Cass., 29 gennaio 1993, n. 1142, in Corr. giur., 1993, 440, nota di MARICONDA
(arbitrato irrituale); si veda anche Cass., 11 novembre 2011, n. 23651, in dejure.it. Cfr. art.
819-ter c.p.c. (v. LUISO, Rapporti fra arbitro e giudice, in questa Rivista, 2005, 787, secondo
cui, la mancata eccezione determina un impedimento al procedimento arbitrale destinato a
venir meno in caso di chiusura in rito del processo statale; diversamente G.F. RICCI, Sub art.
819-ter, in Arbitrato a cura di CARPI, Bologna, 2007, 508).
(9) V. Autori citati infra nota 12. Un’autorevole, pur se minoritaria dottrina, sostiene,
invece, che la stipulazione di un accordo arbitrale sottragga al giudice la cognizione piena
della lite, non anche il procedimento ingiuntivo in senso stretto (PUNZI, Disegno Sistematico
dell’arbitrato, Milano, 2000, 227 e, nella edizione 2012 dell’opera, si veda anche p. 404 e s.,
nt. 259). Il creditore potrebbe, quindi, ottenere dal giudice il provvedimento ingiuntivo, ma
l’eventuale giudizio di opposizione teso all’accertamento del credito dovrebbe essere instaurato di fronte agli arbitri (il giudice dell’opposizione mantenendo competenza soltanto sulle
vicende del decreto ingiuntivo e la sua esecutività, PUNZI, ibidem).
(10) Corte cost. 3 novembre 2005, n. 410, in Giur. it., 2006, 1213 con nota di CONTE,
Valenza costituzionale dei criteri della competenza e procedimento monitorio, e di TOTA, La
(supposta) irrilevabilità d’uffıcio dell’incompetenza territoriale « semplice » nel rito monitorio ancora al vaglio della Consulta; e Riv. dir. proc., 2007, 1473, con nota di E. RICCI, I poteri del giudice adito con ricorso per decreto ingiuntivo secondo la Corte costituzionale, ivi,
1476. V. anche USUELLI, Prime applicazioni dei principi enunciati dalla Corte costituzionale
nella sentenza 410/2005 in materia di rilevabilità d’uffıcio dell’incompetenza territoriale de-
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Per quanto pacifica, questa ricostruzione sembra condurre a risultati contraddittori e insoddisfacenti. Essa, infatti, riserva alla tutela
monitoria una provvisorietà che, di fatto, la priva di reale efficacia,
onera l’intimato dell’inizio di un processo a cognizione piena al solo
scopo di far rilevare l’assenza di poteri nel giudice, ed impone un
costo inutile al sistema giudiziario caricato di cause destinate a terminare nel nulla.
Non persuadono, inoltre, le motivazioni che dovrebbero imporne l’adozione.
In primo luogo, l’asserita non rilevabilità d’ufficio del patto
compromissorio (11) non dimostra — ma postula — il principio che
si intende dimostrare: vale a dire, che la clausola compromissoria
preclude l’accesso alla tutela ex art. 633 ss. c.p.c.
In secondo luogo, consentire l’adozione del decreto ingiuntivo
perché non esiste, al momento della proposizione del ricorso, una
controversia giuridica, presuppone una definizione di « controversia », legata alla contestazione in giudizio della pretesa, smentita
dalla dottrina e dalla constatazione che una controversia mancherebbe anche all’atto dell’introduzione di un giudizio ordinario.
Infine, nessuna ragione logico-sistematica, norma inderogabile
o principio di ordine pubblico sembra imporre agli arbitri un obbligo
rogabile nel procedimento monitorio, nota a Trib. Milano, 16 novembre 2006, in Giur. it.,
2007, 2007. Secondo la Corte, una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 640 c.p.c.
(alla luce degli artt. 25 e 111 Cost.) consente la rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza territoriale semplice nel procedimento ingiuntivo in senso stretto. Secondo la Corte, infatti, il parallelismo tra rito monitorio e ordinario è « improponibile », poiché, mentre il convenuto
contumace nel rito ordinario si vede « preclusa soltanto l’eccezione di incompetenza ma non
subisce alcuna automatica conseguenza pregiudizievole quanto al merito — equivalendo la
contumacia ad integrale contestazione dei fatti costitutivi del diritto azionato dall’attore —,
l’ingiunto che non proponga tempestiva opposizione è irreparabilmente pregiudicato nel merito dalla irretrattabilità dell’effıcacia esecutiva [...] del decreto ingiuntivo ». Quindi, « l’“inconveniente fattuale”, che subisce il convenuto con il rito ordinario, è di ben altro rilievo
per l’ingiunto, il quale è costretto — se vuole evitare la definitiva soccombenza nel merito —
a proporre opposizione davanti al giudice funzionalmente competente, arbitrariamente scelto
dall’attore in monitorio. Da ciò discende che la situazione dell’ingiunto è assimilabile, più
che a quella del convenuto nel rito ordinario, a quella del convenuto straniero davanti al
giudice italiano che sia privo di giurisdizione: situazione, quest’ultima, disciplinata [...] nel
senso che, in caso di contumacia, il difetto di giurisdizione è rilevabile d’uffıcio ». Di conseguenza, nel caso dell’ingiunto e del convenuto straniero « sussiste la medesima esigenza
(della rilevabilità ex officio, al fine) di non imporre un’onerosa costituzione in giudizio solo
per far valere la violazione di norme attinenti all’individuazione del giudice (atteso il pregiudizio che, altrimenti, ne deriverebbe) ».
(11) V. infra § 3.
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di plena cognitio (12) o precludere loro, se autorizzati dalle parti, di
svolgere un procedimento in forma monitoria o, più in generale,
adottare decisioni a cognizione sommaria (13).
Tale divieto non sembra, in primo luogo, ricavabile dalla lettera
o la ratio dell’art. 818 c.p.c. (14).
Da una parte, infatti, la formulazione specifica della norma
rende difficile estenderne la portata oltre i confini dei « sequestri » e
degli altri provvedimenti « cautelari », in essa espressamente contemplati. Dall’altra, l’esistenza di un divieto specifico consente di
desumere l’esistenza di un divieto generale solo se sia dimostrato
che il divieto specifico non ha altra ragione d’essere se non l’appartenenza della species al genus. E tale dimostrazione non sembra possibile nel caso di provvedimenti cautelari poiché il divieto ex art. 818
c.p.c. può giustificarsi per una peculiarità diversa dal tipo di cognizione cui conseguono: l’effetto che con essi si intende produrre.
Adottando un provvedimento cautelare, infatti, gli arbitri dettano una
(12) Cosı̀, invece, ex pluribus, AULETTA, Cognizione sommaria e giudizio arbitrale,
in Diritto dell’arbitrato rituale a cura di VERDE, Torino, 2005, 505; G.F. RICCI, Sub art. 818,
in Arbitrato a cura di CARPI, Bologna, 2007, 483-484; CECCHELLA, L’arbitrato, Torino, 1991,
21 ss. e ID., La disciplina del processo arbitrale, in questa Rivista, 1995, 231 s. Autorevole
dottrina ha affermato che l’« alternativa arbitrato-giurisdizione si pone soltanto in relazione
al processo ordinario. Se la legge prevede procedimenti speciali o sommari, questi ultimi
sono utilizzabili soltanto con il ricorso al giudice ordinario » (VERDE, La convenzione di arbitrato, in Diritto dell’arbitrato, Torino, 2005, 101; in questa prospettiva, dottrina e giurisprudenza negavano l’arbitrabilità delle controversie possessorie, in dottrina, per tutti, DELLA
PIETRA, Il procedimento possessorio — Contributo allo studio della tutela del possesso, Torino, 2003, 345; in giurisprudenza, inter alia, Cass., Sez. un., 7 agosto 1992, n. 9381, in Riv.
dir. int. priv. proc., 1993, 719 Cass., 18 agosto 1990, n. 8399; contra, Cass., 2 ottobre 1992,
n. 10839, in Rep. Foro it., 1992, Possesso [5060], n. 43; contra, recentemente, DELLA PIETRA,
La compromettibilità delle liti possessorie, in Sull’arbitrato studi offerti a Giovanni Verde,
Napoli, 2010, 343 ss.).
(13) Ovvero ordinanze a contenuto decisorio, DELLA PIETRA, La compromettibilità
delle liti possessorie, cit., 354, citando PUNZI, Il processo civile, III, Torino, 2010, 188. Sull’ammissibilità di ordinanze anticipatorie di condanna, CAVALLINI, Condanne speciali e arbitrato rituale, in questa Rivista, 1996, 681; IDEM, Ancora sull’inammissibilità delle ordinanze
anticipatorie di condanna nel processo arbitrale, in questa Rivista, 2001, 771; contra,
GHIRGA, Sub art. 816-bis, in La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di MENCHINI, Padova,
2010, 213. Ammette la condanna al pagamento di somme non contestate con lodo parziale,
Coll. Arb. 8 luglio 2009, in questa Rivista, 2009, 731, con nota di NELA, Un caso di somme
non contestate innanzi agli arbitri, ivi, 732.
(14) Cosı̀, invece, la dottrina prevalente, v. per tutti, RICCI, Sub art. 818, in Arbitrato,
cit. (« indipendentemente dalle giustificazioni adottate (mancanza di auctoritas, insuffıcienza
di garanzie, ...) agli arbitri è in genere vietato ogni provvedimento direttamente incisivo sulla
realtà materiale, che non sia fondato su un accertamento pieno »); di diverso avviso, MARENGO, Sub art. 818, in BRIGUGLIO, FAZZALARI MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato,
Milano, 1994, 136.
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regola di condotta sostanziale per le parti senza decidere della lite.
Questo potere sembra diverso dal, e non implicitamente compreso
nel, potere che il mandato ex art. 806 c.p.c. conferisce loro, i.e. jus
dicere (regolare la realtà sostanziale decidendo della controversia
sotto il controllo dei meccanismi di impugnazione del lodo) (15). Regolando autonomamente il potere cautelare, l’art. 818 c.p.c. potrebbe, quindi, essere interpretato come norma che dà atto dell’eterogeneità dei due poteri e stabilisce che gli arbitri non possono incidere sulla realtà sostanziale se non quando decidono della lite.
Su questa premessa, non sembra possibile ricavare dal divieto
posto dall’art. 818 c.p.c. il divieto di cognizione sommaria. Ciò,
quanto meno, nei casi in cui attraverso la cognizione sommaria si
eserciti il mandato ex art. 806 c.p.c., vale a dire si decida (con provvedimento controllabile) della lite.
In secondo luogo, il divieto di cognizione sommaria non sembra derivare da limiti intrinseci al mandato arbitrale.
Da una parte, infatti, agli arbitri non è affidato il compito, inderogabile, di decidere la controversia secondo verità, vale a dire un
mandato che escluderebbe di per sé la possibilità di cognizione sommaria e parziale, che, per definizione, non assicura la verifica piena
dei fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi della situazione giuridica da tutelare. Che gli arbitri non siano tenuti a garantire la veridicità della realtà accertata è dimostrato, del resto, dalla
possibilità che il lodo sia pronunciato nei confronti di un convenuto
« contumace » (i.e., senza la piena cognizione di fatti estintivi, modificativi e impeditivi) e dalla non impugnabilità della decisione arbitrale per errori di fatto.
Dall’altra, il divieto di cognizione sommaria non sembra implicato neppure dalla struttura processuale (16) dell’arbitrato, dalla funzione di accertamento ad esso riconosciuta, o dall’efficacia di sentenza attribuita al lodo ex art. 824-bis c.p.c. (17). Anche ammettendo,
(15) BESSON, Arbitrage international et mesures provisoires, Zurich, 2000, 81-82.
(16) Per l’arbitrato come processo, FAZZALARI, I processi arbitrali nell’ordinamento
italiano, RDP, 1968, 464.
(17) La dottrina ha dimostrato che la decisione conseguente a cognizione sommaria
può dar vita a una decisione con la stessa efficacia della decisione pronunciata a cognizione
piena, enfatizzando il significato della previsione di meccanismi volti a trasformare la cognizione sommaria in cognizione piena (inter alia, CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, cit., 220; LANFRANCHI, Profili sistematici dei procedimenti decisori sommari, in RTPC,
1987, 88 spec. 131 ss.).
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infatti, che tali caratteristiche pongano delle condizioni implicite per
la « ritrazione » della giurisdizione statale (ex art. 24 Cost.), fra queste non potrebbe essere l’obbligo di cognizione piena (o secondo il
modello ordinario), ma eventualmente l’obbligo di condurre l’accertamento arbitrale in forme equivalenti a quelle ordinarie. E fra queste forme rientrano modelli sommari tipizzati da legislatore come il
procedimento monitorio.
In terzo luogo, il divieto di cognizione sommaria non sembra
imposto da norme inderogabili o principi di ordine pubblico applicabili al processo arbitrale, quali il principio del contraddittorio e uguaglianza delle parti, o il diritto di difesa di cui all’art. 816 c.p.c.
È, infatti, ormai pacifico che il procedimento ex artt. 633 ss.
c.p.c. non viola i principi del contraddittorio e di difesa, ma semplicemente li attua secondo un modello diverso da quello ordinario (18).
In particolare, la struttura monitoria attua il contraddittorio perché
l’ingiunto, pur se « escluso » dalla fase inaudita altera parte, i) è informato della pronuncia del decreto, ii) può difendersi contro di esso
nello stesso grado di giudizio suscitando un contraddittorio « posticipato » (ed « eventuale ») (19), e, soprattutto, iii) non subisce gli effetti definitivi del provvedimento fino alla scadenza del termine per
l’opposizione. Attua, inoltre, l’uguaglianza delle parti perché i) per
contestare la decisione, non è richiesto al debitore più di ciò che è
richiesto al ricorrente per ottenere la pronuncia del decreto, e ii)
l’opposizione rimuove gli effetti e gli atti formatisi nella fase inaudita altera parte (20).
È difficile comprendere perché in arbitrato, un procedimento
deformalizzato, il contraddittorio dovrebbe strutturarsi più rigidamente che nel giudizio statale secondo una sola ed unica forma (21).
(18) Inter alia, Corte cost., 19 gennaio 1988, n. 37.
(19) GARBAGNATI, I procedimenti di ingiunzione e sfratto, cit., 35 s.; ALLORIO, Diritto
alla difesa e diritto al gravame, in Riv. dir. proc., 1975, 665; v. anche COLESANTI, Principio
del contraddittorio e procedimenti speciali, in RDP, 1975, 577 spec. 589. Recentemente
RONCO, Procedimento per decreto ingiuntivo, in I procedimenti sommari e speciali a cura di
CHIARLONI e CONSOLO, vol. I, Torino, 2005, 47 ss.
(20) V. però, CONSOLO, Del vaglio alla stregua dell’art. 111 Cost. « potenziato » dei
non troppo « equi » artt. 649 e 655 c.p.c. ed in genere del procedimento monitorio, in CG,
2001, 815 spec. 817.
(21) Diversamente, BARBARESCHI, Gli arbitri, Milano, 1937, 57 s.; VECCHIONE, L’arbitrato nel sistema del processo civile, Milano, 1971, spec. 226-227, testo e n. 88 (secondo cui
l’assenza del contraddittorio nella fase antecedente alla formazione del convincimento degli
arbitri sul provvedimento sommario contrasterebbe con esigenze di ordine pubblico). Del re-
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Non si vede, quindi, perché non dovrebbe essere consentito alle parti
di attuare i principi di cui all’art. 816 c.p.c. creando un modello a
contraddittorio eventuale e posticipato, una struttura bifasica che faccia seguire ad una prima fase inaudita altera parte una seconda fase
a cognizione piena, instaurata su istanza della parte « esclusa » (22).
3. Il motivo per il quale la stipulazione di una clausola compromissoria preclude la concessione di un decreto ingiuntivo deve, a
mio avviso, essere ricercato nella funzione attribuita dal legislatore
al procedimento ex artt. 633 c.p.c. ss.
Se, infatti, questo strumento (oltre che costituire rapidamente
un titolo esecutivo) realizza un accertamento del diritto in forme più
snelle di quelle ordinarie in casi di prevedibile non contestazione
della pretesa (23), se, in altri termini, si ritiene, con la dottrina e giurisprudenza maggioritarie (24), che nel procedimento monitorio si
sto l’ammissibilità di provvedimenti arbitrali ex parte è consacrata, pur se con riferimento a
procedimenti cautelari, da alcune legislazioni straniere (v. ad es. art. 17 della Legge Modello
UNCITRAL, adottato, inter alia, dall’Irlanda, la Nuova Zelanda e la Slovenia) e regolamenti
arbitrali (si ricordino meccanismi simili all’ICC pre-arbitral référé). Sul tema delle misure
cautelari ex parte concesse da tribunali arbitrali internazionali, ex multis, v. COPPO, Provvedimenti cautelari e arbitrato internazionale: le misure ex parte nei lavori di revisione dell’art.
17 della legge modello UNCITRAL, in RTDPC, 2007, 931; DERAINS, L’arbitre et l’octroi de
mesures provisoires ex parte, in Gazz. pal., 2003, 14; KAUFFMAN KOHLER, Mesures ex parte et
injonctions préliminaires (dans le cas de la loi-modèle de la CNUDCI), in Les mesures provisoires dans l’arbitrage commercial international, Paris, 2007, 91 ss.; VAN HOUTTE, Ten
Reasons Against a Proposal for Ex Parte Interim Measures of Protection in Arbitration, 20(1)
Arb. Int. 85.
(22) Le maggiori difficoltà sarebbero non tanto nella costituzione del tribunale arbitrale (che potrebbe avvenire con gli ordinari meccanismi di nomina dato che le finalità della
procedura monitoria non impongono di non avvertire del suo inizio la controparte), ma nel
dubbio di parzialità (pre-giudizio) che potrebbe investire il tribunale arbitrale che, avendo
definito la fase sommaria, fosse anche incaricato della decisione della fase a cognizione piena
(cfr. art. 815, n. 6, c.p.c.).
(23) A favore della piena equivalenza degli effetti del provvedimento monitorio e
della sentenza, ex multis, CALAMANDREI, Il processo monitorio nella legislazione italiana, Milano, 1927, 5-6; CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile, Napoli, 1980 (ristampa),
196 ss. spec. 216 s.; CRISTOFOLINI, Processo di ingiunzione, Padova, 1939, 117; GARBAGNATI,
I procedimenti di ingiunzione e sfratto, Milano, 1949, 19 e 26 ss.; contra, ex pluribus, REDENTI, Diritto processuale civile, Milano, 1949, II, 189, spec. 203-204, e IV, 26 s.; GIUDICEANDREA, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino, 1956, 71; PROTO PISANI, Diritto processuale civile3, Napoli, 1999, 598.
(24) Per il giudizio monitorio come strumento alternativo al giudizio ordinario, perché teso alla formazione di un accertamento definitivo su una situazione giuridica soggettiva,
si veda per tutti FAZZALARI, Istituzioni di diritto processuale, Padova, 1994, 117; LUISO, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2011, 99. Inter alia, Cass., 7 luglio 1993, n. 7448.
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esercita (anche) un’azione di condanna, la richiesta di tutela monitoria appare incompatibile con la volontà espressa dalle parti nell’accordo arbitrale.
Attraverso tale accordo, infatti, le parti scelgono di devolvere
ad arbitri le controversie scaturenti, collegate, o relative al contratto,
sottraendole alla « decisione » del giudice. Questo significa che le
parti escludono la possibilità di ottenere ogni provvedimento cui
l’ordinamento riconosce l’effetto di « accertamento », indipendentemente dal fatto che esso consegua ad una cognizione piena, come la
sentenza, o sommaria, come il decreto ingiuntivo (25). La conseguenza è che, in presenza di una generica clausola compromissoria (26), il giudice investito di un ricorso ex art. 633 c.p.c. non può
concedere la misura.
Conclusione radicalmente diversa si dovrebbe raggiungere se si
dovesse ricostruire il procedimento monitorio come i) procedimento
di giurisdizione volontaria, ii) procedimento di natura esecutiva (27),
iii) un’azione speciale a contenuto processuale, iv) tertium genus intermedio tra cognizione ed esecuzione forzata (teso alla composizione di una pretesa insoddisfatta attraverso la formazione di un titolo esecutivo) (28), v) strumento di « normativa senza giudizio » (cui
la mancata opposizione dell’ingiunto attribuisce efficacia di accertamento) (29), vi) meccanismo per la rapida formazione di un titolo
esecutivo teso ad un accertamento giurisdizionale provvisorio (30). In
(25) Né si potrebbe ritenere che, stipulando un accordo arbitrale generico, le parti
abbiano inteso rinunciare soltanto ai giudizi ordinari, non alle procedure sommarie. Questa
interpretazione trascurerebbe, infatti, di ricercare la volontà effettiva delle parti creando una
sorta volontà fittizia opposta a quella potenzialmente ricavabile dalla scelta di una definizione
« onnicomprensiva » dell’oggetto del mandato arbitrale (« ogni controversia », « tutte le controversie », « le controversie »).
(26) Tale conclusione sembra confermata dal fatto che la rinuncia al modello monitorio non implica la perdita di particolari « poteri e la riduzione di garanzie in vista dei quali
il sistema ha congeniato quel rito » (per un’applicazione del principio per ammettere la compromettibilità delle liti possessorie, DELLA PIETRA, La compromettibilità delle liti possessorie,
cit., 343 ss.).
(27) CRISTOFOLINI, Processo di ingiunzione, Padova, 1939, 89.
(28) CARNELUTTI, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, IV ed., Roma, 1951,
I, 43 ss.
(29) RONCO, Struttura e disciplina del rito monitorio, cit., 54 ss.
(30) « Accertamento con prevalente funzione esecutiva » nell’accezione data da
CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale2, Napoli, 1935, I, 215 ss.; sembra PUNZI, Il processo civile, Sistema e problematiche, III, Torino, 2010, 11 ss.; usa l’espressione in un’accezione diversa MANDRIOLI, Diritto processuale civile, III, Torino, 2011, 10, nota 5, che indivi-
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questi casi, infatti, la clausola compromissoria non potrebbe precludere l’accesso alla tutela ex art. 633 c.p.c. perché nel procedimento
ingiuntivo non si deciderebbe di una controversia su diritti disponibili, cioè, non si effettuerebbe un’attività ricompresa nell’ambito del
mandato ex art. 806 c.p.c. e coperta dall’effetto « negativo » del
principio di compétence-compétence (31).
La questione diviene, quindi, se l’eccezione di accordo compromissorio sia rilevabile d’ufficio nel procedimento ingiuntivo in senso
stretto o se debba essere eccepita dall’ingiunto in sede di opposizione, secondo la soluzione dominante (32).
La rilevabilità d’ufficio della clausola deve essere esclusa se si
ritiene l’art. 819-ter c.p.c. (33) applicabile anche a procedimenti inaudita altera parte. Contro tale soluzione muovono, però, alcune considerazioni.
In primo luogo, nonostante il suo tenore generico, la norma
sembra chiaramente pensata per giudizi a contraddittorio pieno e anticipato, vale a dire procedimenti in cui il convenuto può — e, dunque, deve, se vuole — far valere l’eccezione (34). Essa non sembra
dua nel procedimento monitorio una speciale forma di esercizio dell’azione di condanna che
conduce ad un accertamento pieno capace di acquisire l’incontrovertibilità del giudicato.
(31) In questo caso, quindi, il giudice investito di un ricorso ex art. 633 c.p.c. dovrebbe concedere il provvedimento ingiuntivo nonostante la sussistenza di un accordo compromissorio, ed il provvedimento non dovrebbe essere revocato se, in sede di opposizione, si
accertasse l’esistenza della clausola. Si tratterebbe, piuttosto, di verificare il possibile coordinamento della clausola compromissoria e la cognizione piena aperta dall’opposizione. Se, infatti, questa fosse giudizio di cognizione per l’accertamento del credito, non potrebbe essere
svolta di fronte al giudice senza violare l’impegno assunto con l’accordo compromissorio (v.
infra § 4).
(32) V. supra § 2.
(33) Secondo opinione dominante, la norma ha consacrato l’eccezione di accordo arbitrale come eccezione in senso stretto, ex pluribus, v. RUFFINI, Sub art. 819-ter, in La nuova
disciplina dell’arbitrato, cit., 374; LUISO, Il rapporto fra arbitro e giudice, in questa Rivista,
2005, 123. Prima dell’intervento della riforma del 2006, affermavano la rilevabilità d’ufficio
dell’eccezione di patto compromissorio, BOVE, Il patto compromissorio rituale, in Riv. dir.
civ., 2002, 432 (applicando analogicamente la disciplina dettata dagli artt. 4, comma 1, e 11,
Legge n. 218/1995); CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Milano, 171 (sul
presupposto della normale rilevabilità d’ufficio delle eccezioni di merito non riservate dalla
legge al monopolio delle parti); MARENGO, Conseguenze della omissione dell’exceptio compromissi, in questa Rivista, 1994, 347 (applicando il regime dell’eccezione di difetto di giurisdizione).
(34) Un’analoga considerazione sembra essere la premessa necessaria del ragionamento che ha condotto la Corte costituzionale ad escludere l’incostituzionalità dell’art. 39
c.p.c. (v. supra nota 10). Ritiene che la decisione della Corte giustifichi la rilevabilità d’ufficio di tutte le eccezioni di rito rilevabili ex parte nel giudizio a contraddittorio anticipato,
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compatibile invece con la funzione del procedimento monitorio, un
procedimento in cui la partecipazione del « convenuto » è inizialmente esclusa.
Applicare, infatti, al procedimento monitorio i « limiti alla rilevazione d’uffıcio delle questioni di rito e di merito propri del processo a cognizione piena » — fra cui l’esistenza di una clausola
compromissoria — significherebbe « concedere il decreto ingiuntivo
con la consapevolezza che l’istante ha torto in rito o in merito, e costringere quindi l’ingiunto a proporre un’opposizione che sarebbe
fondata » e, dunque, vanificare la funzione del procedimento, vale a
dire « evitare un processo a cognizione piena, quando esso non sia
necessario » (35).
L’inapplicabilità dell’art. 819-ter c.p.c. (36) al procedimento
monitorio sembra, in secondo luogo, trovare conferma nella decisione della Corte cost. n. 410 del 3 novembre 2005.
Un primo elemento è di tipo temporale: l’introduzione dell’art.
E. RICCI, I poteri del giudice adito con ricorso per decreto ingiuntivo secondo la Corte costituzionale, in Riv. dir. proc., 2006, 1473; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, cit., 19, nota
32. A favore della rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di clausola compromissoria nel procedimento ingiuntivo in senso stretto, RICCI, I poteri del giudice adito con ricorso per decreto
ingiuntivo secondo la Corte costituzionale, cit., 1477; MANDRIOLI, Diritto processuale civile,
cit., 18, nota 28; CAPPONI, Rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria secondo il nuovo art.
819-ter c.p.c.; in questo senso sembra anche LUISO, Il rapporto fra arbitro e giudice, cit.;
contra, ex pluribus, PERIN, Il procedimento di ingiunzione, cit. (secondo cui la ratio sottesa
alla decisione — evitare che la scelta del ricorrente di rivolgersi ad un giudice territorialmente incompetente si ripercuota negativamente sulla possibilità di difesa per l’ingiunto, costretto a scegliere tra il non opporsi e opporsi in una sede disagevole — non ne giustifica
l’applicazione in caso di incompetenza derivante da convenzione di arbitrato « salvo che il
rivolgersi all’autorità giudiziaria ordinaria — anziché all’arbitro — non integri anche una
deroga alla competenza territoriale c.d. semplice »).
(35) LUISO, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2011, 129. Con altra motivazione,
sulla rilevabilità dell’eccezione di incompetenza territoriale derogabile, inter alia, TOTA Sulla
rilevabilità ex officio dell’incompetenza territoriale nel rito monitorio, nota a Trib. Campobasso, 31 ottobre 2001, in Giust. civ., 2002, I, 2948.
(36) MANDRIOLI, Diritto processuale civile, cit., 18 nota 28. La norma assimila il regime di rilevazione dell’eccezione e di impugnazione che su di essa decide, ma non permette
di inquadrare i rapporti tra arbitro e giudice nello schema della competenza, come dimostra,
secondo la dottrina, i) l’inapplicabilità degli articoli 44, 45, 48, 50 e 295 c.p.c. (VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, 20 s.; CAPPONI, Sub art. 819-ter, in Commentario alle riforme del processo civile, Padova, 2009, III/2, 879 ss.); ii) la forma del provvedimento che definisce le questioni di competenza e di patto compromissorio (sentenza e non
la forma prevista dal nuovo art. 38, comma 4, c.p.c., LUISO, Diritto processuale civile, V, cit.,
161); iii) la prevista ammissibilità di un’autonoma domanda volta a accertare la validità della
convenzione di arbitrato (non essendo invece ammissibile un’azione per l’accertamento del
giudice potenzialmente competente, RUFFINI, Sub art. 819-ter, cit., 373).
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819-ter, comma 1, c.p.c. è successiva all’intervento della Corte costituzionale. Si potrebbe, dunque, ragionevolmente, pensare che il
legislatore abbia inteso assimilare il regime dell’eccezione di accordo compromissorio al regime dell’eccezione di incompetenza territoriale derogabile come delineato dalla sent. n. 410/2005.
Un secondo elemento è di tipo sostanziale: le stesse esigenze di
tutela che hanno portato la Corte ad affermare la necessità di consentire la rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza territoriale derogabile
sussistono anche in relazione alla clausola compromissoria.
Se, infatti, l’eccezione di patto compromissorio non fosse rilevabile d’ufficio, l’ingiunto che non presentasse opposizione (sopportandone le spese ed i tempi) per far valere l’esistenza dell’accordo
compromissorio (ed il proprio diritto di non essere convenuto in giudizio), sarebbe « irrimediabilmente pregiudicato » nei propri diritti.
Egli non solo soccomberebbe nel merito, ma, data la giurisprudenza
che estende l’efficacia di giudicato del decreto ingiuntivo non opposto anche all’esistenza e validità del rapporto da cui deriva il diritto (37), rinuncerebbe anche alla competenza arbitrale su tali profili
dall’attore rimessi alla decisione del giudice (38).
4. Poiché, de jure condito, la stipulazione di una clausola
compromissoria generica sembra precludere l’accesso alla tutela monitoria del credito, diviene interessante verificare se le parti possano
riservarsi l’accesso a tale forma di tutela nell’accordo compromissorio, ad esempio, prevedendo la possibilità di: i) chiedere un provvedimento ingiuntivo al giudice statale, riservando agli arbitri il giudizio di opposizione (39); o ii) agire ex artt. 633 c.p.c. ss. per la tutela
(37) V. inter alia, Cass., 12 maggio 2003, 7272; Cass., 11 giugno 1998, n. 5801, in
Giust. civ., 1999, I, 189; Cass., 20 aprile 1996, n. 3757, FI, 1998, I, 1980, con nota di
CARIGLIA, Note sull’effıcacia del decreto ingiuntivo non opposto. Sull’estensione degli effetti
di regiudicata sul rapporto obbligatorio complesso in caso di pregiudizialità logica, ex pluribus, MENCHINI, I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano, 1987, 87 ss.; LUISO, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2011, 136 e ss.; contra, ex pluribus, RONCO, Procedimento per
decreto ingiuntivo, in I procedimenti sommari e speciali a cura di CHIARLONI e CONSOLO, vol.
I, Torino, 2005, 528 ss.
(38) V. supra nota 37.
(39) Riproponendo convenzionalmente in relazione al procedimento ingiuntivo, la
soluzione che la giurisprudenza adotta in materia di convalida di licenza e sfratto, v. Cass.,
31 luglio 2006, n. 17424, www.leggiditalia.it, nella motivazione, Cass., 23 giugno 1995, n.
7172, ivi; Cass., 16 gennaio 1991, n. 387, ivi; nella giurisprudenza di merito, recentemente,
Trib. Modena 19 marzo 2007, in Giur. mer., 2007, 2823, con nota di DI MARZIO, Arbitrato e
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di taluni crediti (40); o ancora iii) chiedere una tutela monitoria agli
arbitri.
Nessuna di queste soluzioni sembra in grado, de jure condito,
di mitigare integralmente gli effetti esaminati nel precedente paragrafo.
In particolare, la clausola che prevedesse un giudizio di opposizione arbitrale sub i), potrebbe avere l’effetto di deferire agli arbitri la cognizione piena della controversia, ma non potrebbe escludere
la necessità per le parti (l’ingiunto, ma anche il creditore che volesse
vedere attribuita efficacia esecutiva al decreto) di instaurare un giudizio di opposizione di fronte al giudice per gli aspetti relativi all’esecutività del provvedimento ingiuntivo. Gli arbitri, infatti, sono
privi dei poteri autoritativi necessari ad incidere sull’esecutività del
provvedimento (ex artt. 648 e 649 c.p.c.) ed il loro mandato è limitato alla « decisione di una controversia » su diritti disponibili (ex
art. 806 c.p.c.).
Inoltre tale clausola rischia di essere inefficace a causa dell’effetto che essa esplica indirettamente sul giudizio di opposizione ex
art. 645 c.p.c. (41), i.e. trasformarlo da giudizio di accertamento del
diritto — come delineato dal legislatore — a giudizio su questioni
processuali. Tale accordo sembra, infatti, confliggere con il divieto di
accordi processuali atipici e con il principio della tipicità dei giudizi
con oggetto diverso dalla tutela di una situazione giuridica sostanziale (42).
Attraverso le clausole sub ii), invece, le parti selezionerebbero
e individuerebbero, sulla base della loro esperienza e relazione contrattuale, i crediti nascenti dal contratto per la cui tutela preferiscono
procedimento di convalida: una relazione diffıcile, ivi; Trib. Verona, 15 gennaio 2004,
www.leggiditalia.it; Coll. Arb. 7 settembre 1999, in questa Rivista, 2000, 549, con nota di
FRATINI, ivi, 552.
(40) Cfr. AULETTA, Cognizione sommaria e giudizio arbitrale, in Diritto dell’arbitrato, cit., 505.
(41) La sottrazione della lite alla competenza funzionale inderogabile posta dall’art.
645 c.p.c., non sembrerebbe, invece problematica, l’inderogabilità di tale competenza operando solo nei rapporti fra giudici dello stato, ex pluribus, DI MARZIO, Arbitrato e procedimento di convalida: una relazione diffıcile, cit.
(42) Tale difficoltà potrebbe essere superata, de jure condendo, ad esempio, consentendo il trasferimento di fronte agli arbitri del giudizio di opposizione proposto di fronte al
giudice (relativamente alla decisione sul diritto sostanziale). Una soluzione questa, che però
richiederebbe di rivalutare il ruolo dell’arbitrato e del suo rapporto con la giurisdizione statale, come delineati dal legislatore della riforma. V. supra nota 36.
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ricorrere al procedimento ex art. 633 c.p.c. ss. (ad esempio, le controversie al di sotto di un certo valore ovvero relative a certi tipi di
prestazioni). Per queste controversie esse potrebbero prevedere a)
l’obbligo o b) la facoltà di ricorrere al procedimento ex art. 633
c.p.c., in quest’ultimo caso rimettendo al futuro creditore la scelta fra
soluzione arbitrale e giurisdizionale della lite. Attraverso queste clausole le parti eserciterebbero, quindi, la loro autonomia negoziale, definendo l’ambito delle controversie deferibili ad arbitri e, cosı̀, modellando la soluzione delle liti in funzione della controversia (43).
Il rischio, però, che queste clausole non riescano ad assicurare
alle parti la tutela a cui esse auspicavano è elevato.
In primo luogo, clausole che prevedessero espressamente l’obbligo o la facoltà di agire ex art. 633 c.p.c., non potrebbero limitare
l’intervento della giustizia ordinaria al modello sommario. Esse, infatti, consacrando una scelta delle parti sul modello di trattazione
della causa, rientrerebbero tra gli accordi processuali atipici, la cui
efficacia processuale è, de jure condito, dubbia (44). Le parti, quindi,
prevedendo il ricorso alla tutela monitoria, di fatto accetterebbero
che la giurisdizione statale possa o debba (con consequenziale sottrazione alla potestas arbitrale) essere investita della decisione di
certe azioni di condanna, sia a cognizione piena che a cognizione
sommaria.
In secondo luogo, data l’efficacia (generalmente) riconosciuta
al decreto ingiuntivo, la formulazione sub a e b) implicherebbe la
possibilità che il giudice decida anche dell’esistenza e validità del
rapporto giuridico da cui deriva il diritto azionato in sede monitoria (45). Ciò, nonostante le parti avessero inteso riservare agli arbitri
(43) Diffusa nelle esperienze straniere, v. BORN, International Arbitration and Forum
Selection Agreements: Drafting and Enforcing, Kluwer Law International, 2010, 27, secondo
cui « [...] save in special circumstances and where great care is taken in drafting, such
exclusions are usually ill-advised ». Sulla pratica delle clauses combinées, v. ZUNARELLI e
ZOURNATZI, Arbitrato nelle controversie marittime internazionali, in Codice degli arbitrati,
delle conciliazioni e di altre adr, a cura di BUONFRATE e GIOVANNUCCI ORLANDI, 429.
(44) Pur facendo salva la possibilità di un’eventuale responsabilità risarcitoria, da ultimo, GIUSSANI, Autonomia Privata e presupposti processuali: note per un inventario, in
RTPC, 2010, 240 (con riferimento al patto di conciliazione). Contra, auspicando un maggiore
rilievo degli accordi processuali, CAPONI, Autonomia privata e processo civile: gli accordi
processuali, in RTPC, Spec. Accordi di parte e processo, 2008, 110.
(45) V. supra nota 37. Inoltre, nel caso in cui l’accesso alla giurisdizione sia ancorato al valore della controversia, il rischio evidente è quello del « frazionamento » del credito
da parte dell’attore che voglia sottrarsi all’arbitrato.
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ogni controversia non espressamente riservata alla giurisdizione (fra
cui anche la decisione sul rapporto giuridico). In questa prospettiva,
allora, non resta che una forzatura. O si esclude che il decreto possa
avere efficacia di giudicato sulla questione dell’esistenza e la validità
del rapporto coperta dall’accordo compromissorio (con tutte le indesiderate conseguenze che portano giurisprudenza e dottrina maggioritaria ad affermare l’estensione del giudicato al rapporto). O si deve
ipotizzare che, attraverso clausole del tipo sub ii), le parti saranno ritenute aver implicitamente accettato la possibilità che sia sottratta
alla potestas arbitrale anche la decisione sull’esistenza e validità del
rapporto (con l’effetto, però, di presumere, de jure, la volontà delle
parti e, soprattutto, di frazionare l’ambito di ricorribilità al rimedio
arbitrale e la sua efficacia).
Infine, la formulazione sub b) (46) consentirebbe sı̀ alle parti di
realizzare un’efficace soluzione delle liti (permettendo di valutare in
concreto la sede più opportuna per la soluzione della controversia),
ma rischierebbe di: i) non essere ritenuta un efficace accordo compromissorio (i.e., un impegno attuale e concreto a compromettere la
lite) ma solo convenzione preliminare di accordo (47); o ii) essere ritenuta nulla ex art. 1355 c.c. perché sottoposta a condizione meramente potestativa (i.e., la via arbitrale essendo soggetta alla scelta
arbitraria dell’attore).
(46) Clausole arbitrali « sole-option » (cosı̀ definite perché la facoltà di scegliere fra
arbitrato e giurisdizione è riservata « at its sole option » ad una parte contrattuale), « asymmetric », « unilateral », « optional » attraverso cui le parti conferiscono ad una di esse l’opzione fra giustizia statale o arbitrale sono diffuse nella prassi commerciale, e ammesse in ordinamenti stranieri. Esempi di clausole sono riportati da MOSKIN, Commercial Contracts:
Strategies for Drafting and Negotiating, vol. 1, 2009 Suppl., Wolters Kluwer, § 5-64 ss. Per
la validità di clausole sole option nell’ordinamento USA, v. Oblix Inc. v. Winiecki, 374 F.3d
488, 490-491; HAMILTON, CAPIEL, Madrid update: Sole-Option Arbitration Clauses Under
Spanish Law, 25(8) Mealey’s International Arbitration report 1 (Agosto 2010).
(47) Ritiene patologiche le clausole combinate o miste perché « indice di uno strapotere di una parte sull’altra non fosse altro perché con questo mezzo una parte può comunque paralizzare qualsiasi legittima (ex ante) iniziativa dell’altra », FRIGNANI, Libertà delle
parti e clausole patologiche nell’arbitrato internazionale, in Arbitraje: Revista de Arbitraje
Comercial y de Inversiones, 2008, 772. Sulla riconoscibilità di un lodo pronunciato in virtù
di una clausola compromissoria che deferiva le controversie ad un arbitrato amministrato da
istituzioni con sede a Stoccolma o a Pechino, da scegliere a seconda della parte che avrebbe
proposto la domanda, App. Milano 2 luglio 1999, in questa Rivista, 2000, 753, con nota di
MURONI, Il conflitto pratico fra lodi e la Convenzione di New York, ivi, 755; e Cass., 7 febbraio 2001, n. 1732, CG, 2002, 107, con nota di CONSOLO, Lodi incompatibili e di diversa
nazionalità: profili di riconoscimento in un paese terzo, ivi, 111.
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In questa prospettiva diventerebbe essenziale l’attenta formulazione della clausola, che dovrebbe essere chiara nel consentire all’attore di percorrere la via arbitrale senza necessità di un ulteriore accordo con il convenuto (48), e nel collegare l’impegno della parte alla
scelta del meccanismo di soluzione delle liti a fattori oggettivi (49).
Si potrebbe in questo senso addirittura immaginare l’efficacia di
una clausola che autorizzasse la parte a scegliere, in ragione della
specifica natura e delle caratteristiche della controversia insorta, se
chiedere tutela del proprio diritto dinnanzi agli arbitri o con procedimento ex art. 633 c.p.c. Da una parte, infatti, il riferimento all’articolo 633 c.p.c. avrebbe una funzione individualizzante del tipo di
controversie e delle condizioni in presenza delle quali l’accesso alla
tutela giurisdizionale è rimesso alle parti. Dall’altra, la clausola non
porrebbe alcuna delle parti in posizione di vantaggio, quanto meno
in contratti rispetto ai quali entrambe le parti possono assumere la
posizione di creditore e debitore.
Infine, con la clausola sub iii), le parti potrebbero prevedere che
la tutela monitoria sia concessa dagli arbitri (50). Anche tale soluzione, che richiederebbe alle parti di regolare il procedimento monitorio (eventualmente per rinvio ad un regolamento), non sembra, de
jure condito, offrire alle parti una tutela effettiva.
Se, infatti, uno degli scopi perseguiti con la tutela sommaria è
la rapida formazione di un titolo esecutivo, la misura ingiuntiva arbitrale potrebbe essere concessa soltanto nell’ambito di un arbitrale
rituale e dovrebbe essere concessa nella forma di lodo (51) (dato che
le ordinanze arbitrali non possono essere oggetto di exequatur ex art.
825 c.p.c.).
(48) Ha qualificato una clausola compromissoria « unilateralmente facoltativa » (o
« obbligatoria per una soltanto delle parti ») come opzione ex art. 1331 c.c., ritenendola valida, Cass., 19 ottobre 1960, n. 2387, in Giust. civ., 1960, I, 1897 (la clausola recitava « in
caso di controversie che attengano all’interpretazione ed all’esecuzione del presente contratto, sarà facoltà della parte committente anche in relazione alla specifica natura del dissenso, di affıdarne la risoluzione ad un arbitro amichevole »). V. a contrario Cass., 8 aprile
2004, n. 6947, in Riv. dir. internaz. privato e proc., 2005, 107, 109; e Cass., 18 giugno 1991,
n. 6857, Rep. Foro it., 1992, Delibazione [2080], n. 38. (rifiutando di qualificare come clausola arbitrale l’accordo con cui le parti abbiano condizionato il ricorso all’arbitrato ad un loro
successivo accordo).
(49) Cass., 21 maggio 2007, n. 11774.
(50) Per la cui validità, v. supra, § 2.
(51) Eventualmente da assumere nella forma di lodo « non definitivo » — per evitarne l’immediata impugnabilità ex art. 827, comma 2, c.p.c. — da « recepirsi » in un lodo
definitivo in caso di mancata opposizione.
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Tale forma, pur coerente con la potenziale definitività dell’accertamento in esso contenuto, porrebbe però serie difficoltà di coordinamento con la disciplina generale.
Il provvedimento monitorio, infatti, pur essendo definito lodo,
mancherebbe del tratto caratteristico di tale provvedimento (i.e. il
provocare l’esaurimento del potere arbitrale sulla questione risolta)
poiché la parte, proponendo opposizione, potrebbe suscitare una cognizione piena sulla domanda decisa sommariamente. Al di là della
dubbia legittimità di tale figura, il presidente del tribunale investito
ex art. 825 c.p.c. potrebbe, quindi, rifiutare di dichiarare esecutivo il
provvedimento ritenendo che esso non sia « lodo » (52).
Inoltre, anche se il lodo « monitorio » fosse dichiarato esecutivo, la sua esecutività sarebbe regolata dai meccanismi dell’art. 825
c.p.c., non adatti rispetto alla fattispecie in questione. Da una parte,
infatti, l’esecutività sarebbe slegata dai presupposti previsti dall’art.
642 c.p.c. ed unicamente soggetta a un controllo di regolarità formale ex art. 825 c.p.c. Dall’altra, l’« amministrazione » dell’efficacia
esecutiva dovrebbe avvenire attraverso il reclamo ex art. 825 c.p.c.
(entro trenta giorni dalla comunicazione del decreto ex art. 825,
comma 3, c.p.c.) o ex art. 830, comma 3, c.p.c., vale a dire attraverso
meccanismi del tutto inadeguati, per presupposti e ambito di attivabilità, a surrogare lo strumento dell’art. 649 c.p.c. (che consente di
ottenere la sospensione dell’esecuzione provvisoria del decreto, in
ogni momento, quando ricorrano gravi motivi).
Tali difficoltà sembrano poter essere superate soltanto de jure
condendo attraverso l’introduzione di una specifica disciplina, che
permetta di attribuire efficacia esecutiva anche a taluni provvedimenti arbitrali non definitivi e di incidere sull’efficacia esecutiva del
provvedimento concesso, pendente giudizio a cognizione piena.
This Article examines whether, under Italian law, a state court may grant a
payment order (decreto ingiuntivo) to enforce rights arising out of a contract which
includes an arbitration clause.
After having illustrated Italian case law and scholars’ opinions on the matter and after having examined the potential weaknesses of those scenarios, the Article comes to the conclusion that if a contract contains an arbitration clause, then
(52) Possono, per analogia, ricordarsi le difficoltà a ottenere il riconoscimento ex art.
839 c.p.c. di « lodi » non definitivi contenenti provvedimenti cautelari, si veda, se si vuole
BERGAMINI, L’arbitrato estero, in Arbitrato a cura di CECCHELLA, Torino, 2005, 339.
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this in itself can prevent a state court from granting a payment order. Furthermore,
the existence of the arbitration clause must be raised ex officio by the court handling the application for an order.
The Article also examines whether, and to what extent, the parties, by carefully drafting the arbitration clause, can reserve their right to seek a payment order from a state court.
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GIURISPRUDENZA ORDINARIA
I)
ITALIANA
Sentenze annotate
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II civ.; sentenza 20 giugno 2011, n. 13531; SCHETTINO Pres.; FALASCHI Est.; RUSSO P.M. (concl. conf.); N. (avv. Giampà) c. L.
Arbitrato - Compromesso e clausola compromissoria - Interpretazione - Criteri - Riferimento a tutte le controversie su pretese aventi causa nel contratto - Necessità - Conseguenze - Controversia di interpretazione o di
applicazione del contratto - Inclusione della controversia in materia di
inadempimento e di risoluzione - Sussistenza.
Quando con una clausola compromissoria le parti deferiscono a un collegio
arbitrale le controversie relative all’applicazione o interpretazione del contratto
preliminare, cui la clausola accede, tale patto va interpretato in senso lato, se non
c’è una volontà contraria, fino a ricomprendere ogni controversia relativa al contratto, anche in merito all’esecuzione o all’inadempimento.
CENNI DI FATTO. — N. evocava, dinanzi al Tribunale di Rovereto, L. esponendo
di avere stipulato contratto preliminare di compravendita immobiliare con il convenuto e chiedendo la pronuncia di una sentenza che tenesse luogo del contratto
non concluso ex art. 2932 c.c.
Avverso la sentenza di accoglimento del Tribunale propone appello L., con il
quale ribadisce l’incompetenza del Tribunale adito stante la clausola arbitrale contenuta nel preliminare di vendita [...]. La Corte d’appello evidenzia che l’interpretazione restrittiva della clausola compromissoria contenuta nel contratto preliminare, offerta dal giudice di prime cure, non è da condividere in quanto trattandosi
di arbitrato irrituale, l’arbitro da nominare avrebbe assunto la veste di mandatario
ed avrebbe potuto avvalersi di tutti i mezzi giuridici idonei alfa definizione del rapporto, avendo le parti con la clausola implicitamente rinunciato ad avvalersi della
tutela giurisdizionale in relazione a qualsiasi diritto scaturente dal contratto in contestazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE. — [...] N. critica l’impugnata sentenza, sostenendo che
la Corte di merito ha male interpretato il contenuto della clausola compromissoria,
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di cui al preliminare di vendita, siccome con essa le parti avevano inteso devolvere
ad arbitri amichevoli — compositori non ogni controversia, ma solo le liti che fossero insorte in ordine all’applicazione ovvero all’interpretazione del contratto. La
presente controversia esulando da detto ambito, per essere la domanda introdotta
attorea volta ad ottenere una pronuncia ex art. 2932 c.c.. In altre parole, il tema introdotto dall’attore atterrebbe alla esecuzione del contratto e non già alla sua interpretazione, per cui andrebbe discusso in sede contenziosa, mentre la contrapposta
eccezione di merito relativa alla risoluzione del contratto, proprio perché sollevata
dal convenuto direttamente al giudice ordinario, senza avanzare alcuna richiesta di
deferirne la decisione a collegio arbitrale, costituirebbe ipotesi di implicita rinuncia
alla medesima clausola. La corte territoriale sarebbe pertanto incorsa in errore
avendo ritenuto di competenza del collegio arbitrale anche la pronuncia di sentenza
in luogo di contratto [...].
Quanto al secondo profilo si osserva che la corte di merito ha risolto la questione controversa esponendo le ragioni del suo approdo con motivazione chiara,
esaustiva ed immune da vizi logici, conclusivamente affermando che la pretesa
azionata dall’attore, attuale ricorrente, contro il L., è improponibile rientrando nella
previsione della clausola contenuta nel contratto preliminare di vendita, ove testualmente si legge: « qualunque contestazione o vertenza sull’interpretazione del presente preliminare, dovrà essere risolta con giudizio arbitrale ». Il ricorrente confuta
tale decisione deducendo argomentazioni che non possono però essere riesaminate
in questa sede di legittimità, con le quali smentisce siffatta interpretazione del contenuto della clausola proponendo la propria esegesi, in tesi corretta, senza neppure
prospettare se e quali canoni di ermeneutica contrattuale sarebbero stati violati dal
giudice d’appello.
In sostanza, sollecita la rilettura del testo della clausola, chiedendo che ne
venga ricostruito il tenore alla luce delle sue argomentazioni, La sua critica si concreta pertanto in una quaestio voluntatis, con cui si lamenta che la corte di merito
non ha colto il senso della clausola arbitrale. Di converso, l’interpretazione del giudice del gravame è sindacabile in cassazione solo se inficiata da difetto di motivazione o da vizi logici o errori di diritto, riconducibili ad errata applicazione dei criteri sanciti dagli artt. 1362 ss. c.c., che, come si è rilevato, nella specie neppure
sono stati enunciati.
È indubbio, infatti, che spetta al solo giudice del merito interpretare il contenuto del suddetto patto e di delineare in conseguenza l’ambito della cognizione degli arbitri, dal momento che il percorso che deve essere condotto al fine di accertare il significato, sia grammaticale che logico delle espressioni usate. Si fonda
sulla ricostruzione della loro comune volontà, e se risulta rispettosa delle regole di
ermeneutica citate e sia correttamente motivata, tale indagine non e sindacabile in
sede di legittimità (per tutte Cass., 14 aprile 1994 n. 3504; nn. 5549/2004 18917/
2004, 14557/2004). Nella specie, come si è rilevato, la conclusione della corte territoriale scaturisce da una duplice ermeneusi che è stata condotta. correttamente e
neppure censurata nella prospettiva che ne avrebbe consentito il controllo in questa sede, sia sulla natura dell’azione introdotta con la domanda, che è stata interpretata, anche alla stregua della causa petendi illustrata nell’atto introduttivo del
giudizio, come inerente all’applicazione del contratto cui la clausola accedeva, sia
sul tenore della nozione giuridica del concetto di « applicazione » del contratto per
la quale operava la rinuncia alla giurisdizione.
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Il ricorrente critica soprattutto questa interpretazione, censurandola sul rilievo
che l’azione da lui esercitata, siccome tesa alla pronuncia di sentenza in luogo del
contratto (definitivo), non rientrava nell’ambito applicativo della clausola, vale a
dire fra le liti inerenti l’« interpretazione » del contratto. Nondimeno la sua censura
resta infondata anche in questa prospettiva, dal momento che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, il collegio arbitrale, al quale con una clausola siano
state deferite le controversie in materia di interpretazione o di applicazione del
contratto, e competente a decidere anche in materia di inadempimento o di risoluzione del contratto stesso poiché detto patto, in assenza di espressa volontà contraria, deve essere interpretato in senso lato, con riferimento a tutte le controversie relative a pretese aventi causa nel contratto (cfr per tutte Cass., Sez. I, 22 dicembre
2005, n. 28485; Cass., Sez. I, 2 febbraio 2001 n. 1496; Cass., Sez. II, 20 febbraio
1997, n. 1559).
In altri termini, il giudice del gravame ha coerentemente ritenuto che, per la
latitudine della clausola, e segnatamente per la carenza di una espressa volontà in
contrario, all’ambito oggettivo della stessa appartenesse ogni questione controversa
che al contratto si ricollegasse [...].
Favor arbitrati e art. 808-quater c.p.c.
1. Nel caso in esame, la controversia ha preso avvio da un contratto
preliminare di compravendita d’immobile recante al suo interno una clausola per arbitrato irrituale, in base alla quale qualunque contestazione o
vertenza sull’interpretazione del contratto avrebbe dovuto essere risolta con
giudizio arbitrale; il promissario acquirente aveva agito dinnanzi al Tribunale proponendo domanda di esecuzione in forma specifica del contratto, ai
sensi dell’art. 2932 c.c. Formulata l’eccezione compromissoria, si è posta
la questione se l’azione proposta dall’attore — attinente per sua natura all’esecuzione del contratto preliminare — dovesse o meno ritenersi compresa nei confini della clausola, che espressamente deferiva in arbitrato soltanto le controversie relative all’interpretazione del contratto.
La Corte d’appello, riformando sul punto la decisione del Tribunale,
ha accolto un’interpretazione estensiva della clausola, sostenendo che le
parti avessero in realtà inteso implicitamente rinunciare ad avvalersi della
tutela giurisdizionale statale « per ottenere l’osservanza di qualsiasi diritto
scaturente dal contratto in contestazione ».
La Corte suprema, pur ribadendo il principio generale secondo il
quale l’interpretazione della portata della clausola compromissoria rappresenta una quaestio voluntatis insindacabile in cassazione ove non affetta da
difetto di motivazione, vizi logici o errori di diritto, come spesso accade è
entrata nel merito della questione, condividendo la decisione della Corte
territoriale e affermando il principio per cui, in assenza di una espressa volontà contraria, appartiene all’ambito oggettivo della clausola compromissoria ogni controversia che si ricolleghi al contratto.
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Nella sostanza, la Corte suprema — relativamente ad un giudizio ante
riforma — ha esteso all’arbitrato irrituale gli stessi principi che, non senza
difficoltà, si sono progressivamente imposti in materia di arbitrato rituale,
ove — pur essendo molto diffusa la tesi restrittiva che limitava la deroga
alla giurisdizione statale ai soli casi di volontà espressa (1) — si è formato
un orientamento estensivo preoccupato di non frammentare, in assenza di
una precisa volontà contraria, le controversie nascenti dal medesimo contratto, distribuendole tra arbitri e giudici (2).
2. La Corte suprema, dunque, ancora una volta si è occupata del
classico problema dell’interpretazione della convenzione d’arbitrato. Nel
caso concreto, è stato possibile superare il dubbio attraverso l’impiego dei
tradizionali strumenti ermeneutici a disposizione del giudice: infatti, se è
certo possibile distinguere logicamente tra esecuzione e interpretazione del
contratto, nondimeno s’interpreta il contratto per eseguirlo, dunque ogni
controversia sull’esecuzione involge un problema di interpretazione del
contratto e viceversa.
Il problema dell’interpretazione della clausola comunque, in termini
generali, rimane: che dire se l’attore, invece dell’esecuzione del contratto,
ne avesse chiesto la risoluzione o l’annullamento, o ancora avesse chiesto
il risarcimento del danno da ritardo nell’adempimento o l’arricchimento
senza giusta causa? (3). Tali azioni avrebbero potuto rientrare nel perimetro
di una clausola compromissoria avente espressamente ad oggetto le sole
controversie e vertenze sull’interpretazione del contratto?
Oggi, il problema è risolto una volta per tutte dall’art. 808-quater
c.p.c., il quale espressamente prevede che, nel dubbio, la convenzione di
arbitrato s’interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte
le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione
si riferisce.
(1) Cass., 27 luglio 1957, n. 3167, in Foro it., 1957, I, 1618, secondo cui l’indicazione delle sole liti attinenti all’interpretazione del contratto escluderebbe la competenza arbitrale quanto ad azioni diverse da quelle di mero accertamento; Cass., 24 gennaio 2005, n.
1398; Cass., 23 luglio 2004, n. 13380; Cass., 4 giugno 2003, n. 8910; Cass., 25 agosto 1998,
n. 8410; Cass., 2 febbraio 1991, n. 2132; contra la dottrina, v. LUISO, Clausola compromissoria e clausola di deroga alla competenza territoriale, in questa Rivista, 2003, 75.
(2) Cass., Sez. I, 22 dicembre 2005, n. 28485, in Rep. Foro it., 2005, voce Arbitrato,
n. 107; Cass., Sez. I, 2 gennaio 2001, n. 1496, in Rep. Foro it., 2001, voce Arbitrato, n. 129;
Cass., Sez. II, 20 febbraio 1997, n. 1559; Cass., 14 aprile 1994, n. 3504, in Giur. it., 1994,
I, 1, 1264; in tema, v. RUFFINI, In tema di interpretazione della clausola compromissoria: i
dubbi della Suprema Corte e l’art. 1367 c.c., in questa Rivista, 1999, 53 ss.; ID., Commento
all’art. 808-quater, in CONSOLO - LUISO (a cura di), Codice di procedura civile commentato,
Milano, 2007, 1678 ss.
(3) Sul tema, v. MOTTO, In tema di clausola compromissoria: forma, oggetto, rilevanza del comportamento delle parti, in questa Rivista, 2006, 82 ss.
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Tale disposizione introduce un nuovo criterio metodologico nell’interpretazione delle clausole compromissorie (e delle convenzioni d’arbitrato
in generale) ispirato al favor arbitrati, che sostanzialmente impone al giudice — sulla stessa linea dell’indirizzo giurisprudenziale di cui è rappresentante anche la decisione in commento — di ritenere comprese, nel perimetro della clausola, tutte le controversie che derivano dal contratto, salvo
espressa volontà delle parti.
Nella sostanza, l’art. 808-quater c.p.c. ha rovesciato l’ermeneutica
della convenzione d’arbitrato: non bisogna più stabilire se le parti abbiano
inteso ricomprendere questa o quella controversia nella clausola, ma se
l’abbiano voluta escludere; in altre parole, attraverso i tradizionali criteri
d’interpretazione del contratto (artt. 1362 ss. c.c.), il giudice è chiamato a
verificare se le parti abbiano inteso escludere alcune delle controversie nascenti dal contratto dal perimetro della devoluzione agli arbitri; in assenza
di questa volontà contraria, l’ordinamento impone al giudice di interpretare
estensivamente la portata oggettiva della clausola, sino a ricomprendere
qualsiasi controversia derivante dal negozio cui accede (ovvero ogni controversia più in generale derivante dal rapporto cui si riferisce la convenzione d’arbitrato) (4).
Il criterio introdotto dall’art. 808-quater può essere applicato anche
all’arbitrato irrituale? Il quesito si cala nell’alveo della più generale questione se le disposizioni dettate per l’arbitrato rituale possano essere, almeno in parte, applicate anche all’arbitrato libero; questione sulla quale,
come è noto, si fronteggiano un atteggiamento rigidamente negativo (5) ed
uno più possibilista, che consiglia di distinguere tra le disposizioni incompatibili con la natura dell’arbitrato irrituale e quelle che, non essendo incompatibili, possono essergli applicate senza violazione dei principi (6).
(4) In questo senso, l’art. 808-quater, a dispetto della lettera della disposizione, non
pare enunciare un criterio in grado di operare soltanto in caso di dubbio interpretativo insuperabile attraverso i consueti criteri di interpretazione del contratto, ma un criterio nuovo e
generale, in grado di operare immediatamente, imponendo al giudice di andare subito alla ricerca di una specifica volontà negativa di escludere una determinata controversia dall’ambito
di operatività della clausola, o più in generale della convenzione d’arbitrato; in questo senso,
i criteri ermeneutici dettati dal codice civile mantengono intatto il proprio ruolo, come strumenti a disposizione del giudice per individuare, nell’accordo delle parti, detta voluntas
excludendi; sull’applicabilità dei criteri di cui agli artt. 1362 ss. per l’interpretazione della
convenzione d’arbitrato, in generale, v. OCCHIPINTI, La cognizione degli arbitri sui presupposti dell’arbitrato, Torino, 2011, 123 ss.
(5) BOVE, Commento all’art. 808-ter, in MENCHINI (a cura di), La nuova disciplina
dell’arbitrato, Padova, 2010, 73.
(6) LUISO, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2007, 366; TOTA, Commento all’art.
808-ter, in BRIGUGLIO - CAPPONI (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, III,
2, Padova, 2009, 545 ss.
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A nostro avviso, l’art. 808-quater rientra tranquillamente tra le disposizioni che possono senz’altro essere applicate anche all’arbitrato libero;
ciò non soltanto per il fatto che — come dimostra la decisione in commento
— l’art. 808-quater sostanzialmente riproduce un orientamento già presente
nella giurisprudenza, quanto soprattutto per le ragioni che stanno a fondamento della previsione introdotta dal legislatore del 2006 (7).
Alla base del criterio di cui all’art. 808-quater, infatti, stanno senz’altro l’esigenza di rispettare e valorizzare la scelta delle parti di sottoporre
agli arbitri la tutela dei diritti nascenti dal contratto (o da un determinato
rapporto) e l’esigenza, altrettanto sentita, di evitare che i rapporti e le controversie derivanti da un medesimo contratto possano essere attribuite a
giudici diversi, con connessa perdita di contestualità degli accertamenti
(particolarmente importante, quando sia necessario garantire la conservazione dei nessi e gli equilibri di diritto sostanziale esistenti tra i diversi effetti promananti da un’unica vicenda contrattuale), quando ciò non corrisponda ad una precisa ed insindacabile volontà delle parti.
Ebbene, se questa è la ratio dell’art. 808-quater, non sembrano esistere serie ragioni per escludere che essa possa e debba valere anche con
riferimento all’arbitrato libero, ove l’esigenza di rispettare la volontà delle
parti e di evitare, ove non espressamente previsto, la frammentazione delle
vie di tutela si pone allo stesso modo che nell’arbitrato rituale.
È vero che — con l’art. 808-ter, attraverso l’introduzione del principio in dubio pro arbitrato rituale — l’ordinamento ha espresso un favore
per l’arbitrato rituale, in ragione della minore rinuncia alla giurisdizione
statale che esso comporta, ma questo non impone di adottare criteri di interpretazione restrittiva delle convenzioni di arbitrato libero, quando sia in
questione l’alternativa tra giudizio privato e giudizio statale; l’art. 808-quater infatti sembra essere espressione di un favor arbitrati generale, in grado
di superare i confini dell’arbitrato rituale (fermo che, se le parti non lo
escludono espressamente, la forma di arbitrato prescelta sarà, per volontà
di legge, quella rituale).
MICHELE COMASTRI
(7) Sul tema, v. ZUCCONI GALLI FONSECA, Commento all’art. 808-quater, in MENCHINI
(a cura di), La nuova disciplina, cit., 102 ss.; ATTERITANO, Commento all’art. 808-quater, in
BRIGUGLIO - CAPPONI (a cura di), Commentario, cit., 568 ss.
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TRIBUNALE DI MODENA, Sez. II civ.; ordinanza 5 maggio 2011; MASONI Est.
Procedimento civile - Controversia rientrante tra quelle assoggettate a mediazione obbligatoria - Mancato previo esperimento del procedimento di
mediazione - Conseguenze.
La domanda di rilascio dell’immobile occupato sine titulo ex art. 447-bis
c.p.c. nel caso di specie trae spunto da un rapporto analogo ad una locazione e,
pertanto, deve essere attivata la preventiva e obbligatoria procedura di mediazione, in materia prevista dall’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010.
FATTO. — Rilevato che l’istante con ricorso ex art. 447-bis c.p.c. depositato in
data 6 aprile u.s. ha chiesto di ordinare al resistente il rilascio dell’immobile occupato senza titolo dal resistente, con condanna al versamento della conseguente indennità di occupazione dal 21 dicembre 2010;
che la domanda trae evidentemente titolo dal rapporto lato sensu locativo che
deve scontare la preventiva ed obbligatoria procedura di mediazione, in materia
prevista dall’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010;
che l’improcedibilità è rilevabile d’ufficio non oltre la prima udienza;
che l’unico effetto processuale derivante dal mancato esperimento della mediazione consiste nell’assegnazione alle parti del termine di quindici giorni per la
presentazione della domanda di mediazione,
P.Q.M. — assegna alle parti termine di quindici giorni per presentare la domanda di mediazione, rimettendo le parti avanti a sé per la discussione all’udienza
del 26 gennaio 2012 h. 9,00.
Mediazione obbligatoria e rilascio di immobile detenuto sine titulo.
1. L’entrata in vigore della mediazione delle liti civili e commerciali
disciplinata dal D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, ed in particolare la differita vigenza dell’art. 5, comma 1, del medesimo decreto che ha introdotto recentemente una estesa obbligatorietà del tentativo di conciliazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, ha avviato la progressiva
emersione di pronunce dei giudici chiamati a definire importanti aspetti ermeneutici di quelle disposizioni, che proprio in ragione della norma citata,
hanno introdotto uno snodo (critico) di necessario incontro tra processo e
mediazione (1).
(1) In base all’art. 5, comma 1, « Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante
dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il
mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finan-
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Tra le decisioni più recenti, particolare interesse ha suscitato l’ordinanza del Tribunale di Modena in commento, che per vero non si distingue
per puntualità espositiva, non consentendo una piena comprensione della
situazione di fatto utile a coglierne tutte le implicazioni. La stessa tuttavia
appare utile per svolgere talune riflessioni circa i confini della sottesa previsione normativa.
2. Ed allora, se dal punto di vista sostanziale le materie indicate nell’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 devono essere oggetto di interpretazione rigorosa in quanto con il meccanismo della condizione di procedibilità si ritarda l’accesso alla tutela giudiziale (diritto fondamentale tutelato
dall’art. 24 Cost.), dall’altro sul piano processuale occorrerà verificarne
l’emersione nell’oggetto della domanda.
In relazione alla condizione di procedibilità è noto che la Consulta ha
più volte ormai ribadito la legittimità costituzionale della istituzione di
« filtri » all’accesso alla giurisdizione, precisando che gli stessi tendono a
realizzare un interesse generale non contrastante con precetti costituzionali;
le garanzie apprestate poi dal legislatore per le parti e la ragionevolezza dei
termini fissati per l’esperimento del tentativo ha condotto negli anni a consolidare un percorso della giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto le
diverse norme immuni da dubbi di legittimità (2).
3. Il provvedimento in esame viene reso in un procedimento avviato
ai sensi dell’art. 447-bis c.p.c. e dalla breve descrizione del fatto emerge
soltanto che il ricorrente ha richiesto di ordinare al resistente « il rilascio
ziari, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente
decreto... L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della
domanda giudiziale. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la
mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza
del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata
esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione ».
Il D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 è entrato in vigore il 20 marzo 2010 fatta eccezione per
l’art. 5, comma 1, la cui vigenza era stata inizialmente differita di dodici mesi (art. 24,
comma 1). Tuttavia, per le materie del condominio e del risarcimento del danno derivante
dalla circolazione di veicoli e natanti è stata approvata una proroga che ne ha fatto slittare
l’entrata in vigore al 20 marzo 2012 (v. art. 2, comma 16-decies, D.L. 29 dicembre 2010, n.
225, convertito, con modificazioni, dalla Legge 26 febbraio 2011, n. 10).
(2) La prima pronuncia significativa sulla compatibilità del tentativo di conciliazione
con i princı̀pi costituzionali è Corte cost., 4 marzo 1992, n. 82, in Foro it., 1992, 1023 ss. (v.
successivamente: Corte cost., 13 luglio 2000, n. 276, in Giur. it., 2011, 1094; Corte cost., 5
ottobre 2011, n. 333, in Giur. cost., 2001, 5; Corte cost., 30 novembre 2007, n. 403, in Giur.
it., 2008, 1099 ss., Corte cost., 26 ottobre 2007, n. 355, in Sito uff. Corte cost., 2007; Corte
cost., 18 febbraio 2009, n. 51, in Sito uff. Corte cost., 2009).
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dell’immobile occupato senza titolo dal resistente, con condanna al versamento della conseguente indennità di occupazione ».
Il giudice rilevato quindi che la domanda « trae evidentemente titolo
da rapporto lato sensu locativo » in applicazione dell’art. 5, comma 1,
D.Lgs. n. 28/2010 (che prevede tra le materie assoggettate alla condizione
di procedibilità la locazione e il comodato) ha assegnato termine di quindici giorni alle parti per la presentazione della domanda di mediazione fissando la successiva udienza decorso il termine di cui al successivo art. 6,
comma 2, D.Lgs. n. 28/2010 (3).
Dall’esame della breve ordinanza invero non è dato comprendere
quale sia il titolo che aveva dato origine al rapporto, venuto meno il quale
(ab origine ovvero successivamente) colui che permanga nella disponibilità
del bene è stato chiamato in giudizio per la restituzione del medesimo. La
scarna ricostruzione dei fatti non consente nemmeno di verificare se la domanda proposta dal ricorrente abbia ad oggetto anche l’accertamento (ad
esempio della nullità del titolo) ovvero la pronuncia costitutiva (ad esempio l’annullabilità del titolo) in ordine al rapporto giuridico fondamentale,
caducato il quale (con efficacia ex tunc, o con efficacia ex nunc) il ricorrente
(e questo è l’unico dato certo) possa richiedere tutela mediante un’azione
personale di restituzione.
4. Appare evidente che qualora il ricorrente, nel caso di specie, abbia proposto una domanda di accertamento volta alla declaratoria di nullità
dell’originario contratto di locazione ed alla conseguente richiesta di condanna al rilascio dell’immobile (a quel punto) detenuto senza titolo, non
v’è dubbio che la soluzione adottata dal giudicante sia da ritenersi ineccepibile.
Diversamente sarebbe accaduto qualora invece la declaratoria di nullità avesse riguardato un contratto di compravendita, in base al quale sarebbe stata inizialmente effettuata la consegna del bene. La richiesta di restituzione, che di per sé è neutra, deve integrarsi con la verifica del titolo
che costituisce l’oggetto della domanda giudiziale.
In realtà la c.d. occupazione senza titolo è fattispecie generica che può
trovare tutela mediante diverse azioni e, quindi, non è la mera proposizione
di un’azione di restituzione di un immobile a rendere operativa la condizione di procedibilità ex art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010, bensı̀ il titolo
in base al quale il detentore dell’immobile è entrato nella disponibilità del
medesimo.
(3) In questo caso il termine previsto dalla norma pari a quattro mesi decorre dalla
scadenza del termine di quindici giorni assegnato dal giudice (art. 6, comma 2, D.Lgs. 4
marzo 2010, n. 28).
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5. Si può dunque ipotizzare che qualora si proponga un’azione finalizzata ad ottenere soltanto l’accertamento del diritto (ad esempio, la nullità
del contratto di locazione o di comodato, che sconterà l’obbligo di procedibilità in questione) e la relativa sentenza di accoglimento passi in giudicato, l’eventuale (susseguente) azione di restituzione, avendo quale solo
presupposto della stessa un contratto (di locazione o di comodato) dichiarato nullo, non dovrà essere assoggettato al tentativo obbligatorio di mediazione.
Diversamente opinando, non soltanto si duplicherebbe tale obbligo,
ma si introdurrebbe surrettiziamente lo stesso in un procedimento nel quale
l’azione viene istaurata soltanto per la condanna al rilascio dell’immobile
del quale è già stata accertata (con sentenza passata in cosa giudicata) la
nullità, essendo peraltro già stati esauriti gli spazi della mediazione che ne
giustificano una obbligatorietà ex lege.
MARCO MARINARO
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TRIBUNALE DI PALERMO, Sezione distaccata di Bagheria; ordinanza 13 luglio
2011; RUVOLO Est.
Giudizio ordinario di cognizione - Rilievo d’ufficio dell’improcedibilità della
domanda giudiziale - Omesso espletamento del tentativo di mediazione Provvedimenti ex art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010.
Il giudice, rilevata d’uffıcio l’improcedibilità della domanda giudiziale a
causa dell’omesso esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, fissava in
favore delle parti il termine di giorni quindici per il deposito della pertinente
istanza dinanzi ad un organismo accreditato e rinviava il giudizio ad altra e
diversa udienza.
CENNI DI FATTO. — Il Tribunale di Palermo ritiene che, in difetto dell’eccezione
di parte convenuta, il giudice sia comunque obbligato a rilevare d’ufficio l’improcedibilità della domanda giudiziale a fronte dell’omesso espletamento del tentativo
obbligatorio di mediazione e quindi ad adottare i provvedimenti di cui all’art. 5,
comma 1, D.Lgs. n. 28/2010.
MOTIVI DELLA DECISIONE. — Il Giudice, vista la regolarità della notificazione
della citazione a X e la costituzione in giudizio di Y e del tutore di Z;
visto l’esito negativo della notificazione a X e la necessità di disporre la rinnovazione della notificazione in questione;
visto che la citazione introduttiva del presente giudizio (con la quale è stato
chiesto lo scioglimento di una comunione ereditaria) è stata notificata ai convenuti
dopo il 21 marzo 2011, ossia dopo l’entrata in vigore delle norme sulla mediazione
obbligatoria;
rilevato che l’atto di citazione è stato consegnato all’ufficiale giudiziario per
la notificazione il 18 marzo 2011, e quindi prima dell’entrata in vigore delle dette
norme;
considerato che occorre verificare se vada richiesta la condizione di procedibilità dell’esperimento del procedimento di mediazione nel caso in cui l’attore abbia consegnato la citazione all’ufficiale giudiziario entro il 21 marzo 2011, ma la
notifica si sia perfezionata nei confronti del convenuto a partire dal 21 marzo 2011;
considerato che se è vero che l’art. 149, comma 3, c.p.c. prevede, per la notifica a mezzo posta, che la notificazione si perfeziona, per il soggetto notificante,
al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e se è anche vero che
tale principio ha carattere generale e vale per tutti i tipi di notifica, tuttavia non può
trascurarsi che il principio in questione comporta soltanto che il notificante non incorre in decadenze o prescrizioni maturate dopo la detta consegna (v. per tutte
Corte cost. n. 477/2002; 28/2004 e ord. n. 97/2004). Resta il fatto che agli altri fini
la notifica si considera perfezionata nel momento in cui il destinatario ne ha legale
conoscenza; ritenuto che, poiché l’art. 24 del D.Lgs. n. 28/2010 prevede che le disposizioni sulla condizione di procedibilità di cui al comma 1 dell’art. 5 si applicano ai processi « iniziati » a partire dal 21 marzo 2011 (ossia dopo la data di entrata in vigore del decreto, che era domenica 20 marzo 2011) e considerato che la
pendenza del giudizio ed il suo « inizio » si hanno dalla notificazione della cita89
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zione, allora devono ritenersi allo stato improcedibili le domande contenute in citazioni (relative a materie soggette a mediazione obbligatoria, come quella di cui al
presente giudizio) notificate al destinatario a partire dal 21 marzo 2011;
rilevato, quindi, che le parti vanno mandate in mediazione e che la causa va
rinviata ad oltre quattro mesi (e 15 giorni per il deposito della domanda); considerato che tale soluzione pare poi fornire alle parti maggiore tutela al fine di dotare
di sicura procedibilità la domanda (non da parte di tutti, infatti, si ritiene che la
questione della procedibilità o meno della domanda non sia più discutibile dopo la
prima udienza del giudizio di primo grado; nel senso, invece, che qualora l’improcedibilità dell’azione non venga rilevata dal giudice entro la prima udienza, la questione non possa comunque più essere riproposta nei successivi gradi di giudizio v.
invece Cass., Sez. lav., 21797/2009; 7871/2008 e 15956/2004); visto che gli avvocati delle parti costituite hanno chiesto di evitare la procedura di mediazione; considerato però, che, letteralmente, il comma 1 dell’art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010 prevede che « l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’uffıcio dal giudice non oltre la prima udienza »; ritenuto, quindi,
che la rilevabilità dell’improcedibilità è obbligatoria e non discrezionale; rilevato
che la rinnovazione della notificazione nei confronti di X va disposta assegnando
contestualmente alle parti il termine per la proposizione del procedimento di mediazione nei confronti di tutti i litisconsorti.
(Omissis).
Il rilievo dell’improcedibilità della domanda giudiziale conseguente all’omesso esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione.
1. Il provvedimento in commento, dopo aver ritenuto applicabile,
ratione temporis, alla domanda giudiziale proposta dall’attore X la condizione
di procedibilità di cui all’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010, ha ricondotto
in capo al giudice, in difetto dell’eccezione del convenuto, la sussistenza dell’« obbligo » di rilevare d’ufficio, entro la prima udienza, l’improcedibilità
conseguente all’omesso esperimento del tentativo di mediazione.
Il Tribunale adito, statuendo expressis verbis che « la rilevabilità dell’improcedibilità è obbligatoria e non discrezionale », ha quindi ritenuto di
dover fissare in favore delle parti il termine di giorni quindici per il deposito dell’istanza di mediazione dinanzi ad un organismo all’uopo accreditato e di rinviare il giudizio ad altra e diversa udienza.
2. La condizione di procedibilità introdotta dall’art. 5, comma 1, del
D.Lgs. n. 28/2010 rappresenta, da un punto di vista squisitamente processual-civilistico, un c.d. « presupposto processuale » (1), la cui violazione è
(1) Sulla condizione di procedibilità della domanda giudiziale quale « presupposto
processuale », si veda LUISO, Diritto processuale civile, Milano, 2007, vol. I, 28-29 e 53-59.
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suscettibile di essere sanata nel corso del giudizio (2) con efficacia ex
tunc (3).
In particolare, il compimento delle attività funzionali alla descritta sanatoria deve essere sollecitato dal convenuto, tenuto a sollevare l’eccezione
d’improcedibilità, a pena di decadenza, entro e non oltre la prima udienza (4), o disposto d’ufficio dal giudice nel medesimo termine (5).
La dizione letterale dell’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010 suscita
però qualche dubbio interpretativo, in quanto la locuzione « rilevata d’uffıcio dal giudice non oltre la prima udienza » sembrerebbe retta dal verbo
« deve essere », con la conseguenza che l’organo giudicante sarebbe titolare
non della facoltà (potere), bensı̀ dell’obbligo (dovere) di rilevare l’improcedibilità di cui si discute.
Opinando in tal senso, il provvedimento con cui l’ufficio, in difetto
della pertinente eccezione di parte, rinvia il processo per la trattazione anziché fissare in favore delle parti il termine di quindici giorni per il deposito dell’istanza di mediazione, sarebbe affetto da nullità.
Nella specie, si tratterebbe di una c.d. « nullità extraformale » (6) con-
(2) L’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 recita: « il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del
termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata
esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione ».
(3) Gli effetti sostanziali della domanda si producono infatti sin dall’instaurarsi della
litispendenza. Al riguardo si veda TISCINI, Il procedimento di mediazione per la conciliazione
delle controversie civili e commerciali, in questa Rivista, 2010, 585 ss.; IMPAGNATIELLO, La
domanda di mediazione: forma, contenuto ed effetti, in www.judicium.it.
(4) In senso critico sulla nuova figura di giurisdizione condizionata, si veda: CAPONI,
La mediazione obbligatoria a pagamento: profili di incostituzionalità, in www.judicium.it;
SCARSELLI, La nuova mediazione e conciliazione: le cose che non vanno, in www.judicium.it;
SANTANGELI, La mediazione obbligatoria nel corso del giudizio di primo grado, in www.
judicium.it; FABIANI, LEO, Prime riflessioni sulla « mediazione finalizzata alla conciliazione
delle controversie civili e commerciali » di cui al D.Lgs. 28/2010, in www.judicium.it; FABIANI, Profili critici del rapporto tra mediazione e processo, in www.judicium.it; DITTRICH, Il
procedimento di mediazione nel D.Lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in www.judicium.it; SCARSELLI, L’incostituzionalità della mediazione di cui al d. leg. 28/10, in Foro it., 2001, V, 54 ss.;
ZINGALES, La fase di mediazione obbligatoria nel quadro delle garanzie costituzionali, in
www.judicium.it; SOLDATI, Al vaglio l’obbligo del « previo esperimento », in Guida al diritto,
17, 2011, 32 ss.; IMPAGNATIELLO, La domanda di mediazione cit.; TISCINI, Il procedimento di
mediazione, cit., 585 ss.
(5) Il tenore letterale della disposizione citata nel testo cosı̀ recita: « l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’uffıcio dal giudice
non oltre la prima udienza ».
(6) Sulla tipologia delle nullità extraformali, si veda: AULETTA, Nullità e « inesistenza » degli atti processuali civili, Padova, 1999, passim; ORIANI, Nullità degli atti processuali, in Enc. giur., XXI, Roma, 1990, passim; ORIANI, Nullità degli atti processuali civili, in
Il diritto, Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, X, Milano, 2007, 120 ss.
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seguente all’errore del giudice di aver ritenuto sussistenti le condizioni per
decidere il merito in difetto di uno dei presupposti processuali (7).
A parere della migliore dottrina (8), la descritta tipologia di nullità,
non mutuando il proprio regime giuridico dalle norme previste per le c.d.
« nullità formali » (artt. 156 ss. c.p.c.) (9) e demandando la soluzione dei
problemi pratici alle fattispecie disciplinanti i singoli presupposti processuali (10), è rilevabile d’ufficio nel corso del processo (11).
Poste queste premesse ne deriva, ai fini che qui interessano, che il
giudice, fino all’emanazione della sentenza, ben potrebbe — « re melius
perpensa » (12) — dichiarare d’ufficio la nullità dell’ordinanza con cui
aveva, in precedenza, omesso di sollecitare la sanatoria del vizio derivante
dal mancato espletamento del tentativo di mediazione (13) e applicare
quindi, durante tutto il giudizio di primo grado, il meccanismo previsto
dall’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010 (14).
Nel caso contrario, la predetta nullità si ripercuoterebbe, ai sensi dell’art. 161, comma 1, c.p.c., sul dictum giudiziale finale (15), aprendo quindi
la strada al successivo gravame.
Le parti, dal canto loro, potrebbero dolersi del vizio che inficerebbe
l’atto compiuto dall’ufficio, non trovando applicazione, nell’ipotesi in
esame, il c.d. « principio di autoresponsabilità » (16), che priva colui che ha
dato causa alla nullità della legittimazione a farla valere. Muovendo, infatti,
dalla tesi secondo cui il giudice sarebbe obbligato a rilevare d’ufficio l’improcedibilità della domanda giudiziale, è evidente che l’eventuale omissione sarebbe imputabile all’organo giudicante e non invece alle parti.
Ad ogni buon conto, in sede d’appello, la Corte potrebbe adottare —
sul presupposto che il tenore letterale dell’art. 354 c.p.c. non contempla, tra
le ipotesi di rinvio al giudice di prime cure, la violazione dell’art. 5, comma
(7) VERDE, Profili del Processo civile, Vol. 1 Parte generale, Napoli, 2008, 287-288;
LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. I, 123-129 e 414.
(8) VERDE, Profili del processo civile, cit., 287-288; LUISO, Diritto processuale civile,
cit., vol. I, 123-129 e 414.
(9) Contra MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Il processo di cognizione, vol. I,
Torino, 2007, 447 ss.
(10) Cosı̀ VERDE, Profili del processo civile, cit., 287-288; LUISO, Diritto processuale
civile, cit., vol. I, 123-129 e 414. Contra MANDRIOLI, Diritto processuale civile, cit., 451 ss.
(11) Cosı̀ LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. I, 123-139 e 414.
(12) L’espressione nel testo è di LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. IV, 18.
(13) Con riferimento al processo del lavoro ante novella di cui alla Legge n. 183/
2010, si veda LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. IV, 13-14.
(14) Con riferimento al processo del lavoro ante novella di cui alla Legge n. 183/
2010, si veda LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. I, 13-14.
(15) La trasformazione dei vizi della sentenza in motivi di impugnazione rappresenta
un principio di ordine generale, applicabile a tutte le tipologie di nullità.
(16) LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. I, 77-78.
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1, del D.Lgs. n. 28/2010 — i provvedimenti necessari per favorire illic et
immediate lo svolgimento del tentativo di mediazione (17).
Alternativamente, il Collegio potrebbe optare per la regressione del
processo alla fase in cui si è verificata la nullità, conferendo rilievo all’asserto secondo cui in tema di violazione dei presupposti processuali nessuna
sanatoria può trovare ingresso nel giudizio di secondo grado (18).
3. L’impostazione appena descritta, pur aderendo al tenore letterale
dell’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010, sembra tuttavia discostarsi
dalla ratio legis sottesa all’impianto complessivo della riforma.
Pertanto, al fine di verificare se la predetta disposizione normativa sia
suscettibile di altra e diversa interpretazione, occorre muovere dalla relazione illustrativa del D.Lgs. n. 28/2010, la quale recita testualmente: « la
parte che intende agire in giudizio ha l’onere di tentare la mediazione e il
giudice, qualora rilevi — su eccezione di parte nella prima difesa o d’ufficio entro la prima udienza — che la mediazione non è stata tentata [...],
fissa una nuova udienza [...], onde consentirne lo svolgimento ».
In tale ottica, si potrebbe quindi argomentare che il giudice sia titolare della « facoltà » (e non dell’obbligo) di rilevare, entro la prima
udienza, l’improcedibilità della domanda giudiziale conseguente all’omesso
espletamento del tentativo di conciliazione.
In un altro e diverso passaggio, la citata relazione illustrativa esplicita
come il D.Lgs. n. 28/2010 abbia inteso assurgere a paradigma « lo schema
già sperimentato nelle controversie di lavoro (19) [di cui] agli articoli 410
ss. del codice di procedura civile [...] ».
Orbene, l’art. 412-bis c.p.c., in vigore fino all’emanazione della Legge
n. 183 del 4 novembre 2010 (20), cosı̀ statuiva: « l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto nella memoria difensiva di cui all’art. 416 e
può essere rilevata d’uffıcio dal giudice non oltre l’udienza di cui all’art.
(17) Cosı̀ SANTANGELI, La mediazione obbligatoria cit.; DITTRICH, Il procedimento di
mediazione nel D.Lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, cit.
(18) Cosı̀ LUISO, Diritto processuale civile, cit., vol. I, 54, seppure in riferimento ai
presupposti processuali in generale.
(19) Come noto, gli artt. 410 ss. c.p.c. prevedevano, prima della recente novella attuata tramite la Legge n. 183/2010, l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione nell’ambito
delle controversie aventi ad oggetto questioni di diritto del lavoro.
(20) La Legge n. 183/2010, ponendosi in antitesi rispetto all’attuale trend legislativo,
ha eliminato l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione dinanzi l’ispettorato provinciale
del lavoro. Amplius, Il collegato al lavoro, con commento di TRICOMI, In 50 articoli tante novità dalla conciliazione ai termini di impugnazione dei licenziamenti, in Guida al Diritto,
2010, Dossier n. 8, 95 ss. Spunti in BORGHESI, L’arbitrato ai tempi del collegato al lavoro, in
www.judicium.it. Spunti in AULETTA, Le impugnazioni del lodo nel « Collegato lavoro »
(Legge 4 novembre 2010, n. 183), in questa Rivista, 2010, 563 ss.
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420. Ove il giudice rilevi che non è stato promosso il tentativo di conciliazione [...] ».
Ai sensi di tale ultima norma, la giurisprudenza di legittimità (21) riteneva che l’omesso rilievo dell’improcedibilità da parte del giudice entro
l’udienza ex art. 420 c.p.c. precludesse la riproposizione della questione nei
successivi gradi di giudizio.
D’altra parte, l’ordinamento giuridico perviene alla medesima conclusione con riferimento al rilievo d’ufficio, ex art. 38, comma 3, c.p.c., dell’incompetenza dell’organo giudicante per materia, per valore e per territorio inderogabile (22).
Anche alla luce delle superiori considerazioni, si può con un certo
grado di ragionevolezza ritenere che, eccezion fatta per quei presupposti
processuali la cui violazione è rilevabile in ogni stato e grado del processo
(es. giurisdizione, litispendenza, ecc.), il giudice sia — di norma — titolare
della facoltà e non dell’obbligo di rilevarne la violazione, entro i termini di
decadenza eventualmente previsti.
Applicando tale conclusione alla mediazione obbligatoria, se ne ricava
che ove l’omesso espletamento del tentativo stragiudiziale non venga eccepito dal convenuto o rilevato d’ufficio dal giudice entro la prima udienza,
la relativa questione non potrà essere nuovamente esaminata nei successivi
gradi di giudizio.
La problematica sin qui tratteggiata non deve però essere confusa con
l’altra e diversa ipotesi in cui il convenuto abbia tempestivamente eccepito
l’improcedibilità della domanda giudiziale per violazione dell’art. 5,
comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010 ed il giudice abbia erroneamente respinto
l’eccezione.
In tale ultimo caso, infatti, non v’è dubbio che la nullità del provvedimento possa essere rilevata, anche d’ufficio dall’organo giudicante, durante l’intero processo di primo grado e fatta valere dalle parti in sede di
giudizio d’appello, secondo le modalità descritte nel precedente paragrafo.
Ragioni di completezza inducono, infine, a chiedersi quale siano le
sorti del processo qualora le parti, adeguatamente invitate dal giudice ad
esperire il tentativo obbligatorio di mediazione, non provvedano a depositare, nel termine di quindici giorni concesso in loro favore, la pertinente
istanza dinanzi ad uno degli organismi accreditati.
Attesa la natura ordinatoria del predetto termine, nulla vieterebbe al
(21) L’argomento è peraltro evidenziato nel testo dell’ordinanza in commento che richiama le seguenti pronunce: Cass. civ., Sez. lav., n. 21797/2009; Cass. civ., Sez. lav., n.
7871/2008 e Cass. civ., Sez. lav. n. 15956/2004.
(22) Cass. civ., Sez. I, 22 agosto 2006 n. 18240, MGI, 2006, in VACCARELLA, GIORGETTI,
Codice di procedura civile annotato con la giurisprudenza, Milano, 2007, 179-180.
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giudice di rinviare la causa e fissare una nuova udienza per l’espletamento
dei medesimi incombenti (23).
Appare tuttavia preferibile ritenere che l’ufficio, preso atto dell’omessa sanatoria del vizio che inficia uno dei presupposti processuali
(condizione di procedibilità dell’azione) e quindi del difetto delle condizioni per poter decidere il merito della controversia, provveda a dichiarare
l’estinzione del giudizio (24).
4. Dalla lettura dell’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010 si ricavano due diverse e distinte interpretazioni — delle quali si è cercato sin qui
di dar conto — che pervengono a conclusioni antitetiche.
Ove, infatti, il giudice fosse « obbligato » a rilevare d’ufficio l’improcedibilità della domanda giudiziale a fronte dell’omesso esperimento del
tentativo obbligatorio di mediazione, l’eventuale omissione non precluderebbe la riproposizione della relativa questione nei successivi gradi di giudizio.
Opinando in senso contrario, la prima udienza rappresenterebbe l’ultimo momento utile, sia per le parti, sia per l’organo giudicante, per sollecitare lo svolgimento del procedimento stragiudiziale di nuova fattura.
Nonostante la maggiore aderenza al tenore letterale della citata ultima
norma, la prima soluzione — sposata dalla pronuncia in commento —
sembra però porsi in aperto contrasto con la ratio legis sottesa alla recente
riforma, in quanto, ove accolta, favorirebbe, nella migliore delle ipotesi, la
dilatazione dei tempi processuali e, nella peggiore, la regressione del giudizio alla fase in cui si è verificata la nullità.
L’obiettivo del D.Lgs. n. 28/2010, cosı̀ come ispirato dalla Direttiva
n. 2008/52/UE, è invece quello di favorire la composizione bonaria delle
controversie, ridurre il contenzioso e, per tal via, di migliore l’efficienza del
sistema giudiziario italiano.
CHRISTIAN CORBI
(23) Contra SANTANGELI, op. cit.
(24) In tal senso, CALIFANO, Dalla conciliazione societaria alla « mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali », in www.judicium.it; LUISO,
Diritto processuale civile, cit., vol. I, 24; SANTANGELI, La mediazione obbligatoria cit.;
DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel D.Lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, cit.
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II)
STRANIERA
Sentenze annotate
OLANDA — Gerechtshof di Amsterdam; sentenza 28 aprile 2009; Yukos Capital
s.a.r.l. v. OAO Rosneft.
Lodi resi in Russia - Annullamento dei lodi in Russia - Richiesta di riconoscimento e di esecuzione dei lodi nei Paesi Bassi - Non indipendenza e parzialità dei giudici che hanno pronunciato l’annullamento - Contrarietà
del riconoscimento della sentenza di annullamento all’ordine pubblico del
foro - Riconoscibilità ed eseguibilità dei lodi.
La Convenzione di New York disciplina il riconoscimento e l’esecuzione dei
lodi arbitrali stranieri e non, invece, il riconoscimento delle sentenze straniere di
annullamento degli stessi. Un lodo annullato nello Stato della sede può eccezionalmente essere oggetto di exequatur in un altro Stato qualora la sentenza di annullamento non possa essere riconosciuta in quest’ultimo, sulla base delle disposizioni
di diritto internazionale privato e processuale del foro.
CENNI DI FATTO. — Nel mese di dicembre del 2005, la società lussemburghese
Yukos Capital inizia, presso la Corte di Arbitrato Commerciale Internazionale
(ICAC) della Camera del Commercio e dell’Industria della Federazione Russa,
quattro procedimenti arbitrali, sulla base delle clausole compromissorie contenute
in altrettanti contratti di mutuo conclusi nell’estate del 2004 con la società russa
Yuganskneftegaz. I lodi, resi a Mosca, il 19 settembre 2006, condannano quest’ultima al pagamento di una somma di denaro a favore della parte attrice. La Arbitrazh Court di Mosca, il 18 e 23 maggio 2007, annulla i lodi su richiesta della Rosneft (società controllante la Yuganskneftegaz, con cui quest’ultima si è fusa, cessando formalmente di esistere, il 1o ottobre 2006), con una sentenza, poi confermata sia in grado di appello che in ultimo grado, secondo cui (i) durante il procedimento arbitrale, erano stati violati i principi del giusto processo e alcune delle regole procedurali poste dal Regolamento di arbitrato della ICAC e (ii) il tribunale
arbitrale non era stato costituito in conformità all’accordo delle parti.
La Yukos Capital chiede, nonostante l’intervenuto annullamento, l’exequatur
dei lodi nei Paesi Bassi. Il Presidente del Tribunale di primo grado di Amsterdam,
il 28 febbraio 2008, afferma che, in linea di principio, deve essere rispettata la sentenza di annullamento delle corti russe, ma che, in presenza di eccezionali circo97
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stanze, attinenti al procedimento giudiziale che si è concluso con la pronuncia di
annullamento dei lodi, potrebbe invece accogliersi la richiesta di riconoscimento e
di esecuzione dei lodi annullati. A tal riguardo, il Presidente enumera, a titolo
esemplificativo, (i) la violazione dei principi del giusto processo, (ii) la mancanza
di imparzialità e di indipendenza dei giudici e (iii) l’assenza di una motivazione
adeguata a sostegno della decisione. Nel caso in esame, tuttavia, poiché la Yukos
Capital non ha provato il verificarsi di alcuna di queste circostanze, la richiesta di
exequatur dei lodi è rigettata.
La Corte di Appello di Amsterdam, adita dalla Yukos Capital, annulla la decisione del Presidente del Tribunale ed accoglie la richiesta di riconoscimento e di
esecuzione dei lodi nei Paesi Bassi.
MOTIVI DELLA DECISIONE. — (Omissis). — 3.3. (Omissis). I motivi di appello
pongono alla Corte il seguente quesito: se l’annullamento dei lodi arbitrali da parte
delle corti civili russe impedisca o meno il riconoscimento e l’esecuzione di tali
lodi nei Paesi Bassi.
3.4. Nel rispondere, la Corte di Appello muove dalla considerazione secondo
cui la Convenzione di New York del 1958 disciplina il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali ma non, invece, il riconoscimento internazionale delle decisioni dei giudici ordinari che hanno annullato i lodi arbitrali. L’articolo V della
Convenzione di New York del 1958 dispone, nel testo inglese, e per quanto qui ora
rileva:
« 1. Recognition and enforcement of the award may be refused, at the request
of the party against whom it is envoked, only if that party furnishes to the competent authority where the recognition and enforcement is sought, proof that: (...) (e)
The award has (...) been set aside (...) by a competent authority of the country in
which (...) that award was made ».
Nonostante il fatto che tale disposizione implichi che, nei termini del presente
caso, il giudice civile russo è l’autorità competente a ricevere una richiesta di annullamento dei lodi arbitrali, né tale disposizione, né ulteriori previsioni della Convenzione di New York del 1958, né alcuna altra convenzione impongono, alle corti
competenti dei Paesi Bassi, di riconoscere incondizionatamente la decisione della
corte civile russa. La riconoscibilità o meno di quest’ultima nei Paesi Bassi è una
questione che deve essere risolta sulla base delle regole generali di diritto internazionale privato e processuale.
3.5. Questo significa che, qualunque sia il grado di libertà accordato dalla
Convenzione di New York del 1958, per autorizzare l’esecuzione di un lodo arbitrale annullato dall’autorità competente nello Stato di origine, i giudici dei Paesi
Bassi non sono in alcun modo tenuti a non concedere l’autorizzazione ad eseguire
il lodo arbitrale annullato, se la decisione straniera di annullamento non può essere
riconosciuta nel foro. Ciò è vero, in particolare, se le modalità con cui tale decisione è stata resa sono contrarie ai principi del giusto processo e, per tale motivo,
il riconoscimento della decisione si porrebbe in contrasto con l’ordine pubblico interno. Se le decisioni dei giudici russi di annullamento dei lodi arbitrali non possono essere riconosciute nei Paesi Bassi, esse non dovranno nemmeno essere prese
in considerazione nel momento in cui si dovrà decidere sulla richiesta di esecuzione
dei lodi arbitrali.
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3.6. Pertanto, la Corte di Appello applicherà in primo luogo il diritto comune
per determinare se la decisione della corte russa di annullare i lodi del 19 settembre 2006 possa essere riconosciuta nei Paesi Bassi. La regola generale applicata è
quella secondo cui una decisione straniera, a prescindere dalla sua natura e dallo
scopo perseguito, può essere riconosciuta se sono soddisfatti alcuni requisiti minimi, tra i quali la circostanza che la decisione straniera è stata resa a seguito di un
giusto processo e cioè, inter alia, da un giudice imparziale e indipendente.
3.7. La Yukos Capital ha allegato che il sistema giurisdizionale russo è parziale e non indipendente e che, in particolare nelle decisioni politicamente sensibili
e strategiche, esso è guidato dal perseguimento degli interessi della Federazione
Russa, obbedendo al potere esecutivo. Più precisamente, secondo la Yukos Capital,
l’annullamento dei lodi arbitrali è una di quelle misure che la Federazione Russa
ha preso, a partire dall’estate del 2003, con l’obiettivo di (a) estinguere il gruppo
Yukos, (b) assicurarsi il controllo sui beni del gruppo medesimo e (c) eliminare i
propri oppositori politici. Secondo la Yukos Capital, la Federazione Russa utilizza
il potere giudiziario quale strumento per il perseguimento proprio di tali scopi.
3.8. Tra le prove depositate dalla Yukos Capital a sostegno delle allegazioni
sopra riportate, vengono in rilievo, inter alia, le seguenti:
(Omissis).
3.9. Alla luce di tali fatti e di tali circostanze, la Corte di Appello deve stabilire se la decisione della corte russa di annullare i lodi arbitrali possa essere riconosciuta nei Paesi Bassi ovvero, più precisamente, se tali pronunce siano state rese
da un’autorità giudiziaria imparziale e indipendente. A questo proposito la Corte di
Appello motiva come segue.
(Omissis).
3.9.3. La Rosneft non ha fornito elementi sufficienti ad impedire che il potere
giudiziario russo, nei casi che attengono al(l’ex) gruppo Yukos (o a sue società) e
che riguardano degli interessi che la Federazione Russa considera propri, possa essere ritenuto parziale, dipendente ed influenzato dal potere esecutivo. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Rosneft, la Yukos Capital ha allegato, a sostegno
della propria posizione, non solamente vicende apparse sulle pagine dei quotidiani,
ma anche i sopra ricordati rapporti e decisioni delle corti, da ritenersi esaustivi.
D’altro canto, né la parte convenuta ha menzionato alcun fatto concreto o ha allegato alcun documento, né le circostanze hanno altrimenti fatto trasparire una verità
diversa con riguardo all’influenza, nel presente caso, del potere esecutivo russo su
quello giudiziario.
3.9.4. In tali circostanze, quanto sostenuto dalla Rosneft, circa la mancanza di
una prova evidente della parzialità e della non indipendenza dei singoli giudici che
hanno deciso sulla richiesta di annullamento dei lodi, non è sufficientemente rilevante, anche perché fenomeni di parzialità e di dipendenza avvengono, per loro
stessa natura, dietro le quinte.
3.10. Sulla base di quanto precede, la Corte di Appello conclude che è possibile che le decisioni dei giudici russi che hanno annullato i lodi arbitrali siano state
il frutto di un processo parziale e non indipendente, e che tali decisioni non possono essere riconosciute nei Paesi Bassi. Questo significa che, nel decidere sulla richiesta di esecuzione dei lodi arbitrali avanzata dalla Yukos Capital, l’intervenuto
annullamento di tali lodi non deve essere preso in considerazione.
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3.11. Quanto sopra comporta che i motivi di appello presentati dalla Yukos
Capital sono accolti, per quanto fin’ora visto, e che la Corte di Appello, dopo avere
esaminato le altre eccezioni presentate dalla Rosneft, sarà di nuovo chiamata a valutare se l’exequatur possa essere concesso.
3.12.1. La Rosneft ha eccepito che autorizzare l’esecuzione dei lodi sarebbe
in contrasto con l’articolo V(2)(b) della Convenzione di New York del 1958, il
quale dispone:
« 2. Recognition and enforcement of the award may also be refused if the
competent authority in the country where recognition and enforcement is sought
finds that: (...) (b) The recognition or enforcement of the award would be contrary
to the public policy of that country ».
3.12.2. Secondo la Rosneft, i contratti di mutuo erano parte di una costruzione
fiscale illecita, operata dal gruppo Yukos, che, in breve, comportava la vendita a
basso prezzo, da parte della Yuganskneftegaz, del petrolio estratto, a società appartenenti al gruppo Yukos, aventi sede in regioni a bassa imposizione fiscale, e ciò al
fine di sottrarre i guadagni, ottenuti dalla vendita del petrolio a prezzi di mercato
elevati, alla tassazione della Federazione Russa. Attraverso la società Yukos Capital, i profitti in tal modo realizzati erano, ai sensi degli accordi in questione, ceduti
alla Yuganskneftegaz per il finanziamento delle proprie operazioni.
3.12.3. La Corte di Appello rigetta tale eccezione. Anche se la descritta costruzione fiscale è illecita ai sensi del diritto tributario russo, l’esecuzione nei Paesi
Bassi dei lodi arbitrali che condannano la Rosneft a restituire alla Yukos il denaro
da essa ricevuto, in connessione con tale sistema fiscale, non è in contrasto con
l’ordine pubblico del foro.
3.12.4. La Rosneft ha inoltre eccepito che autorizzare l’esecuzione dei lodi
sarebbe in contrasto con l’articolo V(1)(b) della Convenzione di New York del
1958, che dispone:
1. Recognition and enforcement of the award may be refused, at the request
of the party against whom it is envoked, only if that party furnishes to the competent authority where the recognition and enforcement is sought, proof that:
(...)
(b) The party against whom the award is invoked was not given proper notice
of the appointment of the arbitrator or of the arbitration proceedings or was otherwise unable to present his case;
3.12.5. In riferimento a tale disposizione, la Rosneft ha ulteriormente allegato
che alla Yuganskneftegaz, ingiustamente, non era stata concessa la possibilità, durante i procedimenti arbitrali, di motivare più approfonditamente la propria difesa,
in base alla quale i contratti di mutuo erano illeciti e dunque nulli, e di fornire elementi di prova al riguardo.
3.12.6. La Corte di appello rigetta tale eccezione perché non è stato né affermato né dimostrato che alla Yuganskneftegaz sia stato in alcun modo impedito di
presentare le proprie difese, tanto nella memoria difensiva del 5 maggio 2006,
quanto nella ulteriore memoria integrativa del 20 giugno 2006. Deve ritenersi, sulla
base dei fatti noti a questa corte, che anche la ricordata eccezione della Yuganskneftegaz riguarda gli interessi scaduti fatti valere dalla Yukos Capital con la domanda introduttiva del 27 dicembre 2005 e che non vi è dunque alcun valido motivo per cui la Yuganskneftegaz si sia avvalsa di tale eccezione per la prima volta
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solo nella comparsa di risposta integrativa del 20 giugno 2006, successiva alla domanda integrativa del 9 maggio 2006 con cui la Yukos Capital ha modificato l’ammontare della somma richiesta. In questo contesto, la Corte di Appello ritiene che
la mancata concessione, da parte degli arbitri, alla Yuganskneftegaz, di un ulteriore
termine, dopo il 20 giugno 2006, per motivare la propria difesa, non abbia reso impossibile alla Yuganskneftegaz stessa di dare fondamento alla propria posizione ai
sensi dell’articolo V(1)(b).
3.12.7. In primo grado la Rosneft aveva anche eccepito che l’autorizzazione
all’esecuzione doveva essere negata sulla base dell’articolo V(1)(a) della Convenzione di New York del 1958, perché la clausola compromissoria era invalida ai
sensi del diritto russo. Poiché questa corte deduce, dalle affermazioni contenute
nella comparsa di risposta della Rosneft in grado di appello, che a suo avviso i
contratti contengono una clausola compromissoria valida, deve ritenersi che la
parte abbia abbandonato tale linea difensiva.
4. Conclusioni
4.1. La decisione impugnata sarà annullata e la Corte di Appello, statuendo
nuovamente sulla domanda, accorderà alla Yukos Capital l’autorizzazione ad eseguire i lodi arbitrali nei Paesi Bassi.
(Omissis).
5. Decisione
La Corte di Appello:
annulla la decisione del Presidente del Tribunale di primo grado del 28 febbraio 2008, numero 365094 / KG RK 07-750, resa tra la Yukos Capital, parte attrice, e la Rosneft, parte convenuta;
statuendo nuovamente sulla domanda:
autorizza l’esecuzione nei Paesi Bassi dei lodi arbitrali della Corte di Arbitrato
Commerciale Internazionale della Camera del Commercio e dell’Industria della
Federazione Russa, resi il 19 settembre 2006, numeri: 143/2005, 144/2005, 145/
2005 e 146/2005, tra la Yukos Capital, parte attrice, e la Yuganskneftegaz, parte
convenuta;
(Omissis).
stabilisce la provvisoria esecutività della presente sentenza.
(Omissis).
Il riconoscimento di lodi annullati nel Paese d’origine: l’approccio dei
Paesi Bassi.
1. Il riconoscimento, da parte di corti statali, di lodi di arbitrati commerciali internazionali annullati nel Paese d’origine è tematica piuttosto datata
ma non per questo cristallizzata nel suo manifestarsi, né priva di sviluppi inediti. A molti verrà in mente, a questo proposito, la copiosa giurisprudenza
della Cour de Cassation francese e l’altrettanto copiosa dottrina che la ha an-
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ticipata (1) (forse anche ispirata?) (2) o — più spesso — commentata (3). Si
(1) Si vedano, ad esempio, FOUCHARD, L’arbitrage international en France après le
décret du 12 mai 1981, in JDI, 1982, 374; GOLDMAN, Une bataille judiciaire autour de la lex
mercatoria, L’affaire Norsolor, in Rev. arb., 1983, 379 ss.; PAULSSON, The Extent of Independence of International Arbitration from the Law of the Situs, in LEW (ed.), Contemporary
Problems in International Arbitration, 1986, 142; PAULSSON, Delocalisation of International
Commercial Arbitration: When and Why it matters?, in International and Comparative Law
Quarterly, 1983, 59 s.; PAULSSON, Rediscovering the N.Y. Convention: Further Reflections on
Chromalloy, in 12-4 Mealey’s Intl. Arb. Rep. 12 (1997).
(2) Cosı̀ Jean-Pierre ANCEL, nel Rapport che precede la sentenza della Cour de Cassation del 29 giugno 2007, relativa al caso Putrabali, in Rev. arb., 2007, 510, riferendosi alla
pronuncia della stessa Cour de Cassation del 1994, relativa al caso Hilmarton. Si vedano anche HASCHER, L’influence de la doctrine sur la jurisprudence française en matière d’arbitrage, in Rev. arb., 2005, 392 e DEGOS, La consécration de l’arbitrage en tant que justice internationale autonome (à propos des arrêts « Putrabali » du 29 juin 2007), in Recueil Dalloz, 2008, 1429.
(3) Inter alia, GOLDMAN, Une bataille judiciaire, cit.; MAYER P., L’insertion de la
sentence dans l’ordre juridique français, in DERAINS, Droit et pratique de l’arbitrage international en France, Paris, 1984, 100; GOLDMAN, nota a Cour de Cassation, 9 ottobre 1984,
Société Pabalk Ticaret Sirketi v. Société Norsolor, in Rev. arb., 1985, 433 ss.; THOMPSON, nota
a Cour de Cassation, 3 ottobre 1984, Société Pabalk Ticaret Sirketi v. Société Norsolor, in
Journal of International Arbitration, 1985, n. 2, 67 ss.; GIARDINA, Norme imperative contro
le intermediazioni nei contratti ed arbitrato internazionale, in questa Rivista, 1992, 784 ss.;
HASCHER, nota a Cour de Cassation, 10 marzo 1993, Polish Ocean line v. société Jolasry e a
Cour d’appel, 12 febbraio 1993, Société Unichips Finanziaria v. Gesnouin, in Rev. arb.,
1993, 276 ss.; JARROSSON, nota a Cour de Cassation, 23 marzo 1994, Hilmarton v. OTV, in
Rev. arb., 1994, 329 ss.; CRAIG, Some Trends and Developments in the Laws and Practice of
International Commercial Arbitration, in Texas International Law Journal, 1995, 2 ss.; JARROSSON, nota a Cour d’appel de Versailles, 29 giugno 1995, (2 decisioni), OTV v. Hilmarton,
in Rev. arb., 1995, 651 ss.; LEURENT, Reflections on the International Effectiveness of Arbitration Awards, in Arbitration International, 1996, 270; FOUCHARD, La portée internationale
de l’annulation de la sentence arbitrale dans son pays d’origine, in Rev. arb., 1997, 329 ss.;
FOUCHARD, nota a Cour de Casssation, 10 giugno 1997, OTV v. Hilmarton, in Rev. arb., 1997,
379; FOUCHARD, nota a Cour d’appel de Paris, 14 gennaio 1997, Republique Arabe d’Egypte
v. Société Chromalloy Aero Services, in Rev. arb., 1997, 399 ss.; GHARAVI, Chromalloy:
Another View, in 12-1 Mealey’s Intl. Arb. Rep. 16 (1997); GIARDINA, Riconoscimento in Francia di lodi esteri annullati nel Paese d’origine, in questa Rivista, 1997, 394 ss.; GIARDINA,
Armonia interna e disarmonia internazionale delle decisioni, in questa Rivista., 1997, 796
ss.; PAULSSON, Rediscovering the N.Y. Convention, cit.; SCHWARTZ, A Comment on Chromalloy
— Hilmarton à l’américaine, in Journal of International Arbitration, 1997, n. 2, 125 ss.;
POUDRET, Quelle solution pour en finir avec l’affaire Hilmarton? - Réponse à Philippe Fouchard, in Rev. arb., 1998, 7 ss.; VAN DEN BERG, Enforcement of annulled awards?, in ICC International Court of Arbitration Bulletin, 1998, n. 2, 15 ss.; GAILLARD, Enforcement of Awards
set Aside in the Country of Origin: The French Experience, in VAN DEN BERG (ed.), Improving
the Effıciency of Arbitration and Awards: 40 Years of Application of the New York Convention (ICCA Congress Series 1998), Paris, Kluwer Law International, 1999, 505 ss.; GIARDINA,
The international recognition and enforcement of arbitral awards nullified in the country of
origin, in Riv. dir. int. priv. proc., 2001, 265 ss.; MAYER P., Revisiting Hilmarton and Chromalloy, in VAN DEN BERG (ed.), International Arbitration and National Courts: The Never Ending Story (ICCA Congress Series 2000), New Delhi, Kluwer Law International, 2001, 165
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tratta dei famosi casi Norsolor (4), Hilmarton (5), Chromalloy (6), Bechtel (7) e
ss.; CRESPI REGHIZZI, Una recente pronuncia della corte d’appello di Parigi in tema di exequatur di un lodo arbitrale annullato nel Paese d’origine, nota a Cour d’Appel de Paris, 29
settembre 2005, Direction Générale de l’Aviation Civile de l’Èmirat de Dubaı̈ v. Bechtel International Company LLC, in questa Rivista, 2006, 374 ss.; GAILLARD, Constance et bienfondé de la jurisprudence française sur la reconossaince des sentences annulées au siège,
nota a Cour d’appel de Paris, Société PT Putrabali Adyamulia v. SA Rena Holding et autre,
31 marzo 2005, in Rev. arb., 2006, 666 ss.; MUIR WATT, La sentence annulée dans son pays
d’origine: voyage au bout de la finction, nota a Cour d’appel de Paris, 29 settembre 2005,
Direction Générale de l’Aviation Civile de l’Èmirat de Dubaı̈ v. Bechtel International Company LLC,, in Rev. arb., 2006, 700 ss.; SZEKELY, nota a Cour d’appel de Paris, 29 settembre
2005, Direction Générale de l’Aviation Civile de l’Èmirat de Dubaı̈ v. Bechtel International
Company LLC, in Rev. crit. droit int. privé, 2006, 392 ss.; CLAY, Nota a Cour de Cassation,
29 giugno 2007, Société PT Putrabali Adyamulia v. SA Rena Holding et Société Mnogutia
Est Epices, in JDI, 2007, 1240 ss.; GAILLARD, Approfondissement de la jurisprudence Hilmarton et consecration de l’existence d’un ordre juridique arbitral, nota a Cour de Cassation, 29
giugno 2007, Société PT Putrabali Adyamulia v. SA Rena Holding et Société Mnogutia Est
Epices, in Rev. arb., 2007, 517 ss.; GAILLARD Souveraineté et autonomie. Réflexions sur les
representations de l’arbitrage international, in JDI, 2007, 1163 ss.; HARAVON, Enforcement
of Annulled Foreign Arbitral Awards: the French Supreme Court Confirms the Hilmarton
Trend, in 22-9 Mealey’s Intl. Arb. Rep. 19 (2007), 32 ss.; PINSOLLE, L’ordre juridique arbitral
et la qualification de la sentence arbitrale de décision de justice internationale. À propos de
l’arrêt Putrabali du 29 juin 2007, in Gazette du Palais, 21, 22 novembre 2007 no 325-326,
14 ss.; ATTERITANO, Il lodo annullato nello Stato sede dell’arbitrato non può essere eseguito
o riconosciuto all’estero, perché è un lodo che non esiste, (nota a U.S. Court of Appeals for
the District of Columbia, 25 maggio 2007, Termorio S.A. E.S.P., et al., v. Electrificadora del
Atlantico S.A. E.S.P., et al.), in questa Rivista, 2008, 107; DEGOS, op. cit., 1429 ss.; MOURRE,
À propos des articles V et VII de la Convention de New York, et de la reconnaissance des
sentences annulées dans leur pays d’origine: où va-t-on après les arrest Termo Rio et Putrabali?, in Rev. arb., 2008, 263 ss.; PINSOLLE, The Status of Vacated Awards in France: the Cour
de Cassation Decision in Putrabali, in Arbitration international, 2008, 277 ss.
(4) Cour de Cassation, 9 ottobre 1984, Société Pabalk Ticaret Sirketi v. Société Norsolor, in Rev. arb., 1985, 431 ss.
(5) Cour de Justice du canton de Genève, 17 novembre 1989, Hilmarton v. OTV, in
Rev. arb., 1993, 342; Tribunale federale svizzero, 17 aprile 1990, Hilmarton v. OTV, in Rev.
arb., 1993, 342; Cour de Cassation, 10 giugno 1997, OTV v. Hilmarton, in Rev. arb., 1997,
376; High Court of Justice, Queen’s Bench Division, 24 maggio 1999, OTV v. Hilmarton, in
ASA Bulletin, 1999, 368 ss.; Cour d’appel de Paris, 19 dicembre 1991, Hilmarton v. OTV, in
Rev. arb., 1993, 300 s.; Cour de Cassation, 23 marzo 1994, Hilmarton v. OTV, in Rev. arb.,
1994, 327 s.; Cour d’appel de Versailles, 29 giugno 1995, (2 decisioni), OTV v. Hilmarton,
in Rev. arb. 1995, 648.
(6) Cour d’appel de Paris, 14 gennaio 1997, Republique Arabe d’Egypte v. Société
Chromalloy Aero Services, in Rev. arb., 1997, 397.
(7) Cour d’appel de Paris, 29 settembre 2005, Direction Générale de l’Aviation Civile de l’Èmirat de Dubaı̈ v. Bechtel International Company LLC, in Rev. crit. DIP, 2006, 387
ss.; U.S. District Court for the District of Columbia, 5 febbraio 2004, International Bechtel
Company Limited v. Department Of Civil Aviation of The Government of Dubai, 300
F.Supp.2d 112; U.S. District Court for the District of Columbia, 8 marzo 2005, International
Bechtel Company Limited v. Department Of Civil Aviation of The Government of Dubai, 360
F.Supp.2d 136.
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Putrabali (8). Si ricorderà inoltre la sentenza della U.S. District Court for the
District of Columbia, anch’essa relativa al caso Chromalloy (9). Meno note,
(8) Cour d’appel de Paris, 31 marzo 2005, Société PT Putrabali Adyamulia v. SA
Rena Holding et autre, in Rev. arb., 2006, 665 s.; Cour de Cassation, 29 giugno 2007, Société PT Putrabali Adyamulia v. SA Rena Holding et Société Mnogutia Est Epices, 1a decisione, in Rev. arb., 2007, 514.
(9) U.S. District Court for the District of Columbia, 31 luglio 1996, Chromalloy Aeroservices v. The Arab Republic of Egypt, in 11-8 Mealey’s Intl. Arb. Rep. (1996), 54 ss., 939
F.Supp. 907. Bisogna segnalare che questa è però l’unica sentenza statunitense che, ad oggi,
ha eseguito un lodo annullato nel Paese d’origine. Infatti, le pronunce successive (Baker Marine (U.S. Court of Appeals for the Second Circuit, 12 agosto 1999, Baker Marine Ltd. v.
Chevron Ltd and Chveron Corp. and Baker Marine Ltd. v. Danos and Curole Marine Contractors, 191 F.3d 194), Martin Spier (U.S. District Court for the Southern District of New
York, 29 giugno 1987, I. Martin Spier v. Calzaturificio Tecnica s.p.a., 663 F.Supp. 871; U.S.
District Court for the Southern District of New York, 22 ottobre 1999, Martin Spier v. Calzaturificio Tecnica s.p.a., 71 F.Supp.2d 279) e TermoRio (U.S. District Court for the District
of Columbia, 17 marzo 2006, Termorio S.A. E.S.P., et al., v. Electrificadora del Atlantico S.A.
E.S.P., et al., 421 F.Supp.2d 87; U.S. Court of Appeals for the District of Columbia, 25 maggio 2007, Termorio S.A. E.S.P., et al., v. Electrificadora del Atlantico S.A. E.S.P., et al., 487
F.3d 928)) hanno, con vari reasoning, escluso la possibilità di accordare il riconosciemnto e
l’esecuzione di un lodo annullato nel Paese d’origine. Per alcuni commenti della giurisprudenza statunitense si vedano, inter alia, SAMPLINER, Enforcement of Foreign Arbitral Awards
after Annulment in their Country of Origin, in 11-9 Mealey’s Intl. Arb. Rep. 17 (1996); GHARAVI, Chromalloy: Another View, cit.; GHARAVI, The Legal Inconsistencies of Chromalloy, in
12-5 Mealey’s Intl. Arb. Rep. 13 (1997); PAULSSON, Rediscovering the N.Y. Convention, cit.;
SCHWARTZ, A Comment on Chromalloy, cit.; HULBERT, Further Observations on Chromalloy:
A Contract Misconstrued, a Law Misapplied, and an Opportunity Foregone, in ICSID Review, 1998, n. 1, 124 ss.; PAULSSON, Enforcing arbitral awards notwithstanding a local standard annulment (LSA), in ICC International Court of Arbitration Bulletin, 1998, n. 1, 14 ss.;
RIVKIN, The Enforcement of Awards Nullified in the Country of Origin: The American Experience, in VAN DEN BERG (ed.), Improving the Effıciency of Arbitration and Awards: 40 Years
of Application of the New York Convention, (ICCA Congress Series 1998), Paris, Kluwer
Law International, 1999, 528 ss.; FREYER, United States Recognition and Enforcement of Annulled Foreign Arbitral Awards - The Aftermath of the Chromalloy Case, in Journal of International Arbitration, 2000, n. 2, 1 ss.; GAILLARD, Nota a U.S. Court of Appeals for the Second Circuit, 12 agosto 1999, Baker Marine Ltd. v. Chevron Ltd and Chveron Corp. and
Baker Marine Ltd. v. Danos and Curole Marine Contractors, in Rev. arb., 2000, 138 ss.;
GAILLARD - EDELSTEIN, Baker Marine and Spier strike a blow to the enforceability in the United States of awards set aside at the seat, in International Arbitration Law Review, 2000, 37
ss.; GIARDINA, The international recognition and enforcement of arbitral awards nullified in
the country of origin, in Riv. dir. int. priv. proc., 2001, 265 ss.; GAILLARD, Anti-suit injunctions et reconnaissance des sentences annulées au siège: une évolution remarquable de la
jurisprudence américaine, in JDI, 2003, 1114; PAULSSON, Chromalloy redux, nota a U.S. District Court for the District of Columbia, 17 marzo 2006, Termorio S.A. E.S.P., et al., v.
Electrificadora del Atlantico S.A. E.S.P., et al., in Rev. arb., 2006, 796 ss.; HARAVON, Enforcement of Annulled Foreign Arbitral Awards, cit., 34; PAULSSON, Nota a U.S. Court of Appeals for the District of Columbia, 25 maggio 2007, Termorio S.A. E.S.P., et al., v. Electrificadora del Atlantico S.A. E.S.P., et al., in Rev. arb., 2007, 559 ss.; GAILLARD, Approfondissement de la jurisprudence Hilmarton, cit.; ATTERITANO, op. cit., 100 ss.; GAILLARD, Aspects
philosophiques du droit de l’arbitrage international, in Recueil des Cours, 2008, 191; MAN-
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ma non prive di un qualche interesse per chi si è occupato di tali questioni, la
pronuncia belga, relativa al caso Sonatrach v. Ford, Bacon and Davis (10) e
quella austriaca relativa al caso Radenska v. Kajo (11).
Sul tema è tornata, nel 2009, la Corte di Appello di Amsterdam (Gerechtshof) (12) con la sentenza in esame, peraltro recentemente confermata
dalla Corte Suprema (la Hoge Raad) (13), che ha accolto una richiesta di
esecuzione nei Paesi Bassi di un lodo, relativo al caso Yukos Capital v. Rosneft, reso a Mosca ed annullato dalla Corte Suprema russa. I giudici dei
Paesi Bassi hanno attenuato le rigidità di un approccio strettamente territorialista (14), dando nuova linfa ad un fenomeno che sembrava oramai essere
TILLA-SERRANO,
Case note: Termorı́o S.A. E.S.P. et al. v. Electranta S.P. et al., in Journal of
International Arbitration, 2008, 397 ss.; MOURRE, op. cit.; VAN DEN BERG, Enforcement of Arbitral Awards Annulled in Russia, in Journal of International Arbitration, 2010, n. 2, 182.
(10) Tribunal de première instance de Bruxelles, 6 dicembre 1988, Sonatrach v.
Ford, Bacon & Davis, in VAN DEN BERG (ed.), Yearbook Commercial Arbitration, Kluwer Law
International, 1990, 370 ss.; Cour d’appel de Bruxelles, 9 gennaio 1990, Sonatrach v. Ford,
Bacon & Davis, non pubblicata.
(11) Oberster Gerichtshof, 20 ottobre 1993, Kajo-Erzeugnisse Essenzen GmbH v. DO
Zdravilisce Radenska, in Rev. arb., 1998, 421 ss.; Oberster Gerichtshof, 23 febbraio 1998,
DO Zdravilisce Radenska v. Kajo-Erzeugnisse Essenzen GmbH, in Rev. arb., 1999, 385 s. Per
un commento, si veda LASTENOUSE - SENKOVIC, Nota a Corte Suprema Austriaca, 20 ottobre
1993, Radenska v. Kajo, in Rev. arb., 1998, 421 ss.
(12) Gerechtshof, Amsterdam, 28 aprile 2009, Yukos Capital s.a.r.l. v. OAO Rosneft,
tradotta e riportata in inglese in Stockholm International Arbitration Review, 2009, 219 ss. e,
in parte, anche in VAN DEN BERG (ed.), Yearbook of Commercial Arbitration, Kluwer Law International, 2009, 703 ss. Alcuni estratti della sentenza, tradotti in francese, sono pubblicati
in Rev. arb., 2009, 557 ss.
(13) Hoge Raad, 25 giugno 2010, OAO Rosneft v. Yukos Capital s.a.r.l., caso numero:
09/02566. Disponibile in olandese a: http://zoeken.rechtspraak.nl/default.aspx LJN: BM1679
(visitato il 16 agosto 2010); riportata, in parte, in inglese in VAN DEN BERG (ed.), Yearbook of
Commercial Arbitration, Kluwer Law International, 2010, 423 ss.
(14) Cosı̀, ad es., DARWAZEH, Article V(1)(e), in KRONKE - NACIMIENTO et al. (eds.),
Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards: A Global Commentary on the New
York Convention, Kluwer Law International, 2010, 301 ss. La dottrina è divisa su un problema teorico che ha immediate ricadute da un punto di vista pratico proprio, inter alia, per
quanto riguarda il riconoscimento di lodi annullati nello Stato di origine. Non vi è unanimità
nell’identificare la base legale dell’arbitrato commerciale internazionale. Premettendo che
qualsiasi tentativo di raggruppare i diversi contributi dottrinali in categorie predefinite rischia
sempre di essere fonte di errori, avendo ogni contributo delle caratteristiche proprie, diverse
da quelle degli altri, possono comunque identificarsi tre scuole di pensiero. C’è chi — territorialista appunto — ritiene che il fenomeno vada ricondotto necessariamente ad un ordinamento statale (spesso quello della sede dell’arbitrato): MANN, Lex Facit Arbitrum, in International Arbitration. Liber Amicorum for Martin Domke, 1967, 157 ss.; VAN DEN BERG, When Is
an Arbitral Award Nondomestic Under the New York Convention of 1958?, in Pace Law Review, 1985-1986, 25 ss.; SMIT, A-national arbitration, in Tulane Law Review, 1989, 629 ss.;
CRAIG, op. cit.; BRIGUGLIO, Mito e realtà nella denazionalizzazione dell’arbitrato privato, in
questa Rivista, 1998, 453 ss.; GIARDINA, Ancora sull’exequatur di un lodo arbitrale annullato
nel paese d’origine, in questa Rivista, 1998, 747 s.; BRIGUGLIO, L’arbitrato estero. Il sistema
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stato definito nei suoi tratti essenziali. La Corte di Appello, pur considerando, ai sensi della Convenzione di New York sul riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali stranieri, competenti ad annullare un lodo i giudici dello Stato sede dell’arbitrato, ha specificato che la sentenza di annullamento, resa da questi ultimi, potrà avere efficacia extraterritoriale solo
qualora il procedimento con essa conclusosi si sia svolto nel rispetto di determinati principi di indipendenza e di imparzialità.
Quanto precede dimostra una particolare inclinazione dei giudici dei
Paesi Bassi a proporre, in riferimento al tema della delocalizzazione dell’arbitrato commerciale internazionale, soluzioni innovative, tra le quali
deve perlomeno ricordarsi la pronuncia della Corte Suprema, del 1973, relativa al caso SEEE v. Iugoslavia.
La validità di un lodo, reso a Losanna da due soli arbitri (15), era stata
contestata dalla parte soccombente davanti al Tribunale cantonale del Canton Vaud, il quale ritenne di non trovarsi nemmeno in presenza di un vero
e proprio lodo, a causa della violazione di una disposizione della legge
cantonale che prevedeva la necessaria presenza di un numero di arbitri dispari. Il Tribunale tuttavia si preoccupò di specificare che con tale decisione
non si intendeva « point préjuger de la validité et de la force obligatoire
delle convenzioni internazionali, 1999, 17 ss.; SANDERS, Quo vadis arbitration? Sixty years of
arbitration practice: a comparative study, Kluwer Law International, 1999; GIARDINA, The
International Recognition and Enforcement of Arbitral Awards Nullified in the Country of
Origin, in BRINER - FORTIER - BERGER - BREDOW (a cura di), Law of International Business and
Dispute Settlement in the 21st Century - Liber Amicorum Karl-Heinz Böckstiegel, Köln,
2001, 210 ss.; REDFERN - HUNTER, Law and Practice of International Commercial Arbitration,
Sweet & Maxwell, 2004, 88 ss. Chi ritiene invece che esso vada ricondotto all’autonomia
delle parti, considerata in quanto tale, come fenomeno indipendente da un qualsiasi ordinamento che gli attribuisca degli effetti: GOLDMAN, Les conflits des lois dans l’arbitrage international de droit privé, in Recueil des Cours, II, 1963, 351 ss.; LALIVE, Les règles de Conflit
de Lois Appliquées au Fond du Litige par l’arbitre International siègeant en Suisse, in Rev.
arb., 1976, 155 ss. La visione da ultimo ricordata assomiglia, per lo meno per alcuni degli
effetti, a quella categoria, che a volte è stata identificata dalla dottrina in aggiunta alle tre qui
in esame, che riconduce l’arbitrato ad una pluralità di ordinamenti statali con i quali il lodo
viene in contatto (cfr. soprattutto GAILLARD, Aspects philosophiques, cit., 81 ss.). In entrambi
i casi, infatti, la valutazione del lodo operata dai giudici dell’ordinamento dello Stato sede
dell’arbitrato non prevarrà in alcun modo su quella operata dai giudici di un qualsiasi altro
Stato con cui il lodo può venire in contatto. Chi, infine, lo riconduce ad un ordinamento non
statale che è, a seconda dei casi, o l’ordinamento internazionale: FRAGISTAS, Arbitrage étranger et arbitrage international en droit privé, in Rev. crit. droit int. privé, 1960, 1 ss.; FOUCHARD, L’arbitrage commercial international, Paris, 1965, o un ordinamento terzo: RIGAUX,
Souverainetè des Etats et arbitrage transnational, in Etudes offertes à B. Goldman, Paris,
1982, 261 ss.; PAULSSON, Rediscovering the N.Y. Convention, cit.; LEW, Achieving the dream:
Autonomous Arbitration, in Arbitration international, 2006, 179 ss.; GAILLARD, Aspects philosophiques, cit., 53 ss.
(15) SEEE v. Iugoslavia, 2 luglio 1956, in JDI, 1959, 1074 ss. Si tratta del famoso
lodo Ripert-Panchaud, dal nome dei due arbitri, Georges Ripert e André Panchaud, che lo
hanno reso.
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du jugement arbitral au regard de la volonté des parties ou de tel droit qui
lui serait applicable » (16). In seguito a tale pronuncia, il lodo fu oggetto di
una richiesta di riconoscimento e di esecuzione, oltreché in Francia (17),
anche nei Paesi Bassi, dove la Corte Suprema, in un primo momento, nel
1973, si pronunciò nel senso della irrilevanza, ai fini di una decisione su
tale richiesta, della valutazione che del lodo stesso era stata operata dai
giudici dello Stato sede dell’arbitrato (18), cosı̀ considerando la sentenza arbitrale quale fenomeno dotato di un’esistenza propria, indipendente da
qualsiasi ordinamento statale. Tuttavia, nel 1975, la stessa Corte, in relazione al medesimo caso, ritornò su posizioni più tradizionali, radicando il
lodo nell’ordinamento dello Stato di origine, e rigettò, infine, la richiesta di
riconoscimento e di esecuzione, ritenendo che la pronuncia del Tribunale
cantonale fosse da equiparare, negli effetti, ad una sentenza di annullamento del lodo (19).
2. Nella decisione sopra riportata, relativa al caso Yukos, i giudici di
appello hanno ricordato, in primo luogo, che la Convenzione di New York
disciplina il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali stranieri e non,
invece, il riconoscimento delle sentenze straniere di annullamento di tali
lodi. Hanno riconosciuto, inoltre, che l’art. V(1)(e) della medesima Convenzione attribuisce la competenza ad annullare il lodo alle corti dello Stato
sede dell’arbitrato ma hanno sottolineato che né tale previsione, né alcun’altra, tanto nella Convenzione di New York che in altra convenzione,
impongono loro in alcun modo di tenere necessariamente in conto la sentenza di annullamento dei colleghi russi. Se quest’ultima debba o meno essere riconosciuta nei Paesi Bassi è da determinarsi, secondo i giudici di appello, facendo applicazione delle norme di diritto internazionale privato e
processuale del foro. Dunque, prosegue la sentenza, prescindendo dalla
questione dell’ampiezza della libertà accordata dalla Convenzione di New
York di eseguire un lodo annullato nel Paese d’origine, nel caso la sentenza
di annullamento non possa essere riconosciuta nei Paesi Bassi sulla base
delle disposizioni di diritto internazionale privato e processuale del foro,
ecco che niente impedirebbe che sia invece accolta la richiesta di ricono(16) Tribunal cantonal du canton de Vaud, 12 febbraio 1957, Iugoslavia v. SEEE, in
Rev. crit. droit int. privé, 1958, 364.
(17) Richiesta decisa da Cour d’appel de Rouen, 13 novembre 1984, Société Européenne d’Etudes et d’Entreprises (SEEE) v. République de Yougoslavie, in JDI, 1985, 473 ss.,
che accoglie, mettendo fine ad una serie di passaggi tra Corti di Appello e Cour de Cassation, la richiesta di esecuzione.
(18) Hoge Raad, 26 ottobre 1973, Société Européenne d’Etudes et d’Entreprises
(SEEE) v. République de Yougoslavie, in Rev. arb., 1974, 311 ss.
(19) Hoge Raad, 7 novembre 1975, Société Européenne d’Etudes et d’Entreprises
(SEEE) v. Federal Republic of Yugoslavia, in VAN DEN BERG (ed.), Yearbook of Commercial
Arbitration, 1976, 195 ss.
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scimento e di esecuzione, in tale Paese, dei quattro lodi. Secondo i giudici,
ostacoli al riconoscimento della sentenza di annullamento sussistono, in
particolare, come aveva anticipato il Presidente del Tribunale, nel caso in
cui, durante il procedimento giudiziale conclusosi con detta sentenza, non
siano stati rispettati i principi del giusto processo e, soprattutto, nel caso in
cui l’organo giudicante abbia deciso in modo non indipendente né imparziale: in questo caso, infatti, il riconoscimento della sentenza sarebbe in
contrasto con l’ordine pubblico del foro.
La Corte di Appello di Amsterdam, di conseguenza, ha esaminato una
pluralità di documenti prodotti dalla Yukos Capital a sostegno della propria
allegazione di corruzione dei giudici russi, tra cui comparivano articoli
della stampa internazionale, rapporti di organismi internazionali e decisioni
di diversi organi giudiziari di alcuni Paesi europei. Sulla base di tali documenti, del fatto che la Rosneft non aveva allegato alcuna prova contraria e
della considerazione che i fenomeni di corruzione non avvengono, per loro
stessa natura, alla luce del sole, la Corte ha concluso nel senso che verosimilmente la sentenza di annullamento dei lodi era stata resa da un giudice
né indipendente né imparziale, e che quindi ne era precluso il riconoscimento nei Paesi Bassi.
Infine, la Corte ha rigettato le due eccezioni sollevate dalla Rosneft,
basate rispettivamente sulle disposizioni degli artt. V(2)(b) e V(1)(b) della
Convenzione di New York.
L’art. V(2)(b) prevede che il riconoscimento e l’esecuzione di un lodo
possono essere rifiutati se l’autorità competente dello Stato in cui il riconoscimento e l’esecuzione sono richiesti ritiene che tali provvedimenti siano
contrari all’ordine pubblico di quello Stato (20). A tal fine, la Rosneft aveva
allegato che, poiché i contratti di mutuo erano stati conclusi all’interno di
un più ampio disegno di evasione fiscale, una dichiarazione di esecutività
dei lodi di condanna ad adempiere delle obbligazioni derivanti da essi sarebbe stata contraria all’ordine pubblico del foro.
L’art. V(1)(b) prevede, invece, che il riconoscimento e l’esecuzione di
un lodo possono essere rifiutati se la parte contro la quale il riconoscimento
e l’esecuzione sono richiesti fornisce all’autorità competente la prova di
non essere stata adeguatamente informata della nomina dell’arbitro o del
procedimento arbitrale o di non essere stata altrimenti in grado di fare va-
(20) Sull’art. V(2)(b) si vedano, ad es., VAN DEN BERG, The New York Arbitration
Convention of 1958: Towards a Uniform Judicial Interpretation, Kluwer Law International,
1981, 376 ss.; TAMPIERI, Il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali stranieri, in BENEDETTELLI - CONSOLO - RADICATI DI BROZOLO, Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale ed internazionale, Padova, 2010, 1052 ss. e OTTO - ELWAN, Article V(2), in KRONKE NACIMIENTO - OTTO - PORT (eds.), Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards:
A Global Commentary on the New York Convention, Kluwer Law International, 2010, 365 ss.
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lere le proprie ragioni (21). La Rosneft aveva eccepito che, durante il procedimento arbitrale, la Yuganskneftegaz non era stata messa nelle condizioni di produrre prove adeguate a sostegno della propria allegazione di
nullità dei contratti di mutuo.
Rigettate, come già ricordato, tali eccezioni, la Corte di Appello ha
annullato la decisione del Presidente del Tribunale di prima istanza di Amsterdam ed ha ordinato l’exequatur, nei Paesi Bassi, dei lodi arbitrali annullati nella Federazione Russa.
La Hoge Raad, davanti a cui la Rosneft ha impugnato la decisione
della Corte di Appello, il 25 giugno 2010, ha dichiarato il ricorso non ricevibile, cosı̀ confermando in via definitiva l’exequatur dei lodi accordato
dalla Corte di Appello. La Corte Suprema ha infatti accolto l’eccezione
sollevata dalla Yukos Capital, secondo cui il ricorso della Rosneft avrebbe
dovuto essere rigettato, a pena di incorrere nella violazione dell’art. III
della Convenzione di New York (22). Tale disposizione rende applicabili al
procedimento di riconoscimento e di esecuzione di un lodo rientrante nell’ambito di applicazione della Convenzione delle norme di diritto interno
del foro che eventualmente regolino, più favorevolmente rispetto al testo
convenzionale, l’omologo procedimento previsto per i lodi meramente interni. Nel caso di specie, venivano in rilievo gli articoli 1062, 1063 e
1064(1) del Codice di Procedura Civile dei Paesi Bassi (23), che, da un lato,
escludono che possa validamente formarsi un ricorso (in secondo o in terzo
grado) avverso una sentenza che accorda il riconoscimento e l’esecuzione
di un lodo arbitrale pronunciato nei Paesi Bassi, e che, dall’altro, ammettono il ricorso, tanto in seconda che in ultima istanza, avverso una sentenza
che invece ne neghi il riconoscimento e l’esecuzione.
(21) Sull’art. V(1)(b), si vedano, ad es., VAN DEN BERG, The New York Arbitration
Convention of 1958, cit., 296 ss.; TAMPIERI, op. cit., 1043 ss.; JANA - ARMER - KLEIN KRANENBERG, Article V(1)(b), in KRONKE - NACIMIENTO - OTTO - PORT (eds.), Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards: A Global Commentary on the New York Convention,
Kluwer Law International, 2010, 365 ss.
(22) L’art. III della Convenzione di New York, nella parte che ora rileva, cosı̀ dispone: « There shall not be imposed substantially more onerous conditions or higher fees or
charges on the recognition or enforcement of arbitral awards to which this Convention applies than are imposed on the recognition or enforcement of domestic arbitral awards ». Sull’art. III si vedano, ad es., VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of 1958, cit.,
234 ss.; TAMPIERI, op. cit., 1019 e BÖRNER, Article III, in KRONKE - NACIMIENTO - OTTO - PORT
(eds.), Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards: A Global Commentary on
the New York Convention, Kluwer Law International, 2010, 115 ss. e i riferimenti ivi contenuti.
(23) Wetboek van Burgerlijke Rechtsvordering. Gli articoli cui si è fatto riferimento,
possono essere letti, nella traduzione inglese, al seguente indirizzo: http://www.jus.uio.no/lm/
netherlands.arbitration.act.1986/ (visitato il 5 aprile 2011). Tali disposizioni sono contenute
nel Titolo I del libro IV del Codice di procedura civile, intitolato « Arbitration in the Netherlands », seguito dal Titolo II: « Arbitration Outside The Netherlands ».
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Senza affrontare nei dettagli la decisione della Hoge Raad, che si basa
su previsioni di diritto interno del foro, è opportuno soffermarsi sulla pronuncia della Corte di Appello, interessante sotto molteplici aspetti (24).
3. Sia la Federazione Russa che i Paesi Bassi sono Stati parti della
Convenzione di New York sul riconoscimento e l’esecuzione di lodi arbitrali stranieri. Quando il giudice di uno Stato membro della Convenzione
di New York è richiesto di eseguire un lodo, che è stato però annullato nel
Paese d’origine, dovrebbe, in primis, vagliare tale richiesta alla luce di
quanto previsto dall’art. V(1)(e) della Convenzione medesima (25). Sennonché, come è stato dimostrato sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, in
più di cinquant’anni di applicazione della Convenzione, tale disposizione è
ambigua e probabilmente incompleta, tanto che, di essa, sono possibili
molteplici interpretazioni, ciascuna, a proprio modo, corretta.
Innanzi tutto, essa può essere interpretata a) sia nel senso che il giudice richiesto dell’esecuzione di un lodo ha una mera facoltà di rifiutarla
nel caso di previo annullamento di questo nello Stato d’origine, b) sia nel
senso che egli ha invece un obbligo del medesimo tenore (26). Un giudice
(24) Per altri commenti delle decisioni della Corte di Appello e della Hoge Raad, si
vedano: BOLLÉE, Note - 28 avril 2009, Cour d’appel d’Amsterdam, in Rev. arb., 2009, 561
ss.; SCHWARTZ, Zombie awards: annulled but not dead, in Stockholm International Arbitration Review, 2009, 235 ss.; LEIJTEN - SCHELLAARS, The Yukos awards: Enforcement of Awards
Annulled at the Place of Arbitration, in Les Cahiers de l’Arbitrage — The Paris Journal of
International Arbitration, 2010, 1155 ss.; VAN DEN BERG, Enforcement of Arbitral Awards Annulled in Russia, cit., 179 ss.
(25) « Recognition and enforcement of the award may be refused, at the request of
the party against whom it is invoked, only if that party furnishes to the competent authority
where the recognition and enforcement is sought, proof that: (e) [t]he award has not yet become binding on the parties, or has been set aside or suspended by a competent authority of
the country in which, or under the law of which, that award was made ».
(26) A sostegno tanto dell’una che dell’altra soluzione è stato scritto molto in dottrina. Tra coloro che sostengono una lettura nel senso di dovere: SANDERS, New York Convention on the Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards, in Netherlands Int’l L.
Rev., 1959, 43, 55, citato da VAN DEN BERG, Enforcement of Arbitral Awards Annulled in Russia, cit., 187; MIGLIAZZA, Natura ed effıcacia dell’arbitrato internazionale, in Riv. dir. int. priv.
proc., 1973, 746; VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of 1958, cit., 355; VAN
DEN BERG, When Is an Arbitral Award Nondomestic, cit., 42; HULBERT, op. cit., 143 s.; SANDERS, Quo vadis arbitration?, cit., 77 s.; GIARDINA, The international recognition and enforcement of arbitral awards nullified in the country of origin, in Riv. dir. int. priv. proc., 2001,
273; REISMAN - IRAVANI, The changing relation of national courts and international commercial arbitration, in The American Review of International Arbitration, 2010, 12; VAN DEN
BERG, Enforcement of Arbitral Awards Annulled in Russia, cit., 179 ss. Tra coloro, più numerosi, che sostengono una lettura nel senso di potere: THOMPSON, nota a Cour de Cassation, 3
ottobre 1984, cit.; SMIT, op. cit.; SAMPLINER, op. cit.; PAULSSON, Rediscovering the N.Y. Convention, cit.; PAULSSON, Enforcing arbitral awards notwithstanding a local standard annulment (LSA), cit., 17; PAULSSON, May or Must Under The New York Convention: An Exercise
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richiesto di riconoscere ed eseguire un lodo annullato nell’ordinamento
della sede, qualora ritenga che l’art. V(1)(e) vada interpretato nel senso indicato sub b), potrà poi comunque dichiararlo efficace facendo applicazione, attraverso l’art. VII della Convenzione di New York (27), di disposizioni di diritto interno più favorevoli, ammesso che esistano (28). La seconda lacuna dell’art. V(1)(e) è dovuta al fatto che esso non indica i criteri
in base ai quali il giudice dovrà decidere se accordare o meno l’exequatur
di un lodo annullato, nel caso egli ritenga che tale disposizione vada interpretata nel senso indicato sub a).
Tali norme sono state interpretate ed applicate, secondo modalità ogni
volta diverse, oltre che dai giudici dei Paesi Bassi, anche da quelli francesi
e statunitensi (29), nelle sentenze già ricordate, e sono state oggetto di una
nota proposta interpretativa di una parte della dottrina.
Il Presidente del Tribunale di primo grado di Amsterdam e la Corte di
Appello, richiesti di riconoscere ed eseguire dei lodi annullati nella Federazione Russa, come abbiamo visto, ritennero che, ai sensi dell’art. V(1)(e)
della Convenzione di New York, in linea di principio, un lodo reso ed annullato nello Stato A non può essere riconosciuto ed eseguito nello Stato B,
a meno che non sussistano particolari circostanze, date dalla contrarietà del
riconoscimento della sentenza straniera di annullamento all’ordine pubblico
del foro.
La giurisprudenza francese cui si è fatto cenno basò le proprie pronunce sull’art. VII della Convenzione di New York e sulle disposizioni di
in Syntax and Linguistics, in Arbitration International, 1998, 227 ss.; LASTENOUSE, Why Setting Aside an Arbitral Award is not Enough to Remove it from the International Scene, in
Journal of International Arbitration, Kluwer Law International, 1999, n. 2, 29; RIVKIN, op.
cit., 532; REDFERN - HUNTER, op. cit., 88 ss.; GAILLARD, The Representations of International
Arbitration, in New York Law Journal, 2007, 3 ss.; SMIT, Annulment and enforcement of international arbitral awards: a practical perspective, in American Review of International
Arbitration, 2007, 297 ss.; MOURRE, op. cit.; BORN, International Commercial Arbitration,
Kluwer Law International, 2009, 2677, 2691; RADICATI DI BROZOLO, The control system of arbitral awards. A pro-arbitration critique of Michael Reisman’s « Normative architecture of
international commercial arbitration », destinato ad essere pubblicato nel volume (2011)
ICCA Congress Series.
(27) Nella parte che ora rileva, l’art. VII della Convenzione di New York cosı̀ dispone: « The provisions of the present Convention shall not... deprive any interested party of
any right he may have to avail himself of an arbitral award in the manner and to the extent
allowed by the law or the treaties of the country where such award is sought to be relied
upon ».
(28) Ad esempio, nei Paesi Bassi, una disposizione più favorevole manca e, anzi,
l’art. 1076(1)(A)(e) del Codice di procedura civile dei Paesi Bassi riproduce alla lettera l’art.
V(1)(e) della Convenzione di New York.
(29) Né al caso belga, né a quello austriaco era invece applicabile la Convenzione di
New York.
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diritto interno (30), le quali non prevedono, tra i motivi per cui possono essere rifiutati il riconoscimento e l’esecuzione di un lodo reso all’estero,
l’annullamento del lodo stesso nel Paese d’origine. Una parte della dottrina
aveva ipotizzato che, pur mancando espliciti riferimenti in tal senso, i giudici d’oltralpe, nell’accogliere la richiesta di esecuzione di lodi annullati
nello Stato di origine, fossero stati guidati, in linea con quella proposta interpretativa di cui si dirà a breve (31), anche dalla considerazione che l’annullamento era stato pronunciato sulla base di motivi meramente locali (32).
La giurisprudenza statunitense, diversamente, nella prima pronuncia,
relativa al caso Chromalloy (33), applicò sia l’art. VII che l’art. V(1)(e), interpretato nel senso sub a), da un lato ritenendo il lodo valido secondo disposizioni di diritto interno e dall’altro escludendo che la decisione di annullamento straniera potesse essere riconosciuta negli Stati Uniti, ritenendola contraria alla public policy interna in favore di lodi final and binding,
perché le parti avevano escluso, nella clausola compromissoria, la possibilità di proporre un qualsiasi tipo di ricorso contro il lodo. Le pronunce successive (Baker Marine, Martin Spier e TermoRio) (34), negarono che si potesse fare applicazione, attraverso l’art. VII della Convenzione, di disposizioni di diritto statunitense, in assenza di un riferimento delle parti, nel
contratto, a tale diritto e, di conseguenza, si basarono esclusivamente sull’art. V(1)(e), sempre interpretato nel senso sub a). Peraltro, in questi ultimi tre casi, come già ricordato (35), le richieste di riconoscimento e di
esecuzione dei lodi annullati non furono accolte, avendo i giudici ritenuto
che la parte risultata vincitrice nel procedimento arbitrale non aveva addotto elementi sufficienti ad impedire il riconoscimento negli Stati Uniti
delle sentenze straniere di annullamento.
In base ad un diverso approccio proposto dalla dottrina, in particolare
da Paulsson (36), la decisione se accordare o meno l’exequatur ai sensi dell’art. V(1)(e), letto nel senso sub a), dovrebbe essere presa valutando se
l’annullamento del lodo nello Stato di origine sia stato pronunciato sulla
base di un local o di un international standard. In particolare, se il lodo è
stato annullato nello Stato della sede per un motivo riconosciuto esclusiva-
(30) In particolare sull’allora art. 1502 ncpc, corrispondente all’attuale combinato disposto degli artt. 1525 u.c. e 1520 ncpc, a seguito della modifica intervenuta ad opera del
Décret no 2011-48 del 13 gennaio 2011.
(31) V. infra in questo stesso paragrafo.
(32) CRESPI REGHIZZI, op. cit., 382 s.; ATTERITANO, op. cit.
(33) V. supra nota 9.
(34) V. supra nota 9.
(35) V. supra nota 9.
(36) PAULSSON, Enforcing arbitral awards, cit. Tale proposta è stata cirticata in particolare da van den Berg (VAN DEN BERG, Enforcement of annulled awards?, cit.) e da Sanders
(SANDERS, Quo vadis arbitration?, cit.).
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mente da quello Stato o da pochi altri, ad esempio a causa della violazione
di una norma che prescrive che tutti gli arbitri siano di sesso maschile o che
appartengano ad una particolare confessione religiosa, i giudici richiesti
potranno concedere l’esecuzione del lodo nonostante l’intervenuto annullamento. Viceversa, in caso di annullamento per un motivo universalmente
riconosciuto, cioè per uno dei motivi indicati dalle prime quattro lettere
dell’art. V(1) della Convenzione di New York e dell’art. 36(1)(a) della
Legge Modello UNICTRAL, la richiesta dovrà essere rigettata, essendo i
giudici tenuti a rispettare la sentenza di annullamento pronunciata nello
Stato della sede (37). Deve segnalarsi che un’interpretazione dell’art.
V(1)(e) nel senso proposto non avrebbe impedito il riconoscimento nei
Paesi Bassi della sentenza russa di annullamento dei lodi, a causa di una
difficoltà applicativa, messa in luce da una parte della dottrina, che si presenta nel caso in cui degli international standard siano utilizzati come meri
motivi di facciata, da parte di giudici corrotti o imparziali (38): in effetti, la
sentenza di annullamento nel caso Yukos è basata su international standard,
riconducibili alle lettere (b) e (d) dell’art. V(1) della Convenzione di New
York.
4. La soluzione adottata dai giudici dei Paesi Bassi, che presenta
tratti comuni a quella affermatasi negli Stati Uniti, potrebbe essere chiamata « soluzione della territorialità attenuata o temperata ». Infatti, pur partendo dalle stesse premesse della tesi territorialista, cioè concependo l’arbitrato ed il lodo come fenomeni integrati nell’ordinamento dello Stato in cui
il procedimento arbitrale si è svolto, cosı̀ che una sentenza di annullamento
di un lodo, resa dai giudici di tale Stato, avrà in principio effetti extraterritoriali, la decisione compie un passo ulteriore, attenuandone i rigori, introducendo cioè una possibile eccezione al principio dell’efficacia automatica
della sentenza di annullamento al di fuori dei confini dello Stato di origine.
Tale eccezione è data dalla presenza di particolari circostanze, attinenti al
procedimento che ha condotto all’annullamento del lodo, che possano giustificare il rifiuto, da parte di uno o più ordinamenti, di riconoscere al proprio interno la sentenza di annullamento straniera.
Una soluzione simile, nel senso di considerare la sentenza straniera di
annullamento del lodo come fenomeno a sé stante, suscettibile o meno di
essere riconosciuta nell’ordinamento richiesto dell’esecuzione del lodo,
sulla base delle norme interne di diritto internazionale privato e proces-
(37) Tale modalità di procedere è peraltro obbligatoria per i giudici di quegli Stati
che siano parti, oltre che della Convenzione di New York, anche della Convenzione di Ginevra del 1961, secondo quanto previsto dall’art. IX(2) di quest’ultima.
(38) HULBERT, op. cit., 145.
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suale, era stata proposta, in dottrina, da Pierre Mayer (39) e, ancora prima,
pur se esclusivamente a livello europeo, da Poudret (40). Anche Giardina (41) e Muir Watt (42) hanno ammesso la possibilità di bloccare gli effetti
extraterritoriali che una sentenza di annullamento di un lodo, in principio,
secondo tali Autori avrebbe, con specifico riguardo proprio al caso di contrarietà di tale sentenza ai principi di equità processuale e all’ordine pubblico dello Stato del foro.
5. Considerare la sentenza di annullamento del lodo, emanata dai
giudici stranieri, per valutare, alla luce del diritto internazionale privato e
processuale del foro, se possa essere riconosciuta all’interno di questo, non
è una soluzione in contrasto con alcuna esplicita disposizione della Convenzione di New York.
Infatti, sostenere, come ha fatto alcuna dottrina di stampo territorialista (43), che la Convenzione di New York impone di rigettare la richiesta di
riconoscimento e di esecuzione del lodo reso in un altro Stato ogniqualvolta
quest’ultimo sia stato ivi annullato e che, di conseguenza, non vi sarebbero
possibilità, per il giudice richiesto dell’esecuzione, di operare una valutazione della sentenza straniera di annullamento, alla luce del proprio diritto
internazionale privato e processuale, equivarrebbe ad affermare che la Convenzione di New York, oltre che disciplinare il riconoscimento e l’esecuzione di lodi arbitrali stranieri, crea anche, per gli Stati che ne sono parte,
un meccanismo automatico di riconoscimento delle sentenze straniere (44).
Si badi, però: solo di quelle sentenze straniere che hanno annullato un lodo
arbitrale in materia commerciale.
Due considerazioni inducono ad escludere un’interpretazione nel
senso appena delineato (45).
Il diritto internazionale privato e processuale conosce certamente meccanismi di riconoscimento automatico di sentenze straniere. Un esempio a
noi noto è quello dei Regolamenti dell’Unione europea in materia civile e
(39) MAYER P., nota a Cour de Cassation, 17 ottobre 2000, Asecna v. N’Doye, in Rev.
arb., 2000, 655.
(40) POUDRET, op. cit.
(41) GIARDINA, Ancora sull’exequatur, cit., 748; GIARDINA, The International Recognition and Enforcement of Arbitral Awards Nullified in the Country of Origin, in BRINER - FORTIER - BERGER - BREDOW, op. cit., 216.
(42) MUIR WATT, op. cit., 708.
(43) Tra i tanti, ATTERITANO, op. cit., 100 ss.; SCHWARTZ, A Comment on Chromalloy,
cit., 131; SZEKELY, op. cit., 398 s.; VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of
1958, cit., 355; VAN DEN BERG, Enforcement of Arbitral Awards Annulled in Russia, cit., 182.
(44) In questo senso, ad es., BOLLÉE, Note - 28 avril 2009, cit., 170. Ma si v. anche
GIARDINA, The International Recognition and Enforcement of Arbitral Awards Nullified in the
Country of Origin, in BRINER - FORTIER - BERGER - BREDOW, op. cit., 215.
(45) Si veda anche RADICATI DI BROZOLO, op. cit.
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commerciale (46), matrimoniale e di responsabilità genitoriale (47). Tali Regolamenti, che pur si pongono all’interno di un sistema altamente integrato,
quale è, appunto, quello dell’Unione europea, ispirato ad « una reciproca
(piena) fiducia tra gli ordinamenti e i giudici dei diversi Stati membri » (48),
prevedono alcune eccezioni al principio del riconoscimento automatico
delle decisioni straniere. Una di queste eccezioni è rappresentata proprio
dalla manifesta contrarietà del riconoscimento all’ordine pubblico dello
Stato membro richiesto (49) e « la nozione di ordine pubblico sembra oggi
da intendere come idonea a ricomprendere — almeno... in alcune ipotesi —
anche il c.d. ordine pubblico processuale » (50). Tra tali ipotesi vi è quella
della non imparzialità del giudice che ha pronunciato la sentenza del cui riconoscimento si tratta (51). Sembra lecito, dunque, quantomeno dubitare
che, a partire dal 1958, gli Stati che hanno ratificato la Convenzione di New
York abbiano, inter alia, accettato di riconoscere, in via automatica e senza
eccezioni, qualsiasi sentenza straniera di annullamento di un lodo arbitrale
in materia commerciale, emanata, potenzialmente, in un qualsiasi Stato del
mondo. Non pare verosimile che la Convenzione di New York avrebbe
avuto un cosı̀ alto numero di ratifiche se avesse contenuto una disposizione
esplicita in questo senso. Inoltre, parrebbe davvero singolare che gli Stati
si fossero riservati, attraverso l’art. V(2)(b) della Convenzione, la facoltà di
negare il riconoscimento e l’esecuzione di un lodo reso in uno Stato straniero, in caso di contrarietà del riconoscimento e dell’esecuzione stessi all’ordine pubblico del foro, escludendo invece che questo medesimo limite
potesse operare per impedire l’ingresso nel foro di una sentenza straniera
di annullamento del lodo. Infine, rimarrebbe senza spiegazione il perché del
limitare la fiducia che gli Stati parte della Convenzione avrebbero nei
rispettivi sistemi giudiziari alle sole ipotesi di sentenze che hanno annullato
un lodo arbitrale in materia commerciale.
La seconda considerazione che porta ad escludere che la Convenzione
di New York abbia istituito un meccanismo automatico di riconoscimento
delle sentenze straniere di annullamento dei lodi dipende dal fatto che si
tratterebbe di una soluzione in contrasto con lo spirito dell’arbitrato commerciale. Una soluzione, cioè, che non considera che le parti, in origine,
attraverso la clausola compromissoria o il compromesso, hanno operato una
scelta non soltanto di matrice positiva, affidando la soluzione della propria
(46) Reg. (CE) n. 44/2001.
(47) Reg. (CE) n. 2201/2003.
(48) MOSCONI - CAMPIGLIO, Diritto internazionale privato e processuale. Parte generale e obbligazioni, V ed., Torino, 2010, 278.
(49) Cfr. l’art. 34(1) Reg. (CE) n. 44/2001, e gli artt. 22(a) e 23(a) Reg. (CE) n.
2201/2003.
(50) MOSCONI - CAMPIGLIO, op. cit., 297.
(51) IDEM, 298.
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controversia ad arbitri, ma anche di matrice negativa, escludendo che di
quella controversia potessero occuparsi quei giudici statali che sarebbero
stati altrimenti competenti. In questo modo, invece, si attribuisce efficacia
universale ad una sentenza che non solo annulla il lodo, unico vero prodotto in principio voluto da entrambe le parti, ma che potrebbe addirittura
provenire proprio da quel giudice la cui competenza le parti avevano voluto escludere in relazione a quella specifica controversia.
6. La Convenzione di New York non impedisce di operare nel modo
in cui hanno operato i giudici dei Paesi Bassi, cioè considerando la sentenza straniera di annullamento del lodo alla luce di canoni di diritto interno e separatamente dal lodo, non solo perché non è uno strumento di riconoscimento automatico delle sentenze straniere di annullamento, ma anche perché non è nemmeno uno strumento attraverso cui gli Stati che ne
sono parte hanno identificato, attraverso l’art. V(1)(e), quale ordinamento
competente a disciplinare l’intera situazione nascente dalla controversia
originariamente oggetto della decisione arbitrale, l’ordinamento dello Stato
in cui l’arbitrato ha avuto sede (52).
Il rinvio all’ordinamento competente è un meccanismo (53), talvolta
usato nelle leggi di diritto internazionale privato e processuale di alcuni
Stati, attraverso cui il legislatore fa riferimento, per la valutazione di determinate fattispecie, ad un dato ordinamento straniero considerato nel suo
complesso, con cui queste presentano un particolare legame, di modo che,
come una situazione, ad esse relativa, prende forma, si sviluppa e si modifica in detto ordinamento, cosı̀ sarà anche recepita ed avrà effetto nello
Stato del foro (54). Quest’ultimo si rimette dunque, per quanto riguarda il
controllo della validità di tali situazioni, alle sole valutazioni compiute dall’ordinamento giuridico straniero e, di conseguenza, al punto di vista di
questo.
Si è ritenuto che tale metodo di coordinamento, anche se per lo più
(52) Sul rinvio all’ordinamento competente si veda PICONE, Il rinvio all’« ordinamento competente » nel diritto internazionale privato, in Riv. dir. int. priv. proc., 1981, 309
ss.; PICONE, Ordinamento competente e diritto internazionale privato, Padova, 1986; PICONE,
Les méthodes de coordination entre ordres juridiques en droit international privé: Cours général de droit international privé, in Recueil des Cours 276, 1999, 119 ss.; PICONE, L’art. 65
della legge italiana di riforma del diritto internazionale privato e il riconoscimento delle
sentenze straniere di divorzio, in Riv. dir. int. priv. proc., 2000, 380 ss.
(53) Il rinvio all’ordinamento competente può avvenire attraverso tecniche internazionalprivatistiche diverse: o attraverso le norme di conflitto del foro, o attraverso tali norme
ed i procedimenti di riconoscimento di sentenze straniere o, infine, direttamente attraverso
questi ultimi: PICONE, Ordinamento competente e diritto internazionale privato, cit., 103.
(54) La situazione può avere origine nello Stato straniero considerato competente
dall’ordinamento del foro oppure può essere solamente ivi riconosciuta o riconoscibile.
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utilizzato per la « valutazione di questioni relative a status familiari » (55) o
a diritti reali (56), possa essere impiegato, senza particolari problemi, per
regolare tutte le categorie di fattispecie, anche diverse da quelle per le quali
è tradizionalmente usato (57), ad esempio rapporti giuridici.
In particolare, e per quanto qui ci interessa, il rinvio, da parte dell’ordinamento in cui è richiesto l’exequatur del lodo, all’ordinamento dello
Stato sede dell’arbitrato quale ordinamento competente, dovrebbe comportare che non sia una particolare sentenza (non solo una sentenza di annullamento ma anche, ad esempio, una sentenza con cui si accerta la validità
del lodo o lo si dichiara esecutivo) ad essere riconosciuta nello Stato del
foro, secondo i meccanismi tradizionali di riconoscimento delle sentenze
straniere, ma la situazione in sé, come esistente nello Stato sede dell’arbitrato, costituita da una molteplicità di « elementi normativi, materiali o formali » (58), ad essere recepita in quanto tale, cosı̀ che, come essa è nell’ordinamento competente, tale sarà anche nell’ordinamento che opera il rinvio.
La differenza rispetto all’ipotesi esaminata nel precedente paragrafo
risiede nel fatto che, nel caso ora in esame, si dovrà tenere conto non solo
di una eventuale sentenza di annullamento del lodo pronunciata nello Stato
di origine, ma anche di una sentenza con cui si rigetta una richiesta di annullamento del lodo o di una sentenza che dichiara il lodo esecutivo, con la
conseguenza che se quel lodo potrà essere eseguito nello Stato di origine,
allora potrà esserlo anche nello Stato che opera il rinvio, il quale dovrà
mettere a disposizione, a questo fine, la propria forza pubblica, senza avere
prima effettuato alcun controllo del lodo alla luce dei propri canoni.
Deve ritenersi che l’art. V(1)(e) della Convenzione di New York non
opera un rinvio all’ordinamento dello Stato sede dell’arbitrato considerandolo quale ordinamento competente.
Tale affermazione si impone, in primo luogo, se si tiene a mente il
contenuto della Convenzione di New York e se si considera tale Convenzione quale momento di progresso rispetto a quella di Ginevra del 1927.
Nonostante non sia stata accolta, nel testo finale, per l’opposizione di alcuni
Stati membri e dell’ECOSOC, la versione proposta dalla Commissione sull’Arbitrato Commerciale Internazionale dell’ICC, la quale era significativamente intitolata al riconoscimento e all’esecuzione di lodi arbitrali internazionali, si deve comunque ritenere che il lodo è in primo luogo considerato
dalla Convenzione di New York in sé e per sé come fenomeno sociale, che
(55) PICONE, Il rinvio all’« ordinamento competente », cit., 361.
(56) PICONE, Les méthodes de coordination, cit., 139.
(57) PICONE, Il rinvio all’« ordinamento competente », cit., 364 s.; PICONE, Les méthodes de coordination, cit., 137.
(58) PICONE, Ordinamento competente e diritto internazionale privato, cit., 57.
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trae la propria origine dalla volontà delle parti (59), e non come « prodotto »
collegabile in qualsiasi modo alla sovranità di uno Stato (60). Infatti, mentre la Convenzione ginevrina richiedeva, ai fini della circolazione del lodo,
che esso avesse acquisito una certa stabilità processuale, cioè che fosse divenuto « definitivo » (« final »), nello Stato in cui era stato pronunciato (art.
I(2)(d)), la Convenzione di New York, su proposta del professor Pieter
Sanders, delegato dei Paesi Bassi alla Conferenza di New York (61), sostituisce il requisito del doppio exequatur, con uno di tipo privatistico-negoziale: il lodo deve essere divenuto « obbligatorio » (« binding ») per le parti
(art. V(1)(e)). Inoltre, il riferimento che la Convenzione di New York opera,
ad esempio nell’art. V, a certi diritti statali, non è mai un riferimento ad un
solo sistema statale a titolo di inquadramento o integrale assorbimento del
lodo nell’ambito dello Stato stesso, ma vale come « rinvio per la valutazione di singoli aspetti del complesso procedimento arbitrale, in assenza di
regole convenzionali direttamente poste » (62).
Deve escludersi che si possa leggere nell’art. V(1)(e) un richiamo all’ordinamento competente anche perché, in base alla Convenzione di New
York, la parte soccombente nel procedimento arbitrale può fare valere per
la prima volta proprio nel giudizio in cui si decide sulla richiesta di riconoscimento e di esecuzione del lodo, in uno Stato diverso da quello della
sede, i motivi previsti dall’art. V, non avendo, invece, l’obbligo di farli valere in un autonomo e precedente giudizio di annullamento, da lei stessa
promosso, nello Stato di origine. Da ciò si ricava che la Convenzione di
New York non attribuisce una posizione privilegiata all’ordinamento di
quest’ultimo Stato per la valutazione del lodo, ammettendo che essa possa
(59) LUZZATTO, International commercial arbitration and the municipal law of States,
in Recueil des Cours, IV, 1977, 21 ss.
(60) Contra GIARDINA, The international recognition and enforcement of arbitral
awards nullified in the country of origin, in Riv. dir. int. priv. proc., 2001, 274: « the New
York Convention is founded on the basic principle that an arbitral award is thought to belong to, have the nationality of, or be subject to the laws of the country in which it was
made ».
(61) Tale proposta è stata spesso indicata come « the Dutch proposal ». Cosı̀ SANDERS, nella relazione tenuta a New York il 10 giugno 1998 durante il « New York Convention
Day », giornata celebrativa del quarantesimo anniversario della Convenzione di New York,
riprodotta in United Nations Publication, Enforcing Arbitration Awards under the New York
Convention. Experience and Prospects, New York, 1999, disponibile a: http://www.uncitral.org/pdf/english/texts/arbitration/NY-conv/NYCDay-e.pdf (visitato il 7 agosto 2010). Si veda
anche l’intervista al professor Sanders del novembre 2007, a cura dell’International Bar Association, disponibile a: http://www.arbitration-icca.org/offıcers-and-members/honorary-presidents/Pieter_Sanders.html (visitato il 7 agosto 2010).
(62) LUZZATTO, Arbitrato commerciale internazionale, in Digesto Commerciale, 1987,
I, 196.
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avvenire, per la prima volta, anche ad opera di giudici di uno Stato diverso (63).
Vi sarebbe poi un problema di coordinamento tra ordinamenti qualora,
dopo che i giudici dello Stato straniero avessero dichiarato l’esecutività del
lodo reso nell’ordinamento competente, in quest’ultimo si procedesse ad
annullarlo. Infatti, da un lato, l’art. VI della Convenzione, pone in capo al
giudice richiesto dell’esecuzione una mera facoltà di sospendere il giudizio
nel caso in cui il lodo sia stato oggetto di una richiesta di annullamento
nello Stato in cui o ai sensi della legge del quale è stato reso e, dall’altro,
« l’esigenza di coordinamento del foro con un ordinamento straniero si afferma e si mantiene costante durante tutta la vita di una determinata situazione giuridica, e non in relazione a singole fasi di esistenza della stessa » (64): « una norma di rinvio all’ordinamento competente [...] non può
che operare durante l’intera fase di durata di una situazione giuridica, e
“disciplinare” quindi anche l’ipotesi in cui tale situazione sia eventualmente destinata a venir meno » (65), cosı̀ che si dovrebbero eliminare, nello
Stato del foro, gli effetti prodotti dall’esecuzione forzata.
Da ultimo, deve segnalarsi che proprio quella dottrina che ha maggiormente studiato, in Italia, il metodo del rinvio all’ordinamento competente, ha riconosciuto che la « clausola di ordine pubblico internazionale
del foro » può operare come limite al riconoscimento di situazioni straniere
esistenti nell’ordinamento competente richiamato dall’ordinamento del foro (66). Ci si può allora chiedere quali effetti tale limite avrebbe prodotto
sulla situazione relativa al caso Yukos, qualora i giudici dei Paesi Bassi
avessero considerato lo Stato sede del procedimento arbitrale quale ordinamento competente. Per determinare se l’operare di tale limite avrebbe o
meno comportato un risultato diverso da quello che effettivamente si ebbe,
si dovrebbe stabilire, in via preliminare, se esso avrebbe impedito, ai giudici dei Paesi Bassi, il riconoscimento di quel solo componente della situazione che ne determinava il contrasto con l’ordine pubblico internazionale,
cioè della sola sentenza russa di annullamento del lodo, oppure dell’intera
situazione, costituita, inter alia, da quell’elemento viziato, tenendo comunque presente che, in entrambi i casi, la situazione non avrebbe potuto essere riconosciuta, nello Stato del foro, cosı̀ come essa era ed esisteva nell’ordinamento competente.
7. Uno degli argomenti spesso trattati dalla dottrina che si è occupata del fenomeno della delocalizzazione dell’arbitrato commerciale inter-
(63)
(64)
(65)
(66)
In questo senso, si veda RADICATI DI BROZOLO, op. cit.
PICONE, Il rinvio all’« ordinamento competente », cit., 345.
PICONE, Il rinvio all’« ordinamento competente », cit., nota 66.
PICONE, Ordinamento competente e diritto internazionale privato, cit., 107.
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nazionale e del riconoscimento di lodi annullati nel Paese d’origine, è
quello della maggiore o minore idoneità, di una soluzione piuttosto che di
un’altra, a raggiungere un’uniformità di risultati a livello internazionale (67). Sotto questo profilo deve riconoscersi che la tesi della territorialità
attenuata, consentendo al giudice richiesto dell’esecuzione di un lodo annullato di negare, in alcuni casi eccezionali, il riconoscimento, nel proprio
ordinamento, della sentenza straniera di annullamento, non garantisce necessariamente il raggiungimento di tale risultato.
Tuttavia si tratta di un rischio insito anche nella tesi della volontà
delle parti o in quella c.d. « multilocalisatrice » (68), cosı̀ come in quella
territorialista.
La tesi che identifica la base giuridica dell’arbitrato nell’autonomia e
nella volontà delle parti e la tesi che la identifica nella pluralità di ordinamenti statali con cui il lodo può venire in contatto sono accomunate dall’escludere che le sentenze rese, in riferimento al lodo, dai giudici dell’ordinamento dello Stato sede dell’arbitrato, ed in particolare quelle di annullamento, possano avere effetti extraterritoriali, rendendo cosı̀ possibile che
una stessa sentenza arbitrale sia valutata diversamente da Stato a Stato. In
entrambi i casi dunque, l’unico effetto che una sentenza di annullamento
del lodo, pronunciata, nella maggior parte dei casi, dal giudice dello Stato
della sede, avrebbe, sarebbe quello di impedirne l’esecuzione all’interno di
quel medesimo Stato, non diversamente dall’effetto che avrebbe una sentenza, pronunciata da un giudice di uno Stato qualsiasi, che si limitasse a
rigettare una richiesta di esecuzione, in quello Stato, del lodo medesimo. I
giudici della Corte di Appello di Parigi, nel caso che vedeva opposta la Direction Générale de l’Aviation Civile de l’Èmirat de Dubaı̈ alla società Bechtel, avevano adottato proprio tale impostazione (69), suscitando, anche su
questo specifico punto, critiche della dottrina (70).
(67) Cfr., ad es., GHARAVI, Chromalloy: Another View, cit.; GIARDINA, Ancora sull’exequatur, cit., 747 s.; HASCHER, nota a Cour de Cassation, 10 marzo 1993, cit.; JARROSSON,
nota a Cour de Cassation, cit., 331; LASTENOUSE, op. cit., 33; MAYER P., Revisiting Hilmarton
and Chromalloy, cit.; PAULSSON, Rediscovering the N.Y. Convention, cit.; PAULSSON, Enforcing
arbitral awards, cit., 21; PINSOLLE, The Status of Vacated Awards in France, cit., 290 ss.
(68) In questo senso si veda GIARDINA, The International Recognition and Enforcement of Arbitral Awards Nullified in the Country of Origin, in BRINER - FORTIER - BERGER BREDOW (a cura di), op. cit., 215. Per la somiglianza della tesi della volontà delle parti alla
tesi multilocalisatrice, dal punto di vista degli effetti, si veda supra nota 14.
(69) Cour d’appel de Paris, 29 settembre 2005, Direction Générale de l’Aviation Civile de l’Èmirat de Dubaı̈ v. Bechtel International Company LLC, in Rev. crit. droit int. privé,
2006, 390: « les décisions rendue à la suite d’une procédure d’annulation, à l’instar des décisions d’exequatur, ne produisent pas d’effets internationaux, car elles ne concernent qu’une
souveraineté déterminée sur le territoire où elle s’exerce, aucune appréciation ne pouvant
être portée sur ces décisions émises par un juge étranger à l’occasion d’un procès indirect ».
(70) SZEKELY, op. cit., 398; MUIR WATT, op. cit., 706 s.
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Ad una costruzione siffatta sembra dunque preferibile, a parità di condizioni per quanto riguarda la capacità di assicurare l’armonia delle soluzioni, quella operata dai giudici del caso Yukos, che conferisce alla sentenza
di annullamento, resa nello Stato della sede, efficacia extraterritoriale salvo
che si verifichino particolari condizioni. Se non altro perché la seconda ha
il pregio di attribuire un significato più corretto ed un valore più appropriato, rispetto alla prima, ad una sentenza di annullamento di un lodo.
Nemmeno l’approccio territorialista garantisce un’uniformità di risultati: secondo i sostenitori di tale visione, è necessario che i giudici di tutti
gli Stati si conformino alla soluzione data nello Stato di origine solo in caso
di annullamento del lodo da parte dei giudici di questo (71). In mancanza di
annullamento (o perché la domanda di annullamento non è stata proposta o
perché, pur proposta, non è stata accolta), ogni Stato potrà adottare una soluzione autonoma, ad esempio ritenendo il lodo valido e dunque accogliendo la richiesta di esecuzione dello stesso, oppure ritenendo di dover
rigettare tale richiesta ai sensi di uno dei motivi di cui all’art. V(1)(a)-(d)
della Convenzione di New York.
Di nuovo, a parità di condizioni per quanto riguarda la garanzia di soluzioni uniformi a livello internazionale, pare da preferire, alla soluzione
territorialista pura, quella della territorialità attenuata, per i motivi già sostanzialmente delineati, cioè per essere quest’ultima, rispetto alla prima,
maggiormente rispettosa del sistema che la Convenzione di New York ha
voluto istituire (72).
8. Esistono, in teoria, almeno tre modalità per raggiungere un’uniformità di risultati a livello internazionale le quali, tuttavia, paiono, per diversi motivi, tutte impraticabili.
(71) Si veda, supra, nota 43. Nel senso che, invece, dovrebbe tenersi conto della
sentenza resa dai giudici dello Stato sede dell’arbitrato anche nel caso in cui essa si sia pronunciata nel senso della validità del lodo, e dunque più vicini ad una posizione che considera
lo Stato della sede quale ordinamento competente, si vedano BOLLÉE, Les méthodes du droit
international privé à l’épreuve des sentences arbitrales, Paris, 2004, nota 418 e GOODE, The
Role of the Lex Loci Arbitri in International Commercial Arbitration, in Arbitration International, 2001, 34. Tuttavia Gaillard mette in luce che solamente all’interno di un ipotetico sistema altamente integrato uno Stato potrebbe accettare di impiegare la propria forza pubblica
facendo affidamento esclusivamente su una sentenza che dichiara la validità del lodo resa in
un altro Stato. Non esistendo attualmente tale tipo di integrazione, un sistema che ritiene
competente, per ogni tipo di valutazione del lodo, l’ordinamento dello Stato della sede, secondo l’A., implica necessariamente un ritorno, nella sostanza, al meccanismo del doppio
exequatur, poiché lo Stato dell’esecuzione non rinuncerebbe a controllare a sua volta il lodo
alla luce di propri canoni: « il n’est guère concevable de lege ferenda de substituer purement
et simplement un contrôle de la sentence centralisé au lieu du siège à un contrôle exercé au
lieu d’exécution » GAILLARD, Aspects philosophiques, cit., 89.
(72) V. supra para. 5.
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Innanzi tutto si potrebbe stabilire, attraverso una convenzione, che,
per essere efficace, dovrebbe riscuotere il consenso del più elevato possibile numero di parti contraenti, che i giudici di tutti gli Stati debbano conformarsi, qualora si trovino a dover decidere su una richiesta di annullamento o di esecuzione di un lodo, alla decisione di quella Corte che per
prima ha espresso un giudizio sul lodo medesimo (anch’essa, o perché adita
dalla parte che ne voleva far dichiarare la nullità, o perché adita da quella
che ne chiedeva l’esecuzione). Tale ipotesi tuttavia non sembra possa essere
accettata tanto facilmente a livello internazionale, soprattutto perché, come
già altri hanno notato (73), nel caso in cui il giudice adito per primo abbia
deciso nel senso della validità del lodo, gli altri Stati dovrebbero mettere a
disposizione la propria forza pubblica per eseguire un lodo che non fu mai
sottoposto ad un controllo di validità alla luce di canoni interni propri dello
Stato richiesto dell’esecuzione.
Una seconda modalità, qualora si volesse invece tenere quale unico
punto di riferimento lo Stato sede dell’arbitrato e, nel contempo, evitare che
uno Stato diverso da quest’ultimo possa decidere autonomamente se eseguire o meno il lodo ai sensi della Convenzione di New York, eliminando
cosı̀ il rischio di decisioni difformi da Stato a Stato, consisterebbe nell’operare un rinvio, sempre attraverso una convenzione che abbia le medesime
caratteristiche di quella considerata nel paragrafo precedente, all’ordinamento dello Stato in cui l’arbitrato ha avuto sede, considerandolo quale ordinamento competente (74). Infatti, una delle caratteristiche legate all’uso di
tale metodo di coordinamento è proprio quella di evitare, in relazione a determinate fattispecie, caratterizzate da un particolare legame con un certo
ordinamento, il sorgere di situazioni « claudicanti » nei diversi Stati in cui
esse possono rilevare (75).
Si dovrà però avere cura di introdurre un correttivo al fine di non trovarsi nella situazione di dovere eliminare, a causa dell’intervenuto annullamento del lodo nello Stato di origine, gli effetti di una procedura esecutiva
precedentemente svoltasi in un altro ordinamento. Si dovrà cioè stabilire un
termine entro cui può impugnarsi il lodo o chiedersi una pronuncia di esecutività dello stesso nell’ordinamento competente, cosı̀ che il coordinamento degli altri sistemi con quest’ultimo avverrà, o in un momento anteriore a tale termine, se un giudice di quell’ordinamento ha potuto pronunciarsi sulla validità del lodo, o, in caso contrario, nel momento in cui tale
termine sia scaduto, allorché il lodo potrà essere considerato valido e
senz’altro eseguibile in ogni Stato, come se i giudici della sede si fossero
(73) V. supra nota 71 e RADICATI DI BROZOLO, op. cit., il quale pone l’accento sulla
mancanza di omogeneità degli standard di annullamento dei lodi nei diversi Stati.
(74) Sul rinvio all’ordinamento competente si veda supra para. 6.
(75) Si veda, ad es., PICONE, Il rinvio all’« ordinamento competente », cit., 325 e PICONE, Ordinamento competente e diritto internazionale privato, cit., 16.
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esplicitamente pronunciati nel senso della sua validità. Non si potrebbe infatti, poiché sarebbe una soluzione contraria all’economia processuale, imporre alla parte risultata vincitrice nel procedimento arbitrale di agire nello
Stato della sede per fare dichiarare l’esecutività del lodo, anche quando
essa non vi abbia interesse (76).
Sono già state illustrate le ragioni per cui considerare l’ordinamento
dello Stato sede dell’arbitrato quale ordinamento competente pare in contrasto con la Convenzione di New York (77). Si deve ora aggiungere, brevemente, che, subordinare la possibilità, per la parte risultata vincitrice nel
procedimento arbitrale, di chiedere l’esecuzione del lodo in uno Stato diverso da quello della sede, alla condizione che sia scaduto il termine di cui
si è detto, è contrario all’esigenza di tutelare in maniera sollecita i diritti dei
creditori. Inoltre, pare difficile, come già si è rilevato in relazione alla prima
modalità proposta (78), che uno Stato accetti di impiegare la propria forza
pubblica per eseguire un lodo reso in un altro Stato, affidandosi unicamente
a valutazioni operate (o non operate) da un ordinamento straniero, senza
prima aver potuto egli stesso sottoporre tale lodo ad un proprio giudizio (79).
Una terza modalità potrebbe consistere nel privare gli Stati, sempre
attraverso una convenzione del tipo descritto, del potere di operare un
qualsiasi controllo sui lodi resi sul proprio territorio, per attribuirlo, in via
esclusiva, ad una corte sovranazionale, creata ad hoc, che qualcuno ha
chiamato « International Court of Arbitral Awards » (80), e stabilire che
qualsiasi valutazione, operata da tale organo, che garantirebbe di essere indipendente da ogni Stato e, in particolare, dagli Stati a cui le parti sono legate, avrà efficacia erga omnes. Già nel 1961, a Parigi, in occasione del
Congresso Internazionale dell’Arbitrato promosso dalla Comité français de
l’arbitrage, era stata proposta la creazione di una corte siffatta che potesse
affiancare i tribunali arbitrali e fornire alle parti ed agli arbitri l’assistenza
necessaria durante il procedimento o a conclusione di esso (81). Tuttavia, la
proposta non ebbe un grande seguito, salvo alcune isolate eccezioni. Tra
queste, in particolare, un contributo di Holtzmann al volume The Internationalisation of International Arbitration (82), nel quale l’Autore ritenne
(76) Ad esempio perché la controparte non possiede alcun asset in tale Stato.
(77) Supra para. 6.
(78) V. supra in questo stesso paragrafo.
(79) V. supra nota 71.
(80) SCHWEBEL, The Creation and Operation of an International Court of Arbitral
Awards, in HUNTER - MARRIOTT - VEEDER (eds.), The Internationalisation of International Arbitration, Graham & Trotman/Martinus Nijhoff, Dordrecht, The Netherlands, 1995, 115.
(81) Congrès de Paris des 11-13 mai 1961, travaux de la troisième Commission, in
Rev. arb., 1961, 99 ss.
(82) HOLTZMANN, A Task for the 21st Century: Creating a New International Court
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possibile la creazione di un organo sovranazionale siffatto ed identificò, in
particolare, tre vantaggi ad esso legati: i) il formarsi di una giurisprudenza
uniforme in relazione ai profili di sua competenza; ii) la speditezza dei procedimenti; iii) l’indipendenza dei giudici da qualsiasi ordinamento statale (83). Coloro che hanno invece percepito delle difficoltà, hanno in particolare sottolineato il contrasto che si verrebbe a creare tra l’esistenza ed il
funzionamento di tale organo da un lato e, dall’altro, tanto la presenza,
nella realtà della risoluzione delle controversie fra privati, di numerosissime istituzioni arbitrali, ciascuna potenzialmente eleggibile dalle parti per
l’amministrazione del procedimento, quanto il vigore con cui gli Stati tendono ad affermare la propria sovranità (84).
9. La proposta di istituire una corte sovranazionale che abbia le caratteristiche descritte nel paragrafo precedente dipende da una concezione
dell’arbitrato commerciale internazionale quale fenomeno svincolato dallo
Stato in cui il procedimento si è svolto. Si tratta di una visione già presente
nel draft redatto dall’ICC durante i lavori preparatori della Convenzione di
New York, di cui si è detto (85) e, secondo alcuni (86), confluita, forse in
modo implicito, anche nella Convenzione stessa.
Nel medesimo ordine di idee si è posta quell’autorevole dottrina che
ha identificato la sanction legale dell’arbitrato in un ordinamento sovrastatuale, diverso dall’ordinamento internazionale in senso proprio, che qualcuno (87) ha chiamato « ordre juridique arbitral », formula divenuta celebre
soprattutto attraverso la recente opera di Gaillard « Aspects philosophiques
du droit de l’arbitrage international » (88). Sarebbero gli Stati, complessivamente considerati, a dare vita (come già hanno fatto per l’ordinamento
internazionale che « procède de la volonté des Etats ») ad un « droit commun de l’arbitrage », nel quale risiede il fondamento del potere di giudifor Resolving Disputes on the Enforceability of Arbitral Awards, in HUNTER - MARRIOTT - VEEDER (eds.), The Internationalisation of International Arbitration, Graham & Trotman/Martinus Nijhoff, Dordrecht, The Netherlands, 1995, 109 ss.
(83) La proposta di Holtzmann è stata, nel complesso, appoggiata da Schwebel nel
contributo immediatamente successivo al medesimo volume.
(84) FOUCHARD, La portée internationale, cit., 350.
(85) V. supra para. 6.
(86) Ad es., GOLDMAN, Les conflits des lois, cit., 359; FOUCHARD, nota a Cour d’appel
de Paris 21 febbraio 1980, General National Maritime Transport Company v. Soc. Götaverken Arendal A.B., in JDI, 1980, 673.
(87) Secondo quanto riportato da Gaillard stesso (GAILLARD, Aspects philosophiques,
cit., 95), tale espressione è stata usata per la prima volta da Daniel Cohen nel 1993 (COHEN,
Arbitrage et société, Paris, 1993, 21), in seguito Thomas Clay vi ha dedicato un capitolo della
propria tesi di dottorato (CLAY, L’arbitre, Paris, 2001, 211-228) ed infine Jean-Baptiste Racine ne ha fatto uso nel 2005 (RACINE, Réflexions sur l’autonomie de l’arbitrage commercial
international, in Rev. arb., 2005, 335 ss.).
(88) GAILLARD, Aspects philosophiques, cit., 53 ss.
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care degli arbitri: « c’est la convergence des ordres juridiques étatiques qui,
par l’acceptation qu’elle manifeste du phénomène arbitral, en légitime
l’existence. ... [L]a communauté des Etats a conféré à l’arbitrage international une réelle autonomie » (89); l’arbitro deve essere considerato l’organo giudicante di un ordinamento autonomo. Tale visione del fenomeno
arbitrale non è impedita, secondo l’Autore, dal fatto che gli Stati conservano il monopolio dell’esecuzione forzata, trattandosi semplicemente della
messa a disposizione, da parte di questi, della forza pubblica, a favore di
quel metodo di risoluzione delle controversie che essi stessi hanno accettato come il più adatto alla realtà del commercio internazionale.
Concepire l’arbitrato commerciale internazionale come fenomeno delocalizzato ed indipendente dall’ordinamento di qualsiasi Stato risponde indubbiamente alle necessità di perseguire un’uniformità di risultati a livello
internazionale e di rispettare l’originaria volontà delle parti che hanno devoluto la soluzione della propria controversia ad uno o più arbitri. Tuttavia
non pare che gli Stati siano, al momento attuale, disposti ad accettare integralmente tale visione (90), forse anche per la reticenza che essi classicamente mostrano quando si tratta di cedere a terzi il controllo di attività che
si svolgono sul proprio territorio.
Almeno a livello giurisprudenziale, se si eccettua il caso francese in
cui sono stati eseguiti dei lodi annullati nello Stato di origine affermando
che « la sentence internationale, qui n’est rattachée à aucun ordre juridique étatique, est une décision de justice internationale » (91), parrebbero
infatti prevalere quegli ordinamenti che continuano a preferire una visione
territorialista, piena o attenuata, e che forse sono ancora mossi da quella
medesima concezione che spinse i redattori della Convenzione a mantenere
nel testo, contrariamente alla proposta della Commissione dell’ICC, il riferimento allo Stato nel quale, o ai sensi della legge del quale, il lodo è stato
reso. Infatti, nella maggior parte dei casi e nella maggior parte degli Stati,
la richiesta di riconoscimento e di esecuzione di un lodo annullato nello
Stato di origine è rigettata, essendo tale annullamento ritenuto preclusivo
dell’accoglimento della domanda, cosı̀ che sono tuttora da considerarsi eccezionali, anche se in aumento, le pronunce orientate nel senso opposto.
Deve comunque riconoscersi che, a livello legislativo, invece, incomincia a percepirsi qualche segnale maggiore nel senso della delocalizzazione dell’arbitrato commerciale internazionale, in quegli ordinamenti statali che hanno adottato delle normative che autorizzano le parti di procedi(89) IDEM, 114.
(90) In questo senso si veda RADICATI DI BROZOLO, op. cit.
(91) Cour de Cassation, 29 giugno 2007, Société PT Putrabali Adyamulia v. SA Rena
Holding et Société Mnogutia Est Epices, 1a decisione, in Rev. arb., 2007, 514. Anche le sentenze francesi sopra ricordate precedenti a questa, a partire dalla pronuncia della Cour de
Cassation del 1994 nel caso Hilmarton, contengono affermazioni similari.
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menti arbitrali che hanno sede sul proprio territorio, ad escludere, in presenza di determinate condizioni, la possibilità di ricorrere contro il lodo davanti alle corti di quello Stato. Disposizioni di questo tipo si trovano negli
ordinamenti legislativi di alcuni Paesi che sono abbastanza frequentemente
scelti quali sedi di arbitrati commerciali internazionali, in particolare nella
Legge di Diritto Internazionale Privato svizzera (92), nella legislazione belga (93) e nell’Arbitration Act svedese (94). Devono segnalarsi, nello stesso
senso, anche le previsioni del codice tunisino di arbitrato (95), della legge
peruviana di arbitrato (96) e, infine, di un decreto legge panamense, il quale,
addirittura, non assoggetta ad alcuna condizione la validità dell’accordo di
rinuncia (97).
GIULIA VALLAR
(92) Legge federale svizzera sul diritto internazionale privato del 18 dicembre 1987,
art. 192(1).
(93) Legge 19 maggio 1998 n. 45, art. 13,003. Peraltro, tale legge interviene sulle
modifiche che erano state introdotte nel 1985 dalla legge Storme (Legge 27 marzo 1985 n.
35), all’art. 1717 comma 4 del Code Judiciaire. Allora si era esclusa in ogni caso la possibilità di impugnare un lodo reso in Belgio nel caso in cui nessuna delle parti avesse il proprio domicilio in, o altro collegamento con, tale Stato. Questo sistema fu poi modificato perché, privando la parte soccombente in arbitrato di un foro competente dove proporre l’impugnazione del lodo, aveva comportato la diminuzione della frequenza con cui il Belgio veniva
scelto dalle parti quale Stato sede di arbitrati internazionali. Sul punto si veda HORSMANS, Actualité et évolution du droit belge de l’arbitrage, in Rev. arb., 1992, 438.
(94) The Swedish Arbitration Act (SFS 1999:116), sezione 51(1).
(95) Legge n. 1993-0042 del 26 aprile 1993 (portant promulgation du Code de l’Arbitrage), art. 78(6).
(96) Legge n. 26572, Ley General de Arbitraje, art. 126.
(97) Decreto Legge n. 5 dell’8 luglio 1999 (Gazzetta Ufficiale 23.837 del 10 luglio
1999) « Por el cual se establece el régimen general de arbitraje de la conciliación y de la
mediación », art. 36.
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GIURISPRUDENZA ARBITRALE
I)
ITALIANA
Lodi annotati
COLLEGIO ARBITRALE (Grieco Pres., Buzzelli, De Giovanni); nella controversia insorta tra la Juventus Football Club S.p.a. (avv.ti Briamonte, Chiappero e
Landi) c. la Federazione Italiana Giuoco Calcio (avv.ti Medugno e Mazzarelli)
e F.C. Internazionale Milano S.p.a. (avv.ti Torchia, Capellini e Raffaelli); lodo
reso in Roma dal Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport il 15 novembre 2011.
Potestas decidendi dell’A.C.G.S e del T.N.A.S. - Collocazione della disputa all’interno dell’ordinamento sportivo - Competenza del T.N.A.S. - Operatività del criterio della disponibilità della situazione giuridica soggettiva
azionata nel giudizio arbitrale - Astratta proponibilità dinanzi al T.N.A.S.
delle questioni sportive involgenti interessi legittimi.
Venendo al merito dell’eccezione di incompetenza del T.N.A.S., il Collegio ritiene che, fermo restando che la controversia — per la parte residuata dopo la decisione presidenziale del 9 settembre 2011 — si colloca all’interno dell’ordinamento sportivo (come rettamente affermato nella stessa ordinanza) e, dunque, nel
complessivo ambito delle competenze dell’Alta Corte e del T.N.A.S., l’elemento decisivo per l’attribuzione della competenza all’uno o all’altro organo sia la natura
disponibile o indisponibile dei diritti oggetto del giudizio. [...]
La richiamata decisione dell’Alta Corte [n.d.r.: decisione del 23 settembre
2011, n. 22], inoltre, sembra distinguere, sia pure per inciso, le « posizioni giuridiche sportive » in « ... (diritti e interessi) ». [...] Dunque, non sarebbe possibile affermare o negare la competenza del T.N.A.S. sol perché le posizioni giuridiche dedotte in arbitrato risultino sussumibili nella categoria del « diritto » (evidentemente soggettivo) o dell’interesse (evidentemente legittimo). [...]
Pertanto, la valutazione circa la disponibilità o meno delle posizioni giuridiche dedotte in arbitrato va effettuata, comunque, anche ove si ritengano tali posizioni riconducibili al concetto di interesse legittimo. Resta cosı̀ superata la eccezione secondo cui, vertendosi in tema di interessi legittimi, sarebbe esclusa la competenza del T.N.A.S.
CENNI
DI FATTO.
— Con istanza di arbitrato presentata in data 11 agosto 2011
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nei confronti della Federazione Italiana Giuoco Calcio e della F.C. Internazionale
Milano S.p.a., la Juventus Football Club S.p.a., chiede al Tribunale Nazionale di
Arbitrato per lo Sport di revocare, con effetto ex tunc, per i vizi di legittimità dedotti nell’atto introduttivo del giudizio arbitrale: a) il provvedimento del Consiglio
Federale della F.I.G.C. in data 18 luglio 2011 di reiezione dell’istanza di revoca,
presentata dalla Juventus Football Club S.p.a. in pari data; b) l’atto del Commissario Straordinario della F.I.G.C., Avv. Guido Rossi, adottato in data 26 luglio 2006,
con cui veniva assegnato il titolo di campione d’Italia per gli anni 2005-2006 alla
F.C. Internazionale Milano S.p.a.; c) il titolo di campione d’Italia per gli anni
2005-2006 assegnato al Football Club Internazionale di Milano S.p.a.. La Juventus
Football Club S.p.a., chiede inoltre al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport
di dichiarare « non assegnato » il titolo di campione d’Italia per gli anni 20052006, nonché di dichiarare e quantificare, secondo un equo apprezzamento, il proprio diritto soggettivo al risarcimento dei danni patiti e patiendi, patrimoniali e non
patrimoniali, causati dai provvedimenti indicati supra sub a) e b).
La Federazione Italiana Giuoco Calcio e della F.C. Internazionale Milano
S.p.a., di contro, eccepiscono pregiudizialmente il deficit di competenza del
T.N.A.S. e ritengono nel merito infondate le domande proposte dall’istante.
MOTIVI DELLA DECISIONE. — 1. (Omissis).
2. (Omissis).
3. (Omissis).
4. (Omissis).
5. Venendo al merito dell’eccezione di incompetenza del T.N.A.S., il Collegio
ritiene che, fermo restando che la controversia — per la parte residuata dopo la decisione presidenziale del 9 settembre 2011 [n.d.r.: preventiva statuizione del Presidente del T.N.A.S. che escludeva la competenza del Collegio arbitrale istituito
presso il Tribunale solo in relazione alla domanda risarcitoria] — si colloca all’interno dell’ordinamento sportivo (come rettamente affermato nella stessa ordinanza)
e, dunque, nel complessivo ambito delle competenze dell’Alta Corte e del T.N.A.S.,
l’elemento decisivo per l’attribuzione della competenza all’uno o all’altro organo
sia la natura disponibile o indisponibile dei diritti oggetto del giudizio, alla luce
delle disposizioni sopra ricordate [n.d.r.: artt. 12, 12-bis e 12-ter Statuto C.O.N.I.
2008 e 2011]. Al fine di svolgere ogni necessaria valutazione al riguardo il Collegio ritiene di dover preliminarmente precisare con chiarezza l’oggetto del contendere; individuare poi quali siano i diritti o più in generale le posizioni giuridiche
soggettive indisponibili; valutare, infine, se la lite sottoposta all’attenzione del
T.N.A.S. riguardi, appunto, situazioni indisponibili.
6. Va segnalato che dopo la ricordata decisione del Presidente del T.N.A.S. del
9 settembre 2011 emessa in limine nel presente procedimento, è intervenuta la decisione n. 22 del 2011 dell’Alta Corte, depositata il 23 settembre 2011; in tale decisione si afferma tra l’altro che « indubbiamente la competenza dell’Alta Corte è
alternativa a quella del Tribunale di arbitrato... e si basa essenzialmente sul carattere indisponibile delle posizioni giuridiche sportive (diritti e interessi) oggetto
della specifica controversia sportiva... ». Come si è sopra segnalato i precedenti
giurisprudenziali dell’Alta Corte assumono pregnante rilevanza, anche per il
T.N.A.S., ai sensi dell’art. 12-bis dello Statuto del C.O.N.I.. Il Collegio, pertanto,
ritiene di doversi attenere al principio di diritto, affermato nella predetta decisione,
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secondo cui le competenze dell’Alta Corte e del T.N.A.S. sono alternative e non
concorrenti, per i motivi illustrati nella decisione medesima; in tal senso va considerata come superata la posizione di cui alla decisione presidenziale datata 9 settembre 2011 resa nel presente procedimento nella parte in cui riteneva « le sanzioni
sportive affıdate, in via alternativa, all’una o all’altra dei due organismi giurisdizionali ». Poiché, dunque, la possibilità di una competenza alternativa è stata
esclusa dall’Alta Corte nella citata decisione n. 22 del 2011 e poiché tale affermazione assume in quella decisione valenza generale di principio di diritto, tale da includere tra le materie di competenza esclusiva anche quella disciplinare (che pure
appartiene indubbiamente in parte qua ad entrambi gli organi ai sensi dell’art. 1,
comma IV, del Codice dell’Alta Corte e dell’art. 3, comma 1 del Codice T.N.A.S.),
il Collegio è chiamato a valutare se la presente controversia rientri nella competenza esclusiva dell’uno o dell’altro organismo di giustizia sportiva, fermo che il
provvedimento che parte istante intende ottenere dalla Federazione in sede di autotutela ha natura disciplinare ed è riconducibile nell’ambito dell’ordinamento sportivo (tranne, ovviamente, la domanda risarcitoria).
La richiamata decisione dell’Alta Corte, inoltre, sembra distinguere, sia pure
per inciso, le « posizioni giuridiche sportive » in « ... (diritti e interessi) ». Il Collegio — fermo restando che un approfondimento sulla natura delle posizione giuridiche soggettive nell’ambito dell’ordinamento sportivo esulerebbe dalle finalità
della presente decisione — ritiene che tale distinzione non risulti decisiva ai fini
della determinazione della competenza, giacché le categorie di diritto e interesse
non appaiono né identificabili né sovrapponibili con quelle di posizione giuridica
disponibile o indisponibile. Dunque, non sarebbe possibile affermare o negare la
competenza del T.N.A.S. sol perché le posizioni giuridiche dedotte in arbitrato risultino sussumibili nella categoria del « diritto » (evidentemente soggettivo) o dell’interesse (evidentemente legittimo): colgono nel segno, in questo caso, le difese
svolte al riguardo dalla Juventus (nel pieno esercizio del diritto di difesa) in sede
di memoria e di discussione orale sulla questione di competenza.
Pertanto, la valutazione circa la disponibilità o meno delle posizioni giuridiche dedotte in arbitrato va effettuata, comunque, anche ove si ritengano tali posizioni riconducibili al concetto di interesse legittimo. Resta cosı̀ superata la eccezione secondo cui, vertendosi in tema di interessi legittimi, sarebbe esclusa la competenza del T.N.A.S.. È, dunque, decisivo scrutinare, nei sensi esposti, se le posizioni dedotte in giudizio siano o meno disponibili per le parti.
7. (Omissis).
8. A questo punto vanno svolte talune necessarie considerazioni in merito alla
distinzione tra diritti disponibili (e, perciò, compromettibili e suscettibili di essere
sottoposti alla cognizione del T.N.A.S.) e indisponibili, come tali rientranti, se inerenti all’ambito dell’ordinamento sportivo, nella competenza dell’Alta Corte.
Al riguardo va precisato immediatamente che il Collegio ritiene che, a fronte
di una pluralità di posizioni giuridiche oggetto del giudizio, al fine di ritenere la
competenza del T.N.A.S. tutte le posizioni di tutte le parti debbano essere disponibili giacché l’arbitrabilità presuppone necessariamente la possibilità di una conciliazione totale della lite che non può avvenire se tutte le parti non hanno piena disponibilità di tutte le posizioni giuridiche in gioco.
Riservando un successivo focus dell’analisi giuridica sull’interesse sostanziale
posto alla base dell’istanza, avuto riguardo per ora al carattere « formale » di que129
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sta, e vagliando il modo in cui essa è formulata e quali effetti si proponga di produrre, è possibile svolgere le seguenti considerazioni in ordine all’eccezione in
esame, valutando se si verta in materia di diritti indisponibili. Va ricordato che i diritti indisponibili, per definizione, sono tali nella misura in cui coinvolgono un interesse di rango superiore, in certa misura estraneo a quello del soggetto titolare del
diritto in sé considerato.
Opportunamente, le parti Juventus e Internazionale hanno richiamato nei propri scritti difensivi l’art. 1966, comma 2, c.c., secondo il quale l’indisponibilità dei
diritti deriva dalla loro natura e o da espressa disposizione di legge (pur facendone
le due parti discendere opposte conseguenze).
L’indisponibilità « per natura » della posizione giuridiche discende proprio dal
carattere (almeno concorrente) di « alterità » dell’interesse sopra segnalato. Tipici
esempi sono rinvenibili nel diritto di famiglia, con riguardo allo status di padre, figlio, coniuge, e al diritto agli alimenti; ovvero con riferimento ai diritti della personalità, come il diritto al nome, all’immagine, alla riservatezza; con riferimento al
diritto societario si è affermato (Cass., Sez. I, sent. n. 3772/2005) che le controversie « possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione
di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci e dei terzi », giacché
« l’area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da
norme inderogabili ».
9. Indubbiamente dalla lettura dell’istanza di arbitrato è agevole cogliere come
la Juventus sia guidata dalla volontà di ottenere una pronuncia, da parte di questo
Collegio, che dichiari il potere-dovere della F.I.G.C. di agire in autotutela per la rimozione del provvedimento con il quale è stato assegnato il titolo di « campione
d’Italia » nei confronti dell’Internazionale per l’anno sportivo 2005-2006.
Considerando la questione nell’ottica della sola parte istante, appare immediato cogliere come la possibilità di azionare la pretesa dalla Juventus rientri nella
piena disponibilità della medesima, come dall’istante dedotto; tuttavia, va accertato
se analoga disponibilità sia rinvenibile in capo alla F.I.G.C., cioè se la pretesa vada
ad impingere su situazione indisponibile. In tale contesto va, dunque, ribadito che,
se pure la Juventus può liberamente disporre della sua pretesa a ottenere la dichiarazione affermativa del potere dovere della F.I.G.C. ad agire in autotutela per l’annullamento della concessione del titolo di « campione d’Italia », possedendo la facoltà di rinunciare all’istanza o raggiungere un accordo transattivo, estintivo del
contenzioso con le controparti, ciò tuttavia non è sufficiente a radicare la competenza innanzi al T.N.A.S., poiché occorre valutare se analoga disponibilità si rinvenga anche in capo alla F.I.G.C.
10. (Omissis).
11. Dunque se non vi è dubbio che l’istante abbia disponibilità della propria
posizione giuridica, consistente nella facoltà di richiedere l’esercizio del potere di
autotutela da parte della F.I.G.C., tuttavia il Collegio ritiene che a propria volta la
Federazione non abbia, quanto meno nella propria prospettazione (che non risulta
manifestamente infondata), la possibilità di provvedere: e ciò sia perché essa deduce che norme di organizzazione e di azione le impediscono quella condotta, sia
perché assume di avere esercitato una funzione a valenza pubblicistica poiché riconducibile alla tutela di un interesse pubblico. In tale ottica risulta, in sostanza,
decisiva la considerazione della posizione della F.I.G.C. [n.d.r.: posizione di sog130
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getto di diritto pubblico in ragione della attribuzione normativa di cui al D.Lgs. 23
luglio 1999, n. 242]. A conferma di quanto sopra si osserva, approfondendo la posizione della Federazione sopra accennata, che la F.I.G.C. ha negato di poter provvedere, e perciò ha riscontrato l’istanza della Juventus affermando, nel provvedimento luglio 2011, « che non ricorrono i presupposti per l’attivazione di un intervento in autotutela »; e ciò perché « l’attribuzione del primo posto in classifica
della soc. Internazionale ha costituito... il naturale ed ineludibile effetto dello scorrimento di graduatoria conseguente alle modifiche apportate alla classifica finale
dalle decisione rese dagli organi della giustizia sportiva; atteso che, in assenza di
uno specifico provvedimento attributivo del titolo in via amministrativa (dal momento che l’avanzamento in graduatoria... è dipeso esclusivamente dagli esiti della
vicenda disciplinare, senza comportare alcun concorso da parte dell’organo politico, che si è limitato a prendere atto, con pronuncia di carattere meramente ricognitivo, degli effetti di penalizzazioni inflitte dagli organo giustiziali) difettano in
radice i presupposti per un intervento in autotutela, non essendo giuridicamente e
logicamente concepibile, nella situazione descritta, l’attivazione di un procedimento destinato a sfociare in un contrarius actus »: prosegue la Federazione affermando che, pertanto, « l’eventuale revoca del titolo risulterebbe priva di un valido
fondamento normativo » e in contrasto « con il principio di tipicità dei poteri amministrativi ». Dunque la F.I.G.C. nega di disporre dello stesso potere di provvedere
in mancanza di fondamento normativo. Inoltre, sempre secondo la Federazione,
l’eventuale revoca del titolo di campione d’Italia « si tradurrebbe nell’adozione di
una misura... anche trasgressiva della regola di separazione dei poteri sancita dall’art. 3 dei principi fondamentali dettati dal CONI in materia di normazione statutaria in quanto invasiva di attribuzioni riservate agli organi di giustizia (unici depositari della funzione disciplinare) » (cfr. in particolare dall’art. 3 comma 6 dei
« Principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate » di cui alla deliberazione del Consiglio Nazionale
C.O.N.I. del 19 maggio 2010, sulla « distinzione... degli organi federali » e sulla
« separazione tra poteri di gestione sportiva e di gestione della giustizia federale »); né, sempre secondo il provvedimento del Consiglio federale, può « accreditarsi ad organi amministrativi della Federazione la titolarità di un innominato
potere discrezionale che consenta di valutare l’eventuale ricorrenza di situazioni
ostative all’automatico conferimento del titolo di conformità alle variazioni di
classifica conseguenti all’applicazione di sanzioni disciplinari ».
In sostanza, dunque, vi è, sempre secondo la F.I.G.C., un « difetto di legittimazione », cosicché, non ricorrendo i presupposti per l’attivazione del provvedimento di autotutela, la Federazione « per quanto possa occorrere, respinge la richiesta di revoca del titolo di campione d’Italia relativo alla stagione sportiva
2005/2006 ».
Pertanto il Collegio è chiamato a valutare una lite in cui, nella non manifestamente infondata prospettazione di una parte, non sussisterebbe la disponibilità della
posizione della stessa parte; il che impedisce la piena negoziabilità delle lite e,
quindi, l’arbitrabilità della medesima. Trattasi di questioni che attengono a situazioni giuridiche non disponibili giacché se veramente la Federazione, e in particolare i suoi organi di gestione sportiva, non dispongono dei poteri il cui esercizio è
richiesto dalla Juventus, non può di certo farne oggetto di disposizione e quindi di
arbitrato e di eventuale accordo conciliativo.
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Dunque, a prescindere dalla valutazione sulla fondatezza delle predette posizioni espresse dalla F.I.G.C. — e fermo che esse appaiono comunque, prima facie,
non manifestamente infondate — il Collegio si sarebbe dovuto pronunciare in
primo luogo sulla titolarità o meno in capo agli organi amministrativi della F.I.G.C.
del potere il cui esercizio è stato richiesto e solo successivamente pronunciarsi sulle
modalità di esercizio del potere stesso e sulla fondatezza nel merito delle pretese di
revoca del titolo di campione d’Italia. Si tratta, dunque, di materia che il Collegio
ritiene non arbitrabile, proprio perché attinente alla titolarità di poteri e alla competenza del singolo organo ad esercitarla, dunque a posizioni indisponibili in relazione alla loro natura. In caso contrario si sarebbe dovuta ammettere la teorica possibilità di una conciliazione in cui, sempre in teoria, l’organo di gestione sportiva
della Federazione avrebbe potuto autoattribuirsi una competenza che l’ordinamento
sportivo (secondo la prospettazione della stessa F.I.G.C.) non gli attribuisce; ipotesi palesemente contraria al concetto di tipicità (e conseguente indisponibilità) dei
poteri amministrativi; altrimenti detto con espressione più comprensibile a chi non
sia esperto in diritto, la competenza, come il coraggio manzoniano, chi non ce l’ha
non se la può dare.
12. Inoltre, sempre nell’analisi del petitum, è utile svolgere ulteriori ordini di
considerazioni, al fine di meglio circoscrivere l’oggetto dell’istanza formulata dalla
Juventus e, dunque, le posizioni giuridiche dedotte in arbitrato anche sotto il profilo del bene della vita preteso. Sotto il profilo prettamente sostanziale, la domanda
della parte istante concerne, come già riferito, la pretesa ad ottenere la rimozione
del titolo di campione d’Italia, cosı̀ come qualificato alla stregua delle disposizioni
di riferimento (art. 10 comma 2, dello Statuto federale; art. 49, comma 1, lett. a)
delle Norme organizzative interne della F.I.G.C.; art. 13, comma 1 del Codice di
giustizia sportiva della F.I.G.C.).
Va confermata, anche sotto il profilo dell’esame del petitum sostanziale, la riconducibilità della vertenza nell’ambito della giustizia sportiva. Tuttavia ciò non
basterebbe, comunque, a radicare la competenza del T.N.A.S.; infatti, sempre nella
prospettazione della F.I.G.C., l’attribuzione e la revoca (quale contrarius actus) del
titolo di campione d’Italia non sono oggetto di un potere amministrativo, ma conseguono esclusivamente alla applicazione dei regolamenti e ai risultati del campo e
l’eventuale revoca può solo scaturire da una sanzione disciplinare, che non competerebbe al Consiglio Federale ma agli organi di giustizia. Nessuna disponibilità
avrebbe quindi la F.I.G.C. rispetto al bene della vita su cui si discute, cioè il titolo
di campione d’Italia, se non in relazione all’esercizio di un potere sanzionatorio che
esula dai poteri del Consiglio Federale.
In definitiva, anche a considerare la questione sotto il profilo del petitum sostanziale, si perviene alla conclusione della non arbitrabilità della vertenza per le
medesime ragioni illustrate con riferimento al petitum formale.
13. Tanto premesso per le suesposte ragioni deve dichiararsi l’incompetenza
del Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport poiché la controversia ha riguardo
a posizioni giuridiche indisponibili.
14. (Omissis).
15. (Omissis).
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Le posizioni giuridiche di interesse legittimo possono considerarsi disponibili ai sensi dell’art. 1966 c.c. e quindi astrattamente compromettibili.
1. Il lodo in epigrafe afferma, sulla scorta di un minoritario, seppur
autorevole, orientamento dottrinario e giurisprudenziale, l’astratta transigibilità e compromettibilità per arbitri di quelle peculiari posizioni giuridiche
conosciute nell’ordinamento italiano come « interessi legittimi ».
Questi in breve i fatti di causa: la Juventus Football Club S.p.a. adiva
il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport chiedendo la revoca per vizi
di legittimità del provvedimento del Commissario Straordinario della
F.I.G.C. in data 26 luglio 2006, in forza del quale era stato assegnato il titolo di campione d’Italia per gli anni 2005-2006 alla F.C. Internazionale
Milano S.p.a., nonché del provvedimento del Consiglio Federale della
F.I.G.C., emanato a seguito della proposizione dell’esposto presentato dalla
Juventus F.C. S.p.a. alla Procura Federale, con cui era stata respinta una
precedente richiesta di revoca del detto atto e del titolo sportivo che con
esso veniva assegnato. La Società istante chiedeva inoltre al T.N.A.S. di
dichiarare e quantificare, secondo un equo apprezzamento, il proprio diritto
soggettivo al risarcimento del danno causato dagli impugnati provvedimenti. Si costituiva con memoria la F.C. Internazionale Milano S.p.a., eccependo pregiudizialmente l’inammissibilità dell’istanza di arbitrato per incompetenza del T.N.A.S., per eccezione di giudicato e per difetto di legittimazione e carenza di interesse, e, nel merito, rilevando l’infondatezza
dell’istanza di arbitrato. Si costituiva altresı̀ nel giudizio arbitrale la Federazione Italiana Giuoco Calcio, la quale eccepiva in via pregiudiziale l’incompetenza del T.N.A.S. ed instava affinché il Presidente dello stesso Tribunale dichiarasse, ai sensi e per gli effetti dell’art. 19 del Codice dei giudizi innanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport e disciplina
degli arbitri, l’eccepito difetto di competenza sul presupposto che la res in
iudicium deducta involgeva interessi legittimi come tali indisponibili e non
compromettibili per arbitri; la stessa Federazione eccepiva inoltre il difetto
di legittimazione attiva della società istante, il difetto di interesse a ricorrere della stessa e, nel merito, l’infondatezza delle domande.
Il Presidente del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport con
provvedimento del 9 settembre 2011, decidendo preliminarmente sull’eccezione sollevata dalle parti intimate, dichiarava la manifesta incompetenza
del Tribunale in relazione alla sola domanda risarcitoria avanzata dalla Juventus Football Club S.p.a. e rigettava invece le istanze di declaratoria di
incompetenza relativamente alle restanti domande arbitrali.
Il Collegio arbitrale, in revoca del detto provvedimento presidenziale
del T.N.A.S., riesaminava le eccezioni di incompetenza e si determinava ad
accoglierle sul presupposto che la controversia, evidentemente appartenente
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al mondo dello sport e pertanto rientrante nella cognizione alternativa dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva e del Tribunale Nazionale di Arbitrato per
lo Sport, involgeva una situazione giuridica soggettiva che, a prescindere
dalla propria qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo,
appariva formalmente e sostanzialmente indisponibile da parte della
F.I.G.C.
2. Per prima cosa appare opportuno esaminare la statuizione del
Presidente del T.N.A.S. (1) circa l’incompetenza del Tribunale Arbitrale in
merito alla domanda risarcitoria dei danni arrecati dai provvedimenti impugnati. La decisione presidenziale, confermata pure nella parte motiva del
lodo in commento, trae origine dal decisum di cui alla sent. n. 49/2011 pronunciata dalla Corte costituzionale in sede di sindacato di legittimità dell’art. 2, comma 1, lett. b) e comma 2 D.L. n. 220/2003, poi convertito in
Legge n. 280/2003, secondo la quale è comunque ammesso il ricorso al
giudice statale per ottenere da questi piena tutela risarcitoria anche laddove
si sia in presenza di provvedimenti tecnico-disciplinari sportivi, purché
questi siano produttivi di effetti lesivi nei confronti di situazioni giuridiche
soggettive rilevanti per l’ordinamento generale.
Più correttamente la Consulta, offrendo una lettura costituzionalmente
orientata delle norme sottoposte a vaglio di legittimità (2), ha sancito il
principio secondo cui il giudice statale (ordinario o amministrativo a seconda della natura della posizione giuridica azionata e delle previsioni delle
disposizioni di legge vigenti nell’ordinamento della Repubblica) può, nonostante la riserva a favore della « giustizia sportiva », conoscere in via incidentale e indiretta delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni
ed atleti, all’esclusivo fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario del provvedimento sanzionatorio. Afferma, infatti, la
Corte costituzionale che: « In tali fattispecie deve, quindi, ritenersi che la
esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti attraverso i quali
sono state irrogate le sanzioni disciplinari — posta a tutela dell’autonomia
dell’ordinamento sportivo — non consente che sia altresı̀ esclusa la possibilità, per chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridica-
(1) Decisione Presidente T.N.A.S. del 9 settembre 2011, in www.coni.it.
(2) Consulta, che, chiamata a decidere della legittimità costituzionale dell’art. 2 del
D.L. n. 220/2003 in relazione ai parametri di giudizio costituiti dalle disposizioni di cui agli
artt. 24, 103 e 113 Cost., ha definitivamente precisato come la norma sottoposta al vaglio di
legittimità sia, in realtà, suscettibile di lettura costituzionalmente orientata: ciò, in quanto « la
esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti attraverso i quali sono state irrogate
le sanzioni disciplinari — posta a tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo — non
consente che sia altresı̀ esclusa la possibilità, per chi lamenti la lesione di una situazione
soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio per ottenere il conseguente risarcimento del danno ».
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mente rilevante, di agire in giudizio per ottenere il conseguente risarcimento del danno » (3).
Al fine di valutare la correttezza del risultato cosı̀ raggiunto dai Giudici costituzionali e quindi dagli arbitri investiti della vicenda in esame, appare opportuno analizzare preliminarmente le norme vagliate dalla Consulta. Il D.L. n. 220/2003 e la successiva Legge di conversione n. 280/
2003, le cui disposizioni hanno costituito oggetto del giudizio di legittimità
de quo, hanno tentato di razionalizzare in maniera netta ed inequivoca i
rapporti tra ordinamento statale ed ordinamento sportivo, riconoscendo, da
un lato, la tradizionale autonomia di quest’ultimo (art. 1), in ragione del
carattere particolare-internazionale del fenomeno Sport che ne è alla base e
tracciando, dall’altro, i confini tra « giurisdizioni » statale (giudice ordinario-giudice amministrativo) e sportiva (artt. 2 e 3) (4). A ben vedere, però,
si è trattato di un tentativo non completamente riuscito: l’apparente chiarezza formale, infatti, non ha trovato corrispondenza nell’interpretazione e
nell’applicazione sostanziale delle norme, le quali hanno persino realizzato
una potenziale antinomia che dottrina e giurisprudenza non hanno potuto
non rilevare.
All’art. 1, comma 1 si legge che: « La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione
dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale »; al comma 2, invece, si precisa che: « I rapporti tra
l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in
base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento
giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con
l’ordinamento sportivo » (5). In estrema sintesi, non è detto che il fenomeno
(3) Corte cost. sent. n. 49/2011, in www.cortecostituzionale.it.
(4) L’intervento normativo, quanto alla classificazione delle controversie sportive ed
alla loro collocazione in aree di interesse per l’ordinamento sportivo e per l’ordinamento statale, ha evidentemente tratto origine dalla cosiddetta quadripartizione delle materie sportive,
operata per la prima volta in dottrina da LUISO, La giustizia sportiva, Milano, 1975. Secondo
il chiarissimo Autore, con notevole anticipo rispetto al D.L. n. 220/2003, si poteva distinguere le controversie sportive tra tecniche, disciplinari, economiche ed amministrative. Appare opportuno segnalare anche una classificazione alternativa a quella appena esposta ed
operata in dottrina da COCCIA, Fenomenologia della controversia sportiva e dei suoi modi di
risoluzione, in Riv. dir. sport., 1997, il quale impiega come criterio di classificazione l’appartenenza o meno all’ordinamento sportivo, in veste di tesserati o affiliati, dei soggetti coinvolti
nella controversia; cosı̀ facendo, l’illustrissimo Autore individua quattro diverse situazioni: 1)
quando nessuna delle parti in causa è istituzione sportiva o singolo affiliato o tesserato; 2)
quando una sola delle parti è affiliata ad una istituzione sportiva; 3) quando una sola delle
parti è istituzione sportiva; 4) quando tutte le parti sono istituzioni o affiliati. Circa la nozione
di controversia sportiva, la Suprema Corte, intervenuta in subiecta materia, ha individuato
diverse tipologie di controversie, in merito alle quali cfr. GOISIS, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, 18.
(5) GOISIS, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano,
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sportivo si esaurisca solo entro i confini dell’ordinamento particolare di appartenenza, avendo la capacità di produrre effetti che coinvolgono aspetti
ordinari della vita dell’ordinamento statale e che quest’ultimo non può
aprioristicamente trascurare, pena la rinuncia ad esercitare, in relazione ad
essi, le proprie prerogative di sovranità.
Gli enunciati di cui agli esaminati commi, posti dal Legislatore quale
introduzione alla disciplina vera e propria, danno il là alla specificazione
operata dai successivi articoli 2 e 3 (6). Nella prima disposizione, in parziale riforma del testo del D.L. n. 220/2003, la legge di conversione ha delineato un elenco, da intendersi tassativo (7), delle materie in cui si esplica
senza limiti l’autonomia dell’ordinamento sportivo italiano e ciò in ragione
della ritenuta indifferenza o irrilevanza dell’ordinamento generale per le
questioni che possono scaturire da dette materie. Indifferenza o irrilevanza
che si traduce, sul piano della tutela dei singoli, nel riconoscimento di
un’esclusiva competenza cognitiva ratione materiae della giustizia sportiva. Le materie per cui risulta operante tale sistema sono: « a) l’osservanza
e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative
sanzioni disciplinari sportive ».
Sulla natura della specificazione normativa appena riportata, in virtù
della quale si giunge a ritenere la materia « tecnico-disciplinare » come
esclusivamente appartenente al fenomeno sportivo, si è sviluppato un vivace dibattito dottrinario e giurisprudenziale. L’oggetto della querelle è (o
2007, 8, nota 5), in cui si riportano, con scelta opportuna a parere di chi scrive, le parole della
Relazione governativa al d.d.l. di conversione del D.L. n. 220/2003 (Guida al dir., 2003, 34
ss.), le quali confermano l’interpretazione delle norme in esame, contenuta in queste pagine.
Secondo la Relazione governativa, infatti, « L’ordinamento sportivo — inteso quale insieme
organico di regole, tecniche e disciplinari, applicabili alle discipline sportive ed ai soggetti
affıliati alle Federazioni sportive — è tradizionalmente riconosciuto quale ordinamento autonomo secondo la nota teoria del pluralismo degli ordinamenti giuridici ».
(6) L’art. 3 è stato poi sensibilmente modificato, quanto al comma 1, dall’art. 3,
comma 1 D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, che ha sostituito l’espressione « è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo » con l’espressione « è disciplinata dal codice
del processo amministrativo », mentre, quanto ai commi 2, 3 e 4, dall’art. 3 dell’allegato 4
al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, che ha provveduto ad abrogarli. In ogni caso va precisato,
come pure chiarito in Corte cost. sent. n. 49/2011, che gli interventi normativi di successiva
modifica del quadro normativo delineato dal D.L. n. 220/2003 e dalla Legge di conversione
n. 280/2003 non hanno di fatto mutato la disciplina normativa sostanziale, posto che il Codice del processo amministrativo contiene disposizioni che riproducono quelle modificate ed
abrogate.
(7) Il requisito della tassatività è caratteristica indiscussa della norma in esame e non
deve essere confuso con il concetto di riserva assoluta di cui si dirà poco più avanti e che è
oggetto di querelle dottrinaria e giurisprudenziale.
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meglio, dovrebbe dirsi è stata, almeno sino a Corte cost. sent. n. 49/2011)
la possibilità o meno di ravvisare nella scelta operata dal Legislatore i termini di un’assolutezza, tale da non lasciare spazio ad eccezioni di sorta,
realizzandosi di fatto una riserva assoluta a favore dell’ordinamento sportivo, che esplicherebbe i propri effetti in particolar modo in ambito giudiziale, attraverso il riconoscimento di una riserva di « giurisdizione » (rectius: competenza cognitiva) a tutto vantaggio degli organi di giustizia dello
Sport. Le varie argomentazioni avanzate in tale dibattito (8) sembrano do-
(8) Tra gli argomenti proposti dalla dottrina favorevole (per la quale si veda, tra tutti,
DE MARZO, Ordinamento statale ed ordinamento sportivo tra spinte autonomistiche e valori
costituzionali, in Corr. giur., 2003 n. 10, 1265 ss.), vi sono: a) il dato testuale della disposizione in esame, che attribuisce, senza riserve espresse ed in toto, l’intera materia tecnica e
disciplinare all’ordinamento dello Sport (principio logico-ermeneutico del « in claris non fit
interpretatio »); b) la condotta tenuta dal Parlamento in sede di conversione del D.L. n. 220/
2003, in quanto il supremo organo legislativo non ha meramente recepito la determinazione
adottata al riguardo dal Governo, ma ha provveduto ad espungere dal primigenio novero
delle questioni propriamente attribuite al mondo sportivo quelle concernenti « l’ammissione
e l’affıliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati »,
nonché « l’organizzazione e lo svolgimento delle attività agonistiche non programmate ed a
programma illimitato e l’ammissione alle stesse delle squadre ed atleti ». Ciò è evidente sintomo di una scelta consapevole e ponderata del Parlamento, il quale sembra, pertanto, aver
ritenuto non configurarsi né diritti soggettivi, né interessi legittimi nelle materie di cui alle
lett. a) e b) dell’art. 2, comma 1 Legge n. 280/2003, o, quanto meno, diritti soggettivi ed interessi legittimi cosı̀ tenui da non meritare considerazione agli occhi dell’ordinamento della
Repubblica; c) nessun limite ad una simile giurisdizione assoluta ed esclusiva sembra potersi
rinvenire nella normazione di rango ordinario e costituzionale, né aliunde, apparendo, piuttosto, attuato il principio della ragionevolezza, inteso quale corollario al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.; d) l’esistenza di una specifica competenza ed il possesso di
precipue cognizioni da parte degli organi giurisdizionali interni, a dispetto di quelli statali, in
caso di risoluzione di questioni connotate da un particolare grado di tecnicismo, come accade
per le questioni tecnico-sportive, da un lato, e disciplinari, dall’altro.
Al contrario, la corrente dottrinaria contraria all’individuazione di una riserva assoluta
(per la quale è opportuno ricordare COLAGRANDE, Disposizioni urgenti in materia di giustizia
sportiva, in Nuove leggi. civ. comm., 2004, n. 4, 717) trova prevalentemente sostegno in una
serie di considerazioni tra cui: a) la sostanziale coincidenza tra le materie cosiddette « riservate » e le attività che l’art. 23 Statuto C.O.N.I., in attuazione della « Riforma Pescante »
(D.Lgs. n. 15/2004), ha individuato come attività federali a valenza pubblicistica (ALVISI,
Giustizia sportiva ed arbitrato, a cura di VACCÀ, Milano, 2006, Il sistema della giustizia sportiva, 26, che « ne deriva la loro normale idoneità ad incidere quantomeno su posizioni soggettive di interesse legittimo »); b) la giuridicità della normativa tecnico-disciplinare (cfr.
GOISIS, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, 86 ss.);
c) l’astratta idoneità delle questioni tecniche sportive e disciplinari ad involgere situazioni
soggettive di diritto soggettivo ed interesse legittimo, con particolare riferimento, quanto alle
prime, alle implicazioni di carattere economico scaturenti dall’osservanza-applicazione di
una regola tecnica o dall’erogazione di una sanzione disciplinare; d) l’interpretazione della
disposizione di cui all’art. 2, comma 1 Legge n. 280/2003 come « previsione della pregiudiziale sportiva anche con riferimento alla materia tecnica e disciplinare, ogniqualvolta la
stessa debba intendersi attratta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo impinguendo in situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statuale » (sic, AL-
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ver far preferire la tesi favorevole alla configurabilità della riserva assoluta
e ciò, soprattutto, tenendo nel dovuto conto il dato letterale. Il testo della
citata norma appare sufficientemente chiaro e tale da non lasciare dubbi sul
fatto che il Legislatore abbia voluto considerare le questioni tecnico-disciplinari come ontologicamente inidonee a coinvolgere situazioni giuridiche
soggettive, qualificabili come diritti soggettivi o interessi legittimi (9) o,
quanto meno, a ritenere che diritti soggettivi ed interessi legittimi eventualmente configurabili in relazione all’« osservanza e l’applicazione delle
norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo
nazionale » ed ai « comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive » siano
di importanza cosı̀ tenue da poter essere trascurati senza effetti pregiudizievoli per l’ordinamento della Repubblica. Ciò non vuol dire negare che le
decisioni degli organi sportivi in materia tecnico-disciplinare abbiano o
possano avere conseguenze di tipo economico (ed involgere cosı̀ diritti
soggettivi patrimoniali) oppure creare in capo ai destinatari dei provvedimenti tecnici o disciplinari legittime aspettative a che il potere delle Federazioni e del C.O.N.I. venga esercitato correttamente (situazione di interesse legittimo, ipotizzabile, tra l’altro, solo laddove il potere di fatto esercitato possa ricollegarsi ad un funzione pubblica — ipotesi marginali per
quanto riguarda le Federazioni) (10). Vuol dire, al contrario, ritenere del
VISI, « Giustizia sportiva ed arbitrato », a cura di VACCÀ, Milano, 2006, Il sistema della giustizia sportiva, 27, la quale riprende la tesi esposta da COLAGRANDE, Disposizioni urgenti in
materia di giustizia sportiva, in Nuove leggi. civ. comm., 2004, n. 4, 717).
In giurisprudenza, in senso favorevole si veda Cass., Sez. un., ord. 1o ottobre 2003, n.
14666, secondo cui « i provvedimenti delle federazioni sportive che hanno per oggetto lo
svolgimento di un campionato sportivo [...] esauriscono la loro funzione all’interno della
sfera di ciascuna federazione » cosicché una deliberazione federale in tale materia esaurisce
« la sua portata nell’ambito interno della Federazione ». In senso contrario, si consideri TAR
Lazio, sent. 1o aprile 2004, n. 2987, per il quale « il rapporto associativo (e, quindi, la sua
cessazione), in sé considerato, è certo rilevante per l’ordinamento sportivo, ma impinge altresı̀ su posizioni regolate dall’ordinamento generale, onde la relativa tutela spetta a questo
Giudice [n.d.r.: il Giudice Amministrativo], nella propria competenza esclusiva »; in modo
analogo, Cons. Stato, ord. 23 settembre 2003, n. 3841.
(9) Se esistono situazioni irrilevanti per lo Stato, questo non implica la « agiuridicità » del fenomeno sportivo complessivamente considerato. In tema, cfr.: COCCIA, SILVESTRI,
FLORENZA, MUSUMARRA e SELLI, Diritto dello sport, Firenze, 2004, 123; VALORI, Il diritto nello
sport, principi, soggetti, organizzazione, Torino, 2005, 124; VALORI, Il diritto nello sport,
principi, soggetti, organizzazione, Padova, 2002, 460 e 485; COLANTUONI e VACALDA, La Giustizia sportiva e l’arbitrato sportivo, in Arbitrato, profili sostanziali, coordinato da G. Alpa,
Torino, 1999, 1113 ss. e 1126; POLI, Ulteriori casi di giustizia esclusiva, in Il riparto di giurisdizione, in Trattato di giustizia amministrativa, a cura di CARINGELLA e GAROFOLI, Milano,
2005, 1117; FRASCAROLI, voce Sport (dir. Pubbl. e priv.), in Enc. dir., vol. XLIII, Milano,
1990, 513 ss. e 530. In senso assolutamente contrario, si veda: GOISIS, La giustizia sportiva
tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, 89, nota 108).
(10) Per quanto attiene allo specifico tema della riconducibilità della funzione disci-
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tutto lecitamente che simili posizioni siano da considerarsi come mere conseguenze di situazioni giuridiche rilevanti solo per il mondo dello Sport,
oppure come posizioni che seppur giuridicamente rilevanti per entrambi gli
ordinamenti, tuttavia appaiano come secondarie e trascurabili per quello
generale a fronte della preminente importanza che la materia tecnico-disciplinare ha per il fenomeno sportivo; posizioni comunque tutelabili, al massimo e qualora dovessero verificarsi ipotesi di pregiudizi economicamente
valutabili, attraverso il ricorso agli organi giurisdizionali statali solo per ottenere un giusto risarcimento e non certo per una pronuncia di accertamento sulla situazione sostanziale oggetto di disputa.
A tale conclusione la Consulta è pervenuta aderendo al più recente
orientamento del Consiglio di Stato (corretto, per chi scrive) (11), invocato,
peraltro, anche dal rimettente TAR Lazio, ed atteso che la giustizia sportiva, al contrario dei giudici statali, non ha competenza a pronunciarsi su
eventuali richieste risarcitorie, neppure se afferenti questioni tecnico-disciplinari: in tal modo è legittimo giungere alla conclusione secondo cui « tali
norme [n.d.r.: artt. 1 e 2 del D.L. n. 220/2003] debbono essere interpretate,
in un’ottica costituzionalmente orientata, nel senso che laddove il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal C.O.N.I. abbia incidenza
anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, la domanda volta ad ottenere non la caducazione dell’atto, ma
il conseguente risarcimento del danno, debba essere proposta innanzi al
giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, non operando
alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere ». La stessa pronuncia
aggiunge, poi, che « il Giudice amministrativo può, quindi, conoscere, nonostante la riserva a favore della “giustizia sportiva”, delle sanzioni disciplinare, esercitata dalle Federazioni e dalle Discipline sportive, al novero delle pubbliche
funzioni o delle attività di natura privatistica, pur in presenza di un contrasto dottrinario sul
punto, si concorda con la posizione di chi ritiene non necessariamente inquadrabile la funzione disciplinare in senso pubblicistico; ciò, in ragione dell’autonomia negoziale riconosciuta dall’ordinamento ai soggetti privati, che consente, tra l’altro, a questi ultimi di stabilire, applicare ed assoggettarsi a sanzioni di origine prettamente privatistica. In tal senso si
vedano: LUISO, Le « pene private » nel diritto sportivo, in Le pene private, a cura di BUSNELLI
e SCALFI, Milano, 1985, 171 ss., il quale equipara le sanzioni disciplinari a pene private alla
stregua delle sanzioni previste dalle associazioni di diritto privato; DE SILVESTRI, Le qualificazioni giuridiche dello sport e nello sport, in Riv. dir. sport., 1992, 298; MODUGNO, Giustizia e sport: problemi generali, in Riv. dir. sport., 1993, 339. Ad analoga conclusione, a fortiori, sembra doversi giungere per quanto riguarda le decisioni federali prese in ambito tecnico-sportivo.
In senso opposto alla qualificazione privatistica della funzione disciplinare, cosı̀ come
di tutte le funzioni delle Federazioni, si consideri, in particolar modo: GOISIS, La giustizia
sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, 103 ss.; ALVISI, Giustizia
sportiva ed arbitrato, a cura di VACCÀ, Milano, 2006, Il sistema della giustizia sportiva, 36.
(11) Cfr. Cons. Stato, sent. n. 5782/2008, in www.giustizia-amministrativa.it.
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plinari inflitte a società, associazioni ed atleti, in via incidentale e indiretta
[n.d.r.: si badi bene, solo incidentalmente ed indirettamente, poiché la vicenda sostanziale è di competenza esclusiva dei giudici domestici sportivi],
al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione ». Ne consegue per la Consulta, per l’Alta Corte di Giustizia Sportiva ed in fine per il Collegio arbitrale, il cui lodo in queste pagine si esamina, che qualora la situazione soggettiva abbia consistenza tale
da assumere nell’ordinamento statale la configurazione di diritto soggettivo
o di interesse legittimo, in base al ritenuto « diritto vivente » del giudice
amministrativo potrà essere riconosciuta la sola tutela risarcitoria, da richiedersi necessariamente ed esclusivamente presso gli organi giudiziali dello
Stato. In estrema sintesi, agli occhi dei giudici costituzionali e, da ultimi, a
quelli degli arbitri investiti della questione in commento, il « diritto vivente » ha correttamente creduto che il Legislatore abbia operato un non irragionevole bilanciamento che lo abbia indotto, per i motivi già evidenziati,
ad escludere la possibilità dell’intervento giurisdizionale maggiormente incidente sull’autonomia dell’ordinamento sportivo, garantendo dunque l’esistenza di una riserva assoluta sul piano sostanziale.
Vi è da aggiungere, inoltre, che, almeno a parere di chi scrive, in ciò
confortato dall’appena citata pronuncia giurisprudenziale, ritenere stabilita
l’esistenza di una riserva assoluta nei termini sopra esposti non contrasti
con alcun parametro costituzionale, men che meno con quello di cui all’art.
24 Cost.. Posto che nulla sembra escludere un ricorso agli organi giudiziali
dello Stato per far valere le posizioni giuridiche de quibus, anche nella veste di meri effetti di provvedimenti tecnici o sanzionatori, qualora volesse
ammettersi la possibilità che le questioni tecnico-disciplinari sconfinino nel
campo dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi, nessuna violazione al
diritto di difesa discenderebbe dal considerare questi ultimi non sostanzialmente azionabili (12) dinanzi al giudice statale, atteso che dalla loro non
azionabilità dinanzi ai Tribunali della Repubblica non potrebbe in alcun
modo ricavarsi un pericoloso vuoto di tutela dei singoli, quand’anche essi
fossero affiliati, associati o tesserati di Federazioni sportive. L’esistenza di
una riserva assoluta di giurisdizione si tradurrebbe, in simili eventuali casi,
in una delega dello Stato alla giustizia del microcosmo dello Sport a che
questa risolva tutte quelle questioni che, a prescindere dalla qualificazione
della singola situazione giuridica soggettiva emergente, appartengano alla
materia (propriamente sportiva per volontà di legge) della tecnica e della
disciplina. Ma vi è di più: laddove volesse negarsi l’esistenza di una riserva
assoluta in relazione alle cosiddette « materie riservate », si incorrerebbe
nel rischio di operare una lettura abrogans dell’art. 2, comma 1, lett. a) e
(12) Vale a dire non direttamente azionabili davanti all’A.G.O. o all’A.G.A. in relazione al merito della vicenda.
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b), svuotando di significato la scelta operata dal Legislatore e finendo inevitabilmente per mettere in discussione l’autonomia stessa del fenomeno
sportivo, con conseguente contraddizione della ratio del duplice intervento
normativo (l’autonomia dell’ordinamento dello Sport, appunto) e violazione delle norme costituzionali che la supportano (artt. 2 e 18 Cost.) (13).
Occorre, poi, trarre da un’altra non secondaria circostanza un ulteriore
argomento a sostegno della riserva assoluta: dal novero delle materie con
rilevanza prettamente interna la legge di conversione ha escluso altre due
categorie originariamente previste nel D.L. n. 220/2003, alle lettere c) e d),
ovvero « l’ammissione e l’affıliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati », nonché « l’organizzazione e lo
svolgimento delle attività agonistiche non programmate ed a programma
illimitato e l’ammissione alle stesse delle squadre ed atleti ». Parte prevalente della dottrina ha dedotto da questa modifica del testo normativo una
ratio legis orientata nel senso di restringere l’ambito di autonomia dell’ordinamento dello Sport, in favore di un più presente controllo dello Stato
nelle questioni afferenti la comunità sportiva, e ciò nonostante l’enunciazione del principio di cui all’art. 1, comma 1 sembri andare nella direzione
opposta. Sembrerebbe, tuttavia, più corretto ritenere che la causa prevalente
(se non unica) dell’esclusione, operata dal Legislatore in sede di conversione, sia stata quella di considerare le due categorie soppresse come materie sicuramente produttive di effetti (certamente rilevanti) nell’ordinamento generale e per ciò solo sottratte all’ambito di autonomia dell’ordinamento particolare; in quanto involgenti, per loro natura, situazioni giuridiche soggettive qualificabili come diritti soggettivi o interessi legittimi, esse
sarebbero niente affatto indifferenti agli occhi dello Stato (in tali termini si
è pure espressa copiosa giurisprudenza amministrativa di primo e di secondo grado, da ultimo confermata tra le righe dalla pronuncia della Corte
cost. n. 49/2011) (14). Solo in tale ottica, infatti, si potrebbe operare una
lettura idonea a scongiurare una possibile antinomia e salvifica della coerenza sistematica del testo normativo, individuando (seppur nei tradizionali
termini generali ed astratti della legge), quali settori di rilevanza esclusiva(13) Quella proposta, pertanto, appare essere, a chi scrive, la giusta lettura da dare
alla norma, in quanto interpretazione secundum constitutionem. Come è noto, principio ricorrente nella giurisprudenza del giudice delle leggi (ex plurimis: Corte cost., sent. n. 356/1996)
è che dinanzi ad un dubbio interpretativo di una norma o ad un’aporia del sistema, prima di
dubitare della legittimità costituzionale della norma stessa (situazione che, si ritiene, dovrebbe verificarsi ove si operasse una lettura contrapposta a quella sopra offerta), occorre verificare la possibilità di darne un’interpretazione salvifica alla luce delle disposizioni della
Carta costituzionale.
(14) Cfr., in giurisprudenza: Cons. Stato, sent. n. 5782/2008, in www.giustizia-amministrativa.it. Si vedano anche: TAR Lazio, Sez. III-ter, sent. n. 2472/2008; TAR Lazio, Sez.
III-ter, sent. n. 7331/2006; TAR Lazio, Sez. III-ter, sent. n. 2801/2005; TAR Lazio, Sez. IIIter, sent. n. 13616/2005, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.
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mente interna, le sole ipotesi di questioni cosiddette « tecnico-sportive » e
« disciplinari » (lett. a) e b) art. 2 D.L. n. 220/2003).
In estrema sintesi, l’assenza di potestas decidendi in capo al T.N.A.S.
(rectius: in capo agli organi lato sensu giudiziali del C.O.N.I.) è diretta
conseguenza del fatto che il riconoscimento e la quantificazione del diritto
al risarcimento dei danni provocati da un provvedimento federale non costituiscono questione sportiva riconducibile all’ambito descritto dall’art. 2
D.L. n. 220/2003 e non risultano essere, pertanto, posizioni giuridiche indifferenti per l’ordinamento giuridico statale.
3. Competenza alternativa e non concorrente tra A.C.G.S. e
T.N.A.S.: il discrimen è l’idoneità o meno della posizione giuridica dedotta
nel giudizio arbitrale ad essere oggetto di disposizione ex art. 1966 c.c.
Lo Statuto C.O.N.I. (15) del 2008, poi confermato quanto alle norme
in esame dalla più recente versione del 2011, ha prodotto un effetto innovativo di particolare interesse e di evidente rilevanza sul sistema di tutela
proprio dell’ordinamento sportivo; effetto innovativo rappresentato dalla
creazione di due nuovi organi, l’Alta Corte di Giustizia Sportiva (art. 12bis) ed il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport (art. 12-ter) (16), il
(15) Il vigente Statuto C.O.N.I. è stato adottato dal Consiglio Nazionale del Comitato Olimpico Nazionale Italiano in data 30 settembre 2011, ma gli artt. 12-bis e 12-ter risultavano avere identica formulazione già nella versione adottata dal Consiglio Nazionale
C.O.N.I. in data 26 febbraio 2008. Quest’ultima versione, al contrario, ha innovato profondamente l’asseto degli organi giudiziali intesi in senso lato rispetto alla versione adottata in
data 23 marzo 2004.
(16) FROSINI, L’arbitrato sportivo: teoria e prassi, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2010. Appare opportuno riportare in nota il testo integrale delle disposizioni statutarie C.O.N.I. come da ultimo riformulate: a) recita l’art. 12-bis: « 1. L’Alta Corte di giustizia sportiva costituisce l’ultimo grado della giustizia sportiva per le controversie sportive di
cui al presente articolo, aventi ad oggetto diritti indisponibili o per le quali le parti non abbiano pattuito la competenza arbitrale. 2. Sono ammesse a giudizio soltanto le controversie
valutate dall’Alta Corte di notevole rilevanza per l’ordinamento sportivo nazionale, in ragione delle questioni di fatto e diritto coinvolte. Il principio di diritto posto a base della decisione dell’Alta Corte che definisce la controversia deve essere tenuto in massimo conto da
tutti gli organi di giustizia sportiva. 3. L’Alta Corte provvede altresı̀ all’emissione di pareri
non vincolanti su richiesta presentata dal Coni o da una Federazione sportiva, tramite il
Coni. 4. Al fine di salvaguardare l’indipendenza e l’autonomia del Tribunale di cui all’art.
12-ter e dei diritti delle parti, l’Alta Corte emana il Codice per la risoluzione delle controversie sportive e adotta il Regolamento disciplinare degli arbitri. 5. L’Alta Corte è composta da cinque giuristi di chiara fama, nominati, con una maggioranza qualificata non inferiore ai tre quarti dei componenti del Consiglio Nazionale del CONI con diritto di voto, su
proposta della Giunta Nazionale del CONI, tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni
superiori ordinaria e amministrative, i professori universitari di prima fascia, anche a riposo, e gli avvocati dello Stato, con almeno quindici anni di anzianità. I componenti dell’Alta Corte eleggono al loro interno il Presidente, nonché il componente che svolgerà anche le funzioni di Presidente del Tribunale. I membri dell’Alta Corte sono nominati con un
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secondo dei quali è destinato a svolgere, seppur con differenze fondamentali dal punto di vista normativo, le funzioni precedentemente assolte dalla
Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport (17).
mandato di sei anni, rinnovabile una sola volta. All’atto della nomina, i componenti dell’Alta
Corte sottoscrivono una dichiarazione con cui si impegnano ad esercitare il mandato con
obiettività e indipendenza, senza conflitti di interesse e con l’obbligo della riservatezza. 6.
Per lo svolgimento delle sue funzioni, l’Alta Corte può avvalersi di uffıci e di personale messi
a disposizione dal CONI »; b) recita l’art. 12-ter: « 1. Il Tribunale Nazionale di Arbitrato per
lo Sport, ove previsto dagli Statuti o dai regolamenti delle Federazioni sportive nazionali, in
conformità agli accordi degli associati, ha competenza arbitrale sulle controversie che contrappongono una Federazione sportiva nazionale a soggetti affıliati, tesserati o licenziati, a
condizione che siano stati previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione o comunque si tratti di decisioni non soggette a impugnazione nell’ambito della giustizia federale,
con esclusione delle controversie che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni inferiori a
centoventi giorni, a 10.000 euro di multa o ammenda, e delle controversie in materia di doping. 2. Al Tribunale può, inoltre, essere devoluta mediante clausola compromissoria o altro
espresso accordo delle parti qualsiasi controversia in materia sportiva, anche tra soggetti
non affıliati, tesserati o licenziati. 3. Nella prima udienza arbitrale è esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione. Avverso il lodo, ove la controversia sia rilevante per l’ordinamento giuridico dello Stato, è sempre ammesso, anche in deroga alle clausole di giustizia
eventualmente contenute negli Statuti federali, il ricorso per nullità ai sensi dell’art. 828 del
codice di procedura civile. 4. Il Tribunale provvede alla soluzione delle controversie sportive
attraverso lodi arbitrali emessi da un arbitro unico o da un collegio arbitrale di tre membri.
5. Gli arbitri unici o membri del Collegio arbitrale sono scelti in una apposita lista di
esperti, composta da un numero compreso tra trenta e cinquanta membri, scelti dall’Alta
Corte di giustizia sportiva, anche sulla base di candidature proposte dagli interessati, tra i
magistrati anche a riposo delle giurisdizioni ordinaria e amministrative, i professori universitari di ruolo o a riposo e i ricercatori universitari di ruolo, gli avvocati dello Stato e gli
avvocati del libero foro patrocinanti avanti le supreme corti, e, in numero non superiore a
tre, alte personalità del mondo sportivo, che abbiano specifiche e comprovate competenze ed
esperienze nel campo del diritto sportivo, come risultanti da curriculum pubblicato nel sito
internet del Tribunale. I componenti del Tribunale sono nominati con un mandato rinnovabile di quattro anni. All’atto della nomina, i componenti del Tribunale sottoscrivono una dichiarazione con cui si impegnano ad esercitare il mandato con obiettività e indipendenza,
senza conflitti di interesse e con l’obbligo della riservatezza, in conformità a quanto previsto dal Codice e dal Regolamento disciplinare di cui al comma 4 dell’art. 12-bis. 6. Il Tribunale provvede alla costituzione dei collegi arbitrali e assicura il corretto e celere svolgimento delle procedure arbitrali, mettendo a disposizione delle parti i necessari servizi e infrastrutture. Il Segretario generale del Tribunale è nominato dall’Alta Corte di giustizia
sportiva nei cui confronti ha l’obbligo di rendiconto finanziario. 7. L’Alta Corte di giustizia
sportiva è competente a decidere, con ordinanza, sulle istanze di ricusazione degli arbitri e
ad esercitare, ogni altro compito idoneo a garantire i diritti delle parti, a salvaguardare l’indipendenza degli arbitri, nonché a facilitare la soluzione delle controversie sportive anche
attraverso l’esemplificazione dei tipi di controversie che possono essere devolute alla cognizione arbitrale ».
(17) VIGORITI, La giustizia sportiva nel sistema CONI, in questa Rivista, n. 3/2009,
408; FROSINI, L’arbitrato sportivo: teoria e prassi, in www.associazionedeicostituzionalisti.it,
2010, il quale precisa che la modifica dello Statuto C.O.N.I. (e, quindi, la creazione del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport) è avvenuta « in armonia con quanto stabilito
dall’ordinamento sportivo internazionale [n.d.r.: in analogia a quanto previsto per il Tribu-
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È necessario, pertanto, sgomberare il campo da un primo possibile
equivoco: il T.N.A.S., a dispetto del nome, non è affatto un organo di giustizia sportiva, ciò almeno nel senso che l’attività che esso esercita non è
quella dei tribunali che presiedono all’applicazione delle norme dell’ordinamento dello Sport in sede giudiziale, poiché solo l’Alta Corte è espressamente qualificata come grado della giustizia domestica e, più precisamente, come l’ultimo grado della giustizia sportiva (18). In realtà, poi, il
T.N.A.S. non è neppure un organo arbitrale in senso stretto (19), poiché è
nale Arbitrale dello Sport di Losanna] e dagli orientamenti espressi in proposito dalla giurisprudenza amministrativa ». Al di là delle stringenti istanze dell’ordinamento sportivo internazionale, questa volta il casus belli è stato il cosiddetto « Caso Lorbek » (dal nome del giocatore di basket di serie A1 italiana tesserato della Pallacanestro Treviso S.p.a.), in cui quest’ultima società era contrapposta alla F.I.P. nel corso di un arbitrato instaurato dinanzi alla
Camera di Conciliazione ed Arbitrato dello Sport.
(18) MARZOCCO, Sulla natura e sul regime di impugnazione del lodo reso negli arbitrati presso il Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport, in www.judicium.it, 2010, il
quale, pur ritenendo che la possibile valorizzazione della dichiarata alternatività del T.N.A.S.
rispetto all’A.C.G.S. possa consentire di giungere alla conclusione che il primo organo, almeno nelle materie concorrenti, possa manifestarsi quale ultimo grado della giustizia domestica (esofederale), conclude che l’unico organo di giustizia sportiva, tra i due ora in esame,
è solo l’Alta Corte, « come dimostrano i vari momenti in cui emerge la sua posizione di primazia ». In senso parzialmente contrario, si veda: LUISO, Il Tribunale Nazionale di Arbitrato
per lo Sport, in www.judicium.it, 2010, per il quale la pronuncia T.N.A.S. costituisce ultimo
grado di giudizio interno alla giustizia sportiva, in quanto alternativa a quella dell’A.C.G.S.;
ben al di là di quest’ultima considerazione è andato il lodo arbitrale C.O.N.I. 3 settembre
2009, secondo cui, in aperto contrasto con il dato letterale, il T.N.A.S. sarebbe « organo di
giustizia superfederale di 3o grado ». Completamente differente l’impostazione espressa nel
successivo lodo arbitrale C.O.N.I. 15 dicembre 2009: infatti, l’esistenza oggi di due distinte
istituzioni, l’Alta Corte di Giustizia Sportiva ed il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo
Sport, l’espressa qualificazione soltanto dell’Alta Corte come « l’ultimo grado della giustizia
sportiva » (art. 1, comma 2, Codice A.C.G.S.), l’affermazione che il T.N.A.S. « amministra
gli arbitrati » (art. 1, comma 1, Codice T.N.A.S.), lasciano supporre che l’alternatività della
« competenza arbitrale » del Tribunale rispetto a quella dell’Alta Corte (art. 3, comma 3, Codice T.N.A.S.) indichi, nei limiti in cui le loro competenze coincidano, l’alternatività delle
due strade: quella arbitrale presso il T.N.A.S. e quella della giustizia sportiva presso l’Alta
Corte. Si tratta, quindi, di due organi entrambi collocati nel sistema della giustizia sportiva
ma alternativi nel loro ruolo di vertice. Si tratta, in sostanza, di un’alternatività delle due
forme di tutela dei diritti, l’una o l’altra, quella della giustizia sportiva o quella arbitrale, secondo l’alternativa indicata nella rubrica dell’art. 12 dello Statuto C.O.N.I., che significativamente parla di sistema di « giustizia » e di « arbitrato » per lo sport. Le parti possono scegliere, nei limiti della competenza arbitrale, di avvalersi dell’arbitrato amministrato dal
T.N.A.S.; se non ricorre una tale scelta, la controversia spetta all’Alta Corte, quale organo di
giustizia sportiva (esofederale). In tal modo, va riconosciuta in capo all’arbitrato amministrato dal T.N.A.S. l’idoneità funzionale a essere un vero arbitrato secondo l’ordinamento
statale, in grado di derogare alla giurisdizione statale sulle controversie sportive ex art. 3,
comma 1, D.L. n. 220/2003; il cui lodo è sindacabile, per fini di nullità, ai sensi dell’art. 828
c.p.c.. In tal senso si veda più puntualmente: FROSINI, L’arbitrato sportivo: teoria e prassi, in
www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2010.
(19) LUISO, Il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, in www.judicium.it,
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solo indirettamente coinvolto negli arbitrati veri e propri, limitandosi ad organizzare questi ultimi, senza mai pervenire in prima persona alla risoluzione delle controversie deferite agli arbitri, unici veri soggetti cui è riconducibile il merito della soluzione del caso concreto (20); i compiti del
T.N.A.S., infatti, appaiono quelli tipici delle istituzioni che amministrano
arbitrati. In specie, basti riflettere che è compito del Presidente del Tribunale arbitrale la nomina degli arbitri nei casi previsti dagli artt. 7, comma
1 (« Se la controversia proposta comporta, per il suo carattere inscindibile,
l’instaurazione di un litisconsorzio necessario e tutti i soggetti coinvolti risultano sottoposti alla disciplina arbitrale, spetta al Presidente del Tribunale la composizione del collegio e l’individuazione del suo presidente ») e
17 (rubricato proprio « Nomina degli arbitri da parte del Presidente del
Tribunale in caso di omissione delle parti ») del relativo regolamento (la
ricusazione, al contrario, spetta all’Alta Corte ex art. 12-ter, comma 7, Statuto C.O.N.I. ed art. 18 del Regolamento T.N.A.S.). Ulteriore caratteristica
che esprime il carattere amministrato della procedura arbitrale del T.N.A.S.
è la modalità di scelta dei giudici privati: questi ultimi (art. 2, comma 2
Regolamento T.N.A.S.) debbono necessariamente essere individuati (sia
dalle parti della disputa che dal Tribunale, allorquando tale organismo proceda eccezionalmente alla nomina degli arbitri) in un elenco composto da
un numero di membri compreso fra trenta e cinquanta, tutti nominati dall’Alta Corte.
Quanto al profilo della competenza, che ai fini del presente commento
interessa maggiormente, al Tribunale sono devolute le dispute proprie del
fenomeno sportivo (non solo disciplinari!), che non coinvolgano posizioni
giuridiche indisponibili, indipendentemente dal fatto che le controversie
vertano in materie rilevanti anche per l’ordinamento statale (21): unico limite, oltre l’indisponibilità della situazione giuridica soggettiva azionata (22), è dato dalla modesta entità delle questioni disciplinari, che, se concernenti sanzioni inferiori ad € 10.000 o sospensioni inferiori a 120 giorni
(ex art. 3, comma 1, Codice T.N.A.S.) (23), sono sottratte alla competenza
2010, in cui si legge: « Ed a questo proposito, è bene subito chiarire che il TNAS non decide
controversie, ma amministra arbitrati »; FROSINI, L’arbitrato sportivo: teoria e prassi, in
www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2010; VIGORITI, La giustizia sportiva nel sistema
CONI, in questa Rivista, n. 3/2009, 409.
(20) Sussistono evidenti parallelismi con il previgente Statuto C.O.N.I. ed il Regolamento C.C.A.S.
(21) FROSINI, L’arbitrato sportivo: teoria e prassi, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2010; LUISO, Il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, in www.judicium.it,
2010.
(22) Nel senso di escludere ancora una volta gli interessi legittimi, sul criticabile
convincimento che si tratti sempre e comunque di posizioni giuridiche indisponibili, sembra
essersi espresso il Lodo T.N.A.S. 9 ottobre 2009.
(23) Cfr. sul punto il Lodo T.N.A.S. 18 giugno 2009, nonché, in particolar modo, i
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cognitiva e decisionale del nuovo organo di amministrazione delle procedure arbitrali esofederali (24), cosı̀ come pure le controversie in materia di
doping che vengono esclusivamente attribuite ratione materiae al Tribunale
Nazionale Antidoping (ex art. 13 Statuto C.O.N.I.). Perché si possa ricorrere al Tribunale arbitrale, però, è necessario che la facoltà di adire tale organo sia esplicitamente prevista dagli Statuti e dai Regolamenti delle varie
Federazioni e Discipline (25).
Chiarito pertanto che l’elemento distintivo delle potestas decidendi
dei due organi C.O.N.I. è espressamente stabilito dalle norme esofederali ex
ante e senza possibilità di equivoco, è evidente come il lodo in esame non
faccia altro che confermare il discrimen tra competenza dell’Alta Corte e
del Tribunale Arbitrale, individuandolo rispettivamente nella indisponibilità
o meno della situazione giuridica coinvolta nella querelle sportiva; indisponibilità che dovrà essere valutata necessariamente ai sensi degli artt. 1966
ss. c.c., in ciò accogliendosi le argomentazioni proposte dalla difesa della
Juventus Football Club S.p.a.. Per disponibilità di una posizione giuridica
ai fini della competenza del Tribunale Arbitrale (ma appare logico, più in
generale, ai fini di qualsiasi procedura arbitrale ex artt. 806 ss. c.p.c.), deve
intendersi pertanto la idoneità della situazione giuridica a divenire oggetto
di atti dispositivi da parte del relativo titolare ossia a divenire oggetto di
transazione, trasferimento, rinuncia, alienazione, ecc.; idoneità che verrà
meno, quindi, tutte quelle volte in cui l’attribuzione della titolarità della situazione giuridica effettuata dall’ordinamento in favore del singolo benefi-
due Lodi T.N.A.S. 29 settembre 2009 (Soloni vs. F.I.G.C. e Bonometti vs. F.I.G.C.), in
www.coni.it, in cui si legge: « Rileva sul punto l’Arbitro Unico che la deferibilità di controversie ad arbitrato presso il TNAS è stata effettivamente limitata in ragione del tipo e della
misura della sanzione inflitta, intorno alla quale è insorta controversia. Come è stato osservato negli atti di causa, l’art. 3 comma 1 del Codice TNAS (attuando quanto previsto dall’art. 12-ter comma 1 dello Statuto CONI) introduce, infatti, alcune deroghe alla competenza
dei collegi arbitrali incaricati di risolvere controversie in base ad esso, prevedendo che “non
possono conseguire definizione in sede arbitrale le controversie aventi ad oggetto diritti indisponibili e quelle concernenti sanzioni pecuniarie di importo inferiore a diecimila euro o
sospensioni di durata inferiore a centoventi giorni continuativi” » ed ancora « Alla luce di
ciò pare dunque all’Arbitro Unico che, ancorché congiuntamente irrogate, l’ammenda e
l’inibizione costituiscano due distinte sanzioni, che gli organi disciplinari della FIGC hanno
inteso di dover infliggere al sig. Bonometti considerando natura e gravità dei fatti a lui
ascritti. Con la conseguenza, come già rilevato nel sistema della Camera di Conciliazione e
Arbitrato per lo Sport nel lodo dell’8 novembre 2006, Carraro c. FIGC, che l’ammissibilità
della domanda dovrà essere valutata con riferimento a ciascuna di esse ».
(24) LUISO, Il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, in www.judicium.it,
2010; MARZOCCO, Sulla natura e sul regime di impugnazione del lodo reso negli arbitrati
presso il Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport, in www.judicium.it, 2010.
(25) LUISO, Il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, in www.judicium.it,
2010; FROSINI, L’arbitrato sportivo: teoria e prassi, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2010.
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ciario risponda a ragioni sovraindividuali dirette a soddisfare esigenze dell’intera collettività.
Ma vi è di più, poiché, sulla scorta di A.C.G.S. n. 22/2011, cui il Collegio arbitrale aderisce per dovere e per convinzione, l’attributo della disponibilità deve essere riferito non solo al diritto soggettivo, ma anche all’interesse legittimo, vale dire a tutte quelle situazioni giuridiche soggettive
che nell’ordinamento generale italiano trovano diritto di cittadinanza. A dispetto dell’espressione letterale impiegata dagli artt. 12-bis e 12-ter Statuto
C.O.N.I., pertanto, la disponibilità dovrà essere valutata in relazione a ciascuna delle due categorie dogmatiche di posizioni giuridiche rilevanti per
l’ordinamento della Repubblica, senza aprioristiche esclusioni basate sulla
natura delle stesse o delle questioni che le involgono.
Quanto al merito della qualificazione operata nel caso di specie dagli
arbitri, questi, nonostante la evidente riconducibilità della vertenza de qua
nell’ambito della giustizia sportiva, hanno ritenuto, sotto il profilo del petitum formale e del petitum sostanziale, la propria incompetenza argomentando che « nella prospettazione della F.I.G.C., l’attribuzione e la revoca
(quale contrarius actus) del titolo di campione d’Italia non sono oggetto di
un potere amministrativo, ma conseguono esclusivamente alla applicazione
dei regolamenti e ai risultati del campo e l’eventuale revoca può solo scaturire da una sanzione disciplinare, che non competerebbe al Consiglio
Federale ma agli organi di giustizia ». In tali termini nessuna disponibilità
avrebbe quindi la Federazione sportiva convenuta in arbitrato rispetto al
bene della vita su cui si discute, cioè il titolo di campione d’Italia, se non
in relazione all’esercizio di un potere sanzionatorio che esula dai poteri del
proprio Consiglio Federale. A ben vedere, però, sebbene il principio di diritto affermato ed applicato dal Collegio arbitrale risulti in sé e per sé convincente, l’attività di accertamento della disponibilità della posizione giuridica involta nella cosiddetta « vicenda Juventus », quanto meno sotto il
profilo del petitum formale, appare meritevole di censura in quanto evidentemente acritica, essendosi limitati gli arbitri, per loro stessa ammissione,
ad una sorta di verifica di non manifesta fondatezza degli assunti della
F.I.G.C. e non avendo appurato direttamente la capacità della Federazione
di disporre del diritto lato sensu vantato (rectius: del bene della vita reclamato) dalla parte istante.
Tornando al più generico ed astratto principio di diritto esposto dapprima da Decisione A.C.G.S. n. 22/2011 e ribadito dal lodo in commento,
si deve concludere che il preliminare vaglio di competenza operato dall’Alta Corte o dal Tribunale Arbitrale, a seconda di quale dei due organi sia
stato adito per primo, non dovrà mai avere ad oggetto la qualificazione
delle posizioni giuridiche coinvolte nelle dispute ad essi deferite (a meno
che ciò non sia necessario ai fini della risoluzione nel merito della controversia), bensı̀ la disponibilità delle stesse, vale dire la possibilità da parte
dei soggetti titolari del diritto o dell’interesse legittimo a poterne fare og147
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getto di transazione e rinuncia. Appare cosı̀ evidente l’infondatezza in parte
qua delle argomentazioni proposte dalla F.I.G.C. con riguardo al presunto
deficit di competenza del T.N.A.S. per una soltanto asserita ontologica indisponibilità degli interessi legittimi.
I motivi dell’ammissione della astratta idoneità di queste ultime situazioni giuridiche soggettive a divenire oggetto di disposizione ai sensi degli
artt. 1966 ss. c.c. e, quindi, pienamente arbitrabili ex artt. 806 ss. c.p.c., saranno compiutamente ed autonomamente precisati qui di seguito.
4. Riconoscimento della astratta disponibilità e compromettibilità
per arbitri degli interessi legittimi.
Il lodo T.N.A.S. del 15 novembre 2011 si è incidentalmente pronunciato su di una questione (quella della disponibilità degli interessi legittimi)
che risulta sempre più attuale, a maggior ragione dopo l’entrata in vigore
del codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), ed
in relazione alla quale ancora oggi non è stata trovata una soluzione definitiva universalmente condivisa. Appare, dunque, necessario ai fini della
comprensione della esatta portata della esaminata pronuncia del T.N.A.S.,
ricordare cosa si intenda per interesse legittimo e come questa posizione
giuridica sia stata intesa, nell’ottica della disponibilità-compromettibilità,
dalla dottrina e dalla giurisprudenza italiane.
Come universalmente noto, per interesse legittimo si intende quella
particolare posizione giuridica costituzionalmente tutelata ed azionabile in
giudizio (in dottrina suggestivamente qualificata, pure, come « rifrazione di
un fantasma » (26) o « personificazione di un’ombra ») (27), in cui, secondo
la definizione data dalla teoria definita « dell’interesse strumentale alla legalità dell’azione amministrativa » (28), viene a trovarsi un soggetto privato
destinatario diretto o indiretto di un pubblico potere, e consistente nell’aspettativa che tale potere venga esercitato in modo legittimo (29) ovvero
nel rispetto delle norme di volta in volta applicabili al caso concreto, nonché delle prescrizioni legali che reggono l’azione della P.A. (criteri della
economicità, della efficacia e della pubblicità ex art. 1 Legge n. 241/1990,
nonché criteri della imparzialità e del buon andamento ex art. 97 Cost.).
Frutto delle riflessioni della dottrina e della giurisprudenza italiane a far
(26) LEDDA, Agonia e morte ingloriosa dell’interesse legittimo, in Foro amm., 1999, II.
(27) CORDERO, Procedura penale, VIII ed., Milano, 2006.
(28) Teoria il cui massimo rappresentante può rinvenirsi in Virga.
(29) Sussistono, tuttavia, altre teorie definite: a) « dell’interesse occasionalmente
protetto », per cui vi sarebbe coincidenza tra interesse pubblico ed interesse legittimo; b)
« processualista », secondo la quale l’interesse legittimo coinciderebbe con l’interesse a ricorrere (cfr. Guicciardi); c) « normativa », la quale ricostruisce l’interesse legittimo, differenziato e qualificato rispetto a quello di fatto, come elemento costitutivo, insieme all’interesse
pubblico, della norma attributiva del potere (cfr. Nigro).
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data dal 1889 (Legge n. 5992/1889), anno a partire dal quale ha iniziato ad
operare la Quarta Sezione del Consiglio di Stato, si è tuttora soliti distinguerla tra interesse legittimo pretensivo ed interesse legittimo oppositivo, a
seconda che il privato miri, rispettivamente, a conservare (oppositivo) oppure ad ottenere (pretensivo) dalla Pubblica Amministrazione un’utilità o
un bene della vita; parte della dottrina (30) e della giurisprudenza amministrativa hanno elaborato anche la distinzione tra interessi procedimentali
(posizione di chi ha interesse ad intervenire nel procedimento, senza avere
una pregressa situazione sostanziale da far valere) ed interessi sostanziali
(posizione giuridica non meramente confinata all’intervento nel procedimento, ma riguardante immediatamente un’utilità o un bene della vita).
Ciò detto, si ricorda come prima degli interventi del Legislatore nel
2000, nel 2006 (31) e, infine, nel 2010 (32), la questione in argomento fosse
segnata dal principio secondo cui tali posizioni non potevano formare oggetto di patto compromissorio, in quanto atavicamente « indisponibili » ai
sensi dell’art. 806 c.p.c. (vecchia formulazione: « Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra loro insorte tranne quelle [...] che non
possono formare oggetto di transazione »); nella veste di situazioni giuridiche che affioravano solo in caso di esercizio di un pubblico potere e,
quindi, non rientranti nella sfera giuridica esclusiva dei singoli soggetti privati, tradizionalmente se ne escludeva l’arbitrabilità, intesa come corollario
della ritenuta intransigibilità-indisponibilità, desunta dal combinato disposto degli artt. 806 c.p.c. e 1966 c.c.. Su simili presupposti, la quasi universalmente asserita incompromettibilità de qua veniva coerentemente estesa
anche ai diritti soggettivi coinvolti da questioni rientranti nella giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo (33). La prevalente dottrina, in
particolare, individuava dei limiti specifici alla compromettibilità delle controversie pubblicistiche che, senza voler essere eccessivamente pedanti sul
punto, possono cosı̀ schematicamente e genericamente riassumersi: a) di-
(30) GIANNINI, Il rapporto giuridico di imposta, Milano, 1937.
(31) Il riferimento è tanto alla Legge n. 205/2000, che ha, come si vedrà, sensibilmente ridimensionato le teorie più estremiste che volevano la questioni rientranti nella giurisdizione esclusiva del G.A. assolutamente impermeabili alle istanze arbitrali, quanto al
D.Lgs. n. 40/2006, il quale, in generale, ha interamente riformato la disciplina codicistica
dell’arbitrato e, in particolare, ridisegnato il novero delle materie arbitrabili ex art. 806 c.p.c.,
cosı̀ come meglio si spiegherà tra breve.
(32) D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, anche conosciuto come codice del processo amministrativo.
(33) In giurisprudenza si vedano: Cass., 3 dicembre 1991, n. 12966, in questa Rivista, 1992, 447, con nota contraria di Selvaggi; Cass., 10 dicembre 1993, n. 12166, in Foro
it., 1994, I, 2472. Ancor più risalente: Cons. Stato, Sez. IV, 2 febbraio 1938, in Foro it., 1938,
III, 57, con nota di FORTI, ma in senso diametralmente opposto su medesima questione di diritto, Cass., 20 maggio 1936, in Foro it., 1936, I, 997, entrambe le pronunce ricordate in
LUISO, Arbitrato ex art. 6 l. 205/2000 e giurisdizione, in www.judicium.it.
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sponibilità unilaterale (da parte della P.A.) degli interessi legittimi, in
quanto solo la Pubblica Amministrazione avrebbe fatto sorgere le posizioni
in argomento e ne avrebbe stabilito l’entità; b) « doverosità-irrinunciabilità » e « funzionalizzazione al pubblico interesse » dell’esercizio del potere
dell’Amministrazione, nonché intrasferibilità-indelegabilità di quest’ultimo;
c) esistenza di un termine breve e perentorio per il rimedio impugnatorio
dell’atto amministrativo viziato; d) mancanza di una espressa previsione
normativa che attribuisse il potere di annullamento dei provvedimenti della
P.A. in capo agli arbitri; e) necessaria impugnabilità, in caso di pronuncia
arbitrale su posizioni di interesse legittimo, del lodo dinanzi alla Corte
d’Appello, con conseguente ritenuta distrazione dal giudice naturale precostituito per legge, il giudice amministrativo.
Da segnalare anche posizioni intermedie, quali quella del Guicciardini (34), che, pur giungendo ad ammettere la transigibilità delle particolari
situazioni giuridiche de quibus, tuttavia conduceva la propria tesi al medesimo risultato della inarbitrabilità degli interessi legittimi (35), sulla scorta
del convincimento che, mentre la transazione consentiva e consente per sua
stessa natura una sorta di dominio dell’Amministrazione sull’interesse pubblico (vera e propria signoria esercitata in ragione di una insopprimibile
garanzia in favore della collettività), l’arbitrato, essendone rimessa la decisione a « terzi », avrebbe sempre ed incondizionatamente esposto la pubblica Autorità a rischi concreti di compressione, svilimento o riduzione dell’interesse pubblico, contro i quali nulla avrebbe potuto, per averne perso
l’originario controllo al momento dell’inizio della procedura arbitrale (36)
(ciò, ovviamente, in relazione al solo arbitrato rituale).
Ancor prima della modifica del quadro normativo di riferimento, non
mancavano, tuttavia, autorevoli voci contrarie (37), secondo le quali la situazione di supremazia riconosciuta all’ente pubblico all’interno dei rap(34) GUICCIARDINI, Le transazioni degli enti pubblici, Padova, 1936, 88 ss., nonché p.
103, nota 2).
(35) Per i motivi che meglio si esporranno nel seguito della trattazione, pur rispettosamente, non sembra potersi attribuire fondamento, anche dopo la riforma del testo dell’art.
806 c.p.c., ad una scissione tra il concetto di compromettibilità e quello di transigibilità. Pertanto, l’autore ritiene di concludere nel senso che se una questione (rectius: una situazione
giuridica soggettiva) è suscettibile di transazione, allora questa è necessariamente deferibile
ad arbitri; cosı̀, pure: VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, 59 ss.; GOISIS,
La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, 252 ss.
(36) La conclusione cui giunge l’illustre studioso sembra poggiare su ragioni più
pragmatiche, che dogmatiche; prescindendo per il momento dalla fondatezza o meno del rilievo fatto dal Guicciardini, si può sin d’ora affermare che in simili termini appare difficile
individuare uno stringente argomento di logica giuridica che consenta di dividere il binomio
« transigibilità-disponibilità », binomio tuttora esistente e rafforzato dalla nuova formulazione
dell’art. 806 c.p.c. (letto in chiave non estremistica).
(37) Per un accurato riepilogo delle voci dottrinarie, si veda: GOISIS, La giustizia
sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, 233, nota 2).
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porti tra Pubblica Amministrazione e cittadini, non era in alcun modo idonea a giustificare una generalizzata ed apodittica impossibilità di comporre
le controversie mediante il ricorso ad una procedura arbitrale.
Al contrario, la prevalente giurisprudenza amministrativa (ma non
solo) preferiva seguire in gran parte l’orientamento negativo, credendo fondati i sopra riportati limiti e, in alcuni casi, persino mostrando di adagiarsi
acriticamente sulle argomentazioni della maggioritaria dottrina. Una posizione oltre modo estrema veniva assunta anche da certa giurisprudenza
della Suprema Corte, la quale giungeva sino a ritenere di dover escludere
l’ammissibilità dell’arbitrato (e, in generale, la disponibilità) in tali circostanze, non solo per la natura della posizione giuridica fatta valere, ma anche a causa della natura del giudice cui la controversia era attribuita (38): si
immaginava un’incondizionata coincidenza tra la competenza cognitiva
(rectius: la giurisdizione) del giudice amministrativo e l’incompromettibilità (melius: indisponibilità) delle situazioni azionabili in quella sede. È intuitiva la conseguenza che se ne traeva nei casi di giurisdizione esclusiva
amministrativa, ovvero quando il giudice della P.A. era chiamato a conoscere tutte le posizioni giuridiche dinanzi ad esso prospettabili: esclusione
persino dei diritti soggettivi (anche quelli astrattamente disponibili) dal novero delle situazioni arbitrabili. Il sistema che, complessivamente, ne
usciva fuori poteva analiticamente riassumersi in tre punti: a) piena possibilità di devolvere ad arbitri le controversie relative a rapporti di « diritto
civile » (in relazione alle quali la P.A. avesse agito iure privatorum), in
quanto rientranti nella giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria,
nella misura in cui avessero avuto ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale, come tali disponibili; b) assoluta impossibilità di devolvere ad
arbitri le controversie relative a rapporti di « diritto amministrativo », involgenti posizioni giuridiche soggettive di interesse legittimo e connesse pubbliche potestà, in considerazione della loro (presunta) « ontologica » indisponibilità; c) medesima impossibilità (quasi universalmente affermata
dalla giurisprudenza, ma contestata da parte della dottrina) di devolvere ad
arbitri le controversie relative a rapporti di « diritto amministrativo », concernenti posizioni giuridiche di diritto soggettivo devolute alla esclusiva
giurisdizione amministrativa, prescindendo dalla loro natura di diritto disponibile o meno.
In senso diametralmente opposto alle conclusioni raggiunte dalle riportate pronunce, altra giurisprudenza di legittimità, questa volta a Sezioni
Unite, aveva già da tempo ripetutamente ravvisato la piena transigibilità
dell’interesse legittimo, sul presupposto che « nessuna disposizione vieta
che si possa disporre di detto interesse personale, e che quindi lo stesso
(38) In tali termini si è espressa la giurisprudenza di legittimità con Cass., sent. n.
7643/1995, in www.cortedicassazione.it.
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possa essere oggetto di transazione, qualificandosi o come aliquid datum o
aliquid retentum » (39), leggendo cosı̀ in chiave essenzialmente liberale il
preesistente deficit legislativo al riguardo.
Solo successivamente, con l’entrata in vigore della Legge n. 205/
2000, il Legislatore ha provato a chiarire la portata del tradizionale principio dell’indisponibilità e superato l’orientamento eccessivamente restrittivo
seguito dalla più estremista giurisprudenza, prevedendo all’art. 6, comma 2
che « le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato
rituale di diritto », per poi ribadire, come anticipato, la propria scelta nel
recentissimo art. 12 D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Quindi, il Legislatore, da
un lato, ha ammesso in modo innovativo la possibilità di deferire ad arbitri la risoluzione di questioni riguardanti diritti soggettivi (da individuarsi,
sempre e comunque, alla luce del disposto di cui all’art. 806 c.p.c.) e, dall’altro, si è prevalentemente ritenuto che abbia definitivamente reso norma
il « dogma » della incompromettibilità degli interessi legittimi: ammettere,
infatti, nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo il ricorso
all’arbitrato (rectius: arbitrato rituale di diritto) per i soli diritti soggettivi,
sarebbe equivalso ad escluderlo per le altre situazioni giuridiche soggettive
azionabili in tale ambito, ovvero proprio per gli interessi legittimi. È da segnalare, tuttavia, come persino in giurisprudenza amministrativa, seppur
con particolare riferimento alle controversie proprie dell’ordinamento sportivo (art. 3 Legge n. 280/2003), ma con efficacia argomentativa diffusa, si
sia levata, al riguardo, anche qualche voce di dissenso; ad esempio, TAR
Lazio, Sez. III-Ter, sent. n. 4362/2005 ha contestato in radice l’esposta
convinzione (40), traendo argomenti dall’art. 11 Legge n. 241/1990 ss. modificazioni, nonché dal ruolo che la P.A. deve (rectius: dovrebbe) assumere
e svolgere in un ordinamento moderno come il nostro. Il G.A. di primo
grado, in questa non isolata pronuncia, ha negato l’assunto secondo cui non
sarebbe compromettibile per arbitri la tutela degli interessi legittimi, e ciò
poiché « è assodato in base ai dati testuali che, pure fuori dalla materia
sportiva, l’ordinamento generale non solo non esclude, ma anzi incoraggia
accordi che coinvolgono siffatte situazioni soggettive [n.d.r.: interessi legittimi], sostituendo la volizione unilaterale della P.A. con assetti negoziati
che, pur se rivolti a soddisfare interessi privati, mirano comunque alla
massimizzazione di quello pubblico con risultati di pari dignità ed effıcacia
dell’azione amministrativa di livello pari a quanto si potrebbe ottenere con
un provvedimento. Anzi, tali procedure negoziate, già assai comuni in materia concessoria o urbanistica, trovano la loro massima utilizzabilità pro-
(39) Cosı̀, Cass., Sez. un., 22 gennaio 1982, n. 427, in Riv. giur. ed., 1982, I, 611 ss.
(40) In realtà, TAR Lazio, Sez. III-ter, sent. n. 4362/2005 ha contestato in genere il
convincimento dell’inarbitrabilità degli interessi legittimi.
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prio in vicende contenziose, ove la qualità degli interessi coinvolti, la vasta diffusione delle questioni e la necessità di componimenti ante causam o
di risoluzione anche in via equitativa delle stesse impongono formule deflative e/o alternative alla giurisdizione, indipendentemente dal tipo di posizioni soggettive fatte valere in via di tutela. Inoltre, dal canto suo l’art. 3,
comma 1, II per. del D.L. n. 220/ 2003, nella misura in cui fa salve tutte le
clausole compromissorie, ha irrevocabilmente sancito la compromettibilità
per arbitri di tutte le questioni [...] ancorché coinvolgenti interessi legittimi » (41).
Anche in dottrina non è mancato chi ha sostenuto le argomentazioni
della tesi appena riportata, le quali, in coerenza con il parametro normativo
citato nella sopra ricordata pronuncia e, sembra necessario ritenere, con
l’intero sistema di diritto del nostro ordinamento giuridico, hanno sostanzialmente poggiato sul rilievo che la norma in argomento presupponga la
normale negoziabilità del potere amministrativo, rimuovendo in tal modo
tutti i limiti che traevano origine dalle presunte « doverosità-irrinunciabilità », « funzionalizzazione al pubblico interesse » dell’esercizio del potere
ed « intrasferibilità-indelegabilità » di quest’ultimo.
Ci si è pure chiesti in dottrina ed in giurisprudenza se la norma di cui
all’art. 6, comma 2 Legge n. 205/2000 e di cui, ora, al nuovo art. 12 codice
del processo amministrativo, fosse o meno l’unico punto di riferimento
normativo in materia (42); in altri termini, se le ragioni della disponibilità o
della indisponibilità dovessero essere colte solo in relazione a tale disposizione o andassero cercate anche aliunde. Sul punto la giurisprudenza amministrativa si è marcatamente divisa. Nel primo senso si è espressa, seppur indirettamente TAR Lazio, Sez. III-ter, sent. n. 4284/2005, mentre in
senso diametralmente opposto, si è posta Consiglio di Stato, sent. n. 527/
2006, che, ricordando « la nota incompromettibilità in arbitri di tali posizioni giuridiche soggettive [n.d.r.: interessi legittimi] (su cui cfr art. 6 della
Legge n. 205/2000) », giustifica la stessa in considerazione del fatto che le
situazioni giuridiche in argomento « a causa del loro collegamento con un
interesse pubblico, e in forza dei principi sanciti dall’art. 113 Cost. sono
insuscettibili di formare oggetto di una rinunzia — preventiva, generale e
temporalmente illimitata — alla tutela giurisdizionale », con la conseguenza di non essere disponibili ai sensi degli artt. 806 c.p.c. e 1966 c.c.,
quindi, tali da non essere né deferibili ad arbitri, né idonei a costituire oggetto di negoziazione sostanziale (transazione). Evidentemente i due contrapposti orientamenti sopra ricordati intendevano e ricostruivano il divieto
di arbitrabilità-transigibilità degli interessi legittimi in maniera dissimile: il
(41) TAR Lazio, Sez. III-ter, sent. n. 4362/2005, in www.giustizia-amministrativa.it.
(42) Sebbene gli articoli di legge siano due, può parlarsi di unica norma, stante l’assoluta identità di contenuti.
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primo faceva riferimento alla sola disposizione di cui all’art. 6 Legge n.
205/2000 (si legga ora: art. 12 D.Lgs. n. 104/2010), di cui si dava una lettura liberale, mentre la seconda considerava quest’ultima disposizione
come mera « conferma » normativa di un pre-esistente principio giuridico
di cui sarebbe stata traccia nell’art. 113 Cost.
Conclusa l’analisi storica degli orientamenti dottrinari e giurisprudenziali espressi in tema di disponibilità-compromettibilità degli interessi legittimi, occorre ora rintracciare le ragioni che, sulla scia della Decisione
A.C.G.S. 22/2011, hanno indotto il Collegio arbitrale a ritenere astrattamente compromettibili simili situazioni giuridiche. A ben vedere, trattandosi di una questione risolta dagli arbitri solo incidentalmente e peraltro per
relationem con rinvio a quanto argomentato dall’ultimo grado della giustizia sportiva, il Collegio non ha esplicitato chiaramente il ragionamento logico-giuridico posto a fondamento della propria decisione: tuttavia, la
scelta di radicare la competenza del T.N.A.S. sul presupposto della disponibilità delle posizioni giuridiche azionate dinanzi all’organo esofederale
amministratore di procedure arbitrali sportive, indipendentemente dalla
qualificazione di queste ultime, consente di comprendere come la soluzione
in commento sia stata adottata, quanto meno, rimuovendo i tradizionali limiti (43) posti dalle prevalenti dottrina e giurisprudenza ovvero parificando
quoad substantiam diritti soggettivi ed interessi legittimi. A questo punto è
opportuno indagare le ragioni della decisione data incidenter tantum dal
Collegio Arbitrale, avanzando ipotesi ricostruttive della ratio della soluzione offerta in punto di arbitrabilità degli interessi legittimi.
Un significativo primo passo nella direzione opposta a quella seguita
da prevalenti dottrina e giurisprudenza, infatti, potrebbe muoversi contestando la natura necessariamente pubblicistica di tutte le attività svolte dalla
P.A. ovvero anche da C.O.N.I. e Federazioni sportive laddove svolgano
funzioni dichiaratamente pubbliche, cosı̀ da escludere che le posizioni giuridiche rinvenibili nell’esercizio di esse debbano sempre dar vita ad interessi legittimi. Traendo argomenti indirettamente da TAR Lazio, Sez. IIIter, sent. n. 4362/2005 e richiamando, in un certo senso, sforzi ed osserva-
(43) Ovvero, come si ricorda, per: a) disponibilità unilaterale (da parte della P.A.)
degli interessi legittimi, in quanto solo la Pubblica Amministrazione avrebbe fatto sorgere le
posizioni in argomento e ne avrebbe stabilito l’entità; b) « doverosità-irrinunciabilità » e
« funzionalizzazione al pubblico interesse » dell’esercizio del potere dell’Amministrazione,
nonché intrasferibilità-indelegabilità di quest’ultimo; c) esistenza di un termine breve e perentorio per il rimedio impugnatorio dell’atto amministrativo viziato; d) mancanza di una
espressa previsione normativa che attribuisse il potere di annullamento dei provvedimenti
della P.A. in capo agli arbitri; e) necessaria impugnabilità, in caso di pronuncia arbitrale su
posizioni di interesse legittimo, del lodo dinanzi alla Corte d’Appello, con conseguente ritenuta distrazione dal giudice naturale precostituito per legge, il giudice amministrativo.
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zioni fatti dalla dottrina degli anni ’90 (44), una possibile soluzione nel
senso poco sopra chiarito, potrebbe essere stata offerta dal Legislatore con
la Legge n. 15/2005, la quale ha operato una rilevante modificazione di alcune norme della legge sul procedimento amministrativo; il riferimento è
all’introduzione del comma 1-bis, art. 1 Legge n. 241/1990, per mezzo del
quale è stato sovvertito il tradizionale dogma della natura generalmente e
tendenzialmente pubblica dell’attività della P.A. e, quindi, dell’azione amministrativa come attività retta, salve deroghe espresse ex lege, dal diritto
pubblico (45). Quanto appena riportato, volendo ammettere, senza concessione alcuna, che sia fondata la tesi dell’impossibilità di ritenere compromettibili per arbitri gli interessi legittimi, consentirebbe comunque di operare una sensibile restrizione delle posizioni giuridiche qualificabili come
« incompromettibili per arbitri » nei casi di intervento della Pubblica Amministrazione o dei suoi enti.
Il tema della arbitrabilità dell’interesse legittimo, o meglio delle questioni che involgano un interesse legittimo, potrebbe poi essere radicalmente risolto in senso positivo alla disponibilità-compromettibilità per arbitri, qualora si rivelasse fondato l’insegnamento di quella parte della dottrina (minoritaria) e della giurisprudenza delle Sezioni Unite che non vede
ostacoli insuperabili alla attribuzione del requisito della disponibilità e,
dunque, della transigibilità-compromettibilità per arbitri. A sostegno di una
simile tesi devono rinvenirsi importanti argomentazioni, la cui origine è
prettamente normativa. Atteso che la formulazione dell’art. 806 c.p.c., post
riforma 2006, si presta ad una lettura ambivalente, nel senso, ovvero, di
consentire una lettura tanto favorevole alla arbitrabilità dei soli « diritti »,
quanto orientata a favore della compromettibilità di tute le situazioni giuridiche in sé e per sé « disponibili », assolutamente dirimente appare l’individuazione della ratio della norma in questione. Quest’ultima non può che
essere colta in relazione al dettato della legge delega, alla cui luce deve essere interpretato il precetto del Legislatore delegato; si legge, infatti, nel testo della delega (cfr. art. 1, comma 3, lett. d) Legge n. 80/2005): « riformare in senso razionalizzatore la disciplina dell’arbitrato, prevedendo la
(44) VENEZIANO, intervento al Convegno Studi I servizi pubblici nella legge 21 luglio
2000 n. 205 del 25-27 maggio 2001.
(45) V. CERULLI IRELLI, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l.n. 241/
90, su http://www.giustamm.it/index0/newsletter/2005/2005_2_21.htm, in data 21 febbraio
2005, secondo cui: « Questo principio, peraltro, da ritenere superato sia nella prassi applicativa delle pubbliche Amministrazioni, sia nelle impostazioni dottrinali e giurisprudenziali,
viene ribaltato dalla norma in esame. Secondo essa infatti l’agire secondo il diritto pubblico
deve essere oggetto di espressa previsione normativa; ché altrimenti le pubbliche Amministrazioni agiscono secondo il diritto privato, sulla base cioè delle capacità giuridica ad esse
senz’altro riconosciuta. Restano fuori, secondo la norma, dalla possibilità di applicazione
del diritto privato i casi di esercizio di poteri autoritativi ».
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disponibilità dell’oggetto, come unico e suffıciente presupposto dell’arbitrato, salva diversa disposizione di legge ».
Come opportunamente rilevato da illuminata dottrina, una simile disposizione, in combinato disposto con il testo della riformata norma, fa
comprendere come, l’intenzione del delegante fosse quella di individuare
quale unico elemento di discriminazione tra controversie arbitrabili e non
arbitrabili, la loro disponibilità sostanziale, o meglio ancora, « la predicabilità di un oggetto della controversia che » fosse « passibile di atti di disposizione, attraverso l’esercizio di facoltà ricollegabili alla titolarità, in
capo a chi sottoscrive la clausola arbitrale o il compromesso, di determinate posizioni giuridiche soggettive di diritto sostanziale » (46). Ora, se ciò
è vero (ed appare difficile dubitarlo), all’esclusivo richiamo dell’art. 806
c.p.c. ai diritti soggettivi indisponibili, deve assegnarsi un valore meramente esemplificativo di classi di controversie certamente non arbitrabili.
L’individuazione delle altre controversie astrattamente deferibili ad arbitri
appare, invece, lasciata all’interprete, secondo il criterio della disponibilità
dell’oggetto della controversia, come enunciato in legge delega.
In tal senso appare essersi evidentemente mosso, dunque, il Collegio
arbitrale che ha pronunciato il lodo in commento, avendo attribuito esclusiva rilevanza alla questione della idoneità o meno della situazione giuridica dedotta in giudizio a divenire oggetto di atti dispositivi, anziché a
quella della corretta qualificazione della stessa. Il risultato conseguito dagli
arbitri de quibus è giunto previa assunzione del termine « diritti » come
espressione generica, tale da includere tanto i diritti soggettivi, quanto gli
interessi legittimi, ritenendo a giusta ragione che la volontà del legislatore
sportivo fosse quella di non operare distinzioni tra le posizioni giuridiche
deferibili agli organi lato sensu giudiziali del C.O.N.I. se non sulla base del
parametro della disponibilità. Una simile lettura degli artt. 12-bis e 12-ter
Statuto C.O.N.I. incoraggia un’analoga ermeneutica dell’art. 806 c.p.c. e
dell’art. 6, comma 2 Legge n. 205/2000 (si legga sempre: art. 12 D.Lgs. n.
104/2010), purché ovviamente la volontà di deferire ad arbitri questioni involgenti interessi legittimi si traduca nel ricorso ad una procedura arbitrale
rituale e di diritto, proprio come quella prevista dal Regolamento T.N.A.S.
5. Conclusione. In sintesi, il Lodo T.N.A.S. in data 15 novembre
2011 esprime il proprio favore per quell’orientamento che, seppur ancora
minoritario, a parere di chi scrive, appare preferibile, abdicando a visioni
preconcette ed aprioristiche circa la natura disponibile di quelle posizioni
giuridiche che vengono in rilievo a fronte dell’esercizio di un pubblico potere e di una pubblica funzione. Il pregio della decisione in commento,
(46) GOISIS, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano,
2007, 253 ss.
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quindi, consta nel ritenere astrattamente suscettibili di deferimento ad arbitri oltre che i diritti soggettivi (disponibili, ovviamente) anche gli interessi
legittimi, purché ad un’attenta ed approfondita analisi risultino rientranti
nel potere dispositivo del relativo titolare. Tutto ciò, con la sensibile differenza rispetto ai diritti soggettivi che il preventivo vaglio di disponibilitàindisponibilità dovrà essere condotto con riferimento tanto alla posizione
del destinatario dell’atto o della condotta in rapporto al quale sorge l’interesse legittimo, quanto del titolare del pubblico potere o della pubblica funzione. L’ammissione della teorica compromettibilità delle situazioni giuridiche de quibus, inoltre, conduce al non secondario risultato di considerare
sempre e comunque il giudizio instauratosi dinanzi al Tribunale Nazionale
di Arbitrato per lo Sport come un giudizio necessariamente arbitrale e mai,
come pure accaduto in passato, l’ultima fase di un più complesso procedimento amministrativo realizzato dal C.O.N.I.: l’atto decisionale del
T.N.A.S. dovrà quindi sempre considerarsi come un lodo a tutti gli effetti e
come tale soggetto alla disciplina per esso prevista dall’ordinamento processualcivilistico italiano.
GIANLUCA LUDOVICI
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II)
INTERNAZIONALE E STRANIERA
Lodi annotati
INTERNATIONAL CENTRE FOR SETTLEMENT OF INVESTMENT DISPUTES (Pierre Tercier, Pres., Albert Jan van den Berg, Georges Abi-Saab), decisione sulla giurisdizione e sulla ammissibilità 4 agosto 2011, Abaclat e altri c.
Argentina (già Beccara e altri c. Argentina), caso n. ARB/07/5.
Convenzione ICSID e BIT Italia-Argentina - Questioni di giuridizione - Questioni di ammissibilità delle domande di arbitrato - Distinzione.
Rapporto tra art. 25 Convenzione ICSID e art. 8 BIT - Requisiti di nazionalità delle parti.
Convenzione ICSID, BIT e azione collettiva - Posizione delle parti - Qualificazioni alternative delle questioni relative all’azione collettiva.
Giurisdizione ICSID ratione personarum - Requisiti in base agli art. 1(2) BIT,
art. 1 Procollo addizionale e art. 25 Convenzione ICSID - Persone fisiche
- Persone giuridiche.
Prestazione da parte degli attori del consenso al ricorso in arbitrato - Validità
del pacchetto “mandato” dell’Associazione per la Tutela degli Investitori
in Titoli Argentini (cosidetta Task Force Argentina, TFA) - Ruolo della
Task Force Argentina - Consenso ai sensi dell’art. 25 Convenzione ICSID
e art. 8 BIT - Validità della Procura alle liti (art. 18 Regolamento arbitrale ICSID) - Validità del consenso prestato dagli attori.
Prestazione del consenso al ricorso in arbitrato da parte dell’Argentina - Validità del consenso rispetto ad azioni collettive in materia di ristrutturazione del debito estero.
Art. 8(1) e (2) BIT - Previo esperimento da parte dell’attore di consultazioni
amichevoli e ricorso davanti ai giudici nazionali dello Stato ospite per un
periodo di 18 mesi - Precondizione del consenso dell’Argentina al ricorso
in arbitrato ICSID - Esclusione - Presenza di clausole di scelta del foro
nei bonds - Irrilevanza ai fini della giurisdizione ICSID.
Ammissibilità - Azioni collettive - Compatibilità con il sistema arbitrale ICSID
- Art. 44 Convenzione ICSID e art. 19 Reg. arb. ICSID.
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Art. 8 BIT - Previo esperimento da parte degli attori del ricorso davanti ai
giudici nazionali dello Stato ospite per un periodo di 18 mesi - Assenza
dell’esperimento del ricorso - Irrilevanza ai fini della giurisdizione
ICSID.
Abuso di diritto - Applicabilità nell’ambito di procedure ICSID - Ruolo della
TFA - Esclusione dell’abuso di diritto.
Sebbene la Convenzione ICSID non definisca il concetto di giurisdizione, tale
concetto può includere anche questioni relative all’ammissibilità delle domande di
arbitrato. Sebbene difetto di giurisdizione e difetto attinente all’ammissibilità della
domanda portino al medesimo risultato del rifiuto del tribunale di decidere il caso,
il rifiuto in un caso o nell’altro ha natura fondamentalmente diversa e quindi comporta conseguenze differenti. Mentre nel caso di difetto di giurisdizione la domanda
non può essere portata avanti all’organo chiamato a decidere, nel caso di difetto
relativo all’ammissibilità, la domanda non è pronta o matura per essere decisa. La
decisione di rifiutare un caso in base ad un difetto di giurisdizione è soggetta normalmente ad un controllo da parte di un altro organo. La decisione di rifiutare un
caso in base ad un difetto attinente all’ammissibilità della domanda non può essere sottoposta generalmente al controllo di un altro organo. Mentre il rigetto definitivo basato sul difetto di giurisdizione impedisce alle parti di sottoporre ancora
la medesima domanda al medesimo organo, il rifiuto basato sul difetto di ammissibilità non impedisce, in principio, all’attore di riproporre la domanda nel caso in
cui il difetto sia sanato. Alla luce delle molte obiezioni sollevate rispetto ai diversi
aspetti della giurisdizione e della procedura ICSID, il Tribunale ritiene non solo
appropriato ma anche necessario distinguere le questioni attinenti alla giurisdizione ICSID strictu senso e le questioni relative all’ammissibilità (par. 244-250).
L’art. 8(5) BIT prevede che in caso di arbitrato internazionale iniziato in base
all’art. 8(3) la controversia sia deferita, a scelta dell’investitore, in arbitrato ICSID
o arbitrato ad hoc secondo il Reg. Arb. UNCITRAL. Con l’espressa indicazione
dell’arbitrato ICSID, Italia ed Argentina, entrambe parti della Convenzione ICSID,
esprimono il consenso richiesto dall’art. 25 Convenzione ICSID a sottoporre ad
arbitrato ICSID specifiche controversie con i nazionali l’una dell’altra (par. 274275). Relativamente alle parti, l’art. 25 Convenzione ICSID richiede che esista una
controversia tra uno Stato ospite dell’investimento che abbia ratificato la Convenzione e un investore di un altro Stato contraente. In questo senso l’arbitrato ICSID
iniziato in base all’art. 8 BIT può svolgersi solo tra lo Stato ospite (Argentina o
Italia) e un investitore nazionale dell’altro Stato parte (art. 8(1) BIT). Quindi, l’art.
8(1) BIT riflette i requisiti oggettivi dell’art. 25 Convenzione ICSID secondo cui
l’investitore sia nazionale di uno stato contraente diverso dallo stato ospite (par.
280).Con riguardo alla nazionalità dell’investitore, l’art. 25 Convenzione ICSID
non prevede alcuna specificazione rispetto al momento in cui l’investitore debba
essere considerato nazionale di un particolare Stato. I criteri secondo cui determinare se tali requisiti oggettivi siano soddisfatti non sono stabiliti dalla Convenzione
ICSID e possono quindi essere stabiliti in via ulteriore dalle parti contraenti della
Convenzione ICSID nel BIT (art. 1(2) BIT e par. 1 Protocollo addizionale) (par.
281). In conclusione, secondo il BIT un investitore deve non solo essere nazionale
dell’altro Stato contraente ma anche soddisfare il requisito del domicilio del par. 1
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del Protocollo addizionale (par. 287). Relativamente alla procedura da seguire,
mentre l’art. 25 Convenzione ICSID stabilisce i requisiti per la giurisdizione del
Centro e il Reg. arb. ICSID stabilisce le specifiche regole da seguire per iniziare
una procedura arbitrale ICSID, la Convenzione tace sulla questione se queste procedure arbitrali possano essere condizionate al rispetto di requisiti ulteriori e, in
caso affermativo, quali siano gli effetti di questi requisiti ulteriori rispetto alla giurisdizione ICSID (par. 288-299).
In considerazione del numero degli attori (inizialmente 180.000 poi ridotti a
circa 60.000) la presente procedura è qualificabile come procedura relativa ad
azione collettiva. È innegabile che il numero degli attori renda impossibile il trattamento e l’esame di ciascuna domanda e generalizzazioni e esami per gruppo
siano inevitabili. Né la Convenzione ICSID né il BIT affrontano la questione delle
procedure arbitrali collettive. Mentre lo Stato convenuto sostiene che tali procedure, tenuto conto delle loro caratteristiche, sono contrarie al sistema convenzionale arbitrale ICSID e non coperte dal consenso dello Stato convenuto, gli attori
al contrario sostengono che la natura collettiva della domanda è un semplice
aspetto di natura procedurale che non solleva nessun problema di consenso o giurisdizione (par. 294-297). Ne consegue che la questione dell’azione collettiva verrà
analizzata prima nel contesto del consenso delle parti al ricorso in arbitrato — par.
480 e successivi — e poi nel contesto dell’ammissibilità dell’azione — par. 506 e
successivi — (par. 298).
Sebbene sia vero che ai fini di stabilire la competenza giurisdizionale ratione
personarum del Tribunale, le condizioni previste dall’art. 1(2) BIT, art. 1 del Protocollo addizionale al BIT e art. 25 Convenzione ICSID — nazionalità italiana alla
data della prestazione del consenso al ricorso in arbitrato e alla data di registrazione della domanda, assenza di nazionalità argentina nelle stesse date, non essere
stati domiciliati in Argentina nei due anni precedenti all’effettuazione dell’investimento — devono essere soddisfatte da ciascun attore, la presente decisione non ha
l’obiettivo di statuire sul punto con riguardo a ciascun attore. Essa ha unicamente
l’obiettivo di stabilire le condizioni generali della competenza del Tribunale sugli
attori. In questa fase non è necessario determinare se le informazioni presentate
dagli attori dimostrino suffıcientemente il rispetto di queste condizioni (par. 409).
In conseguenza, a questo stadio della procedura e con riferimento alle persone fisiche, è suffıciente stabilire che, in base alle norme rilevanti, il Tribunale ha competenza giurisdizionale ratione personarum su ogni attore persona fisica (i) con
cittadinanza italiana al 14 settembre 2006 e 7 febbraio 2007, (ii) che non sia anche cittadino argentino nelle stesse date, (iii) non abbia avuto domicilio in Argentina nei due anni precedenti all’effettuazione dell’investimento e (iv) abbia effettuato un investimento ai sensi del BIT, grazie al quale gli attori avendo acquisito
una delle obbligazioni relative alle emissioni di debito dell’Argentina debbano essere considerati « investitori » (par. 412, 422). Con riguardo alla capacità di enti
di beneficiare della protezione del BIT e di essere parti della presente procedura
arbitrale, il Tribunale è dell’opinione che né l’art. 1(2)(b) BIT né l’art. 25 Convenzione ICSID richiedano la piena personalità giuridica. Essi ricomprendono anche
enti senza personalità giuridica nella misura in cui gli stessi abbiano la capacità
di effettuare un investimento ai sensi del BIT e di stare in giudizio (par. 416). Non
è necessario che tali enti abbiano piena personalità giuridica secondo la legge italiana (par. 418). In conseguenza, a questo stadio della procedura, è suffıciente sta161
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bilire che, in base alle norme rilevanti, il Tribunale ha competenza giurisdizionale
ratione personarum su ogni attore persona giuridica con nazionalità italiana al 14
settembre 2006, con ciò intendendosi ogni ente che sia costituito conformemente
alla legislazione italiana, con sede sociale in Italia, e riconosciuto dalla legge italiana nel senso che abbia capacità di effettuare un investimento e sia dotato di capacità processuale (par. 421, 422).
Le questioni relative alla validità (formale e sostanziale) del consenso al ricorso in arbitrato ICSID ai sensi dell’art. 25 Convenzione ICSID sono regolate dai
principi del diritto internazionale e non sono sottoposte a nessuna legge nazionale.
In particolare tali questioni non sono regolate dalle legge applicabile per decidere
il merito della controversia (art. 8(7) BIT e art. 42 Convenzione ICSID) (par. 430).
Tenuto conto del ruolo del consenso nell’ambito dell’arbitrato ICSID basato su
BIT, il Tribunale ha l’obbligo non solo di verificare il soddisfacimento del requisito
della forma scritta (art. 25(1) Convenzione ICSID) ma anche di valutare se il consenso degli attori al ricorso in arbitrato sia effettivo (par. 436). In proposito si applica il diritto internazionale e in particolare i principi generali del diritto in base
ai quali il consenso è genuino e effettivo se prestato libero da coercizione, frode e
errore essenziale (par. 436-437). In conseguenza, il Tribunale valuterà non solo
l’esistenza della manifestazione del consenso in forma scritta ma anche la validità
sostanziale del consenso, rispetto alla quale il solo requisito rilevante è che il consenso sia stato prestato in maniera informata e libera. Ogni altro requisito sostanziale richiesto dalle leggi nazionali è irrilevante e non sarà considerato dal Tribunale (par. 440). L’annullamento di un contratto per coercizione, frode e errore è in
linea di principio riservata alla parte pregiudicata dal vizio e non può essere invocato dall’altra parte (par. 442). Tenuto conto delle circostanze particolari del
caso concreto — la lamentata frode e/o l’errore causata da una terza parte (TFA),
la rilevanza del ruolo della TFA nel presente arbitrato, l’assenza di qualunque collegamento o controllo dell’Argentina sulla TFA — non è preclusa all’Argentina la
possibilità di invocare l’assenza di un consenso effettivo degli attori rispetto al
ruolo e alla condotta della TFA (par. 443-445). Nell’esaminare questa questione il
Tribunale darà adeguata considerazione alla circostanza che gli attori stessi non
hanno invocato un vizio del consenso; tale circostanza può richiedere l’applicazione di un onere della prova più elevato che nell’ipotesi in cui l’errore o la frode
sia invocata dalla stessa parte pregiudicata (par. 445). Nel contesto di un arbitrato
basato su BIT è largamente ammesso che il consenso dell’investitore (che costituisce accettazione dell’offerta da parte degli Stati ospiti di ricorso in arbitrato) sia
prestato nella domanda di arbitrato. Tale domanda è generalmente depositata per
conto dell’attore da un legale a ciò autorizzato tramite procura (par. 446). In questo caso la procura in base alla quale l’avvocato è incaricato ad iniziare l’arbitrato per conto dell’investitore e la domanda di arbitrato cosı̀ introdotta contengono e insieme costituiscono la manifestazione del consenso da parte dell’investitore (par. 447). Occorre distinguere la questione della validità della procura all’avvocato che è una questione di procedura regolata dall’art. 18 Reg. arb. ICSID e in
linea di principio non ha effetto sulla validità del consenso prestato dall’investitore
(par. 448) e la questione della validità del consenso prestato dall’investitore che è
una questione attinente alla giurisdizione e regolata dal diritto internazionale (par.
447). Tenuto conto del contenuto e delle caratteristiche del pacchetto “Mandato”
della TFA (costituito dalla lettera di istruzioni della TFA, la procura alle liti, il
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mandato alla TFA, e la documentazione supplementare allegata, quali questionari
e istruzioni aggiuntive), a questo stadio della procedura, non ci sono indicazioni
del fatto che il consenso degli attori sia viziato da frode, coercizione, o errore essenziale. La questione se una tale frode, coercizione o errore possa esistere con rispetto a singoli attori sulla base delle circostanze specifiche di ogni caso individuale rimane aperta e sarà decisa insieme alle questioni relative agli attori presi
individualmente (par. 465 e 466(i) e (ii)). Le questioni relative al ruolo e della TFA
nella procedura e quelle relative al conflitto di interesse sono questioni relative all’ammissibilità della procedura e non alla validità del consenso prestato dagli attori (par. 466 (iii)).
L’argomento dell’Argentina secondo cui l’arbitrato ICSID debba essere
escluso rispetto a controversie originate da ristrutturazione del debito è infondato
(par. 473-478 e par. 500(i)). Con riguardo alle azioni collettive, il tribunale ritiene
che il carattere collettivo della presente procedura arbitrale riguardi le modalità e
l’attuazione della procedura ICSID e non la questione se lo Stato convenuto abbia
validamente espresso il consenso all’arbitrato ICSID (par. 491-492 e par. 500(ii)).
Quindi il carattere collettivo dell’azione riguarda una questione di ammissibilità e
non una questione di giurisdizione (par. 492, par. 500(ii) e par. 515 e successivi).
Il previo espletamento da parte dell’attore di consultazioni amichevoli e di un
ricorso avanti ai giudici argentini per un periodo di 18 mesi riguarda le condizioni
di attuazione del consenso dell’Argentina rispetto a giurisdizione e arbitrato ICSID
e non la questione se l’Argentina abbia prestato il proprio consenso a giurisdizione
e arbitrato ICSID (par. 494-496). Quindi, il mancato rispetto di queste condizioni
non conduce ad un difetto di giurisdizione ICSID ma potrebbe comportare l’inammissibilità dell’azione (par. 496, par. 500(iii) e par. 567). La presenza di clausole
di scelta del foro nei bonds è irrilevante tenuto conto della distinzione tra azioni
fondate sul BIT (treaty claims) e azioni fondate sul contratto (contractual claims)
(par. 498). Tali clausole si applicano solo rispetto ad azioni fondate sul contratto
e sono irrilevanti rispetto all’accertamento dell’esistenza e/o validità del consenso
prestato dall’Argentina (par. 498-499 e par. 500(iv)).
Il silenzio della Convenzione ICSID rispetto alle procedure collettive deve essere interpretato come una lacuna e non come un silenzio qualificato tale da rendere l’azione collettiva incompatibile con l’arbitrato ICSID (par. 518-520). In caso
di lacuna si applica l’art. 44 Convenzione ICSID, unitamente all’art. 19 Reg. arb.
ICSID. In base all’art. 44 Convenzione ICSID, il Tribunale decide e risolve ogni
questione procedurale non prevista dalla Convenzione o dal regolamento arbitrale
o da quasiasi regola concordata dalle parti. L’art. 19 Reg. arb. ICSID prevede che
il Tribunale emetta le ordinanze necessarie per la conduzione della procedura (par.
521-523). Il Tribunale può e deve operare gli adattamenti alla procedura ICSID
standard che sono necessari per decidere la presente azione collettiva (par. 525528). Questi adattamenti riguarderebbero non tanto l’oggetto dell’esame condotto
dal Tribunale quanto piuttosto il modo in cui il Tribunale conduce questo esame e
il modo con il quale gli attori sono rappresentati (par. 530 e 533). È innegabile che
il Tribunale non sarà nella posizione di esaminare tutti gli elementi e i relativi documenti del caso come nell’ipotesi in cui ci fosse un piccolo gruppo di attori (par.
531). Il Tribunale avrà necessità di applicare dei meccanismi che consentano una
verifica semplificata del materiale di prova (par. 531). Tuttavia tali adattamenti
alla procedura ICSID standard, sebbene comprimano i diritti procedurali delle
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parti, sono necessari e si giustificano tenuto conto del diniego di giustizia che si
verificherebbe in caso di inamissibilità delle domande degli attori — particolarmente scioccante considerato che l’investimento in oggetto è protetto dal BIT —
(par. 537) e dell’identità o del carattere suffıcientemente omogeneo delle domande
degli attori (par. 540-544).Gli argomenti di carattere politico dell’Argentina relativi all’idoneità del ricorso alla procedura ICSID nel contesto della ristrutturazione del debito sovrano sono irrilevanti rispetto alla decisione di ammissibilità
dell’azione (par. 548-550).
L’art. 8 BIT prevede diversi meccanismi di risoluzione delle controversie in
successione (consultazioni amichevoli, ricorso al giudice nazionale, e arbitrato internazionale). Il fallimento di ciascun meccanismo comporta la possibilità del ricorso al successivo (par. 577-578). Tuttavia il testo dell’art. 8 BIT non consente di
trarre specifiche conclusioni rispetto alle conseguenze della mancata osservanza
da parte dell’attore dell’ordine, stabilito dall’art. 8, tra i meccanismi di risoluzione
(par. 579-580). La questione se il mancato espletamento di un giudizio avanti ai
giudici argentini per un periodo di 18 mesi prima dell’attivazione dell’arbitrato
ICSID precluda agli attori il ricorso in arbitrato ICSID richiede il bilanciamento
di interessi contrapposti: l’interesse dell’Argentina ad avere la possibilità di risovere la controversia nell’ambito del proprio sistema giudiziario e l’interesse degli
investitori al ricorso ad un mezzo di risoluzione delle controversie effıcace (par.
581-582). Tenuto conto delle circostanze concrete del caso (par. 583-584) e delle
azioni e rimedi concretamente esperibili dagli attori in Argentina rispetto alla
legge di emergenza e le altre leggi e decreti rilevanti (par. 585-589), il mancato
esperimento dell’azione avanti ai giudici argentini per un periodo di 18 mesi prima
dell’attivazione dell’arbitrato internazionale non preclude agli attori il ricorso in
arbitrato ICSID (par. 590).
La teoria dell’abuso di diritto è espressione del più generale principio della
buona fede. Il principio della buona fede è un fondamentale principio del diritto
internazionale e del diritto sugli investimenti. Esso è, dunque, applicabile alle procedure arbitrali ICSID ed è stato applicato da diversi tribunali ICSID e non-ICSID
in casi relativi a investimenti (par. 646-655). Gli argomenti difensivi dell’Argentina
basati sull’abuso di diritto riguardano il ruolo nella procedura della TFA che perseguirebbe interessi propri in conflitto con gli interessi degli attori ed estranei agli
interessi protetti dal BIT e dalla Convenzione ICSID (par. 657). Poiché l’abuso di
diritto non riguarda i diritti degli investitori protetti dal BIT e il presunto abuso riguarderebbe gli interessi della TFA originati dal ricorso degli attori in arbitrato
ICSID, il Tribunale ritiene che il ruolo della TFA non integri un abuso di diritto
che giustifichi il rigetto dell’azione degli attori perché inammissibile (par. 657658).
CENNI DI FATTO. — Il caso Abaclat ed altri è uno dei tre casi ICSID, attualmente pendenti, azionati contro l’Argentina da investitori titolari di strumenti di
debito che hanno rifiutato di partecipare ai processi di ristrutturazione del debito
estero del paese latinoamericano (cosiddetti “holdout creditors”). Tutti i casi sono
originati dall’insolvenza sovrana, determinata della crisi economica del 2001-2002,
e dalla conseguente ristrutturazione unilaterale del debito estero dell’Argentina.
Con tale decisione il tribunale arbitrale ICSID a maggioranza ha deciso di ammettere l’azione collettiva dei circa 60,000 bondholders italiani (rappresentati dalla
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TFA, associazione non riconosciuta formata da un gruppo di banche italiane) in arbitrato ICSID sulla base del BIT tra Italia e Argentina sulla protezione degli investimenti stranieri. Gli attori invocano la violazione da parte dell’Argentina degli
standard sostanziali di tutela previsti dal BIT per il mancato pagamento del capitale e degli interessi alla scadenza delle obbligazioni e la ristrutturazione unilaterale del debito estero. Il Tribunale decide, oltre alle questioni che qui si riportano,
due altre questioni principali. In primo luogo, le domande degli attori sono basate
sul BIT (treaty claims) e sono, dunque, ricomprese nell’ambito della competenza
ratione materiae del Tribunale. In secondo luogo i bonds e in particolare le obbligazioni relative ai bonds di cui gli attori sono titolari si qualificano come investimenti ai sensi dell’art. 1(1) BIT effettuati nel territorio dell’Argentina nel rispetto
delle leggi e normative argentine.
MOTIVI
(4)
DELLA DECISIONE.
— (Omissis).
Structure of the Present Decision
244. As mentioned above (see §§ 225 et seq. above), the present decision
deals with general questions of jurisdiction, as well as admissibility.
245. The Convention does not define the concept of « jurisdiction » of the
Centre or of « competence » of the Tribunal contemplated in Articles 25 and 41
ICSID Convention (see § 225 above). Nevertheless, in their Report, the Executive
Directors have interpreted the concept of « jurisdiction of the Centre » as a
« convenient expression to mean the limits within which the provisions of the
Convention will apply and the facilities of the Centre will be available for
conciliation and arbitration proceedings ». In other words, the concept of
jurisdiction under the Convention also covers issues which may usually be regarded
as issues of « admissibility ». It is thus not surprising that some tribunals have
questioned the usefulness of the term in the framework of ICSID.
246. Within the context of the present dispute and its particularities, it is
useful and important to distinguish issues of jurisdiction from issues of
admissibility for the following reasons.
247. Although a lack of jurisdiction or admissibility may both lead to the
same result of a tribunal having to refuse to hear the case, such refusal is of a
fundamentally different nature and therefore carries different consequences:
(i) While a lack of jurisdiction stricto sensu means that the claim cannot at all
be brought in front of the body called upon, a lack of admissibility means that the
claim was neither fit nor mature for judicial treatment;
(ii) Whereby a decision refusing a case based on a lack of arbitral jurisdiction
is usually subject to review by another body, a decision refusing a case based on a
lack of admissibility can usually not be subject to review by another body;
(iii) Whereby a final refusal based on a lack of jurisdiction will prevent the
parties from successfully re-submitting the same claim to the same body, a refusal
based on admissibility will, in principle, not prevent the claimant from resubmitting
its claim, provided it cures the previous flaw causing the inadmissibility.
248. Therefore, and in the light of the many objections raised in the present
proceedings with regard to various aspects of ICSID’s jurisdiction and proceedings,
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the Tribunal has deemed it not only appropriate but also necessary to distinguish
issues relating to ICSID’s jurisdiction stricto sensu and admissibility issues.
249. In this respect, the guiding thought of the Tribunal for distinguishing
issues of jurisdiction from issues of admissibility has been the following
cornerstone consideration:
If there was only one Claimant, what would be the requirements for ICSID’s
jurisdiction over its claim? If the issue raised relates to such requirements, it is a
matter of jurisdiction. If the issue raised relates to another aspect of the
proceedings, which would not apply if there was just one Claimant, then it must be
considered a matter of admissibility and not of jurisdiction.
250. This thought will be further developed along the Tribunal’s analysis
which is structured as follows:
(i) The Tribunal will start with a short presentation of the fundaments and
scope of the Tribunal’s competence as deriving from the relevant legal provisions
of the BIT and the Convention (see section B below);
(ii) Based on this presentation, the Tribunal will then set forth the
requirements for its jurisdiction as set forth by the relevant legal provisions and
examine to what extent these requirements can be considered fulfilled without
entering into issues specifically touching upon individual Claimants (see section C
below);
(iii) To the extent these requirements can be considered fulfilled, the Tribunal
will address relevant issues relating to the admissibility of the claims (see section
D below); and
(iv) Finally, to the extent that the Tribunal comes to the conclusion that it has,
in principle, jurisdiction and that the claims are, in principle, admissible, it will
address other procedural issues relevant for the conduct of the present proceedings
(see section E below).
B.
LEGAL BASIS
FOR THE
TRIBUNAL’S JURISDICTION
251. It is not contested between the Parties that the Tribunal’s jurisdiction
must be based on the relevant provisions of the Argentina-Italy BIT as well as
Article 25 ICSID Convention. What is, however, disputed is the scope of
jurisdiction as deriving from these instruments and provisions.
[omissis]
(3)
Relationship between Article 25 ICSID Convention and Article 8 BIT
(a) In General
274. As mentioned above, Article 8(5) BIT provides that in case of an
international arbitration initiated under Article 8(3) BIT, the dispute would be
subject, upon the choice of the investor, to either ICSID or ad hoc arbitration under
the UNCITRAL Arbitration Rules.
275. In other words, through the express designation of ICSID arbitration in
Article 8 BIT, Italy and Argentina, which are both Contracting Parties to the ICSID
Convention, express their consent required under Article 25 ICSID Convention to
166
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submit specific disputes with nationals of each other to ICSID arbitration. The
scope of this consent is therefore defined by and must be determined according to
the relevant provisions of the BIT, and in particular by Article 8.
276. In this respect, the Parties disagree on the actual and admissible scope of
this consent. They disagree on how these two provisions — Article 25 ICSID
Convention and Article 8 BIT — interact, and in particular on whether Article 25
ICSID Convention sets forth the outer limits of the consent given under Article 8
BIT and, if so, whether the Parties’ consent as expressed in Article 8 goes beyond
these outer limits.
[omissis]
(c) With regard to the Parties
280. As mentioned above (§257), Article 25 ICSID Convention requires that
the dispute at stake exists between a Host State having ratified the Convention and
an investor of another Contracting State. To this extent, ICSID arbitration initiated
under Article 8 BIT may only take place between the Host State, i.e., Argentina or
Italy, and an investor of the other State’s nationality. This is duly reflected in
Article 8(1) BIT, which applies only to disputes between « a Contracting Party and
an investor of the other Contracting Party ». As such, Article 8(1) BIT reflects the
objective requirements of Article 25 ICSID Convention that the investor be of the
nationality of a Contracting State other than the Host State.
281. With regard to the nationality of the investor, Article 25 ICSID does not
provide for any specification as to when an investor is deemed to be of the
nationality of a particular State. Thus, while the requirement that the investor be of
the nationality of a Contracting State other than the Host State is an objective
requirement, the criteria to determine whether such requirement is fulfilled are not
set forth by the ICSID Convention and may therefore be further determined by the
Contracting Parties to the Convention.
282. In this respect, the BIT contains the following provision with regard to
the nationality of an investor:
— Article 1(2) BIT provides as follows:
« 2. “Investor” shall mean any individual or corporation of one Contracting
Party that has made, makes or undertakes to make investments in the territory of
the other Contracting Party.
a) “individual” shall mean, for each Contracting Party, an individual who is a
citizen of such Contracting Party, in compliance with the laws thereof;
b) “corporation” shall mean, in relation to each Contracting Party, any entity
incorporated in compliance with the legislation of a Contracting Party, having its
office in the territory of such Party and being recognized thereby, such as public
entities that conduct economic activities, partnerships and corporations, foundations
and associations, independent of whether liability is limited or not”.
— Par. 1 of the Additional Protocol provides as follows:
“1. With reference to Article 1:
a) Individuals of each Contracting Party who, when making an investment,
maintained their domicile for more than two years in the Contracting Party in the
territory of which the investment was made, cannot benefit of this Agreement.
If an individual of one Contracting Party maintains at the same time its
registered residence in its State and domicile in the other State for more than two
years, he/she will be considered equivalent, for the purposes of this Agreement, to
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individuals of the Contracting Party in the territory of which they made
investments.
b) The domicile of an investor will be determined in compliance with laws,
regulations and provisions of the Contracting Party in the territory of which the
investment was made”.
283. While Article 1(2) BIT focuses on the definition of the term of
« investor », the Additional Protocol sets forth further eligibility criteria for an
investor to benefit from the protection offered by the BIT. As such, these provisions
aim to define the general scope of application ratione personae of the BIT,
including but not limited to issues of nationality.
284. Within this context, Article 1(2) BIT requires that the investor be (i) with
regard to physical persons, an individual having citizenship of the other
Contracting Party, according to the latter’s laws, and (ii) with regard to
corporations, a corporation being incorporated in the other Contracting Party’s
territory in accordance with its legislation.
285. Thus, the BIT provides that the question of whether an investor is an
« investor of the other Contracting Party » in the sense of Article 8(1) BIT is
subject to the law of the Contracting State of which nationality is claimed. This can
be said to reflect Article 25 ICSID Convention, which does not impose any criteria
with regard to the determination of the nationality.
286. In addition thereto, the Additional Protocol to the BIT sets forth further
criteria of eligibility for an investor to benefit from the protection offered under the
BIT, in particular domiciliation requirements, which are to be examined under the
laws of the Host State, i.e., Argentina.
287. In summary, under the BIT, an investor must not only be of the
nationality of the other Contracting Party, but it must further fulfil the domiciliation
requirements of Par. 1 of the Additional Protocol.
(d) With regard to the Procedure to Be Followed
288. As mentioned above (§ 271), Article 8 BIT provides for three different
types of dispute settlement mechanisms and the Parties disagree on the scope and
nature of the disputes subject to these mechanisms, as well as on the interaction of
these three mechanisms. In particular, it is disputed between the Parties whether
these three mechanisms are to be considered as mere alternatives or whether they
provide for a sequential dispute resolution system implementing a mandatory
three-steps mechanism, in which arbitration constitutes the ultimate step to be
initiated only after completion of the first two steps.
289. Whilst Article 25 ICSID Convention sets forth the requirements for the
Centre’s jurisdiction, and the ICSID Arbitration Rules further set forth the specific
rules to be followed in order to initiate arbitration proceedings falling under
ICSID’s jurisdiction, the ICSID framework is silent with regard to the question of
whether such arbitration proceedings can be rendered conditional upon the
fulfilment of further requirements, and if so, what are the effects of such additional
requirements on ICSID’s jurisdiction for handling of the case.
290. Whether or not Article 8 BIT provided for additional requirements and
whether these requirements should be deemed of such nature and importance to be
an inseparable part of the Parties’ consent will be addressed below when examining
the existence and scope of the Parties’ consent to ICSID jurisdiction (see §§ 423 et
seq. and §§ 467 et seq. below).
168
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(4)
Other Relevant Legal Provisions and Principles
291. The Tribunal takes guidance from the Vienna Convention on the Law of
Treaties (« Vienna Convention ») in particular Article 31 (« General rule of
interpretation ») and 32 (« Supplementary means of interpretation »).
292. As already mentioned in the Tribunal’s Procedural Order No. 3 of 27
January 2010, this Tribunal shares the generally accepted view that the decisions
of ICSID tribunals, like those of other investment dispute settlement mechanisms,
are not legally binding precedents. Consequently, the Tribunal does not consider
itself bound by previous decisions of other international tribunals.
293. However, the Tribunal is also of the opinion that, subject to the specific
provisions of a treaty in question and of the circumstances of the actual case, it
should pay due consideration to earlier decisions of international tribunals, where
it believes that such consideration is appropriate in the light of the specific factual
and legal context of the case and the persuasiveness of the legal reasoning of these
earlier decisions.
(5)
ICSID, BIT and Mass Claims
294. The present proceedings are particular insofar as they gathered as of the
date of their initiation, on Claimants’ side, over 180,000 individuals and
corporations. In the light of this figure, the present proceedings can be qualified as
« mass claims » proceedings. The same remains true despite the recent withdrawal
of several thousands of Claimants, thereby reducing the number of remaining
Claimants to approximately 60,000 (see § 216 above), subject to the Tribunal’s
decision on whether such « withdrawal » is admissible.
295. While it has happened in the past that multiple claimants initiated ICSID
arbitration proceedings, this appears to be the first case in ICSID’s history that
« mass claims » are brought before it.
296. It is undeniable that the large number of Claimants raises a series of
questions and challenges. In particular, the large number of Claimants makes it
impossible to treat and examine each of the 180,000 claims (or 60,000 claims for
that matter) as if it were a single claim, and certain generalisations and/or group
examinations will be unavoidable. The question thus arises whether these or any
other relevant characteristics of the present « mass claims » which will be
addressed further below, may constitute a hurdle to ICSID’s jurisdiction and/or to
the admissibility of the claims (see §§ 480 and §§ 515 et seq.).
297. Neither the ICSID framework nor the BIT addresses the issue of such
mass proceedings and therefore fail to provide a clear answer to this question. Also,
the Parties disagree on how this silence should be interpreted and what it means
with regard to the present mass proceedings. While Respondent argues that, in the
light of their characteristics, mass proceedings are contrary to the system of ICSID
arbitration and were not covered by Respondent’s consent, Claimants, in contrast,
hold the view that the « mass » aspect of the claim is a mere procedural aspect,
which does not raise any issues of consent or jurisdiction, and which can thus be
duly addressed by the arbitrators under their usual power to rule upon the
procedure of the arbitration.
169
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298. Consequently, the issue of the « mass claims » will have to be addressed
under a two-fold approach: first, within the context of the Parties’ consent (see
§§ 480 et seq. below), and secondly, within the context of admissibility of the
present proceedings (see §§ 506, 515 et seq. below).
C.
THE ARBITRAL TRIBUNAL’S JURISDICTION
(1)
Introductory Remarks
299. As mentioned above (see § 250(ii) above), this section will deal with the
question of the Tribunal’s jurisdiction over the claims. In particular, it will focus
on examining whether the four basic conditions for jurisdiction are given. If so, the
Tribunal will deal with issues of admissibility in the next section.
300. Thus, after dealing with the nature of the dispute and examining whether
it arises out of the BIT ((2)) and relates to an « investment » (jurisdiction ratione
materiae) ((3)), the Tribunal will address relevant issues of nationality, capacity and
characteristics of the Parties involved (jurisdiction ratione personae) ((4)), before
examining the existence and scope of Claimants’ and then Argentina’s consent ((5)
&(6)).
[Omissis]
(4)
Between Argentina and Italian Investors - Issues 10 & 11
(a) Issues and Relevant Legal Provisions
388. It is uncontested that Argentina has the necessary capacity to be a party
to the present arbitration. Therefore, the present section will focus on determining
relevant issues concerning Claimants. These issues appear to be threefold: (i) the
issue of nationality, whereby it is contested whether Claimants qualify as « Italian »
in the sense of the BIT; (ii) the issue of legal capacity, whereby it is disputed
whether those Claimants which are corporations have the necessary capacity to be
a party to the BIT and can be protected thereunder; and (iii) the issue relating to
the « investor » status of Claimants, whereby it is disputed whether Claimants, who
have purchased their security entitlements through various layers of intermediaries,
can still be classified as the « investor, » i.e., the party having made the investment.
389. In this regard, it should be recalled that according to the First Session of
10 April 2008 and the Tribunal’s letter of 21 May 2009, the present analysis is
limited to general issues and shall not include « issues touching specifically upon
each individual claimant, » except where the presentation of the general issue (of
jurisdiction or admissibility) cannot be done without reference to a particular
situation.
390. Consequently, the present decision will not decide on whether Claimants
have the Italian nationality or necessary capacity, but it will merely confirm which
are the conditions which Claimants must fulfil so as to qualify as a party under the
BIT. With regard to the issue relating to the investor status of Claimants, the
present decision will not address the individual investor status of each Claimant.
Rather, it will be limited to address from a general perspective whether a party
170
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purchasing a security entitlement in the way Claimants allege they purchased their
security entitlements would qualify as investor in the sense of the BIT.
391. Thus, the issues to be determined by the Tribunal here are the following:
— What are the conditions under which physical persons may benefit from
the protection of the BIT, and thereby be a party to the present arbitration? (see
Issue No. 10 of the List of 11 Issues of 9 May 2008)
— What are the conditions under which juridical entities may benefit from the
protection of the BIT, and thereby be a party to the present arbitration? (see Issue
No. 11 of the List of 11 Issues of 9 May 2008), and in particular, do corporations
established under Italian law and which do not have « legal personality » benefit
from such protection and capacity?
— Does a party which acquires a security entitlement in a bond through
similar mechanisms as used in the present case for the purchase by Claimants of
their security entitlements still qualify as the party making the investment, i.e., as
the investor?
392. The key legal provisions and documents in dealing with the above issues
are the following: Article 1 BIT, Article 1 of the Additional Protocol to the BIT,
Article 25(2) ICSID Convention, and Articles 36, 75, 78 Italian Civil Procedure
Code.
393. Articles 1(2) and (3) BIT in the unofficial English translation submitted
by Claimants provides:
« 2. “Investor” shall mean any individual or corporation of one Contracting
Party that has made, makes or undertakes to make investments in the territory of
the other Contracting Party.
(a) “individual” shall mean, for each Contracting Party, any individual who is
a citizen of such Contracting Party, in compliance with the laws thereof.
(b) “corporation” shall mean, in relation to each Contracting Party, any entity
incorporated in compliance with the legislation of a Contracting Party, having its
office in the territory of such Party and being recognized thereby, such as public
entities that conduct economic activities, partnerships and corporations, foundations
and associations, independent of whether their liability is limited or not.
3. For the purposes of this Agreement, legal deeds and capacity of
corporations in the territory of the Contracting Party receiving the investment will
be governed by the legislation of that Contracting Party. »
394. In comparison thereto, the relevant parts of Article 1(2) BIT as published
in the Boletı́n Oficial de la República Argentina No. 27.480 of 25 September 1992
provide as follows:
« 2. El término “inversor” comprende toda persona fı́sica o jurı́dica de una
Parte Contratante que haya realizado, realice o haya asumido la obligación de
realizar inversiones en el territorio de la otra Parte Contratante.
— Por “persona fı́sica” se entiende, con relación a cada una de las Partes
Contratantes, toda persona fı́sica que tenga la ciudadanı́a de ese Estado, de acuerdo
a sus leyes.
— Por “persona jurı́dica” se entiende, con relación a cada una de las Partes
Contratantes, cualquier entidad constituido de conformidad con la legislación de
una Parte Contratante, con sede en el territorio de esa Parte y por esta ultima
reconocida, tales como entidades públicas que realizan actividades económicas,
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sociedades de personas o de capitales, fundaciones y asociaciones,
independientemente de que su responsabilidad sea limitada o no.
— A los efectos del presente Acuerdo, los actos jurı́dicos y la capacidad de
cada persona jurı́dica en el territorio de la Parte Contratante donde se efectúa la
inversión serán regulados por la legislación de esta última. »
395. As to the official Italian version of Article 1(2) and 3 of the Italian text
of the Argentina-Italy BIT, it provides as follows:
« 2. Per “investitore” si intende ogni persona fisica o giuridica di una Parte
Contraente che abbia effettuato, effettui o abbia assunto obbligazione di effettuare
investimenti nel territorio dell’altra Parte Contraente.
a. Per “persona fisica”si intende, per ciascuna Parte Contraente, una persona
fisica che abbia la cittadinanza di tale parte, in conformità a le sue leggi.
b. Per “persona giuridica”si intende, con riferimento a ciascuna Parte
Contraente, qualsiasi entità costituita conformemente alla normativa di una parte
Contraente, con sede nel territorio di tale Parte e da quest’ultima riconosciuta,
come Enti pubblici che esercitino attività econonmiche, società di persone o di
capitali, fondazioni, associazione e, questo, indipendentemente dal fatto che la loro
responsabilità sia limitata o meno.
3. Agli effetti del presente Accordo, gli atti giuridici e la capacità di ciascuna
persona giuridica nel territorio della Parte Contraente destinataria di un
investimento, saranno regolati dalla legislazione di quest’ultima. »
396. In addition, Article 1 Additional Protocol to the BIT provides as follows
in the various languages:
(i) In the unofficial English version:
« 1. With reference to Article 1:
a) Individuals of each Contracting Party who, when making an investment,
maintained their domicile for more than two years in the Contracting Party in the
territory of which the investment was made, cannot benefit of this Agreement.
If an individual of one Contracting Party maintains at the same time its
registered residence in its State and domicile in the other State for more than two
years, he/she will be considered equivalent, for the purposes of this Agreement, to
individuals of the Contracting Party in the territory of which they made
investments.
b) The domicile of an investor will be determined in compliance with laws,
regulations and provisions of the Contracting Party in the territory of which the
investment was made. »
(ii) In the official Spanish version:
« Con referencia al Articulo 1:
a) No podrán prevalerse del Acuerdo las personas fisicas de cada Parte
Contratante que, al momento de efectuar la inversión, hubieran tenido su domicilio
por más de dos anós en el territorio de la Parte Contratante donde la inversión se
realizó.
En caso que una persona fı́sica de una Parte Contratante tuviera
simultaneamente residencia registrada en su paı́s y domicilio por más de dos años
en el de la otra Parte Contratante se equiparará, a los fines del presente Acuerdo,
a las personas fı́sicas nacionales de la Parte Contratante en cuyo territorio se realizó
la inversión.
b) El domicilio de un inversor será determinado de conformidad con las leyes,
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reglamentos y disposiciones de la Parte Contrante en cuyo territorio se realizó la
inversión. »
(iii) In the Italian official version:
« 1. Con riferimento all’Articolo 1:
a) Non potranno beneficiare dell’Accordo le persone fisiche di ciascuna Parte
Contraente le quali, al momento di effettuare un investimento, abbiano mantenuto
il loro domicilio per più di due anni nella Parte Contraente nel cui territorio
l’investimento sia stato realizzato.
Qualora una persona fisica di una Parte Contraente mantenga contemporaneamente la residenza anagrafica nel proprio Paese ed il domicilio per più di due anni
nell’altro, essa verrà equiparata, ai fini del presente Accordo, alle persone fisiche
della Parte Contraente nel cui territorio abbia realizzato investimenti.
b) Il domicilio di un investitore sarà determinato in conformità alle leggi,
regolamenti e disposizioni della Parte Contraente nel territorio della quale
l’investimento sia stato realizzato. »
397. Article 36 Italian Civil Code in its original Italian version provides as
follows:
« Art. 36. Ordinamento e amministrazione delle associazioni non riconosciute
L’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute
come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati.
Le dette associazioni possono stare in giudizio nella persona di coloro ai
quali, secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la direzione (c.p.c. 75,
78). »
398. Partly based on the translation provided by Prof. Picardi, which the
Tribunal considers to be a fair reflection of the Italian version, Article 36 can be
translated as follows:
« Art. 36. Organisation and administration of non-recognized associations
The internal organization and administration of associations not recognized
asjuridical persons are regulated according to the association agreement.
Said associations may stand in court through the person who, in accordance
with such agreement, holds the office of president or director (Civil Procedure Code
75, 78). »
399. Article 75 and 78 Italian Civil Procedure Code in their original Italian
version provide as follows:
« Art. 75. (Capacità processuale)
Sono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei
diritti che vi si fanno valere.
Le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in
giudizio se non rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano
la loro capacità.
Le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a
norma della legge o dello statuto.
Le associazioni e i comitati, che non sono persone giuridiche, stanno in
giudizio per mezzo delle persone indicate negli artt. 36 e seguenti del codice civile.
[...] »
Art. 78. (Curatore speciale)
Se manca la persona a cui spetta la rappresentanza o l’assistenza, e vi sono
ragioni di urgenza, può essere nominato all’incapace, alla persona giuridica o
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all’associazione non riconosciuta un curatore speciale che li rappresenti o assista
finché subentri colui al quale spetta la rappresentanza o l’assistenza.
Si procede altresı̀ alla nomina di un curatore speciale al rappresentato, quando
vi è conflitto d’interessi col rappresentante. »
400. These provisions can be translated as follows:
« Art. 75. (Capacity to stand in a legal proceeding)
Those who can freely exercise rights as object of a claim can stand in a
corresponding legal proceeding. Those who cannot freely exercise rights cannot
stand in a corresponding legal proceeding if they are not represented, assisted or
authorized according to the rules governing their legal capacity. Legal entities stand
in a proceeding through the person that legally represents them according to the
law or their article of association. Associations and committees, who are not a legal
entity, stand in a legal proceeding through the individuals indicated by Articles 36
et seq. of the Civil Code.
[...]
Art. 78. (Guardian ad litem)
As long as the person entitled to the representation or assistance is and
remains absent and there are grounds for urgency, a guardian ad litem can be
appointed to represent individuals who are lacking legal capacity, legal entities or
non-recognized associations. The guardian ad litem will leave its office upon
intervention of the person entitled to the representation or assistance. A guardian
ad litem is also appointed in case of conflict of interests between the legal
representative and the individual or entity which is represented in the proceeding. »
(b) Parties’ Positions
401. Respondent submits that the Tribunal lacks jurisdiction ratione personae
with regard to Claimants who are natural persons. Respondent’s main arguments
are as follows:
(i) Claimants are not investors within the meaning of Article 1(2) BIT because
(i) Claimants did not make an investment in the territory of the Argentine Republic,
and (ii) Claimants lack standing because in their capacity as holders of security
entitlements acquired through multiple intermediaries they are only remotely
connected with the underwriters and the underlying bonds;
(ii) Claimants have failed to provide any evidence whatsoever of compliance
with the nationality requirements of Article 25 ICSID Convention and the
nationality and domicile requirements of the BIT and its Additional Protocol.
Referring to arbitral tribunals, Respondent contends that the nationality requirement
of a claim before an ICSID tribunal has in each case to be satisfied before an ICSID
proceeding can be initiated or even registered. With regard to natural persons,
Respondent has serious doubts that the individual Claimants listed in Annexes A
and B meet the nationality and domicile requirements and submit that there is a
high likelihood of the existence of thousands of cases of dual nationality. With
regard to juridical persons, Respondent contends that to qualify as a « juridical
person » under Article 1(2) BIT the concerned entity must have legal personality,
which is not the case of apprpoximately 40% of the Claimants listed in Annex C
such as « associazione non-riconosciuta, » ecclesiastical associations, local
branches of national associations, trade unions, political parties, ecc.
402. In contrast, Claimants contend that the Tribunal has jurisdiction ratione
personae pursuant to Article 25 ICSID Convention and Article 1(2) BIT and its
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Protocol over each and every Claimant who (i) is a natural person and who was an
Italian national on 14 September 2006 and 7 February 2007, was not an Argentine
national at either of those dates, and was not domiciled in the Argentine Republic
for more than two years prior to making his or her investment; and (ii) is a juridical
entity that on 14 September 2006 was duly organized under Italian law with its
principal place of business in Italy and that did not have Argentine nationality on
that date.
403. With regard to Respondent’s objections, Claimants requests the Tribunal
to reject them based on the following main arguments:
(i) Respondent does not contest the principle that the Tribunal has jurisdiction
over the Claimants fulfilling the above mentioned requirements, but raises
objections based on the standing of individual Claimants and lack of specific
evidence;
(ii) These objections are improper at this stage of the proceedings. Respondent
is trying to arbitrate the factual issues pertaining to each Claimant’s standing
contesting the prima facie evidence of nationality. The task of establishing
nationality is a task that the Tribunal expressly postponed until after it has made a
determination that it has jurisdiction over the claim;
(iii) Claimants contend that they will submit adequate evidence of nationaliy
in due time, such information being already available in Claimants’ database;
(iv) With regard to juridical persons, Respondent’s objection regarding the
alleged lack of legal personality is inapposite. Claimants contend that legal
personality is not a prerequisite to qualify as juridical person under Article 1(2)
BIT. Since the definition of « juridical person » of Article 1(2) lit. b BIT expressly
includes foundations and associations, independent of whether their liability is
limited or not, Claimants contend that the term « juridical person » does not solely
refer to entities with legal personality. According to Claimants, the relevant element
to determine whether a Claimant is a juridical person under Article 1(2) lit. b BIT
is whether it has the right to litigate. All entities involved have such right.
(c) Tribunal’s Findings
(i) Jurisdiction Rationae Personae — In General
404. As already set forth above (see §§ 280-287 and 392-396), the Tribunal’s
jurisdiction ratione personae derives from, Article 1(2) BIT and Article 1
Additional Protocol to the BIT, Article 25 ICSID Convention and has to be
established based on the requirements set forth therein.
405. In other words, as called to decide on a dispute arising out of the BIT,
the Tribunal has jurisdiction ratione personae over any person, who is entitled to
claim protection under this BIT and who has the capacity to conduct arbitration
thereunder.
406. The question thus is under what conditions Claimants can be considered
to be entitled to claim protection under the BIT and have capacity to be a party to
the present arbitration.
(ii) With regard to Natural Persons
407. Based on the relevant legal provisions and as described above (see
§§ 280-287 and 392-396), in order to benefit from the protection of the BIT and be
a party to the present ICSID arbitration conducted thereunder, a physical person
must:
(i) Have the Italian nationality on the relevant date, such date being the date
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on which the Parties consented to arbitration (in case the date of filing of the
Request for Arbitration, see § 49 above), i.e., 14 September 2006, as well as the
date of registration of such Request, i.e., 7 February 2007. The question of whether
a person has on such date the Italian nationality is subject to Italian law;
(ii) Not have the Argentinean nationality on neither of the relevant dates. The
question of whether a person has Argentinean nationality is subject to Argentinean
law;
(iii) Not have been domiciled in the Argentine Republic for more than two
years prior to making the investment. The question of whether a person has been
domiciled in Argentina is subject to Argentinean law;
(iv) Have made an investment, which falls within the scope of the BIT.
408. It appears that these conditions are actually not contested by Respondent,
whose objections relate to whether these conditions are fulfilled.
409. Whilst it is true that in order to establish the Tribunal’s jurisdiction
ratione personae these conditions need to be fulfilled with regard to each Claimant,
the present decision does not aim at making a determination with respect to any
individual Claimant and only aims to determine the general conditions for its
jurisdiction over such Claimants. Insofar, it is not necessary at this stage to
determine whether the information submitted by Claimants so far sufficiently
evidences the fulfilment of these conditions.
410. Thus, Respondent’s doubts as to the nationality or domicile of certain
Claimants are irrelevant at this stage.
411. With regard to Respondent’s objection as to the quality of investors of
Claimants, it is based on the allegedly remote connection between the security
entitlements and the original underwriters and underlying bonds. This objection has
to be rejected for the Tribunal has come to the conclusion, in the preceding section
(see § 358 above), that not only the bonds themselves, but also any security
entitlement held in those bonds and distributed by the Participants and other
Intermediaries to Claimants constitute an investment in the sense of Article 1 BIT
and Article 25 ICSID Convention. Thus, to the extent that Claimants are holders of
such security entitlements, they are to be considered « investors » under the terms
of the BIT and subject to the Tribunal’s jurisdiction ratione personae.
412. Consequently, at this stage of the proceedings, it is sufficient to establish
that pursuant to the relevant legal provisions, the Tribunal has jurisdiction ratione
personae over each and any Claimant being a natural person (i) with Italian
nationality on 14 September 2006 and 7 February 2007, (ii) who on either date was
not also a National of the Argentine Republic, (iii) who was not domiciled in the
Argentine Republic for more than two years prior to making the investment, and
(iv) has made an investment falling under the scope of the BIT, whereby Claimants
having purchased a security entitlement in one of the concerned bonds issued by
Argentina are to be considered « investors. »
(iii) With regard to Juridical Persons
413. Based on the relevant legal provisions and as described above (see
§§ 280-287 and 392-396), in order to benefit from the protection of the BIT and be
a party to the present ICSID arbitration conducted thereunder, a juridical person
must:
(i) Have the Italian nationality on the relevant date, such date being the date
on which the Parties consented to arbitration (in casu, the date of filing of the
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Request for Arbitration, see § 91 above), i.e., 14 September 2006. The question of
whether a person has on such date the Italian nationality is subject to Italian law.
As transposed into the BIT, this requirement of « nationality » means that the
concerned juridical person must be an Italian « corporation » in the sense of Article
1(2)(b) BIT, i.e., an entity incorporated in compliance with the legislation of Italy,
having its office in the territory of Italy and being recognized thereby.
(ii) Have made an investment, which falls within the scope of the BIT.
414. Respondent’s objections are manifold. Insofar as they do not relate to the
basic principles, but rather to whether the above-mentioned conditions have been
fulfilled, they will be disregarded at this stage of the proceedings. Respondent
however also contends that the concept of corporation set forth in Article 1(2)(b)
BIT applies only to corporations possessing legal personality under Italian law, and
further reiterates its objection as to the quality of investors of Claimants due to the
allegedly remote connection between the security entitlements and the bonds.
415. With regard to the latter objection, it has to be rejected for the same
reasons as mentioned above (see § 411).
416. With regard to the nature of the capacity necessary for corporations to
benefit from the protection of the BIT and be a party to the present arbitration, the
Tribunal is of the opinion that neither Article 1(2)(b) BIT nor Article 25 ICSID
Convention limits the scope of eligible entities to those having full legal capacity,
and also encompasses entities which enjoy limited civil capacity to the extent that
such entities have the capacity to make an investment under the BIT and further to
sue and to be sued.
417. The reasons are the following:
(i) Based on the wording of Article 1(2)(b) BIT and the situation under Italian
law, it has to be concluded that not only entities with full legal capacity qualify as
« juridical persons » under Article 1(2)(b) BIT. Under Article 36 Italian Civil Code
(quoted at § 397 above), associations not recognized as legal entities (hereinafter
« non-recognized associations ») have the procedural capacity to stand in court and
to be represented by their president or director. In other words, whilst
non-recognized associations may not have legal personality, they possess certain
attributes of legal personality and in particular the right to sue and to be sued. To
the extent that the relevant Claimants had the capacity to make the relevant
investment, and that they also have the statutory right to litigate in their own
names, and that their constituents all have the requisite nationality, the « juridical
person » requirement of Article 25(2)(b) ICSID Convention must be considered
satisfied.
(ii) The ICSID Convention does not define the concept of juridical person,
and does in particular not expressly require a non-natural investor to have specific
legal personality. Thus, although this question is controversial, the Tribunal finds
that the ICSID Convention does not provide for a clear « yes or no » answer and
that the specific requirements regarding the legal personality of a non-natural
investor therefore eventually depends on the scope ratione personae of the relevant
BIT and the legal capacity required for a non-natural investor to acquire an
investment protected by the BIT under the law applicable to such investor and to
sue or be sued in its own name with regard to such investment.
(iii) Where a non-natural investor falls within the definition of juridical
persons provided for in the BIT, and where such investor has under the law
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applicable to it the legal capacity to acquire an investment protected under the BIT
and to sue and to be sued, it would be contrary to the purpose of the BIT and the
ICSID Convention to deny such investor the capacity to initiate ICSID arbitration.
Indeed, it would make no sense to allow on one hand an investor to make an
investment protected under the BIT, and deny on the other hand such investor the
right to invoke protection under the BIT for violation of the rights attached to such
investment.
418. Having regard to these considerations, the Tribunal finds that in order to
qualify as « juridical person » under Article 1(2)(b) BIT it is sufficient that Italian
law affords those Claimants who constitute entities or other forms of organizations
with the capacity to make the investment and the right to litigate in their own name.
It is not necessary that they be granted full legal personality under Italian law.
419. In the light of the limited scope of the present decision, it is not
necessary at this stage to determine which of the Claimants constitute entities in the
sense of Article 1(2)(b) BIT.
420. In addition, in order to benefit from the protection of the BIT and be a
party to the present arbitration, these entities must fulfil the criteria of « Italian
nationality. » According to general international law, applied to corporate entities
and other forms of organizations, the nationality requirement means that such
entities and organizations must be duly constituted and organized under Italian law
and/or have their “siège social” in Italy. These requirements do not really seem to
be disputed between the Parties, Respondent’s objections focusing solely on
whether they have been met. This question is however premature at this stage and
will be examined when dealing with questions relating to individual Claimants (see
§ 227 above).
421. Consequently, at this stage of the proceedings, it is sufficient to establish
that pursuant to the relevant legal provisions the Tribunal has jurisdiction ratione
personae over each and any Claimant being a juridical person with Italian
nationality on 14 September 2006, meaning that it was on such date constituted in
compliance with the legislation of Italy, had its siège social in the territory of Italy,
and was recognized by Italian law in the sense that it had the civil capacity to make
such investment and to litigate in its own name.
(d) Conclusion
422. In conclusion, and in response to Issues Nos. 10 and 11, the Tribunal
finds that without making a determination with respect to any individual Claimant,
it has jurisdiction ratione personae pursuant to Article 1(2) BIT, and its Additional
Protocol, and Article 25 ICSID Convention, over each Claimant:
(i) who is a natural person and who ultimately is found:
— to have had Italian nationality on 14 September 2006 and 7 February 2007;
— not to also have had Argentinean nationality on either of such dates;
— not to have been domiciled in the Argentine Republic for more than two
years prior to making the investment;
— to have been an investor as of the date of the alleged breach by Argentina
of its treaty obligations.
(ii) who is a juridical person and who ultimately is found to have had the
Italian nationality on 14 September 2006, meaning that it:
— was on such date constituted in compliance with the legislation of Italy;
— had its siège social in the territory of Italy; and
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— was recognized by Italian law in the sense that it had the civil capacity to
make an investment under the BIT and to litigate in its own name, without
necessarily having full legal personality.
(5)
Subject to the Claimants’ Written Consent — Issue 2
(a) Issues and Relevant Legal Provisions
423. It is contested between the Parties whether Claimants validly consented
to submit the present dispute to ICSID jurisdiction. In particular, Respondent
challenges the validity of the TFA Mandate Package and contends that the mandate
given by Claimants in this TFA Mandate Package is not fit to constitute a consent
in the sense of Article 25(1) ICSID Convention. Claimants, on the other hand,
contest Argentina’s entitlement to challenge the validity of Claimants’ consent.
424. Again, in accordante with the limits of the jurisdictional phase, the
present decision will not decide whether each Claimant has validly consented to the
present arbitration. The Tribunal will limit its analysis to the question whether
Claimants’ consent, as expressed in the relevant documents of the TFA Mandate
Package, is fit to constitute a valid consent to the present ICSID arbitration taking
into account the representation mechanism implemented by the TFA Mandate
Package.
425. Thus, the specific issues to be determined by the Tribunal here are the
following:
— What is the law applicable to the question of the validity of the Parties’
consent?
— How far need the Tribunal go when examining the existence of consent to
ICSID arbitration? In particular:
(i) Is the Tribunal’s scope of examination limited to the mere existence of a
consent, or does it further extend to the validity of such consent?
(ii) If extending the Tribunal’s scope of review also to the validity of such
consent, what are the relevant validity requirements? In this respect, does the
multiplicity of Claimants impose certain additional requirements as to the form and
content of Claimants’ consent to arbitration?
(iii) What is the relevance and consequence of the argument that Argentina
lacks standing to challenge the validity of Claimants’ consent?
— To the extent specific requirements apply to the validity of the consent, are
these requirements fulfilled (see Issues 2(a) & 2(b) of the List of 11 Issues of 9
May 2008)? In particular:
(i) What is the role and effect of the TFA Mandate Package, other thereto
related documents and the Request for Arbitration with regard to Claimants’
consent?
(ii) What is the role and impact on Claimants’ consent of the alleged conflict
of interest allegedly affecting TFA?
(iii) Can the consent provided for in the TFA Mandate Package be considered
« irrevocable » in the sense of Article 25(1) ICSID Convention.
426. The key legal provisions and other documents in dealing with the above
issues are the following: Article 8 BIT, Article 25(1) ICSID Convention, the TFA
Mandate Package, and Rule 18 ICSID Arbitration Rules.
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427. As to the specific content and wording of the TFA Mandate Package, it
is set forth above in §§ 86-89.
(b) Parties’ Positions
428. Respondent contends that Claimants have not validly consented to the
present ICSID arbitration, based mainly on the following arguments:
(i) Claimants’ consent does not fulfill the applicable substantive requirements:
First, Respondent contends that Claimants’ consent is vitiated by TFA’s conflict of
interests (which aims to protect the Italian banks from their liability towards
Claimants), and was obtained through TFA’s misrepresentations and non-disclosure
of relevant information. As such, it was given in violation of the good faith
principle and has been fraudulently obtained. TFA’s improper conduct is evidenced
by the existence of counterfeited signatures on the relevant documents of the TFA
Mandate Package. Second, the terms of the TFA Mandate Package provide TFA
with full control over the arbitration and deprives Claimants’ of basic procedural
rights, which is inadmissible. Claimants can therefore not be considered to be
legitimately represented by TFA and White & Case in these proceedings and may
therefore not be deemed to have validly consented to the present arbitration. Third,
Claimants have not agreed to the « irrevocability » of the purported consent
represented in the TFA Mandate, and can therefore not perfect an ICSID arbitration
agreement.
(ii) Claimants’ consent does not fulfill the applicable form requirements:
Respondent contends that according to Italian law, the Powers of Attorney issued
to TFA and White & Case should have been executed in front of a notary. This has
not been done. In addition thereto, there exist strong doubts about the authenticity
of the Claimants’ signature on the relevant documents of the TFA Mandate
Package, including the Power of Attorneys. Thus, the relevant Powers of Attorney
are invalid and Claimants can therefore not be considered to have validly consented
to the present ICSID arbitration.
429. In contrast, Claimants contend that they have validly consented to submit
a dispute like the present one to ICSID arbitration. Claimants submit that their
consent is fully valid, based on the following main arguments:
(i) Claimants validly consented in writing to arbitrate this dispute (through the
signature of the Power of Attorney), which is all that is required as a matter of
international law. The documentation Claimants submitted is more than sufficient
to demonstrate Claimants’ consent and there is no ground for the Tribunal to
second-guess Claimants’ consent;
(ii) The role of TFA is irrelevant in determining whether Claimants consented
to arbitrate;
(iii) In any event, TFA’s role is entirely proper. Argentina’s allegation of fraud
is wrong and based on the speculative assertion that Claimants have a claim against
the Italian banks. Further, there is no conflict of interest; on the contrary, TFA and
Claimants have a convergent interest to win these proceedings;
(iv) Formal requirements of Italian law are not applicable to the Powers of
Attorneys, which are subject to the law of the District of Columbia;
(v) Respondent’s policy argument as to the impact of an ICSID arbitration on
sovereign debt restructuring are irrelevant and inaccurate.
(c) Tribunal’s Findings
(i) Law Applicable to the Question of Consent
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430. As mentioned above (see § 274), Article 8 and in particular Article 8(3)
contemplate the Parties’ consent required under Article 25(1) ICSID Convention.
It is widely acknowledged that the question of the existence and validity of consent
in the sense of Article 25(1) ICSID Convention is not subject to the law applicable
to the merits designated in Article 42 ICSID Convention, but rather to Article 25
ICSID Convention itself and the instruments expressing such consent. This is also
the view of the present Tribunal, which considers that questions of consent under
Article 25 ICSID Convention are subject to principles of international law, and not
pursuant to any particular national law. This applies not only with regard to the
material content of the consent, i.e., to its substantive validity, but also with regard
to its form, i.e., to its formal validity. In this respect, Article 8(7) BIT, which refers
to the law applicable to the merits of the dispute in the sense of Article 42 ICSID
Convention, is irrelevant for the determination of the existence of consent.
(ii) Scope of Examination of the Tribunal
431. It is undisputed that the Tribunal must verify the existence of a consent,
as an objective condition to its jurisdiction (see § 258 above). However, the
question of the scope of such examination arises: How far does the examination of
the Tribunal need to go in order to verify the existence of consent? And, in
particular, is such examination limited to the existence of consent, or should it
extend also to the formal and substantive validity of such consent? What, if any,
are the documents or other evidence that may be required from Claimants to verify
the existence and/or validity of such consent?
432. With regard to the formal requirements, Article 8 BIT does not appear to
impose any specific form requirement, whilst Article 25(1) ICSID Convention only
requires the consent to be in « written » form. No notarization or supplementary
other procedure is requested.
433. With regard to the substantive requirements, both Article 8 BIT and
Article 25(1) ICSID Convention are silent and there are no internationally
recognized specific rules regarding such requirements. In addition, Article 25(1)
ICSID Convention does not require the submission of any particular document or
evidence. This question is therefore to be assessed by the Tribunal.
434. As such, one could argue that a tribunal’s role is limited to the
examination of the existence of a written document, incorporating the parties’
consent to submit the dispute to ICSID arbitration, without further examination
regarding other aspects of such consent.
435. However, the Tribunal’s view is that such an approach may — depending
on the circumstances — not give sufficient regard to the crucial role of consent,
which constitutes the cornerstone of ICSID and BIT arbitration. Under the
particular circumstances of the present case and the nature and scope of
Respondent’s objections, the Tribunal considers that it not only has the duty to
examine the existence of a written document incorporating a consent to submit the
present dispute to ICSID arbitration, but it should also ask itself whether such
consent reflected Claimants’ sincere intention.
(iii) Relevant Substantive Validity Requirements
436. As mentioned above (see § 435), the Tribunal believes that in the present
case its examination regarding consent should go beyond the mere formal existence
of the consent. In this respect, the Tribunal finds that reference should be made to
international law and in particular the general principles of law requiring that
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anyconsent be genuine and intended, i.e., free from coercion, fraud and/or from any
essential mistake.
437. Thus, consent that was not freely given, i.e., given under threats or
coercion, was in fraudulently induced, or was based on an essential mistake may
not constitute a valid consent under general principles of law. It is generally
admitted that under such circumstances the party, who is victim of coercion, fraud
or mistake may avoid the contract. The Tribunal holds that the same principle
should apply to the concept of consent under Article 8(3) and Article 25(1) ICSID
Convention.
438. At this point, a distinction should be drawn between the genuine
character of the consent and the motivations lying behind this consent. The reasons
why a person decides to give its consent to a specific commitment are in principle
irrelevant for it to be valid, provided they are based on a correct understanding of
the underlying facts and law. In other words, an investor who consents to ICSID
arbitration must understand and want to initiate ICSID arbitration as a dispute
resolution means for the dispute at stake. The reasons why such investor opts for
ICSID arbitration, the question whether or not the decision to give its consent is a
« good » decision, e.g., whether it is the best way to get the sought redress or
whether there may be further more suitable options, is in contrast irrelevant for the
validity of the consent, provided such consent was free and informed.
439. With regard to the « irrevocability » of the consent, this irrevocability is
not a prerequisite of a valid consent but rather a consequence of the existence of a
valid consent: If a party has validly consented to ICSID arbitration, such consent is
irrevocable. Thus, although irrevocability and validity go hand in hand,
irrevocability does not constitute a separate validity requirement. Thus, whilst it is
necessary, it is also sufficient that the party giving its consent be aware of and
agrees with such irrevocable nature.
440. Consequently, the Tribunal shall examine not only the existence of a
written document incorporating consent, but also the validity of such consent,
whereby the only relevant validity requirement is that such consent be given in a
free and informed manner. Other validity requirements which may apply under
national laws to specific kinds of contracts or actions are however irrelevant and
will not be taken into account by the Tribunal.
(iv) Argentina’s Standing to Challenge Claimants’ Consent
441. Claimants contend that Argentina does not have standing to challenge
Claimants’ consent and that such challenge could only be raised by Claimants
themselves.
442. Indeed, the avoidance of a contract based on a coercion, fraud or mistake
is in principle reserved to the party whose consent is affected by such flaw. It can
in principle not be invoked by the other party, who has validly consented to the
contract.
443. However, the particularity of the case is that the alleged fraud and/or
mistake is alleged to have been caused by a third party, TFA. The question
therefore arises whether the party, validly bound by its own consent, can invoke the
other party’s flawed consent to challenge the validity of the contract.
444. Considering (i) the crucial role of consent in ICSID and BIT arbitration,
(ii) the relevant third party, i.e., TFA’s role in the present dispute, and (iii) the fact
that Argentina had no link with or control over TFA, the Tribunal considers that
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Argentina is not precluded from invoking a lack of consent from Claimants in
relation to TFA’s role and behaviour.
445. However, this does not mean that all of Respondent’s arguments are
admissible or otherwise fit to establish a lack of consent. The Tribunal shall stick
to the scope of examination and the validity requirements described above
(§§ 431-440) and address only those arguments which fall within the scope of such
examination. In addition, when proceeding to such examination, the Tribunal shall
give due regard to the fact that Claimants themselves do not invoke such lack of
consent, which may impose a higher standard of proof than if the mistake or fraud
is invoked by the affected party itself.
(v) Existence and Validity of Claimants’ Consent
446. As mentioned above (§ 258), within the context of BIT based arbitration,
it is widely admitted that consent is given through the initiation of ICSID
proceedings, which constitutes the acceptance by an investor of the Host State’s
offer to arbitrate. Thus, it is the Request for Arbitration that embodies the consent
of the investor, unless the investor has otherwise previously expressed its consent,
e.g. in a notice of dispute. Where such Request is filed by a lawyer, that lawyer
must be duly authorized to do so, based on an appropriate power of attorney. In
other words, in such a circumstance, it is the power of attorney instructing the
lawyer to launch the arbitration proceedings on behalf of the investor and the
request thereby filed by the empowered attorney which contain and simultaneously
constitute the consent of the investor.
447. As mentioned before (see § 430 above), the validity of such power of
attorney as embodiment and expression of an investor’s consent is thus subject to
general principles of international law. Indeed, one must distinguish the validity of
the power of attorney itself and the validity of the consent embodied therein. While
the former is a matter of procedure (and thereby of admissibility) and is regulated
in Rule 18 ICSID Arbitration Rules, the latter is a matter of jurisdiction and subject
to the law applicable to the consent itself, i.e., international law.
448. Therefore, objections regarding the formal invalidity of a power of
attorney would — if at all — be relevant under Rule 18 ICSID Arbitration Rules.
In this respect, it should be stressed that the filing of ICSID arbitration is not an
action reserved to lawyers admitted to practice in a specific jurisdiction or bar. It is
open to any investor, irrespective of its legal qualifications and such investor is not
required to resort to the assistance of a lawyer, although such assistance may in
practice be highly recommended. Consequently, even if lawyers are asked to
intervene by preparing and participating to the ICSID proceedings on the investor’s
behalf, there is no reason to impose on such lawyers and their principal specific
limitations or restrictions existing in their home jurisdiction and applicable to
domestic court or arbitration proceedings. This is so irrespective of whether or not
lawyers are, under the locally applicable professional rules, prevented from
representing or limited in the way of representing such an investor in ICSID
arbitration, and may engage their liability towards their client and/or relevant
authorities in their home jurisdiction. It may, under certain circumstances, further
raise questions with regard to the admissibility of the arbitration proceedings
initiated by such lawyers (see §§ 506 et seq. below). It may however in principle
not affect the validity of Claimants’ consent to ICSID arbitration, unless the
circumstances at hand simultaneously constitute a fraud, a coercion or a mistake in
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the sense described above (see §§ 436-440) and being the basis for the investor’s
consent.
449. Thus, the core question in order to determine the validity of Claimants’
consent is the following:
In view of the content and specificities of the TFA Mandate Package, the
alleged circumstances surrounding its signature and the representation mechanism
implemented by such Package, can Claimants’ consent to ICSID arbitration still be
considered a free and informed consent?
450. The TFA Mandate Package is composed of (i) the TFA Instruction Letter,
(ii) the Power of Attorney, (iii) the TFA Mandate, and (iv) additional questionnaires
and instructions, as further described above (see §§ 85-89).
451. The TFA Instruction Letter provides in section 8 thereof some « basic
rules that the conduct of the ICSID arbitration on behalf of numerous Italian
Investors makes it necessary to impose on all of [the bondholders]. » These rules
focus mainly on two issues: (i) the eligibility of a person to participate in the ICSID
arbitration, and (ii) rules concerning the conduct of such arbitration:
— With regard to the eligibility requirements, the TFA Instruction Letter
requires that a person wishing to participate in the ICSID arbitration must be an
« investor, » i.e., hold a security entitlement in the relevant Argentine bonds. In
addition thereto, the TFA Instruction Letter sets forth that anyone who intends to
initiate ICSID arbitration may not bring — as long as the arbitration proceedings
are ongoing — any legal action in Italy against any credit institution, i.e., bank, that
sold the bonds to them. The TFA Instruction Letter justifies this restraint by an
alleged risk that legal proceedings against the banks may lead to the annulment of
the purchase of the bonds, which in turn would annihilate the status of « investor »
of the concerned person. Nevertheless, the TFA Instruction Letter also provides that
it is possible for the « investors » to change their mind and revoke the mandates
related to the ICSID arbitration, whereby a revocation of these mandates in
principle triggers the investor’s withdrawal from the ICSID proceeding. It is further
mentioned that the running of the statute of limitations for claims against the banks
will not be tolled by the participation to the ICSID proceeding.
— With regard to the rules concerning the conduct of the arbitration, the TFA
Instruction Letter introduces and explains the role of TFA and the appointed
lawyers White & Case, further described in the TFA Mandate. Based on these two
documents, TFA is given all powers to take any action necessary to conduct the
arbitration and/or settle the dispute, without direct consultation with Claimants,
who are deprived of the right to give instructions either to TFA or to White & Case.
The TFA Instruction Letter and the TFA Mandate justify this restraint as necessary
for reasons of coherence and uniformity of representation of all Italian
bondholders, and base it on the principle that TFA’s role is to act in the collective
interest of all bondholders.
452. Based on the TFA Instruction Letter and the TFA Mandate, as well as
the supplementary documentation included in the TFA Mandate Package, each
Claimant then had to sign a Power of Attorney, in which it (i) declared being a
holder of relevant Argentine bonds, (ii) declared giving its irrevocable consent to
submit to ICSID arbitration and to accept Argentina’s offer to arbitrate contained
in Article 8 BIT, and (iii) conferred to White & Case the power to initiate and
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conduct on its behalf the ICSID arbitration and other actions necessary to manage
the Claimant’s rights as deriving from its status as bondholder.
(vi) Existence of a Clear Consent to ICSID Arbitration
453. The Tribunal holds that the Power of Attorney constitutes a written
power of attorney and contains a clear and unambiguous expression of irrevocable
consent by the relevant Claimant to initiate ICSID arbitration against Argentina in
relation to its non-payment of amounts due under the relevant bonds, and to entrust
White & Case with the conduct of such arbitration. Based thereon, this Power of
Attorney constitutes a written consent in the sense of Article 25(1) ICSID
Convention.
454. Further, the Tribunal finds that:
— Whether or not this Power of Attorney also complies with Italian law or
law of the District of Columbia is irrelevant for the purpose of assessing its validity
under Article 8 BIT and Article 25(1) ICSID Convention. This conclusion is based
on the assumption that the Powers of Attorney were signed by the relevant
Claimants. The argument of a possible falsification of certain signatures is
irrelevant at this stage, and will — if necessary — be examined when dealing with
issues relating to individual Claimants.
— Further, objections relating to the validity of the Power of Attorney itself
fall under Rule 18 ICSID Arbitration Rules and are not of a nature to challenge the
validity of the consent embodied therein (see § 448 above).
— In addition, Claimants’ intention to participate to the ICSID proceedings is
further confirmed by the series of further documents, such as copies of
identification documents and documents establishing the holding of the security
entitlement, which each Claimant had to submit together with the TFA Mandate
Package.
(vii) Validity of Claimants’ Consent to ICSID Arbitration
455. Thus, the question now is whether the consent of the Claimants, who
signed this Power of Attorney, may have been truncated by coercion, fraud or an
essential mistake caused by TFA and/or White & Case. Respondent alleges that the
restraints set forth in the TFA Mandate Package preventing Claimants from freely
pursuing the banks is fraudulent, to the extent that it is based on a
misrepresentation of key facts and legal issues aiming at unduly protecting the
banks from law suits and with the effect of depriving Claimants of a redress against
such banks. In other words, Respondent’s argument suggests that these documents
concealed TFA’s real purpose, i.e., protecting its banks, and that had Claimants
known such real purpose, they would not have given their consent to the TFA
Mandate Package and thereby to ICSID arbitration.
456. The system put in place by the TFA Mandate Package provides for
certain restrictions, such as the waiver of Claimants to sue the Italian banks for the
duration of the ICSID proceedings, limitations related thereto imposed on the
revocation of the TFA Mandate Package, and the principle that Claimants are
passive participants to the arbitration, all relevant decisions being made by TFA
and White & Case on behalf of these Claimants. With regard to these restrictions
and limitations the Tribunal finds as follows:
457. (i) With regard to Claimants’ inability to give instructions and make
decisions regarding the conduct of proceedings, the Tribunal holds that this
restriction was clearly set forth in the TFA Mandate Package. In this respect,
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Claimants were aware that by accepting the TFA Mandate Package, they would be
unable to exercise themselves certain procedural rights individually, and in
particular they would not be in a position to instruct the lawyers and direct the
proceedings individually. In addition, it is also understandable that proceedings
involving several thousand claimants cannot be conducted in the same manner as
proceedings with a handful of claimants, and that the coordination and management
of such proceedings may therefore affect the scope of power and freedom of the
parties to decide on how to conduct the proceedings. The question may arise
whether this cutting into Claimants’ rights may have gone too far. This question is
however not a question of consent: Claimants knew what they were doing. It is a
question of admissibility: Is it admissible for Claimants to entrust a third party with
rights as extensive as those of TFA? This question will thus be addressed together
with other issues of admissibility (see §§ 536 et seq. below).
458. (ii) With regard to Claimants’ inability to sue the banks whilst ICSID
arbitration is ongoing, the Tribunal finds that this restriction (rightfully or
wrongfully) indeed benefits the banks. Under the TFA Mandate Package scheme,
banks are protected from being sued by Claimants as long as the ICSID arbitration
is ongoing and Claimants participate thereto. Based thereon, Respondent alleges
that TFA, whose membership is composed of such banks, is affected by a conflict
of interest which truncates Claimants’ consent. The Tribunal holds that the
restriction imposed on Claimants with regard to the temporary limitation to sue the
banks is neither fraudulent, nor does it attach Claimants’ consent with any essential
mistake. The reasons are the following:
— Whilst the representation mechanism implemented by the TFA Mandate
Package does impose certain restrictions on Claimants, it should not be forgotten
that it also actually entitles Claimants to conduct ICSID arbitration, at the cost and
expense of the TFA’s member banks. Indeed, it is very unlikely that many of the
Claimants would individually be in a position to initiate and conduct ICSID
arbitration, if they had to finance the arbitration themselves.
— It is further true that the TFA member banks may indirectly benefit from
this scheme, since there is a likelihood of reducing the risks that they get sued by
Claimants. However, there is no certainty regarding the existence of scope of any
claims against the TFA member banks and these banks are actually paying a certain
price for this « risk reduction, » since they are financing the ICSID proceedings. In
other words, from TFA’s perspective, the TFA Mandate Package is a sort of a risk
insurance, for which they pay a premium (the cost of the ICSID arbitration), in
return for which they are protected to a certain extent against a risk (lawsuits from
Claimants).
459. This scheme may appear uncommon and it raises questions relating to
TFA’s role in the proceedings, such as issues of conflict of interests between TFA
and Claimants. However, these are more considerations of admissibility of the
proceedings, rather than of consent of Claimants (see §§ 529 et seq. below). The
key factor with regard to Claimants’ consent is not related to the motivations of
TFA, but rather to the question whether through the TFA Mandate Package
Claimants’ were fraudulently induced in doing something they did not want to do,
or whether they unconsciously waived a right or lost an option, which — if
conscious thereof — they would not have been willing to concede at the price of
being able to conduct ICSID arbitration.
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460. Respondent argues that Claimants would not have agreed to ICSID
arbitration had they been better aware of the risks related to such ICSID arbitration,
in particular the alleged risk of losing their potential claims against the TFA
member banks. The Tribunal finds that Respondent has failed to bring sufficient
evidence supporting such contention.
461. The Tribunal holds that the TFA Mandate Package contains sufficient
information to allow Claimants to make an informed consent. It clearly sets forth
that during the ICSID arbitration Claimants cannot simultaneously initiate legal
claims against the TFA member banks and that the statute of limitation for such
claims is not tolled. Further, it is also comprehensive with regard to the way the
proceedings will be conducted, restricting Claimants from exercising themselves a
number of decisional and procedural rights. Of course, one could argue that some
information of the TFA Mandate Package could have been better explained or
should have been more comprehensive. However, one should also take into account
that the present dispute is not a consumer dispute, although a number of the
Claimants may have a consumer like profile. It is a dispute surrounding multi
faceted financial investments. Thus, the degree and nature of the information
provided did not need be of the same extent and nature than in the context of pure
consumer transactions, and TFA was entitled to assume a certain level of
sophistication and knowledge of the investors.
462. Thus, based on the information contained in the TFA Mandate Package
the Tribunal finds that it allowed Claimants to make an informed choice between
(i) ICSID arbitration at the cost of TFA and at the temporary detriment of
Claimants’ potential claims against TFA’s member banks, or (ii) civil litigation
against the banks, at Claimants’ own expense and without the option of
simultaneous ICSID arbitration against Argentina.
463. In addition, even if the TFA Mandate Package did not contain sufficient
information or did to some extent misrepresent certain information, such a flaw
would have been cured by the subsequent events. Indeed, various associations
started to assist Italian purchasers of Argentinean bonds by disseminating
information on available legal means and even by supporting them in the
revocation of the TFA Mandate Package, the tolling of the prescription period
and/or the filing of legal claims against the banks. Thus, even if at the time of
signature of the TFA Mandate Package, some of the Claimants did not have a full
picture of what they were doing, they were able to get such a full picture afterwards
through the various actions of associations, legal proceedings and news reports on
the ongoing ICSID arbitration. Given that Claimants themselves do not invoke a
lack of consent, it is sufficient that they were in a position to appreciate the scope
of their commitment to ICSID arbitration, and it is irrelevant whether or not they
eventually really understood such commitment.
464. Thus, whilst the Tribunal does not take a position on TFA’s
representation scheme resembling a « seduction operation, » there is no indication
that such operation was systematically fraudulent, coercive or otherwise caused
Claimants to agree to ICSID arbitration based on an essential mistake.
465. Consequently, the Tribunal considers that there is at this stage no
indication that Claimants’ consent to ICSID arbitration through the TFA Mandate
Package and the initiation of the present proceedings by White & Case in
accordance with such package would be invalid.
187
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(d) Conclusion
466. In conclusion and in response to Issue No. 2, the Tribunal holds that the
way in which Claimants consented to the ICSID arbitration through the relevant
documents contained in the TFA Mandate Package is — as a matter of principle —
valid. In particular:
(i) Based on the circumstances leading to the execution of the documents
embodying Claimants’ consents, in particular, the Declaration of Consent and the
Power of Attorney, there is at this stage no indication that such execution would
have been achieved based on systematical fraud, coercion or essential mistake
vitiating Claimants’ consent;
(ii) Whether or not such fraud, coercion or mistake may exist with regard to
individual Claimants based on the specific circumstances of the individual case
remains open and will be addressed, to the extent necessary and appropriate, when
dealing with issues concerning individual Claimants;
(iii) Questions regarding TFA’s specific role and relevance, as well as issues
relating to conflict of interests or breach of professional obligations by White &
Case are issues relating to the admissibility of the proceedings, and not to the
validity of Claimants’ consent. They will be addressed, to the extent necessary and
appropriate, when dealing with the issue of admissibility (see § 642 et seq. below).
(6)
Subject to Argentina’s Written Consent — Issues 1(a), 4 & 8
(a) Issues and Relevant Legal Provisions
467. It is uncontested that through Article 8(3) BIT, Argentina, in principle,
consented to ICSID arbitration with regard to a dispute falling within the scope of
the BIT and according to the terms and conditions set forth therein. Whilst the
principle is not contested, the scope and the modalities of this consent are disputed.
In particular, it is disputed between the Parties whether Respondent’s consent, as
expressed in the BIT, covers « mass claims » within the context of sovereign debt
restructuring.
468. Thus, the specific issues to be determined by the Tribunal here are the
following:
— What is the scope of Argentina’s consent under Article 8, and in particular:
(i) Does the fact that the dispute relates to sovereign debt restructuring
somehow exclude Argentina’s consent to ICSID arbitration?
(ii) Which are the elements of the dispute that must be covered by Argentina’s
consent, and in particular:
— Is the multiplicity of Claimants an element that must be covered by
Argentina’s consent or is it only a procedural modality? (see Issue 1(a) of the List
of 11 Issues of 9 May 2008)
— Is the previous negotiation and litigation requirement an element which
draws the limits of the consent, or is it a modality of the consent? (see Issue 4 of
the List of 11 Issues of 9 May 2008)
(iii) Based thereon, can Argentina be considered to have consented to the
present proceedings? (see Issue 1(a) of the List of 11 Issues of 9 May 2008)
— What are, if any, the effects of the contractual forum selection clauses in
188
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the relevant bond documents on Argentina’s consent? (see Issue 8 of the List of 11
Issues of 9 May 2008)
469. The key legal provisions and other documents in dealing with the above
issues are the following: Articles 1 and 8 BIT in connection with Article 25(1)
ICSID Convention, (see §§ 336 and 268 et seq. above), as well as the forum
selection clauses contained in the relevant bond documents.
(b) Parties’ Positions
470. With regard to Argentina’s consent, Respondent contends that it has not
and cannot be considered to have consented in any of the relevant instruments to
ICSID arbitration over a dispute relating to sovereign debt restructuring and taking
the form of an unprecedented mass action.
471. Respondent bases its position on the following main arguments:
(i) The ICSID framework is silent concerning the possibility of collective
proceedings;
(ii) At the time of the conclusion of ICSID Convention and BIT, collective
claims were allowed neither in Italy nor in Argentina, and could therefore not have
been envisaged by Argentina;
(iii) The present proceeding is an unprecedented proceeding, neither Party
could have expected;
(iv) The present proceeding would change the nature of ICSID claims as it
was envisioned, from one focused on studied analysis of the grievances brought by
an individual investor for a singular, precise harm, to one focused on mass or class
claims in which the circumstances of each Claimants can no longer be realistically
examined and the peculiarities of each investment are ignored in favor of the
lowest common denominator;
(v) The opening of ICSID arbitration with regard to sovereign debt
restructuring would be counterproductive and go against current efforts to
modernize foreign debt restructuring process;
(vi) The forum selection clauses contained in the bond documents clearly
show that Argentina did not consent to submit the disputes arising from the bonds
to ICSID arbitration;
(vii) Argentina’s consent to ICSID arbitration is, in any event, conditional
upon the compliance with the preliminary negotiation and litigation requirement set
forth in Articles 8(1) and (2).
472. In contrast, Claimants contend that Argentina validly consented to
submit a dispute like this one to ICSID arbitration:
(i) Claimants contend that Respondent gave its express consent to ICSID
arbitration in the BIT and its consent contains no limitation on the number of
Claimants who may submit such dispute. This is evidenced by the use of the plural
in Article 8 BIT, as well as by the nature of some of the types of investment listed
in Article 8(1) BIT, which necessarily implies a plurality of investors;
(ii) Claimants further submit that the existence of forum selection clause
contained in the contractual documents may not influence the validity of the
consent given by Argentina with regard to treaty claims;
(iii) Claimants finally contend that Article 8 sets forth three alternative dispute
resolution mechanisms, none of them being a pre-condition to the others.
Consequently, the non-compliance with the negotiation or litigation mechamism
189
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provided in Article 8(1) and Article 8(2) has no bearing on Respondent’s consent
to arbitration.
(c) Tribunal’s Findings
(i) In General
473. As mentioned above (§ 258), within the context of BIT based arbitration,
it is widely admitted that consent of the Host State is given through the provision
in the relevant BIT of a dispute resolution clause providing for ICSID arbitration.
This is the case of Article 8, in particular Articles 8(3) and 8(5) BIT, in which
Argentina consented to submit « disputes relating to investments » and « in relation
to the issues governed by this Agreement » to ICSID arbitration, if so chosen by
the investor.
474. As arises from sections (2) and (3) above, the present dispute is a dispute
arising out of the BIT and relating to an investment. So far, it is a dispute falling
within the scope of Argentina’s consent as expressed in Article 8 BIT.
475. In view of the specificities of the present arbitration, the question arises
whether Respondent’s consent covers all relevant elements of the present dispute.
(ii) Regarding Foreign Debt Restructuring
476. With regard to Respondent’s argument that ICSID arbitration should be
excluded concerning disputes arising from foreign debt restructuring, the Tribunal
finds that this argument is without merit.
477. It is to be recalled that a State has the possibility under Article 25(4)
ICSID Convention to notify the Centre of the class or classes of disputes from that
it would not consider submitting to the jurisdiction of the Centre. No such
notification has been made by Argentina.
478. In the absence of such notification, the core question with regard to
ICSID’s jurisdiction is whether the investment at stake is protected under the
concerned BIT providing for ICSID arbitration in case of breach of such protection.
If this is the case, then the State’s consent must be considered to extend to such
investment and the dispute falls within the scope of ICSID’s jurisdiction.
479. To the extent that the Tribunal has accepted that actions of Argentina
relating to its foreign debt restructuring may, in principle and under certain
circumstances, affect Claimants’ rights and are therefore susceptible of constituting
a violation of provisions of the BIT (see §§ 311-330, 331 above), there is no reason
to exempt foreign debt restructuring situations from the scope of application of the
BIT.
(iii) Regarding« Mass Claims »
480. It should be stressed that there is no uniform terminology concerning the
various kinds of proceedings involving a high number of parties, and that various
jurisdictions, courts and authors refer to different terms and meanings. For the sake
of simplicity and clarity, the Tribunal will refer to « mass proceedings » as a
qualification for the present proceedings, whereby this term should be understood
as referring simply to the high number of Claimants appearing together as one
mass, and without any prejudgment on the procedural classification of the present
proceedings as a specific kind of « collective proceedings » recognized under any
specific legal order.
481. Respondent contends that its consent does not extend to disputes taking
the form of « mass proceedings, » mainly because the « mass » aspect of the
proceedings is not possible within the normal ICSID framework and implies
190
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adaptations to such framework, which cannot be done by the Tribunal itself and are
of such importance that they must be specifically covered by Respondent’s consent.
482. In order to determine whether the « mass » aspect of the present
arbitration should be subject to the express consent of Respondent, it is first
necessary to examine more in detail the nature and characteristics of such
proceedings, which fall under the more general concept of « collective
proceedings. »
483. (i) Types of Collective Proceedings and their Key Features. It is
impossible to list all the various types of collective proceedings existing worldwide
within the context of court litigation or arbitration. A certain categorization into
two main types of collective proceedings is, however, possible:
— Representative proceedings: Some jurisdictions address collective injuries
by creating mechanisms allowing claims to be brought for representative relief.
Whilst forms of representative relief vary greatly, they have in common that a high
number of claims arise as one single action. The mechanism in which these claims
are brought together vary and can be categorized by reference to their approach to
three different issues: (i) the nature of the claim, with regard to which
representative relief can take the form of a purely procedural device available
regardless of the type of substantive law at issue, or be limited to certain fields of
law (e.g., consumer law, antitrust, ecc.); (ii) the nature of the representative, who
can be a private named individual on behalf of a large group of unnamed others or
an approved intermediary entity on behalf of all injured individuals; (iii) the nature
of the relief, which can take the form of individual damages or representative relief
(e.g., declaratory or injuctive relief).
— Aggregate proceedings: Some jurisdictions address collective injuries
through judicial aggregation of claims, such as, for example, the English Group
Litigation Order (GLO), which results in the creation of a judicial registry of
individual claims that arise out of the same fact pattern, and then are assigned to
the same judge for management purposes. Whilst this sort ofcollective proceeding
is relatively uncontroversial in the context of court proceedings, where courts can
simply apply pre-existing rules of procedure regarding joinder, intervention or
consolidation to create the necessary procedure, the situation is more delicate in the
context of arbitration. Although certain principles and mechanisms have developed
through the concept of « multiparty and multicontract arbitrations, » typically
involving a handful of parties, many issues remain where the number of parties
reaches the « mass » level.
484. The Tribunal will refrain from trying to identify and give a name to
further sub-categories in order to avoid endless discussions over the correct
terminologies. Suffice is to say that although various legal systems have developed
certain types of collective proceedings, their scope, modalities and effects remain
different from one jurisdiction to another, and that there is, as of today, no
harmonized approach towards such collective proceedings. Nevertheless, it appears
that all these various forms of collective proceedings share a common « raison
d’être »: Collective proceedings emerged where they constituted the only way to
ensure an effective remedy in protection of a substantive right provided by contract
or law; in other words, collective proceedings were seen as necessary, where the
absence of such mechanism would de facto have resulted in depriving the claimants
of their substantive rights due to the lack of appropriate mechanism.
191
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485. The issues raised by the development of collective proceedings are
manifold and depend on the type of collective proceedings. In the context of
arbitration, these issues arise in slightly different terms and focus mainly around the
following problems: Representative proceedings raise issues relating to consent,
especially for those who subscribe to a view of arbitration that requires the parties’
explicit consent not only to arbitration of the dispute but also to the procedure to
be used in the arbitration. In contrast, aggregate proceedings raise issues of a more
technical nature, in particular the question whether ordering the parties to proceed
collectively is within the scope of the Tribunal’s discretion and authority.
486. Looking at the way the present arbitration was initiated, the present
proceedings appear to be aggregate proceedings, in which each individual Claimant
is aware of and consented to the ICSID arbitration. As such, the present
proceedings cannot be compared to US class-actions, in which a representative
initiates a proceeding in the name of a class composed of an undetermined number
of unidentified claimants. In the present arbitration, the number of Claimants is
established and so is their identity.
487. However, one cannot ignore that some features of the present
proceedings, in particular the way it is conducted, resemble representative actions:
Although Claimants made the individual and conscious choice of participating to
the arbitration, their participation is thereafter limited to a passive participation in
the sense that a third party, TFA, represents their interests and makes on their
behalf all the decisions relating to the conduct of the proceedings. The high number
of Claimants further makes it impossible for the representative to take into account
individual interests of individual Claimants, and rather limits the proceedings to the
defense of interests common to the entire group of Claimants.
488. In summary, the present proceedings seem to be a sort of a hybrid kind
of collective proceedings, in the sense that it starts as aggregate proceedings, but
then continues with features similar to representative proceedings due to the high
number of Claimants involved.
489. (ii) « Mass » Aspect and Consent. As mentioned above (see §§ 453-455
and § 474), both Parties have consented to ICSID arbitration as dispute resolution
method for disputes arising out of the BIT. The only remaining question is whether
a specific consent regarding the specific conditions in which the present arbitration
would be conducted is required, i.e., regarding the form of collective proceedings.
490. This question led the Tribunal to the conclusion that the answer should
be in the negative, mainly for the following reasons:
— Assuming that the Tribunal has jurisdiction over the claims of several
individual Claimants, it is difficult to conceive why and how the Tribunal could
loose such jurisdiction where the number of Claimants outgrows a certain
threshold. First of all, what is the relevant threshold? And second, can the Tribunal
really “loose” a jurisdiction it has when looking at Claimants individually?
— In addition, the collective nature of the present proceeding derives
primarily from the nature of the investment made. The ICSID Convention aims at
promoting and protecting investments, without however further defining the
concept of investment and leaving this task to the parties through relevant
instruments such as BITs (see §§ 257 and 362 et seq. above). Thus, where the BIT
covers investments, such as bonds, which are susceptible of involving in the
context of the same investment a high number of investors, and where such
192
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investments require a collective relief in order to provide effective protection to
such investment, it would be contrary to the purpose of the BIT and to the spirit of
ICSID, to require in addition to the consent to ICSID arbitration in general, a
supplementary express consent to the form of such arbitration. In such cases,
consent to ICSID arbitration must be considered to cover the form of arbitration
necessary to give efficient protection and remedy to the investors and their
investments, including arbitration in the form of collective proceedings.
491. Thus, with regard to the « mass » aspect of the present proceedings, the
Tribunal considers that the relevant question is not « has Argentina consented to the
mass proceedings? », but rather « can an ICSID arbitration be conducted in the
form of “mass proceedings” considering that this would require an adaptation
and/or modification by the Tribunal of certain procedural rules provided for under
the current ICSID framework? ». If the answer is in the affirmative, then
Argentina’s consent to ICSID arbitration includes such mass aspect. If the answer
is in the negative, then ICSID arbitration is not possible, not because Argentina did
not consent thereto but because mass claims as the ones at stake are not possible
under the current ICSID framework.
492. Consequently, the Tribunal is of the opinion that the « mass » aspect of
the present proceedings relates to the modalities and implementation of the ICSID
proceedings and not to the question whether Respondent consented to ICSID
arbitration. Therefore, it relates to the question of admissibility and not to the
question of jurisdiction. It will thus be addressed below when dealing with
admissibility issues (see §§ 515 et seq. below).
(iv) Regarding the Negotiation and 18 Months Litigation Requirement
493. Respondent argues that the requirement of negotiation and litigation set
forth in Articles 8(1) and 8(2) are of such a nature and importance that they
constitute an essential part of and motive for Respondent’s consent to ICSID
arbitration. In other words, Respondent contends that it would not have consented
to ICSID arbitration if such arbitration had not been made conditional upon the
implementation of a prior mechanism of negotiation and 18 months litigation.
494. The present issue comes down to the following question: What is
conditional? Respondent’s consent to ICSID jurisdiction or the implementation of
such consent in a case as the present one? Indeed, there is a difference between
conditioning its consent to ICSID jurisdiction to the fulfilment of a pre-condition,
and conditioning the effective implementation of such consent, i.e., the possibility
to resort to ICSID arbitration, to the fulfilment of such a pre-condition.
495. In the case at hand, the question is not as much « has Argentina
consented to ICSID jurisdiction? ». This would make little sense in the light of
Argentina’s adherence to the Washington Convention and its acceptance of ICSID
arbitration under Article 8 BIT for the present type of dispute (see § 474 above).
The question is rather « under what circumstances will ICSID arbitration be
possible under the terms of Argentina’s consent? ».
496. The Tribunal is of the opinion that the negotiation and 18 months
litigation requirements relate to the conditions for implementation of Argentina’s
consent to ICSID jurisdiction and arbitration, and not the fundamental question of
whether Argentina consented to ICSID jurisdiction and arbitration. Thus, any
non-compliance with such requirements may not lead to a lack of ICSID
jurisdiction, and only — if at all — to a lack of admissibility of the claim, and will
193
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thus be addressed when dealing with issues of admissibility (see §§ 567 et seq.
below).
(v) Regarding the Forum Selection Clauses
497. Respondent further argues that the introduction of forum selection
clauses in the relevant bond documents is to be interpreted as an exclusion of
consent to ICSID arbitration for disputes deriving from such bonds.
498. The Tribunal cannot follow Respondent in this respect as it conflates
contract claims and treaty claims. As explained above (see §§ 316 et seq.), even
though Claimants claims relate to the bonds, they are based on alleged breaches by
Argentina of the BIT and not on contractual rights provided to Claimants under the
bond documents. The forum selection clauses apply only to claims based on
contractual rights, and may not affect treaty claims, which the bond documents did
neither anticipate nor deal with.
499. Consequently, the presence of forum selection clauses in the contractual
bond documents is irrelevant for the assessment of the existence and/or validity of
Argentina’s consent to ICSID arbitration.
(d) Conclusion
500. In conclusion and in (partial) response to Issues Nos. 1(a), 4 and 8, the
Tribunal finds that Argentina validly consented to submit the present dispute to
ICSID jurisdiction and arbitration. In particular:
(i) The fact that the present dispute relates to foreign debt restructuring is per
se irrelevant to the determination of Argentina’s consent to ICSID arbitration;
(ii) Argentina’s consent to ICSID jurisdiction includes claims presented by
multiple Claimants to the extent that such claims are admissible under the ICSID
framework;
(iii) The negotiation and litigation requirement provided in Articles 8(1) and
(2) of the BIT does not condition Argentina’s consent to ICSID jurisdiction and
arbitration, and merely relates to the circumstances under which such consent is to
be given full effect and be implemented;
(iv) The presence of forum selection clauses in the contractual bond
documents are irrelevant to the determination of Argentina’s consent to ICSID
arbitration.
(7)
Conclusion on Jurisdiction
[omissis]
D.
ADMISSIBILITY
(1)
Introductory Remarks
OF THE
CLAIM
504. In section C above, the Tribunal has established that it has — as a matter
of principle and without making a determination with respect to any individual
Claimants — jurisdiction over the present dispute. However, in order for the
Tribunal to hear the present case, it is further necessary that the claims raised by
Claimants be admissible.
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505. As mentioned above (see §§ 245 et seq.), the difference between
jurisdictional and admissibility issues is not always clear. Consequently, some of
the issues addressed in this section may have been invoked by the Parties within
the context of the Tribunal’s jurisdiction. However, the Tribunal considers that
these issues are not matters of jurisdiction but of admissibility. Where this applies,
any argument raised by the Parties with regard to these issues and aiming to
establish a lack of jurisdiction is addressed below as an argument of lack of
admissibility.
(2)
Mass Action — Issue 1(b)
(a) Issues and Relevant Legal Provisions
506. Although the Tribunal considers that the « mass » aspect is not a hurdle
to its jurisdiction, it must further examine whether this « mass » aspect is — as it
is a point of dispute between the Parties — admissible under the current ICSID
framework.
507. Thus, the specific issues to be determined by the Tribunal here are the
following:
— Is a « mass action » like the present one compatible with the current ICSID
framework and spirit, also giving due regard to the existing framework for
sovereign debt restructuring?
— If so, what are the procedural adaptations that the Tribunal would need to
implement in order to make such a « mass action » workable in an ICSID
arbitration. In particular:
(i) With regard to admissibility requirements, should the Tribunal refer to
principles applicable to « class actions » and other aggregate litigations as known
under certain legal regimes?
(ii) With regard to modalities of the procedure, may the Tribunal limit
procedural rights of one Party where such limitation is necessary to ensure the
other Party’s procedural rights?
— Are such adaptations covered by the Tribunal’s power to decide on
procedural issues?
508. The key legal provisions in dealing with the above issues are the
following: Article 44 ICSID Convention and Rule 19 ICSID Arbitration Rules.
509. Article 44 ICSID Convention provides as follows:
« Any arbitration proceeding shall be conducted in accordance with the
provisions of this Section and, except as the parties otherwise agree, in accordance
with the Arbitration Rules in effect on the date on which the parties consented to
arbitration. If any question of procedure arises which is not covered by this Section
or the Arbitration Rules or any rules agreed by the parties, the Tribunal shall decide
the question. »
510. Article 19 ICSID Arbitration Rules provides as follows:
« The Tribunal shall make the orders required for the conduct of the
proceeding. »
(b) Parties’ Positions
511. Respondent contends that mass proceedings as the present one are not
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admissible under the current ICSID framework. To support its position, Respondent
brings forward the following main arguments:
(i) The ICSID framework does not provide and does not allow mass claims.
Article 44 ICSID Convention simply permits the Tribunal to decide procedural
questions with respect to matters over which it already has jurisdiction. It does not
provide a basis for the Tribunal to exercise jurisdiction over proceedings that are
not authorized by the ICSID Convention and to which the parties did not consent
in the relevant BIT;
(ii) The present mass action cannot be compared to a multi-party arbitration,
and resembles more a type of class action. Even if such mass claim was considered
allowed under the current ICSID framework, the way this arbitration was initiated
and conducted is not in compliance with generally recognized principles applicable
to class actions and similar collective proceedings (e.g., regarding the role and
position of the representative);
(iii) Such mass claim proceedings are unmanageable because individualized
facts and circumstances are relevant not only for the merits but also for the
jurisdiction (e.g., whether the specific investment was made in accordance with
applicable laws, whether the Claimants’ signature are all authentic, ecc.) and could
not be duly ascertained.
512. In addition, Respondent contends that the opening of ICSID arbitration
with regard to sovereign debt restructuring would be counter-productive in so far
as it would encourage hold outs. As such, it would go against current efforts to
modernize foreign debt restructuring processes. Consequently, in order to preserve
the efficiency of foreign debt restructuring mechanisms, the Tribunal should deem
the present claims inadmissible.
513. In contrast, Claimants contend that the present mass proceedings are
within the jurisdictional limits of ICSID, the question of its management being a
question of mere procedure covered by Article 44 ICSID Convention and thereby
within the power of the Tribunal. Claimants’ main arguments are as follows:
(i) This proceeding is not different from any other multi-party arbitration, the
only particularity being the unusually high number of Claimants. Multi-party
proceedings are widely admitted under current ICSID arbitration practice, and since
the ICSID framework contains no limitation on the number of possible parties,
there is no reason to treat this claim differently from any other multi-party
arbitration;
(ii) Collective proceedings are further consistent with the purpose and object
of the BIT, since the high number of Claimants is inherent to the nature of the
investments protected by the BIT (see § 490 above);
(iii) The present claims are proper and manageable: (a) Claimants are from a
single jurisdiction, they have identical claims arising out of the same State
measures under the same BIT and stand in an identical posture vis-á-vis
Respondent; (b) the individual facts and issues detailed by Respondent (i.e., the
individual circumstances of the purchase of the bonds) are not material to the
Tribunal’s core task of determining whether a specific set of actions taken by
Argentina constituted a violation of the BIT; (c) Argentina’s due process rights
would not be infringed; and (d) the Tribunal is well-equipped to adopt procedures
to handle the claims under Article 44 ICSID Convention. Consequently, it is only
just and efficient to hear these cases jointly.
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514. With regard to the policy argument raised by Respondent, Claimants
contend that Respondent’s view is outdated and irrelevant. The major threat to the
efficiency of foreign debt restructuring would be rogue debtors, such as Argentina.
Consequently, opening the door to ICSID arbitration would create a supplementary
leverage against such rogue debtors and therefore be beneficial to the efficiency of
foreign debt restructuring.
(c) Tribunal’s Findings
515. As mentioned above (see §§ 489-492), the Tribunal finds that the issue
of whether or not the present mass proceedings could be conducted in the form of
collective proceedings is an issue of admissibility and not of consent.
516. To recall, Respondent contends that arbitration in the form of collective
proceedings is not provided for by ICSID, that this silence is a « qualified silence »
that should be interpreted to mean that collective arbitration is not possible and not
admissible under the current ICSID framework, and in particular that the Tribunal
cannot rely on Article 44 ICSID Convention or Rule 19 ICSID Arbitration Rules
to create its own solution to the problems raised by the high number of Claimants.
517. It is undisputed that the ICSID framework contains no reference to
collective proceedings as a possible form of arbitration. The key question here is
how to interpret this silence. In particular, the Tribunal is tasked with the
assessment of whether this silence should be considered a « qualified silence, »
meaning an intended silence indicating that it does not allow for something that is
not provided, or whether it is to be considered a « gap, » which was unintended and
which the Tribunal has the power to fill. In the latter case, the Tribunal shall further
determine whether the adaptations which would be needed to fill this gap, i.e., to
manage the present proceedings, fall within the scope of its powers as deriving
from Article 44 ICSID Convention and/or Rule 19 ICSID Arbitration Rules.
(i) Interpretation of the Silence of the ICSID Framework
518. As mentioned above (see §§ 489-492), the Tribunal finds that, in the light
of the absence of a definition of investment in the ICSID Convention, where the
BIT covers investments which are susceptible of involving a high number of
investors, and where such investments require a collective relief in order to provide
effective protection to such investment, it would be contrary to the purpose of the
BIT, and to the spirit of ICSID, to require in addition to the consent to ICSID
arbitration in general, a supplementary express consent to the form of such
arbitration.
519. For these same reasons and as further developed below, the Tribunal
finds that it would be contrary to the purpose of the BIT and to the spirit of ICSID
to interpret this silence as a « qualified silence » categorically prohibiting collective
proceedings, just because it was not mentioned in the ICSID Convention:
— First, at the time of conclusion of the ICSID Convention, collective
proceedings were quasi inexistant, and although some discussions seem to have
taken place with regard to multi-party arbitrations, these dicussions were not
conclusive on the intention to either accept or refuse multi-party arbitrations, and
even less so with regard to the admissibility of collective proceedings;
— ICSID sets forth a standard arbitration mechanism. Insofar as investments
can be of a varying nature and scope, it is possible that the current ICSID
procedure may not be fully adapted to resolve a dispute arising out of any kind of
investment. Indeed, where an investment, protected under a BIT providing for
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ICSID arbitration, shows certain particular characteristics, these characteristics may
influence the way of conducting the arbitration, and lead the Tribunal to make
certain adaptations to the standard procedure in order to give effect to the choice of
ICSID arbitration. The need for certain adaptations to the standard ICSID
arbitration procedure merley derives from the impossibility to anticipate all kinds
of possible investments and disputes, and is certainly not a sufficient motive to
simply close the door of ICSID arbitration to investors who are not « standard
investors » having made « standard investments. » However, it is understood that
adaptations made to the standard procedure must be done in consideration of the
general principle of due process and must seek a balance between procedural rights
and interests of each party.
520. Thus, the silence of the ICSID framework regarding collective
proceedings is to be interpreted as a « gap » and not as a « qualified silence. »
Consequently, the Tribunal has, in principle, the power under Article 44 ICSID
Convention to fill this gap. However, this does not mean that the scope of this
power is unlimited. Rather, the Tribunal is bound by the limits set forth by Article
44 ICSID Convention.
(ii) Powers of the Arbitral Tribunal under Article 44 ICSID Convention and
Rule 19 ICSID Arbitration Rules
521. As mentioned above (see § 509), Article 44 ICSID Convention provides
that where the ICSID framework is silent on a procedural question, which is also
not subject to the parties’ agreement, the Tribunal shall decide the question. Within
the context of arbitration proceedings, this rule is further complemented by Rule 19
ICSID Arbitration Rules, according to which « the Tribunal shall make the orders
requie for the proceeding. » These provisions are the mere expression of the
inherent power of any tribunal to resolve procedural questions in the event of
lacunae.
522. As a matter of principle, the power of a tribunal is limited to the filling
of gaps left by the ICSID Convention and the Arbitration Rules. In contrast, a
modification of existing rules can only be effected subject to the parties’ agreement,
in accordance with minimum standards of fair procedure and to the extent that the
rules to be modified are not mandatory (in the sense that they restate mandatory
provisions of the Convention).
523. A tribunal’s power is further limited to the filling of gaps left by the
ICSID framework in the specific proceedings at hand, and a tribunal’s role is not to
complete or improve the ICSID framework in general. As such, a tribunal’s power
to fill gaps will usually be limited to the design of specific rules to deal with
specific problems arising in the proceedings at hand.
524. Considering the above, the Tribunal cannot:
— modify the current arbitration rules without the Parties’ consent. A revision
of the ICSID Arbitration Rules can only be done by the Administrative Council,
which is the body competent to adopt the Arbitration Rules under Article 6(1)(c)
ICSID Convention; or
— adopt a full set of rules of procedure unless the Parties have agreed that
the Arbitration Rules adopted by the Administrative Council should not apply
without substituting their own rules.
525. The Tribunal, however, can and ought to fill gaps left where the
application of existing rules are not adapted to the specific dispute submitted to
198
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ICSID arbitration. In such a case, the filling of the gap does not consist of an
amendment of the written rule itself, but rather of an adaptation of its application
in a specific case.
526. As mentioned above (see §§ 518-520), the Tribunal finds that the silence
of the ICSID Convention concerning collective proceedings is to be seen as a
« gap ». As such, the Tribunal has, in principle, the power to fill this gap. The key
question at hand thus, is the following:
Can the Tribunal fill the gap created by the collective aspect of the claim on
an ad hoc basis and through the design of specific rules, or would this require the
creation and/or modification of general rules which are under the competence of
the Administrative Council?
527. This question cannot (and should not) be answered in the abstract. Not
only would this imply creating general principles thereby relying on a terminology,
which is as diverse and varied as the currently existing forms and modalities of
collective proceedings, but it would also go beyond the powers of the Tribunal to
fill a specific gap regarding the conduct of specific proceedings. What the Tribunal
however can (and should) do is to analyse this question in a concrete manner, i.e.,
asking itself (i) what are the specific rules that would be necessary in order to be
able to conduct the present proceedings under the ICSID framework, and (ii) can
these specific rules, in the light of their nature and scope, be considered to fall
within the power of the Tribunal as deriving from Article 44 ICSID Convention
and Rule 19 ICSID Arbitration Rules.
528. When answering these questions, the Tribunal shall, in accordance with
the principles of interpretation of treaties, not only ask itself whether, from a
technical perspective, it can make such adaptations, but also whether, based on the
object and purpose of the ICSID Convention, it should do so.
(iii) Nature of the Necessary Adaptations to the ICSID Standard Procedure
529. Notwithstanding the high number of Claimants involved, the Tribunal
must examine not only the elements necessary to determine its jurisdiction (i.e., the
nationality of the Claimants, their status of investor and the existence of their
investment, ecc.), but also those necessary to establish Claimants’ claims and
relating to the merits of the case (i.e., the existence of a breach by Argentina of its
obligations under the BIT, the effect of such breach on Claimants’ investment,
ecc.). Thus, the high number of Claimants may not serve as an excuse not to
examine such elements and adaptations to the procedure may therefore not affect
the object of the Tribunal’s examination.
530. However, it appears that adaptations to hear the present case collectively
would concern not that much the object of the examination, but rather (i) the way
the Tribunal will conduct such examination, and/or (ii) the way Claimants are
represented.
531. With regard to the examination, it is undeniable that the Tribunal will not
be in a position to examine all elements and related documents in the same way as
if there were only a handful of Claimants. In this respect, the Tribunal would need
to implement mechanisms allowing a simplified verification of evidentiary material,
while this simplification can concern either the depth of examination of a document
(e.g. accepting a scanned copy of an ID document instead of an original), or the
number of evidentiary documents to be examined, and if so their selection process
(i.e. random selection of samples instead of a serial examination of each document)
199
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(see §§ 668 et seq. below). However, such a simplification of the examination
process is to be distinguished from the failure to proceed with such examination.
532. With regard to the mechanism of representation, it is true that TFA has
been provided with powers which may go beyond the power granted to a normal
agent under Rule 18 ICSID Arbitration Rules (see §§ 455 et seq. above). Admitting
thepresent collective proceedings would thus also mean accepting TFA’s role as due
representative of Claimants.
533. In conclusion, the procedure necessary to deal with the collective aspect
of the present proceedings concerns the method of the Tribunal’s examination, as
well as the manner of representation of Claimants. However, it does not affect the
object of such examination. Further, the Tribunal remains obliged to examine all
relevant aspects of the claims relating to Claimants’ rights under the BIT as well as
to Respondent’s obligations thereunder subject to the Parties’ submissions. Thus, it
is the manner in which the Tribunal will conduct such examination which may
diverge from usual ICSID proceedings.
(iv) Admissibility of the Necessary Adaptations
534. Considering the above (§§ 529-533), the adaptations required to deal
with the collective aspect of the claims are issues which relate strictly to the
manner of conducting the present proceedings, and in particular, how to collect and
weigh evidence. In other words, the nature of these measures and their scope do
not exceed the powers of the Tribunal as deriving from Article 44 ICSID
Convention and Rule 19 ICSID Arbitration Rules.
535. The Tribunal is entitled to proceed with such adaptations under the
relevant provisions of the ICSID framework. As mentioned above (see § 528), the
Tribunal is, however, of the opinion that it should not only examine whether it can
do so but also whether it should do so based on the aim and purpose of the ICSID
Convention and in particular, with regard to the equilibrium established by the
Convention with regard to the Parties’ respective rights.
536. For this purpose, the Tribunal will firstly examine the implications of the
intended adaptations. These implications are twofold: (i) It will not be possible to
treat each Claimant as if he/she was alone and certain issues, such as the existence
of an expropriation, will have to be examined collectively, i.e., as a group; and (ii)
theimplications will likely limit certain of Claimants’ and Argentina’s procedural
rights to the extent that Claimants have to waive individual interests in favor of
common interests of the entire group of Claimants, while Argentina will not be able
to bring arguments in full length and detail concerning the individual situation of
each of the Claimants.
537. The Tribunal finds it appropriate to compare the consequences of these
implications to the consequences of rejecting the claims for lack of admissibility
and requesting each Claimant to file an individual ICSID claim. In this regard, the
Tribunal finds that not only would it be cost prohibitive for many Claimants to file
individual claims but it would also be practically impossible for ICSID to deal
separately with 60,000 individual arbitrations. Thus, the rejection of the
admissibility of the present claims may equal a denial of justice. This would be
shocking given that the investment at stake is protected under the BIT, which
expressly provides for ICSID jurisdiction and arbitration.
538. Thus, the question arises whether in the light of the present
circumstances it would be justified to set strict boundaries to certain of the Parties’
200
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procedural rights, while adapting a method of examination so as to give actual
effective protection to the investment. The challenge lies in finding the right
balance.
539. In the search for the right balance, the Tribunal considers the following
issues to be relevant: (i) under what conditions is it acceptable to change the
method of examination from individual to group treatment; (ii) to what extent are
Argentina’s defense rights affected in comparison to 60,000 separate proceedings;
and (iii) is it admissible to deprive Claimants of certain procedural rights, such as
provided for under the TFA Mandate Package?
540. (i) Pre-conditions for group treatment: The Tribunal is of the opinion that
group examination of claims is acceptable where claims raised by a multitude of
claimants are to be considered identical or at least sufficiently homogeneous.
Thequestion is thus whether Claimants’ claims are to be considered identical or
sufficiently homogeneous.
541. In this respect, it is important to recall that the present proceedings
concern only potential treaty claims and do not deal with any contractual claims
Claimants may have against Argentina and/or the banks (see §§ 316-332 above).
Thus, the identity or homogeneity requirement applies to the investment and the
rights and obligations deriving therefrom based on the BIT and not to any potential
contractual claims. In other words, in the present case, it is irrelevant whether
Claimants have or do not have homogeneous contractual rights to repayment by
Argentina of the amount paid for the purchase of the security entitlements. The
only relevant question is whether Claimants have homogeneous rights of
compensation for a homogeneous damage caused to them by potential
homogeneous breaches by Argentina of homogeneous obligations provided for in
the BIT.
542. Therefore, the specific circumstances surrounding individual purchases
by Claimants of security entitlements are irrelevant. If Italian or other banks have
breached any obligations they had towards Claimants or Argentina, such a breach
is to be addressed in a recourse action against the relevant banks (see §§ 327-330
above) and is foreign and external to the present arbitration which concerns solely
Argentina’s behavior with regard to Claimants’ investment.
543. With regard to the nature of the claims deriving from the BIT, it appears
to be homogeneous:
— The rights deriving from Claimants’ investment and Argentina’s
obligations to protect these rights are the same with regard to all Claimants to the
extent that they derive from the same BIT and the same provisions. Indeed, first,
the provisions of the BIT invoked by Claimants are identical for all Claimants;
second, the rights allegedly affected all derive from Claimants’ purchase inItaly of
security entitlements in Argentinean bonds; third, all these security entitlements
were subject to the Exchange Offer 2005 (see § 312 above);
— The events leading to the alleged disregard of such rights and obligations,
i.e. to the breach by Argentina of the relevant provisions, are the same towards all
Claimants. They all relate to the acts of Argentina preceding and following its
public default in December 2001, and in particular the way it consulted with its
creditors, the way it reached a decision on how to deal with its foreign debt, as well
as the way it implemented such decision, namely through its Exchange Offer 2005
and the legislation and regulations relating thereto. In doing so Argentina treated
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all Claimants in the same manner and did not differentiate between different kinds
of Claimants (see § 313 above).
— The legislation and regulations promulgated and implemented by
Argengina, together with the implementation of its Exchange Offer 2005, affected
all Claimants in the same way. Thus, the potential damage caused to Claimants is,
by nature the same for all Claimants although the scope of such damage will of
course depend on the scope of their individual investment.
544. Consequently, Claimants’ claims are to be considered sufficiently
homogeneous to justify a simplification of the examination method and procedure.
545. (ii) Effects on Argentina’s defense rights: It appears that the effect of such
examination method and procedure on Argentina’s defense rights is limited and
relative. Whilst it is true that Argentina may not be able to enter into full length
and detail into the individual circumstances of each Claimant, it is not certain that
such approach is at all necessary to protect Argentina’s procedural rights in the
light of the homogeneity of Claimants’ claims. In addition, the only alternative
would be to conduct 60,000 separate proceedings. The measures that Argentina
would need to take to face 60,000 proceedings would be a much bigger challenge
to Argentina’s effective defense rights than a mere limitation of its right to
individual treatment of homogeneous claims in the present proceedings.
546. (iii) Deprivation of Claimants’ procedural rights: It is undeniable that
the TFA Mandate Package has the effect to depriving Claimants of a substantial
part of their procedural rights, such as the decision on how to conduct the
proceedings, the right to instruct the lawyers, ecc. However, as mentioned above
(see §§ 457-465), the setting of strict boundaries in relation to Claimants’
procedural rights has been consciously accepted by Claimants in order to benefit
from the collective treatment of their claims before an ICSID tribunal. In addition,
the Tribunal did not find that such agreement was affected by any vice which would
render it invalid. Consequently, the Tribunal sees no reason to disregard — as a
matter of principle — Claimants’ conscious choice.
547. In conclusion, under the present circumstances, the procedure necessary
to deal with Claimants’ claims in a collective way is admissible and acceptable
under Article 44 ICSID Convention, Rule 19 ICSID Arbitration Rules, as well as
under the more general spirit, object and aim of the ICSID Convention.
(v) Policy Considerations
548. To recall (see § 476 above), the Tribunal found that Respondent’s
arguments regarding the appropriateness of ICSID proceedings in the context of
sovereign debt restructuring are not an impediment to the Respondent’s consent to
ICSID arbitration.
549. Similarly, the Tribunal finds that those policy arguments are also not an
impediment to the admissibility of Claimants’ claims. In the Tribunal’s view, such
policy arguments are inapposite. As mentioned above (§ 478), the real question is
whether the investment at stake is protected under a BIT providing for ICSID
arbitration in case of breach of such protection. If this is the case, then ICSID has
jurisdiction, and it would be wrong to hinder the effective exercise of such
jurisdiction through the rejection of the admissibility of the claims based merely on
policy considerations. This is all the more the case here as the present policy
considerations are controversial and based on Respondent’s assumption that the
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biggest threat to the stability and fairness of sovereign debt restructuring are
holdout creditors.
550. Policy reasons are for States to take into account when negotiating BITs
and consenting to ICSID jurisdiction in general, not for the Tribunal to take into
account in order to repair an inappropriately negotiated or drafted BIT. The present
BIT is clear, it includes bonds and security entitlements (see §§ 352-361 above).
Whether or not ICSID is the best way to deal with a dispute relating to these bonds
and security entitlements in the context of foreign debt restructuring is irrelevant.
The Parties chose ICSID arbitration for this kind of dispute. They, as well as the
Tribunal, are bound by such choice and cannot evade it based on controversial
policy reasons.
(d) Conclusion
551. In conclusion and in (partial) response to Issue No. 1(b), the Tribunal
holds that the mass aspect of Claimants’ claims does not constitute an impediment
to their admissibility. In particular:
(i) The silence of the ICSID framework regarding collective proceedings is to
be interpreted as a « gap » and not as a « qualified silence; »
(ii) The Tribunal has, in principle, the power under Article 44 ICSID
Convention to fill this gap to the extent permitted under Article 44 ICSID
Convention and Rule 19 ICSID Arbitration Rules;
(iii) The procedure necessary to deal with the collective aspect of the present
proceedings concern the method of the Tribunal’s examination, as well as the
manner of representation of Claimants. However, it does not affect the object of
such examination. Thus, the Tribunal remains obliged to examine allrelevant
aspects of the claims relating to Claimants’ rights under the BIT as well as to
Respondent’s obligations thereunder subject to the Parties’ submissions;
(iv) Such procedure is admissible and acceptable under Article 44 ICSID
Convention, Rule 19 ICSID Arbitration Rules, as well as under the more general
spirit, object and aim of the ICSID Convention;
(v) Respondent’s policy arguments regarding the appropriateness of ICSID
proceedings in the context of sovereign debt restructuring are irrelevant for the
determination of the admissibility of the claims.
[omissis]
(4)
18 Months Litigation Requirement — Issues 4 & 5
(a) Issues and Relevant Legal Provisions
567. To recall, Article 8(2) BIT provides for a requirement to resort to local
courts for a duration of 18 months in case the previously-conducted consultations
have failed.The Parties hold diverging views as to the nature of this litigation
requirement and the consequence of a non-compliance therewith on the
admissibility of the present claims.
568. On the basis of the Parties’ submissions, the specific issues to be
determined by the Tribunal in this regard are the following:
— Is the 18 months litigation requirement a mandatory prior prerequisite for
the conduct of arbitration proceedings, the non-fulfillment of which constitutes a
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hurdle to the admissibility of a claim? (see Issue 4 of the List of 11 Issues of 9 May
2008)
— If so, can Claimants be considered to have been released from the 18
months litigation requirement, either
• based on the futility rule or
• based on the MFN clause of Article 3(1) BIT in connection with the « more
favorable » arbitration clause contained in the Argentina-Chile BIT? (see Issues 4
and 5 of the List of 11 Issues of 9 May 2008).
569. The key legal provisions and other documents in dealing with the above
issues are the following: Articles 3(1) and 8(2)-(4) BIT and Article 10
Argentina-Chile BIT.
570. The wording and content of Articles 3(1) and 8(1) to (4) BIT is
reproduced above at §§ 305 and §§ 267 et seq.
571. Article 10 Argentina-Chile BIT provides as follows in its Spanish
authentic version:
« (1) Toda controversia relativa a las inversiones en el sentido del presente
Tratado, entre una Parte Contratante y un nacional o sociedad de la otra Parte
Contratante será, en la medida de lo posible, solucionada por consultas amistosas
entre las dos partes en la controversia. »
(2) Si la controversia no hubiera podido ser solucionada en el término de seis
meses a partir del momento en que hubiera sido planteada por una u otra de las
partes, será sometida, a pedido del nacional o sociedad.
— o bien a jurisdicciones nacionales de la Parte Contratante implicada en la
controversia;
— o bien al arbitraje internacional en las condiciones descriptas en el párrafo 3.
Una vez que un nacional o sociedad haya sometido la controversia a las
jurisdicciones de la Parte Contratante implicada o al arbitraje internacional, la
elección de uno u otro de esos procedimientos será definitiva.
(3) En caso de recurso al arbitraje internacional la controversia podrá ser
llevada ante uno de los órganos de arbitraje designados a continuación a elección
del nacional o sociedad;
Al Centro Internacional de Arreglo de Diferencias Relativas a inversiones
(CIADI), creado por el “Convenio sobre Arreglo de Diferencias Relativas a las
Inversiones sobre Estados y Nacionales de otros Estados”, abierto a la firma en
Washington el 18 de marzo de 1965, cuando cada Estado parte en el presente
Convenio haya adherido a aquél. Mientras esta condición no se cumpla, cada Parte
Contratante da su consentimiento para que la controversia sea sometida al arbitraje
conforme con el Reglamento del Mecanismo Complementario del CIADI;
A un tribunal de arbitraje ad hoc establecido de acuerdo con las reglas de
arbitraje de la Comisión de las Naciones Unidas para el Derecho Mercantil
Internacional (CNUDMI). »
(b) Parties’ Positions
572. As mentioned above (see §§ 555 et seq.), Respondent contends that
Article 8 BIT articulates a multi-layered, sequential dispute resolution system
setting forth a three-step mandatory process which Claimants have not complied
with and therefore, constitutes a jurisdictional bar. Accordingly to Respondent, this
is in particular true with regard to the 18 months litigation requirement, which
Claimants have not fulfilled.
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573. Respondent further contends that the arguments invoked by Claimants in
order to circumvent the 18 months litigation requirement are not convincing:
(i) The mere argument that resort to domestic courts would involve time or
money may not render such litigation « futile. »
(ii) The Emergency Law does not prevent Claimants from submitting a
dispute before the Argentinean courts under the BIT.
(iii) Claimants may not invoke the MFN clause to circumvent the mandatory
consultation requirement for the following reasons: (a) the MFN clause applies
only to investments, not to dispute resolution mechanisms; (b) the MFN clause
concerns only treatment « in the territory » of Argentina whereas arbitration is to
be conducted abroad; (c) it cannot be stated that the resort to Argentinean courts is
necessarily a « less favorable » treatment; and (d) even if the MFN clause operates
to incorporate the dispute resolution clause under the Argentina-Chile BIT,
Claimants have still failed to conduct adequate consultations so that the necessary
requirements for arbitration under the Argentina-Chile BIT are not met either.
574. In contrast and as mentioned above (see § 558 above), Claimants contend
that Article 8 BIT aims to provide the Parties with different options of dispute
resolution and does not institute a compulsory multi-layered, sequential dispute
resolution system. In other words, the 18 months litigation requirement is not a
mandatory prior prerequisite for the initiation of arbitration proceedings and its
non-compliance is therefore irrelevant.
575. Even if considered a mandatory preliminary requirement, Claimants
submit that they should be relieved from having to comply with such requirement
for the following two main reasons: (i) because conducting litigation before the
Argentine courts would have been futile and would have defeated the very object
and purpose of the BIT, and (ii) even if not considered futile, Claimants would be
exempted from any potential obligation to go before local courts based on the
broad wording of the MFN clause of Article 3(1) BIT, which entitles Claimants to
invoke the more favorable dispute resolution clause contained in the
Argentina-Chile BIT and which does not require prior court litigation.191
(c) Tribunal’s Findings
576. It is undisputed that Claimants did not submit their dispute to the
Argentine courts before initiating the present arbitration. Thus, the first question is
whether Claimants should have done so.
(i) The System Put in Place by Article 8 BIT
577. Article 8 BIT provides for three different types of dispute resolution
means: amicable consultations (Article 8(1)), proceedings before the ordinary or
administrative courts of the concerned State (Article 8(2)), and international
arbitration (Article 8(3)). As to the relationship between these three mechanisms,
the Tribunal finds that both the structure of Article 8 BIT as well as its wording
indicate a certain order among these three means:
— Article 8(1) establishes the core principle of amicable consultations as the
first and foremost means of dispute settlement;
— Article 8(2) then introduces the second means, i.e., the submission of the
dispute to the ordinary or administrative courts, applicable under the following
circumstance: « if the dispute has not been settled in such consultations. » Thereby,
the recourse to courts is linked to some extent to the absence or failure of amicable
consultations;
205
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— Article 8(3) then introduces the method of international arbitration
whereby it is introduced within a specific context: « [i]f, after 18 months from the
notification of commencement of an action before the national courts indicated
above in paragraph 2, the dispute between the Contracting Party and the investors
still continues to exist [...] »;
— Article 8(4) then provides that in case of commencement of arbitration
proceedings, each disputing party shall take any appropriate measures to desist
from the judicial action in course.
578. Thus, the order, structure and wording of Article 8 clearly indicate that
these three dispute resolution means were, to some extent, interconnected, with the
underlying idea that it is the failure of one of them that would trigger the next one.
In other words, Article 8 did not provide for a mere « pick and choose » solution,
leaving the disputing parties free to pick any of the means at any time. Article 8
provided for an integrated system, built upon a certain hierarchy or order of the
three interconnected means of dispute resolution.
(ii) General Consequences of a Disregard of the System
579. At the same time, the wording of Article 8 BIT itself does not suffice to
draw specific conclusions with regard to the consequence of non-compliance with
the order established by Article 8. In this respect, regard should be given to the
context, as well as to the purpose and aim of Article 8. The system put in place by
Article 8 is a system aimed at providing the disputing parties with a fair and
efficient dispute settlement mechanism. As such, the idea of fairness and efficiency
must be takeninto account when interpreting and determining how the system is
supposed to work and what happens if one part of the system fails or is otherwise
disregarded by one party.
580. Thus, the Tribunal is of the opinion that Claimants’ disregard of the 18
months litigation requirement is in itself not yet sufficient to preclude Claimants
from resorting to arbitration. The real question is whether this disregard, based on
its circumstances, can be considered compatible with the object and purpose of the
system put in place by Article 8, or whether it goes against it.
581. Answering this question requires to examine more in detail the object
and purpose as well as the meaning of the 18 months litigation requirement and the
interests at stake. According to Respondent, the 18 months litigation requirement
was put in place to give the Host State the opportunity to address the allegedly
wrongful act within the framework of its own domestic legal system and to provide
a chance to resolve the dispute in a potentially shorter period than international
arbitration. In this respect, it would be irrelevant whether the 18 months time frame
is a realistic time frame for the reaching of a final decision, the purpose of this
paragraph being merely to provide the Host State with an opportunity to address
the issue before resorting to international arbitration. Thus, the relevant question is
not « could the dispute have been efficiently settled before the Argentine courts? »,
but « was Argentina deprived of a fair opportunity to address the dispute within the
framework of its own domestic legal system because of Claimants’ disregard of the
18 months litigation requirement? ».
582. This question in turn requires a weighting of the interests of the Parties,
i.e., of Argentina in being given the opportunity to address the dispute through
theframework of its domestic legal system, and of Claimants in being provided
with an efficient dispute resolution mechanism. Thus, the Tribunal is of the view
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that the disregard of the 18 months litigation requirement can only be considered
incompatible with the system of Article 8 where it unduly deprived the Host State
of a fair opportunity to address the issue through its domestic legal system. In this
respect, the Tribunal considers that this opportunity must not only be a theoretical
opportunity, but there must be a real chance in practice that the Host State, through
its courts, would address the issue in a way that could lead to an effective resolution
of the dispute.
583. Where, based on the overall circumstances of the case, it appears that
such opportunity was only theoretical and/or could not have led to an effective
resolution of the dispute within the 18 months time frame, it would be unfair to
deprive the investor of its right to resort to arbitration based on the mere disregard
of the 18 months litigation requirement. The reason is that such disregard would
not have caused any real harm to the Host State, whilst in contrast, the deprivation
of the investor’s right to resort to arbitration would, in effect, deprive him of an
important and efficient dispute settlement mean.
584. This conclusion derives more from a weighting of the specific interests
at stake rather than from the application of the general principle of futility: It is not
about whether the 18 months litigation requirement may be considered futile; it is
about determining whether Argentina’s interest in being able to address the specific
claims through its domestic legal system would justify depriving Claimants of their
interests of being able to submit it to arbitration.
(iii) Consequences of Claimants’ Disregard of the 18 Months Litigation
Requirement
585. By not resorting to the Argentine courts, Claimants disregarded the 18
months litigation requirement. It is further established that Claimants had the
possibility to bring claims before the Argentine courts. However, looking at the
nature of theclaims that were available to Claimants, the Tribunal finds that none
of them would have been suited to address the present claims in such a way as to
effectively resolve the dispute:
— Claims for compensation: Claims for compensation for the damage caused
to Claimants by Argentina’s actions surrounding its default were deemed to fail in
view of the Emergency Law and other relating decrees and budget laws, which
prohibited the Argentine government from entering into any juridical,
extra-juridical or private transaction. Thus, even in the case that Claimants would
have won the case before the courts, the government would still have been under
the impossibility to pay out the compensation.
— Claims for unconstitutionality of the Emergency Law: Claimants could
have initiated proceedings aiming at declaring the Emergency Law unconstitutional
for breach of the BIT. However, claims for compensation could only be filed once
the Emergency Law would have been considered unconstitutional, which is highly
unlikely to have been possible within the 18 months time frame.
586. In addition, the Tribunal finds that in the light of the uproar created by
Argentina’s Emergency Law, the Argentinean Government could have arranged for
an examination of the constitutionality of the Emergency Law. Such examination
could have brought clarity on the effectiveness of claims before the Argentinean
courts against the Argentinean Government. However, Argentina did apparently not
see the need to proceed with such examination.
587. In addition, it should be noted that Argentina’s legal system does
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generally not provide for mass claims mechanisms, and that Claimants would
therefore have needed to initiate separate claims. This would have been incredibly
burdensome for them and for the courts, and would very likely have caused
substantial delay in the handling of the cases by the courts.
588. In the light of the Emergency Law and other relevant laws and decrees,
which prohibited any kind of payment of compensation to Claimants, the Tribunal
finds that Argentina was not in a position to adequately address the present dispute
within the framework of its domestic legal system. As such, Argentina’s interest in
pursuing this local remedy does not justify depriving Claimants of their right to
resort to arbitration for the sole reason that they decided not to previously submit
their dispute to the Argentinean courts.
589. Under these circumstances, the Tribunal considers that it is not necessary
anymore to examine Issue No. 5, i.e., whether the MFN clause contained in Article
3(1) BIT may have entitled Claimants to rely on the allegedly more favorable
dispute resolution clause contained in Article 10(1) Argentina-Chile BIT.
(d) Conclusion
590. In conclusion and in (partial) response to Issues Nos. 4 and 5, the
Tribunal holds that the disregard by Claimants of the 18 months litigation
requirement does not preclude them from resorting to ICSID arbitration. In
particular, the Tribunal finds that:
(i) Article 8 provides for an integrated dispute resolution mechanism built
upon a certain hierarchy or order of three interconnected means whereby the
wording of Article 8 itself does not suffice to draw specific conclusions with regard
to the consequences of non-compliance with the order established by Article 8.
(ii) The question whether Claimants’ disregard of the 18 months litigation
requirement justifies precluding them from resorting to arbitration requires a
weighting of interests between Argentina’s interest to be given the opportunity to
address the dispute through the framework of its domestic legal system and
Claimants’ interest in being provided with an efficient dispute resolution means.
(iii) Based on the circumstances of the present case and in particular the
Emergency Law and other relevant laws and decrees, Argentina’s interest in
pursuing the 18 months litigation requirement does not justify depriving Claimants
of their right to resort to arbitration for the sole reason that they decided not to
previously submit their dispute to the Argentinean courts.
591. In view of the above conclusions, the question whether Claimants could
have relied on the MFN clause of Article 3(1) BIT in connection to Article 10(1)
Argentina-Chile BIT in order to evade the 18 months litigation requirement (Issue
No. 5 of the List of 11 Issues of 9 May 2008) is moot.
[omissis]
(6)
Abuse of Rights — Issue 2(b)
(a) Issues
642. It is disputed between the Parties whether the Tribunal should refuse to
hear the case based on the argument that the initiation of the present proceedings
would constitute an abuse of rights by TFA which should not be entertained by the
Tribunal.
208
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643. Thus, the specific issues to be determined by the Tribunal are the
following:
— As a matter of principle, can the alleged abuse of rights by TFA constitute
an impediment to hearing the case?
— If so, has there been an abuse of rights by TFA in the present case?
(b) Parties’ Positions
644. Respondent contends that the Tribunal should refuse jurisdiction on the
grounds of abuse of process. In Respondent’s view, the initiation of this proceeding
constitutes an abuse of rights by TFA which is pursuing hidden interests, foreign to
Claimants’ interest in the present arbitration. The Tribunal should not exercise its
powers for purposes other than those established by the consent of the Contracting
Parties to the ICSID Convention.
645. Opposing Respondent’s submissions in this regards, Claimants contend
that the abuse of rights theory is not applicable in international proceedings.
Further, according to Claimants, even if applicable, there is no relevant abuse of
rights in the present case because the alleged abuse of rights would be committed
by TFAand not by Claimants. Such abuse of rights is not imputable to Claimants
and would therefore be irrelevant.
(c) Tribunal’s Findings
646. The theory of abuse of rights is anex pression of the more general
principle of good faith. The principle of good faith is a fundamental principle of
international law, as well as investment law. As such, the Tribunal holds that the
theory of abuse of rights is, in principle, applicable to ICSID proceedings and has,
in fact, been previously applied by several ICSID and non-ICSID tribunals in
investment cases. The question is thus whether the conditions of an abuse of rights
are met, and — if so — what the consequences of such abuse may be.
(i) Good Faith in the Context of Treaty Claims
647. Within the context of treaty claims, a breach of the good faith principle
can be invoked with regard to two main aspects of the claim:
(i) With regard to the context and the way in which the investment was made,
and for which the investor seeks protection (« material good faith »); and
(ii) With regard to the context and the way in which a party, usually the
investor, initiates its treaty claim seeking protection for its investment (« procedural
good faith »).
648. With regard to breaches of material good faith, different tribunals have
followed two different approaches. Either they have dealt with the question of
material good faith within the context of the examination of the Tribunal’s
jurisdiction or within the context of the examination of the legality of the
investment:
(i) It can be seen as an issue of consent and thus of jurisdiction, where the
consent of the Host State cannot be considered to extend to investments done under
circumstances breaching the principle of good faith;
(ii) It can be seen as an issue relating to the merits, where the key question is
whether the circumstances in which the relevant investment was made are meant to
be protected by the relevant BIT.
649. With regard to breaches of procedural good faith, there are also two
approaches possible. Either one addresses the issue within the context of
jurisdiction or within the context of admissibility:
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(i) It can be seen as an issue of consent and thus of jurisdiction, where one
party considers procedural aspects to be key components of the consent of the Host
State; or
(ii) It can be seen as an issue of admissibility, where the key question is
whether the way in which the investor initiated the proceedings, although
inaccordance with the applicable provisions, aim to obtain a protection, which he
is — under the principle of good faith — not entitled to claim.
650. The difference between these various approaches carries important
practical consequences and ought to be carefully examined. There are certainly
good reasons in support for each of these approaches, and the choice of the
appropriate approach will eventually depend on the circumstances of the case at
stake.
(ii) Qualification of the Alleged Abuse of Rights
651. At present, Respondent’s contentions with regard to abuse of rights are
mainly threefold:
(i) Respondent contends that Claimants did not acquire the investment in
accordance with the principle of good faith due to the Italian banks’ alleged
behavior consisting in the breach of various selling restrictions and other related
obligations;
(ii) Respondent contends that the way these proceedings were initiated and are
conducted amount to an abuse of rights by TFA, who is pursuing its own interests
to the detriment of Claimants’ real interests;
(iii) Respondent has never consented to ICSID proceedings being conducted
under such circumstances.
652. With regard to Respondent’s first contention referred to in § 651 above,
the Tribunal considers it to relate to the merits of the case. The Tribunal has already
set forth above (see §§ 381-386) that for the purposes of jurisdiction, the
Claimants’ investment were to be considered made in accordance with the
applicable law and that any misconduct of the Italian banks could not be imputed
to Claimants.
653. The only remaining question is whether the circumstances invoked by
Respondent could lead to the conclusion that Claimants’ investments do not
deserve the protection of the BIT. The Tribunal finds that this issue requires to be
addressed in relation to the merits of Claimants’ claim for the following reasons:
— Based on the principle of severability of the arbitration clause: Even if the
investment was considered to be invalid, it would not per se invalidate the
jurisdiction of the Tribunal to decide on its validity;
— The circumstances invoked require a more detailed factual analysis than
what is usually conducted at the stage of jurisdiction (see § 303 above), which
justifies dealing with these issues together with the relevant allegations of breaches
of the BIT by Respondent.
654. With regard to the second and third contentions referred to in § 651
above, the Tribunal has already found above (see §§ 489 et seq.) that Respondent’s
consent covered the mass aspect of the proceedings and that TFA’s role therein was
not of such a nature as to vitiate Claimants’ consent (see §§ 455 et seq.).
Consequently, a potential abuse of rights allegedly committed by TFA would not
relate to the jurisdiction of the present Tribunal and could only — if at all — relate
to its admissibility.
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655. Consequently, the Tribunal will limit its analysis to the question whether
Respondent’s allegation that TFA abused the ICSID process to pursue hidden
interests, foreign to the interests of Claimants with regard to their investment, may
render the present proceedings inadmissible.
(iii) Lack of Relevant Abuse of Rights
656. Respondent’s allegations of abuse of rights and abuse of process are
directed against TFA. Respondent submits that the Tribunal should not allow the
present proceedings because TFA is pursuing its own interests, which conflict
withClaimants’ interests, and which are foreign to the interests that the BIT and the
ICSID Convention aim to protect.
657. The Tribunal finds that, even if TFA was pursuing interests which
conflict with Claimants’ interests, this would not lead to the inadmissibility of
Claimants’ claims for the following reasons:
— For ICSID proceedings to be dismissed based on an abuse of rights, it
would be necessary that the abuse concerns the very rights that ICSID proceedings
aim to protect, i.e., the investors’ rights under the relevant BIT.
— In the present arbitration, the alleged abuse of rights does not concern
Claimants’ rights as arising out of the BIT but TFA’s interests as arising out of
Claimants’ pursuit of ICSID proceedings.
— Respondent has not alleged that Claimants themselves were in any way
abusing their right to resort to ICSID arbitration in order to protect their
investment.
— Dismissing Claimants’ claims would mean depriving them of a remedy
they are entitled to invoke, because of the alleged behaviour of a third party on
which Claimants have no influence.
658. In conclusion, the fact that a third party, such as TFA, may allegedly
have taken a certain advantage from the conduct by Claimants of the present ICSID
arbitration may be morally condemnable, but it cannot lead to the inadmissibility
of Claimants’ claims to the extent that the rights Claimants intend to seek
protection for are rights protected under the BIT, which are not claimed in an
abusive manner by Claimants.
(d) Conclusion
659. In conclusion and in (partial) response to Issue No. 2(b), the Tribunal
finds that TFA’s role in the proceedings does not amount to an abuse of rights
which would justify dismissing Claimants’ claims for lack of admissibility.
L’arbitrato ICSID e l’azione collettiva: alcune osservazioni a margine
del caso Abaclat.
Il caso Abaclat ed altri è uno dei tre casi ICSID attualmente pendenti
azionati contro l’Argentina da investitori titolari di strumenti di debito pubblico che hanno rifiutato di partecipare ai processi di ristrutturazione del
debito estero del paese latinoamericano (cosiddetti “holdout creditors”). I
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tre casi (1) sono originati dall’insolvenza dell’Argentina, determinata della
crisi economica del 2001-2002, e dalla conseguente ristrutturazione unilaterale del debito estero operata da tale ultimo paese. Con la decisione, pubblicata qui in estratto, il tribunale arbitrale ICSID a maggioranza ha deciso
di ammettere l’azione collettiva in arbitrato ICSID dei circa 60,000 bondholders italiani rappresentati dall’Associazione per la Tutela degli Investitori in Titoli Argentini, detta anche Task Force Argentina (TFA), associazione non riconosciuta formata da un gruppo di banche italiane. L’azione
collettiva in arbitrato ICSID è basata sull’Accordo tra Italia e Argentina
sulla promozione e protezione degli investimenti stranieri del 1990 (di seguito BIT Italia-Argentina) ed è volta ad ottenere il pagamento da parte
dell’Argentina del capitale e degli interessi connessi alle obbligazioni di
debito scadute sulle quali l’Argentina è in default. La decisione in oggetto
è stata sofferta ed è accompagnata da un’opinione fortemente dissenziente
del Prof. Abi Saab, peraltro non notificata alle parti contestualmente alla
decisione di maggioranza. La decisione, emessa dopo tre anni dalla registrazione del caso all’ICSID, è arrivata al termine di una fase di “giurisdizione” fortemente combattuta dalle parti. Come sopra già ricordato, essa,
notificata alle parti senza l’opinione dissenziente del Prof. Abi Saab, ha già
provocato le dimissioni dell’arbitro dissenziente e una richiesta di ricusazione da parte dell’Argentina dei due arbitri di maggioranza per mancanza
di indipendenza e supposta parzialità (2). La richiesta di ricusazione è stata
respinta e il tribunale è stato ricostituito nel gennaio 2012 con un nuovo arbitro in sostituzione dell’arbitro dimissionario.
La decisione merita di essere qui commentata tenuto conto della novità rappresentata dall’ammissione di un’azione collettiva in arbitrato ICSID attivato sulla base di un BIT e del potenziale impatto che questa decisione può avere sugli altri due casi ICSID attualmente pendenti. Per ragioni
di spazio si ripercorreranno e si commenteranno solo i punti essenziali della
decisione (3).
(1) Oltre al caso Abaclat ed altri c. Argentina, caso n. ARB/07/5, la cui decisione
sulla giurisdizione e ammissibilità è oggetto della presente nota, si tratta di Giovanni Alemanni ed altri c. Argentina, caso ICSID n. ARB/07/8; Giordano Alpi ed altri c. Argentina,
caso ICSID n. ARB/08/9. Essa è reperibile in versione integrale alla pagina http://italaw.com/
documents/AbaclatDecisiononJurisdiction.pdf.
(2) Request for Disqualification of President Pierre Tercier and Arbitrator Jan van
den Berg, 15 September 2011 reperibile alla pagina http://italaw.com/documents/
Abaclat_v_Argentina_Request_for_Disqualification_15Sep2011_En.pdf.
(3) Si è scelto di non pubblicare per ragioni di spazio la decisione nella parte in cui
il tribunale riconosce che le obbligazioni nelle emissioni di debito argentino costituiscono investimenti nel territorio di una delle Parti ai sensi del BIT. Questo aspetto è fortemente discusso e criticato dal Prof. Abi Saab nella sua opinione dissenziente, par. 34-118. L’opinione
dissenziente è reperibile sul sito http://italaw.com/alphabetical_list.htm. La decisione è repe-
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Per comprendere il risultato raggiunto con la decisione, occorre descrivere il metodo e il ragionamento seguito dal tribunale. Il tribunale chiarisce oggetto e obiettivi della decisione, come segue. Innanzitutto, secondo
il tribunale oggetto e obiettivo della decisione è stabilire la “jurisdiction”
del Centro e la “competence” giurisdizionale del tribunale e, nella misura
in cui sussistano entrambe, determinare l’ammissibilità delle domande degli attori (4). In proposito il tribunale specifica che per convenienza userà i
termini “jurisdiction” e “competence” in maniera interscambiabile, pur non
ignorando le differenze tra i due concetti rinviando il ragionamento sul
punto al successivo paragrafo 245. In tale paragrafo il tribunale sviluppa,
però, il diverso argomento secondo cui il termine “jurisdiction” ai sensi
della Convenzione includerebbe anche il distinto concetto di ammissibilità
delle domande. La distinzione tra questioni di ammissibilità delle domande
e questioni di “jurisdiction” e l’inclusione di questioni relative all’ammissibilità nel concetto di “jurisdiction” consente al tribunale di riqualificare
questioni di “jurisdiction” in senso proprio sia ai sensi della Convenzione
ICSID che ai sensi del BIT come questioni di ammissibilità delle domande
di arbitrato, la cui decisione può essere rinviata ad una fase della procedura
successiva a quella propriamente dedicata alla “jurisdiction”. In secondo
luogo, il tribunale chiarisce la portata della fase della procedura arbitrale
dedicata alla giurisdizione e della decisione che la conclude. La fase della
procedura arbitrale relativa alla giurisdizione è dedicata all’analisi di questioni generali e non “issues touching specifically upon each individual
claimant” (5). La decisione non è, dunque, volta a stabilire se il tribunale
abbia competenza giurisdizionale con riferimento a ciascun attore specificamente. Le “jurisdictional issues touching specifically upon individual
Claimants” saranno affrontate, nelle parole del tribunale, in una fase della
procedurale successiva, una volta stabilito che sussistono i requisiti generali necessari ai fini della competenza giurisdizionale del tribunale e dell’ammissibilità delle domande (6). Esse rimarrebbero quindi impregiudicate.
Dopo aver svolto tale premessa metodologica, il tribunale procede alla
ricognizione delle condizioni generali della competenza giurisdizionale di
un tribunale arbitrale ai sensi della Convenzione ICSID. Tali condizioni
generali della giurisdizione ICSID sono contenute nell’art. 25 della Convenzione ICSID (7). Oltre al consenso scritto delle parti al ricorso in arbitrato, si tratta dei requisiti dell’esistenza: 1) di una controversia giuridica,
ribile in versione integrale alla pagina http://italaw.com/documents/AbaclatDecisiononJurisdiction.pdf.
(4) Si veda la decisione, par. 225.
(5) Si veda la decisione, par. 226.
(6) Ibidem.
(7) Decisione, par. 253-258.
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2) in relazione diretta con un investimento, 3) tra uno Stato contraente e un
nazionale di un altro Stato contraente (art. 25(1) Convenzione ICSID).
Inoltre, l’art. 25(2) contiene una definizione di nazionale di altro Stato contraente ai fini della Convenzione ICSID. Per nazionale di altro Stato contraente deve intendersi: 1) ogni persona fisica che possieda la nazionalità di
uno Stato contraente diverso dallo Stato parte della controversia e non possieda contestualmente anche la nazionalità dello Stato parte della controversia alle date della manifestazione del consenso delle parti al ricorso in arbitrato e della registrazione della domanda da parte del Centro (art. 25(2)(a)
Convenzione ICSID), 2) ogni persona giuridica che abbia la nazionalità di
uno Stato contraente diverso dallo Stato parte della controversia alle data
della manifestazione del consenso delle parti al ricorso in arbitrato e ogni
persona giuridica che abbia la nazionalità dello Stato contraente parte della
controversia alla stessa data e che le parti abbiano convenuto di considerare avente la nazionalità di un altro Stato contraente a causa del controllo
esercitato su di essa da interessi stranieri (art. 25(2)(b) Convenzione ICSID). Come specificato anche dal tribunale, i requisiti di nazionalità previsti per l’accesso all’ICSID di persone fisiche (nazionalità di Stato contraente diverso dallo Stato contraente parte della controversia e simultanea
assenza di doppia nazionalità alle date rilevanti) costituiscono “an objective
condition” all’applicazione della Convenzione, non superabili neanche con
il consenso reciproco delle parti (8).
Tuttavia, nel ragionamento sviluppato successivamente dal tribunale,
le condizioni generali della “jurisdiction” ICSID di cui all’art. 25 della
Convezione, pure pedissequamente elencate nella decisione, sono ridotte
sostanzialmente ad una sola condizione. Secondo il tribunale, l’art. 25 Convenzione ICSID si limita a richiedere che esista una controversia tra uno
Stato ospite dell’investimento che abbia ratificato la Convenzione e un investitore di un altro Stato contraente. Con l’espressa indicazione dell’arbitrato ICSID, Italia ed Argentina, entrambe parti della Convenzione ICSID,
esprimono il consenso richiesto dall’art. 25 Convenzione ICSID a sottoporre ad arbitrato ICSID specifiche controversie con i nazionali l’una dell’altra (9). Dunque, i requisiti di cui all’art. 25 Convenzione non acquisiscono una rilevanza autonoma per il tribunale. Al contrario, secondo il tribunale, l’art. 8(1) BIT riflette i requisiti oggettivi dell’art. 25 Convenzione
ICSID, secondo cui l’investitore sia nazionale di uno stato contraente diverso dallo stato ospite (10). Con riguardo alla nazionalità dell’investitore, è
opinione del tribunale che l’art. 25 Convenzione ICSID non preveda alcuna
specificazione rispetto al momento in cui l’investitore debba essere consi-
(8) Decisione, par. 257.
(9) Decisione, par. 274-275.
(10) Decisione, par. 280.
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derato nazionale di un particolare Stato. È questa un’affermazione in palese
contraddizione con il testo dell’art. 25 Convenzione ICSID e con la ricognizione del tribunale dei requisiti previsti dall’art. 25 di cui è detto sopra.
Inoltre, secondo il tribunale, l’art. 25 Convenzione ICSID stabilisce i requisiti per la giurisdizione del Centro, come sopra intesi dal tribunale, e il Reg.
arb. ICSID si limita a stabilire le specifiche regole da seguire per iniziare
una procedura arbitrale ICSID. Al contrario, la Convenzione tace sulla
questione se procedure arbitrali ICSID possano essere condizionate al rispetto di requisiti ulteriori e, in caso affermativo, quali siano gli effetti di
questi requisiti ulteriori rispetto alla giurisdizione ICSID (11).
Sulla base dell’assunto che il termine “jurisdiction” ICSID includa
anche il diverso concetto di ammissibilità della domanda, i requisiti soggettivi posti dalla Convenzione ICSID (i requisiti di nazionalità e la personalità giuridica per gli attori enti collettivi, che sono limiti assoluti non superabili neanche con l’accordo delle parti) nel ragionamento del tribunale si
confondono con i requisiti soggettivi ulteriori e diversi posti dal BIT. Si
tratta per le persone fisiche dei requisiti (ulteriori rispetto ai requisiti di nazionalità previsti dalla Convenzione) a) di non essere stati domiciliati in
Argentina nei due anni precedenti all’effettuazione dell’investimento e b) di
non aver mantenuto contestualmente residenza anagrafica in Italia e domicilio in Argentina (dove si è effettuato l’investimento) per più di due anni (12). Per gli enti si tratta della diversa (e meno restrittiva) definizione di
persona giuridica del BIT (che include anche gli enti privi di personalità
giuridica) rispetto a quella più restrittiva della Convenzione (che si riferisce esclusivamente a “juridical person”) (13).
Da una parte, come ammesso dallo stesso tribunale, i requisiti previsti sia dal BIT (art. 1(2) BIT, art. 1 del Protocollo addizionale) che dall’art.
25 Convenzione ICSID devono essere soddisfatti da ciascun attore ai fini
della competenza giurisdizionale ratione personarum del tribunale. Tale
controllo implica logicamente la verifica delle informazioni presentate dagli attori rispetto ai requisiti di nazionalità ICSID e a quelli ulteriori del
BIT. A tale ultimo proposito si tratta, nell’opinione del tribunale del solo
requisito per le persone fisiche, di cui l’art. 1, par. 1 del Protocollo addizionale, di non aver avuto domicilio in Argentina nei due anni precedenti al-
(11) Decisione, par. 288-299.
(12) Si veda il testo degli articoli 1(2) e (3) del BIT al par. 393 della decisione e il
testo dell’art. 1 del Protocollo addizionale al BIT al par. 396 della decisione.
(13) Sulla necessità che l’investitore ente collettivo abbia personalità giuridica ai fini
della giurisdizione ICSID si veda SCHREUER, MALINTOPPI, REINISH, SINCLAIR, The ICSID Convention, Oxford/New York, 2010, par. 689-693, 277-278 e i precedenti ivi citati. Per alcuni
riferimenti di dottrina e prassi ci sia consentito rinviare anche a DE LUCA, L’arbitrato internazionale treaty-based sugli investimenti esteri, in Comunicazioni e Studi, 2007, 979 ss., nota
71, 1006.
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l’effettuazione dell’investimento (sulla possibile autonoma rilevanza dell’art. 1, par. 2 del Protocollo si veda infra). Dall’altra, in base al metodo e
impostazione scelti, il tribunale ribadisce che la fase della giurisdizione e
la decisione che la conclude non hanno l’obiettivo di statuire sul punto con
riguardo a ciascun attore (14).
Ai fini della Convenzione ICSID e del BIT, il tribunale ritiene sufficiente determinare che esso è astrattamente competente ratione personarum: 1) su ogni attore persona fisica (i) con cittadinanza italiana al 14 settembre 2006 e 7 febbraio 2007, (ii) che non sia anche cittadino argentino
nelle stesse date, (iii) non abbia avuto domicilio in Argentina nei due anni
precedenti all’effettuazione dell’investimento e (iv) abbia effettuato un investimento ai sensi del BIT, 2) su ogni attore persona giuridica con nazionalità italiana al 14 settembre 2006, con ciò intendendosi ogni ente che sia
costituito conformemente alla legislazione italiana, con sede sociale in Italia, e riconosciuto dalla legge italiana nel senso che abbia capacità di effettuare un investimento e sia dotato di capacità processuale, indipendente dal
possesso di piena personalità giuridica (15). Tuttavia, tale determinazione da
parte del tribunale della propria competenza ratione personarum corrisponde al mero elenco e alla somma dei requisiti richiesti dalla Convenzione ICSID e dal BIT Italia-Argentina (peraltro sotto tale profilo incompleto come si vedrà) agli investitori nazionali dei due Stati contraenti ai fini
dell’accesso ad un arbitrato ICSID treaty-based. Tale affermazione di “jurisdiction” in astratto costituisce null’altro che l’affermazione che un qualunque tribunale ICSID istituito sulla base del BIT Italia-Argentina ha competenza giurisdizionale su investitori (persone fisiche e enti) che rispondano
ai requisiti richiesti in astratto dalla Convenzione e dal BIT. Non si tratta
dunque di una reale determinazione della competenza giurisdizionale del
tribunale specificamente rispetto agli attori, determinazione imposta sia
dalla Convenzione ICSID, come ammesso dallo stesso tribunale, sia dal
BIT. Inoltre, il concreto controllo del possesso dei requisiti di cui si è detto
da parte di ciascuno degli attori, richiesto per ammissione dello stesso tribunale dalla Convenzione e dal BIT, apparentemente rinviato solo ad una
fase successiva della procedura nella descrizione iniziale di oggetto e scopo
della decisione, appare invece fortemente limitato nel proseguo della trattazione del caso, con palese compressione del diritto di difesa dell’Argentina. Da una parte, secondo il tribunale, “... the large number of Claimants
makes it impossible to treat and examine each of the 180,000 claims (or
60,000 claims for that matter) as if it were a single claim, and certain ge-
(14) Decisione, par. 409.
(15) Decisione, par. 421, 422. Tuttavia sulla circostanza che la piena personalità giuridica degli enti costituisca un limite assoluto alla giurisdizione del centro si veda supra nota 13.
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neralisations and/or group examinations will be unavoidable” (16); dall’altra il carattere collettivo dell’azione non pone una questione di giurisdizione ma solo di ammissibilità dell’azione.
Sulla base della convinzione che l’azione collettiva sia compatibile
con la Convenzione ICSID, il tribunale chiarisce di non essere nella posizione di esaminare tutti gli elementi e i relativi documenti del caso come
nell’ipotesi in cui ci fosse un piccolo gruppo di attori (17). Il tribunale avrà
necessità di applicare dei meccanismi che consentano una verifica semplificata del materiale di prova (18). Dunque, la verifica oggettiva delle condizioni di “eligibility” di ciascun singolo attore all’arbitrato ICSID sulla base
del BIT non avverrà mai, nonostante l’affermazione della necessità ai sensi
del Convenzione di tale verifica. Ugualmente “the specific circumstances
surrounding individual purchases by Claimants of security entitlements are
irrelevant”, (19) in base all’argomento dell’omogeneità delle domande degli
attori (20).
L’azione collettiva è ammessa dal tribunale sulla base di una serie di
argomenti, principalmente di policy e teleologici (cioè fondati sull’obiettivo
e lo scopo della Convenzione ICSID e del BIT). Un primo argomento è basato sulla “raison d’être” dell’azione collettiva, come individuata dal tribunale, nonostante l’assenza di un approccio uniforme negli ordinamenti nazionali su tale istituto. Come noto, l’istituto dell’azione collettiva non costituisce patrimonio giuridico comune (21) e alcuni ordinamenti nazionali
non solo non prevedono l’azione collettiva in arbitrato (22) ma anche
l’azione collettiva tout court. Secondo il tribunale, “Collective proceedings
emerged where they constituted the only way to ensure an effective remedy
in protection of a substantive right provided by contract or law; in other
(16) Decisione, par. 296.
(17) Decisione, par. 531.
(18) Ibidem.
(19) Decisione, par. 542.
(20) Decisione, par. 545.
(21) Dall’altra parte, come è stato osservato in dottrina, “Mass legal disputes combine difficult questions of public policy and state regulation with jurisdictionally specific determinations about the fundamental nature of individual rights”. in tal senso STRONG, Class
and Collective Relief in the Cross-Border Context: A Possible Role for the Permanent Court
of Arbitration, in LAVRANOS, KOK et AL., Hague Yearbook of International Law, 2010, 113 ss.,
a 116.
(22) Si rilevi che anche nell’ordinamento statunitense, dove l’azione collettiva in arbitrato è un istituto conosciuto e applicato da diverso tempo, esso è circondato da una certa
cautela tenuto conto che “class-action arbitration changes the nature of arbitration to such a
degree that it cannot be presumed the parties consented to it by simply agreeing to submit
their disputes to an arbitrator” (Stati Uniti d’America, Supreme Court, sentenza 27 aprile
2010, Stolt Nielsen S.A. ad altri c. Animalfeeds International Corp., in questa Rivista, 2011,
115, a 116, con nota di CASONI, Recenti sviluppi sulla class action arbitration negli Stati
Uniti, 118).
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words, collective proceedings were seen as necessary, where the absence of
such mechanism would de facto have resulted in depriving the claimants of
their substantive rights due to the lack of appropriate mechanism” (23). Un
secondo argomento è basato sullo scopo della Convenzione ICSID (che sarebbe la protezione e promozione degli investimenti). Secondo il tribunale,
da una parte, la natura collettiva dell’azione dipende dalla natura dell’investimento effettuato (le obbligazioni argentine); dall’altra la Convenzione è
volta alla promozione e protezione dell’investimento straniero, la cui definizione è lasciata parzialmente alla determinazione delle parti con strumenti quali i BITs. Poiché il BIT in questione protegge obbligazioni relative ad emissioni di debito e la protezione effettiva di un tale investimento
può coinvolgere un numero elevato di investitori, ne consegue che sarebbe
contrario allo scopo e allo spirito della Convenzione richiedere, oltre al
consenso al ricorso in arbitrato ICSID in generale, una manifestazione specifica e aggiuntiva del consenso rispetto al ricorso in arbitrato in forma collettiva (24). Dunque, interpretare il silenzio della Convenzione ICSID sulla
possibilità di attivazione di procedure arbitrali collettive come impedimento
all’ammissibilità di procedure arbitrali collettive sarebbe contrario allo
scopo del BIT e allo spirito della Convenzione (25). Nell’opinione del tribunale, il silenzio della Convenzione ICSID rispetto alle procedure collettive deve essere interpretato come una semplice lacuna e non come un silenzio qualificato tale da rendere l’azione collettiva incompatibile con l’arbitrato ICSID (26). Tale lacuna può essere colmata dal tribunale con l’esercizio del proprio potere di regolare ogni aspetto della procedura non regolato dalla Convenzione o dal regolamento arbitrale o da qualsiasi altra regola concordata dalle parti (art. 44 Convenzione ICSID e art. 19 Reg. arb.
ICSID) (27). Il tribunale opererà, dunque, gli adattamenti alla procedura ICSID standard necessari per decidere la presente azione collettiva, di cui si
è già detto sopra (28). In proposito, esso precisa, che “[h]owever, it is understood that adaptations made to the standard procedure must be done in
consideration of the general principle of due process and must seek a balance between procedural rights and interests of each party” (29). Tuttavia,
tale affermazione appare un’affermazione di stile, priva di qualunque implicazione pratica. Da una parte, il tribunale appare, infatti, consapevole della
compressione del diritto di difesa delle parti e dell’Argentina causata dall’ammissione dell’azione collettiva degli attori e dagli adattamenti alla pro(23)
(24)
(25)
(26)
(27)
(28)
(29)
Decisione,
Decisione,
Decisione,
Decisione,
Decisione,
Decisione,
Decisione,
par.
par.
par.
par.
par.
par.
par.
484.
490, par. 518.
519.
518-520.
521-523.
525-528.
519.
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cedura ICSID standard operati dal tribunale. Come sopra già detto, tali
adattamenti si traducono nell’impossibilità della verifica dei requisiti soggettivi richiesti a ciascun attore sia dalla Convenzione che dal BIT cosı̀
come nell’impossibilità dell’Argentina di sviluppare argomenti di difesa
basati sulle condizioni e situazioni specifiche di ciascun attore. Dall’altra,
il tribunale giustifica la compressione dei diritti procedurali delle parti richiamando gli argomenti di policy e di carattere teleologico, in parte già
sopra riportati. Secondo il tribunale, l’inammissibilità delle domande degli
attori costituirebbe un diniego di giustizia particolarmente scioccante, considerato che l’investimento in oggetto è protetto dal BIT (30), e le domande
degli attori sono identiche o hanno carattere sufficientemente omogeneo (31).
Dopo aver descritto i punti principali della decisione del tribunale, si
svolgono qui di seguito alcuni commenti critici. In primo luogo, si tratta
della rilevanza della distinzione tra “jurisdiction” e “competence” rispetto
alla controversia davanti al tribunale e della correttezza dell’assimilazione
tra questioni di “jurisdiction” e questioni di ammissibilità delle domande.
La distinzione tra “jurisdiction” e “competence” è connessa alla definizione
di “jurisdiction of the Centre” contenuta nella relazione dei direttori esecutivi della Banca che accompagna la Convenzione ICSID e alle caratteristiche uniche del sistema arbitrale ICSID rispetto ad altre forme di arbitrati
amministrati. Sotto il primo profilo, come chiarito nella relazione dei Direttori esecutivi, “The term “jurisdiction of the Centre” is used in the Convention as a convenient expression to mean the limits within which the
provisions of the Convention will apply and the facilities of the Centre will
be available for conciliation and arbitration”. Sotto il secondo profilo, il
Centro, al contrario di altri organismi che amministrano arbitrati, svolge
una funzione di screening delle domande di arbitrato al momento della registrazione. Ai sensi dell’art. 36(3) Convenzione ICSID il Centro (nella
persona del suo Segretario generale) rifiuta la domanda di arbitrato, qualora
in base alle informazioni ivi contenute sull’oggetto della controversia,
l’identità delle parti e il loro consenso a sottoporsi all’arbitrato, essa sia
“manifestly outside the jurisdiction of the Centre”. La ratio dell’attribuzione al Centro di tale potere di screening delle domande di arbitrato consiste nell’evitare “the embarrassment to a party (particularly a State) which
might result from the institution of proceedings against it in a dispute
which it had not consented to submit to the Centre, as well as the possibility that the machinery of the Centre would be set in motion in cases which
for other reasons were obviously outside the jurisdiction of the Centre e.g.,
because either the applicant or the other party was not eligible to be a party
(30)
(31)
Decisione, par. 537.
Decisione, par. 540-544.
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in proceedings under the Convention” (32). Il controllo operato dal Centro
nel momento della registrazione è un mero controllo prima facie della sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi posti dall’art. 25 Convenzione
ICSID. La Convenzione assegna al Centro solo funzioni di carattere amministrativo e il Centro non svolge alcuna funzione giurisdizionale nell’esercizio di tale potere. Dunque, da una parte, il rifiuto di registrazione della
domanda da parte del Centro non è impugnabile o ricorribile e non ha
forma di lodo (appunto ricorribile in annullamento ai sensi della Convenzione); come chiarito nella relazione dei Direttori esecutivi, la registrazione
della domanda non pregiudica in alcun modo la competenza giurisdizionale
dei tribunali arbitrali e non preclude il tribunale “from finding that the dispute is outside the jurisdiction of the Centre” (33). D’altra parte ai sensi
dell’art. 41(2) della Convenzione il tribunale deve esaminare l’obiezioni di
parte secondo cui la “dispute is not within the jurisdiction of the Centre, or
for other reason is not within the competence of the Tribunal”, decidendo
se trattare l’obiezione come questione pregiudiziale o unitamente alle questioni di merito. Tenuto conto del fatto che il termine “jurisdiction” è utilizzato dalla Convenzione anche con riferimento al potere di “screening” ai
fini della registrazione delle domande di arbitrato del Centro e che questo
non svolge funzioni giurisdizionali, alcuni tribunali ICSID hanno distinto
tra i termini “jurisdiction of the Centre” e “competence” in linea con il testo in inglese e spagnolo della Convenzione. Altri tribunali hanno consapevolmente utilizzato i termini in maniera fungibile (34). Mentre il termine
“jurisdiction” “refers to the requiriments set out in Art. 25, which are conditional for the power of a conciliation commission or arbitral tribunal”, il
termine “competence” si riferisce a questioni più limitate specificamente
relative ad ciascun tribunale, quali la costituzione dello stesso conformemente alla previsioni della Convenzione o questioni di litispendenza (35).
Ciò detto, rimane il fatto che nell’ambito del sistema arbitrale ICSID ciascun tribunale deve avere “jurisdiction” ed essere “competent” nel senso
previsto dalla Convenzione. Inoltre il rispetto dei “jurisdictional requirements” oggettivi e soggettivi di cui all’art. 25 Convenzione ICSID (inserito
nel capitolo II, Jurisdiction of the Centre), è sottoposto prima ad un limitato controllo prima facie da parte del Centro ai fini della registrazione
(32) Report of the Executive Directors of the International Bank for Reconstruction
and Development on the Convention on the Settlement of Investment Disputes between States and Nationals of Other States, par. 20 reperibile alla pagina http://icsid.worldbank.org/
ICSID/FrontServlet?requestType=ICSIDDocRH&actionVal=RulesMain.
(33) Report of the Executive Directors, op. cit., par. 38.
(34) In proposito si vedano SCHREUER, MALINTOPPI, REINISH, SINCLAIR, The ICSID Convention, p. cit., par. 17 e nota 8, 86.
(35) Si veda SCHREUER, MALINTOPPI, REINISH, SINCLAIR, The ICSID Convention, p. cit.,
par. 56, p. 531.
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della domanda di arbitrato (art. 36(3) Convenzione ICSID) e poi al controllo del tribunale ICSID (art. 41(2)). Tale è l’importanza del rispetto dei
“jurisdictional requirement” ai sensi della Convenzione che alcuni autori ne
hanno riconosciuto la “constitutional nature” (36) e la mancata considerazione di questioni relative alla “jurisdiction” da parte del tribunale espone
il lodo ad annullamento ai sensi dell’art. 52 Convenzione ICSID. In tal
senso depongono anche il sopra citato articolo 41(2) Convenzione ICSID e
l’art. 41(2) Reg. arbitrale ICSID secondo cui l’assenza dei “jurisdictional
requirements” può essere rilevata dal tribunale anche motu proprio in qualunque stadio della procedura. Rimane dunque difficile comprendere come,
partendo dalla distinzione tra “jurisdiction” e “competence”, il tribunale sia
potuto arrivare ad includere nel concetto di “jurisdiction” il diverso concetto di ammissibilità della domanda (37) (che peraltro la Convenzione non
contiene) e, in tal modo, riqualificare requisiti giurisdizionali ai sensi della
Convenzione come requisiti attinenti all’ammissibilità.
In secondo luogo, la nozione di ammissibilità della domanda, che non
è accolta uniformemente nella prassi arbitrale treaty-based ICSID e non
ICSID (38), è stata ricondotta a questioni diverse dal soddisfacimento dei
requisiti dell’art. 25 Convenzione ICSID e dei requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dai BIT ai fini del valido perfezionamento del consenso dell’investitore e dello Stato contraente al ricorso all’arbitrato treaty-based (si
tratta della definizione di investitore e della definizione di investimento).
Senza alcuna pretesa di esaurire l’argomento, alcuni tribunali arbitrali
hanno qualificato come questioni di ammissibilità obiezioni degli stati convenuti basate sulla circostanza che i fatti allegati dall’attore non fossero suscettibili di integrare una violazione dell’accordo (39) oppure obiezioni alla
giurisdizione su “contractual claims” sulla base di una “umbrella clause”
fondate sulla presenza nel contratto di una clausola di scelta del foro domestico (40). Inoltre, la qualifica di una questione come attinente all’ammis-
(36) Si veda WILLIAMS Q.C., Jurisdiction and Admissibility, in MUCHLINSKI, ORTINO,
SCHREUER, The Oxford Handbook of International Investment Law, Oxford/New York, 869 ss.,
a 871.
(37) Decisione, par. 245.
(38) Sull’ammissibilità e sulla prassi arbitrale sul tema si veda WILLIAMS Q.C., Jurisdiction and Admissibility, cit., 919-927.
(39) Tribunale arbitrale UNCITRAL, Lodo parziale sulla giurisdizione, Methanex c.
USA, 7 agosto 2002, par. 123-124, ove il tribunale qualifica tali questioni come relative all’ammissibilità e non alla giurisdizione, escludendo tuttavia di poter trattare tali questioni
come questioni preliminari ai sensi del Regolamento arbitrale UNCITRAL e del Capitolo 11
del NAFTA, la cui violazione veniva invocata.
(40) Tribunale ICSID, decisione sulla giurisdizione 29 gennaio 2004, SGS c. Filippine, caso ICSID n. ARB/02/6, par. 154 ove il tribunale si riconosce astrattamente competente su domande fondate sul contratto per la presentazione di un “umbrella clause”, qualificando gli effetti di una clausola contrattuale di scelta del foro domestico come questione at-
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sibilità ovvero alla giurisdizione può dipendere delle regole procedurali applicabili avanti al tribunale investito della controversia. Nell’ambito dell’azione di uno Stato in protezione diplomatica dei propri cittadini, la Corte
internazionale di giustizia qualifica le obiezioni dello Stato convenuto fondate su difetti nel possesso da parte delle persone fisiche e giuridiche della
nazionalità dello Stato che agisce in protezione diplomatica come questioni
attinenti all’ammissibilità dell’azione (41) da decidere come questioni pregiudiziali. Al contrario, come correttamente è stato osservato, “in the realm
of investment treaty arbitration, objections based on the nationality of a
claimant are, pursuant to Article 25 of the ICSID Convention, framed as
jurisdictional objections as opposed to objections based on admissibility” (42).
Rispetto alla distinzione tra giurisdizione e ammissibilità e ai diversi
effetti di difetti attinenti all’una o all’altra enfatizzati dal tribunale si osserva quanto segue: una domanda di arbitrato ICSID introdotta sulla base
di un BIT da un doppio nazionale di uno Stato contraente della Convenzione ICSID e del diverso Stato contraente parte delle controversia alle date
considerate rilevanti dalla Convenzione dovrà essere respinta da un tribunale ICSID su BIT per difetto di giurisdizione ICSID come previsto dall’art. 25. La domanda potrebbe, tuttavia, essere riproposta davanti ad un
tribunale arbitrale non ICSID nell’ipotesi in cui il BIT non escluda i doppi
nazionali dalla protezione convenzionale e preveda fori arbitrali alternativi (43). Dunque, contrariamente alla schematica distinzione giurisdizione/
ammissibilità operata dal tribunale, il rigetto di una tale domanda per difetto di giurisdizione da parte di un tribunale ICSID, sarebbe soggetta a
controllo in annullamento e, in ogni caso, eventualmente riproponibile
avanti ad un altro tribunale arbitrale treaty-based non-ICSID.
In terzo luogo, non convince il trattamento di questioni relative al
perfezionamento del consenso reciproco delle parti al ricorso all’arbitrato
tramite il BIT come questioni meramente procedurali. Sono due gli elementi principali della disciplina degli accordi di protezione degli investi-
tinente all’ammissibilità e sospendendo in ultima analisi la procedura. Per un’analisi più
estesa della decisione ci sia consentito rinviare a DE LUCA, L’arbitrato internazionale treatybased sugli investimenti esteri, cit., 1031-1037.
(41) Si veda ad esempio Corte internazionale di giustizia, sentenza 24 maggio 2007,
Ahmadou Sadio Diallo (Republic of Guinea v. Democratic Republic of the Congo), par. 77
ss.. Le questioni legate a nazionalità della persona protetta ed esaurimento dei ricorsi interni
sono qualificate come questioni di ammissibilità e trattate dalla Corte come questioni pregiudiziali.
(42) Si veda WILLIAMS Q.C., Jurisdiction and Admissibility, op. cit., 920.
(43) Sul limite assoluto alla giurisdizione ICSID costituito da possesso dei requisiti
di nazionalità previsti dalla Convenzione con riferimento alle persone fisiche ci sia consentito di rinviare a DE LUCA, I requisiti di nazionalità degli investitori persone fisiche ai fini
della giurisdizione ICSID, in questa Rivista, 2009, 807.
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menti, bilaterali (detti anche BITs) o multilaterali (come ad esempio
l’Energy Charter Treaty). Si tratta innanzitutto, sotto il profilo della tutela
sostanziale, delle obbligazioni convenzionali che impongono agli Stati contraenti standard di trattamento e protezione (quali ad esempio il trattamento
giusto ed equo, la clausola del trattamento della nazione più favorita e del
trattamento nazionale) su base di reciprocità. In secondo luogo, sotto il
profilo della tutela procedurale, si tratta della previsione di norme relative
alla soluzione delle controversie tra Stato e investitore nazionale dell’altro
Stato contraente in relazione alle operazioni di investimento, solitamente
definite dal trattato stesso con l’utilizzazione di una nozione aperta. Tali
clausole esprimono il consenso anticipato degli Stati contraenti al ricorso
all’arbitrato internazionale rispetto a controversie con gli investitori nazionali dell’altra Parte (come definiti nel BIT) relative agli investimenti protetti. Dunque tali ultime norme garantiscono agli investitori nazionali di
ciascuna delle Parti (tramite l’accettazione, con l’introduzione della domanda di arbitrato, dell’offerta di arbitrato dello Stato contenuta nella clausola) il diritto di ricorrere ad un arbitrato internazionale nei confronti dell’altro Stato, ospite dell’investimento, al fine di assicurarsi effettivamente
l’applicazione degli standard di tutela sostanziali sopra indicati. Il consenso
al ricorso all’arbitrato treaty-based è prestato dalle parti in maniera disgiunta e si perfeziona nel momento dell’accettazione da parte dell’investitore dell’offerta di arbitrato degli Stati contenuta nella clausola del BIT.
Tuttavia il consenso può validamente perfezionarsi solo nei limiti ratione
personarum, ratione temporis, ratione loci e ratione materiae stabiliti da
ciascun accordo. Dunque, nel caso del BIT Italia-Argentina una persona fisica di nazionalità italiana, che sia stata domiciliata in Argentina nei due
anni precedenti al momento di effettuare l’investimento (art. 1, par. 1 del
Protocollo addizionale) oppure abbia mantenuto residenza anagrafica in
Italia e contestualmente domicilio per due anni in Argentina, dove l’investimento è stato realizzato, (art. 1, par. 2 del Protocollo addizionale) non
potrà avere accesso all’arbitrato. Il consenso delle parti al ricorso in arbitrato treaty-based non può validamente perfezionarsi in tali casi. Infatti, le
persone fisiche con i requisiti di cui all’art. 1 del Protocollo addizionale
“non potranno beneficiare dell’Accordo” (art. 1, par. 1 del Protocollo addizionale) né sotto il profilo procedurale (il ricorso all’arbitrato internazionale) né sotto il profilo sostanziale (gli standard di trattamento e protezione).
In quarto luogo, sotto il profilo dell’interpretazione e dell’applicazione
del BIT, merita di essere rilevato che il tribunale include astrattamente nell’elenco dei requisiti richiesti dalla Convenzione ICSID e del BIT ai fini
della propria giurisdizione ratione personarum solo i requisiti richiesti dall’art. 1, par. 1 del Protocollo addizionale. Il tribunale non compie nessuna
valutazione autonoma dell’art. 1, par. 2 del Protocollo addizionale, come
avrebbero suggerito una corretta applicazione e interpretazione del BIT. In
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base all’art. 1, par. 2 Protocollo addizionale, “[q]ualora una persona fisica
di una Parte Contraente mantenga contemporaneamente la residenza anagrafica nel proprio Paese ed il domicilio per più di due anni nell’altro, essa
verrà equiparata, ai fini del presente Accordo, alle persone fisiche della
Parte Contraente nel cui territorio abbia realizzato investimenti”. Se dunque
il par. 1 pone il limite del domicilio nei due anni precedenti “al momento
di effettuare un investimento”, il par. 2 sembra porre il limite del domicilio di due anni nel paese ospite dell’investimento (contestuale al mantenimento della residenza anagrafica nello Stato di cittadinanza) con riferimento ad un momento successivo a quello dell’effettuazione dell’investimento, quando l’investimento è già stato realizzato. In tale caso il cittadino
italiano è equiparato al cittadino argentino, dunque escluso dalla protezione
dell’Accordo, con riferimento sia alla protezione procedurale che alla protezione sostanziale. In proposito, nonostante il richiamo alle regole di interpretazione dei trattati della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto
dei trattati (in particolare gli articoli 31 e 32) (44) il tribunale non sembra
compiere nessuna delle operazioni che l’applicazione dei criteri di interpretazione dei trattati codificati nella Convenzione di Vienna avrebbe richiesto. Si tratta in particolare della regola secondo cui “Un trattato deve essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai
termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo
scopo” (art. 31, par. 1 Convenzione di Vienna) (45).
In quinto luogo, sotto il profilo dell’applicazione dei criteri di interpretazione dei trattati (in particolare la regola di cui all’art. 31, par. 1 Convenzione di Vienna), gli argomenti teleologici utilizzati dal tribunale appaiono deboli in base ad una semplice lettura dei testi degli accordi. Sotto
un primo profilo e con riferimento alla Convenzione ICSID si rileva che il
tribunale attribuisce alla Convenzione ICSID lo scopo della protezione degli investimenti. Tuttavia la semplice lettura del Preambolo della Convenzione ICSID smentisce tale assunto. Scopo della Convenzione è, infatti, offrire un foro arbitrale neutrale per la soluzione di controversie sugli investimenti tra Stati contraenti e privati nazionali di altri Stati, “considering
the need for international cooperation for economic development, and the
role of private international investment” (Preambolo, primo capoverso).
Con riferimento al BIT, i limiti all’ambito di applicazione soggettivo del
BIT di cui art. 1 del Protocollo addizionale non appaiono superabili con
l’argomento di carattere teleologico secondo cui il BIT avrebbe l’obiettivo
della protezione degli investimenti stranieri. Al contrario, le Parti contraenti
del BIT sembrano aver consapevolmente escluso dalla categoria dei bene-
(44) Decisione, par. 291.
(45) Si veda la traduzione in italiano della Convenzione in LUZZATTO, POCAR, Codice
di diritto internazionale pubblico, Torino, 2003, 33 ss.
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ficiari dell’Accordo non solo le persone fisiche che posseggano doppia nazionalità ma anche coloro che nazionali di una delle Parti abbiano, pur tuttavia, un legame stretto con la comunità territoriale dell’altra Parte contraente (segnalato appunto dal mantenimento anche per soli due anni del
domicilio in questa ultima). In altri termini, sembrerebbe che, in ragione
delle tradizionali e strette relazioni di amicizia, Italia e Argentina abbiano
scelto di limitare la protezione internazionale degli investitori persone fisiche. Al contrario, i BIT generalmente proteggono in maniera molto ampia
gli investitori persone fisiche, generalmente piccoli e medi investitori. Infatti, la protezione internazionale è generalmente estesa ai doppi nazionali,
purché la nazionalità predominante non sia quella dello Stato ospite dell’investimento, sia in applicazione di un espressa previsione dell’accordo che
nel silenzio dello stesso (46) e, in alcuni casi, anche ai cittadini di Paesi terzi
residenti di lungo soggiorno nel territorio degli Stati parti dell’accordo (47).
Non sono generalmente previste limitazioni alla protezione di investitori
cittadini di una delle parti che siano basate sul domicilio nell’altro Stato
parte ove si è effettuato l’investimento. Dall’altra parte la previsione di tali
limitazioni basate sul domicilio limita fortemente l’obiettivo convenzionale
della protezione effettiva dell’investimento straniero e degli investitori piccoli e medi, generalmente appunto persone fisiche. Come osservato a contrario dal Tribunale NAFTA nel caso Feldman Karpa c. Messico (48),
l’obiettivo delle Parti della promozione delle opportunità di investimento
nel territorio delle Parti e della protezione effettiva garantita da ciascuna
delle Parti agli investitori dell’altra si oppone, in via di principio ed in assenza di una previsione contraria dell’accordo, all’esclusione dei residenti
permanenti nello Stato ospite dalla protezione sostanziale e procedurale del
trattato. Dunque la lettera e i termini delle norme convenzionali, interpretati in buona fede secondo il loro senso ordinario, non possono essere superati da generici richiami allo scopo del BIT (la protezione degli investimenti) e il tribunale non può sostituire all’assetto di interessi raggiunto
dalla Parti con la conclusione del BIT le proprie autonome valutazioni di
policy, sia pure fondate sulla necessità di garantire ad un’ampia categoria
di piccoli e medi investitori una protezione effettiva di cui di fatto sarebbero altrimenti privati. Al contrario di quanto sostenuto dal tribunale, gli
adattamenti richiesti dall’ammissione dell’azione collettiva in arbitrato
ICSID sulla base del BIT Italia-Argentina non riguardano semplicemente
(46) Sul punto si veda DE LUCA, I requisiti di nazionalità degli investitori persone fisiche ai fini della giurisdizione ICSID, cit., 812.
(47) Per esempio art. 1(7) Energy Charter Treaty e l’art. 1(c) BIT Australia-Argentina. Per altri esempi si veda DE LUCA, I requisiti di nazionalità degli investitori persone fisiche ai fini della giurisdizione ICSID, cit., 819.
(48) Decisione sulla giurisdizione 6 dicembre 2000, caso ICSID n. ARB(AF)/99/1,
par. 35.
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l’attuazione della procedura ICSID. Essi hanno esattamente l’effetto di limitare l’oggetto dell’esame condotto dal tribunale (49). Si tratta del controllo per gruppi e l’esame sommario degli elementi di prova rispetto, tra
gli altri, ai requisiti richiesti agli investitori per l’eligibility all’arbitrato ICSID treaty-based. Tale limitato esame appare contrario a quanto richiesto
dalla Convenzione ICSID in relazione al controllo dei “jurisdictional requirements” di cui all’art. 25 e dal BIT in relazione ai requisiti di cui all’art.
1 del Protocollo addizionale, il cui solo rispetto consente il valido perfezionamento del consenso delle parti al ricorso in arbitrato. In base ai rilievi
sopra svolti, la circostanza che l’azione collettiva e gli adattamenti alla
procedura arbitrale ICSID che essa richiede (con conseguente compressione del diritto di difesa dell’Argentina come sopra già evidenziati) pongano problemi attinenti al controllo della giurisdizione (al contrario di
quanto affermato dal tribunale) avrebbe dovuto forse suggerire al tribunale
una soluzione opposta. Si tratta dell’impossibilità di ammettere l’azione
collettiva nell’impossibilità di garantire il rispetto dell’art. 25 Convenzione
ICSID e delle sopra citate previsioni del BIT, nel rispetto dell’assetto di interessi voluto delle Parti dello stesso. Tuttavia, non si esclude che azioni
collettive possano essere ammesse in arbitrato internazionale treaty-based
nell’ipotesi in cui un tribunale possa garantire il controllo dei requisiti di
eligibility di ciascun attore, eventualmente con l’assistenza dell’organismo
che amministra la procedura. A tal fine appare, tuttavia, necessario che la
fase della raccolta delle informazioni relative agli attori e la preparazione e
gestione del relativo database sia curata da un soggetto terzo rispetto alle
parti, al fine di garantire il principio del due process. Tali operazioni non
possono essere lasciate esclusivamente ad un soggetto che rappresenta gli
interessi degli attori, quali è la TFA nel caso che qui si discute.
Infine, anche l’argomento utilizzato dal tribunale secondo cui occorrerebbe ammettere l’azione collettiva al fine di garantire una protezione effettiva ai bondholders appare debole nel caso all’esame. Al contrario di
quanto sostenuto dal tribunale, il mancato accesso degli attori all’ICSID
non avrebbe privato gli stessi di una protezione effettiva. Per i bondholders
sarebbero rimasti possibili ricorsi avanti a più fori nazionali. Si tratta del
ricorso al foro domestico pattuito nei regolamenti dei bonds e dell’azione
di responsabilità contro le banche italiane avanti ai giudici italiani. Anzi
proprio quest’ultima azione avanti ai giudici italiani appare il rimedio più
efficace sotto il profilo di una protezione effettiva dei bondholders. Merita
di essere ricordato che l’esecuzione di sentenze straniere e lodi (ICSID e
non-ICSID) contro Stati incontra il limite classico costituito dalla regola
internazionale dell’immunità statale dalla giurisdizione esecutiva.
ANNA DE LUCA
(49)
Si veda la decisione par. 491-492, par. 530 e 533.
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RASSEGNE E COMMENTI
Contrasti tra giurisprudenza arbitrale
e giurisprudenza togata
GIORGIO DE NOVA
1.
La questione.
Nel 2005 un collegio arbitrale milanese pronunciava un lodo in materia di vendita di partecipazioni sociali, e respingeva l’eccezione di prescrizione della domanda del Buyer volta ad ottenere l’indemnity per la violazione di alcune business warranties, eccezione che il Seller aveva sollevato
ex art. 1490, 1495 e 1497 c.c.. La respingeva argomentando, secondo
l’orientamento della giurisprudenza arbitrale (1), che il Sale and Purchase
Agreement prevedeva uno specifico rimedio convenzionale, l’indemnity, per
il caso di violazione delle garanzie, con una pattuizione accessoria non inquadrabile nella promessa di qualità di cui all’art. 1497 c.c., sicché non si
applicava la prescrizione annuale di cui all’art. 1495 c.c.
Nel 2008, con sentenza 21 novembre n. 3138, la Corte d’Appello di
Milano dichiarava la nullità del lodo, richiamando la giurisprudenza togata
(che definiva « ormai prevalente ») « secondo la quale la garanzia prestata
dal venditore di partecipazioni societarie circa la consistenza o la composizione del patrimonio sociale comporta l’applicazione della disciplina stabilita dall’art. 1497 c.c. per mancanza di qualità della cosa venduta dal che
deriva l’assoggettamento dei conseguenti diritti del compratore alla decadenza e alla prescrizione stabilite nell’art. 1495 c.c. » (2).
(1) Hanno escluso l’applicabilità dell’art. 1495 al diritto all’indemnity cinque lodi
citati da BONELLI, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento: le garanzie
del venditore, in Dir. comm. int., 2007, 318, nota 43, e cioè un lodo Scalfi, Galgano, Pedersoli, un lodo Alpa, Rescigno, Francario, un lodo Coriat, Perret e Pistorelli, un lodo del 2005
Tarzia, Marsaglia e Santarelli, un lodo dell’agosto 2007 Perret, Santa Maria, Luzzatto; posso
aggiungere, per parte mia, che lo stesso hanno fatto un lodo Nobili, De Nova, Mazzoni del
giugno 2000, un lodo Tavormina, Disertori, De Nova del 2002, un lodo Luzzatto, Schlesinger, De Nova in data 14 novembre 2008.
(2) La sentenza cita, tra le più recenti, Cass., 20 febbraio 2004, n. 3370 e Cass., 9
settembre 2004, n. 18181.
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Difficile pensare ad un esempio che identifichi in modo più chiaro la
questione e ne metta meglio in evidenza l’importanza.
Qui non rileva stabilire se sia fondata la giurisprudenza arbitrale o la
giurisprudenza togata (3), qui importa porsi la questione dei contrasti tra le
due giurisprudenze.
2.
Casi di contrasto e ragioni.
L’unico che, a quanto mi risulta, abbia affrontato in modo espresso la
questione è un illustre arbitro internazionale, François Perret. In un primo
scritto (4) egli si chiede se si possa parlare di precedente arbitrale, e, considerando proprio la questione da cui siamo partiti, quella della prescrizione
del diritto all’indennità per violazione delle Representations and Warranties, sottolinea come si sia formata, in casi in cui era applicabile il diritto
italiano, una giurisprudenza arbitrale che a suo parere crea un precedente,
che gli arbitri è bene seguano, trascurando il diverso orientamento dei giudici togati italiani. In un secondo scritto (5) egli si chiede direttamente se
l’arbitro sia vincolato dalle soluzioni consacrate dalla giurisprudenza dei
tribunali statali, e risponde negativamente; porta due esempi in cui è stato
e sarà opportuno che gli arbitri non seguano la giurisprudenza togata: il
primo è quello, già riferito, della prescrizione del diritto all’indemnity in
caso di violazione delle Representations and Warranties, il secondo riguarda il diritto svizzero. L’art. 404 c.c. svizzero dispone che il mandato
possa essere revocato in qualsiasi momento, e la giurisprudenza togata ne
ha tratto il corollario della invalidità di un mandato a tempo determinato:
Perret cita due lodi arbitrali che hanno deciso diversamente, e li approva,
esortando l’arbitro a non scimmiottare il diritto applicabile, seguendo la
giurisprudenza togata anche quando non risponde ai bisogni del commercio internazionale.
Perret argomenta nell’ottica dell’arbitrato internazionale, e quindi il
rapporto arbitro/giurisprudenza togata si pone dopo la considerazione che
se il contratto è completo l’arbitro può decidere senza fare riferimento alla
legge applicabile, e dopo la considerazione che la legge applicabile è in-
(3) Le ragioni a favore della soluzione adottata dalla giurisprudenza arbitrale si possono leggere in BONELLI, op. cit., 319 ss. e in DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un
contratto commentato, Torino, 2010, 171 ss.
(4) PERRET, Is There a Need for Consistency in International Commercial Arbitration?, in IAI, Precedent in International Arbitration, Juris Publishing, 2008, 25 ss.
(5) PERRET, Quelques réflexions au sujet de l’application par l’arbitre international
du droit matériel choisi par les parties, in Liber Amicorum en l’honneur de Serge Lazareff,
Paris, 2011, 491 ss.
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nanzitutto, almeno per i paesi di civil law, appunto la legge scritta (6). Ma
la questione si pone anche per l’arbitrato domestico, e, per quel che qui interessa, per l’arbitrato interno di diritto italiano.
Anche in questo ambito alcuni casi di contrasto possono essere ricordati, e questo scritto vuole appunto stimolare una riflessione, e se possibile
indurre a raccogliere una ulteriore casistica.
Un caso molto noto, in cui la maggioranza del collegio arbitrale si ritiene abbia deciso discostandosi dalla giurisprudenza togata allora dominante, è quello del c.d. Lodo Mondadori, in cui furono dichiarati validi patti
parasociali di voto (7).
Che gli arbitri considerino valido il contratto cui accede la convenzione di arbitrato da cui ripetono il potere di decidere non appare sorprendente. È stato sottolineato da Pierre Mayer (8) che la situazione psicologica
dell’arbitro è diversa da quella del giudice, perché l’arbitro è orientato a far
prevalere il rispetto del contratto, e vede con sfavore la parte che, dopo aver
sottoscritto il contratto con piena conoscenza di causa, ne deduce la nullità
per sottrarsi alle obbligazioni assunte.
Un caso ulteriore di contrasto, che ho avuto occasione di riscontrare,
si è posto ancora in tema di patti parasociali.
La questione è se l’art. 2949 c.c., secondo cui « si prescrivono in cinque anni i diritti che derivano dai rapporti sociali, se la società è iscritta nel
registro delle imprese » si applichi anche ai diritti derivanti da un patto parasociale.
La Corte Suprema, con sentenza 27 luglio 2004, n. 1443, ha statuito
che « i diritti che derivano dai patti parasociali, che intervengano fra i soci,
non sono soggetti alla prescrizione quinquennale ma a quella ordinaria decennale ».
Ma un lodo del 2007 (9) ha operato un distinguo: l’orientamento della
Cassazione può essere condiviso nei casi normali, ma non nei casi in cui la
società abbia una struttura personalistica, sicché il profilo dei rapporti tra i
soci è strettamente intrecciato ai rapporti con la società.
In questo caso è forse eccessivo parlare di contrasto tra giurisprudenza
arbitrale e giurisprudenza togata: ma certo gli arbitri hanno mostrato di non
sentirsi vincolati ai precedenti della giurisprudenza togata.
3.
Considerazioni conclusive.
Il tema merita, a mio avviso, di essere approfondito, perché se in
(6) PERRET, Quelques réflexions, cit.,492.
(7) Lodo Pratis, Rescigno, Irti 20 giugno 1990, in Giur. it., 1990, I, 2, 529, con nota
di Cottino, che svolge considerazioni sul rapporto tra lodo e giurisprudenza del tempo.
(8) MAYER, Le juge étatique, l’arbitre et les lois de police, in SIDI, I rapporti economici internazionali e l’evoluzione del loro regime giuridico, Napoli, 2008, 312.
(9) Lodo 29 marzo 2007, Portale, Benatti, Sacchi, in Riv. soc., 2007, 171 ss.
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astratto non si vede ragione perché vi siano contrasti tra le due giurisprudenze, sta di fatto che contrasti vi sono.
La questione è particolarmente delicata nei casi in cui un lodo sia impugnato per violazione delle regole di diritto, perché se vi è un contrasto
tra giurisprudenza arbitrale e giurisprudenza togata un lodo conforme alla
giurisprudenza arbitrale può venire annullato in applicazione della giurisprudenza togata, come abbiamo visto essersi verificato nel caso da cui abbiamo preso le mosse.
È vero che la riforma del 2006 ha reso possibile l’impugnazione per
violazione di regole di diritto soltanto in caso di espressa previsione in tal
senso della convenzione di arbitrato, ma ciò non toglie rilevanza pratica
alla questione, perché non è infrequente che le parti prevedano che il lodo
sia impugnabile per violazione delle regole di diritto, e perché rimane in
ogni caso aperta la possibilità che il lodo sia nullo per contrarietà all’ordine
pubblico.
La rilevanza del tema è per altro verso resa palese dal sempre più frequente ricorso all’impugnazione dei lodi.
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La trasparenza negli arbitrati sugli investimenti:
le proposte Uncitral
VINCENZO VIGORITI
1.
Premessa.
Già nel 2008, durante l’attività di revisione delle regole sull’arbitrato
del commercio internazionale, la Commissione Uncitral (United Nations
Commission International Trade Law) aveva avvertito l’importanza di fissare regole in materia di trasparenza degli arbitrati sugli investimenti, ma
aveva deciso di posticipare l’analisi e l’elaborazione ad un momento successivo al completamento dell’opera di revisione generale a cui stava attendendo. Subito, appena pubblicate le nuove rules nel 2010, la Commissione
ha deciso di impegnare lo stesso Gruppo di Lavoro (Working Group II) che
aveva proceduto a quella revisione nella preparazione di regole specifiche
in punto di trasparenza.
L’attività si è svolta a partire dallo stesso 2010 in più sessioni annuali
(New York e Vienna), con le modalità abituali per quel consesso, e quindi
considerando i contributi delle delegazioni statali, affiancate da esperti di
varia estrazione, e procedendo all’approvazione (non ai voti) di un articolato da sottoporre alla Commissione.
Dopo qualche esitazione, si è deciso di non limitarsi a consigli (guidelines) e di impartire veri e propri comandi (rules), vincolanti per tutti.
Allo stato, il lavoro è pressoché completato: esiste un testo composto da
nove articoli, quasi tutti discussi in dettaglio che sarà oggetto di altri controlli nel corso del 2012, ma che verosimilmente verrà sottoposto all’Uncitral senza stravolgimenti. Queste le scansioni: l’art. 1 ha carattere generale,
e contiene le opzioni di fondo; gli artt. 2-7 trattano di problemi connessi
all’attuazione concreta del principio di trasparenza; l’art. 8 riguarda le eccezioni a detto principio (e quindi delle situazioni in cui la riservatezza
prevale); l’art. 9 si occupa degli organi destinati ad assicurare la diffusione
delle informazioni. Questi articoli saranno parte integrante delle Uncitral
Arbitration Rules per cui, nel caso di rinvio a dette regole, quel rinvio, per
quanto generico, includerà la disciplina particolare sulla trasparenza.
2.
Le scelte di fondo. L’art. 1: opt-out e opt-in.
Il Working Group ha discusso ampiamente dei valori che le nuove ru231
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les intendono tutelare e dei possibili conflitti con altri valori di pari dignità,
e riflettuto se darne atto del dibattito in una sorta di preambolo. L’orientamento maggioritario è risultato in questa fase contrario, ma sul punto la
decisione finale è riservata.
In sintesi. Gli investimenti all’estero, specie nei Paesi in via di sviluppo, sono operazioni economiche complicate, vantaggiose per gli Stati e
per gli investitori, ma che facilmente generano situazioni di conflitto. Interno agli Stati, i cui governi vengono spesso accusati di aver indebitamente consentito allo sfruttamento delle risorse naturali (acqua, petrolio) ed
ancor più spesso fra Stati e investitori, per atti di autorità dei primi in danno
dei secondi, o per la tendenza di questi a sottrarsi agli impegni assunti.
In linea di massima, è generalmente condiviso l’assunto che il valore
centrale da affermare e difendere dall’inizio alla fine del contenzioso arbitrale sia quello della trasparenza, ritenuto dominante per la delicatezza delle
situazioni di conflitto. Affermato il valore ecco i distinguo: ci sono Stati riluttanti a garantire piena e totale trasparenza degli accordi stipulati e dell’attività successivamente svolta, nel timore di conseguenze politiche negative; altri temono che “eccessi di trasparenza” scoraggino gli investitori
stranieri, altri ancora, interessati a proporsi come sede privilegiata dei contenziosi, risultano assai cauti nelle aperture. C’è insomma una varietà di
posizioni di cui non è facile percepire le motivazioni effettive.
Il consenso è dunque per affermazioni di carattere generale riassumibili nell’assunto che le nuove rules si applicano negli arbitrati fondati sui
trattati Stato-investitore ed aspirano a contemperare l’interesse pubblico a
conoscere di un contenzioso indubbiamente rilevante per la comunità e
l’interesse delle parti ad una definizione “corretta ed efficiente” della controversia che le oppone (fair and effıcient resolution of the dispute). Difficile che si riesca ad andare oltre questo, nel timore di proposizioni di lata
formulazione, magari suscettibili di interpretazioni al momento impensabili.
L’art. 1, al comma 1, tratta dell’ambito di applicabilità delle nuove
rules, problema sentito come assai importante. Secondo una prima soluzione, le rules si applicano automaticamente in qualunque arbitrato disciplinato dalle regole Uncitral legittimato da patti compromissori contenuti
nei trattati Stato-investitore, salvo esplicita previsione delle parti in senso
contrario contenuta nel testo convenzionale (soluzione c.d. opt-out).
Secondo un’altra proposta le nuove rules si applicheranno agli arbitrati soggetti alle regole Uncitral, a condizione che gli Stati e gli investitori
esplicitamente consentano all’applicazione della disciplina sulla trasparenza
(soluzione c.d. opt-in). In quest’ottica, non rileva se il trattato di riferimento
è precedente o posteriore all’entrata in vigore delle rules, essendo decisiva
la scelta dei soggetti interessati.
Questa più cauta soluzione è stata quella preferita, con l’ulteriore precisazione che se le parti lo desiderano, le regole Uncitral sulla trasparenza
232
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si applicano anche se l’arbitrato è diversamente disciplinato, come ad
esempio dalle regole Icsid, o da quelle dell’Istituto per l’arbitrato di Stoccolma, o dall’ICC. Se la trasparenza è stata già convenuta nel trattato sull’investimento, non sono ammesse deroghe neppure consensuali.
Durante il dibattito la preferenza per l’opt-in era largamente maggioritaria, ma il Working Group ha dichiarato di voler comunque ulteriormente
riflettere sul punto, rimandando al 2012 la decisione definitiva.
3.
Artt. 2-4: pubblicità degli atti introduttivi, di quelli successivi, dei documenti, dei lodi.
Gli artt. 2-7 regolano l’attuazione concreta del principio di trasparenza.
L’art. 2 riguarda l’informazione concernente l’inizio del procedimento
arbitrale. È fondamentale che l’informazione sul contenzioso venga diffusa
col sorgere dello stesso. Se questo deve avvenire dando piena ed immediata
pubblicità alla domanda di arbitrato, si corre il rischio di anticipare eventi
che possono non occorrere (nessun arbitrato dopo la domanda), oppure di
pubblicizzare le pretese di una sola parte, visto che quella resistente non si
è ancora costituita, col pericolo di favorire il perseguimento di fini non percepiti, e altro. La soluzione preferita è stata quella di limitare la notizia alla
menzione che una domanda è stata proposta, senza indicarne i contenuti,
che essa proviene da Tizio contro Caio, e che riguarda un dato settore economico e un dato trattato d’investimento. Senza dettagli, come praticato
dall’Icsid. È stato altresı̀ disposto che deve essere pubblicizzato, in modo
ugualmente sintetico, il contenuto della risposta della parte resistente (30
giorni dalla ricezione della domanda). Le notizie possono essere diffuse
solo dopo la costituzione del Tribunale arbitrale, che secondo le regole Uncitral avviene dopo la proposizione della domanda (notice of arbitration:
art. 3) e la risposta a detta domanda (response: art. 4).
Tutte le informazioni andranno fornite all’ente che si assumerà l’incarico di riceverle, gestirle, fornendole a chi di diritto, ed archiviarle. Ancora
non è stata individuata l’istituzione che dovrebbe assicurare il servizio (infra, art. 9).
L’art. 3 riguarda la pubblicità degli atti del procedimento e dei documenti prodotti. Ci sono preoccupazioni di carattere classificatorio, superate
dall’intesa che i materiali saranno ordinati in quattro gruppi: 1) domanda di
arbitrato e risposta; 2) memorie difensive; 3) deposizioni testimoniali e
consulenza tecniche; 4) accertamenti di fatto. Come accade nei documenti
internazionali, specie in quelli che si formano con il linguaggio di common
law; la terminologia non è facile, e il WG si è impegnato a garantire chiarezza e precisione.
In punto di diffusione, si sono confrontate posizioni radicali che da un
233
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lato volevano trasparenza per tutti i documenti di causa senza eccezioni, e
dall’altro invece preferivano assicurare alle parti, a ciascuna di loro, il diritto di veto. Alla fine, è prevalsa la tesi che attribuiva al Tribunale arbitrale
la decisione finale sulla pubblicazione, con potere discrezionale, da esercitare dopo aver sentito le parti.
L’art. 4 concerne la pubblicità dei lodi, assicurata senza obiezioni per
tutte le decisioni, anche parziali e non definitive, com’era naturale date le
premesse. Questa norma modifica la regola generale Uncitral secondo cui i
lodi sono resi pubblici solo col consenso delle parti.
4.
Artt. 5-7: il contributo dei terzi; la pubblicità delle udienze.
Gli artt. 5 e 6 regolano l’ipotesi, assai importante anche sul piano
operativo, di scritti difensivi provenienti da soggetti diversi dalle parti.
Con queste specificazioni: l’art. 5 concerne i contributi di soggetti
terzi, estranei al procedimento e non vincolati dal trattato da cui sorge la
controversia, abitualmente definiti “amici curiae”.
Il terzo che desidera sottoporre un suo scritto può chiedere al Tribunale il permesso di produrlo, specificando le ragioni soggettive ed oggettive dell’iniziativa, che gli arbitri poi eventualmente autorizzeranno, sentite
le parti, prendendo in considerazione quale sia l’interesse del terzo, la misura in cui lo scritto può giovare al Tribunale ai fini della decisione, in
punto di fatto e di diritto, e soprattutto quale sia l’importanza del contributo
(particular knowledge or insight), rispetto a quelli direttamente provenienti
dalle parti. Lo scritto del terzo deve essere sintetico e non superare il numero delle pagine indicato dal Tribunale. Le parti potranno contro dedurre.
L’art. 6 riguarda invece i contributi di soggetti estranei all’arbitrato,
ma comunque legati al trattato e quindi potenzialmente portatori di un interesse qualificato ad una decisione, piuttosto che ad un’altra. Qui è ancora
controverso se il Tribunale debba, o più semplicemente possa, accettare il
contributo del terzo, sentite le parti, o magari addirittura agire d’ufficio ed
invitarlo a presentare un suo scritto. Il rifiuto non ha implicazioni negative.
Il parere deve rispondere agli stessi requisiti precisati nell’art. 5.
L’art. 7 riguarda la pubblicità delle udienze e la diffusione dei relativi
verbali. In generale, si afferma una c.d. rule of openess, e quindi di totale
trasparenza, soggetta ad eccezioni limitate, oggetto di interpretazione restrittiva. È previsto che le udienze siano sempre e comunque aperte al pubblico salvo ovvi motivi di ordine pubblico o di riservatezza, esclusa ogni
possibilità di interloquire, che è scelta opposta a quella generale Uncitral
che è per la segretezza, salvo diversa intesa fra le parti (art. 28 delle rules).
Alcuni hanno ritenuto eccessiva tale apertura, ma non si vede a cosa serva
escludere il pubblico, quando si consente la diffusione incondizionata di atti
e documenti. Si vuole la presenza di radio e televisione, come nei processi
234
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penali, con limiti alla possibilità di trasmissione in diretta. Ma poi si parla
di disponibilità dei transcripts (trascrizione verbatim), per tutti senza particolari restrizioni.
5.
Artt. 8-9: le eccezioni.
L’art. 8 si compone di ben 11 commi che trattano delle situazioni in
cui l’impegno per la trasparenza deve cedere ad altre esigenze. La deroga
al principio dominante è prevista solo in due ipotesi, una delle quali è peraltro assai ampia: 1) quando l’informazione è riservata (confidential) o
sensibile (commi 1-9); 2) quando essa è tale da mettere in pericolo “l’integrità” del procedimento arbitrale (commi 10 e 11).
Molti hanno messo in evidenza come la terminologia usata rifletta categorie conosciute in common law, ma meno facilmente percepibili in altri
ordinamenti, ed hanno sollecitato precisazioni peraltro difficili da fornire.
Sono da ritenere riservate le informazioni commerciali, quelle la cui diffusione è vietata dal trattato Stato-investitore, oppure proibita dalla legge di
una delle parti (ad esempio, dalla legge dell’investitore), o da qualunque
altra legge in base alla quale il Tribunale debba decidere sulla pubblicazione dell’informazione (1). Non sarà facile accertare quali sono e cosa dispongono le leggi che vietano la pubblicazione.
Il procedimento attraverso cui la parte segnala la riservatezza dell’informazione e chiede al Tribunale di non diffonderla è previsto in dettaglio
dai commi successivi. Gli arbitri, sentite le parti, possono disporre che il
documento che contiene le informazioni protette venga del tutto o in parte
segretato, e venga eventualmente diffuso in forma rieditata (redacted version). Chi oppone la riservatezza non può poi giovarsi dell’informazione
non diffusa.
La seconda ipotesi, di minor rilievo, si realizza quando il Tribunale,
d’ufficio, ritiene opportuno vietare, o anche solo ritardare, la pubblicazione
di certe informazioni, situazioni in cui la norma dispone che debbano essere sentite le parti prima di provvedere in qualunque senso.
L’art. 9 non è ancora venuto alla luce. Esso riguarderà il problema
della tenuta dei registri (repository) destinati a ricevere le informazioni da
rendere pubbliche e dell’archivio dove conservarle. Trattasi di questione
(1) Comma 2: “(Confidential or sensitive) (Protected) information consists of:
a) Confidential business information;
b) Information which is protected against being made available to the public under
the treaty;
c) Information which is protected against being made available to the public under
the law of a disputing party or any other law or rules determined to be applicable to the disclosure of such information by the arbitral tribunal”.
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pratica importante, dovendosi unire efficienza informatica e neutralità nella
gestione.
Si è detto che l’organo più adatto ad assolvere il compito dovrebbe
essere il servizio di segreteria delle Nazioni Unite, e nel caso di sua impossibilità (mancanza di risorse, altro), potrebbe occuparsene la PCA (Permanent Court of Arbitration), con sede in Olanda, che è organo a cui sono già
affidate importanti funzioni di supporto per molti enti in ambito internazionale. Per l’Uncitral, fra l’altro, essa svolge la funzione di appointing authority degli arbitri, ed ha potere di controllo sui costi del procedimento e sugli onorari di quanti operano sotto quell’egida. La PCA si è dichiarata disponibile ad organizzare il servizio. Altre istituzioni arbitrali come l’ICSID,
l’ICC, la LCIA (London Court of International Arbitration), la SCC (Arbitration Institute of the Stockholm Chamber of Commerce), la CRCICA
(Cairo Regional Centre for International Commercial Arbitration), si sono
quindi dette anch’esse disponibili, in via esclusiva o in concorso fra loro, e
il WG ha quindi preparato un questionario chiedendo a ciascuno di precisare le condizioni del servizio e un preventivo dei costi. Deciderà la Commissione.
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La riconoscibilità extra moenia ai sensi
della Convenzione di New York del 1958
del lodo irrituale del lavoro previsto
dalla Legge n. 183/2010
ELENA GRANATA
1.
Il lodo arbitrale nel settore giuslavoristico all’indomani della l. 183/
2010: brevi cenni di inquadramento.
Con la Legge 4 novembre 2010, n. 183 (c.d. collegato lavoro) il legislatore interviene in tema di contenzioso laburistico segnando la definitiva
svolta a favore dell’utilizzo dello strumento arbitrale anche in tale settore (1). Dopo un atteggiamento tradizionalmente restrittivo che aveva portato
il legislatore del 1940 a negare la possibilità di utilizzare lo strumento arbitrale per le controversie del lavoro (2) e le progressive aperture (prima nel
1973 in occasione della riforma del processo del lavoro (3) e, più ancora,
(1) Di « scelta di campo totale e irreversibile » a favore dello strumento arbitrale
parla SOCCI, L’arbitrato e la conciliazione nel lavoro pubblico e privato, Milano, 2011, 88.
Per una ricostruzione storica del tema dell’arbitrato in materia di lavoro, si veda CECCHELLA,
L’arbitrato nelle controversie del lavoro, Milano, 1990, 17 ss.; GRANDI, voce Arbitrato nelle
controversie di lavoro, in Enc. dir., Agg., I, Milano, 1997, 99 ss.; PERONE, Arbitrato in materia di lavoro, in Nov.ss.mo dig. it., I, Torino, 1980, 371 ss.
(2) Sulla spinta del sistema corporativo, che tendeva a limitare o escludere l’arbitrato
in materia di lavoro, il codice di procedura civile del 1940-1942 dichiarava espressamente la
inarbitrabilità delle controversie individuali del lavoro (art. 806 come da originaria formulazione) nonché il divieto di includere clausole compromissorie negli strumenti di contrattazione collettiva (art. 808, comma 2). Sulle ragioni della tendenziale diffidenza che ha storicamente caratterizzato l’atteggiamento del legislatore italiano nei confronti dell’utilizzo dello
strumento arbitrale nell’ambito delle controversie lavorative, CORSINI, L’arbitrato nelle controversie di lavoro, in Diritto del lavoro, Comm. Carinci, vol. VI, Il processo del lavoro, a
cura di BORGHESI, Torino, 2005, 127; SOCCI, op. cit., 84 ss.
(3) Per la verità, i primi riconoscimenti al possibile utilizzo dello strumento arbitrale
(irrituale) in campo lavorativo sono avvenuti in epoca precedente, attraverso una serie di interventi settoriali (art. 7, ult. comma Legge n. 604/1966 in tema di licenziamenti individuali;
art. 7, Legge n. 300/1970 in materia di sanzioni disciplinari), ma è con l’art. 5 della Legge
n. 533/1973 che la via arbitrale riceve un riconoscimento di portata generale. Per una lucida
ricostruzione del progressivo ingresso dello strumento arbitrale nell’ambito del contenzioso
in materia di lavoro, BORGHESI, Arbitrato nelle controversie di lavoro, in Arbitrati speciali, a
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nel 1998 con la codificazione dell’arbitrato (irrituale) del lavoro) (4), oggi
il legislatore mostra di « scommettere » sullo strumento arbitrale per contrastare le problematiche di sovraccarico dei tribunali del lavoro e cosı̀ auspicare ad una giustizia più efficiente e rapida (5).
Per la verità il legislatore del 2010 non si è limitato ad aprire alla via
dell’arbitrato ma, in un probabile eccesso di zelo (6), ha introdotto nell’ordinamento diverse tipologie di possibili arbitrati in campo laburistico (7),
cura di CARPI, Bologna, 2008, 4 ss.; PUNZI, L’arbitrato nelle controversie del lavoro, in questa Rivista, 2001, 389 ss. Va comunque sin d’ora sottolineato come l’intervento legislativo in
esame, subordinando la legittimità del ricorso all’arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro alla previsione ad opera della contrattazione collettiva o della legge e disciplinando il
regime del lodo finale in termini di instabilità (consentendone l’impugnazione ai sensi dell’art. 2113, comma 2 e 3 c.c.), avesse in realtà dato vita ad uno strumento alquanto poco appetibile da parte dei contendenti e di limitata utilità concreta, ragioni che per altro ne giustificarono il sostanziale insuccesso nella pratica (a riguardo PERA, La nuova disciplina dell’arbitrato nelle controversie del lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1999, 363, parla di « scelta mortificatrice »).
(4) Il riferimento è ai D.Lgs. n. 80 e n. 387/1998, che hanno introdotto nel corpo del
codice di procedura civile gli articoli 412-ter e quater espressamente dedicati all’arbitrato
(irrituale) nelle controversie del lavoro, per il quale hanno dettato una precisa disciplina, caratterizzante rispetto a quella dell’arbitrato di diritto comune. Tali articoli sono oggi stati sostituiti per effetto dell’art. 31, Legge n. 183/2010, che ha innovato la materia, conservando
però determinate caratteristiche dell’arbitrato del lavoro cosı̀ come disciplinato nel 1998 (v.
infra nota 19).
(5) Nel senso che l’obiettivo della riforma sia quello di incidere sull’inefficienza
della giustizia del lavoro, lasciando intatto il modello processuale delineato dalla Legge n.
533/1073 e valorizzando l’arbitrato in chiave di alternativa alla giurisdizione statale, DE ANGELIS, Collegato lavoro e diritto processuale: considerazioni di primo momento, WP
C.S.D.L.E. « Massimo D’Antona ».it, 111/2010, 3 ss.; nello stesso senso anche AMATO - MATTONE, Il « collegato lavoro »: ancora una legge per la riduzione dei diritti, in La controriforma della giustizia del lavoro, Quaderni di Questione Giustizia, Milano 2011, 5 ss., i quali
sottolineano, per altro, come la suddetta finalità sia frustrata ab origine dall’avere il legislatore mantenuto il divieto di arbitrato per i procedimenti in materia previdenziale (art. 147
disp. att. c.p.c.), costituendo questi i due terzi del carico normalmente incidente sui tribunali
del lavoro (dati emergenti dalla Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno
2009 del Primo Presidente della Corte di Cassazione, letta in occasione dell’inaugurazione
dell’anno giudiziario 2010).
(6) Di « paradosso tipico delle riforme nostrane, che seguono l’andamento a pendolo
da un estremo a quello opposto » con conseguente « esito sovrabbondante », parla DE CRISTOFARO, Il nuovo regime delle alternative alla giurisdizione statale (ADR) nel contenzioso
del lavoro: conciliazione facoltativa ed arbitrato liberalizzato, in Lav. nella giur., 2011, 61;
nel senso che dalla lettura dell’art. 31, Legge n. 183/2010 si ha l’impressione che il legislatore « immemore della scarsa fortuna che finora ha accompagnato l’arbitrato [nel settore laburistico], abbia ritenuto che una moltiplicazione delle sue modalità di attuazione possa miracolisticamente segnarne il successo », RIVERSO, La certificazione dei contratti e l’arbitrato:
vecchi arnesi e nuove ambiguità, in La controriforma della giustizia del lavoro, cit., 54.
(7) Segnatamente l’art. 31, Legge n. 183/2010 prevede quattro diverse tipologie di
arbitrato: l’arbitrato che si inserisce in un tentativo di conciliazione (divenuto, quest’ultimo,
facoltativo) presso la Direzione provinciale del lavoro, ex nuovo art. 412 c.p.c. (art. 31,
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che per quanto caratterizzati da alcuni tratti comuni, fra cui primeggia la
natura irrituale (8), sono in realtà difficilmente riconducibili ad unità (9).
Questo moltiplicarsi dei possibili meccanismi risolutori e la qualità
non eccelsa del testo normativo (10) hanno condotto con sé una serie di
problemi interpretativi di non poco momento (11).
2.
Il problema della circolazione extra moenia delle pronunce arbitrali:
profili dell’indagine.
Fra tutte le prospettive possibili, il presente studio si propone di indagare la problematica, per il vero apparentemente limitrofa ma, si ritiene,
non priva di concreti rilievi pratici, della circolabilità o meno del lodo che
conclude un arbitrato di lavoro al di fuori dei confini dello Stato ai sensi
della Convenzione di New York del 1958.
La questione, che come detto potrebbe apparire di secondaria importanza, può infatti rivelarsi non priva di implicazioni pratiche, in un sistema
in cui sempre più spesso la realtà lavorativa si confronta con aziende delocalizzate in differenti Stati « e se si riflette sull’ipotesi che il lodo veda
coinvolta una branch italiana di una società estera (sovente priva in Italia
comma 5, Legge n. 183/2010); quello ad hoc, previsto dall’art. 412-quater (art. 31, comma
8); quello possibile davanti alle commissioni di certificazione, cui rimanda l’art. 31, comma
13, Legge n. 183/2010, nonché quello emergente dalla contrattazione collettiva, di cui all’art.
412-ter (art. 31, comma 6).
(8) Di « sbilanciamento » verso il modello irrituale delle fattispecie in esame, parla
DE CRISTOFARO, op. loc. cit.; nello stesso senso, fra gli altri, DONZELLI, La risoluzione arbitrale delle controversie di lavoro, in CINELLI - FERRARO (a cura di), Il contenzioso del lavoro
nella Legge n. 4 novembre 2010, n. 183, Torino, 2011, 109.
(9) Nel senso che, alla luce del collegato lavoro, sia più opportuno « discorrere di
arbitrati, più che di arbitrato », per tutti, DELLA PIETRA, Un primo sguardo all’arbitrato nel
collegato lavoro, in www.judicium.it. Nota DONZELLI, op. cit., 110, come il quadro generale
che deriva dall’intervento legislativo « è all’insegna dell’incertezza e determina una ulteriore
frammentazione dell’istituto arbitrale »; in senso analogo, MURONI, La nuova disciplina della
conciliazione e dell’arbitrato nelle controversie di lavoro, in Corr. giur., 2011, 269 ss.
(10) Nel senso che il dettato normativo è disseminato di inesattezze, che, benché isolatamente analizzate non rappresentino « certo una tragedia », complessivamente considerate
rendono « più faticoso un percorso già di per sé accidentato », BORGHESI, L’arbitrato ai tempi
del « collegato lavoro », § 11, in www.judicium.it.
(11) Per una prima e generale valutazione del collegato lavoro e per l’individuazione
dei principali profili problematici da questo aperti, si vedano, oltre agli autori citati alle note
precedenti, DE ANGELIS, Il tentativo di conciliazione e l’arbitrato irrituale lungo un accidentato percorso di certezza dei rapporti e deflazione giudiziaria, in WP C.S.D.L.E. « Massimo
D’Antona ».it., 121/2011; TOSI, L’arbitrato nel collegato lavoro alla legge finanziaria 2010,
in Lav. nella giur., 2010, 1171 ss., BOVE, ADR nel c.d. collegato lavoro (Prime riflessioni sull’art. 31 della legge 4 novembre 2010, n. 183), in www.judicium.it; BERTOLDI, L’arbitrato
nelle controversie di lavoro dalla duplice riforma del 1998 alla l. 4 novembre 2010, n. 183,
in Riv. dir. proc., 834 ss.
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di un patrimonio effettivamente aggredibile), il problema può divenire di
assoluto rilievo » (12). Inoltre, la scomparsa del monopolio sindacale per gli
arbitrati di lavoro (13) e l’apertura alla possibilità di un arbitrato ad hoc con
collegio scelto dalle parti (ai sensi del nuovo art. 412-quater c.p.c.) (14),
spinge a valutare attentamente non solo le garanzie di libertà che alla parte
devono essere fornite in sede di scelta o meno della via arbitrale (15), ma
anche quelle informative circa il reale valore e la concreta spendibilità, anche internazionale, del provvedimento che conclude la controversia che la
vede parte in causa.
Per affrontare il tema in esame è opportuna una premessa sistematica:
come già rilevato, la riforma legislativa ha introdotto nel sistema una pluralità di possibili arbitrati, dotati per un verso di caratteri comuni, ma per
altro verso di sostanziali differenze. Stante la conseguente multiformità del
panorama di riferimento, il presente studio si limiterà a valutare la problematica circa la circolabilità del lodo del lavoro prospettato dall’art. 412
c.p.c. (arbitrato inserito in un precedente tentativo di conciliazione) nonché,
in ragione della sostanziale coincidenza di discipline che li caratterizza, di
quello che conclude l’arbitrato ad hoc oggi previsto al nuovo art. 412-quater c.p.c. (16).
Esula quindi dall’analisi in atto la dinamica del lodo rituale del lavoro
(dove consentito) (17), di quello originato all’interno degli arbitrati gestiti
(12) Cosı̀ CANALE, Arbitrato e « collegato lavoro » in Riv. dir. proc., 2011, 587 ss. È
a queste parole che si deve la suggestione che ha dato vita al presente contributo.
(13) In questo senso VALLEBONA, L’arbitrato irrituale nel sistema del diritto del lavoro dopo la Legge n. 183/2010, in Lavoro e spirito, Torino, 2011, 459; di « superamento del
monopolio legale-sindacale della disponibilità dei diritti del lavoratore », parla PESSI, Le novità in tema di arbitrato e di conciliazione in materia di lavoro, in Giur. it. 2011, 13.
(14) Sui pericoli insiti in tale modello, stanti gli ampi spazi in esso lasciati all’autonomia individuale delle parti, in particolare, STOLFA, L’arbitrato si fa in quattro. Problemi
(tanti) e prospettive (poche) dopo la legge n. 183/2010, in Riv. giur. lav. e prev. soc., 2011,
831.
(15) È noto come, sin dall’inizio del percorso legislativo che ha condotto al collegato
lavoro 2010 (in tema, CAZZOLA, Collegato lavoro, una storia lunga ventisette mesi, in ADL,
2011, 249 e ss.), uno degli aspetti maggiormente problematici e discussi, tanto da divenire
oggetto preminente del messaggio motivato che il 31 marzo 2010 il Presidente della Repubblica ha inviato alle Camere rifiutando la promulgazione del testo come originariamente approvato e invitando ad una nuova deliberazione (il testo del messaggio è consultabile in Foro
it., 2010, V, 107 e ss.), abbia riguardato possibilità, ampiezza e modalità dell’utilizzo della
clausola compromissoria nei contratti individuali del lavoratore: sul tema, fra gli altri, oltre
ai contributi già citati, CESTER, La clausola compromissoria nel Collegato lavoro 2010, in
Lav. nella giur., 2011, 23 ss.
(16) Di « perfetta parificazione tra le due figure di arbitrato previste dall’art. 412 e
412-quater », parla DONZELLI, op. cit., 116.
(17) Sul punto si veda LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, IV ed., Milano 2011, 332 ss. Nel senso, invece, per cui la disciplina introdotta dal legislatore 2010 par-
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dagli organismi abilitati alla certificazione, nonché di quello « sindacale »
di cui all’attuale art. 412-ter. La scelta è dettata in parte da ragioni pratiche
(essendo quelle che ci si appresta ad analizzare le uniche forme di arbitrato,
fra quelle possibili, puntualmente disciplinate, in maniera tendenzialmente
esaustiva, nel codice e mancando, ad oggi, un numero sufficientemente
rappresentativo di arbitrati sindacali sorti in epoca successiva alla riforma) (18), ma soprattutto dalla considerazione che il lodo descritto dalle norme
richiamate conserva le indubbie particolarità che già caratterizzavano l’arbitrato irrituale cosı̀ come previsto dagli (oggi abrogati) artt. 412-ter e quater
introdotti dalla riforma del 1998 (19). Tali peculiarità ne impediscono la
piana riconducibilità alle figure tradizionali di arbitrato tipiche della nostra
cultura giuridica, segnatamente l’arbitrato rituale e quello irrituale (20), e
rebbe « precludere qualunque spazio per l’arbitrato rituale in materia di lavoro », DE CRISTOFARO, op. cit., 69.
(18) A circa 15 mesi dall’entrata in vigore del collegato lavoro, residuali sono gli
esempi di accordi collettivi che abbiano recepito la possibilità di devoluzione ad arbitri delle
controversie lavorative prevista all’art. 413-ter c.p.c.; in tema, ARRIGONI, Gli arbitrati delineati dal « collegato lavoro » e prime attuazioni, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2011, p. 885
e ss.; SQUEGLIA, Riflessioni sul recente accordo di rinnovo del contratto collettivo del settore
terziario, in Lav. nella giur., 2011, 890 e ss.
(19) Ci si riferisce, in particolare, alla possibilità per il lodo di essere dichiarato esecutivo dall’autorità giudiziaria e al peculiare regime di impugnazione che assiste il lodo
stesso. Tali caratteristiche, su cui si avrà modo di tornare nel corso della trattazione stante la
loro diretta rilevanza con riguardo al tema specifico che si sta qui trattando, avevano già
condotto la principale dottrina, all’indomani della riforma del 1998, a parlare dell’arbitrato
del lavoro in generale, e del suo prodotto conclusivo in particolare, come di una figura ibrida
(in questo senso, fra gli altri, CAPPONI, L’arbitrato in materia di lavoro dopo le riforme del
1998, in Diritto dell’arbitrato, a cura di VERDE, Torino, 2005, 581; CORSINI, op. cit., 145;
CARPI, Libertà e vincoli nella recente evoluzione dell’arbitrato, in AA.VV., Studi in onore di
Carmine Punzi, vol. II, Torino, 2008, 397; MONTELEONE, L’arbitrato nelle controversie di lavoro — ovvero — esiste ancora l’arbitrato irrituale?, in questa Rivista, 2001, 60). Gran parte
di queste valutazioni conservano ancora oggi la loro attualità, essendo le particolarità suddette state ribadite dal legislatore del 2010.
(20) Un fecondo dibattito circa la natura da riconoscersi al fenomeno arbitrale in generale e alla perdurante possibilità di differenziare la tipologia rituale da quella irrituale, caratterizza oramai da tempo il panorama giuridico nostrano. In via di estrema sintesi, e con i
limiti impliciti in questa, le differenti tesi proposte possono ricondursi a due posizioni principali. Da un lato la posizione negozialista (o unitaria), secondo la quale l’arbitrato è un fenomeno interamente riconducibile all’area del diritto privato, con la conseguenza che il lodo
(di qualsiasi tipologia) ha sempre natura negoziale e l’omologazione (e connessa esecutività)
conseguente all’exequatur di cui all’art. 825 c.p.c. si atteggerebbe come apposizione di un
comando statuale ad un atto fra privati (in questo senso, per tutti, PUNZI, Disegno sistematico
dell’arbitrato, Padova, 2000, vol. I, spec. 63 ss.; sul tema v. FAZZALARI, L’arbitrato, Torino,
1997, 22 ss. e 123 ss.). Contrapposta a questa ricostruzione, si è fatta strada la tesi giurisdizionalista che, affermando la naturale attrazione dell’arbitrato verso la giurisdizione statale in
forza della natura equivalente delle funzioni svolte, pur riconoscendo matrice privatistica alla
fase genetica dell’arbitrato, attribuisce al lodo rituale natura di omologo della sentenza; da
ciò dipende, da un lato, che la natura esecutiva si atteggia come effetto naturale della sen-
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conseguentemente spingono a porre particolare attenzione all’istituto in parola (21).
tenza arbitrale rituale, e, dall’altro, che si registra una differenza sostanziale fra questo lodo
e quello irrituale, avendo quest’ultimo efficacia di mero contratto (in questo senso, fra gli altri, E.F. RICCI, L’« effıcacia vincolante » del lodo rituale dopo la Legge n. 25 del 1994, in Riv.
trim. dir. e proc. civ., 1994, 809 ss.; TARZIA, Nullità e annullamento del lodo arbitrale irrituale, in Riv. dir. proc., 1991, 430 ss.). Per altro, il dibattito non pare essersi sedato neppure
all’indomani della riforma del 2006 che ha tipizzato la figura dell’arbitrato irrituale inserendo
nel corpo del codice di rito l’art. 808-ter, essendosi date della stessa, a dispetto di una lettera
per il vero piuttosto chiara, interpretazioni sensibilmente differenti (per una sintesi delle diverse letture proposte, si veda BERTOLDI, Osservazioni a margine del nuovo art. 808-ter c.p.c.,
in Studi in onore di Carmine Punzi, vol. II, cit., 289 ss. e riferimenti ivi contenuti, in part.
nota 13). Il tema è troppo complesso e intriso di risvolti problematici per poter essere svolto
in questa sede, creando, la netta differenza di presupposti, il « prodursi di un autentico fossato nelle rispettive discipline » (BIAVATI, Arbitrato irrituale, in CARPI (a cura di), Arbitrato,
II ed., Bologna, 2007, 163). Quello che preme però evidenziare è che, ai fini della presente
trattazione, indipendentemente dalla tesi che si voglia sposare, ciò che rileva è la innegabile
differenza che (tutt’ora e soprattutto dopo la riforma del 2006) corre fra i prodotti finali delle
due tipologie di arbitrato considerate: un lodo che ha « dalla data della sua ultima sottoscrizione, gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria » per quello rituale (art.
824-bis c.p.c.); una definizione che ha valore di « determinazione contrattuale », per quello
irrituale (art. 808-ter c.p.c.).
(21) Non è questa la sede per affrontare la complessa problematica delle peculiarità
che caratterizzano le altre forme di arbitrato introdotte dal collegato lavoro. A titolo puramente esemplificativo si evidenzia però una certa disparità di vedute, in dottrina, in merito
alla natura che potrebbero avere gli arbitrati di origine sindacale e quelli svolgentesi all’interno degli organismi di certificazione. In particolare, con riguardo all’arbitrato da contrattazione collettiva, secondo una prima ricostruzione, l’ampio respiro dell’odierno testo dell’art.
412-ter comporta la possibilità, in capo alle formazioni sindacali, di scegliere qualsivoglia tipologia di arbitrato (nel senso che la formulazione generale della norma in esame potrebbe
essere riferita tanto all’arbitrato irrituale, quanto a quello rituale, DONZELLI, op. cit., 112;
SOCCI, op. cit., 169; AULETTA, Le impugnazioni del lodo del « collegato lavoro » (l. 4 nov.
2010, n. 183), in questa Rivista, 2011, 12; TOSI, op. cit., 194), finanche un arbitrato irrituale
che « sfoci in un lodo che abbia la disciplina di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 412 » (in questo senso BOVE, op. cit., 16; MURONI, op. cit., 274), mentre una differente lettura, valorizzando
il richiamo all’art. 412-ter c.p.c. inserito dalla Legge n. 183/2010 nel corpo dell’art. 2113,
comma 4, c.c., ritiene che, a dispetto della lettera della norma, quello sindacale possa essere
esclusivamente inteso come un arbitrato irrituale (BORGHESI, op. cit, § 3; DE CRISTOFARO, op.
cit., 69: gli AA. richiamati sottolineano, per altro, come tale arbitrato, mancando ogni richiamo alla normativa di cui agli art. 412 e 412-quater c.p.c., non possa che concludersi con
un lodo « puramente » contrattuale, come tale integralmente disciplinato dalla norma generale di cui all’art. 808-ter c.p.c.). Minori perplessità vi sono in ordine alla natura da riconoscersi all’arbitrato svolto presso gli organi di certificazione, per il quale l’espresso richiamo
ai commi 3 e 4 dell’art. 412 c.p.c. in quanto compatibili, consente di parlare di un lodo irrituale che può eccezionalmente acquisire efficacia esecutiva (DONZELLI, op. cit., 113-114).
Nota però DELLA PIETRA, op. cit., § 4, come la suddetta clausola di salvezza sia in realtà di
difficile comprensione, poiché « non si comprende a quale disciplina va rapportata la compatibilità »; infatti « se il termine di raffronto è lo stampo classico dell’arbitrato irrituale, è
chiaro che con esso ben poco a che fare hanno l’omologazione e l’efficacia di titolo esecu-
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Prima di provare a rispondere al quesito principe propostoci, se cioè
l’arbitrato che conclude le controversie laburistiche sia o meno ascrivibile
all’area di applicazione della Convenzione di New York, si ritiene opportuna una ricostruzione della problematica della circolazione del lodo extra
moenia in termini generali, solo successivamente passando ad analizzare
come il lodo del lavoro si cali in questo panorama.
3.
La Convenzione di New York per il riconoscimento e l’esecuzione
delle sentenze arbitrali straniere: caratteri fondamentali.
La Convenzione per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze
arbitrali straniere, siglata a New York il 10 giugno 1958 sotto l’egida della
Organizzazione delle Nazioni Unite, nacque con il dichiarato scopo di favorire la circolazione dei lodi arbitrali, ossia il loro riconoscimento in Paesi
diversi da quello di origine, ponendosi come base per lo sviluppo di una
disciplina uniforme che consentisse di superare le diversità che caratterizzavano all’epoca le legislazioni statali sul tema (22).
tivo. Ma se l’applicazione dell’uno o dell’altra dovessero essere esclusi proprio in forza del
vaglio di compatibilità, il richiamo all’art. 412 terzo e quarto comma, non avrebbe senso ».
(22) La Convenzione di New York è entrata in vigore sul piano internazionale il 7
giugno 1959, con lo scopo (espressamente dichiarato all’art. VII, 2o comma) di sostituire la
previgente complessa disciplina convenzionale dell’arbitrato estero che trovava le sue fonti
nel Protocollo di Ginevra del 24 settembre 1923 relativo alle clausole arbitrali e nella Convenzione di Ginevra del 26 settembre 1927 per l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere.
In Italia è stata resa esecutiva con la Legge 19 maggio 1968, n. 62 ed è in vigore dal 1o maggio 1969. La Convenzione è stata oggetto di copiosissima letteratura giuridica. Nell’impossibilità di provvedere ad una indicazione esaustiva di tutte le opere significative sul tema, si
rammentano per il loro carattere fondamentale e a solo titolo esemplificativo: GAJA (a cura
di), International Commercial arbitration - New York Convention, Dobbs Ferry, New York,
1979-80; GIANNINI, La Convenzione di New York sul riconoscimento e l’esecuzione di sentenze arbitrali, in Riv. dir. comm., 1958, 954 ss.; GIARDINA, L’applicazione in Italia della
Convenzione di New York sull’arbitrato, in Riv. dir. inter. priv. e proc., 1971, 268 ss.;
MIGLIAZZA - LUZZATTO, Le convenzioni internazionali in materia di arbitrato ed il diritto italiano, in Arch. giur., 1974, 10 ss.; MINOLI, The New York Convention on the recognition and
Enforcement of Foreign Awards, in Unification of Law — Unidroit Yearbook 1958, Roma,
1959, 157 ss.; ROBERT, La Convention de New York du 10 juin 1958 pour la reconnaissance
et l’exécution des sentences arbitrales étrangères, in Reveu de l’arbitrage, 1958, 70 ss.; SANDERS, The New York Convention in International Commercial arbitration, II, The Haugue,
239 ss.; VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of 1958. Towards a Uniform
Judicial Interpretation, Deventer-Antwerp-Boston-London-Frankfurt, 1981; BRIGUGLIO, L’arbitrato estero. Il sistema delle Convenzioni, Padova, 1999; GAILLARD - DI PIETRO, Enforcement
of arbitration agreements and international arbitral award, London, 2009. Per una prospettiva riformistica della Convenzione, The New York Convention 1958, a cura di BLESSING, Association Suisse de L’Arbitrage-Special series n. 9, Zurich, 1996, che raccoglie gli atti del
convegno organizzato dall’Associazione svizzera per l’arbitrato in occasione del quarantennale dall’entrata in vigore della Convenzione. Va inoltre ricordato che la giurisprudenza dei
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In ragione della sua aspirazione a raggiungere la maggior diffusione
possibile, la Convenzione ha una struttura piuttosto scarna: non provvede a
disciplinare tutti i singoli aspetti del fenomeno, preoccupandosi piuttosto di
fissare una serie di linee direttrici, vincolanti per gli Stati aderenti, in tema
di obbligo di riconoscimento e motivi legittimamente opponibili a questo,
lasciando per il resto ai singoli legislatori nazionali il compito di regolare
autonomamente l’aspetto propriamente procedurale di tale riconoscimento
(art. III).
Per quel che specificatamente interessa ai fini della trattazione in atto,
la Convenzione, dopo aver preventivamente delimitato il proprio ambito
applicativo alle « sentenze arbitrali » (arbitral award, sentence arbitrales)
rese in uno Stato diverso da quello in cui è chiesto il riconoscimento (art.
I), dispone per gli Stati contraenti l’obbligo di garantirne il riconoscimento
e l’esecuzione con modalità non sensibilmente più gravose di quelle previste per il riconoscimento dei propri lodi interni (art. III), per poi dettare un
elenco tassativo (23) dei motivi legittimamente opponibili a tale riconoscimento, fra cui particolare rilievo riveste l’ipotesi che la pronuncia in questione non sia vincolante (binding, obbligatoire) fra le parti (24), per non
esserla ancora divenuta o per essere stata annullata nel paese di origine (art.
V, lett. e)).
Benché il testo della normativa appaia sufficientemente chiaro, il concreto problema applicativo che la Convenzione reca con sé è dato dalla
mancanza in essa di un apparato definitorio dei termini utilizzati: in particolare, il testo convenzionale non contiene una definizione precisa e vincolante di cosa debba intendersi per « sentenza arbitrale » (25), cosı̀ come non
definisce precisamente a cosa voglia riferirsi parlando di « vincolatività »
della pronuncia fra le parti, con il conseguente rischio che ogni singolo ordinamento tratti il tema con approccio autoreferenziale, a tutto detrimento
singoli Stati relativa all’applicazione della Convenzione è raccolta ogni anno nello Yearbook
of Commercial Arbitration, fondamentale strumento di controllo e monitoraggio delle principali tendenze interpretative del testo convenzionale emerse a livello internazionale.
(23) Sulla natura pacificamente tassativa dell’elencazione dei grounds of refusal contenuta all’art. V della Convenzione, per tutti, ATTERRITANO, voce Arbitrato estero, in Dig. disc.
priv., Sez. civ., Agg. IV, Torino, 2007, 83.
(24) Superando cosı̀ il sistema delineato dalla Convenzione di Ginevra del 1927 che
subordinava la riconoscibilità del lodo straniero al fatto che lo stesso fosse definitivo e formalmente riconosciuto come tale dall’autorità giurisdizionale del paese di provenienza (sistema del c.d. doppio exequatur); in tema vedi PETTINATO, Sulla « obbligatorietà » del lodo
straniero ai fini del riconoscimento e della esecuzione secondo la Convenzione di New York
del 1958, in questa Rivista, 1998, 312 ss.
(25) Sulle vicende che hanno portato i conditores internazionali ad optare per la
mancata scelta di una definizione unica e vincolante di « sentenza arbitrale », DI PIETRO, What
constitues an arbitral award under the New York Convention?, in GAILLARD - DI PIETRO, op.
cit., 139 ss.; BERNARDINI, Sentenze arbitrali e Convenzione di New York, in Riv. dir. proc.,
2006, 91.
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dell’uniformità di applicazione che dovrebbe caratterizzare una disciplina
di respiro internazionale (26).
Per scongiurare tale pericolo, la tendenza interpretativa, specie a livello dottrinario, è allora nel senso di ritenere che, pur nell’assenza di una
definizione puntuale, sia comunque possibile enucleare dal testo Convenzionale, per via interpretativa, un concetto autonomo di arbitral award capace di imporsi ai giudici degli Stati aderenti in sede di procedimento per
il riconoscimento dei lodi stranieri (27). E la via per fare ciò altra non può
essere che quella di prendere a riferimento le esperienze delle culture giuridiche che alla nascita della Convenzione hanno partecipato (28). In tal
senso, è stato allora autorevolmente affermato che, a prescindere dalle differenze che caratterizzano gli ordinamenti statali, questi condividono il
fatto che « arbitration is understood as a resolution of a dispute between
two o more parties by a third person (arbitrator) who derives his power
from an agreement (arbitration agreement) of the parties and whose decision is final upon them » (29).
(26) Nota RAVIDÀ, La circolazione internazionale del « nuovo » lodo irrituale italiano nel sistema della Convenzione di New York del 1958, in Studi in onore di Carmine
Punzi, vol. II, cit., 586 ss., che « se l’assenza di un complesso di definizioni dei termini utilizzati nella Convenzione ha certamente favorito l’adesione di numerosi Stati appartenenti a
matrici culturali e giuridiche anche estremamente distanti fra loro, oggi questa caratteristica
sta rivelandosi come un limite all’uniforme applicazione delle norme convenzionali ».
(27) In questo senso, BERNARDINI, op. cit., 89 ss., che ritiene questa l’unica soluzione
realmente rispettosa del principio dell’uniformità di interpretazione di un trattato internazionale all’interno degli Stati a questo aderenti. Fedele a tale premessa, l’A. (in ciò richiamando
la tesi di GOLDSTEIN, Interpreting the New York Convention. When should an interlocutory arbitral « order » be treated as an award?, in ASA Bulletin 2000, 833) individua nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 22 maggio 1969 lo strumento più adeguato per indagare l’ordinary meaning del concetto di arbitral award cosı̀ come emergente dalla Convenzione di New York.
(28) In tal senso, per tutti, GAJA (a cura di), International Commercial arbitration New York Convention, cit., I, A3. È infatti opportuno precisare che quando si afferma che la
Convenzione detta, per quanto implicitamente, un concetto autonomo di arbitral award, non
si intende dire che tale concetto sia innovativo rispetto a quello generalmente diffuso nelle
esperienze nazionali, che sia da esse totalmente avulso; piuttosto, tale autonomia va intesa
nel senso che la Convenzione sposa un concetto elastico di sentenza arbitrale, insuscettibile
di risentire delle singole peculiarità nazionali da un lato e capace di racchiudere i caratteri
comuni riscontrabili in queste dall’altro; una sorta di summa delle esperienze nazionali particolari, capace di offrirsi come referente comune a tutti gli Stati.
(29) VAN DEN BERG, op. cit., 44. È però opportuno notare, per completezza del riferimento, che l’A., nel prosieguo della sua trattazione, conclude per la possibilità di individuare la qualità di sentenza arbitrale di un provvedimento ai fini della Convenzione di New
York utilizzando come referente il Paese di origine dello stesso (per cui un provvedimento
ben potrebbe considerarsi una sentenza arbitrale ai fini della Convenzione se emerga che lo
stesso, nel Paese di provenienza, « is considered as a genuine award », 50); in ciò implicitamente sembrando negare l’assunto di partenza per cui la qualità dal singolo provvedimento
dovrebbe piuttosto ricostruirsi riguardando alla nozione comune di arbitral award delineata
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Un’altra considerazione può essere fatta sul punto: se da un lato è
vero che la Convenzione non detta una norma definitoria in cui chiarifichi
il concetto di sentenza arbitrale, è però anche evidente che i caratteri della
stessa, cosı̀ come intesa dai conditores, sono ricavabili a contrario dalle
norme dettate in tema di condizioni per il riconoscimento (30). In particolare, laddove la Convenzione prevede che la mancanza di determinate caratteristiche nel provvedimento di cui si chiede il riconoscimento legittimi
il rifiuto del riconoscimento stesso, implicitamente mostra di considerare
tali caratteristiche come irrinunciabili qualità del lodo arbitrale.
Partendo dunque dall’analisi del testo della Convenzione si può concludere che, per questa, elementi imprescindibili perché un provvedimento
possa qualificarsi come arbitral award sono: in prima istanza, il fatto che
lo stesso possa essere collegato ad un accordo iniziale fra le parti che, a sua
volta, si atteggi come atto di autonomia di queste e fondi il potere degli arbitri stessi di decidere la controversia (poiché in caso contrario non si spiegherebbe né la scelta della Convenzione di dedicare una norma espressamente all’accordo compromissorio (cfr. art. II), né il fatto che le ipotesi di
esorbitanza del lodo dall’accordo siano indicate fra i grounds of refusal —
cfr. art. V, 1o co., lett. c)); è inoltre necessario verificare che il provvedimento finale promani da un procedimento improntato al principio del contraddittorio, per quanto embrionale esso possa essere stato nel suo concreto
sviluppo (elemento che emerge chiaramente dalla valorizzazione sia del
doveroso rispetto del diritto di difesa delle parti durante il procedimento
arbitrale (cfr. art. V. 1o co., lett. b)), sia dal fatto che il mancato rispetto
delle regole procedurali, cosı̀ come delineate dalle stesse, costituisce motivo ostativo al riconoscimento — cfr. art. V, 1o co., lett. d)); e, infine, che
tale provvedimento abbia deciso (31) la controversia con effetti vincolanti
per le parti che a quell’arbitrato hanno dato vita.
Più in particolare, si è inteso che il lodo arbitrale, cosı̀ come delineato
dal sistema della Convenzione, debba essere caratterizzato da un lato dagli
dalla Convenzione. Un possibile punto di contatto fra le due visioni ora sintetizzate è proposto da DI PIETRO, op. cit., 142, laddove ritiene che, ferma la necessità di interpretare la Convenzione in sintonia con il suo carattere « internazionale », le singole leggi statali, ed in particolare le disposizioni di queste tese a qualificare la natura delle proprie sentenze arbitrali,
debbano essere valutate come « fatti » e come tali « would obviously provide a strong indication as to the actual nature of the means of dispute resolution under analysis. However,
they should bear no binding force nor a definitive answer to the problem ».
(30) In questo senso, BRIGUGLIO, L’arbitrato estero, cit., 79.
(31) L’essenzialità del carattere decisorio del provvedimento emerge dagli stessi lavori preparatori della Convenzione (richiamati da GOLDSTEIN, op. cit., 833), laddove, parlando
di circolazione del lodo all’estero come della possibilità che lo stesso trovi attuazione in diversi Paesi, si parla espressamente di « an award settling a dispute arising in connection with
an agreement » mostrando chiaramente di riferirsi ad un provvedimento definitorio di una
lite, decisivo della stessa.
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elementi della decisorietà e della definitività e, dall’altro, da quello dell’alternatività rispetto alla decisione giudiziaria (32).
4.
L’ordinamento italiano al cospetto del sistema convenzionale: sulla
discussa riconoscibilità del lodo irrituale.
Calando la realtà italiana in questo panorama (per la verità non particolarmente stabile, come si avrà modo di vedere più avanti), se storicamente non si sono presentati particolari problemi a riconoscere la riconducibilità nell’alveo della Convenzione di New York del lodo rituale (33),
maggiori dubbi si sono sempre avuti in ordine all’assoggettabilità al testo
convenzionale di quello irrituale.
Le problematiche maggiori venivano (e vengono) dalla riconosciuta
natura ed efficacia schiettamente negoziale del lodo irrituale, che come tale
non integrerebbe il requisito di « vincolatività » richiesto dalla Convenzione, facendo dell’arbitrato irrituale un fenomeno ontologicamente escluso
dall’area di applicazione della stessa (34). Da questa prospettiva, anche la
tipizzazione del fenomeno ad opera della riforma 2006, se da un lato ha
(32) DI PIETRO Riconoscimento ed esecuzione dei lodi stranieri, in Codice degli arbitrati, delle conciliazioni e di altre ADR, a cura di BUONFRATE - ORLANDI, Torino, 2006, 23
ss.; secondo l’A. per risolvere positivamente la questione della qualificabilità o meno di un
dato provvedimento come sentenza arbitrale, è necessario che lo stesso superi due step valutativi: il c.d. test di alternatività, che ha riguardo al procedimento da cui tale provvedimento
emana e mira a stabilire se lo stesso si atteggi realmente come alternativo al ricorso all’autorità giurisdizionale, e il c.d. test di definitività, per accertare che la pronuncia in parola sia
effettivamente conclusiva della controversia fra le parti e fra queste vincolante.
(33) Va anzi sottolineato come la riforma operata dal legislatore con gli interventi del
1983 e del 1994, eliminando il requisito del necessario deposito del lodo ai fini della sua validità e conservandolo solo a fini esecutivi (disponeva infatti l’art. 823 c.p.c. come modificato nel 1983 che « il lodo ha efficacia vincolante fra le parti dalla data della sua ultima sottoscrizione ». La disposizione in questione è oggi stata abrogata), mirava proprio a favorire
la circolazione del lodo italiano all’estero e ad adeguarsi ai dettami della Convenzione di
New York (in questo senso BRIGUGLIO, La riforma dell’arbitrato del 1983: soluzioni giurisprudenziali ed indicazioni sistematiche, in questa Rivista, 1991, 185 ss.). Il sistema tracciato
dal codice di rito del 1940, infatti, subordinando l’efficacia del lodo (sia fra le parti che all’esterno) al riconoscimento da parte dell’autorità giudiziaria, reintroduceva di fatto il requisito del doppio exequatur che la Convenzione newyorkese aveva volutamente eliminato.
Oggi, dopo la riforma del 2006, malgrado i possibili effetti distorsivi sul punto che potrebbero derivare dalla svolta privatistica della Suprema Corte in materia di arbitrato (su cui v.
infra nota 41), la piana riconducibilità del lodo rituale all’area di applicazione della Convenzione di New York non pare dubitabile in virtù del disposto di cui all’art. 824-bis c.p.c. in
forza del quale « salvo quanto disposto dall’art. 825, il lodo ha dalla data della sua ultima
sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria ».
(34) In questo senso già CUTRERA, Gli arbitrati irrituali e la Convenzione di New
York, in Riv. trim. dir e proc. civ., 1962, 1109 ss., e, più recentemente, MARINELLI, La natura
dell’arbitrato irrituale. Profili comparatistici e processuali, Torino, 2002, 139 ss.
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superato la tradizionale riserva ad applicare la Convenzione ad un fenomeno avulso dal sistema positivo dello Stato (35), non avrebbe comportato
reali modifiche alla situazione, ribadendo l’efficacia squisitamente contrattuale del lodo che conclude un arbitrato irrituale (36).
Contro questa tesi si staglia però la critica di chi, nell’ottica di favorire una più ampia applicazione dello strumento internazionale, sottolinea
come la obbligatorietà richiesta dalla Convenzione di New York ai fini del
riconoscimento non abbia in realtà altre specificazioni qualificanti: la Convenzione non impone che la pronuncia arbitrale di cui si chiede il riconoscimento sia equivalente alla sentenza giudiziale (37), ma solo che sia vincolante fra le parti (38); ed il lodo irrituale possiede tale carattere, se è vero
che i contratti hanno fra le parti forza di legge (art. 1372 c.c.) (39). L’opi-
(35) In questo senso RAVIDÀ, op. cit., 603, riprendendo sul punto le notazioni di
WALTER, L’arbitrato irrituale: osservazioni di uno straniero, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,
1994, 157.
(36) In questo senso SASSANI, L’arbitrato a modalità irrituale, in questa Rivista,
2007, 26, secondo il quale la natura « irrimediabilmente » privata dell’accertamento che caratterizza l’arbitrato irrituale ex art. 808-ter, porta ad escludere l’applicabilità della Convenzione di New York, mancando di quella « autorità di sentenza arbitrale » che funge da presupposto dell’obbligo di accordare il riconoscimento nel territorio dello Stato richiesto.
(37) Sottolinea la natura « non processuale » del requisito della vincolatività in parola, LUZZATTO, Arbitrato irrituale italiano e Convenzione di New York, in Rass. Arb., 1981,
107.
(38) Più specificatamente, la dottrina in esame, valorizzando lo spirito della Convenzione e la dichiarata finalità di questa a favorire la circolazione del lodo riducendo il più possibile i vincoli che alla stessa possano derivare dall’ordinamento di appartenenza e dalle sue
peculiarità, ritiene che il concetto di « lodo vincolante » sposato dalla Convenzione sia un
concetto autonomo, capace di ricomprendere tanto i lodi con efficacia contrattuale che quelli
con efficacia parificabile a quella di sentenza; in questo senso GAJA, Natura dell’arbitrato rituale e Convenzione di New York, in questa Rivista, 2004, 411 ss.; BOVE, Il riconoscimento
del lodo straniero tra Convenzione di New York e codice di procedura civile, in questa Rivista, 2006, 35.
(39) A favore della riconducibilità dell’arbitrato irrituale italiano al sistema della
Convenzione di New York, in epoca risalente, MINOLI, The New York Convention on the Recognition and enforcement of Foreign Arbitral awards, in Unification of Law — Unidroit
Yearbook, 1958, 157 ss.; CANSACCHI, Considerazioni sulla Convenzione di New York del 1958
sul riconoscimento e sull’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, in Rass. arb., 1969,
92 ss.; FAZZALARI, De l’arbitrage « marchand » à l’arbitrage « de droit commune », in Arbitrage commercial, in Essais in memoriam Eugenio Minoli, Torino, 1974, 163 ss. In epoca più
recente, la posizione da ultimo esposta è stata sostenuta da RAVIDÀ, op. cit., 579 ss., che con
un’articolata analisi che prende le mosse dalla giurisprudenza americana, partendo dall’idea
che l’arbitrato sia internazionalmente percepito come un fenomeno prettamente privatistico
in ogni sua espressione, con connesso limite di intromissione da parte dell’autorità giudiziaria, sostiene la riconducibilità del lodo irrituale allo schema della Convenzione di New York,
ritenendola anzi rinforzata dall’art. 808-ter c.p.c. Giunge alle medesime conclusioni, ma per
la verità percorrendo una via quasi antitetica che valorizza la formalizzazione e la procedimentalizzazione dell’arbitrato libero realizzata dall’art. 808-ter (di cui subito a seguire nel
testo), BRIGUGLIO, La dimensione transnazionale dell’arbitrato, in questa Rivista, 2005, 700.
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nione da ultimo riportata è fatta propria anche dalla Suprema Corte di Cassazione che, da sempre propensa a riconoscere la riconducibilità del lodo
irrituale nell’area applicativa della Convenzione di New York (40), ha anche
recentemente ribadito la propria posizione, affermando la totale irrilevanza
della natura rituale o meno del lodo ai fini dell’applicazione della disciplina
convenzionale (41).
(40) Cass., 18 settembre 1978, n. 4167, in Foro it., 1978, I, c. 2422; Cass., 6 luglio
1982, n. 4039 in Rass. arb., 1982, 328; Cass., 15 dicembre 1982, n. 6915, in Foro it., 1983,
I, 1, c. 2200, laddove la S.C. chiarisce per altro che il termine « sentenze arbitrali » contenuto nella traduzione italiana del testo convenzionale, non autorizza ad interpretare lo stesso
come un richiamo a provvedimenti di carattere spiccatamente giurisdizionale.
(41) Cass., Sez. un., ord. 15 giugno 2002, n. 2981, in Foro it., 2002, I, c. 2299 ss.:
la S.C. nota infatti come, « secondo anche l’interpretazione della dottrina internazionalistica
assolutamente prevalente, è del tutto indifferente la qualificazione del lodo in termini negoziali o giurisdizionali ». Va però sottolineato che tale pronuncia si inscrive nel solco della
« svolta privatistica » operata dalla Suprema Corte a partire dall’ormai storica sentenza 527/
2000 che ha portato la stessa ad affermare che l’intero fenomeno arbitrale, rituale come irrituale, è da ascriversi all’area del diritto privato, con la conseguenza che il lodo, quand’anche
rituale, resta sempre un atto privato il cui valore non potrà mai essere parametrato su quello
della sentenza, configurandosi il procedimento arbitrale, in quanto fondato sulla « rinuncia
all’azione giudiziaria », come « antitetico a quello giurisdizionale », di cui piuttosto « costituisce la negazione » (Cass., Sez. un., 3 agosto 2000, n. 527, in questa Rivista, 200, 699 ss.
Sulla svolta « monistica » della Suprema Corte, fra gli altri, CONSOLO - MARINELLI, La Cassazione e il « duplice volto » dell’arbitrato in Italia: l’exequatur come unico discrimine fra i
due tipi di arbitrato?, in Corr. giur., 2003, 678 ss.; CAVALLINI, Sulla « natura » del lodo rituale, in Riv. dir. proc., 2002, 942 ss.; RUFFINI - MARINELLI, Le sezioni unite fanno davvero
chiarezza sui rapporti fra arbitro e giurisdizione?, in Corr. giur., 2001, 51 ss. Giova per altro ribadire che, anche successivamente all’intervento del legislatore del 2006, la Suprema
Corte ha più volte riaffermato la concezione squisitamente negoziale dell’arbitrato complessivamente inteso, fra le altre, Cass., Sez. un., 5 gennaio 2007, n. 35, in Foro it., 2007, 7-8,
1, c. 2173; Cass., 9 gennaio 2008, n. 178, in Riv. dir. proc., 2008, 221 ss.). Al di là delle critiche avanzabili a tale posizione [per altro (almeno apparentemente) disconosciuta dalla Corte
costituzionale, che con la sentenza 28 novembre 2001, n. 376, riconoscendo in capo agli arbitri la facoltà di sollevare questione di legittimità costituzionale, sottolinea la fungibilità (e
quindi l’equivalenza), fra l’attività degli arbitri e quella dei giudici (sul punto E.F. RICCI, La
« funzione giudicante » degli arbitri e l’effıcacia del lodo (Un grand arret della Corte costituzionale), in Riv. dir. proc., 2002, 351 ss.; DANOVI, Gli arbitri rituali come giudici di fronte
alla sospetta incostituzionalità della legge, in Gius. civ., 2002, II, 471 ss.)] o della concreta
tenuta di questa ricostruzione al cospetto dell’odierno 824-bis c.p.c., quello che preme qui
sottolineare è che, nell’ottica dell’applicazione della Convenzione di New York, la conclusione della Suprema Corte riportata in testo appare a chi scrive quantomeno obbligata, salvo
non voler negare l’applicabilità della stessa a qualsiasi arbitrato italiano in ragione della natura squisitamente privatistica a questo riconosciuta (sottolinea tale rischio E.F. RICCI, La natura dell’arbitrato rituale e del relativo lodo. Parlano le Sezioni Unite, in Riv. dir. proc.,
2001, 272 ss., laddove ritiene che ridurre il lodo rituale italiano ad un atto puramente negoziale, con in più solo la possibilità di ottenere l’esecutività, potrebbe comportare il rischio per
lo stesso di non essere recepito, negli ordinamenti stranieri, come « decisione arbitrale » e, in
conseguenza, di non potere ivi ottenere riconoscimento ed esecuzione in forza della Convenzione newyorkese).
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Con riguardo a quest’ultima interpretazione però, anche a non voler
accedere alla tesi, per il vero piuttosto diffusa, che ritiene che comunque la
Convenzione, parlando di vincolatività, intenda riferirsi a qualcosa di più e
di diverso dall’obbligatorietà puramente contrattuale, e segnatamente rimandi al vincolo che tipicamente origina dai provvedimenti giurisdizionali (42), si può comunque obiettare come dall’analisi della Convenzione
emerga che una pronuncia, per essere considerata quale arbitral award ai
fini della stessa, debba presentare una molteplicità di caratteri, di cui l’obbligatorietà è uno solo e non necessariamente il più significativo (43).
Si tratta allora di valutare se l’arbitrato irrituale, e segnatamente
quello ora disciplinato dall’art. 808-ter c.p.c., presenti anche quelle caratteristiche di decisorietà e alternatività che, insieme alla vincolatività, abbiamo visto costituire il corredo qualificante della « sentenza arbitrale » nel
sistema della Convenzione di New York.
Con riferimento alla natura decisoria dell’arbitrato irrituale, a sommesso parere di chi scrive, si ritiene di poter considerare superate le tesi
che, ancora nel silenzio del legislatore (ma per la verità anche dopo l’intervento riformatore del 2006), riconducevano il fenomeno allo schema della
transazione per relationem o a quello del negozio di accertamento (44), a
favore dell’interpretazione che valorizza il carattere comunque decisorio
della « determinazione » rimessa agli arbitri irrituali (45). Questa tesi trova
un addentellato normativo nella positivizzazione della regola del contrad-
(42) In questo senso, E.F. RICCI, La neverending story della natura negoziale del
lodo: ora la Cassazione risponde alle critiche, in Riv. dir. proc., 2003, 557; MARINELLI, op.
cit., 141; VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, II ed., Torino, 2006, 14, secondo il quale
« la Convenzione di New York parla sı̀ genericamente di efficacia obbligatoria, ma collega
tale efficacia alla sentenza arbitrale (e non a qualsiasi atto negoziale) ». In tema va per altro
rilevato, in chiave comparativa, come molti ordinamenti esteri parifichino pacificamente il
lodo alla sentenza, attribuendo al primo il valore di cosa giudicata: in questo senso, fra gli
altri, il sistema francese (art. 1476 n.c.p.c.), quello tedesco (§ 1055 ZPO), quello austriaco
(§ 594 ZPO), quello belga (art. 1703 Code judiciaire).
(43) Nel senso che il riferimento al requisito della vincolatività richiesto dalla Convenzione è di per sé privo di valore dirimente, poiché il problema di sapere se un atto sia o
meno « binding » ai sensi della Convenzione di New York si pone solo dopo aver previamente qualificato questo come « arbitral award » ai sensi di quella, E.F. RICCI, Il lodo arbitrale irrituale di fronte alla Convenzione di New York, in Riv. dir. proc., 2001, 599 ss.
(44) In questo senso, per tutti, MARINELLI, op. cit., 190 ss. La tesi è stata riproposta,
anche successivamente alla riforma legislativa da BOVE, L’arbitrato irrituale dopo la riforma,
in www.judicium.it, § 1, nonché da LA CHINA, op. cit., 242 ss., secondo il quale, anche alla
luce dell’intervento riformatore, « l’arbitrato irrituale è ancora e solamente quel che era
prima, un modo di negoziare una transazione ».
(45) Nel senso che nell’arbitrato irrituale « sussiste una vera controversia » che viene
« risolta d’autorità » dagli arbitri, come ben emerge dalla scelta lessicale del legislatore della
riforma », BIAVATI, op. cit., 166.
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dittorio (46), nonché nella procedimentalizzazione dell’arbitrato irrituale tutto (47), che da un lato sottolineano la natura processuale dell’istituto (48) e,
dall’altro, illuminano sulla provenienza squisitamente eteronoma della decisione finale (49).
Diversamente, con riferimento al requisito dell’alternatività, chi scrive
ritiene che lo stesso non possa ritenersi soddisfatto dall’arbitrato irrituale
cosı̀ come previsto dal codice di rito. L’argomento principale a sostegno di
tale posizione si focalizza sul regime « impugnatorio » previsto per il lodo
irrituale, che pur fortemente discusso nelle sue pieghe applicative puntuali (50), presenta però un elemento certo ed indiscutibile che appare incompatibile con la possibilità di ritenere l’istituto genuinamente alternativo alla
giurisdizione statale. Ai sensi dell’art. 808-ter, alla ricorrenza di una delle
circostanze espressamente elencate, il lodo irrituale « è annullabile dal giudice competente, secondo le disposizioni del libro I ». La differenza con
l’arbitrato rituale è di palese evidenza (e non potrebbe essere diversa-
(46) La cui violazione costituisce uno dei motivi di annullabilità del lodo (art. 808ter, comma 3, n. 5); in questo senso, BERTOLDI, op. cit., 292.
(47) A riguardo, per tutti, CONSOLO, Deleghe processuali e partecipazione alla riforma della Cassazione e dell’arbitrato, in Corr. giur., 2005, 1189; l’A. Sottolinea, per altro,
come tale scelta legislativa finisca per fare dell’arbitrato irrituale non un aliud bensı̀ un minus rispetto alla fattispecie rituale.
(48) Sulla natura di « processo » del meccanismo che porta all’arbitrato irrituale,
SASSANI, op. cit., 25 ss.; TOTA, Appunti sul nuovo arbitrato irrituale, in questa Rivista, 2007,
555 ss.; G.F. RICCI, Diritto processuale civile, III, Torino, II ed., 2009, 518, che sottolinea
come l’arbitrato irrituale « è un negozio per ciò che riguarda il risultato, ma per il resto è anch’esso un giudizio ».
(49) In questo senso, VERDE, Arbitrato irrituale, in questa Rivista, 2005, 671. Tale
carattere, per altro, si ritiene differenzi l’istituto in parola dalle altre forme di composizione
delle controversie che, per quanto prevedano l’intervento fattivo di un terzo, non si risolvono
nell’affidamento a questo del potere di decidere della lite con un dictum vincolante per le
parti, e che, come tali, non sono oggi in alcun modo riconducibili alla figura dell’arbitrato
irrituale come disciplinato dal legislatore del 2006; sul punto, per tutti SASSANI, voce Arbitrato irrituale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Agg. I, Torino, 2007, 114. Per una lettura diametralmente opposta del tema si veda però, LA CHINA, op. cit., 15-16.
(50) Principale campo di disputa è da sempre quello legato all’individuazione dei
motivi che legittimano l’impugnazione del lodo irrituale (per una ricostruzione del tema nel
regime previgente, per tutti ZUCCONI GALLI FONSECA, in CARPI, Arbitrato (a cura di), Bologna,
2001, 564 ss.). La problematica non può dirsi pacificamente risolta nemmeno a seguito dell’intervento riformatore del 2006, essendo a tutt’oggi fortemente discussa la natura tassativa
o meno dell’elencazione dei motivi di impugnazione contenuta all’art. 808-ter (sul tema, fra
gli altri, BIAVATI, op. cit., 171 ss.; BOVE, op. cit., § 5; PUNZI, Luci e ombre nella riforma dell’arbitrato, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2007, 405 ss.; SASSANI, L’arbitrato a modalità irrituale, cit., 27). Pur nella varietà delle ricostruzioni offerte, l’opinione maggioritaria mi pare
nel senso che, se l’elencazione contenuta nella norma codicistica può intendersi esaustiva
delle censure di annullabilità proponibili avverso il lodo irrituale, la stessa non preclude per
la parte la possibilità di esercitare le diverse azioni di tutela contrattuale previste dal codice
civile, e segnatamente quelle tese a fare valere la nullità della determinazione degli arbitri.
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mente): il lodo irrituale non soggiage all’onere di impugnazione come previsto invece per quello rituale dall’art. 827 ss. c.p.c. (51), ma, in perfetta assonanza con la sua natura di determinazione contrattuale, è annullabile alla
ricorrenza di determinate condizioni (52); e il relativo vizio non si deduce
davanti alla Corte d’appello come accade per le impugnazioni di nullità del
lodo rituale, ma davanti al giudice di primo grado, attivando da principio
un procedimento giurisdizionale, potenzialmente idoneo a svolgersi in tre
gradi di giudizio, come proprio di tutte le impugnazioni negoziali.
Queste basilari considerazioni paiono bastevoli per affermare che il
lodo irrituale italiano manca di quelle caratteristiche di alternatività e definitività richieste per attrarre un provvedimento nell’area applicativa della
Convenzione (53); la risoluzione della controversia data dagli arbitri irrituali, per quanto eteronoma e scaturente da un procedimento di tipo processuale, resta sempre un contratto, come tale vincolante e definitivo, ma solo
sino a quando una delle parti non ritenga di rimetterlo in discussione davanti all’autorità giudiziaria (54).
5.
Il lodo irrituale del lavoro come previsto dagli odierni art. 412 e 412quater c.p.c. in rapporto alla Convenzione di New York.
Si tratta ora di vedere se il lodo che conclude un arbitrato del lavoro
cosı̀ come delineato dalla riforma 2010, presenti quelle caratteristiche tipiche che consentono di ascrivere una pronuncia nel novero delle « sentenze
arbitrali » ai sensi della Convenzione di New York. La difficoltà nasce soprattutto dal fatto che, da un lato, il legislatore qualifica l’arbitrato in que(51) Nel senso che il legislatore fissa per il lodo irrituale un regime impugnatorio incompatibile con quello previsto per i lodi rituali, BERTOLDI, op. cit., 297.
(52) Conseguentemente, manca nella norma l’indicazione di un termine per proporre
le censure suddette, termine che deve essere piuttosto desunto dall’art. 1442, comma 1, c.c.,
con l’ulteriore precipitato per cui, quantomeno se si accede alla tesi che vuole i motivi previsti all’art. 808-ter attenere solo all’annullabilità e non alla nullità in senso stretto, l’inerzia
delle parti protratta per il quinquennio sana gli eventuali vizi della deliberazione; in questo
senso BIAVATI, op. cit., 175.
(53) A tal riguardo si ricorda come dai lavori preparatori della Convenzione, emerga
con chiarezza come i conditores abbiano considerato essenziale caratteristica dell’arbitral
award il fatto che lo stesso si prestasse a risolvere nel merito la controversia considerata con
« definitività »; in questo senso, chiaramente, DI PIETRO, What constitues an arbitral award
under the New York Convention?, cit., 143, laddove si legge che « if the process as a whole
does not provide the individual in charge of the process with the power finally to settle the
dispute through the delivery of binding and enforceable decision characteristic by the same
status as a court judgment, then the Convention should not be applied ».
(54) In questo senso, lapidarie le parole di E.F. RICCI, Il lodo arbitrale irrituale di
fronte alla Convenzione di New York, cit., 609, laddove rileva che « a nessuno potrebbe venire in mente di presentare come « lodo » un contratto direttamente stipulato tra le parti, anche se binding nello stesso modo in cui lo è la determinazione dell’arbitrato irrituale ».
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stione come un arbitrato irrituale (« implicitamente » all’art. 412 c.p.c., affermando che « il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato [...] produce tra
le parti gli effetti di cui all’articolo 1372 e all’articolo 2113, quarto comma,
del codice civile », nonché richiamando l’art. 808-ter con riguardo al regime di impugnazione; « espressamente » all’art. 412-quater, prevedendo
la facoltà di ciascuna delle parti di proporre le controversie di cui all’art.
409 c.p.c., « innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale », costituito secondo quanto previsto nella norma stessa) (55), ma poi detta specifiche norme che finiscono con l’allontanare nettamente l’arbitrato in questione dal paradigma di quello irrituale (56).
La prima evidentissima differenza è rilevabile in termini di esecutività. A differenza di quanto previsto dell’art. 808-ter per l’arbitrato irrituale
in generale, il cui prodotto finale non può mai acquisire efficacia esecutiva
attraverso l’intervento dell’autorità giudiziaria essendo espressamente
esclusa l’applicabilità dell’art. 825 c.p.c., la disciplina di cui agli artt. 412
e 412-quater prevede la possibilità che il lodo sia « depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il giudice,
su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto » (57).
(55) Nota AULETTA, op. cit., 12, come, a dispetto della rubrica (« Altre modalità di
conciliazione e arbitrato »), la disposizione dell’art. 412-quater sia chiara nel riferirsi esclusivamente ad un’ipotesi di arbitrato irrituale.
(56) La notazione per cui la disciplina legislativa finisce per delineare una figura
ibrida di arbitrato, non pacificamente qualificabile come irrituale, malgrado la lettera legislativa, è generalmente condivisa in letteratura: fra gli altri DELLA PIETRA, op. cit., § 6, che ritiene trattarsi di un arbitrato « solo nominalmente definito irrituale », ma sostanzialmente costituente una procedura mista; AULETTA, op. cit., 5, che parla di « ibridazione dei modelli »;
SOCCI, op. cit., che, partendo dalla considerazione che le ipotesi di arbitrato in esame « non
possono ritenersi semplicemente irrituali », ritiene che « qualsiasi ricostruzione volta a considerare irrituale l’arbitrato di lavoro e ad applicare ad esso tutte le norme e la giurisprudenza
sull’arbitrato irrituale è da ritenersi fallace »; G.F. RICCI, Diritto processuale civile, Appendice
di aggiornamento (con il D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 e il d.m. 18 ottobre 2010, n. 180, sulla
mediazione e con l’art. 31, Legge n. 4 novembre 2010, n. 183, sul collegato lavoro), Torino,
2011, 43, che parla di un « probabile tertium genus di arbitrato » (negli stessi termini, anche,
CAPPONI, Le fonti degli arbitrati in materia di lavoro, in Giusto proc. civ., 2010, 364). Per una
dettagliata analisi degli elementi che militano a favore del riconoscimento di una natura rispettivamente rituale o irrituale all’arbitrato del lavoro, DONZELLI, op. cit., 114 ss.
(57) Nella versione dell’art. 412 c.p.c. approvata dal Parlamento in quarta lettura il
3 marzo 2010, si prevedeva espressamente che il lodo (irrituale) laburistico potesse assumere
efficacia esecutiva ai sensi dell’art. 825 c.p.c.; tale riferimento è stato eliminato nella versione
definitiva, facendo rivivere quanto già disposto dal vecchio art. 412-quater come introdotto
dalla riforma del 1998. Sottolinea l’opportunità di tale modifica DE CRISTOFARO, op. cit., 65,
costituendo il richiamo all’art. 825 c.p.c. « davvero una contraddizione in termini all’interno
di una norma che, per quanto riguarda la disciplina di efficacia e impugnativa del lodo, faceva richiamo all’art. 808-ter [...] di cui il comma 2 testualmente certifica l’incompatibilità
del lodo contrattuale con il medesimo art. 825 ». Da considerare però come tale modifica, se
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Questa caratteristica permetterebbe, nell’ottica della presente indagine, di superare la tradizionale posizione che voleva l’arbitrato irrituale
non riconoscibile all’estero in quanto avrebbe avuto altrove maggior rilievo
di quello attribuitogli in Italia (58). Ma si tratta, in realtà, di un profilo parzialmente limitato, non pacificamente dirimente per decidere della riconducibilità del lodo irrituale nell’area della Convenzione (59).
Molto più rilevante mi pare risultare, invece, l’indagine circa l’altro
aspetto differenziale fra arbitrato irrituale del lavoro e arbitrato irrituale tout
court, dato dal regime delle impugnazioni, teatro che ben si presta come
paradigma per indagare la reale alternatività fra la decisione arbitrale e
quella giurisdizionale che abbiamo visto essere carattere qualificante di un
arbitral award.
da un lato si dimostra maggiormente rispettosa di un canone di coerenza logica del dettato
normativo, dall’altro crea rilevanti problemi di rilievo pratico, rendendo dubbia la possibilità
o meno di applicare per analogia la disciplina dettata per l’exequatur del lodo rituale (in particolare in tema di reclamabilità dell’eventuale provvedimento che neghi il riconoscimento:
sul tema, pur nel vigore del precedente art. 412-quater, CORSINI, op. cit., 154). Per altro la
norma in esame prevede un’altra rilevante differenza rispetto al meccanismo di cui all’art.
825 c.p.c., subordinando la possibilità del deposito per ottenere il riconoscimento della esecutività alla intangibilità della pronuncia (per decorrenza dei termini d’impugnativa, per acquiescenza o per essere stata rigettata l’impugnazione da parte dell’autorità giudiziaria) e cosı̀
rovesciando la regola dell’immediata esecutività tipica del settore delle controversie del lavoro.
(58) Nel senso, si intende, che il lodo irrituale, acquisendo per effetto del riconoscimento in uno Stato estero, il valore dei lodi propri di questo, sarebbe stato presumibilmente
dotato di forza esecutiva all’estero, pur essendone privo in Italia. È questo l’argomento dirimente alla base della storica e notissima pronuncia della Corte federale tedesca che ha negato il riconoscimento in Germania di un lodo irrituale italiano alla stregua della Convenzione di New York (BGH, 8 ottobre 1981, Comitas c. S.O.V.A.G., in versione italiana in Rass.
arb. 1981, 116), sovente richiamata, ancora oggi, come paradigma dello sfavore straniero a
riconoscere l’assoggettabilità dell’arbitrato irrituale alla Convenzione di New York (la posizione è stata ribadita più di recente dalla Suprema Corte di Baviera, 22 nov. 2002, n. 4 Z Sc
13/02, in Yearbook Comm. Arbitration, 2005, Kluver Law International, 755). Svaluta il valore della pronuncia in esame RAVIDÀ, op. cit., 590 ss. che, nel più generale intento di dimostrare la circolabilità del lodo irrituale attraverso il sistema convenzionale, riporta due pronunce statunitensi (una della Corte Distrettuale del Southern District of New York del 1987,
e l’altra della Corte Federale del secondo circuito del 1988) che hanno sostanzialmente negato il valore della ricostruzione effettuata dalla Corte federale tedesca.
(59) Va infatti rilevato come, nell’ottica della Convenzione di New York, l’aspetto
del riconoscimento e quello della esecutorità siano in realtà due fenomeni distinti, per cui, da
un lato, ben la parte potrebbe chiedere il solo riconoscimento e non l’esecuzione dell’eventuale lodo condannatorio, e, dall’altro, anche le pronunce arbitrali ad esclusivo contenuto accertativo potrebbero essere oggetto di riconoscimento (sul punto v. AULETTA, L’effıcacia in
Italia dei lodi stranieri, in VERDE (a cura di), Diritto dell’arbitrato rituale, Torino, 2005, 543).
Sulla base di questa notazione, parte della dottrina già da tempo sostiene che il lodo irrituale
possa essere assoggettato alla Convenzione per ciò che attiene il solo riconoscimento, restando escluso l’aspetto della esecutività: in questo senso BRIGUGLIO, A volte ritornano: arbitrato irrituale e Convenzione di New York, in questa Rivista, 1996, 598; SCHLOSSER, Das Recht der internationalem privaten Schiedsgerichtsbarkeit, Tubingen, 1989, 560.
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Secondo la dizione degli artt. 412 e 412-quater « Il lodo è impugnabile ai sensi dell’articolo 808-ter. Sulle controversie aventi ad oggetto la
validità del lodo arbitrale irrituale, ai sensi dell’articolo 808-ter, decide in
unico grado il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di
trenta giorni dalla notificazione del lodo ». Tralasciando qui il complesso
problema delle censure concretamente proponibili (60), quello che appare di
lampante evidenza è la differenza che corre con il regime di cui all’art.
808-ter: qui si parla di « impugnazione » e là di « annullamento »; qui è
fissato un termine perentorio per la presentazione delle censure, pena l’acquisto dei connotati della stabilità in capo alla pronuncia (61), là manca
qualsiasi riferimento ad un termine di decadenza per la proposizione delle
censure; qui la competenza è del Tribunale in funzione del giudice del lavoro che decide in unico grado, con la conseguenza che la relativa pronuncia non sarà mai appellabile ma solo ricorribile in Cassazione, là le censure
vengono proposte davanti al giudice competente in primo grado, la cui pronuncia sarà normalmente impugnabile in grado di appello.
Da quanto detto, parrebbe allora di poter dire che qui, contrariamente
a quanto avviene nell’arbitrato irrituale tout court, la pronuncia arbitrale è
soggetta ad un vero e proprio regime di gravame, che lo avvicina sensibilmente all’arbitrato rituale (62). Il che, letto in sinergia con l’evidente qualità processuale del procedimento e l’altrettanto certa natura decisoria dell’istituto in esame (63), porterebbe a concludere per una sua riconducibilità
nell’alveo della Convenzione newyorkese (64).
Ma ad onor del vero, nemmeno quest’ultima ricostruzione può essere
(60) Il tema è, oggi come prima della recente modifica legislativa, oggetto di vivaci
dispute. Per una ricostruzione della tematica nel sistema previgente, BORGHESI, Arbitrato nelle
controversie del lavoro, cit., 26 ss. Per un’indagine sulla problematica alla luce dell’ultimo
intervento riformatore, AULETTA, Le impugnazioni del lodo nel « collegato lavoro », cit., 1 ss.
VALLEBONA, L’impugnazione del lodo arbitrale irrituale in materia di lavoro, in Lavoro e spirito, cit., 443 ss.
(61) Nel senso che qui si applica il principio dell’onere di impugnazione, tipico del
lodo rituale piuttosto che del lodo irrituale, BOVE, ADR nel c.d. collegato lavoro, cit., 18.
(62) Parla di regime di gravame « ispirato più al giudizio di nullità del lodo rituale
che all’azione di annullamento » DELLA PIETRA, op. cit., § 2, e, in termini ancora più netti,
SOCCI, op. cit., 170 e 243-244, secondo il quale il giudizio rimesso al tribunale si deve configurare « come un gravame di una decisione arbitrale », sottolineando come, a conferma di
ciò, il richiamo all’art. 808-ter sia solo parziale e relativo ai motivi di impugnazione, non già
alle modalità della stessa (per inciso, si rileva come la stessa ricostruzione interpretativa sia
paventata anche da BOVE, op. ult. cit., 19, che ritiene però di non sposarla, optando per riconoscere preponderante natura irrituale all’arbitrato del lavoro).
(63) Sottolinea tali caratteri, fra gli altri, DONZELLI, op. cit., 123.
(64) Per altro, l’attitudine della pronuncia in questione a divenire irretrattabile, integrerebbe quel requisito di definitività della risoluzione della controversia richiesto dalla Convenzione.
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pacificamente sposata. Seppur nel vigore dell’arbitrato disciplinato dal legislatore del 1998 (che però, sul punto del regime impugnatorio del lodo
del lavoro, era analogo a quello vigente, quantomeno dalla prospettiva dell’autorità competente), la dottrina maggioritaria ha ritenuto infatti che, malgrado la natura fortemente ritualizzata dell’arbitrato del lavoro previsto dai
previgenti artt. 412-ter e quater, quest’ultimo non potesse essere considerato un vero e proprio grado di giudizio (65). In questo senso, anche la
scelta di devolvere la cognizione al tribunale anziché della Corte d’appello (66) sarebbe stata da ritenersi sintomatica della volontà del legislatore di
riconfermare la natura squisitamente irrituale dell’arbitrato, prestandosi
come argomento sufficiente per sostenere la non alternatività del lodo irrituale del lavoro al giudizio di primo grado. Ugualmente, seguendo quest’ultima ricostruzione, al giudice adito in unico grado non poteva essere riconosciuto alcun potere decisionale in fase rescissoria, nell’idea che il processo in questione, funzionale a conoscere del lodo (in quanto atto contrattuale viziato), non potesse utilizzarsi anche per decidere circa il merito, che
doveva piuttosto essere assoggettato al processo ordinario « cui non può
essere sottratto un grado di giudizio se non è la legge a prevederlo » (67).
Se si considera che la normativa su cui si è costruita l’interpretazione
da ultimo riportata è rimasta sostanzialmente invariata anche a seguito della
riforma 2010, quanto detto dovrebbe a tutt’oggi conservare attualità. Se a
tutto ciò si aggiunge la intervenuta positivizzazione dell’arbitrato irrituale e
della sua indubitabile natura contrattuale, che lo pone fuori dall’area della
Convenzione di New York, e il richiamo che alla relativa disciplina fanno
i nuovi artt. 412 e 412-quater qui in esame, si dovrebbe concludere, a
stretto rigor di logica, che anche quello del lavoro, in quanto generalmente
ascrivibile alla categoria degli arbitrati irrituali, sia da considerarsi provvedimento inidoneo a circolare extra moenia attraverso lo strumento conven-
(65) In questo senso, per tutti, BORGHESI, op. ult. cit., 29-30; CORSINI, op. cit., 151.
(66) Si ricorda, infatti, che a norma del D.Lgs. n. 80/1998, competente a conoscere
degli eventuali vizi del lodo irrituale giuslavoristico era la Corte d’appello. La subitanea modifica di tale disposizione da parte del D.Lgs. n. 387/1998 è stata letta da gran parte della
dottrina come la riaffermazione della differenza intercorrente fra l’arbitrato rituale (impugnato per nullità davanti alla Corte d’appello) e quello irrituale (rispetto al quale la competenza è rimessa al giudice di primo grado); sul punto, per tutti, PUNZI, L’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., 396. Mostra di svalutare questa circostanza SOCCI, op. cit., 170, ritenendo piuttosto che la scelta sia da attribuirsi a dinamiche di organizzazione del sistema giudiziario.
(67) BORGHESI, op. ult. cit., 30. Diversa lettura era offerta da MURONI, La nuova disciplina dell’arbitrato nelle controversie di lavoro, in Gius. civ., 1998, 13, ritenendo che il giudice, in caso di annullamento, potesse decidere del merito in funzione di giudice del lavoro
in unico grado. Le problematiche connesse ai poteri del giudice in fase rescissoria sono destinate a riproporsi anche oggi, non essendo la riforma intervenuta sul punto e perdurando in
dottrina ricostruzioni divergenti del tema.
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zionale. Il che, a onor del vero, confrontato con la realtà normativa dell’istituto in esame, pare, a sommesso parere di chi scrive, un risultato esorbitante. Rischia infatti di essere fuorviante l’idea che la semplice qualificazione legislativa in termini di irritualità o il (parziale) richiamo alla disciplina di cui all’art. 808-ter siano di per sé sufficienti a superare la concreta
considerazione per cui, nell’ipotesi in esame, ci si confronta con una pronuncia sicuramente eteronoma, certamente risolutiva di una controversia,
soggetta all’onere impugnatorio e quindi tendenzialmente idonea a raggiungere i crismi della definitività e suscettibile di acquisire efficacia esecutiva;
una pronuncia, cioè, che parrebbe integrare appieno il paradigma di « sentenza arbitrale » che emerge dal sistema convenzionale.
6.
Brevi notazioni conclusive.
La situazione che emerge all’indomani dell’entrata in vigore del collegato lavoro non pare facilmente intellegibile: il proliferare dei possibili
meccanismi arbitrali messi a disposizione delle parti interessate porta con
sé il concreto rischio di frustrare l’intento deflattivo del legislatore, ponendo una serie di problematiche interpretative di non facile e pronta soluzione (68). Anche con riferimento all’arbitrato regolato dal codice, l’opera
interpretativa non è di semplice realizzazione, le aporie della disciplina essendo aggravate dall’impossibilità di ricondurre pacificamente l’istituto in
esame ad una delle figure generali previste nel codice di rito, con conseguente limite al richiamo delle stesse in una prospettiva analogica.
Davanti alle tante criticità che la normativa mostra, emerge soprattutto
l’interrogativo circa la ragione che ha condotto il legislatore a definire
(ostinatamente) l’arbitrato in questione come « irrituale », dotandolo poi di
una disciplina per certi aspetti totalmente incompatibile con la presunta natura attribuita allo stesso. (69) La sostanziale commistione di modelli in cui
si sostanzia la disciplina dettata dai nuovi artt. 412 e 412-quater, ponendo
di fatto in ombra la scelta qualificatoria operata dal legislatore del 2010 e
conseguentemente privandola di utilità concreta, rende oltremodo com-
(68) Sul punto, per tutti, MURONI, La nuova disciplina della conciliazione e dell’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., 273.
(69) Nel senso che, anche alla luce dell’esperienza che aveva visto sostanzialmente
fallire la disciplina introdotta nel 1998, meglio sarebbe stato che il legislatore del 2010 optasse per operare un definitivo « riconoscimento dell’arbitrato rituale come forma privilegiata
di soluzione stragiudiziale delle controversie giuslavoristiche », DONZELLI, op. cit., 109, per
altro riprendendo sul punto quanto già auspicato da CARPI, op. cit., 399. Nello stesso senso
BORGHESI, L’arbitrato ai tempi del « collegato lavoro », cit., § 11, il quale rileva come, superate le contingenze socio-politiche che avevano portato allo sviluppo dell’arbitrato irrituale
nel settore lavorativo, sarebbe stato più pratico ricorrere all’arbitrato rituale.
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plesso individuare risposte sicure alle problematiche pratiche che possano
presentarsi.
Meglio sarebbe stato, forse, evitare etichette fallaci e una normazione
fatta di rimandi incrociati, che rendono ancora più difficoltoso il lavoro di
ricostruzione della concreta disciplina applicabile.
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DOCUMENTI E NOTIZIE
Il Convegno celebrativo del Ventennale della Rivista
Il 2 dicembre 2011, presso l’Accademia Nazionale dei Lincei, si è tenuto il
Convegno celebrativo per il Ventennale della Rivista dell’Arbitrato, dal titolo
« L’Arbitrato e i terzi ».
Al Convegno hanno preso parte studiosi provenienti da diverse aree geografiche e specializzati in diversi ambiti del diritto, a sottolineare da un lato la vocazione internazionale della Rivista, e dall’altro come lo sviluppo della cultura arbitrale — che è lo scopo per cui la Rivista è stata creata — ha richiesto, e continua
a richiedere, il contributo di giuristi di varia estrazione, dal diritto processuale civile al diritto civile, dal diritto internazionale, pubblico e privato, al diritto privato
comparato.
La giornata di studi organizzata per il Ventennale, nonché nel ricordo di Elio
Fazzalari, oltre a costituire un forum di discussione sul rapporto tra arbitrato e terzi
— che ha toccato temi quali gli effetti dell’accordo arbitrale per i terzi, la loro partecipazione al procedimento arbitrale o ai giudizi statali di impugnazione e di esecuzione del lodo — ha inteso riflettere la dimensione interdisciplinare e transnazionale dell’arbitrato. Dimensione che la Rivista ha voluto mantenere nel corso degli
anni, sulla base dell’impegno assunto dal Professor Elio Fazzalari — che della Rivista è stato (con Giuseppe Guarino e Mauro Ferrante) ideatore ed indimenticato
direttore — con l’articolo « La cultura dell’Arbitrato » apparso sul primo numero.
L’impegno del Professor Fazzalari è oggi puntualmente rinnovato dall’attuale direzione, che può significativamente contare sul contributo di un processualcivilista,
Antonio Briguglio, di un internazionalista, Andrea Giardina, e di un civilista, Giorgio De Nova.
Il Convegno ha visto anche la partecipazione di operatori del settore, a volere
sottolineare il contributo che la Rivista, come già la Rassegna dell’arbitrato che la
ha preceduta, ha inteso offrire ed ha offerto ai fruitori dell’arbitrato. Come ricordato
nella relazione introduttiva di Nicola Picardi, Rivista e Rassegna hanno costituito
un importante punto di riferimento per le riforme dell’arbitrato succedutesi negli
anni in Italia, dovendosi poi accreditare soprattutto alla Rivista la notevolissima
evoluzione quantitativa e qualitativa degli studi sull’arbitrato in Italia negli ultimi
anni.
Le tre sessioni della giornata sono state presiedute da Pietro Rescigno, Natalino Irti e Giorgio Santacroce e si sono giovate delle relazioni di Nicola Picardi,
Giorgio De Nova, Pierre Mayer, Claudio Consolo, Michele Paolo Patocchi, Francesco Paolo Luiso, François Perret, Stefano Azzali, Massimo Benedettelli, Diego
Corapi, Francesca Mazza, Laura Salvaneschi, con conclusioni di Andrea Giardina.
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Sintetizzare il contenuto delle relazioni e dei numerosi interventi che si sono
succeduti, anche in vivace forma dialogica, nel corso del Convegno e che, come si
diceva, hanno affrontato la tematica della tutela degli interessi del terzo nelle varie
fasi in cui l’arbitrato si snoda — includendo anche la fase post arbitrale che si
svolge davanti al giudice statale —, non sarebbe qui possibile. In considerazione
dell’interesse del tema, diversamente affrontato nelle giurisdizioni nazionali e non
regolamentato a livello internazionale, l’AIA sta curando la pubblicazione degli atti
del convegno. [ANDREA ATTERITANO]
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In ricordo di Giovanni Maria Ughi
Il mondo dell’arbitrato deve molto a Giovanni Maria Ughi, recentemente
scomparso all’età di 87 anni. Egli è stato tra i primi italiani ad affacciarsi sullo scenario degli arbitrati internazionali, grazie anche alla perfetta conoscenza della lingua inglese, sia come arbitro che come legale in importanti procedure arbitrali. Ma
il suo apporto più significativo resta quello di Presidente del Gruppo di lavoro
(« Working Party ») dell’International Bar Association (« IBA »), incaricato di predisporre una regolamentazione relativa all’acquisizione dei mezzi di prova nell’arbitrato commerciale internazionale. L’obiettivo dell’IBA era quello di dotare le
parti e gli arbitri di uno strumento che permettesse loro di gestire il procedimento
arbitrale nel modo più efficiente ed economico con riguardo al delicato tema dei
mezzi di prova.
Avvalendosi della collaborazione dei maggiori esperti in materia di arbitrato
internazionale quali componenti del Working Party, Ughi ha profuso le Sue grandi
doti di giurista esperto anche dei sistemi di common law (è del 1953 il Master of
Laws all’Harvard Law School) per realizzare quello che, ancora oggi, è unanimemente riconosciuto come un utilissimo strumento di lavoro, le IBA Rules on the
Taking of Evidence in International Commercial Arbitration, adottate dal Consiglio
dell’IBA l’1 giugno 1999.
Largamente applicate per scelta delle parti nelle procedure di arbitrato commerciale internazionale come pure in quelle relative alla materia degli investimenti
nei rapporti tra Stati e privati, le IBA Rules devono il loro successo alla sapiente
combinazione di principi propri della civil law e di quelli della common law.
Nel corso della mia lunga esperienza nel campo dell’arbitrato internazionale e
negli incontri avuti con i più diversi cultori di questa materia ho avuto modo di
constatare di quanta considerazione fosse circondata la persona e l’opera di Giovanni Maria Ughi: la persona, per il suo tratto signorile e distaccato; l’opera, per
l’accuratezza delle sue analisi, cui dava alimento la lunga e profonda esperienza
professionale. [PIERO BERNARDINI]
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