tra tra alla ricerca della felicità e dello status ormai perduti

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7 aprile 2013
IL CAFFÈ
LA SOCIETÀ
ALLA RICERCA
DELLA FELICITÀ
E DELLO STATUS
ORMAI PERDUTI
LO SCANDALO
C’ERANO
UNA VOLTA
I PARADISI
FISCALI
L’INCONTRO
ALLE PAGINE 32 e 33
SPIGNESI A PAGINA 35
ZOIS A PAGINA 43
ORIETTA BERTI:
“I TALENT SHOW
FABBRICANO
DEGLI ILLUSI”
VIRGOLETTE
TRA
RIFLESSIONI D’AUTORE tra CULTURA | STILI | SPORT | INCONTRI
UNA SETTIMANA, UNA PAROLA
“
È UNA SORTA
DI POPULISMO
ECONOMICO
USATO
NEI MOMENTI
DI GRAVE CRISI
MA CHIUDERSI
NON FA
MAI BENE
SPECIALMENTE
QUANDO
L’ECONOMIA
FUNZIONA.
COME
AVVIENE
IN SVIZZERA
Protezionismo
LORETTA NAPOLEONI
I
l protezionismo è una sorta di populismo economico usato nei momenti di grave crisi, quando la
politica non è più in grado di garantire il benessere della popolazione. La sua efficacia è minima, anzi spesso è un boomerang perché peggiora, invece di migliorare, le condizioni economiche di
chi lo promuove. Negli Stati Uniti, dopo il grande crollo
del ‘29, l’impopolare presidente Hoover ricorse al protezionismo e con la legge Smoot-Hawley aumentò i
dazi doganali. Questa decisione innescò una spirale
recessiva che fece contrarre il commercio internazionale del 40 per cento dal 1929 al 1934. Il protezionismo
inasprì la depressione: le esportazioni americane crollarono, passarono da 2,3 miliardi di dollari nel 1929 ad
appena 787 milioni di dollari nel 1933. Soprattutto il
bilancio negativo delle politiche protezioniste di Hoover si fece sentire sull’occupazione, tra il 1930 ed il 1933
il tasso di disoccupazione americano passò dal 7,8 al
In Ticino il numero dei frontalieri è arrivato a circa 55
mila, di cui il 7 per cento giovani sotto i 25 anni. Nel
2012 si è registrato un tasso di crescita tra il 4 ed il 5 per
cento, mentre dal 2002 l’incremento complessivo è
stato del 10 per cento. Ci troviamo di fronte ad un’impennata dei dati dell’occupazione legata alla crisi economica italiana, questo è innegabile. Ma ciò non significa che la manodopera italiana minacci quella svizzera.
C’è chi sostiene il contrario: i frontalieri non solo sot-
COLPI DI TESTA
LIDO CONTEMORI
traggono lavori ai residenti ma accettando salari più
bassi degli svizzeri producono il temutissimo dumping
salariale. Questo il mantra che giustificherebbe una revisione degli accordi bilaterali, con l’Unione europea,
appellandosi alla clausola di salvaguardia, che limita il
numero della manodopera straniera. In realtà i frontalieri non rientrano in questa categoria poiché risiedono fuori della Svizzera. Soluzione del problema: i datori di lavoro svizzeri potrebbero discriminare a favore
dei lavoratori svizzeri. Ma i dati dell’occupazione e della disoccupazione ci dicono che non ce n’è bisogno.
L’aumento del numero dei frontalieri nel 2012 corrisponde ad un incremento dell’occupazione legato al
fatto che l’economia Svizzera, a differenza di quella italiana e di gran parte delle nazioni dell’Europa Unita,
cresce. In Ticino, poi, su una popolazione attiva di
180mila persone in media, di cui circa 170mila sono
occupati residenti, il tasso medio di disoccupazione
C’è un’impennata del numero di
frontalieri. Ma ciò non significa che gli
italiani minaccino i posti degli svizzeri
Il tasso dei senza lavoro è basso
se si tiene conto che il 2% rientra
nella disoccupazione funzionale
25 per cento. Non è dunque vero che politiche miranti
a “proteggere” l’industria e l’economia nazionale sono
benefiche per l’occupazione. Ma la tentazione di “proteggere” in questo modo i propri lavoratori è sempre
forte.
Negli ultimi mesi in Svizzera, come in Gran Bretagna,
si è accesso il dibattito sull’emigrazione e su come regolarizzarla. In Ticino, in particolare, si discute animatamente del ruolo dei frontalieri e sulla possibilità di
contenerne il numero. La crisi del debito sovrano e la
recessione a questa connessa hanno trasformato queste due nazioni, entrambe fuori da Eurolandia, in ambite mete per i disoccupati e sotto-occupati europei. In
questi Paesi c’è lavoro, specialmente per i giovani,
mentre in Italia o in Spagna la disoccupazione giovanile è ai massimi storici. E la domanda che tutti si pongono è la seguente: i frontalieri sono un pericolo per gli
svizzeri e per l’economia del Paese?
cantonale è del 4,2 per cento annuo, basso se si tiene
conto che un 2 per cento appartiene alla disoccupazione funzionale (gente che cambia lavoro o che è in procinto di trovarlo) tipica delle economie sane. Complessivamente 7.095 disoccupati (media ultimi 12 mesi) rispetto a 55 mila frontalieri, ecco la proporzione che abbiamo in Ticino, un rapporto che non convalida la tesi
del frontaliere che ruba il lavoro al ticinese. O, quantomeno, quest’effetto sostituzione non è poi così eclatante come si vorrebbe lasciar intendere.
Se poi guardiamo ai settori di sbocco, si nota che i frontalieri svolgono soprattutto lavori che agli svizzeri non
piacciono, è il caso del settore industriale e di quello
edilizio dove tradizionalmente lavorano gli italiani, o
settori che richiedono specializzazioni poco popolari
in Ticino, ed è questo il caso del comparto sanitario.
Chiudersi non fa mai bene, specialmente quando
l’economia funziona. Come succede in Svizzera.
DOMENICA
LIBERO D’AGOSTINO
UNA NUOVA
TERZA VIA
PER LA SVEZIA
S
ino al 1970 la Svezia
era uno dei Paesi più
ricchi del mondo, poi
era cominciato un declino durato quasi un quarto
di secolo. Dal 1993 è iniziato un ventennio di ripresa, con una crescita del
Pil, sino al 2010, del 2,7 % e
nello stesso tempo un forte aumento della produttività. Tra il 1993 e il 2013 la
spesa pubblica è stata ridotta dal 67% al 49% del
Pil, si è sfoltito il sistema fiscale, allentando anche la
pressione contributiva su
cittadini e imprese. In
questi anni si è dimezzato
il debito pubblico e si sono
aperte la scuola e l’assistenza agli anziani alle imprese private. Una rivoluzione, di cui nesuno parla,
per il Paese modello di
uno statalismo che accompagnava il cittadino
dalla culla alla tomba.
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