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LA FABBRICA DELLE IDEE.
Filosofia, cultura, informazione, editoria, agli inizi del ventunesimo secolo.
Verrebbe da dire: bel coraggio inventarsi una collana editoriale dedicata a “libri da ascoltare” in CD.
Diciamo che si tratta di un’operazione con qualche precedente, però di non grande successo. Diciamo
anche che l’editore di tale collana si chiama “Albo Versorio”, e che pubblica quasi esclusivamente testi
filosofici. Si tratterebbe, dunque, di disporsi ad ascoltare discorsi filosofici organizzati in forma orale.
Si tratta, certo, di una collana accanto alle altre già previste, ma è curioso che una piccola casa editrice,
sia pur fondata e condotta da giovani (per lo più laureati in Filosofia all’Università degli Studi di Milano)
decida di misurarsi su questo terreno un po’ rischioso, anche se l’intento di fondo appare tutt’altro che
improvvisato. Consiste, infatti, nel tentativo di rimettere in gioco il nesso antico tra scrittura e oralità, che
appare “perduto” nei recessi della tradizione. A detta dei curatori, si tratterebbe di vedere come (e se) il
parlato riesce a tradursi in scrittura, mettendo in gioco un’idea della filosofia intesa come messa in
questione dei luoghi comuni, per esempio, proprio il nesso scritto-parlato.
Resta in primo piano, nondimeno, la non-convenzionalità di un tale progetto. I “libri da ascoltare” fanno
pensare a una sorta di “aggiramento” della “profezia” di Marshall McLuahn, quella che prefigurava la
fine della cosiddetta “galassia Güttemberg”, vale a dire la fine del libro cartaceo, e la sua sostituzione
con quello elettronico (“profezia” – come si sa – giocondamente cavalcata negli ultimi anni del ‘900
proprio dai media cartacei). A pochi decenni di distanza, quella ormai mitica profezia parrebbe aver
subito una sconfitta campale. Oggi, infatti, siamo in presenza di una vera e propria esplosione, per molti
versi imprevedibile, del consumo di carta stampata. Mai si sono prodotto tanti libri (cartacei) e tanti
giornali (cartacei e anche gratuiti) come in questi ultimi anni, in questa era di tecnologia digitale
avanzata.
Di fronte a una tale inflazione di libri (e di scrittura facile, cioè fattualmente facilitata dal computer),
buona parte dei quali inutili e privi di spessore, l’interrogativo cruciale è il seguente: come muoversi in
un campo, indiscutibilmente elitario, come quello del libro filosofico, ovvero, come collocarsi nel
panorama editoriale proponendo una materia che tende a sfuggire per sua logica interna alla dinamica
del marketing, ma che di questa dinamica non può fare a meno? Altro interrogativo: come far arrivare al
di fuori di un pubblico di nicchia un oggetto come il linguaggio filosofico, così proverbialmente gravato
da una fama (non del tutto immeritata) di ermetismo iniziatico? La risposta dei giovani editori
sembrerebbe questa: è vero che la filosofia è in sé elitaria, ma è altrettanto vero che essa è capace di
scavare in profondità. Sfuggire a questo destino elitario, evitare di chiudersi in una nicchia dorata
restando sconosciuti e ignorati.
Donde il nome “albo versorio”, vale a dire, il bianco aratro, trainato dai buoi e condotto dal contadino
che spargeva il “negro semen”, come nell’antica iscrizione posta in esergo ai testi. Detto in brevi
parole, il progetto editoriale sembrerebbe questo: mettere in campo “una fabbrica delle idee”, misurarsi
con la filosofia oggi, aprire alle giovani intelligenze. E soprattutto trovare altri strumenti epressivi di
comunicazione filosofica, altre forme di scrittura filosofica all’altezza del presente, senza nulla cedere in
rigore e in coerenza.
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