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1
Bianca
Scienza e idee
Collana diretta da Giulio Giorello
D al catalogo
Étienne Klein
Sette volte la rivoluzione
I grandi della fisica contemporanea
Amir D. Aczel
Entanglement
Il più grande mistero della fisica
Robert Gilmore
Alice nel paese d ei quanti
Le avventure della fisica
Peter Goodchild
Il vero dottor Stranamore
Edward Teller e la guerra nucleare
Graham Farmelo
L’uomo più strano
del mondo
Vita segreta di Paul Dirac,
il genio dei quanti
KafjàelloCortimEditore
www.raffaellocortina.it
Titolo originale
The Strangest Man.
The Hidden Life of Paul Dirac, Quantum Genius
© 2009 Graham Farmelo
Faber & Faber Ltd.
Traduzione
Frédéric leva e Andrea Villa
ISBN 978-88-6030-569-5
© 2013 Raffaello Cortina Editore
Milano, via Rossini 4
Prima edizione: 2013
Stampato da
Consorzio Artigiano LVG, Azzate (Varese)
per conto di Raffaello Cortina Editore
Ristampe
0
1
2
3
4
5
2013 2014 2015 2016 2017
A mia madre
e in memoria d i mio padre
Bianca
INDICE
Prologo
1 . Fino all’agosto
13
1914
2. Agosto 1914 - Novembre 1918
3. Novembre 1918 - Estate 1921
4. Settembre 1921 - Settembre 1923
5. Ottobre 1923 - Novembre 1924
6.
Dicembre 1924 - Novembre 1925
21
39
51
75
85
113
7. Dicembre 1923 - Settembre 1926
135
8.
151
Settembre 1926 - Gennaio 1927
9. Gennaio 1927 - Primavera 1927
10. Primavera 1927 - Ottobre 1927
11. Novembre 1927 - Primavera 1928
12.
Aprile 1928 - Marzo 1929
13. Aprile 1929 - Dicembre 1929
14. Gennaio 1930 - Dicembre 1930
15. Primavera 1931 - Marzo 1932
16. Aprile 1932 - Dicembre 1932
17. Gennaio 1933 - Novembre 1933
18. Dicembre 1933
169
183
195
207
221
233
249
273
291
315
9
Indice
19. Gennaio 1934 - Primavera 1935
20. Primavera 1935 - Dicembre 1936
21. Gennaio 1937 - Estate 1939
22. Autunno 1939 - Dicembre 1941
23. Gennaio 1942 - Agosto 1946
24. Settembre 1946 - 1950
327
353
375
399
419
435
25. Primi anni ’5 0-1957
451
26.1958- 1962
471
27.1963 - Gennaio 1971
28. Febbraio 1971 - Settembre 1982
29. Autunno 1982 - Luglio 2002
30. Sul cervello e sulla personalità di Paul Dirac
489
511
533
547
31. Leredità
559
Note
573
Bibliografia
641
Crediti delle illustrazioni
657
Ringraziamenti
659
Indice analitico
667
10
N ei periodi in cui la forza di carattere era fre­
quente, lo era sempre anche l’eccentricità; e
la sua presenza in una società è generalmente
stata proporzionale a quella del genio, del vi­
gore intellettuale e del coraggio morale. Il fat­
to che oggi così pochi osano essere eccentrici
indica quanto siamo in pericolo.
JO H N STUART
m il l
,
Sulla libertà, 1859
Siamo nulla senza il lavoro di chi ci ha prece­
duto, quello dei nostri maestri e di altri nostri
contemporanei. Anche quando, pur nella m i­
sura della nostra inadeguatezza o della nostra
pienezza, vengono creati una nuova visione e
un nuovo ordine, siamo ancora nulla senza gli
altri. Eppure, siamo di più.
Reith Lecture,
20 dicembre 1953
JULIUS ROBERT OPPENHEIM ER,
Bianca
PROLOGO
Una buona dose di cattiveria e di egoismo verso i loro
bambini in genere non è seguita da gravi conseguenze
per gli stessi genitori. Ma costoro possono causare una
grave depressione nella vita dei loro figli per molti anni.
SAMUEL b u
t l er
,
Così muore la carne, 1903
Fu sufficiente un bicchiere di succo d’arancia corretto con
acido cloridrico. Qualche minuto dopo, divenne chiaro che i
suoi problemi di digestione erano dovuti a carenza cronica di
acido gastrico. Per mesi aveva dovuto subire periodici ricoveri
in ospedale, dove gli avevano somministrato vitamine per via
endovenosa, ma i medici non si erano mai resi conto del per­
ché la sua digestione fosse così faticosa. A quel punto, dopo
l’esperimento del succo d’arancia, un test di laboratorio sulle
sostanze chimiche presenti nel suo stomaco doveva conferma­
re che conteneva una quantità troppo bassa di acido gastrico.
La semplice prescrizione di una pillola da assumere alla fine di
ogni pasto pose termine a quasi ottant’anni di problemi di di­
gestione. Di conseguenza, Kurt Hofer, l’amico che aveva sugge­
rito l’esperimento e pronunciato la diagnosi corretta, divenne
suo malgrado il consigliere in materia di salute di Paul Dirac,
uno dei più prestigiosi - e più stravaganti - personaggi della
storia della scienza.
Sia Hofer sia Dirac lavoravano alla Florida State Universi­
ty; per il resto, non sembravano avere molto in comune. Hofer
- che aveva da poco superato i quarant’anni - era un luminare
13
Prologo
della biologia cellulare, e anche un brillante narratore di aned­
doti, che amava raccontare a ogni nuovo conoscente, a propo­
sito della gioventù trascorsa in mezzo ai contadini delle mon­
tagne austriache e del suo momento di gloria cinematografica
come comparsa, per altro ben pagata, in Tutti insieme appassio­
natamente (The Sound o f Music, 1965, regia di Robert Wise).
Gli occhi di Hofer luccicavano quando raccontava le sue
storie, la voce roca scendeva di tono e poi si alzava con enfasi,
e le mani parevano tagliare e plasmare l’aria come se si trattasse
di un impasto. Nonostante la piacevole compagnia, Dirac era
invece apatico, parlava solo quando doveva rispondere a una
domanda incalzante oppure, di rado, se aveva un commento
da fare. Una delle sue frasi favorite era: “Sono sempre di più le
persone che preferiscono parlare anziché stare ad ascoltare”.1
Dirac è stato uno dei più eminenti pionieri della meccani­
ca quantistica, che ha fornito la teoria contemporanea degli
atomi, delle molecole e dei loro componenti. Senza dubbio, la
conquista scientifica più rivoluzionaria del xx secolo, appunto
la meccanica quantistica, ha sradicato preconcetti di lunga da­
ta sulla natura della realtà e su ciò che, in teoria, poteva essere
conosciuto circa l’Universo. Ma si è anche rivelata di grande
utilità pratica, dal momento che costituisce il fondamento di
tutta l’odierna microelettronica. Inoltre, ha fornito una rispo­
sta a varie domande importanti rimaste a lungo irrisolte: per
esempio, perché l’elettricità fluisca facilmente attraverso il filo
di rame ma non attraverso il legno. Tuttavia, lo sguardo di Di­
rac si appannava quando si parlava delle conseguenze pratiche
e teoriche della fisica quantistica: lui si faceva coinvolgere solo
nella ricerca delle leggi fondamentali, quelle che descrivono le
componenti più antiche della struttura dell’Universo. Convin­
to che tali regole dovessero essere matematicamente eleganti,
una volta - in maniera per lui affatto inusuale - azzardò la con­
gettura, certo non controllabile, che “Dio è un matematico di
altissimo livello”.2
Le ambizioni di Hofer erano più modeste di quelle di Dirac.
Kurt si era fatto un nome nella ricerca sul cancro e sulle radia­
zioni, compiendo cauti esperimenti e cercando poi di scovare le
14
Prologo
teorie che spiegassero i risultati. Si trattava della tecnica tradi­
zionale “dal particolare al generale”, impiegata - almeno secon­
do lo stereotipo più comune - dal naturalista inglese Charles
Darwin, che aveva definito la propria mente “una macchina per
sfornare leggi generali da una larga raccolta di fatti”.’ Dirac,
classico esempio di pensatore “dal generale al particolare”,
aveva seguito l’approccio opposto, considerando la sua mente
alla stregua di un dispositivo per ipotizzare leggi in grado di
spiegare le osservazioni sperimentali. In una delle sue maggio­
ri imprese Dirac usò questo tipo di approccio per combinare
quello che pareva un matrimonio improbabile tra la meccanica
quantistica e la teoria della relatività di Einstein, nella forma di
una “bella” equazione che descrivesse l’elettrone. Poco tem­
po dopo, pur in assenza di indicazioni sperimentali che glielo
suggerissero, ricorse a questa stessa equazione per predire re ­
sistenza dell’antimateria, particelle in precedenza sconosciute,
dotate della stessa massa delle corrispondenti particelle della
abituale materia, ma di carica opposta. Il successo predittivo
di tale ipotesi rappresenta, per ampio consenso, una delle più
rilevanti conquiste della fisica teorica. Oggi, stando alla teoria
cosmologica standard dell’origine dell’Universo - sostenuta da
una vasta gamma di evidenze osservative - , sarebbe stata com­
posta di antimateria la metà del materiale generato all’inizio
del Big Bang! Da questo punto di vista, Dirac è stato il primo
a intrawedere l’altra metà dell’Universo primordiale, e tutto
ciò solo tramite la forza del ragionamento.
Hofer amava confrontare Dirac con Darwin: entrambi in­
glesi, entrambi a disagio in pubblico, entrambi responsabili del
cambiamento del modo di pensare degli scienziati circa l’Uni­
verso. Una decina di anni prima, era rimasto sorpreso nell’apprendere che Dirac stava per lasciare uno dei più importanti
dipartimenti di Fisica al mondo, quello presso l’Università di
Cambridge, in Inghilterra, per assumere un incarico alla Flo­
rida State University, in America, il cui dipartimento di Fisica
si trovava solo all’ottantatreesima posizione nella classifica usa.
Quando la proposta della sua nomina era stata discussa per la
prima volta, c’erano stati perfino malumori tra alcuni docenti,
15
Prologo
che ritenevano poco saggio offrire un posto a un uomo così an­
ziano. Le obiezioni erano cessate soltanto quando il direttore
del dipartimento aveva dichiarato in una riunione della facoltà
che “avere Dirac qui sarebbe come se la facoltà di Letteratura
inglese avesse chiamato Shakespeare”.4
Intorno al 1978 Hofer e sua moglie Ridy presero l’abitudi­
ne di far visita ai Dirac il venerdì pomeriggio, per rilassarsi un
paio d’ore dopo una settimana di lavoro. Partivano da casa lo­
ro, nei pressi del campus a Tallahassee, intorno alle quattro e
mezzo, e dopo due minuti a piedi arrivavano al numero 223
di Chapel Drive, dove i Dirac abitavano in una modesta casa a
un solo piano, a pochi passi dalla quieta zona residenziale. Da­
vanti alla casa c’era un prato in stile inglese su cui spiccavano
alcuni cespugli e una palma di Pindo. Gli Hofer ricevevano abi­
tualmente una calda accoglienza dalla moglie di Dirac, Manci,
sempre vestita in maniera elegante, che rideva, scherzava e di­
spensava bicchieri di sherry, noccioline e gli ultimi pettegolezzi
di facoltà. Dirac era estremamente esile e aveva le spalle curve;
vestito in maniera impossibile, con una camicia aperta sul collo
e un paio di vecchi pantaloni, era contento di starsene seduto
ad ascoltare la conversazione intorno a lui, mentre sorseggiava
un bicchiere d’acqua o al più di ginger ale. Le chiacchiere spa­
ziavano dalle questioni familiari alla politica locale in univer­
sità, o dalle aggressive dichiarazioni della signora Thatcher da
Downing Street all’ultimo discorso di Jimmy Carter alla Casa
Bianca. Sebbene Dirac si mostrasse affabile e attento, era tut­
tavia così riservato che spesso Hofer era costretto a estorcergli
una risposta: un cenno del capo, poche parole, qualsiasi cosa
rendesse la conversazione meno a senso unico. Solo occasio­
nalmente Dirac si lasciava andare a qualche parola in più a pro­
posito di una delle sue passioni personali: i valzer di Chopin,
Topolino o un qualsiasi programma televisivo in cui apparisse
la procace cantante Cher.
Nei primi due anni di tali visite Dirac non aveva mai dato
segno di voler parlare di sé o di provare un qualche sentimento
profondo, così che Hofer si trovò del tutto impreparato quan­
do, un venerdì sera della primavera del 1980, le emozioni trat-
16
Prologo
tenute del grande fisico all’improvviso vennero allo scoperto.
“Lo ricordo bene. Era più o meno come le mie altre visite, ec­
cetto che quella volta ero solo”, ha poi raccontato Hofer.
“Mia moglie aveva deciso di non venire perché era stanca,
essendo incinta agli ultimi mesi del nostro primo figlio.” All’i­
nizio di quella visita, Dirac si comportò normalmente e sembra­
va attento e disponibile ad ascoltare il dialogo che si svolgeva
intorno a lui. Dopo i consueti convenevoli, i Dirac colsero pe­
rò di sorpresa Hofer, quando lo accompagnarono dal salotto,
nella parte anteriore della casa - dove erano soliti conversare
il venerdì sera -, al più informale soggiorno sul retro, attiguo
alla cucina e affacciato sul giardino. Il gusto anni Trenta dei
Dirac si rifletteva negli arredi della stanza dominati dal legno
e nel pavimento in parquet: rivestimenti a pannelli su tutte e
quattro le pareti, e un’enorme credenza anni Venti coperta di
fotografie incorniciate del giovane Dirac; un lampadario fin­
to barocco pendeva dal soffitto, quadri senza alcuna traccia di
modernità riempivano quasi tutte le pareti.
Come al solito, Manci e Hofer chiacchieravano in mo­
do conviviale, mentre il fragile Dirac, sprofondato nella vec­
chia poltrona preferita, di tanto in tanto guardava immobile il
giardino attraverso i vetri delle porte scorrevoli. Per la prima
mezz’ora circa era restato silenzioso come sempre; ma improv­
visamente diede segno d’eccitazione quando Manci menzionò
gli antenati francesi di lui. Più precisamente, Dirac corresse
uno dei fatti storici evocati da Manci e cominciò a raccontare
delle origini della propria famiglia, nonché della sua infanzia
a Bristol, parlando fluentemente con la sua voce tranquilla e
chiara. Come un attore provetto, parlava con sicurezza, usan­
do frasi ricercate, senza fermarsi o correggersi. “Ero sorpreso:
per qualche ragione aveva deciso di rivolgersi a me in maniera
confidenziale”, doveva riferire Hofer. “Non l’ho mai visto di­
scorrere in maniera così eloquente in privato. ”
Dirac descrisse le sue lontane “radici” nelle campagne di
Bordeaux, nell’ovest della Francia, e riportò come la sua fami­
glia fosse emigrata in Svizzera, nel Canton Vallese, alla fine del
xvill secolo. Suo padre era nato a Monthey, una delle città in-
17
Prologo
dustriali della regione. Ma non appena iniziò a raccontare del
genitore, Dirac si agitò e si girò dalla parte opposta rispetto a
sua moglie e a Hofer, sistemandosi in modo da trovarsi proprio
di fronte al caminetto. Ora Hofer vedeva direttamente il pro­
filo del busto e del viso di Dirac: le spalle curve, la fronte alta,
i baffi appena accennati. L’aria condizionata e la televisione
erano spente, così che la stanza era silenziosa eccetto che per il
rumore occasionale del traffico, l’abbaiare dei cani dei vicini,
lo sbatacchiare del coperchio di una pentola che bolliva sul for­
nello. Dopo aver elencato i propri antenati con la precisione di
un genealogista, Dirac arrivò a raccontare la parte della storia
di famiglia in cui suo padre arrivava a Bristol e sposava sua ma­
dre, mettendo su famiglia. Il suo modo di parlare restava chia­
ro e diretto; quando iniziò a parlare della sua infanzia, però, la
voce prese a tremare. Hofer, osservando la silhouette di Dirac
messa a fuoco dalle prime luci della sera, era come paralizzato.
“Non ho mai conosciuto amore e affetto da bambino”, con­
fessò Dirac, mentre il tono solitamente neutro della sua voce si
tingeva in maniera evidente di rammarico. Uno dei suoi mag­
giori rimpianti era che lui, suo fratello e la sorella più piccola
non avevano avuto una vita sociale, ma avevano passato gran
parte del loro tempo fra le quattro mura di casa: “Nessuno ve­
niva a farci visita”. La famiglia era letteralmente dominata ricordava - dal padre, vero e proprio tiranno che maltrattava
la moglie, giorno dopo giorno, e pretendeva che i tre figli gli
parlassero nel suo nativo francese e mai in inglese. Al momen­
to dei pasti la famiglia si divideva in due: sua madre e i fratelli
mangiavano in cucina e discutevano in inglese, mentre Paul se
ne doveva stare seduto in sala da pranzo con il padre, conver­
sando solo in francese. Tutto ciò rendeva ogni pasto un’espe­
rienza drammatica per il piccolo Dirac: non aveva talento per
le lingue, e il padre era un maestro inflessibile. Ogni volta che
Paul commetteva un errore - una pronuncia erronea, una de­
clinazione non corretta o un congiuntivo sbagliato -, il padre,
di regola, lo puniva rifiutando la sua richiesta successiva. Que­
sto causava al ragazzo un’angoscia terribile. Già a quel tempo
soffriva di disturbi di digestione e spesso si sentiva poco be-
18
Prologo
ne mentre mangiava, ma il genitore gli negava il permesso di
alzarsi da tavola se aveva commesso un errore linguistico. In
questo caso a Dirac non restava altro che star seduto e vomita­
re: ciò non succedeva di rado, ma spesso; e doveva continua­
re per anni.
Hofer era esterrefatto, quasi non credeva alle proprie orec­
chie: “Mi sentivo tremendamente imbarazzato, come se stessi
spiando un amico mentre confessava i suoi più terribili segreti
al proprio analista”, ricorda. “Davanti a me stava un uomo, fa­
moso per la sua imperturbabilità e per la sua riservatezza qua­
si patologiche, che parlava apertamente dei demoni interiori
che lo avevano tormentato per quasi settantanni. Ed era così
arrabbiato, come se quei fatti si fossero svolti il giorno prima.”
Manci quasi non si muoveva, eccetto una volta per prendere
degli stuzzichini e del liquore, in modo da rinviare i preparativi
per la cena. Sapeva che, le rare volte in cui il marito decideva
di raccontare la propria storia, era meglio non interferire, in
modo che si sfogasse liberamente. Quando la sera si fece più
fredda, prese una coperta e gliela stese sulle gambe, proteggen­
dolo dal grembo sino alle caviglie. Hofer era di nuovo atten­
tissimo quando Dirac riprese a parlare spiegando perché fosse
così silenzioso e così a disagio durante una qualsiasi conversa­
zione: “Dal momento in cui capii che non riuscivo a spiegarmi
in francese, divenne meglio per me starmene zitto”.
Poi Dirac prese a parlare degli altri componenti della fami­
glia: “Non ero il solo a soffrire”, disse, ancora agitato. Per trentasette anni sua madre era rimasta prigioniera di un matrimonio
disastroso con un uomo che la trattava come uno zerbino. Ma
era il fratello a sostenere il peso maggiore della mancanza di
sensibilità del padre: “Era una tragedia. Mio padre lo trattava
male e frustrava le sue ambizioni in ogni occasione”. Con un
apparente cambio di registro, Dirac affermò quindi che il padre
aveva sempre apprezzato l’importanza di una buona educazio­
ne e che era stato rispettato dai colleghi perché coscienzioso e
gran lavoratore. Ma si trattò solo di un breve intermezzo: po­
co dopo, Dirac cercava di controllare la propria rabbia mentre
dichiarava di aver ormai pagato il debito con il genitore: “Non
19
Prologo
gli devo proprio nulla”. Quest’ultima aspra battuta fece trasa­
lire Hofer, che non riuscì a trattenere una smorfia. Dirac quasi
mai aveva pronunciato un giudizio così duro nei confronti di
qualcuno; ma eccolo lì, mentre criticava il proprio padre con
una veemenza che la maggior parte delle persone riserva ai più
efferati delinquenti.
Dirac smise di parlare all’improvviso, poco dopo mezzanot­
te. Il suo monologo era durato più di due ore. Hofer capì che
ogni sua parola sarebbe stata inappropriata; salutò in maniera
pacata e se ne andò verso casa, intontito ed esausto. Visto che
di lì a poco sarebbe stato anche lui padre, ripensò alla propria
infanzia in seno a un’amorevole famiglia: “Semplicemente, non
potevo concepire una fanciullezza tremenda come quella di
Dirac”.5Il tempo tende ad abbellire, a modificare e anche a ri­
creare i ricordi infantili: che Dirac - in genere privo di fantasia
come un computer - avesse esagerato? Hofer non riuscì a dar­
si la risposta, chiedendosi più volte: “Perché Paul è stato così
aspro, così ossessionato da suo padre?”.
Più tardi, la notte, dopo aver parlato con la moglie Ridy del
racconto fatto da Dirac della propria gioventù, Hofer decise di
scoprire altre cose su di lui. “Pensavo che si sarebbe confida­
to di nuovo in un nostro prossimo incontro”; Dirac non tornò
mai più sull’argomento.
20
1
Vino all’agosto 1914
La vita domestica inglese non è oggi né onesta o virtuosa
o sana, dolce o pulita né, in alcun modo credibile, tipica­
mente inglese. E ben visibile in molti aspetti il contrario.
Ge o r
ge
Be r
na r d sha w ,
Oh! Il matrimonio!..., 1908
Come si era reso conto Hofer, da anziano Dirac era osses­
sionato dal padre Charles. Molti dei conoscenti di Dirac, però,
non sapevano niente di costui: a casa Paul non permetteva che
venissero esposte delle foto del genitore e teneva i documenti
paterni chiusi a chiave nella scrivania. Di tanto in tanto, li ri­
leggeva e parlava con lontani parenti delle origini del padre,
apparentemente cercando ancora di comprendere l’uomo che,
a suo dire, gli aveva rovinato la vita.1
Paul Dirac sapeva che anche il genitore aveva sopportato
un’infanzia triste come la sua. All’età di vent’anni, nel 1888,
Charles Dirac, dopo aver fatto tre periodi di servizio militare
nell’esercito svizzero, aveva abbandonato l’università e se ne
era andato da casa, senza dire dove fosse diretto.2 Divenne
così un insegnante itinerante di lingue moderne - la materia
che aveva studiato negli anni universitari - e trovò posto a
Zurigo, a Monaco di Baviera e a Parigi, per approdare due
anni dopo a Londra. Non parlava bene l’inglese; così non è
chiaro perché scelse di vivere proprio in Inghilterra; forse,
perché si trattava dell’economia più avanzata del mondo,
con grande richiesta di posti da insegnante e salari relativa­
mente alti.
21
Fino all'agosto 1914
Sei anni dopo Charles aveva acquisito un certo numero di
buone referenze. Una in particolare, scritta dal preside di una
scuola di Stafford, dichiarava: “Monsieur Dirac è in possesso di
gran pazienza, combinata con fermezza [...]. Credo che egli sia
il più apprezzato sia dai colleghi sia dagli alunni”. Il suo datore
di lavoro a Parigi aveva lodato “la sua capacità di analizzare e di
generalizzare, che lo metteva in grado di far emergere i miei er­
rori e di aiutarmi a comprendere in maniera scientifica perché
si trattasse proprio di errori”. Charles si sistemò a Bristol, città
famosa per l’elevata qualità delle scuole, e l’8 settembre 1896
divenne direttore di Lingue moderne alla Merchant Venturers’
School, che era in rapido sviluppo, con l’incarico di insegna­
re 34 ore alla settimana per un salario annuale di 180 sterline.’
Spiccava tra i docenti per la sua coscienziosità, il suo forte ac­
cento franco-svizzero e il suo aspetto: era un uomo basso, tar­
chiato e lento, con i baffi spioventi, un’incipiente calvizie e il
viso contraddistinto dall’ampia fronte.
Forse Bristol era la più amabile tra le città industriali inglesi;
nota pure per la gentilezza degli abitanti, il clima dolce e umi­
do e le strade collinose che digradavano verso gli ormeggi del
fiume Avon, a 8 miglia dalla costa. Allora era un prosperoso
centro manifatturiero, dove si producevano il cioccolato Fry,
le sigarette Wills, le motociclette Douglas e vari altri beni. Tut­
te insieme, tali industrie avevano fatto superare il declino del
commercio marittimo, che per secoli era stato la principale fon­
te di ricchezza per la città, in gran parte basato sulla tratta degli
schiavi.4Per la maggior parte, gli imprenditori marittimi più
ricchi della città erano stati membri della Merchant Venturers’
Society, una lobby di industriali con una forte tradizione fi­
lantropica. Era stata proprio la generosità della Society che
aveva reso possibile il finanziamento della scuola di Charles
insieme con l’elevato standard dei suoi corsi e la disponibili­
tà di laboratori.5
Pochi mesi dopo l’arrivo a Bristol, durante una visita alla bi­
blioteca centrale, Charles aveva incontrato Florence Holten,
una simpatica bibliotecaria diciannovenne che sarebbe diven­
tata sua moglie. Sebbene non bellissima, era attraente e posse22
Fino all'agosto 1914
deva caratteristiche che avrebbe in seguito trasmesso al figlio
più celebre. Il suo volto ovale era incorniciato da riccioli neri e
il naso deciso emergeva in mezzo agli occhi scuri. Nata da una
famiglia di metodisti di Cornovaglia, Florence era stata educata
a credere che la domenica fosse un giorno di assoluto riposo,
che il gioco d ’azzardo fosse peccato e che il teatro fosse deca­
dente e andasse quindi evitato.6Aveva preso il nome dall’in­
fermiera Florence Nightingale, che suo padre Richard aveva
incontrato durante la guerra di Crimea, quando serviva come
giovane fante prima di diventare marinaio.7Spesso restava via
per mesi, lasciando la moglie e sei figli, dei quali “Fio” era la
secondogenita.8
Fio Holten e Charles Dirac erano una ben strana coppia. Lei
era di dodici anni più giovane, una sognatrice a occhi aperti
non interessata alla carriera, mentre Charles era un tipo deci­
so e gran lavoratore, anzi un devoto al proprio impiego. I due
erano stati allevati in religioni differenti e assai poco compa­
tibili. Lei proveniva da una famiglia di devoti metodisti e, di
conseguenza, era stata educata a disapprovare l’alcol; Charles
era cresciuto in una famiglia cattolica, e amava bere un bicchie­
re di vino durante i pasti. Il “papismo” era stato il pretesto di
scontri a Bristol e in altre città inglesi, così Charles all’inizio si
era tenuto per sé il suo credo cattolico. Se lo avesse svelato, la
sua relazione con la giovane Fio avrebbe fatto inarcare più di
un sopracciglio nella cerchia di lei.9
Nonostante le possibili tensioni religiose, nell’agosto del
1897 Charles e Fio si fidanzarono, sebbene Fio si sentisse già
abbastanza triste. Charles aveva deciso di “rompere l’incante­
simo” della loro relazione per visitare sua madre Walla, una
sarta di Ginevra, lasciando la fidanzata a immalinconirsi sotto
l’incessante pioggia di Bristol. Il padre di Charles era morto
l’anno prima. Era stato un giovane maestro di scuola assai rigi­
do, e in seguito capostazione ferroviario a Monthey, nella parte
sudoccidentale della Svizzera; ma era stato licenziato essendo­
si più volte presentato ubriaco al lavoro; tale disavventura gli
aveva lasciato il tempo per seguire la sua vera passione, quella
di scrivere poesie romantiche.10La parte svizzera della valle del
23
Fino all’agosto 1914
Rodano era stata la dimora della famiglia Dirac sin dal xvm se­
colo, quando, stando alla tradizione, si era trasferita lì dall’area
di Bordeaux, nell’ovest della Francia. Il nome di diverse città
in quella regione e nelle sue vicinanze finisce in -ac, come per
esempio Cognac, Cadillac, e un piccolo villaggio a circa 10 chi­
lometri a sud di Angoulème si chiama appunto Dirac.11Charles
credeva che la sua stirpe fosse originaria di lì, ma non ci sono
prove di ciò nei documenti di famiglia, ora conservati nel mu­
nicipio di Saint-Maurice, vicino a Monthey, dove il pittoresco
stemma dei Dirac - caratterizzato da un leopardo rosso con un
trifoglio sulla zampa destra, sotto tre pigne capovolte - è uno
dei più dipinti sui muri.12
I casuali ritardi postali facevano sì che le lettere di Charles
dalla Svizzera pervenissero in ordine sparso, facendo arrab­
biare Fio che desiderava che “le lettere arrivassero con l’e­
lettricità come vagoni di un tram”. Sarebbe passato un seco­
lo prima che gli innamorati a distanza beneficiassero di quel
modo di comunicare che lei presentiva in modo vago: la posta
elettronica!13 Sola e sconsolata, rileggeva più volte le missive
di Charles e quando la propria famiglia non la spiava dietro
le spalle rispondeva con nuove lettere, mentre i suoi non re­
sistevano a prenderla in giro per quello struggersi per “il mio
ragazzo”. Sforzandosi di trasferire i suoi sentimenti in parole
scritte, lei gli inviò una poesia piena di passione a cui, in ri­
sposta, lui spedì un mazzolino di stelle alpine che lei appese
intorno alla foto di lui.
Circa due anni dopo Fio e Charles si sposarono, “seguendo
il rito e le cerimonie dei metodisti stile Wesley” nella cappella
di Portland Street, uno tra i più antichi e imponenti edifici me­
todisti di Bristol. La coppia si trasferì quindi nell’abitazione di
Charles al numero 42 di Cotham Road - probabilmente in un
appartamento affittato - a pochi passi dalla casa della famiglia
di Fio a Bishopston, nella zona nord della città. Seguendo la
consuetudine, Fio smise di lavorare e rimase a fare la casalinga.
Qui lesse la notizia della prima scaramuccia della più recente
avventura dell’Impero britannico, la guerra contro i boeri in
Sudafrica. Presto ebbe altre cose per la testa: il primo figlio dei
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