Euro 1,00 Anno 3 – Numero 13 Agosto - Settembre 2003 ASFANEWS Periodico d’informazione dell’Associazione Scandianese di Fisica Astronomica ALLA CONQUISTA DI MARTE Ogni 26 mesi il Sole, la Terra ed il piaIl 2 Giugno un vettore russo Soyuz parneta rosso si allineano (opposizione) e tito dal poligono Kazhako di Bajkonur la distanza tra i due pianeti raggiunge il ha lanciato verso Marte la sonda eurosuo minimo: mediamente solo circa 71 pea Mars Express (cooperazione ESAmilioni di km, contro i circa 370 milioni ASI), che porta in grembo il piccolo di km che li separano quando sono dalle lander “Beagle-2” (inglese), il primo parti opposte del Sole, alla massima lander europeo; il 19 Dicembre le due distanza relativa. Le orbite sono però sonde si separeranno e a Natale di ellittiche (specialmente quella di Marte) quest’anno Mars Express entrerà in ored hanno inclinazioni diverse, così acbita, mentre Beagle 2 ammarterà nel cade che ogni 7÷8 opposizioni (15÷17 Bacino Isidis, prossimo all'equatore marziano. anni) il perielio di Marte e l’afelio della Terra avvengano quasi in concomitanza dell’opposizione, riducendo la distanza minima tra i due pianeti a meno di 60 milioni di km e dando luogo a quel fenomeno noto come “grande opposizione”. Gli influssi gravitazionali di Giove ed altre perturbazioni gravitazionali possono apportare ulteriori modifiche alla distanza minima d’opposizione, proprio come accadrà il 27 Agosto, quando Marte sarà a soli 55,746 milioni di km, la distanza minima degli ultimi 73.000 anni! I “Terrestri” stanno per sfruttare Figura 1: disegno raffigurante il rover americano opquesta spettacolare opposizione per portunity in Planum Meridianii invadere il Pianeta Rosso con una cospicua flottiglia di sonde, le quali Il 10 Giugno e l’8 Luglio sono stati gli potranno raggiungere l’orbita di Marte americani a lanciare una missione molad un costo mai così basso. to particolare (Mars Exploration Rover), ASFA Via ca’ de Signori 3/A - 42019 - Iano di Scandiano RE Telefono: 0522-982657 www.asfa.it [email protected] un’anteprima assoluta, costituita da due grossi e complicati veicoli robotizzati (Spirit e Opportunity, quasi 800 milioni di dollari ciascuno il loro costo), lanciati da razzi vettore Delta 2 della Boeing; l’arrivo su Marte è previsto, dopo un viaggio di circa 7 mesi, per il 4 Gennaio ed il 7 Febbraio rispettivamente. Lo Spirit ammarterà nella depressione del Cratere Gusev, 15° a nord dell'equatore marziano, forse sede di un antico lago; Opportunity è invece diretto verso Planum Meridianii, 2° a sud dell'equatore, un'altra regione che potrebbe avere ospitato in passato distese di acqua liquida, con il target più specifico di rintracciare la presenza di depositi di ematite, un ossido di ferro spesso associato ad attività biologica. La prima sonda in ordine di lancio è però stata la giapponese Nozomi (Speranza), in viaggio attraverso un mare di guai fin dal 1998; sembra che i tecnici nipponici siano riusciti finalmente a stabilizzare il veicolo, che dovrebbe immettersi in orbita attorno a Marte verso la fine dell'anno: l'ultimo fly-by con la Terra, che ha scagliato la sonda verso Marte, è stato realizzato il 19 giugno. La flotta si andrà ad affiancare alle due sonde americane già in orbita intorno a Marte (Mars Global Survejor dal 1997 e Mars Odissey dal 2001): arriveremo così ad avere 4 orbiter, un lander e due rover contemporaneamente operativi su Marte! Se gli obiettivi principali di questa invasione sono l’individuazione di acqua nel sottosuolo marziano e la ricerca di tracce di vita microbica nel passato di Marte, lo studio delle caratteristiche geologiche, atmosferiche e morfologiche di Marte riveste sempre un ruolo di primo piano. I due rover americani sono molto più grandi del loro predecessore Sojourner, con un’altezza complessiva di 1,4 m, Figura 2: disegno del lander europeo Beagle2 in Bacino Isidis Figura 3: disegno dell'orbiter europeo Mars Express in viaggio verso Marte dovuta al “collo” che porta la PanCam (Panoramic Camera), cioè la doppia telecamera digitale panoramica che, capace di generare mosaici di 4.000 x 24.000 pixel, scruterà i dintorni a 360°, per permettere al controllo di missione di decidere in che direzione far muovere i rover (anche 100 m al giorno). Oltre alla telecamera i due rover saranno equipaggiati con Mini-TES (Miniature Thermal Emission Spectrometer), in grado di determinare a distanza la composizione di rocce e suolo in base all’emissione termica. I rover possiedono anche un “braccio” con tre articolazioni, alla cui estremità sono situati un utensile e tre strumenti; l’utensile è il RAT (Rock Abrasion Tool), una potente mola in grado creare un foro di 5 mm di profondità e 45 mm di diametro. I tre strumenti sono uno spettrometro Mössbauer (per identificare i minerali ferrosi, individuare il ruolo dell’acqua nella loro formazione e stimare fino a che profondità gli agenti atmosferici alterano il suolo marziano), l’Alfa Particle X-Ray Spectrometer (per analizzare porzioni di roccia e stabilirne la composizione) ed il Microscopic Imager, un microscopio ottico. Il lander europeo (Beagle 2) non possiederà la mobilità dei due rover made in USA, ma è una sofisticata stazione, dotata di: • doppia telecamera digitale panoramica; • mola abrasiva; • PLUTO (una trivella che potrà raggiungere 1,5 m di profondità); • GAP (Gas Analysis Package), per verificare il rapporto tra gli isotopi 12 e 13 del carbonio, marcatore fondamentale di processi biologici; • barometro atmosferico; • analizzatore della composizione dell’atmosfera; • Spettrometro Mössbauer; • Microscopio ottico; • Spettrometro a raggi X. Se sul suolo marziano l’interesse suscitato dalla mobilità dei rover americani viene equilibrato dallo strumento GAP europeo, che cercherà appunto tracce di vita, attuale o passata (mentre gli altri strumenti sono sostanzialmente equivalenti), è in orbita che l’ESA gioca le sue carte migliori, grazie ai sette eccezionali strumenti dell’orbiter “Mars Express”: • MARSIS (un radar-altimetro italiano in grado di sondare la presenza di acqua fino a 5 km di profondità sotto la superficie marziana) potrà finalmente quantificare e localizzare la discussa presenza di acqua su Marte; • PFS (Planetari Fourier Spectrometer) studierà variazione di temperatura e pressione dell’atmosfera marziana, oltre alla sua composizione; • OMEGA è uno spettrometro mineralogico ad infrarosso che dovrà determinare la composizione della superficie marziana con maggiore precisione (specialmente alla caccia di carbonati, firme dell’esistenza di acqua sulla superficie del pianeta); • SPICAM è uno spettrometro atmosferico nell’UV e nell’IR, che studierà la natura ossidante dell’atmosfera marziana; • ASPERA, un analizzatore di atomi energetici neutri che registrerà la densità di particelle ionizzate nella ionosfera marziana, per capire che fine abbiano fatto la maggior parte dell’atmosfera e dell’acqua che il pianeta possedeva quattro miliardi di anni fa (la sonda giapponese Nozomi ha uno strumento simile, quindi si potrà studiare lo stesso fenomeno da angolazioni diverse). • MaRS (Mars Radio Science Experiment), che sfrutterà le comunicazioni radio con la Terra per sondare atmosfera, suolo e sottosuolo di Marte. • HRSC (High/Super Resolution Stereo Colour Imager), una speciale videocamera che fornirà una straordinaria mappa tridimensionale del pianeta. Nella speranza che le missioni siano coronate da successo e che vi sia sempre maggiore collaborazione tra i paesi che investono in questa affascinante ricerca, i dati che si stanno raccogliendo contribuiscono ad arricchire quel processo di conoscenza che è presupposto imprescindibile ad una eventuale missione umana verso il pianeta rosso. Cesare Dolcin SOMMARIO Alla conquista di Marte Marte non è uno scherzo “Serate sotto le stelle” Deep Sky – M27 e Collinder 399 Astrotecnica: le montature dei telescopi (1a p) Notiziario astronomico 1 5 6 7 9 10 NON DIMENTICATEVI DI VISITARE IL SITO DELL’ASFA, CONTINUAMENTE AGGIORNATO: www.asfa.it MARTE NON È UNO SCHERZO Escludendo le 4 missioni in corso, delle 33 missioni spedite verso il pianeta rosso solo 10 hanno avuto successo (9 americane ed 1 sovietica), 2 hanno portato successi parziali (entrambe sovietiche) e ben 21 sono fallite (16 sovietiche/russe e 5 americane). 10 delle suddette 34 missioni sono state costituite da veicoli multipli (6 orbiter + lander, 2 orbiter + Phobos lander, 1 lander + rover, 1 lander + penetrators), quindi complessivamente si sono avute 43 missioni distinte: a) 11 flyby (solo 3 successi americani; 7 insuccessi dell’URSS; tipo di missione abbandonata dal ’71) b) 17 orbiter (8 successi –5 USA, 3 URSS –; 2 sonde ancora operative) c) 11 lander (solo 3 successi americani: i due Viking ed il Pathfinder) d) 1 rover (il mitico Sojourner) e) 2 Phobos lander (persi dall’URSS) f) 1 penetrator (in realtà erano 2 sondine distinte, perse con l’americano Polar Lander) A queste si sommeranno i 2 orbiter, 2 rover ed il lander in viaggio verso Marte. Segue il dettaglio delle missioni marziane; in corsivo i fallimenti, in grassetto i successi; dove non compare la bandiera significa che la sonda descritta era parte integrante di quella menzionata nella riga superiore, lanciata con lo stesso lancio e portata su Marte da quest’ultima. Anno Missione Marsnik 1 (Mars 1960A) - 10 Ottobre 1960 – Tentato Flyby (Lancio fallito, sonda distrutta) Marsnik 2 (Mars 1960B) - 14 Ottobre 1960 – Tentato Flyby (Lancio fallito, sonda distrutta) 1960 1961 Sputnik 22 - 24 Ottobre 1962 – Tentato Flyby (Sonda distrutta) Mars 1 - 1 Novembre 1962 – Tentato Flyby (Contatto perso, missione fallita, ma la sonda sfiora Marte) Sputnik 24 - 4 Novembre 1962 – Tentato Lander (Sonda distrutta in partenza) 1962 1963 Mariner 3 - 5 Novembre 1964 - Tentato Flyby (Flyby avvenuto, ma con sonda non più funzionante) Mariner 4 - 28 Novembre 1964 - Flyby (prime 22 immagini, misurati campo magnetico e Patm) Zond 2 - 30 Novembre 1964 - Tentato Flyby (Contatto perso) Zond 3 - 18 Luglio 1965 - Flyby lunare, tentato flyby marziano (sonda fuori rotta) 1964 1965 1966 1967 1968 Mariner 6 - 25 Febbraio 1969 - Flyby (80 foto nitide, composizione atm., temperature, mappa vasta scala) Mariner 7 - 27 Marzo 1969 - Flyby (126 foto, studio climatologia) Mars 1969A - 27 Marzo 1969 - Tentato Orbiter (Lancio fallito) Mars 1969B - 27 Marzo 1969 - Tentato Orbiter (Lancio fallito) 1969 1970 Mariner 8 - 8 Maggio 1971 - Tentato Flyby (lancio fallito) Cosmos 419 - 10 Maggio 1971 - Tentato Orbiter (distrutto al lancio) Cosmos 419 - Tentato Lander (distrutto al lancio con la sonda “madre”) Mars 2 - 19 Maggio 1971 - Orbiter (arriva 13 giorni dopo Mariner 9, invia oltre 2.000 immagini) Mars 2 - tentato Lander (lander distrutto all’ingresso nell’atmosfera) Mars 3 - 28 Maggio 1971 - Orbiter (invia oltre 600 immagini) Mars 3 - Lander (primo “ammartaggio” morbido, ma contatto perso dopo soli 20”) Mariner 9 - 30 Maggio 1971 - Orbiter (primo satellite artificiale di un altro pianeta; 7.329 foto in un anno) 1971 1972 Mars 4 - 21 Luglio 1973 - Tentato Orbiter (non “frena” e fa solo un flyby) Mars 5 - 25 Luglio 1973 - Orbiter (purtroppo smette di funzionare dopo soli 9 giorni) Mars 6 - 5 Agosto 1973 - Tentato Lander (Contatto perso) Mars 7 - 9 Agosto 1973 - Tentato Lander (sbaglia rotta, manca il pianeta e fa solo un flyby) 1973 1974 Viking 1 - 20 Agosto 1975 - Mars Orbiter (oltre 50.000 foto) Viking 1 - Lander (attivo per 6 anni: esperimenti biologici, chimici, fisici, batteriologici e geologici) Viking 2 - 9 Settembre 1975 - Mars Orbiter (oltre 5.000 foto) Viking 2 - Lander (esperimenti biologici, chimici, fisici, batteriologici e geologici) 1975 1976 - 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 Phobos 1 - 7 Luglio 1988 - Tentato Orbiter (contatto perso durante il viaggio) Phobos 1 - Tentati Phobos Landers (contatto perso durante il viaggio) Phobos 2 - 12 Luglio 1988 - Orbiter (contatto perso dopo ingresso in orbita marziana) Phobos 2 - Tentati Phobos Landers (contatto perso dopo ingresso in orbita marziana) 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 Mars Observer - 25 Settembre 1992 - Tentato Orbiter (Contatto perso durante avvicinamento al pianeta) Mars Global Surveyor - 7 Novembre 1996 - Orbiter (mappatura dettagliata di Marte: oltre 500.000 foto) Mars 96 - 16 Novembre 1996 - Tentato Orbiter (Lancio fallito) Mars 96 - Landers (Lancio fallito) Mars Pathfinder - 4 Dicembre 1996 - Lander (base per Sojourner) Sojourner - Rover (percorsi centinaia di metri in tre mesi di attività; 16.500 foto e varie analisi) 1996 1997 Nozomi (Planet-B) - 3 Luglio 1998 – Orbiter, in viaggio verso Marte Mars Climate Orbiter - 11 Dicembre 1998 - Tentato Orbiter (distrutto per errore in unità di misura) Mars Polar Lander - 3 Gennaio 1999 - Tentato Lander (distrutto all’ammartaggio) Deep Space 2 - 3 Gennaio 1999 - Tentati Penetrators (contatto perso dopo distruzione della sonda madre) 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2001 Mars Odyssey - 7 Aprile 2001 - Mars Orbiter (dettagli della superficie; migliaia di imagini) Mars Express - 2 Giugno 2003 - Orbiter, in viaggio verso Marte Beagle 2 - Lander, in viaggio verso Marte Mars Exploration Rover 1 - 10 Giugno 2003 – Rover, in viaggio verso Marte Mars Exploration Rover 2 - 8 Luglio 2003 – Rover, in viaggio verso Marte CONTINUANO LE “SERATE SOTTO LE STELLE” AGOSTO Sabato 2 agosto 2003 - ore 21:30 “L’archeoastronomia e le sue rivelazioni” (parte II) Relatore Dr.ssa Marina Incerti Sabato 30 Agosto 2003 - ore 21:30 “Il cielo di fine estate” Relatore Dr. Remo Perteghella SETTEMBRE Sabato 9 e Domenica 10 agosto 2003 “Serate dedicate alle stelle cadenti” Sabato 23 agosto 2003 - ore 21:30 “L’archeoastronomia e le sue rivelazioni” (parte III) Relatore Dr.ssa Luisa Grazioli Sabato 6 settembre 2003 - ore 21:30 “L’uomo delle stelle: Wernher Von Braun e i pionieri dell’astronautica” Relatori Simone Dalla Salda e Mauro Mariani Sabato 13 settembre 2003 - ore 21:30 "Le originali scoperte della radioastronomia” Relatore Francesco Ferretti DEEP SKY: M27 e Collinder 399 Nota con il nome inglese di “Dumbbell Nebula” (che significa “Battaglio di campana”) oppure anche come Nebulosa Manubrio, M27 è stata probabilmente la prima nebulosa planetaria scoperta da Charles Messier, il 12 luglio 1764. Scrisse Messier a proposito: “Vista bene nel telescopio da 3 piedi e mezzo… Appare ovale e non contiene stelle. Registrata nella carta della cometa del 1779… Diam. 4’.” Ed è proprio dal suo aspetto che deriva il nome “Dumbbell”; T.W.Webb parlò di “due masse nebulose a contatto”, collegate da una zona più stretta nel mezzo. M 27, appartenente alla costellazione della Volpetta (Vulpecula) è già visibile in un binocolo 10x50 o in un piccolo telescopio, e può essere rintracciata 3.2° a nord della stella γ della costellazione della Freccia (Sagitta). Immagini spettacolari si possono ottenere da un binocolo gigante 20x100, mentre un telescopio da 20 cm sotto un cielo limpido può mostrare diversi dettagli. Per quanto riguarda la fotografia, grazie alle dimensioni dell’oggetto (6’) si possono ottenere risultati interessanti già con una focale di 300 mm oppure con piccoli telescopi; ovviamente focali più spinte (fino a 3 m) permettono una grande ricchezza di particolari. Si tratta di una delle nebulose planetarie più luminose, con una magnitudine apparente di 7.3, pari a quella della Nebulosa Elica (Helix Nebula, NGC 7293) nell’Acquario. Le sue regioni più brillanti si stanno espandendo con una velocità di 6.8 se- condi d’arco all’anno, e questo fa presumere che l’esplosione che l’ha generata abbia avuto luogo in un periodo compreso fra 3000 e 4000 anni fa. La stellina centrale è abbastanza luminosa, con una magnitudine di 13.5 e una temperatura superficiale di 85000 K; probabilmente ha una debole compagna di mag. 17. La sua distanza è incerta, e le stime variano da 490 a 3500 anni luce; misure più accurate potranno essere effettuate grazie ai dati raccolti dal Telescopio Spaziale Hubble. Figura 1: M27, nota anche come "Dumbell Nebula" o "Nebulosa Manubrio" Ma spostiamoci ora circa 8 gradi ad est di M27 per osservare Collinder 399 (Cr399), noto come “Brocchi’s Cluster” o “Al Sufi’s Cluster”, o col nome più familiare di “Coathanger” (“Attaccapanni”). Si tratta di un ammasso aperto di circa 40 stelle, anche se gli studi effettuati sembrano indicare che si tratti soltanto di un asterismo; ciò che lo rende davvero singolare è la sua forma curiosa: un allineamento quasi perfetto di sei stelle, dalle quali “pendono” altre sei stelle a formare una sorta di gancio. Da questo il nome di “attaccapanni”. Si tratta di un oggetto piuttosto luminoso e molto esteso (60’), visibile anche ad occhio nudo sotto un cielo limpido, ma il binocolo offre i risultati migliori. Spettacolare è la visione in un 10x50 o in un 12x60. Simone Dalla Salda Figura 2: la costellazione della Sagitta e la vicina Vulpecula, con l'ammasso aperto di Brocchi ed M27 Figura 3: l'ammasso aperto di Brocchi Astrotecnica – Le montature dei telescopi (1a parte) La montatura è un componente fondamentale di ogni telescopio, e oltre a svolgere funzione di supporto per il sistema ottico, se di buona costruzione garantisce stabilità e precisione nei movimenti. Le montature si dividono in due grandi categorie: altazimutali ed equatoriali; vediamo brevemente caratteristiche e campi di applicazione delle due tipologie, concludendo con alcune considerazioni sulla scelta e sul dimensionamento. Montature altazimutali Lo schema di questo supporto è visibile in Fig.1. Sono presenti due assi di rotazione fra loro ortogonali, che consentono di dirigere il tubo ottico verso il punto prescelto. Il primo movimento possibile è una rotazione attorno all’asse verticale (movimento in azimut), il secondo è una rotazione attorno all’asse orizzontale (movimento in altezza) con il quale si regola l’altezza del tubo ottico rispetto all’orizzonte. Si tratta di una montatura di costruzione semplice, robusta ed economica; presenta però un notevole svantaggio, cioè la difficoltà nell’inseguimento degli astri. Le traiettorie descritte dalle stelle nel loro moto in cielo, sono infatti archi di cerchio; di conseguenza per inseguire con una montatura di questo tipo occorrerebbe muovere il telescopio contemporaneamente sia in azimut che in altezza. In più, questi due spostamenti non avvengono a velocità costante, ma seguono leggi di tipo sinusoidale. Risulta perciò impossibile costruire un sistema di inseguimento basato su due semplici motori elettrici , a meno che questi non siano pilotati da un calcolatore. Questo è il motivo per cui fino a qualche anno fa le montature altazimutali erano riservate a telescopi di grandi dimensioni, nei quali il risparmio conseguito con questo tipo semplice di montatura compensava il costo di un sistema di guida computerizzato. Oggi invece i progressi della microelettronica hanno portato a un notevole abbassamento dei costi, tanto che alcune case hanno messo in commercio piccoli telescopi amatoriali dotati di montatura altazimutale motorizzata; un sistema a microprocessore inserito nella pulsantiera di comando calcola gli spostamenti da effettuare e pilota i motori sui due assi, oltre a contenere in memoria le coordinate di migliaia di oggetti celesti. Rimane tuttavia un secondo problema, ossia la rotazione del campo inquadrato, tipica di questa montatura, che impedisce di realizzare fotografie a lunga posa. Anche per questo problema sono stati sviluppati sistemi di compensazione (i “derotatori di campo”), ma rappresentano una complicazione aggiuntiva per chi voglia effettuare fotografia astronomica. Ricordiamo infine un particolare tipo di montatura altazimutale, quella utilizzata nei telescopi Dobson. Questi strumenti, dei quali è visibile un esempio in Fig.2, sono telescopi riflettori di costruzione particolarmente semplice, concepiti per uso visuale, e agevoli da trasportare. Il loro “punto di forza” è proprio la montatura: economica e spartana (di solito in legno), può essere costruita anche in casa con qualche ora di bricolage, e ad un prezzo irrisorio (rinunciando, beninteso, alla motorizzazione e ai moti micrometrici). Il notevole risparmio sulla montatura consente di poter spendere di più sulla parte ottica: si pensi ad esempio che allo stesso prezzo di un riflettore Newton da 20 cm su montatura equatoriale si può acquistare un Dobson da 40 cm! (continua sul prossimo numero) Simone Dalla Salda NOTIZIARIO ASTRONOMICO Riporto di seguito alcune notizie di carattere astronomico/astrofisico recentemente raccolte. La maggior parte sono state riportate dalla newsletter “Coelumnews” diffusa dalle EDIZIONI SCIENTIFICHE COELUM tramite posta elettronica. Il più profondo "deep field" realizzato da Hubble È senz'altro la fotografia più "profonda" del cielo mai realizzata, arrivando a registrare stelle fino alla 31ma magnitudine e oltre, ma l'immagine, incentrata su una porzione dell'alone esteso attorno alla grande galassia di Andromeda, M31, ha già riservato agli astronomi anche una sorpresa sconcertante. Le stelle che popolano l'alone di M31 sembrano molto più "giovani" delle analoghe popolazioni delle regioni periferiche della Via Lattea, considerata finora la sua "gemella" cosmica (sia pure in scala minore) nell'ambito del Gruppo Locale. Le stelle dell'alone della nostra galassia, infatti, arrivano alla ragguardevole età di 11 - 13 miliardi di anni, mentre almeno un terzo delle stelle dell'alone di M31 sembra non superare i 6 - 8 miliardi di anni, e l'insieme risulta disperso in un arco di età tra i 6 e i 13. Le due galassie sembrano anche molto diverse dal punto di vista chimico: le "giovani" stelle di Andromeda appaiono più ricche di elementi pesanti rispetto alle popolazioni della Via Lattea, e delle galassie minori del Gruppo Locale. La spiegazione più semplice è che M31 abbia conosciuto almeno un massiccio processo di fusione con altre galassie minori nel suo passato, probabilmente satelliti più piccoli appartenenti anch'essi al Gruppo Locale. Questo avrebbe portato alla distruzione del disco della galassia, con dispersione di molte stelle nell'alone esterno. Una diversa teoria prevede un singolo scontro con una galassia di pari massa, con l'incorporazione delle stelle dell'oggetto "invasore", più parte di quelle originarie del disco di M31, nell'alone di Andromeda. Un'altra ipotesi suggerisce che molte delle stelle "recenti" che stiamo osservando adesso si siano formate proprio all'epoca della fusione. La nuova ripresa dell'ACS offre una risoluzione e una profondità senza precedenti: in essa sono state agevolmente risolte ben 300.000 stelle dell'alone di M31, mai prima d'ora osservabili, rivelando la vera natura delle stelle "normali" della galassia. Il nuovo deep field di Hubble è stato realizzato grazie a un'esposizione complessiva di 84 ore con l'ACS, capa- ce di raggiungere più di una magnitudine oltre le già incredibili deep field realizzate da Hubble con la "vecchia" camera WFPC2: vale a dire 2,5 volte ancora più sensibile, oltre sei milioni di volte superiore alla capacità di visione dell'occhio umano. Il team dei ricercatori dell'ACS ha puntato lo strumento circa 1° a SE di M31, inquadrando una porzione dell'alone estesa 3,1' x 3,1', e ricavandone un panorama di 300.000 stelle con migliaia di remote galassie di sfondo. http://hubblesite.org/newscenter/archive/2003/15/ La Helix Nebula mai così bella Una tra le più splendide e dettagliate immagini astronomiche mai prodotte è stata realizzata da un consorzio tra i più prestigiosi enti di ricerca americani, in occasione dell'Astronomy Day, festeggiato il 10 maggio. È una composizione perfetta di immagini profonde riprese dal Telescopio Spaziale Hubble e dalla Mosaic Camera da 0,9 m a largo campo del Kitt Peak National Observatory del NSF di Tucson, Arizona, e ritrae la celebre Helix Nebula in tutto il suo splendore. Non solo la resa cromatica dell'anello della nebulosa, uno dei soggetti più amati dagli astrofotografi di tutto il mondo, è eccezionale, ma vengono evidenziati i dettagli finissimi tracciati dallo sviluppo della rete di sottili filamenti gassosi immersi nella coloratissima struttura. È stato necessario effettuare molte singole riprese di piccole porzioni della Helix per volta con la camera ACS, per poterne ricavarne un intero mosaico, sovrapponendolo quindi all'immagine ricavata al Kitt Peak. Il risultato ha ripagato pienamente lo sforzo: un'immagine di vertiginosa bellezza della "bolla" in espansione della Helix, in realtà un immenso tunnell di gas fluorescenti visto frontalmente. Sono riconoscibili migliaia di filamenti gassosi immersi nel bordo interno e ripiegati verso il centro della nebulosa, rivolti come innumerevoli tentacoli verso la caldissima nana bianca al centro, residuo di un'antica esplosione stellare. La nebulosa, conosciuta come NGC 7009, si trova a 650 anni luce dalla Terra, e il suo "anello" si estende per ben tre anni luce oltre la nana bianca, vale a dire quasi quanto la distanza tra il Sole e la stella più vicina; la Helix è uno dei target più popolari tra gli astrofili ed è visibile, molto debole e sotto un cielo buio, già con un buon binocolo, nella costellazione dell'Acquario. http://hubblesite.org/newscenter/archive/2003/11/ Antica collisione tra asteroidi: è la madre delle meteoriti Una catastrofica collisione tra due asteroidi da 1000 km di diametro, avvenuta circa 480 milioni di anni fa nella fascia tra Marte e Giove, originò una pioggia di meteore e di fuoco che per due milioni di anni investì la Terra, ancora immersa nell'Era Primaria. È quanto sta emergendo dall'analisi chimica dei meteoriti fossili rinvenuti all'interno dei detriti calcarei rinvenuti in cinque distinte stratificazioni nella penisola scandinava, distribuite su un'area di circa 250.000 km2 e risalenti a circa 500 milioni di anni fa. Lo spessore dello strato calcareo corrisponde a un periodo da due a dieci milioni di anni, durante i quali la Terra sarebbe stata sottoposta a un bombardamento meteoritico. Ma quale fu l'evento catastrofico all'origine della lenta ma prolungata pioggia di fuoco dal cielo? Si sa che circa il 20% di tutte le meteoriti che cadono sulla Terra appartengono alla classe delle L-condriti, che sono anche le più comuni, e sembrano avere tutte un'origine comune, probabilmente la disgregazione di un grosso asteroide, avvenuta 500 milioni di anni fa. I geologi delle Università di Rice e Goteborg hanno trovato tracce di cromite, un ossido a basso tenore di ferro, in una particolare forma che si trova soltanto nelle L-condriti, in tutti i filoni dei calcari scandinavi, e nella percentuale corretta. Prende dunque corpo l'ipotesi che tutte le condriti di tipo L che si conoscono derivino dal catastrofico impatto che distrusse un asteroide progenitore da 1000 km di diametro, avvenuto nello scontro con un altro oggetto di forma simile, 500 milioni di anni fa. Il gruppo scandinavo-americano è ora alla ricerca di altri possibili siti geologici favorevoli alla conservazione dei fossili in altre stratificazioni calcaree, in Cina e Sud America, per ottenere ulteriori conferme alla teoria. Il "quintetto di Stephan" ai raggi X La polemica relativa alla reale natura dell'agglomerato di galassie noto come Quintetto di Stephan, dal nome dello scopritore, è destinata a riaccendersi dopo la diffusione di questa immagine a raggi X del campo, ricavata dall'Osservatorio X CHANDRA e sovrapposta a una immagine ottica della Digitized Sky Survey. L'immagine è stata elaborata da un gruppo internazionale di astronomi, tra cui Ginevra Trinchieri dell'Osservatorio dell'INAF di Brera. Il profilo dell'emissione X è visualizzato in blu: regioni di gas caldissimi appaiono giusto al centro del campo, formando una bolla brillante ai raggi X, surriscaldata a 6 milioni di gradi dalle forze scatenate dal rapido movimento di un "intruso". L'intruso sarebbe una galassia a spirale localizzata immediatamente a destra dell'onda d'urto al centro dell'immagine (è l'oggetto indicato con la lettera B nel campo largo ripreso nell'ottico per confronto). Le spirali del Quintetto stanno interagendo l'un l'altra con tale violenza da strapparsi letteralmente le stelle dai bracci a spirale, trasferendo materia all'esterno: si prevede così che le spirali si trasformeranno in galassie ellittiche nel giro di pochi milioni di anni. Anche la debole galassia indicata con la lettera C nell'immagine ottica è ritenuta un intruso, che dovrebbe aver attraversato il centro del gruppo per ben due volte negli ultimi miliardi di anni. La nube bluastra più debole visibile nel composito X-ottico potrebbe essere il residuo di una interazione ancora più antica. Secondo l'interpretazione cosmologica attribuita ai diversi red-shift esibiti dagli spettri delle galassie, gli oggetti A, B, D ed E abbracciano l'intero campo e si trovano tutti alla distanza di 280 milioni di anni luce, mentre la galassia indicata con la lettera F si troverebbe molto più vicina alla Terra, a soli 35 milioni di anni luce: non sarebbe altro che una proiezione in prospettiva di un oggetto del tutto indipendente. Ricordiamo che questa interpretazione è fortemente contestata dagli oppositori dell'interpretazione cosmologica del red-shift, che sostengono anzi come la connessione tra i vari oggetti con ponti di materia sia evidente in immagini a miglior risoluzione. La polemica è inevitabilmente destinata a continuare. Le stagioni di Nettuno Anche sul gelido e lontanissimo Nettuno è "primavera": le ultime fotografie del Telescopio Spaziale Hubble, riprese dal 1996 al 2002, confermano gli indizi di un "cambiamento stagionale" in atto sul pianeta, cominciato almeno sei anni fa, e deducibile dall'aumentata estensione e luminosità delle bande nuvolose che attraversano l'atmosfera. Questa sarebbe la risposta del pianeta alla variazione di quantità e direzione della radiazione solare ricevuta, analogamente a quanto avviene sulla Terra e gli altri pianeti. Su Nettuno, che contende alla Terra il titolo di "pianeta azzurro" per la caratteristica colorazione, sono state individuate estese perturbazioni atmosferiche, visibili come intense bande nuvolose biancastre, fin dalle prime esplorazioni del Voyager. Successivi studi condotti sulle immagini ad alta risoluzione riprese dai più potenti telescopi terrestri hanno indicato la presenza di terribili cicloni con venti fino a 1500 km/h. Il cambiamento stagionale dovrebbe essere cominciato in realtà intorno al 1980 e, poiché Nettuno ruota intorno al Sole in 165 anni, la "primavera" potrebbe continuare per circa altri 20 anni almeno e, se il trend rilevato da Hubble sarà confermato, il pianeta dovrebbe continuare a diventare più luminoso e "nuvoloso" per tutto questo periodo. Anche Nettuno, come la Terra, ha un asse di rotazione inclinato (in questo 29°) e per questo potrebbe presentare stagioni più calde o più fredde, con andamento inverso rispetto agli emisferi del pianeta. Non si erano finora però evidenziati cambiamenti climatici durante le stagioni "intermedie": come sulla Terra, queste (ovviamente ben più lunghe) sembrano caratterizzate da uno sviluppo più marcato di perturbazioni atmosferiche. L'alternarsi delle stagioni sembra confermato dall'assenza di cambiamenti significativi alle latitudine equatoriali del pianeta, segno che è proprio un gradiente di temperatura tra i due emisferi a determinare la dinamica complessiva dell'atmosfera. Resta però l'enigma se questa variazione di temperatura sia causata soltanto dall'irradiazione di un Sole ben 900 volte più debole di quello visto dalla Terra, o se Nettu- no possieda una qualche fonte di calore endogena in grado di contribuire al riscaldamento ciclico. Lune dal CAOS Non tutte le lune sono belle come la nostra. La maggior parte dei satelliti di Giove e Saturno ad esempio, non sono altro che frammenti di roccia grandi pochi chilometri. Il fatto poi che orbitino attorno ai loro pianeti seguendo traiettorie irregolari lascia pochi dubbi: un tempo quei corpi erano semplici asteroidi, successivamente catturati dall'attrazione gravitazionale del pianeta. Fin qui sembra tutto chiaro ma quando si cerca di passare ai dettagli non è più così. Troppe le variabili in gioco per poter sperare di descrivere, caso per caso, come e quando sia avvenuta una tale cattura. Alcuni ricercatori americani hanno però avuto un'idea: applicare e sviluppare degli aspetti di una teoria scientifica nota come Teoria del Caos. Venne ideata proprio per poter prevedere le possibili evoluzioni di sistemi caotici, la cui complessità non poteva essere studiata con i metodi tradizionali. I ricercatori hanno quindi utilizzato alcune formule matematiche di questa teoria, modificandole per poter descrivere il meccanismo della cattura gravitazionale. E' stato così possibile calcolare in quali regioni vicine a un pianeta è più probabile trovare queste piccole lune. A conferma della bontà dei risultati, i satelliti irregolari finora conosciuti si trovano in gran parte proprio nelle zone segnalate. Tocca adesso agli astronomi scoprire nuove lune e verificare se anche per loro le previsioni hanno colto nel segno. La terza dal Sole Il nostro Sole ha una nuova "vicina" di casa, una stella di piccola massa che, qualora venissero confermati i dati fin qui rilevati, potrebbe diventare la terza stella più vicina al Sole che si conosca. SO25300.5+165258, questa la denominazione tecnica della stella, è una flebile nana rossa della costellazione dell'Ariete posta, a quanto pare, a soli 7,8 anni luce da noi. Secondo i ricercatori della NASA del Goddard SFC di Greenbelt e del JPL la stella è soltanto leggermente più lontana dal Sole del sistema triplo di Alfa Centauri, posto a 4,3 anni luce, e della stella di Barnard, la seconda più vicina a 6 anni luce. La "nuova vicina" non era stata mai finora individuata a causa delle sue ridotte dimensioni, solo 0,07 masse solari, per una luminosità 300.000 volte più debole della nostra stella. In realtà i margini di incertezza sull'effettiva distanza sono ancora piuttosto ampi: da un minimo di 6,5 anni luce a un massimo di 10,1 un ampio range dovuto al metodo scelto per determinarla, chiamato High Properl Motion (HPM). Le stella è stata individuata casualmente, durante uno scandaglio HPM condotto per ragioni del tutto diverse. L'HPM fornisce infatti il medesimo valore sia per stelle vicine che hanno un moto proprio "lento" che per stelle lontane che si muovono più velocemente: di qui l'incertezza sulla distanza effettiva. Il team che ha scoperta la stella ha usato il telescopio da 3,5 m dell'Apache Point Observatory, nel corso di un programma di monitoraggio del moto di asteroidi potenzialmente pericolosi, nel quadro del progetto NEAT del JPL. Le analisi spettroscopiche la classificano come una nana rossa appartenente alla sequenza principale, di classe spettrale M6,5. Henize 3-1475, la Nebulosa "Spruzzatore" Che le nebulose planetarie si presentino nelle forme più disparate e varie, tanto da assumere le denominazioni più improbabili tipo "Farfalla", "Campana", ecc. ormai lo sappiamo tutti, ma il caso di Henize 3-1475, una planetaria del Sagittario lontana 18.000 anni luce, le supera probabilmente tutte; la nebula presenta uno stranissimo getto simmetrico a forma di serpentina, che ricorda un innaffiatoio rotante da giardino! Anche la modalità di eiezione dei gas espulsi dalla stella centrale ricorda da vicino il comune utensile da giardinaggio: gli agglomerati a densità diversa che si protendono lungo i "getti" corrispondono a quanto pare a plasmi eruttati dalla stella in epoche successive, in un lento processo che alterna brevi impulsi ad altissima velocità con periodi di quiete; proprio come fa uno spruzzatore rotante con l'acqua per il giardino. La stella centrale è una gigante da tre a cinque volte più massiva del Sole, e oltre 12.000 volte più luminosa; i getti sembrano allontanarsi da essa alla velocità di 4 milioni di km all'ora (i più veloci di questo genere che si conoscano), mentre i noduli più interni sembrano connessi alle regioni centrali da una intricata struttura di canalicoli convergenti di gas. Gli astronomi dell'Università della Catalogna che hanno esaminato le immagini dell'oggetto ripreso con la camera WFPC 2 dal Telescopio Spaziale Hubble, confrontandole con foto ricavate da strumenti terrestri, sono convinti che la stella eietti materiali ogni 100 anni con frequenza irregolare, intercalandoli in un ciclo completo di precessione di 1500 anni. La ragione di questa intermittenza non è chiara, ma è forse legata a complesse interazioni magnetiche con stelle vicine, o a un ciclo magnetico simile a quello di 22 anni che mostra il Sole. Premio internazionale a un astrofisico italiano Il giovane astrofisico dell'INAF e dell'Osservatorio di Arcetri Pasquale Blasi è stato insignito del prestigioso premio Shakti Duggal da parte dell'international Union of Pure and Applied Physics, per le sue ricerche nell'ambito dei raggi cosmici. Blasi si è laureato a Bari e specializzato all'Aquila e presso il Laboratorio INFN del Gran Sasso, prima di trasferirsi alla Chicago University e poi al Fermi Lab negli USA. Tornato in Italia, è da due anni a Firenze, presso l'Osservatorio Astrofisico di Arcetri. Gli studi di Blasi riguardano la fisica dei raggi cosmici ad alta energia, sul solco della tradizione inaugurata ad Arcetri fin dagli anni trenta con la scuola di Bruno Rossi, Giuseppe Occhialini e altri. Il riconoscimento internazionale conferma le potenzialità del nostro paese nel campo della ricerca scientifica, laddove questa venga supportata da adeguati piani di sviluppo e finanziamenti. Il premio è stato consegnato a Blasi durante l'international Cosmic Ray Conference, che si è tenuta in Giappone il 31 luglio. La Terra (e Giove!) vista da Marte! È probabilmente il sogno di tutti gli astrofili poter osservare come apparirebbe il nostro pianeta, visto al telescopio, dalla superficie di un altro corpo del Sistema Solare; lo ha trasformato in realtà la sonda Mars Global Surveyor, in orbita attorno al pianeta rosso. Per una volta la sonda ha deviato la camera MOC, normalmente usata per la cartografia di Marte fin dal settembre 1997, puntandola lo scorso 8 maggio verso il cielo, per riprendere un "allineamento" Terra-Giove visto da Marte! L'effetto, altamente suggestivo, simula in pratica l'osservazione del nostro pianeta condotta dalla superficie marziana con un telescopio amatoriale: la Terra appare splendente e azzurrina, con tanto di falce dovuta alla fase; sullo sfondo, ancora più luminoso, ecco Giove, col suo satellite Europa nelle vicinanze. L'immagine ingrandita è veramente particolare: il nostro pianeta mostra la fase di "mezza Terra" e, sullo sfondo azzurro degli oceani, è facilmente riconoscibile la sagoma scura dei due continenti americani, solcati da bande nuvolose biancastre nelle regioni centrali del Nord America e del Sud America. Più scure le zone corrispondenti all'America centrale e al Golfo del Messico. E poco oltre la Terra si vede pure la Luna, anch'essa in fase, con un'albedo più brillante al bordo inferiore, dovuta all'ampia raggiera di Copernicus. Il particolare di Giove mostra le bande e i festoni del pianeta, mentre appaiono anche Callisto e Ganimede, ma non Io, eclissato dal pianeta gigante, e la Grande Macchia Rossa, in transito sulla faccia opposta alla vista. L'immagine, ripresa dal MGS l'8 maggio alle ore 9 a.m. EDT, farà senz'altro la gioia (e l'invidia?) degli appassionati di riprese planetarie.-- Su Saturno cambia il vento Sembra che le condizioni meteorologiche dell'atmosfera di Saturno evolvano molto più rapidamente di quanto si potesse pensare: i venti impetuosi che soffiano tra le bande equatoriali del pianeta avrebbero infatti "rallentato" la loro velocità dai 1700 km/h misurati dalle sonde Voyager negli anni '80 agli attuali 1000 km/h rilevati dal Telescopio Spaziale Hubble. Vale a dire il 40% in meno, una quantità considerevole in un intervallo temporale modesto e forse legata, come suggeriscono astronomi spagnoli in uno studio pubblicato sull'ultimo numero di Nature, sia a variazioni stagionali sia, perfino, alla variazione "dell'ombra" proiettata sul pianeta dal sistema degli anelli, legata all'inclinazione dello stesso. Finora si pensava che i venti di Saturno fossero influenzati più dal calore endogeno prodotto dal pianeta stesso che da fattori esterni, ma una variazione di intensità così ampia e repentina non può essere legata soltanto alla manifestazione superficiale di cambiamenti in atto nelle profondità di Saturno. Se il processo fosse causato da trasformazioni interne profonde, allora l'intero globo fluido del pianeta si comporterebbe come un gigantesco volano in moto assai rapido, capace di ridistribuire molto velocemente l'energia interna del pianeta: un processo molto difficile da giustificare. Le nuove ricerche ipotizzano invece che i venti equatoriali non si estendano molto in profondità nell'atmosfera di Saturno; inoltre, poiché l'asse del pianeta è inclinato di 25° rispetto al piano dell'orbita interno al Sole, che completa in circa 31 anni, anche su Saturno possono manifestarsi variazioni climatiche come recentemente osservato su Nettuno. Questi cambiamenti non sarebbero ovviamente immediati, quindi rispetto alle condizioni meteorologiche rilevate negli anni 1980 si comincerebbero a notare soltanto adesso. Inoltre l'inclinazione del piano degli anelli varia continuamente e, durante l'inverno e l'estate saturniani, i materiali in orbita potrebbero schermare buona parte della radiazione solare incidente alle regioni atmosferiche equatoriali, inducendo gradienti di pressione meno pronunciati e una riduzione della velocità dei venti. Una spiegazione ragionevole, che tuttavia è in contrasto con la distribuzione fortemente simmetrica delle condizioni rilevate nei due emisferi del pianeta: una simile configurazione non dovrebbe in realtà influenzare molto la situazione all'equatore; l'enigma è destinato a persistere fino all'arrivo della sonda Cassini nei pressi di Saturno, previsto per l'anno prossimo. Marte è più "attivo" del previsto Chissà se leggeremo mai, in informazioni provenienti dalla NASA, che Marte è soltanto un mondo arido, morto, geologicamente inerte, non meritevole di essere esplorato direttamente dall'uomo? Ma al di là di queste considerazioni politically un-correct registriamo le ultime dall'agenzia spaziale americana sul Pianeta Rosso: un anno di osservazioni condotte dalla sonda Mars Odyssey ha restituito l'immagine di un Marte molto più "attivo" di quanto si fosse sospettato. Il sensore THEMIS (Thermal Emission Imaging System) ha infatti rilevato che la stratigrafia del pianeta si è formata attraverso condizioni climatiche continuamente mutevoli nel tempo. La composizione della superficie marziana è inoltre assai diversificata, con strati rocciosi praticamente esposti alternati a regioni che appaiono letteralmente sepolte sotto polveri e sedimenti. Le regioni "esposte" hanno attirato in particolare la curiosità dei planetologi: nonostante Marte sia regolarmente "sommerso" da tempeste di polveri qualcosa sembra aver letteralmente "spianato" queste zone in epoche abbastanza recenti. Anche la quantità di macigni e ciottoli rinvenuti in regioni collinari lascia pensare all'azione di rimodellamento e trasporto causata da eventi climatici o vulcanismo recenti. La Odyssey ha inoltre rilevato forti indizi della presenza di una grande quantità di ghiaccio d'acqua, anche se la presenza di eventuale acqua liquida rimane al momento del tutto elusiva: la sonda non ha finora trovato alcun indizio di acqua liquida o attività geotermale superficiale, come molti speravano. Anche la rilevazione di un minerale come l'olivina, trovato dalla THEMIS nel Ganges Chasma, un canyon profondo 4,5 km, getta un'ombra sinistra perfino sulla presenza di acqua liquida "preistorica" (è opinione diffusa che anticamente Marte potesse ospitare laghi e torrenti, e forse un oceano primordiale): questo minerale infatti non sopravvive in condizioni umide, e la sua presenza suggerisce condizioni persistentemente aride per tempi lunghissimi. D'altra parte molte altre regioni del pianeta mostrano conformazioni tipiche di ambienti molto umidi, cosicché il dubbio (e l'esplorazione del pianeta) continueranno? L'origine della Terra: molto più antica del previsto La Terra è diventata un vero pianeta, molto simile a come oggi lo conosciamo, molto prima di quanto ipotizzato in precedenza, forse già entro i primi dieci milioni di anni dalla nascita del Sole e del Sistema Solare. È quanto sostiene un recentissimo studio pubblicato dalla rivista Science: la Terra, assieme agli altri pianeti "interni" del neonato Sistema Solare (Mercurio, Venere e Marte) avrebbero cominciato a formarsi fin da 10.000 anni dopo che le prime reazioni nucleari avevano "acceso" il Sole, circa 4,5 miliardi di anni fa. Il disco protoplanetario di gas e polveri che circondava la giovanissima stella cominciò a condensarsi sin da subito in nuclei di agglomerazione via via più cospicui, tanto che la proto-Terra avrebbe raggiunto il 64% della sua attuale massa entro i primi dieci milioni di anni di "vita", formando il pianeta più grosso nel raggio di 150 milioni di km dal Sole. Circa 20 milioni di anni dopo la giovane Terra subì una catastrofica collisione con un corpo planetario grande quanto Marte, che fornì altra materia al pianeta, completandone la massa. Dal medesimo cataclisma, forse in un processo in due stadi e due collisioni successive, si originò il sistema "doppio" Terra-Luna. L'intera genesi del sistema viene così retrodatata di 20 milioni di anni: precedenti valutazioni, scaturite dall'analisi chimica dell'abbondanza isotopica degli elementi che costituiscono la crosta terrestre, avevano suggerito un valore di 50 milioni di anni dalla nascita del Sole. La nuova stima appare più coerente con la tipologia della composizione chimica rinvenuta sulle meteoriti più antiche, i "fossili" vaganti del Sistema Solare primordiale. Mille "Mirae" in Centaurus A Più di mille stelle variabili del tipo "Mira" sono state individuate nella galassia Centaurus A, nel corso del primo tentativo di ricognizione di astri di questo tipo al di fuori del Gruppo Locale di galassie. Sono quasi tutte luminose stelle rosse variabili a lungo periodo, caratterizzate da bassa temperatura superficiale, simili alla celebre stella variabile Mira Ceti. La variabilità di questa classe stellare è dovuta a una imponente "pulsazione" durante la quale la temperatura e le dimensioni dell'astro variano in maniera enorme, con fluttuazioni di luminosità anche di 8 magnitudini, nel giro di un anno, come nel caso di Mira Ceti. È la prima volta che variabili di questo tipo vengono scoperte in una galassia ellittica gigante "lontana" co- me la Centaurus A (NGC 5128, a circa 16 milioni di anni luce): una scoperta importante, dato il ruolo centrale che questa classe di galassie si ritiene svolga nei processi di "assemblaggio" degli ammassi locali di galassie. Le variabili Mira, nel corso delle fasi successive della loro evoluzione, eiettano gli strati atmosferici superficiali, lasciando un residuo compatto centrale (una nana bianca) avvolto da una nebulosa planetaria, sul tipo della splendida Dumbell Nebula, conosciutissima e amata da tutti gli astrofili. Le stelle sono state individuate combinando i dati rilevati dai sensori multimodali ISAAC e FORS1 abbinati al telescopio Antu di Picco Paranal, in modalità IR: costituiscono le riprese a più profonde finora ottenute nel vicino IR. Più piatta non si può L'interferometro VLTI abbinato al complesso VLT dell'ESO di Picco Paranal ha consentito la risoluzione della stella più "piatta" mai individuata. La stella è Achernar, la Alfa Eridani, un astro in rapida rotazione attorno al proprio asse: la sua "pancia" è dovuta proprio al moto di rotazione, che sospinge letteralmente i materiali della stella lungo il suo asse equatoriale. Anche la Terra e il Sole presentano un rigonfiamento equatoriale, dovuto alla rotazione sull'asse; il nostro pianeta mostra infatti la forma di un geoide, con l'asse equatoriale dello 0,3 % più pronunciato dell'asse polare. Ma il Caso di Achernar è davvero spettacolare: l'asse equatoriale è il 56% più grande di quello polare! Un risultato che rimette in questione la teoria sulle stelle in rotazione rapida, difficile da inquadrare secondo i modelli attualmente in auge. Achernar è una stella di tipo spettrale B, di massa sei volte maggiore al Sole e temperatura superficiale di 20.000°K, collocata a 145 anni luce di distanza dalla Terra. I dati ricavati la rendono la stella più "piatta" mai scoperta, e il rapporto assiale rilevato non consente di descrivere la fisica di questo astro all'interno di alcun modello di evoluzione stellare finora sviluppato. Impatto con un asteroide killer 380 milioni di anni fa? Da tempo geologi e paleontologi propongono agli astronomi la teoria che le grandi estinzioni di massa, verificatesi sul nostro pianeta a distanze più o meno regolari di decine o centinaia di milioni di anni, possano essere connesse all'impatto disastroso con oggetti provenienti dallo spazio. L'impatto con piccoli asteroidi o nuclei cometari potrebbe in effetti liberare una quantità di energia tanto distruttiva da mettere temporaneamente in crisi l'ecosfera, e provocare l'estinzione di migliaia di specie viventi, ma finora l'unico caso che presentava qualche indizio sicuro era la "famosa" crisi ecologica avvenuta alla fine del Giurassico, nota a tutti come estinzione dei dinosauri. 65 milioni di anni fa almeno un impatto disastroso si verificò al largo dello Yucatan e, sebbene di recente alcuni paleontologi abbiano sollevato riserve sull'entità reale del disastro, il cratere Chixculub nel Golfo del Messico fu probabilmente scavato da una meteora di 10 km. Ma questa restava, finora, l'unica evidenza a collegare un impatto "celeste" con un'estinzione di massa. Ora un team di geologi della Louisiana University ha scovato dei filoni di rocce in Marocco che risalgono a 380 milioni di anni di fa, all'epoca di un'altra grave estinzione di massa, che mostrano tracce di detriti di un probabile impatto cosmico (i dettagli sono pubblicati sull'ultimo numero di Nature). Le anomalie magnetiche dei campioni di roccia, che presentano sferule di quarzo intrusive modellate da altissime temperature, potrebbero essere residui "fossili" dell'evento, che provocò la scomparsa del 40% delle specie (quasi tutte marine) che popolavano allora la Terra. Per quanto suggestiva, la teoria presenta però molti punti deboli: in primo luogo, sembra che attorno allo stesso cratere messicano la vita protozoica abbia continuato tranquillamente a prosperare per millenni anche dopo l'impatto; in secondo luogo, anche gli impatti con asteroidi di dimensioni "medie" potrebbero essere molto più frequenti delle "estinzioni", verificandosi in media ogni 5 o 10 milioni di anni. La verità allora forse sta (come sovente) a metà strada: un impatto disastroso potrebbe aver accelerato una crisi ecologica già in atto, dando il colpo di grazia al destino ormai segnato di moltissime specie viventi. Granuli solari in 3D ripresi al Solar Swedish Telescope La fotosfera solare, considerata per lo più piatta e relativamente tranquilla, presenta in realtà fenomeni di turbolenza convettiva dovuti a magnetoconvezione in corrispondenza dei granuli, come mostrano le ultime immagini riprese ad alta risoluzione dal Telescopio Solare da 1 m Solar Swedish Telescope, di La Palma. I granuli appaiono particolarmente evidenti in prossimità delle faculae, regioni di brillamento osservabili per lo più al lembo della superficie solare visibile, che sembrano connesse allo sviluppo di macchie e micropori, cioè regioni di intensa attività magnetica. La relazione tra i granuli magnetoconvettivi e l'evoluzione dei pori nelle faculae è tutt'altro che lineare: sembra infatti che queste ultime regioni siano sedi di forte irraggiamento, con andamento inverso rispetto allo sviluppo delle macchie. Questo strano andamento a "compensazione" si è evidenziato anche durante i due ultimi cicli di attività solare, che presentavano una sorta di sorgente "extra" in prossimità dei minimi canonici di attività solare. La sorgente extra, associata alle faculae, sembra ora dovuta alla magnetoconvezione dei granuli; lo studio dell'evoluzione di queste strutture è della massima importanza, perché ogni variazione nell'irraggiamento solare ha conseguenze profonde a livello di magnetosfera e climatologia globale sul nostro pianeta. Tutte le galassie ellittiche sono dello stesso tipo? L'Universo appare un po' meno complicato: gli astronomi della University of Florida sono infatti riusciti a dimostrare che almeno due tra le classi principali di galassie sono riconducibili alla medesima tipologia. Analizzando le immagini riprese dal Telescopio Spaziale Hubble, le galassie ellittiche nane e le galassie ellittiche giganti, finora considerate come peculiari classi a sé stanti, altro non sarebbero che oggetti di classificazione analoga. E non si tratta di mera tassonomia astronomica, perché al di là della comune forma geometrica gli astronomi avevano sempre pensato che i meccanismi di formazione dei due tipi fossero molto diversi, poiché la distribuzione stellare sembrava molto diversa. Inoltre una ellittica nana contiene in media un miliardo di stelle, mentre le giganti ne contano centinaia di miliardi, più densamente impaccate verso le regioni centrali. Le foto di Hubble hanno in realtà registrato molte galassie ellittiche che sembrano intermedie per densità e dimensioni tra le nane e le giganti, e queste non sarebbero dunque altro se non le tipologie estreme all'interno di una stessa classe di oggetti. Si pensa che la morfologia delle regioni centrali di questo tipo di galassie sia modellata dalla presenza di buchi neri supermassivi, in grado di disperdere le stelle della galassie nane, e di addensarle invece nelle galassie di maggior massa. Anche questa teoria si accorda ora in maniera soddisfacente con la formulazione del nuovo modello teorico: una sola classe di galassie ellittiche, a densità e popolazione stellare variabile. Una corrente solare regola il ciclo undecennale del Sole Il ciclo undecennale di attività solare, identificabile in maniera approssimativa con la variazione del numero di macchie via via presenti sul disco del Sole, appare correlato all'intensità e alla direzione di una corrente solare, che agisce come un gigantesco nastro trasportatore dei gas della fotosfera, dai poli all'equatore. Questa è la conclusione di uno studio portato avanti dai ricercatori solari del Marshall Space Flight Center della NASA: il ciclo undecennale è noto fin dal 1874, allorché venne riconosciuto il progressivo shift verso le regioni equatoriali delle bande di macchie che appaiono sul disco. Si pensava che questo spostamento fosse indotto da intense interazioni magnetiche, ma nuove evidenze suggeriscono piuttosto l'esistenza di una gigantesca corrente circolare globale, che trasporta il plasma verso le regioni equatoriali alla "velocità" di circa 4 km/h. Si tratterebbe in realtà un moto convettivo che si origina nel gas, fortemente compresso, alla profondità di 200.000 km nelle regioni polari, in risalita verso l'equatore solare, dove il gas è più rarefatto, e dove inizia il moto di ritorno verso il polo alla velocità di 40-50 km/h. La velocità della corrente, chiamata circolazione meridionale, non è costante e varia da ciclo a ciclo, apparendo più rapida in concomitanza dei cicli undecennali più brevi della media. La corrente sembra inoltre agire da orologio interno, regolando sia la durata sia l'intensità del ciclo undecennale di attività solare. Scoperto un nuovo tipo di fulmini Gli scienziati hanno scoperto una nuova classe di fulmini: gigantesche scariche elettriche che promanano dalla sommità di nubi fino a un'altezza di circa 90 km nell'alta atmosfera terrestre. Sia la morfologia della scarica sia la modalità di propagazione sono insolite: i fulmini assumono la forma caratteristica di una gigantesca "carota", propagandosi nell'aria estremamente rarefatta dell'alta atmosfera. I fulmini sono stati registrati da meteorologi cinesi che monitoravano con telecamere speciali una formazione di nubi temporalesche nel Mar della Cina Meridionale nel luglio del 2002, rilevando cinque distinti eventi. I fulmini hanno una vita brevissima, meno di un secondo, e sono pertanto molto difficili da scorgere a occhio nudo. Sembra che tali eventi siano accompagnati dalla generazione di onde radio a frequenze estremamente basse, in grado di interferire con le trasmissioni radio. Altre rare tipologie di fulmini d'alta atmosfera, i blue jets e gli stripes, fenomeni più deboli e diretti prevalentemente verso il basso, erano stati scoperti nei primi anni '90. Il nuovo tipo di fulmini, che raggiungono la ionosfera, non ha alcuna inferenza negativa sui comuni voli di linea, confinati a quote molto più basse, mentre potrebbe creare qualche problema a shuttle e satelliti. Potrebbero inoltre influenzare il chimismo dell'alta atmosfera terrestre, giocando forse un ruolo nella sintesi dello strato di ozono atmosferico. Nuove prove dalla Odyssey: Marte è pieno di ghiaccio I nuovi dati acquisiti dalla Mars Odyssey in orbita attorno a Marte lasciano ormai pochi dubbi: il ghiaccio d'acqua domina la composizione mineralogica dell'emisfero Nord del pianeta, con una dinamica stratigrafica complessa e affascinante. I neutroni rilevati dai sensori degli spettrometri di bordo sensibili ai raggi gamma sono infatti attribuibili a ghiaccio d'acqua, che giace al di sotto della coltre di ghiaccio secco d'anidride carbonica, esposto all'atmosfera in seguito alla sublimazione stagionale di quest'ultimo, durante la primavera marziana. Sembra che il permafrost superficiale di Marte arrivi a contenere fino al 90% in volume di acqua congelata, una quantità davvero considerevole, che apre ovviamente nuovi scenari anche sul futuro dell'esplorazione umana del pianeta. Le nuove stime sono state ricavate dall'elaborazione dei dati rilevati dai sensori della Mars Odyssey e della Mars Global Surveyor, l'altra sonda "sorella" che cartografa costantemente Marte. Mentre la prima è in grado di scandagliare il suolo fino a un metro di profondità, la seconda può calcolare il grado di sublimazione del ghiaccio secco durante la stagione calda marziana: il confronto tra le misurazioni ha consentito poi di ricavare densità e quantità dello strato d'acqua congelata sottostante. Il lavoro di squadra delle due sonde ha permesso anche di capire la natura fisica dello strato di ghiaccio secco che si accumula al polo nord: si tratta di materiale soffice e incoerente, più simile a un accumulo di neve piuttosto che a ghiaccio impaccato. E quando esso sublima, lo strato sottostante esposto è praticamente tutto ghiaccio d'acqua. Cesare Dolcin Autorizzazione n° 1038 del Registro della Stampa del Tribunale di Reggio Emilia, rilasciata il 20 Aprile 2001. Stampato in proprio. Antonio Claser Direttore Responsabile Coordinamento editoriale Staff scientifico Collaboratori di questo numero Cesare Dolcin Simone Dalla Salda, Cesare Dolcin