Terapia Haart e HCV

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Board Scientifico Multidisciplinare
Terapia Haart e HCV
Andrea Beltrame e Massimo Puoti
Dall’avvento della terapia HAART, la causa di morte più frequente, nei soggetti con infezione da HIV, è
legata all’insufficienza epatica.
Questa è, quasi sempre, generata dalla coinfezione con virus C che provoca, in oltre il 70% dei casi,
un’epatite cronica. L’epatite cronica può evolvere, poi, in condizioni e percentuali diverse da soggetto a
soggetto, in insufficienza epatica, in cirrosi e in epatocarcinoma.
Fino ad alcuni anni orsono, i soggetti affetti da infezione da HIV ed epatite cronica HCV, venivano
monitorati dagli infettivologi e la terapia antivirale con interferone veniva prescritta in una percentuale
minima. Da alcuni anni, invece, grazie anche all’esperienza clinica e dai dati della letteratura, l’indicazione
alla terapia antivirale è diventata una priorità anche nella gestione clinica del soggetto affetto da HIV: la
terapia è rappresentata dall’associazione di interferone peghilato e ribavirina per una durata complessiva
che varia da sei mesi (nei pazienti affetti da epatite cronica HCV genotipo 2 e 3) ad un anno (nei pazienti
affetti da epatite cronica HCV genotipo 1 e 4).
Le percentuali di “guarigione”, ossia di negativizzazione permanente della viremia HCV e del rallentamento
dell’evoluzione verso la fibrosi epatica, variano a seconda del genotipo (i genotipi 2 e 3 hanno una risposta
migliore al trattamento), del sesso del paziente, dell’età, della condizione epatica, della condizione
immunovirologica, della aderenza alla terapia e di vari fattori, alcuni dei quali ancora non chiari, dal 20% al
70%.
In alcuni casi, la negativizzazione della viremia plasmatica di HCV è una condizione transitoria e, al termine
del ciclo terapeutico, la viremia di HCV può ripresentarsi.
Molto temuti sono gli eventi avversi causati dalla terapia con interferone e ribavirina: tra essi i disturbi del
tono dell’umore, l’anemia, la diminuzione dei globuli bianchi e delle piastrine, i disturbi cutanei, la perdita
di peso, la stanchezza.
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Questi disturbi devono essere monitorati e possono essere limitati da terapie mediche e farmcologiche
opportune.
A poter causare danno a carico della funzionalità epatica, nel soggetto HIV+, vanno considerati anche altri
fattori.
Tra i virus, va considerata l’epatite cronica HBV, contro la quale, attualmente, utilizziamo in genere farmaci
attivi anche sul virus HIV, come lamivudina, emtricitabina e tenofovir.
Vanno poi considerate dannose anche le sostanze di abuso, in particolare l’alcool e alcuni farmaci.
Tra i farmaci antiretrovirali, meno epatotossici risulterebbero i farmaci di nuova generazione, mentre, nei
soggetti con epatopatia, andrebbero esclusi vecchi farmaci quali didanosina e stavudina.
Dal 2002 è possibile anche in Italia, effettuare trapianti di fegato nei soggetti affetti da infezione da HIV: i
criteri di inclusione al trapianto, così come le liste di attesa, sono simili a quelli per i soggetti non HIV
positivi. Sono necessari, in aggiunta, un buon compenso immunovirologico e l’assenza di patologie AIDS
correlate.
Attualmente, sono attivi diversi centri che hanno effettuato complessivamente un centinaio di trapianti di
fegato e le criticità sono, per lo più da riferire all’infezione da HCV che può rimanifestarsi anche con quadri
di epatite acuta nel post-trapianto.
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