numero 41

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MONTEREALE VALCELLINA
PORDENONE
LO SCOPO DI QUESTO NOTIZIARIO
IN QUESTO NUMERO
 L’ Eclisse di Sole del 29 marzo 2006 vista sul mare ....................................pag. 1
 Per parlare un po’ di telescopio ....................................................................pag. 8
 L’ Osservatorio “Roberta”……… ................................................................pag. 11
Notiziario stampato in proprio e distribuito ai Soci
Comitato di redazione: Carrozzi Giampaolo – Bradaschia Filippo – Cauz Omar – De Giusti Luigi
L’ECLISSI DI SOLE DEL 29 MARZO 2006:
APPUNTI DI VIAGGIO
di Dino Abate e Andrea Berzuini
Quello che segue è un sommario resoconto, in forma di appunti di viaggio, dell’eclisse totale di Sole dello
scorso 29 marzo, che chi scrive ha seguito a bordo della M/n Costa Fortuna, nell’ambito di una crociera
espressamente organizzata per astrofili e appassionati che avevano intenzione di osservare il fenomeno,
pur con tutte le prevedibili limitazioni legate all’”instabilità del sito”.
Sabato 25 marzo: dopo le lunghe operazioni d’imbarco, finalmente la Costa Fortuna salpa dal porto di
Savona, facendo rotta verso sud.
Domenica 26 marzo: Giornata di navigazione. Ne approfittiamo per effettuare osservazioni solari, più che
altro per sperimentare l’influenza delle vibrazioni della nave e del moto ondoso sulla stabilità delle immagini. C’è un fitto scambio di impressioni, consigli tra i “croceristi-astrofili”
Intanto nel pomeriggio passiamo nei pressi di Stromboli e, ormai all’imbrunire, doppiamo lo Stretto di
Messina.
Lunedì 27 marzo: la mattina, conferenza di Corrado Lamberti e
Giovanni Dal Lago, sulle tecniche osservative dell’eclissi. Nella
prima foto a pagina seguente, il dott. Lamberti annuncia le coordinate geografiche del punto di probabile osservazione dell’eclissi.
Nel pomeriggio, scalo a Katakolon e visita al magnifico sito archeologico di Olimpia.
Dobbiamo constatare con rammarico che dalla nave le osservazioni
notturne sono praticamente impossibili, perché i ponti vengono illuminati a giorno, per comprensibili motivi di sicurezza.
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Martedì 28 marzo: scalo a Creta, visite a Iraklion e a Cnosso.
Verso sera, partenza verso est,
per il nostro rendez-vous con
l’eclissi nel Mediterraneo Orientale!
Mercoledì 29 Marzo: in navigazione, è il grande giorno!
(Andrea B.) La sveglia suona alle ore 7.00. Guardo dalla finestra della nave Costa Fortuna: mare calmo,
cielo sereno.
Di corsa all’ascensore che mi porta al ponte 12 a prua: come immaginavo nei punti giudicati strategici sono già posizionate le montature ed i cavalletti degli astrofili “duri e puri” che hanno preso posizione già
prima dell’alba. Alcuni dormono ancora tutti imbacuccati sulle brandine prendisole, a fianco dei loro
strumenti. Vista la situazione ridiscendo veloce a recuperare anch’io la mia attrezzatura costituita da un
cavalletto fotografico per il piccolo rifrattore Pronto TeleVue, ed un altro mini cavalletto su cui montare
una vecchia telecamera SONY analogica.
Ritorno sul ponte 12 e cerco un posto che mi permetta di osservare l’eclissi qualunque sia la posizione
della nave rispetto la linea della totalità. Resto sul ponte fino a ché mia moglie non verrà a darmi il cambio per andare a fare colazione.
Dino nel frattempo si è posizionato a poppa del ponte 12. Mia moglie non capisce perché ci siamo divisi,
si arrabbia e mi riprende: una eclissi è bella se vissuta in compagnia.
Ma ognuno ha già fatto i propri piani e le proprie considerazioni, circa la posizione della nave, i curiosi, il
fumo della ciminiera ed è giusto rispettare le posizioni reciproche.
A meno di un’ora dalla totalità, alcuni nubi diffondono il panico tra gli astrofili più pessimisti, ma il loro
passaggio si rivelerà veloce e in definitiva innocuo.
Il mio piano per seguire l’eclisse è il seguente:
1) riprendere con la telecamera le fasi dal primo contatto ed anche l’atmosfera che si respira tra i presenti.
2) Montare la telecamera sul cavalletto e lasciarla andare in automatico a riprendere la totalità, mentre
utilizzo il rifrattore per l’osservazione visuale.
Questo progetto si è concretizzato solo in parte, perché dopo il 2^ contatto, in piena totalità, l’emozione
ha preso il sopravvento.
Questa era la mia 4^ eclisse e non avevo mai visto una corona così intensa. Le altre volte mi ero concentrato ad osservare di più le protuberanze, ma questa volta la corona mi impressiona e sono tentato di fare
qualche foto, accostando l’obiettivo della camera digitale all’oculare del telescopio, dimenticando così di
far partire la telecamera. Peccato perché al di là delle immagini, senz’altro di bassa qualità, avrei comunque registrato le voci, le emozioni delle persone presenti.
3 min. e 55 sec. ( diciamo 4 min.) sono pochi, ma abbastanza per una eclisse totale.
Sembrava di vivere una situazione irreale, con questo Sole nero là in alto in un Cielo scuro , con Venere più in basso luminosissima e tutto l’orizzonte rossastro, né alba, né tramonto.
Quando la sirena della nave ha lanciato i suoi tre fischi di sirena ad annunciare la fine, ho visto che eravamo in molti con gli occhi lucidi per l’emozione.
Sono corso poi a poppa da Dino, anche lui felice; nonostante il fumo della ciminiera è riuscito a riprendere delle bellissime immagini che vedo in anteprima sullo schermo della sua reflex.
La tensione mi ha scaricato e non ho più molta voglia di vedere la fase finale dell’evento, come invece farà il mio occasionale vicino di “cavalletto” Marco Bastoni di Parma che ha avuto la costanza di seguire
tutta l’eclisse solo attraverso lo schermo del portatile collegato alla reflex al telescopio.
Ci siamo dati appuntamento per Shanghai 2009: saranno più di 5 minuti di emozione.
Di seguito il punto da cui abbiamo osservato l’eclissi:
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Le coordinate geografiche del punto d’osservazione:
long. E 29°03’
lat. N 35°04’
Solo
l’indomani apprenderemo da Corrado Lamberti che, a seguito di previsioni meteorologiche avverse, il
comandante aveva deciso poche ore dell’eclissi di modificare la rotta della nave, tenendosi più a nord rispetto alla posizione inizialmente prevista. La posizione era poi stata mantenuta presso la linea della totalità, facendo descrivere alla nave una curiosa traiettoria a “cappio”.
Segue una sequenza fotografica dell’eclissi, eseguita con digicam Canon 300 EOS D, al fuoco diretto di
un TeleVue 85, sensibilità impostata a 200 ISO, le fasi parziali con filtro solare Thousand Oaks in vetro. I
tempi di posa variano da 1/25” a 1/250” per le pose con interposto filtro solare, e da 1/25” a 1/4000” per
la fase di totalità (senza filtro).
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sequenza finale dell’eclissi
Torta di … ringraziamento!!
Foto di gruppo dei croceristi della rivista “le Stelle”…
e due soci dell’APA!
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PER PARLARE UN PO’ DI TELESCOPIO
- Giampaolo Carrozzi -
È forse il caso, ogni tanto, rinfrescarci un po’ le idee richiamando alcune nozioni elementari sullo strumento base che ogni astrofilo dovrebbe conoscere…a menadito: il telescopio!
Innumerevoli sono i testi che, ad ogni livello, forniscono tutto lo scibile sul telescopio, ma questi pochi
appunti si ripropongono esclusivamente do fornire un sintesi riepilogativa degli elementi di base che sono
comuni a qualsivoglia strumento: dal più modesto amatoriale al più sofisticato professionale.
Questi sono: il diametro e la lunghezza focale.
Il diametro (D) è quello dell’obiettivo dello strumento (lente o specchio che sia). Nel caso di uno strumento dotato di lastra correttrice divergente (p.e. gli Schmidt-Cassegrain), in cui lo specchio è un po’ più
grande della lastra, ciò che conta è il diametro della lastra. Con questo parametro viene stabilita anche la
superficie utile di raccolta della luce di ogni telescopio.
Si indica di norma in millimetri.
La lunghezza focale (F) detta anche distanza focale, o semplicemente focale (per focale di un telescopio
si intende sempre quella del suo obiettivo) è strettamente legata al diametro dell’obiettivo.
Con questo termine viene indicata la distanza tra l’obiettivo, e la superficie su cui si forma l’immagine di
ciò che l’obiettivo stesso “punta”. La superficie è detta piano focale anche se generalmente non è quasi
mai piana ma curva.
Una qualsiasi lente convergente (una comune lente
d’ingrandimento) o uno specchio concavo formano
sempre un’immagine di ciò verso cui sono puntati, o
meglio del soggetto che si trova lungo il loro asse
ottico. Questa immagine si forma a una distanza della lente (o specchio) che, per definizione, è la lunghezza focale. L’immagine - per come avviene il
cammino della luce - si forma rovesciata sia altobasso che destra-sinistra.
Per poter vedere con l’occhio questa immagine deve necessariamente cadere su uno schermo, p.e. su un
foglio. Ovviamente, una lente produce l’immagine dalla parte opposta di quella dove si trova il soggetto,
mentre uno specchio (che riflette indietro la luce) dalla stessa parte, e ciò ne rende l’osservazione col foglio di carta un po’ più difficile.
Anche la focale è di solito indicata in millimetri.
Gli obiettivi usati per i telescopi hanno tipicamente focali comprese tra i 500 e i 3000 mm.
Ricordiamo che in fotografia per le comuni pellicole 24 36 l’obiettivo “normale” è un 50 mm, per cui
già un 400 mm è un forte teleobiettivo.
Ed ecco perché i telescopi siano destinati a osservazioni molto di dettaglio (raccolgono molta più luce).
Il rapporto focale è un altro dato importante che definisce le «caratteristiche» di un telescopio ed si indica
normalmente come f, oppure ft. Esso definisce il rapporto tra la focale F e il diametro D di un dato strumento, espressi nelle stesse unità di misura:
f = F/D
Essendo questo un rapporto tra due misure omogenee, f è un numero puro, senza unità di misura.
Ad esempio per un riflettore 114/900 mm si avrà: f = 900/114 = 7,9.
Mentre un telescopio di 200 mm di diametro e 1200 mm di focale sarà un ft6.
Gli elementi F e D della terna D – F – f, essendo legati dalle relazioni prima viste, definiscono quindi
univocamente il terzo.
Indicare un telescopio come 200 mm f/6 oppure 200/1200 mm è solo questione di gusti, in quanto le due
scritture danno le stesse informazioni.
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L’ ingrandimento I con il quale si osserverà, si calcola conoscendo la focale del telescopio.
Per ricavare questo dato esistono diversi sistemi, ma il più semplice è dividere la lunghezza focale di un
telescopio, che è una caratteristica fissa dello strumento, per la lunghezza focale dell’oculare (Fo) che
viene usato. Anche questo dato è fisso ed è caratteristico ogni tipo di oculare (di norma chiaramente
stampigliata sul barilotto):
I = F/Fo
È evidente quindi che per variare l’ingrandimento sarà sufficiente cambiare l’oculare.
Ad esempio un «114 mm» con 900 mm di focale, fornirà con un oculare da 25 mm un ingrandimento pari a:
I = 900/25 = 36 (si legge “36 per”)
Mentre un 114/1000 mm, con lo stesso oculare, fornirà un ingrandimento:
I = 1000/25 = 40
Risulta quindi chiaro che quando si osserva in visuale non si dovrà parlare di «ingrandimento del telescopio» ma sempre di «ingrandimento fornito da quell’oculare con quel telescopio».
Anche l’ingrandimento è un numero puro, ma è tradizione far seguire il numero da una (per).
Altra caratteristica importante, e che limita di fatto gli ingrandimenti utilizzabili con un certo strumento, è
la pupilla d’uscita. Questo termine indica il diametro del fascio luminoso che esce dall’oculare, fascio
che, mentre si osserva, entra nell’occhio dell’osservatore (questo fascio è chiamato talvolta anche “cerchio oculare”). Per evidenziare la pupilla d’uscita è sufficiente puntare il telescopio verso il cielo, di giorno, inserire un oculare e guardarci dentro da circa mezzo metro di distanza. Il tondino luminoso che si vede nell’ oculare è la pupilla d’uscita.
Il suo diametro Dp è dato dal diametro del telescopio diviso per l’ingrandimento in uso:
Dp = D/i
Ad esempio, il 114/900 mm con l’oculare da 25 mm (36 ingrandimenti) avrà una pupilla (in millimetri)
di: Dp = 114/36 = 3,17
La pupilla d’uscita, essendo il rapporto tra una misura lineare (il diametro dell’obiettivo) e un numero puro (l’ingrandimento), risulta espressa nella stessa unità in cui si misura il diametro, in questo caso i millimetri.
Ovviamente, all’aumentare dell’ingrandimento la pupilla d’uscita si riduce, mentre si allarga a ingrandimenti più bassi. Per esempio, un telescopio di 200 mm con 1200 mm di focale con un oculare da 30 mm
fornirà:
I = 1200/30 = 40
ossia 40 ingrandimenti che portano la pupilla a:
Dp = 200/40 =5 mm
Nel variare l’ingrandimento e, di conseguenza, la pupilla d’uscita, bisogna tenere conto di un limite fisiologico. Anche nella notte più scura, con gli occhi perfettamente adattati al buio, la pupilla del nostro occhio non si dilata oltre i 7 mm circa. Questa «apertura massima» dell’occhio varia da persona a persona,
tra gli 8 e 5,5 mm, e tende a ridursi un poco con l’avanzare dell’età.
È ovvio che se la nostra pupilla è di 7 mm, usare un ingrandimento tanto basso da avere una pupilla
d’uscita del telescopio di 10 mm è inutile; infatti parte della luce raccolta dall’obiettivo del telescopio
“deborderebbe” dalla nostra pupilla e quindi andrebbe persa.
Poiché generalmente le osservazioni astronomiche riguardano oggetti molto deboli, è ovvio che sprecare
la luce è controproducente, sebbene i particolari dell’immagine non si riducano, né diminuisca il campo
inquadrato. Il calcolo di quale sia l’ingrandimento che ci porta ad avere una certa pupilla (e quale oculare
per ottenerla) si ricava facilmente dalle formule viste prima.
Desiderando una pupilla di 7 mm dal Newton 200/1200 mm, che oculare occorre?
Si definiscono gli ingrandimenti:
I = 200/7 = 28 ingrandimenti
valore, che di fatto è l’ingrandimento minimo utile di questo strumento, e che si potrà ricavare da un oculare di:
Do = 1200/28 = 42 mm
Con questo telescopio, quindi, un oculare da 56 mm fornisce un ingrandimento troppo basso.
Si può usarlo lo stesso, ovviamente, ma parte della luce andrà sprecata.
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Da ricordare inoltre che la pupilla dell’occhio raggiunge i 7 mm solo dopo un certo tempo passato al buio
e che durante il giorno oscilla intorno ai 4 mm, per ridursi a soli 2-3 mm in pieno Sole.
Quindi, se si osserva il panorama durante il giorno (in genere a basso ingrandimento) è facile arrivare “a
sprecare luce”, anche se ciò non implica nulla di negativo, in quanto di giorno i soggetti sono generalmente abbondantemente illuminati.
Vi è, ovviamente, anche un limite al massimo ingrandimento utile, limite che non è dettato dal ridursi della pupilla d’uscita quanto dal fatto che l’immagine incomincia a mostrarsi confusa sebbene più grande.
Tale limite dipende da diversi fattori, ma, come regola generale, vale circa 1,5-2 volte il diametro
dell’obiettivo espresso in millimetri; ossia 150-200 per un 100 mm, 180-230 per il 114 mm, e così via.
Ciò, come si calcola facilmente, porta a pupille d’uscita piccolissime, tra 0,7 e 0,5 mm.
Per sapere di quale campo si dispone durante l’osservazione bastano per altro queste semplici formule:
Cr = Ca/I
dove Cr è il campo (in gradi) che il telescopio copre in cielo (campo reale), I è al solito l’ingrandimento e
Ca è il campo apparente, che è una caratteristica fissa di ciascun oculare, in genere dichiarata dal costruttore.
Per farsi un’idea di cosa sia il campo apparente di un certo oculare, basta tenerlo puntato verso una parete
chiara e guardarci dentro. Non si vedrà nessuna immagine, ovviamente, ma un cerchio chiaro. Un oculare
con un grande campo apparente mostrerà “grande” questa zona illuminata, mentre con un oculare a piccolo campo sembrerà di guardare in un corto tubo di cui si vede la fine. Il campo apparente si misura in gradi, ed essendo l’ingrandimento un numero puro, anche il campo reale sarà in gradi.
Per esempio, se con un telescopio di 1200 mm di focale si osserva con un oculare da 26 mm con 520 gradi di campo apparente, che campo reale si ottiene? L’oculare fornisce:
I=1200/26=46x
perciò il campo inquadrato è di:
Cr=52/46= 10,13
Dato che un diametro lunare sottende, visto dalla Terra, circa 31’ o, in cifra tonda, mezzo grado, due Lune
piene affiancate occuperebbero quasi tutto il nostro campo visuale.
Gli oculari, a seconda dello schema ottico, forniscono da 250 a circa 900 di campo apparente. Ovviamente, a parità di oculare, un telescopio a focale corta è avvantaggiato nel mostrare ampie porzioni di cielo e
quindi è più adatto all’osservazione di oggetti estesi.
Strumenti che possano mostrare campi oltre 1°,5 – 2° vengono spesso detti RFT (Rich Field Telescopes,
telescopi “a campo ricco”), ma sono in genere strumenti di diametro modesto.
Le possibilità offerte dal poter disporre di un grande campo vengono spesso sottovalutate.
Per apprezzare un certo oggetto, infatti, è necessario che il campo telescopico abbracci almeno il doppio
delle dimensioni dell’oggetto stesso, proprio per farlo risaltare rispetto alle stelle di fondo. Caso limite, in
questo campo, sono la grande galassia in Andromeda (M31) o l’ammasso aperto delle Pleiadi (M45), che
spesso sono più belli in un binocolo, dove occupano un terzo o un quarto del campo, che in un potente telescopio, il quale mostra più stelle e più dettagli, ma costringe l’osservatore a muoverlo per vedere tutto
l’oggetto e non può offrire una vista d’insieme.
D’altro canto gli oggetti così estesi se ne possono contare ben pochi (una decina) mentre quasi tutti gli
oggetti di profondo cielo hanno dimensioni apparenti abbondantemente inferiori al mezzo grado: molti
misurano persino meno di 10 primi d’arco.
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OSSERVATORIO “ROBERTA”
di Salamon Franco
Ecco l'ultimo nato in casa "APA"!
Sono contento ed orgoglioso di presentare a tutti i soci, lo strumento
e il piccolo osservatorio, che, dopo sei mesi tra progettazione e costruzione, finalmente ho terminato.
Grazie all'infinita pazienza e dedizione mia e del mio caro amico
Franco Doretto, adesso potrò anch'io intraprendere la strada della fotografia astronomica.
Per quanto riguarda la meccanica dello strumento, mi sono ispirato
molto alla struttura solidissima del nostro telescopio dell’Osservatorio di Montereale; per l'ottica, invece, ho utilizzato uno
specchio da 254 mm F/6 della Zen.
Ho pensato poi di montare in parallelo al newton un rifrattore guida
da 80mm F/11 e successivamente ho alloggiato un piccolo newton diametro 114 mm F/4.4, montato al disotto del tubo principale.
Ovviamente, non poteva mancare un bel cercatore da 80 mm.
Riguardo al piccolo osservatorio non è stato molto difficile realizzarlo, in quanto ho avuto la possibilità di "tirare su" quattro muri e
il tetto apribile, proprio dietro l'officina.
1. L’esterno dell’osservatorio
Grazie alla generosità di Dino Abate, nel prestarmi una sua camera CCD
"casalinga", adesso mi aspettano solo le belle nottate per incominciare ad impratichirmi con questi delicatissimi strumenti di astrofotografia digitale.
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2. Il telescopio principale è un Newton
254 F6
Questo lungo lavoro di auto costruzione lo devo principalmente dedicare a queste due magnifiche persone, che con costanza e continue "iniezioni di fiducia”, mi stanno insegnando questo vastissimo ramo dell'astronomia. Ora che ho finito di realizzare questo strumento, sto mettendo insieme altri pezzi per costruirne un altro.... sicuramente con
diametro un po' più generoso. Si vedrà col tempo...
3. La consolle di controllo del telescopio
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