Intervento di Pierluigi Cetti, segretario generale Spi Cgil Brescia

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Intervento di Pierluigi Cetti, segretario generale Spi Cgil Brescia
Siamo qui, nuovamente,a Bagolino, noi pensionati e pensionate dello Spi Cgil
insieme all'Associazione dei familiari, con il Presidente provinciale dell'Anpi. Siamo
qui per commemorare, a settant'anni dal 1944, la strage della Valle Dorizzo.
Il 6 ottobre 1944, qui, i tedeschi delle SS e i fascisti delle brigate “antipartigiane”
uccisero dieci persone, in un modo terribile.
Una strage che generò una ferita profonda nella comunità di Bagolino, ci sono voluti
tanti anni per poter commemorare quei dieci ragazzi orrendamente trucidati, morti
per la libertà. In quell'epoca la scelta della libertà era fatta a rischio della vita ed era
una scelta coraggiosa.
Una vicenda complessa che il libro di Tiziano Ratti, del 2005, ricostruisce con
attenzione... Un dramma nel contesto del più ampio dramma della guerra.
Siamo in un piccolo paese delle Valle Sabbia. Un luogo simbolico, ci ricorda il
grande ruolo che ebbero le montagne per i nostri partigiani, sembra parlarci del
sacrificio di questi dieci giovani, caduti per opporsi al nazifascismo.
La Resistenza è un fenomeno che si compone delle moltissime e rilevanti vicende
locali, come quella che oggi ricordiamo.
Siamo qui, con la convinzione che avvicinarsi alle storie locali sia essenziale per
comprendere un fenomeno, come quello della resistenza, che si caratterizzò per la
propria diffusione e per il proprio radicamento tra le popolazioni.
Come pensionati, sentiamo la necessità e l’importanza di conservare la memoria, di
attualizzarla nelle scelte del presente, contribuendo alla vita democratica.
Vogliamo commemorare il sacrificio di molti, come quelli che morirono qui
tragicamente, e ricordarne gli ideali di riferimento, le ragioni che motivarono la
ribellione e l’opposizione alla dittatura fascista.
Tra i compiti che sentiamo come nostri, quello di contribuire alla costruzione della
memoria.
La nostra memoria nazionale, in particolare quella del fascismo e della Resistenza,
lungi dall'essere elemento acquisito, è costantemente oggetto di dibattito. Un
dibattito, non di rado, fondato su volontà di strumentalizzazione.
Questa riflessione è particolarmente importante in questo luogo, qui l'Associazione
dei familiari delle vittime e lo Spi Cgil, il parroco di Bagolino,
l'Anpi, hanno
contribuito ad approfondire la storia e, in parte, a costruire la memoria. Alcuni fatti,
spesso trascurati e non compresi nel pieno della loro portata, nel corso degli anni,
sono stati ricostruiti. Ricostruiti con rigore, dal punto di vista storico, ricostruiti con
la passione di chi ne era coinvolto anche per legami affettivi, con la passione di chi
all'impegno per la politica e la democrazia nel Paese ha dedicato molto...
Ricostruiti, però, con un principio guida: trovare la verità, in nome di un senso di
ricerca della giustizia.
Un percorso di condivisione, orientato alla divulgazione della conoscenza storica.
Questo è quello che noi intendiamo per memoria condivisa. La memoria condivisa è
quella attraverso la quale, con senso di responsabilità e partendo dai fatti, si lavora
per ricostruire il passato, farlo divenire patrimonio per il presente, senza
strumentalizzazioni.
Questo è accaduto qui.
Ricostruire, continuare ad approfondire i fatti, in modo oggettivo, conoscerne e
comprendere la dimensione politica: analizzare qual era il contesto entro cui i
partigiani delle nostre montagne si muovevano, quali erano le ragioni che crearono
proprio nell’Italia del Nord uno dei più radicati movimenti resistenziali d’Europa;
quali le ragioni per cui in molti si opposero al fascismo; quali le ragioni per cui – non
dobbiamo mai dimenticare nemmeno questo – molti sostennero il fascismo.
Ed è questo lo spirito con cui andrebbe affrontata, secondo noi, la discussione sul
passato nazionale.
Siamo il Paese in cui, pochi anni fa, l'allora Presidente del consiglio disse “il
fascismo non ha fatto uccidere nessuno”; siamo un Paese in cui, ancor più
recentemente (meno di otto mesi fa, per la precisione), una deputata con un
importante incarico alla Camera, parlò di un “fascismo buono degli inizi” dando il
via ad un pietoso dibattito, fondato sulla distinzione tra “il principio fascista buono
delle origini” da quello deteriore dell'alleanza con Hitler.
É il caso di ricordare che il fascismo fu fascismo dal 1919, quando i fasci di
combattimento, con la violenza, iniziarono ad imporsi; quando cominciò a bruciare le
Camere del lavoro e ad aggredire lavoratori che chiedevano diritti; quando, nel 1922,
marciò su Roma segnando l'inizio simbolico della dittatura, quando nel 1924 si
assunse la responsabilità “politica e morale” dell'omicidio Matteotti, il giovane
deputato socialista che aveva denunciato le violenze fasciste; quando perseguitò tutti
gli oppositori impedendo – con enormi violenze – qualunque forma di libera
espressione.
Tutto questo avvenne prima del 1938, anno delle leggi razziali , prima del 1940: anno
del tragico ingresso del nostro paese nella seconda guerra mondiale, guerra
catastrofica combattuta, fino al 1943, al fianco della Germania nazista. Quella di
Auschwitz, Mauthausen, Dachau,e dei moltissimi altri campi in cui anche tanti dei
nostri connazionali furono deportati e uccisi.
Non ci fu mai, dunque, un fascismo buono. Come buono non fu nulla, nel nome di
quell'ideologia, dopo la guerra: il neofascismo fu quello delle stragi di Stato, del
tentativo di sovvertire l'ordine democratico. In altri Paesi fu l'ideologia ispiratrice di
dittature terribili.
Vale la pena ricordarlo perché, se il fascismo non fu mai buono, né prima di
avvicinarsi alla Germania di Hitler, né dopo; né prima della guerra, né dopo la guerra,
in nome di quell'ideologia nulla di buono potrà avvenire oggi.
Eppure quell'ideologia continua ad esistere e fare proseliti. Parlando di questo non mi
riferisco solo a minoranze di estremisti, fenomeno preoccupante e esistente da tempo.
Mi riferisco a qualcosa che è, in parte, nuovo: si tratta di un sentimento emergente , in
tutto il Continente europeo. Quello che ha fatto crescere, quasi ovunque, i populismi
di estrema destra.
Quello della Grecia con Alba Dorata, della Francia con il Front National di Marie Le
Pain, della Gran Bretagna con l'UKIP: movimenti diversi che hanno in comune
ultranazionalismo, una forte xenofobia, un accanimento contro il diverso, l'idea che
le garanzie democratiche siano superabili; la ricerca del capro espiatorio: qualcuno a
cui dare tutte le colpe della crisi economica.
Non è esagerato parlare, per questi movimenti, di fascismo: molti dei loro militanti si
autodefiniscono fascisti, ne fanno un punto di orgoglio.
Questo quadro ci fa rendere conto di come, oggi, parlare di antifascismo e agire per
l’antifascismo necessiti di una riflessione che abbia ampio respiro, qualcosa che si
inserisca nel più ampio concetto di cittadinanza europea.
Noi dello Spi, da sempre, ci interessiamo del tema della memoria e, da sempre, oltre a
ricordare il sacrificio delle vittime cerchiamo di riflettere sul presente, di dare un
senso alle storie del nostro passato, dentro il nostro tempo.
E allora, in questo contesto, c'è un passaggio che abbiamo il compito di fare, un
passaggio da percorrere con forza: collegare la memoria locale a quella europea e
globale.
Dobbiamo continuare a conoscere le storie dei nostri paesi, delle nostre città, non
perdere nulla dei valori che possono trasmetterci . Farle diventare patrimonio
condiviso, portarle nel dibattito pubblico, trasmetterle ai giovani (meno legati di noi
ai territori e più proiettati verso la dimensione internazionale), identificarle – noi per
primi - come tratto caratterizzante delle radici nazionali e delle radici europee.
Perché se l’Italia fu l’Italia fascista, fu anche l’Italia della Resistenza; se l’Europa fu
quella del nazismo e delle molte dittature, fu anche quella dell’opposizione a questi
regimi, fu l’Europa della pace .
Dunque, ci piacerebbe guardare la Valle Dorizzo, oggi, come un luogo che serve a
ricordarci tutto questo. Uno, purtroppo, dei tanti luoghi in cui avvennero tragedie in
quegli anni. La storia è quella fatta dalle popolazioni. Luoghi come questo sono lì a
ricordarcelo.
I nomi dei caduti che sono stati apposti sulla lapide ci aiutano a dare dei volti a quella
storia, quelli di giovani, giovani “del popolo” che sognavano un’Italia diversa.
Il mondo sta cambiando, commemorazioni come questa possono rischiare di essere
viste erroneamente come “arroccamenti sul passato”. Se sapremo invece, interpretarle
nella nostra realtà, capire che hanno molto da dirci, non sarà così.
Il primo impegno deve essere quello di difendere lo spirito di fondo della
Costituzione con i suoi principi ed i suoi valori, che costituiscono il patrimonio
culturale e spirituale del nostro popolo, nella Costituzione sono infatti declinati i
valori, i diritti e i doveri per i quali è stata fatta la Resistenza. Certo, dovremo farlo
nel contesto delle esigenze del nostro presente, senza mai, però, perdere i riferimenti
valoriali fondamentali. Forse, questo,è il miglior modo per onorare la memoria dei
caduti che ricordiamo oggi. Per cercare di fare in modo che il loro sacrificio non sia
stato vano.
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