Vico, Soccio e il "mito" - Biblioteca Provinciale di Foggia

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Giuseppe De Matteis
Vico, Soccio e il “mito”
di Giuseppe De Matteis
L’autore di questo volume (Pasquale Soccio, Penso, dunque invento. Del mito,
di Vico ed oltre, Bulzoni, Roma, 2000, pp.190), scomparso poco dopo la sua pubblicazione, a lungo si è occupato del pensiero di Vico, essendo stato anche il curatore per Garzanti1 dell’edizione completa delle poesie, lavoro questo, che, vista la
difficoltà oggettiva di interpretazione che quei testi riservano, dovrebbe far considerare lo studioso tra i più importanti del tempo ed in particolare nel contesto degli
studi specifici su Vico2.
Per lungo tempo, la frequentazione assidua con il pensiero del Vico ha caratterizzato anche la sua formazione di filosofo e, sin dai tempi della pubblicazione
della propria tesi di laurea presso Laterza3, quel modello di pensiero e la sua evoluzione e riflessione storico-filosofica sono stati il fondamento su cui Pasquale Soccio
ha poggiato le basi del suo agire e su cui ha compiuto le proprie pluridecennali
ricerche. Peraltro, anche avendo sempre per punto fisso quell’opera filosofica, pure
1
GIAN BATTISTA VICO, Autobiografia, poesie. Scienza Nova, a cura di PASQUALE SOCCIO, Milano, 1983.
Quanto sia arduo collazionare e commentare le poesie vichiane lo dimostra il fatto che, nell’edizione
delle Opere, a cura di R. Parenti (voll. I/II, Fulvio Rossi, Napoli), tutto il peso del lavoro verte sulle opere più
importanti e quasi nulla viene detto, men che meno sulle modalità operative e metodologiche adottate, a
proposito delle Poesie; anzi, pubblicando la sola Affetti di un disperato (vol. I, pp. 59-65), ben poco viene
detto a commento dell’opera nel suo complesso, pur segnalando che in essa è possibile rintracciare parti del
pensiero del Nostro filosofo. Visto che siamo in tema, segnalo qui alcune indicazioni bibliografiche sugli
studi vichiani che, in qualche caso, nonostante il tempo trascorso, ancora riservano molte sorprese per il
lettore attento. FRANCO AMERIO, Vico, in “Enciclopedia Filosofica”, vol. IV, col. 1572-1588, Istituto per la
Collaborazione Culturale, Firenze, 1957; Vico, Opere filosofiche, Firenze, 1971; AUGUSTO SIMONINI, Storia
dei movimenti estetici nella cultura italiana, vol. I, Sansoni, Firenze, 1985, pp. 129-132; Santino CARAMELLA,
L’estetica di G. B. Vico, in Momenti e problemi di storia dell’estetica. Parte II: dall’Illuminismo al Romanticismo, Milano, 1975, pp. 785-874; GIULIO GENTILE, Studi vichiani, in Storia della filosofia italiana, a cura di E.
Garin, vol. I, Sansoni, Firenze, pp. 364-444; GABRIELE GIANNANTONI, La filosofia italiana e G. B. Vico, in
Manuale di Storia della filosofia, vol. II, Torino, 197812, pp. 218-229; EUGENIO GARIN, Storia della filosofia
italiana, vol. II, Torino, 1978, pp. 920-954; PAOLO ROSSI, Storia della filosofia. Saggi sulla storiografia filosofica, Einaudi, Torino, 1975, pp. 108-124; A. Labriola, Discorrendo di socialismo e di filosofia, a cura di B.
Croce, Bari, 19536; Antonio LABRIOLA, La concezione materialistica della storia. Con un aggiunta di Benedetto Croce sulla critica del Marxismo in Italia dal 1895 al 1900, Laterza, Bari, 19534; BERTRANDO SPAVENTA, La
filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, a cura di A. Marchesi, Bergamo, 1972, pp. 117-142;
BENEDETTO CROCE, Bibliografia vichiana, a cura di F. Nicolini, Ricciardi, Napoli, 1947-1948.
3
GIAN BATTISTA VICO, Scienza Nova, a cura di P. Soccio, Bari, 1947.
2
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Pasquale Soccio. Penso, dunque invento. Del mito, di Vico e oltre
ha potuto e saputo spaziare in altri campi, contigui certo, ma anche meno indagati
ed approfonditi del filone principale; è il caso degli studi sui rapporti esistenti tra
Leopardi e Vico4 e di quelli condotti sui rapporti esistenti tra il pensiero di Croce e
la visione del pensiero del Napoletano secondo l’interpretazione del filosofo
neoidealista5. A questo, si è aggiunta nel tempo una nutrita schiera di articoli e
pubblicazioni a carattere diverso e culminati con una serie di saggi aventi per oggetto le radici storiche del malessere meridionale e le condizioni delle popolazioni del
Sud d’Italia e durante il fenomeno del brigantaggio6.
Soprattutto, il lavoro critico di Pasquale Soccio si è mosso su tre direttrici
fondamentali, sia per la corretta interpretazione di Vico presso i contemporanei, sia
per collocare lo stesso Vico in ambito più aperto alle implicazioni con la filosofia
europea e meno legato alle correnti nostrane; insomma: più Hegel e meno Galluppi,
questa sembra la presa di posizione del nostro studioso.
Se è vero che già Croce aveva individuato l’utilità e la forza del Vico nel
codificare una filosofia della storia prehegeliana, e come anticipazione non casuale,
troviamo la stessa affermazione negli scritti di Bertrando Spaventa,7 è anche vero
che il filosofo neoidealista si è servito del pensiero vichiano solo al fine, se non di
confutare, almeno di sminuire il valore ed il significato della ricerca compiuta dal
Vico soprattutto in termini di utilitas, accrescendone invece quel senso del Formalismo spirituale di cui il suo procedere analitico non poteva fare a meno8. Oltretutto,
questo tipo di lettura crociana, porta però anche ad altre errate operazioni di codifica; una tra tutte, quella data dai filosofi marxisti come Antonio Labriola9 e rinforzata da Antonio Gramsci,10 i quali sono convinti che l’“esitazione vichiana di fronte
alla integrale storicizzazione dell’uomo, il naturalismo di cui resta prigioniero il suo
pensiero, il fascino che su di lui ha esercitato l’epoca poetica”11 in qualche modo,
faccia sì che queste idealizzazioni filosofiche risultino essere più coerenti con una
filosofia marxistica, avversaria di ogni forma di società capitalistica, che non con gli
epigoni e “gli apologeti della civiltà industriale”12. Non solo, ma, ragionando in
4
PASQUALE SOCCIO, Sentimento ed immaginazione in Leopardi e Vico, in “Nuova Antologia”, ottobredicembre 1995, pp. 297-312. L’argomento relativo ai rapporti tra Vico e Leopardi e della conoscenza che il
Recanatese ebbe degli scritti di Vico, ed in particolare della Scienza Nova, è stato poi affrontato ed approfondito dal Soccio in Processo vichiano a Leopardi, in G. De Matteis (a cura di), Leopardi oggi. Atti del Convegno
Nazionale di Studi, San Severo, 5 maggio 1998, San Severo, 2001, pp. 25-28.
5
PASQUALE SOCCIO, Dall’utile al vitale in B. Croce e in alcuni suoi interpreti, in “Problemi della Pedagogia”, VII (1961), n° 5-6, pp. 801-842.
6
PASQUALE SOCCIO, Unità e brigantaggio, Napoli, 1969.
7
BERTRANDO SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, a cura di A. Marchesi, Bergamo, 1972, p. 120.
8
Cfr. GIAN BATTISTA VICO, Opere filosofiche, Firenze, 1971, p. 1.
9
ANTONIO LABRIOLA, La concezione materialistica della storia. Con un aggiunta di Benedetto Croce sulla
critica del Marxismo in Italia dal 1895 al 1900, Laterza, Bari, 19534, pp. 63-64.
10
ANTONIO GRAMSCI, Quaderni dal carcere, a cura di V. Gerratana, quaderno 11 [XVIII, 1932-1933,
Introduzione alla filosofia], vol. II, Einaudi, Torino, 1975, pp. 1480-1482.
11
GIAN BATTISTA VICO, Opere filosofiche, introduzione cit., p. LVIII.
12
Cfr. ancora VICO, Opere filosofiche, cit., 8.
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questa maniera ancora oggi, ad un secolo e passa di distanza, si corre il serio rischio
di incorrere in una geometrizzazione del pensiero che era proprio una delle cose
che, complice il cartesianesimo, il nostro Vico voleva evitare a tutti i costi.
Gerarchicizzare e geometrizzare, ridurre tutto a logica matematica sarebbe stato
proprio l’esatto opposto di quell’irrazionale poetico in cui Vico fondava la nascita stessa della civiltà.
Per questo non deve meravigliare, per giungere al libro del nostro studioso e
per rimanere nello spazio ambiguo e ristretto della recensione, la scelta di proporre
subito, in primo piano, la veridica affermazione di una resistenza del piano mitico
in ogni anfratto della nostra mente; esso emerge ogni volta che il linguaggio non
riesce ad esprimersi compiutamente e quindi, per dirla con Wittingstein, “esso è
gioco linguistico vero” che si esplica in una espressione che subisce i segni del tempo, solo allora “sono le sue parole a caricarsi di suggestioni metaforiche ed ad assumere un tono mitico”13. La Scienza, quindi, ci impedisce di far risorgere il nostro Io
mitico ed anzi ci costringe proprio a geometrizzare, a compiere cioè quella stessa
operazione che Vico vedeva come autentico fumo negli occhi; di pari passo con
l’entropia aumenta l’organizzazione e quindi è impossibile poter risolvere operazioni diverse e complesse che la nostra mente invece potrebbe tentare. La presenza
mitica è, quindi, una costante che va dominata ed evidenziata attraverso l’utilitas, la
sensibilità e l’immaginazione (sia intesa in senso poetico e tecnico che poietico naturalmente) ed attraverso quel senso di creatività, proprio dell’uomo, che determina la Scienza Nova non come concetti astratti (il termine è vichiano), bensì come
realizzazioni vere dell’ingegnosità umana.
Il progresso come linea continuativa orizzontale a Vico non interessa, perché si finirebbe per occuparsi soltanto di una delle diverse linee di sviluppo; ciò
che preme a Vico è individuare invece il motivo del vero e la sua natura di fenomeno: verum ipsum factum è l’affermazione gnoseologica e lo statuto del ricercatore. Se Bacone amava ripetere che verum scire per causas scire, Vico invece considera lo scire per causas come un punto di partenza da cui la conoscenza del
fenomeno sia il mezzo per poter comprendere oltre e quindi saper collegare le
implicazioni del fatto storico ad un atto del pensiero, determinando una sorta di
filosofia del pensiero che, invece che poggiare sui rapporti di forza della triade
conoscitiva come in Hegel, kantianamente si preoccupa di originarsi
aprioristicamente: “conoscere attraverso le cause” significa determinare la conoscenza di qualcosa che, proprio perché si determina come fatto, è vero. Problema
non da poco e radicalmente nuovo nella impostazione e nella codificazione dei
concetti: solo una mente così addentro le problematiche vichiane e così appassionata della filosofia poteva giungere a risultati così importanti e centrali su di un
autore la cui riflessione filosofica, lo abbiamo visto, è sempre stata utilizzata per
13
GASTON BACHELARD, La formazione dello spirito scientifico, Milano, 1995.
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Pasquale Soccio. Penso, dunque invento. Del mito, di Vico e oltre
condurre ad altro e non per rimanere alla significatività del suo modello di pensiero.
Per concludere, le tematiche di cui il volume si occupa, compresi i piacevoli e
gustosi intermezzi biografici in forma di ricordo14, sono portanti per una corretta
comprensione ed attualizzazione dell’opera di Vico e delle conseguenze che il pensiero suo ha avuto nel corso del secolo XX. Un libro, quindi, denso, ma anche
piacevole alla lettura e scorrevole, per nulla simile ai ponderosi trattati filosofici che
conosciamo, che certamente avranno il pregio di illustrare ed esprimere le idee in
essi contenute ma non di attirare anche i non addetti ai lavori.
14
PASQUALE SOCCIO, cit., p. 85.
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