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Il tema di B@bel
B @bel
Giovanna Costanzo
‘La mistica e l’anima russa’.
Pavel A. Florenskij e lo sguardo mistico sul mondo
«Non è possibile il minimo dubbio riguardo a quanto è detto
giustamente della vita eterna nell’Apocalisse di Giovanni: “Non
vi sarà più notte; non hanno più bisogno né della luce della
lampada, né di quella del sole, perché il Signore Iddio splenderà
su di loro” (22, 5). Questo non si può intendere se non della luce
vera sensibile con la quale saranno illuminati gli occhi dei beati»
(P. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità)
Abstract:
In the scientist and atheist culture of the beginning of the XXth century, the Russian
philosopher and theologian Pavel Florenskij tries to keep in dialectical unity the speculative reason and the ‘faith’, that is penetrated by the wonder of the Principle from which
it originates life. In the Lavra, the Holy Trinity Abbey, St. Sergio and the cult with its famous icons, the place that is the heart of Russia and its spirituality, Pavel Florenskij spent
his life to dedicate to many interests, including the study of mysticism. The mysticism is
the core of Orthodox spirituality, because the contemplation of the icons and ritual permit the upward movement toward the Otherness, that it is never completely unspeakable
and never fully knowable, and a movement from high falls down, which informs the
creation processing an order of goods and relationships, after the revelation of ordo amoris. The mystical experience is what gives the lived faith the possibility of a metanoia,
a ‘transformation’ thanks to the revelation of that ‘heart cherubic’ that reborn every man.
Fulcrum of the ‘mystical of hearth’ is the transcendence of self and the emptying of any
selfish interest, so it is possible the acceptance the unifying principle of our inner life,
which is Christ. So this mystical experience promotes a life of authentic relationships, if
you lived in the infinite and unifying Love of the Christ.
Key-words: Orthodox mystical; Icon; Platonism; Symbolism
Editoriale
Il tema di B@bel
Spazio aperto
La percezione contemplativo-creativa del mondo e l’anima
russa
In quello scorcio di tempo fra la fine dell’’800 e il primo ventennio del ’900 la Russia degli zar conosce uno dei
Ventaglio delle donne
Filosofia e...
Immagini e Filosofia
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Ai margini del giorno
Libri ed eventi
Il tema di Babel
periodi più ricchi e floridi della sua produzione culturale e scientifica, tale
da essere menzionato come il ‘Rinascimento russo’, prima che l’avvento della rivoluzione bolscevica costringesse molti dei suoi intellettuali a
fuggire, impauriti da quel sistema politico che si sarebbe rivelato come
una fra le più terribili forme di totalitarismo in Europa, con i Gulag e
le sistematiche violenze e oppressioni nei confronti della popolazione.
Gli anni che precedono la rivoluzione del 1917, con le sue avanguardie artistiche e letterarie, sono quelli in cui gli intellettuali guardano all’Occidente europeo come il luogo in cui domina il positivismo e
il credo ottimistico nella ragione, insieme alle inquietudini irrazionalistiche, e che avevano trovato ad esempio in Nietzsche il precursore, e
in esse si abbeverano. Inoltre tra questi intellettuali vi sono anche coloro
che avvertono come una missione il dover preservare l’unicità di quella
cultura slava, che nata al crocevia fra Oriente e Occidente trova nel credo ortodosso il cuore nevralgico della sua particolarità1. In quest’ultimo
schieramento si muovono pensatori come Sestov, Rozanov, Berdiaev,
Bulkalkv, Solov’ëv, Ern, lo slavismo degli anni ’40, che animano una
critica serrata alla tradizione filosofica di origine occidentale, il pensiero
idealistico e trascendentale, che rivolta alla conoscenza del mondo dei
fenomeni ha finito per trascurare ciò che si cela al di là del visibile. Alla
luce della loro riflessione critica diventa, infatti, inconcepibile la distinzione fra noumeno e fenomeno, come la radicalizzazione del rapporto fra
ragione e fede.
Si anima così un dibattito in cui la difesa del cristianesimo e della
religiosità russa assume spesso negli animi più sensibili toni ‘tragici’ 2,
se non apocalittici in chi crede che spetti al popolo russo condurre i
«popoli alla fine del regno» 3, quando si avverte che il rischio sotteso
al nichilismo ateo è recidere le stesse radici dell’umanità, se è vero che
questa come la ‘cultura’ umanista trova nel ‘culto’ la sua centralità e
1
Cfr. G. Marinelli, La Russia e il destino dell’Occidente, Prefazione di S. Quinzio, Edizione Studium, Roma 1994. Cfr. N. Berdjaev et al., La svolta. Vechi. L’intellingencija
russa tra il 1905 e il 1917, trad. it. di U. Floridi, Jaka Book, Milano 1970.
2 N. Berdjaev, La concezione di Dostoevskij, Einaudi, Torino 1977.
3
S. Quinzio, Prefazione a Marinelli, La Russia e il destino dell’Occidente, cit., p. XII. Cfr.:
G. Giuliano, Tra Comunione dei simboli e Apocalisse, in P.A. Florenskij, A. Belyj, L’arte,
il simbolo e Dio. Lettere sullo spirito russo, trad. it. di G. Giuliano, Medusa, Milano 2004.
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Il tema di Babel
bellezza: «la fede determina il culto e il culto la concezione del mondo,
dalla quale poi deriva la cultura» 4.
«Se la Russia è chiamata a dire la sua parola al mondo, questa parola non risuonerà dalle brillanti regioni dell’arte e delle lettere,
né dalle superbe altezze della filosofia e delle scienze, ma dalle
cime umili e sublimi della religione» 5.
Fra gli intellettuali che più sono sensibili a questo complesso magma culturale vi è sicuramente, Pavel Aleksandrovič Florenskij, che già
nella poliedricità dei suoi studi – è stato filosofo della scienza, fisico,
matematico, ingegnere elettrotecnico, epistemologo, ma anche un filosofo e un teologo, un teorico dell’arte e di filosofia del linguaggio, uno
studioso di estetica e di semiotica e di simbologia –, rivela immediatamente il sofferto tentativo di tenere insieme scienza e fede, come ha
riconosciuto lo stesso Giovanni Paolo II nella Fides et ratio6. Il filosofo
e il teologo impegna, infatti, la sua intera esistenza a difendere l’autenticità di un credo che trova la sua essenza nella contemplazione mistica
e nella tensione ascetica verso il raggiungimento della piena umanità,
contro a ogni ateistica e anticristiana affermazione:
«Tra l’auto-divinizzazione e la fede in Dio non c’è una terza via:
la cultura dell’uomo senza Dio è un idolo di se stessa, e questo
non in forza dei peccati personali, ma per una coerenza interiore
… L’uomo voleva modellare una visione naturalistica del mondo
e ha annientato se stesso come uomo […] non c’è più la natura né
l’uomo, rimane soltanto la nuda autoaffermazione» 7.
Sono, in particolare, i suoi studi sulla religiosità popolare e sullo spirito
4
P.A. Florenskij, Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, a cura di N.
Valentini e A. Gorelov, trad. it. di C. Zonghetti, Bollati Boringhieri, Torino 2007, pp. 6-7.
5
V. Solov’ëv, La Russia e la Chiesa universale e altri scritti, a cura di A. dell’Asta,
La Casa di Matriona, Milano 1989, p. 74.
6
Fides et ratio, § 74.
7
P.A. Florenskij, Kul’turno-istoričeskoe mesto i predposylki christianskogo miroponimanija [Il ruolo e i presupposti storico-culturali della concezione cristiana del
mondo], lezioni svolte all’Accademia teologica moscovita nel 1921, ora in SČT, III/2
(Opere in quattro volumi), pp. 452-453. Nota 46 in N. Valentini, Sull’orlo del visibile
pensare. P. Florenskij e la mistica russa, in P.A. Florenskij, La mistica e l’anima
russa, Edizioni San Paolo, Milano 2006, p. 23.
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del cristianesimo a rivelare i caratteri di una ‘originarietà’ nell’‘anima
popolare russa’, che necessita di essere preservata da ogni forma culturale omologante e da ogni tensione intellettualizzante volta a negarla,
perché etichettata come forma di una religiosità primitiva e quasi magica. Difendere il cuore dell’‘anima russa’, significa difendere, come scrive Vasilij Rozanov, non una maniera di vivere, né il ‘genio, la poesia, la
prosa, la filosofia di un popolo’, bensì «un elemento più semplice, e forse più complesso, quello per cui il russo non fa che guardare all’eternità: basta dargli l’eternità ed è contento» 8. In queste tensioni si può così
cogliere il clima di quegli anni, in cui si cominciano già ad avvertire le
persecuzioni e le sopraffazioni che il regime comunista avrebbe perpetrato alla Chiesa ortodossa, così come al cuore di una cultura cristiana
e, come del resto, la stessa parabola esistenziale di Pavel Florenskij ne
è prova, quando decide di restare invece dell’esilio.
Questi, affermatosi come figura di brillante matematico presso l’università di Mosca, come allievo di Nikolaj Bugaev, rivelando negli
studi una accentuata impronta positivistica e naturalistica, tuttavia, ben
presto, avvertendo come prossimo alla crisi il dogmatismo scientista e
come causa di traumi e fratture nella civiltà occidentale, muta l’indirizzo dei suoi interessi, affinando i suoi studi filosofici e teologici presso il
monastero di San Sergio a Sergiev Posada. In contrasto con l’atteggiamento dominante ‘dell’intelligencija’ russa, fortemente anti-ecclesiale
e anti-religiosa, matura quel crescente interesse «per la cultura religiosa
e che si concretizza nella scelta definitiva della esperienza ecclesiale» 9.
Da quel momento in opposizione alle visioni soggettiviste e spiritualiste di rottura con la Chiesa storica, decide di diventarne un araldo
difensore, come quell’abito talare che non ha mai smesso di indossare
sebbene lo rendesse inviso alle autorità politiche. Più volte è stato solito
affermare: «o la Chiesa è una completa assurdità oppure deve nascere da
un germe santo. Io l’ho trovato e lo farò crescere, lo porterò fino ai santi
8
V. Rozanov, Note di viaggio, l’Argonauta, Latina 1997, pp. 43-45; Cfr.: N. Berdjaev,
L’idea russa, trad it. di C. De Lotto, Mursia, Milano 1992.
9
N. Valentini, Educare al Mistero della vita, introduzione a P.A. Florenskij, L’arte
di educare, Editrice la Scuola, Brescia 2015.
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misteri e non lo getterò in pasto ai socialisti di tutti i colori e le sfumature»10.
La decisione di abbandonare gli studi matematici, in realtà, non nasce come una rottura, bensì come un crescente inveramento delle sue
convinzioni di fondo. Del resto gli studi sulla ‘discontinuità’ di Bugaev
e sui numeri ‘transfiniti’ di Cantor gli avevano suggerito la percezione
di una realtà in ‘movimento continuo’, in cui le irregolarità e il disordine sono non un punto di arresto, ma la spinta teoretica volta a spostare
l’attenzione verso un punto di vista sempre diverso: in queste ‘crepe’ in
cui trova il difforme e al discontinuo si insinuano elementi da indagare
con gli strumenti forniti da una ragione non solo matematica 11. Oltre il
fitto muro della scienza e della natura, Florenskij intravede così quel
«richiamo alla Eternità che si faceva strada e cercava largo fra le crepe e i varchi dell’edificio del razionalismo scientifico» 12, muovendo la
ricerca verso il fondamento ultimo del mondo. L’attenzione verso la matematica, mai abbandonata, diviene la base essenziale della comprensione
del mondo, poiché essa «approfondisce, genera la visione del mondo»13,
consentendo di indagare con gli strumenti logici ed epistemologici da essa
offerti il nesso fra ciò che si percepisce con i sensi e ciò che ne resta celato.
A questi interessi, si aggiunge lo studio di Platone e della filosofia
antica che gli permettono di cercare un rapporto più intenso con la realtà viva, quando lo sguardo volto al mondo invisibile si volge all’interiorità delle cose e all’invisibile che si rivela nella bellezza del volto della
natura. Bellezza intesa platonicamente come il bene da contemplare e
da ammirare, quando è rivelativo di quell’ordo amoris, di quella legge invisibile che regola e sostiene il visibile e che incita il pensiero a
soggiornare in quella zona di ‘confine’ fra visibile e invisibile, in quel
luogo in cui il «tessuto concreto della vita si lacera», per far emergere
una autentica «spiritualità dell’essere» 14.
10
Id., L’arte, il simbolo e Dio, a cura di G. Giuliano, Medusa, Milano 2004, p. 65.
Cfr. N. Valentini, Forme della ragione. Dialettica, antinomia e nuovi modelli di
razionalità, in «Humanitas», n. 4, Morcelliana, Brescia 2003, pp. 574-597.
12
P.A. Florenskij, Ai miei figli. Memorie di giorni passati, Mondadori, Milano 2003,
p. 249.
13 Ivi.
14
Ivi; cfr. L. Giuliodori, Abitare il luogo del confine. Saggi su Pavel Florenskij, edizione
Kindle, 2007.
11
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Il tema di Babel
«In definitiva ci sono due esperienze del mondo: l’esperienza
umana in senso lato e l’esperienza scientifica, cioè kantiana, come
ci sono due tipi di rapporto con la vita: quella interiore e quella
esteriore, come ci sono due tipi di cultura: contemplativo-creativa
e rapace meccanica» 15.
Se vi sono due diverse esperienze del mondo, quella umana e quella
scientifica, come due tipi di cultura, quella contemplativo-creativa e
quella rapace-meccanica, questo significa che vi è da una parte una tensione contemplativa volta a meravigliarsi di fronte al mistero della sua
vita, dall’altro quella meccanica che ricerca una spiegazione causale e
deterministica dei fatti. Al di là della frantumazione del reale, fra fenomeno e noumeno di cui Kant è il rappresentante più illustre e da cui prende
avvio l’immanentismo della ragione e la soggettivizzazione del sapere,
occorre cercare una istanza superiore: quella che ‘tenere unito’ il sapere
in una ‘Weltanschauung integrale’, tra desiderio infinito di conoscere e
l’umile accoglimento del ‘mistero’ in cui nasciamo16.
All’idealismo trascendentale kantiano occorre contrappone un ‘realismo’ o ‘idealismo concreto’, come ciò che consente di recuperare un
legame vivo e vitale con il reale. In tale realismo ontologico tutto è connesso: l’uno e i molti, il visibile e l’invisibile, infatti se si scinde l’uno
dal molteplice si scinde ogni possibilità di una conoscenza autentica.
Rovesciando la prospettiva kantiana è possibile recuperare le risorse
andate perdute del mondo antico alla luce di una ‘conoscenza integrale’
che vede nel fenomeno la ‘porta regale’, il luogo di confine, in cui si incarna il noumeno: il reale va dunque decifrato attraverso ‘simboli reali
e vivi’ piuttosto che attraverso concetti astratti. Certo ‘l’idealismo concreto’ nel pensatore russo non è solo la riabilitazione della filosofia antica
contro quella moderna, quanto la sofferta esigenza di una chiarificazione
del reale nei suoi presupposti empirici e metafisici, la ricerca di una
verità che non può essere totalmente svelata e chiarita, specie se questa
alla maniera di Kierkegaard è intesa come «una verità per me» 17, una
15
P.A. Florenskij, La prospettiva rovesciata e altri scritti, trad. it. di C. Muschio e N.
Misler, Gangemi, Roma 1983, p. 92.
16
G. Lingua, L’illusione dell’Occidente. Pavel Florenskij e i fondamenti della filosofia
russa, Zamorani, Torino 1999.
17
S. Kierkegaard, Briciole filosofiche, Queriniana, Brescia 1987.
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verità non oggettiva né soggettiva, quando la vita vissuta accoglie il
mistero della fede e della incarnazione: «la conoscenza è tale solo nel
momento in cui può pretendere un significato che va oltre i limiti del
dato momento e del dato luogo e cioè quando questo momento unico è
rivolto verso un’altra esistenza» 18.
Consapevole della inconciliabile ostilità tra i due modelli gnoseologici,
fra quello kantiano e quello dell’idealismo concreto, Florenskij dedicherà
tutta la sua vita a contrapporre ad una visione meccanica del reale e scientifico-kantiana, una ‘contemplativa goethiana’, ovvero una contemplazione pensante generata da una percezione dell’intera realtà che fa della
interiorità la matrice gnoseologica necessaria al recupero della profondità del reale, a cui il soggetto si rapporta non in senso esteriore, ma
simbolico-contemplativo. Questo rapporto simbolico con il reale nasce
anch’esso in una temperie culturale molto ricca, in cui il simbolismo
russo a differenza di quello francese non è solo una espressione poetica,
ma una delle forme culturali più importanti della sua rinascita, che diede
vita ad una vera e propria Weltanschaung filosofica 19. Il simbolo per i
russi è il luogo della verità, lo spazio in cui il visibile si manifesta e che in
Florenskij anima la ricerca dei luoghi in cui l’unione fra visibile e invisibile si manifesti, come ad esempio nelle icone, che diventano «rivelazione e manifestazione del mistero della incarnazione» 20. Solo il simbolo e,
in particolare il simbolo sacro, è il luogo in cui la carne del simbolizzante
coglie la verità del simbolizzato in una bi-unità di visibile e invisibile.
È grazie al simbolo che si riesce a garantire e persino ad aumentare il
valore ontologico delle forme in cui il visibile si manifesta. Palesemente
influenzato dalla matematica di Bugaev e dalla visione pan-unitaria di
V.S. Solov’ëv, il pensiero del russo lavorando su una nuova gnoseologia
incentrata sul simbolismo ontologico, si rapporta al reale mediante una
«contemplazione-comprensione quadrimensionale che lascia trasparire
la profondità e l’unità del senso» 21. Se platonicamente l’idea si incarna,
18
P.A. Florenskij, Il significato dell’idealismo, a cura di N. Valentini, Rusconi, Milano
999, p. 45.
19
Cfr. E.V. Ivanova, Pavel Florenskij i smvolisti, ISK, Moskva 1994.
20
P.A. Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona, a cura di E. Zolla, Adelphi,
Milano 1977.
21
Lingua, L’illusione dell’Occidente, cit., p. 14.
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il simbolismo consente una maggiore concretezza alla sua filosofia. In tal
senso il simbolo non va inteso in senso psicologico-allusivo, ma in senso
ontologico-realistico, poiché esso è il ‘non luogo’ della verità, è ‘l’invisibilità’ che accade. Se in Platone la verità si contempla solo alla luce del
sole, dopo essere usciti dalla oscura fisicità della caverna, in Florenskij
non esiste un vero e proprio cammino, perché non esiste un tutto ulteriore
e trascendente, ma un simbolo che indica l’ulteriorità e nello stesso tempo la incarna, divenendo ciò che simbolizza. Tale concezione simbolica
risolve così la questione del noumeno, dell’invisibile nel visibile, il quale
sotto forma di simbolo trova la sua decisa incarnazione nei fenomeni in
un legame al tempo stesso sia logico che ontologico. In questa metafisica
in cui ‘tutto è significato incarnato e visibilità intellegibile’, la funzionalità del simbolo, più che su basi gnoseologiche, tende a presentarsi su
basi ermeneutiche, poiché il senso eccede sempre il simbolo stesso e si
mescola con la vita stessa del fenomeno 22. Possono così operare in questo
tipo di conoscenza sia la ragione del filosofo razionalista, sia la fede del
credente che tende a scavalcare qualsiasi barriera del mondo visibile.
In tale prospettiva è possibile cercare quella unità del sapere, a cui
il filosofo dedica l’intera sua esistenza senza mai risparmiarsi, specie
negli anni successivi alla rivoluzione russa del 1917 e all’irrigidirsi del
sistema comunista e alla sua reclusione nelle isole Solovkj 23. Questa
tensione all’unità nasce, infatti, dalla necessità di far dialogare la ragione speculativa che si inoltra dentro le maglie di ogni corpuscolo di
materia e le inquietudini di una ‘fede’ aperta su quella domanda metafisica che la pervade, ‘unde vitam?’, ma che poggia sulla convinzione
che esista un unico principio da cui deriva tutto.
22
Cfr. P. Ricœur, Il simbolo dà a pensare, Morcelliana, Brescia 1959; L. Žák, Il simbolo come via teologica. Spunti di riflessione sul simbolismo di P.A. Florenskij, in
«Humanitas», cit., pp. 598-614.
23
Cfr. P.A. Florenskij, “Non dimenticatemi”. Dal gulag staliniano le lettere alla moglie e ai figli del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, a cura di N. Valentini
e L. Žák, trad. it di G. Guaita e L. Charitonov, Mondadori, Milano 2000. Alle Solovkj
venivano spediti prigionieri di diverse categorie, ma soprattutto credenti, e in particolare vescovi, preti, monaci, religiosi. Cfr. L’autunno della Santa Russia, Atti del
VI Convegno Ecumenico Internazionale di Bose, a cura di A. Mainardi, Qiqaion,
Magnano 1999; J. Brodskji, Solovkj le isole del martirio. Da monastero a primo lager sovietico, La Casa di Matriona, Milano 1998; L’altro Novecento: la Russia nella
storia del ventesimo secolo, a cura di A. Dell’Asta, La Casa di Matriona, Milano 1999.
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Il tema di Babel
Secondo Florenskij, ma anche molti pensatori russi che si avvicendano
in quello scorcio di secolo, la risposta pervade già quella ‘anima russa’,
che abituata a contemplare la meraviglia della natura dentro la fissità della
steppa e con naturalezza ne accetta il mistero e l’enigma, non fa fatica a
contemplare il mondo e trovare in esso i segni dell’Eterno, come quando
partecipa ai riti o alla preghiera silenziosa di fronte alle icone, patrimonio
della spiritualità russa, come quelle presenti nella Lavra di San Sergio, che
è il suo più importante e significativo monastero24. Qui si trova l’avamposto
della bellezza di una tradizione incontaminata, anzi il cuore della Russia e
della sua spiritualità, che ruota intorno a quel fondatore, San Sergio, figura
di grande santità e carisma, riconosciuto per l’esemplarità di una vita cristiana umile e dedita alla preghiera, ma anche per la forza con cui ha difeso
l’unità della Chiesa russa da attacchi esterni e interni 25. Ed è questo il luogo
in cui Padre Pavel vive la maggior parte della sua vita (1903-1933) e dove
trascorre anni dedicati interamente agli studi di storia della filosofia, di biblistica, di teologia fondamentale, di mistica, logica simbolica, di lingua
ebraica. È da questo luogo, infine, che promuove una incessante opera di
perorazione della causa del monastero, nonché di salvaguardia delle preziose reliquie dai saccheggi e sciacallaggi perpetrati dalle milizie26. Gesti
che ne contrassegnano la vita dell’intellettuale e il coraggio del credente
fino alla sua fucilazione nel 1937, a soli 55 anni nei pressi di Leningrado,
accusato di essere un criminale e di cospirare contro il governo27.
Meraviglia e stupore nell’esperienza mistica
In questi anni di studio e di ricerca, Pavel Florenskij si interessa alla
mistica, mostrando interesse anche per una sua particolare espressione,
24
Florenskij, La mistica e l’anima russa, cit.; Cfr. T. Špidlik, I grandi mistici russi,
Città Nuova, Roma 1977.
25
G.P. Fedotov, I santi nell’antica Russia, a cura di M.P. Pagani, Aquilegia ed., Milano 2000; N. Arsieniev, V. Losskij, Padri nello Spirito. La paternità spirituale in
Russia nei secoli XVIII e XIX, Qiqaion, Comunità di Bose, Magnano 1997.
26
N. Valentini, Sull’orlo del visibile pensare. P. A. Florenskij e la mistica russa, in
Florenskij, La mistica e l’anima russa, cit. pp. 5-54.
27
V. Šentalinskij, I manoscritti non bruciano. Gli archivi letterari del KGB, Garzanti,
Milano 1994.
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la mistica dell’infanzia. Questa attenzione non nasce solo dal suo animo
sensibile e particolarmente dotato di una spiccata sensibilità pedagogica, ma anche dalla attenzione al mondo della infanzia come il mondo
della meraviglia e dello stupore 28. Per riuscire a cogliere le strutture ontologiche del reale bisogna esercitarsi alla meraviglia e allo stupore, esercitarsi alla conoscenza mistica e ontologica del mondo che ricerca l’unità
sostanziale delle cose, proprio come fanno i bambini:
«la percezione infantile supera la frammentazione del mondo dal
di dentro. È dal di dentro che si afferma l’unità sostanziale del
mondo, dovuta non al tale o al tal altro segno generico, ma percepibile senza mediazione quando l’anima si fonde con i fenomeni
percepiti. Questa è la percezione mistica del mondo» 29.
La percezione mistica del mondo è, in realtà, una esperienza «universalmente umana», poiché se è vero che è una attitudine propria dei bambini, tuttavia lo sarebbe anche degli adulti se non perdessero, crescendo,
quello sguardo estetico-spirituale sul mondo che li aveva accompagnati
nella loro infanzia, la capacità di penetrare nel profondo delle cose e avere allo stesso tempo la capacità creativa con cui cogliere una ‘prospettiva
rovesciata sul mondo’. Pur cogliendo la differenza e la frammentarietà
del reale, i bambini e gli adulti che conservano lo stesso sguardo sul mondo, riescono attraverso una visione ontologica e simbolica a superarne la
dicotomia e riescono a cogliere oltre le apparenze e la superficie, il filo
sottile dell’invisibile trama della vita e della sua infinita creazione.
Il possedere questo sguardo consente di maturare una ‘visione sapienziale della esistenza’, quella che al di là della apparenza e della
superfice si rivolge alle piccole cose della vita quotidiane, per cogliere
in esse la gratuità e il dono della vita. E solo dalla percezione viva di
tale mistero scaturisce il vero ordinamento dell’anima, tesa all’accoglimento umile e amoroso del Principio da cui scaturisce ogni cosa 30. Per
28
P.A. Florenskij, Stupore e dialettica, Quodlibet, Macerata 2013.. Cfr.: A. Maccioni,
Filosofia della meraviglia. Lo stupore della visione e la concezione del mondo di Pavel
Florenskij, in P.A. Florenskij, La concezione cristiana del mondo, Pendragon, Bologna
2011, pp. 7-33.
29
Id., Ai miei figli. Memorie di giorni passati, cit., p. 127; cfr. L. Žák, La verità come
ethos. La teodicea trinitaria di P. A. Florenskij, Città Nuova, Roma 1998.
30
Florenskij, “Non dimenticatemi”, cit., p. 400.
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esprimere questa consapevolezza Dostoevskij fa dire allo starec Zosima:
«tutto è mistero» 31, sia la natura piena di fiori, il cielo terso, come le
lacrime e il pianto. Espressione di quella fede vissuta che contempla
la natura e ciò che ci circonda per scorgervi lo stesso mistero della Incarnazione, ovvero quello di un Dio che per salvare l’uomo si è fatto
umile, come il più umile degli uomini e ha assunto la sofferenza della
croce come il più grande tra i peccatori.
«Se il chicco di grano caduto sulla terra non morrà, resterà solo; ma
se morrà darà molti frutti» (Gv 12, 24), se è vero che la fede per essere
tale deve dolorosamente passare attraverso il mistero della morte e della
sofferenza come via di accesso al Padre, secondo quanto da Lui stesso
rivelato: «Io sono la via, la verità, la vita. Nessuno viene al padre se non
attraverso di me» (Gv 14, 16). Mistero di una fede che nell’incontro con
il mistero non ricerca una contemplazione che la allontani ‘dal’ mondo,
ma che invece trova ‘nel’ mondo la cifra dell’accadere divino.
Del resto è la struttura stessa che anima la liturgia e il culto, articolandosi nel movimento dell’ascolto della parola, del canto del coro,
dell’innologia, che consente di rendere visibile il graduale processo di
‘deificazione’ della presenza divina nel fedele, di individuare il necessario cammino ascetico di perfezione verso la divino-umanità, in cui
ogni elemento è parte di quel tutto che si dona nella bellezza della celebrazione liturgica. Cuore della spiritualità ortodossa – e Florenskij tenta
di riflettere su una identità unitaria della ortodossia32 – è quella luminosa
contemplazione e adorazione durante i riti e la preghiera in cui la professione di fede passa «dall’umile preghiera fino alla dossologia dell’amore
divino alla rivelazione della sua intrinseca bellezza (filocalia)» 33. Il culto
liturgico, così come lo rappresenta e lo spiega il padre ortodosso Pavel
Florenskij, grazie all’essenza simbolica delle sue forme, può diventare
esperienza viva di una relazione con la realtà concreta dell’Incarnazione e
della Trascendenza. Il culto è il misterioso evento dell’incontro fra Cielo
31
F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Mondadori, Milano 2010: «ogni filo d’erba,
ogni scarabeo, la formica…sono testimonianza del mistero divino, il quale si esplica
davanti a loro continuamente» (p. 409).
32
P.A. Florenskij, Bellezza e Liturgia, a cura di N. Valentini, trad. it. C. Zonghetti
Oscar Mondadori, Milano 2010.
33
N. Valentini, Introduzione a P. A. Florenskij, Bellezza e Liturgia, cit., p. XII.
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Il tema di Babel
e Terra che conferisce all’azione dell’uomo e alle sue opere la capacità
di potersi innalzare dalla mera contingenza al significato più profondo
e originario della realtà: «la struttura del culto è la vera struttura della
creazione e nel culto la creazione non trova norme ad essere esteriori,
bensì il proprio fondamento interiore, ma purificato da ogni elemento
causale» 34. La bellezza visibile del culto liturgico con i suoi canti e la
sua struttura redime la bruta serialità del mondo che ci circonda, quando la accoglie per redimerla e per innalzarla a una Trascendenza che si
incontra e si offre nella cena eucaristica. Di fronte a questa economia
liturgica, permeata dall’intensa tensione ascetica per congiungersi a Dio e
in cui ogni elemento è parte di un tutto e quel tutto dona bellezza e armonia, Padre Pavel ritrova le ragioni per combattere il crescente diffondersi
di forme di misticismo e di teosofia, di occultismo e di essoterismo così
diffuse nel suo tempo, come quelle del circolo di intellettuali che trovano
«nella figura di Elena Blavatskajav una sorta di madre protettrice racchiusa nella sua aura di mistero e contorniata dai suoi adepti» 35, fra cui l’amico e poeta simbolista Belyj, figlio di Bugaev, da cui poi dolorosamente si
allontana per le sue idee lontane dalla Chiesa ortodossa.
In questi movimenti spiritualisti, il pensatore russo vede la negazione della concezione cristiana del mondo, un «progressivo cedimento
da una eresia a un’altra, sia in senso morale fino a giungere al culto
dell’anticristo» 36, poiché in essi si cela superstizione, magia, occultismo
al punto da disorientare l’interiorità e impedire un incontro vero e reale
con il Cristo della Croce. Il rischio è dunque, di dissolvere le forme originarie della spiritualità cristiana e di rinnegare quella cultura umanistica
che ha nella rivelazione il sui evento fondatore. Nelle concezioni teosofiche e antropomorfiche, come quelle attraversate dallo spiritismo, il
mistero divino diventa, infatti, solo una forza impersonale e irreale, così
come l’uomo viene privato del suo riferimento a Cristo.
Per far sì che la spiritualità cristiana non venga intaccata da queste
34
Id., La filosofia del culto, a cura di N. Valentini, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013,
p. 25.
35 Valentini, Sull’orlo del visibile pensare. P. Florenskij e la mistica russa, cit., p. 10.
36
P.A. Florenskij, Lo spiritismo come anticristianesimo, in Id., La mistica e l’anima
russa, cit., pp. 189-214.
180
Il tema di Babel
forme storiche e anticristiane per Pavel è necessario il ritorno alla
esperienza vissuta dai Padri della Chiesa e alla tradizione cristiana, alla
mistica, come a quelle forme di religiosità popolare, scevre da ogni
astrazione intellettuale e capaci di cogliere il legame immediato fra
la terra e l’ordine simbolico del reale, fra il credente e il suo legame
a Cristo. Negli studi, infatti, che il Nostro dedica a questa forma di
spiritualità popolare, scopre che
«il simbolo non ha a che fare con l’invenzione soggettiva, ma è
il frutto di un particolare ordine spirituale in grado di accogliere
in sé una sostanza altra, che trabocca dalla nostra personalità per
rendersi possibile il dischiudersi della nostra personalità» 37.
Questo significa che la capacità di accogliere l’ordine simbolico
della realtà appartiene a tutti gli uomini che sono capaci di aprirsi al
di là da sé e accogliere il dono della Presenza altrui. In questo senso
si dimostra come sterile ogni contrapposizione fra cultura del popolo e
cultura degli intellettuali quando ciò che si mette a tema è l’esperienza
personale dell’incontro con la trascendenza, di cui la mistica, o meglio
l’esperienza mistica, ne è trama necessaria.
La mistica del cuore
Se è vero che l’interesse per la mistica ha lasciato tracce in ogni
tappa dell’opera e della vita del pensatore russo – come non pensare
alla mistica della infanzia allo sguardo mistico e contemplativo che assume nei confronti del mondo nel periodo della prigionia –, al punto
che è davvero difficile riassumerne i volti, eppure negli scritti dedicati
alla ‘mistica e all’anima russa’ emerge non solo il suo interesse verso
un ordine simbolico che si iscrive in ogni anima e che diventa la cifra
per aprirsi all’Eterno, ma anche i tratti di una mistica che rivela il suo
legame indissolubile alla teologia.
37
Perepiska P.A. Florenskogo s Andreem Belym [Corrispondenza tra P.A. Florenskij
e Andrei Belyj], a cura di A. Trubačëv, E. Ivanova, Pavel Florenskij, in «Kontekst»,
256, 1991, p. 58.
181
Il tema di Babel
La mistica nella tradizione ortodossa, infatti, non riguarda soltanto
il vissuto, l’esperienza personale e intima ai misteri divini, ma è una
vera e propria facoltà della conoscenza che investe l’intera esperienza
ecclesiale, per il nesso vitale tra l’amore di Dio, la visione divina e la
conoscenza di Lui. La mistica è culmine della teologia, perché attraverso essa si accede al più complesso dei dogmi, ovvero alla Trinità. Lungi
da ogni forma di erudizione o speculazione astratta,
«la peculiarità della dogmatica ortodossa va ricercata in quella
contemplazione luminosa del misterium fidei che già i Padri della
Chiesa avevano intuito, quando di fronte al mistero divino prende
il sopravvento la necessità del simbolo iconico e liturgico» 38
per sopperire alle difficoltà di una parola che rischia di restare muta
o di balbettare quando tenta di conoscere la profondità dell’essenza
divina. Solo l’ascetica, o meglio il cammino ascetico, consente conoscenza e confidenza crescente nei confronti del mistero che passa necessariamente attraverso una spoliazione di sé, del «grasso implacabile
ego» 39 per lasciarsi abitare dallo Spirito Santo.
L’esperienza mistica si mostra così rilevante sia dal punto di vista
teoretico che esistenziale: quando il credente si abbandona nella preghiera e nella contemplazione del mistero indicibile della Croce e della
Trinità si nutre di un movimento ascetico verso l’alto, verso una Alterità mai completamente dicibile, mai del tutto conoscibile e, poi, alla
fine, di un movimento che dall’alto scende verso il basso, dopo che la
rivelazione dell’ordo amoris che informa la creazione elabora un ordine di beni e di relazioni a cui ci si abbandona con fiducia infinita. La
mistica allora mossa da istanza ascetiche e speculative non cadrà mai né
nello psicologismo né nel sentimentalismo ed è ciò che consente a ogni
credente di accedere al mistero, senza provare né a comprenderlo né a
esprimerlo pienamente, ma semmai a intuire l’ordine dell’amore divino
e a provare nostalgia, quando ci si avverte la lontananza da esso.
La mistica, come scrive Florenskij, è relazione al mistero nel senso
38
Cfr. Valentini, Sull’orlo del visibile pensare. P. Florenskij e la mistica russa, cit.; P.A.
Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona, a cura di E. Zolla, Adelphi, Milano 1977.
39
I. Murdock, La sovranità del bene, trad. it. di G. Di Biase, Carabba, Lanciano 2005.
182
Il tema di Babel
che non ha «segreti da svelare», ma suscitare «esperienze inesprimibili», perché antinomiche e misteriose, per questo non è mai gnostica
fuga dal mondo e dal corpo, tanto meno «mistica della testa» o «mistica
del ventre» 40, come propria del pensiero orientale, bensì una mistica che
secondo la grande tradizione ortodossa è sempre rivolta al cuore: «la
mistica del raccoglimento dell’essere umano, la quale apre accesso alla
grazia che nutre l’intimo dell’uomo, emenda la personalità e le consente
di salire di vetta in vetta» 41. In questo senso il cammino ascetico verso
la Grazia, dono dell’immagine di Dio e della verità trinitaria, sollecita
la creatura a una vita nuova in Cristo, a una divinizzazione, portandolo
a scoprire quel «cuore cherubico» 42, quel «tempio santo» in cui abita lo
spirito e che resta invisibile alla carne.
In tale contemplazione dal mondo terreno si ascende verso quello celeste, e qui si contempla il mistero della vita divina, per poi, trasformati,
ritornare al mondo terreno: «l’anima si inebria del visibile e perdendolo
di vista, si estasia sul piano dell’invisibile» 43. In questo processo verso la
divinizzazione si consuma l’involucro psichico, si svuota ogni residuo di
autosufficienza, come unica modalità per poter incontrare l’Eterno. Tale
cammino di svuotamento di sé, vera e propria kenosi dell’io, fino alla
consegna e alla consumazione di ogni residuale «autosufficienza inospitale», radice di ogni peccato non è l’idealistico e romantico annichilamento estatico del sé, ma la rinuncia del nucleo più proprio ed egoista
del sé per poter incontrare Dio e per poter diventare una creatura a sua
immagine, come riporta Genesi, ‘per poi illuminare il mondo’. Proprio
questa è la radice autentica della parola ‘cultura’, che come ci rivela la
parola tedesca Bildung conserva in sé la parola Bild, ‘immagine’, attraverso cui rimanda alla necessità non di una chiusura autocentrata bensì
di una necessaria conformità ad una immagine che proviene da Altri 44.
40
P.A. Florenskij, La Colonna e il fondamento della verità. Saggio di teodicea ortodossa
in dodici lettere, a cura di E. Zolla, trad. it. di P. Modesto, Rusconi, Milano 1977.
41
Ibid., p. 326.
42
P.A. Florenskij, Il cuore cherubico, scritti teologici e mistici, a cura di N. Valentini, L.
Žác, trad. it. di R. Zugan, Piemme, Casale Monferrato 1999. Cfr. Il concilio di Mosca, a
cura di A. Mainardi, Qiqajon, Magnano (BI) 2004.
43
Florenskij, Le porte regali, cit., p. 35.
44
H.G. Gadamer, Verità e metodo, Bompiani, Milano 2014.
183
Il tema di Babel
La mistica, allora, è ciò che dona alla fede vissuta e patita fin dentro
la carne la possibilità di un incontro con l’Eterno, che consente l’accesso
allo Spirito Santo e la possibilità di una metanoia, che diventa anche
misura della nostra libertà e della nostra modalità di stare nel mondo.
Oltre il soffocante timore delle tentazioni e del peccato, la mistica ci
apre a una relazione con una Alterità che ci abita e che fa sì che non
siamo più noi la misura dell’amore verso altri. È Dio stesso a diventare
la misura, se è vero che questi è colui che per salvarci si è fatto carico dei
nostri peccati. E tanto più diventiamo capaci di ospitalità nei confronti di
Colui che dona la vita, tanto più ne siamo ‘alterati’, tanto più trasformati
da quel «cuore cherubico» che ci irradia e ci trasforma.
La centralità di ogni esperienza mistica è, infatti, il ‘mistero incarnato’ in cui si fondono l’ontologia della salvezza e il principio di trasfigurazione della vita e della realtà. La resurrezione è il compimento
del cammino ascetico e mistico: il principio attivo della trasfigurazione,
che facendo sorgere a vita nuova l’uomo, santificandolo, lo fa diventare
il fulcro della trasfigurazione del mondo 45, secondo quel mistico rapimento di cui parla Paolo nella interpretazione di Florenskij di Fil 2, 6:
«Il Signore è colui che è disceso dal cielo, mentre l’uomo può solo
andarGli incontro elevandosi da terra. La κένοσις del Signore è
l’¢ρπαγή dei Suoi servi: questo è il fondamento di “quel giorno
del Signore” che non ha mai fine» 46.
Ogni esperienza mistica nasce allora dal trascendimento di sé, dal superamento del proprio io attraverso il non io, fino all’accoglimento del tu
divino in una relazione il cui fine è il raggiungimento di una pienezza di
essere, che non si dà mai nella confusione e nella omologazione, bensì
nella reciproca distinzione, distinzione fra l’umile accoglimento della
propria finitezza e l’innalzamento verso la Grazia luminosa che ci abita
e guida le nostre azioni nel mondo:
«forse la specificità della conoscenza immediata della mistica
45
P.A. Florenskij, Interpretazione mistica del salmo 125, in Id., La mistica e l’anima
russa, cit., p. 70.
46
Id., “Non considerò un rapimento..”(Fil 2, 6.8). Per un giudizio sulla mistica, in Id.,
La mistica e l’anima russa, cit., p. 126.
184
Il tema di Babel
consiste nel fatto che, nell’atto della conoscenza, il soggetto conoscente e la sostanza conoscibile si uniscono in una bi-unità
indivisibile che non si fonde» 47.
L’unità nella distinzione, senza confusione non è solo il nucleo della
tradizione conciliare e della dogmatica trinitaria 48, ma è il nesso ontologico che diviene paradigma di ogni conoscenza sia filosofica che
mistica dell’essere.
La mistica e l’icona
La spiritualità che ruota intorno alla Lavra trova il suo acme nella
famosa icona della Trinità di Rublëv e nelle icone venerate dallo stesso
San Sergio come nella scuola iconografica che lì nacque49. La centralità
che l’icona riviste nella spiritualità ortodossa, dopo che a partire dal II
Concilio di Nicea (787), il settimo concilio ecumenico si è posto fine alla
iconoclastia, esponendo i motivi teologiche del culto delle immagini, si
può cogliere in tutta la sua risonanza nella affermazione di Florenskij: «il
significato dell’icona è incarnazione»50, nel senso che in essa si può cogliere sia il memoriale dell’Incarnazione che l’immagine viva della persona. O meglio, l’icona rende vivo lo scandalo dell’Incarnazione: quello di
rendere visibile nella presenza della Persona di Cristo l’invisibile Eternità.
La presenza di tale paradosso, rende ragione della dottrina «della persona
scomposta», secondo cui la visibilità del Cristo si rende visibile tramite la
sua natura umana e che, esige, a sua volta una esperienza concreta da parte
del credente, senza tuttavia ridursi a questa.
Compito dell’iconografico è «suscitare questa esperienza», ovvero
far sì che dalla contemplazione dell’icona si apra una visione mistica
e una esperienza di fede. Ogni icona è così non solo incarnazione, ma
47
Ivi.
48
Cfr: G. Costanzo, Trinità e riflessione filosofica nel pensiero russo contemporaneo, in
<http://mondodomani.org//teologia/costanzo2011.htm> (ultimo accesso 29.09.2016).
49
P.A. Florenskij, Icone di preghiere di San Sergio, in Id., La mistica e l’anima russa,
cit., pp. 157-188.
50
Id., Le porte regali, cit., p. 173.
185
Il tema di Babel
anche «una rivelazione» 51, che si attua dall’incontro con lo sguardo, gelosamente custodito nel volto di ogni icona, che ci apre alla percezione
del mistero. Se è vero che il volto è rivelativo della persona perché è
la manifestazione visibile della personalità, il simbolo visivo di tutti i
suoi movimenti e cambiamenti, tuttavia esso non dice tutto della personalità. Solo lo sguardo «una specie di invariante del volto» diventa rivelativo di quella interiorità che in altro modo non può essere colta: «lo
sguardo e il volto diventano una sintesi infinita» 52. Ed è questo sguardo
che suscita una esperienza e provoca un incontro: quello che a cui è
chiamato lo sguardo del credente per penetrare dentro il cuore invisibile della Chiesa. Se il volto richiama alla relazione, lo sguardo invita
alla purificazione, nel momento in cui conservando il segno dell’eterno spinge ognuno a diventare a immagine e somiglianza del Creatore.
Ecco perché l’icona è per il pensatore russo ‘la porta regale’, la finestra
che si apre sull’Eterno e la via verso cui si avvia la trasfigurazione santificante dell’uomo, il superamento delle sue discordie e antinomiche
contraddizioni presenti nella sua carne. La pittura iconica assume «una
forza particolare non per i colori, né per l’immagine, ma perché apre
al fondamento ontologico dell’esistenza», nel momento in cui «l’icona
ha lo scopo di sollevare la coscienza al mondo spirituale, di mostrare
“spettacoli misteriosi e soprannaturali”» 53. Il punto focale del mistero
è quello sguardo, la cifra ultima della trascendenza, l’ultima soglia fra
visibile e invisibile. Dalle pupille della Madre di Dio, posta nella stanza
di San Sergio 54, a quelle dei tre pellegrini di Rublëv si intravedono gli
archetipi celesti che hanno contemplato, così che essi ci ridestano alla
vita divina e purificano il nostro sguardo prima di tornare a guardare
la terra. Se «il mistero del volto trova il suo vertice nello sguardo» 55, è
51
Ibid.,
52
p. 74.
P.A. Florenskij, Il significato dell’idealismo, a cura di N. Valentini, Rusconi, Milano
1999, p. 135.
53
Id., Le porte regali, cit., p. 61. A. Anedda, L’icona e lo sguardo. Dalla bellezza alla
compassione, in «Humanitas», n. 4, 2003.
54
P.A. Florenskij, La lavra della Trinità e di San Sergio e la Russia, in Id., La mistica
e l’anima russa, cit., pp. 133-156.
55
Id., Le porte regali, cit., p. 44. Cfr. N. Valentini, Pavel A. Florenskij. La lotta fra
maschera e sguardo, in Il Volto nel pensiero contemporaneo, a cura di D. Vinci, Il Pozzo
di Giacobbe, Trapani 2010; N. Valentini, Pavel A. Florenskij, La sapienza dell’amore,
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Il tema di Babel
dunque il volto-sguardo che mostra il suo legame sostanziale con l’invisibile e ci invita a non perderci dentro le tante maschere dell’esistenza
né dentro gli idoli dell’apparenza. Quando il nostro sguardo incontra
quello dell’icona la tensione a cui ci invita è quella di non ricadere nella trappola del volto-idolo, che come ci insegna la Sacra Scrittura è la
tentazione di ogni credo quando rischia di chiudersi dentro la sua autoreferezialità, né del volto-maschera che rinvia una rottura della propria
purezza e della propria santità, negando che l’interiorità sia abitata da
noi e da Dio, disconoscendo il legame dal quale proveniamo.
L’icona che resta volto e non diventa né idolo né maschera è quella
che invoca la distinzione fra visibile e invisibile, fra essere e apparire,
la distanza fra i due sguardi, diventando il luogo di una alterità che da
lì si sporge per essere ospitata dentro i nostri sguardi e dentro il nostro
volto, di contro alla tentazione idolatrica di ridurre tutto a una unica
visione e a una unica percezione. Ecco, perché l’icona partecipa di quel
mistico incontro a cui l’uscita da sé e dalle proprie sozzure consente l’apertura ospitale e la trasfigurazione di ogni credente in ‘icona vivente’.
Solo la nostra elevazione a dignità di icona, a immagine vivente di Dio
ci consente di relazionarci ad altri uomini secondo l’ethos dell’amore
trinitario 56, la modalità della relazione fra le tre persone della Trinità,
distinte ma compartecipi allo stesso modo dell’amore divino. Fulcro
della ‘mistica del cuore’ è far sì che il trascendimento di sé e l’accoglimento in sé del principio unificatore della nostra interiorità, promuova
una vita di relazioni autentiche e vere se vissute dentro l’amore infinito
e unificante del Cristo.
Quello stesso amore per il quale Pavel sacrifica la sua vita per salvarla ad altri prigionieri, o come quando in assoluta coerenza rifiuta
ogni possibile scappatoia e accetta con fierezza quel destino che le ha
riservato una politica liberticida e idolatrica: «tale è la legge della vita, il
suo assioma fondamentale […] Per il proprio dono, la grandezza, bisogna
pagare con il sangue»57.
EdB, Bologna 2010 (nuova edizione).
56
Cfr. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, cit.; Žák, Il simbolo come
via teologica. Spunti di riflessione sul simbolismo di Pavel Florenskij, cit., pp. 598-614.
57
Id., “Non dimenticatemi”, cit., p. 275.
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