L`illuminismo - i nostri tempi supplementari

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L'illuminismo fu un movimento culturale che si sviluppò soprattutto in Francia
a partire dall'inizio del XVIII secolo e si concluse con la Rivoluzione
Francese avvenuta nel 1789, con il conseguente crollo totale del modello
illuministico a favore della nascente corrente neo-romantica, che cambiò
drasticamente il modo di vivere che aveva contraddistinto il Settecento
francese.
Ci furono diverse cause che implicarono l'avvento dell'Illuminismo negli ideali
dell'epoca: la causa principale della nascita di questo movimento fu però una
ragione di livello sociale e legata indirettamente all'economia. Infatti in
quei tempi si era affermata nella società una nuova classe sociale, la
borghesia, la quale era composta da ricchi proprietari di industrie o aziende
che però si erano guadagnati il loro patrimonio con il lavoro e con il sacrificio.
Questa nuova classe sociale reclamava più spazio nel potere e quindi
nelle decisioni riguardanti la società e l'economia per esempio, essendo
loro il centro pulsante dell'economia dell'epoca; e fu proprio questo spirito di
cambiamento e ribellione verso la staticità delle classi sociali, con il
monopolio della politica da parte degli aristocratici e del clero, che
caratterizzò la nascita del movimento illuministico.
Questo periodo venne denominato 'Illuminismo' perché il suo obiettivo è di
illuminare la realtà e il mondo con il lume della ragione che aiuta
l'umanità nel progresso scientifico e culturale.
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Come abbiamo accennato l'età illuministica fu caratterizzata dall'uso costante e
onnipresente della ragione: l'ideale illuministica infatti era fondato sulla
ragione come unico strumento per conoscere e comprendere la realtà.
Questo uso della ragione è da applicare a tutti i settori della società per
crearne una migliore; uno dei punti forti dell'Illuminismo fu la rivendicazione
dell'uguaglianza nella società tra le diverse classi sociali e quindi tra tutti
gli uomini e il raggiungimento di una 'felicità' collettiva, che non può essere
che positiva per il progresso dell'umanità, che in fin dei conti è l'obiettivo
finale degli Illuministi.
Gli illuministi furono inoltre gli inventori di uno strumento di conoscenza e
compirono un capolavoro scientifico letterario senza precedenti: furono infatti
due di loro, Diderot e D'Alembert, a inventare l'enciclopedia, ovvero
l'insieme di tutti i saperi fino ad allora conosciuti, con un enorme lavoro che
diede l'inizio ad una tradizione che è continuata fino all'avvento
dell'enciclopedia moderna.
Quest'invenzione ebbe un'importanza fondamentale nel capire le idee
illuministiche: infatti l'enciclopedia esprime completamente la voglia
degli Illuministi di 'esportare' il sapere anche fra gente comune e non
solo fra l'aristocrazia, ribadendo i pilastri su cui si basava questo
movimento.
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L'Illuminismo e la politica
I teorici della politica e i riformatori dell'Illuminismo condivisero la convinzione
che anche le società umane sono governate da leggi analoghe alle leggi di
natura, e che la trama apparentemente discontinua dei fenomeni del "mondo
intelligente", come scrisse il pensatore francese Charles-Louis de
Montesquieu (18° secolo), può essere ricostruita alla luce dell'esperienza e
della ragione: "Posti i principi, ho visto i casi particolari piegarvisi
spontaneamente, le storie di tutte le nazioni esserne la conseguenza, e ogni
legge particolare collegarsi a un'altra legge più generale". Il suo Spirito delle
leggi (1748) anticipò l'analisi sociologica delle varie società, tenendo conto
delle "molte cose che governano gli uomini: il clima, le leggi, le massime del
governo, i costumi, le usanze, da cui si forma uno spirito generale che ne è il
risultato".
Oltre a Montesquieu, che guardava con ammirazione alla liberale Inghilterra,
l'Illuminismo si arricchì di altri due grandi pensatori politici: il filosofo svizzero
Jean-Jacques Rousseau e Kant, che utilizzarono le categorie della scuola del
diritto naturale. Secondo queste ultime, gli uomini erano usciti dallo stato di
natura (nel quale vivevano prima di entrare in società) attraverso un patto o
contratto sociale, con il quale avevano ceduto una parte più o meno grande dei
loro diritti naturali in cambio della sicurezza offerta dallo Stato. Rousseau negò
che, stipulando il patto sociale, gli uomini avessero mai ceduto a un sovrano
esterno la loro originaria libertà: a suo avviso, ogni individuo cedeva i propri
diritti alla comunità, che era l'unico sovrano legittimo, si esprimeva attraverso
la volontà generale (concepita come antitesi delle volontà particolari) e
comprendeva al suo interno tutti i cittadini, senza eccezione alcuna. Così
Rousseau fondava la moderna teoria della sovranità popolare (democrazia),
mentre Kant sarebbe rimasto nell'alveo del pensiero liberale (liberalismo),
diffidente verso tutte le forme di potere illimitato (incluse quelle popolari) e
teso a difendere in primo luogo le libertà individuali.
Il diritto di punire
Una delle parole d'ordine morali e sociali più diffuse tra i filosofi illuministi fu
l'imperativo di ottenere con le riforme "la maggiore felicità divisa nel maggior
numero". Da questa formula utilitaristica Cesare Beccaria prese le mosse nel
suo ragionamento sul diritto di punire. Chi ha affidato allo Stato il diritto di
dettare codici penali, ai magistrati il potere di pronunciare sentenze di
condanna contro i cittadini che trasgrediscono le leggi? Se ogni diritto e ogni
potere sono nati dal patto sociale, cioè dalla libera volontà degli individui che
l'hanno stipulato e che ne rispettano le clausole, chi le viola sarà giustamente
punito soltanto per assoluta necessità sociale, per la difesa del patto e delle
regole liberamente condivise. Ciascuno dei contraenti rinunziò alla "minima
porzione possibile della propria libertà, quella sola che basti a indurre gli altri a
difenderlo. L'aggregato di queste minime porzioni possibili forma il diritto di
punire; tutto il di più è abuso e non giustizia, è fatto, ma non già diritto". Le
punizioni debbono dunque tener conto dell'origine contrattualistica del diritto di
punire, stabilire una giusta proporzione tra il delitto commesso e la pena. Alla
luce di questi criteri la pena di morte è inammissibile; non è che il residuo
dell'arcaico istinto di vendetta codificato nelle società primitive, un errore
protetto dalla "venerata ruggine di molti secoli".
Voltaire e la tolleranza religiosa
Nell'età dei lumi erano recenti le ferite inferte alla coscienza europea dalle
guerre di religione. All'inizio del secolo la lotta contro il fanatismo settario e
l'ideale della tolleranza tra fedi e confessioni diverse trovarono i loro campioni
più efficaci nel filosofo inglese John Locke e nel pensatore francese Pierre
Bayle; furono poi al centro della propaganda degli autori della Encyclopédie
(enciclopedia) e di Voltaire. Quest'ultimo è la figura-chiave della philosophie
militante: divulgatore della sintesi newtoniana, drammaturgo, autore di
racconti filosofici, storico, fu anche instancabile autore di opuscoli e libelli
spesso anonimi sui temi della tolleranza e dei diritti umani. Intervenne a caldo
con memorabili campagne d'opinione, vendicando "il grido del sangue
innocente" a favore di vittime di abusi e di persecuzioni giudiziarie, e mise in
ridicolo con irresistibile verve gli arbitri giuridici e burocratici del governo
francese; fu inoltre in corrispondenza con capi di Stato europei ‒ da papa
Benedetto XIV a Federico di Prussia, da Caterina di Russia a numerosi principi
tedeschi ‒ ai quali raccomandò l'abolizione della pena di morte, le riforme
economiche e giudiziarie, la liberalizzazione del commercio dei grani, la
liberazione dei servi della gleba, l'eliminazione degli abusi fiscali. Voltaire fu un
ideologo moderato e uno dei massimi promotori del dispotismo illuminato; ma
se le riforme riguardanti tutti gli aspetti della vita sociale fossero state
realizzate attraverso gli interventi parziali che invocò, l'antico regime sarebbe
crollato senza traumi.
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