scheda 7 a - Museo delle Armi

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Scheda n°7
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Storia della produzione
Il ferro
Metallo di colore grigio argento, tenace duttile e malleabile, raro in natura allo stato libero, presente
in molti minerali e soprattutto nell’ematite, nella magnetite, limonite e siderite (foto) da cui viene
ricavato per molteplici ed importantissime utilizzazioni pratiche , soprattutto per leghe formate con
il carbonio ( acciai ) e per le ghise.
La produzione e la lavorazione del ferro costituiscono il campo di attività dell’industria siderurgica
Scheda n°7
NOTE GEOLOGICHE SULLA VALLE TROMPIA
L’Alta Valtrompia, nel tempo della sua formazione, fu interessata da mineralizzazioni metallifere
che sono state oggetto di attenzione sin dai tempi antichi. I terreni della valle appartengono alle ere
paleozoica e mesozoica e precisamente:
- al Permiano (piano del Verrucano) le arenarie
- al Trias inferiore i servini, i calcari e le carniole.
Tali rocce hanno origine sedimentaria e si sono prodotte per disfacimento e rideposizioni di rocce
primarie. Vi compaiono poi anche altre rocce, che sono di origine endogena ed intrusiva quali i
graniti, le porfiriti, le dioriti ed altre. In seno a tutte queste rocce si trovano minerali di vario tipo.
Il fronte mineralizzato più esteso e interessante è quello della SIDERITE (FeCO3 carbonato
ferroso) , ed in taluni banchi, specialmente vicino alla superficie, quello della LIMONITE
(idrossido di ferro 2Fe3O3 · 3H2O) e quello dell’ EMATITE o OLOGISTO (Fe2O3). Trovasi
anche a volte presente da sola o associata a solfuri di piombo o di zinco (Pb o Zn) la FLUORITE
(CaF2) o spatofluore, oltre alle ganghe baritiche ed I solfuri di ferro quali la CALCOPIRITE. I
minerali sideritici della Valtrompia sono, come le altre formazioni ferrifere delle Valli lombarde,
localizzati nella ben nota formazione del SERVINO ( parte bassa del Trias inferiore
WERFENIANO) ed hanno una potenza di circa 160 metri.
A tetto del Servino fanno seguito i Gessi e le Dolomie cariate (CARNIOLE) giallognoli e gessosi
appartenenti al Werfeniano superiore e quindi i calcari argillosi e le marne dello ANISICO. A letto
invece, si hanno le arenarie ( conglomerati del VERRUCANO).
Nel pacchetto dei Servini trovansi vari strati di minerale sideritico ( 10-12, dei quali solo i due o tre
centrali sono sufficientemente potenti da essere coltivati. La mineralizzazione è di origine
metasomatica ( per sostituzione). Il minerale trasportato (in sede marina) da soluzioni sature di
sostanze ferrose si è impregnato nei banchi di calcare, sostituendosi al Calcio e dando origine alla
formazione. I banchi che poi con la orogenesi alpina, sono giunti alla posizione attuale, sono stati
denominati ognuno con un nome locale che li distingue. Essi vengono infatti indicati come
CAGNOLO – CASSA MASTRA – CASSA SALESINA ecc. in Valtrompia, BASTARDO –
PARETE VERDE – FILONE –CANI - LIGNOLO in Val Camonica. Le loro potenze variano da
trenta centimetri a 2-3 metri, e solo questi ultimi vengono sfruttati.
Vi sono poi altri depositi di minerale che differiscono da quelli sopra descritti. Essi sono di natura
filoniana o di riempimento di faglie o spaccature preesistenti alla venuta degli agenti
mineralizzatori. Tali depositi sono quasi sempre con giacitura verticale o sub-verticale e
fisicamente si presentano diversi dai primi (struttura spatica), a grana grossa con elementi ben
visibili e meno compatti dei banchi di sostituzione.
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TECNICHE DI ESTRAZIONE
Il minerale ferroso, che forniva materiale grezzo da cui estrarre il ferro, si ricavava dalla
escavazione delle vene, i filoni di minerale presente nelle viscere delle montagne dell’alta Valle
Trompia. Nelle gallerie i minatori lavoravano con strumenti rudimentali e in condizioni di lavoro
disumane.
L’escavazione della vena avveniva da novembre ad aprile-maggio, quando il disgelo riempiva
cunicoli e gallerie rendendoli impraticabili. I minatori quindi rimanevano isolati dalla neve durante
tutto l’inverno. Lavoravano in coppia: il minatore specializzato nel lavoro di scavo era aiutato dalla
moglie o da un figlio che riempiva le gerle o le ceste che con l’aiuto dei figli minori o di garzoni
venivano trascinate o portate in superficie.
Le tecniche impiegate per lo sfruttamento dei filoni, fino all’ottocento, erano molto primitive come
del resto gli attrezzi usati. Dopo aver sfruttato i rari giacimenti affioranti, con scavi a cielo aperto,
si scavavano cunicoli di ridotte dimensioni. Per provocare crepe nella roccia si praticavano dei fori
in cui erano inseriti cunei di legno che, bagnati, si gonfiavano e fratturavano i blocchi di minerale.
Si usava anche il fuoco per rendere più agevole l’attacco, sebbene questa procedura ponesse il
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problema dell’areazione delle gallerie. I cunicoli erano a volte puntellati con travature, ma crolli,
frane e srenaggi spesso causavano incidenti mortali.
La vena estratta e portata all’aperto veniva frantumata a colpi di mazza e ridotta in piccoli pezzi. Il
minerale veniva quindi “arrostito” (bruciato con carbone di legna) nelle regane per eliminare la
prima serie di impurità, in particolare lo zolfo, e alleggerirne il peso. Veniva quindi lavato e lasciato
all’aria per un lungo periodo. Con l’aiuto di slitte trainate dai muli, carretti o a spalla nelle gerle, il
materiale veniva avviato versi i grandi forni dove avveniva la fusione. I minatori erano pagati in
base al peso di minerale pulito.
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