Università e ricerca: non basta parlarne

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UNIVERSITA’ E RICERCA
Università e ricerca:
non basta parlarne
DI MARTA RAPALLINI
UNIVERSITA’ E RICERCA Alcuni politici e addetti ai lavori continuano a
sprecare fiumi di parole sul ruolo che esse dovranno (o dovrebbero) avere nella
società, in Italia come in Europa; sugli investimenti che esse dovranno (o
dovrebbero) ricevere dallo Stato e dai privati, sulle riforme al sistema nazionale
dell’alta formazione e della ricerca. Apparentemente sta crescendo la consapevolezza
del fatto che le sfide del futuro richiedano di investire in conoscenza e che
l’università sia lo snodo della società della conoscenza per il suo rapporto privilegiato
tra formazione, ricerca e innovazione.
E’ riduttivo pensare che l’attuazione degli obiettivi stabiliti a Lisbona sia un tema
settoriale della politica italiana, un settore di nicchia per addetti ai lavori. I saperi
sono l’alfabeto, le riserve di energia e le fondamenta della società. Investire nel
sapere vuol dire investire nel capitale umano premiando merito e talento, vuol dire
più innovazione per i più competitive, vuol dire lavoratori più preparati alla
flessibilità (non precarietà) che il mondo del lavoro oggi impone, vuol dire
aumentare l’equità sociale e di genere, vuol dire spingere la società verso nuovi
equilibri più equi e più innovativi. Tutto questo a possibile.
Si deve però ammettere, con rammarico, che passare dalle parole alle azioni richiede
un’«energia politica» che il governo di centrosinistra non sta ancora mettendo in
campo. Perche?
Sono diversi i motivi di questa arretratezza italiana. Un’arretratezza che si misura
abitualmente in termini di investimenti: l’Italia investe in R&S una percentuale del
PIL molto inferiore alla media europea. Questo dato a si una delle cause del forte
disagio che il nostro sistema pubblico di alta formazione vive, anzi forse la p i ù
importante, ma a anche a sua volta effetto dell’immagine che il sistema offre di se.
Il sistema dell’alta formazione rappresenta una delle componenti p iù avanzate della
nostra società in termini di conoscenza, tanto che dovrebbe esserne un’icona per
l’innovazione tecnologica e culturale e offrire al resto del sistema pubblico
nazionale un esempio positivo cui tendere. Non e però cosi. L’università italiana
non offre un esempio avanzato per quanto riguarda l’e-government (poche
università, per fare un esempio, offrono un sistema completo di gestione informatica
della burocrazia), per quanto riguarda la valorizzazione dei giovani (l’età media dei
docenti universitari a di 51,5 anni), per quanto riguarda la trasparenza delle proprie
procedure, ecc. Questi fattori rendono opache le università italiane e non
favoriscono certo il riconoscimento sociale delle persone che vi lavorano. I giovani
impegnati net campo della ricerca in Italia lavorano troppo spesso in condizioni di
precarietà (non flessibilità) e con scarse retribuzioni, rendendo palese agli occhi di
tutti quanto siano considerati non risorse del sistema, ma costi.
A questo proposito è necessario ricordare che l’Europa chiede da anni agli Stati membri di
«offrire ai ricercatori carriere sostenibili» che i ricercatori «vengano trattati come
professionisti e considerati parte delle istituzioni in cui lavorano». E ancora:
«l’esistenza di carriere migliori a pii visibili contribuisce anche allo sviluppo di un
atteggiamento positivo del pubblico nei confronti della professione di ricercatore,
spingendo con ciò p i ù giovani ad abbracciare una carriera nel settore delta ricerca»
(Raccomandazione della Commissione Europea dell’11 marzo 2005 riguardante la Carta Europea dei ricercatori e il
codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori).
L’Italia a ancora motto lontana da questi
principi.
Infine, assistiamo oggi al continuo succedersi di casi di malauniversità. La stampa
riporta continuamente esempi di nepotismo nei concorsi, di spreco di fondi pubblici,
di frodi nell’accesso ai torsi di laurea.
Raccomandazione della Commissione Europea dell’11 marzo 2005 riguardante la
Carta europea dei ricercatori e il codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori.
Insomma, l’università soffre dei più tipici mali della società italiana. Tutto ciò ha
anche l’effetto di offuscare gli ottimi esempi che tante realtà universitarie italiane
offrono.
Non si può biasimare fino in fondo un governo che, in questo momento di forte
razionalizzazione della spesa pubblica, stenti ad investire in un campo in cui le
strutture che rappresentano il sistema non offrono sufficienti garanzie di efficacia
per gli investimenti. Pero un buon governo non si pub limitare a questa posizione,
pena il declino. E necessario invece che metta in atto da subito misure finalizzate a
rendere efficaci i finanziamenti. L’università italiana ha bisogno di essere sostenuta
dallo Stato per il ruolo che essa deve rivestire nella società. Sostenere l’università
significa finanziarla adeguatamente con fondi pubblici e incentivare l’uso di fondi
privati. Lo Stato ha la comprensibile necessità che i suoi investimenti siano quanto
più possibile, efficaci, ovvero che gli investimenti nel sistema pubblico dell’alta
formazione e della ricerca siano in grado di produrre risultati concreti in termini di
diffusione e di ampliamento degli orizzonti delle conoscenze, valorizzando e o
sfruttando» il merito delle persone e spingendo l’Italia a confrontarsi sempre di più
con la realtà internazionale. In conclusione, serve un nuovo patto tra la società e il
sistema universitario e della ricerca, che lo finanzi in modo coerente e mirato.
Questa e una sfida che il Partito Democratico che sta nascendo deve raccogliere:
attuare la Strategia di Lisbona in tutti i suoi aspetti, dare priorità agli investimenti
nel sistema dell’alta formazione e della ricerca, perche una politica realmente
riformatrice deve partire da una grande fiducia per la ricerca e l’università.
L’analisi della situazione in cui versa il sistema universitario nazionale a una realtà
che non va nascosta, ma per pervenire ad una soluzione non ci si può mettere nelle
mani di uno solo, serve i1 contributo di tutti. Non è più procrastinabile per chi
governa, per chi progetta strategie politiche, per chi opera nel sistema, un
cambiamento di passo per concorrere, ognuno con il proprio ruolo e il proprio senso
di responsabilità, a mettere il sistema di alta formazione e ricerca sulla strada giusta
per diventare competitivo, un investimento strategico, perche svolga quel ruolo
indispensabile che la società della conoscenza gli assegna.
Il governo nel suo insieme, ma soprattutto il ministero dell’università e della
ricerca, deve introdurre politiche coraggiose nel sistema delle autonomie
universitarie, da attuare con processi trasparenti, capaci di contrastare il
nepotismo, il corporativismo e il localismo che impoveriscono, perche mortificano
il merito e il talento delle persone migliori. Occorre mettere a sistema la
valutazione, valorizzando il merito e rendendolo l'unico criterio delle scelte per i
reclutamenti, per gli avanzamenti di carriera e per i finanziamenti della ricerca. Per
farlo è necessario anche vincere la difficile battaglia contro le briglie burocratiche in
cui il ministero stesso si è intricato, con il risultato di impedire, fino ad oggi, il pieno
dispiegarsi del progetto politico, più volte espresso dai responsabili del dicastero e
pienamente condivisibile.
Governare bene significa non solo legiferare bene (nonostante siano una pane
importante del nostro sistema amministrativo anche amministrare bene.
I ricercatori, i professori, chi lavora nel settore della ricerca e formazione, soprattutto
coloro che hanno condiviso il programma proposto dalla coalizione di centrosinistra,
non devono perdere la fiducia nel cambiamento, devono aiutare e f a r s i promotori di
una sollecitazione costruttiva negli ambienti in cui operano, vincendo le inevitabili
resistenze conservatrici e corporative. E necessario che si ricrei nel sistema
dell’università e della ricerca un ambiente motivato, fiducioso e consapevole di essere
la leva più importante che l’Italia ha per innovarsi aumentare la sua competitività.
II Partito Democratico dovrà assumere un guida di questo processo, stimolando e
sostenendo l’azione riformatrice del governo, contribuendo all’elaborazione del
progetto politico che ne è alla base e svolgendo il ruolo fondamentale di cerniera tra i
cittadini e le istituzioni, in questo caso tra chi lavora nel settore della ricerca e
dell’alta formazione e il governo.
Il progetto politico da promuovere deve basarsi sul rafforzamento dell’autonomia
delle università e del sistema pubblico della ricerca, garantita da risorse ma anche
dalla dovuta responsabilità verso lo Stato e i cittadini.
Non è l’autonomia delle università la causa di tutti i suoi mali, come invece in molti
oggi credono, ma piuttosto la mancanza della necessaria responsabilizzazione dei
principali attori del sistema universitario.
I temi da affrontare sarebbero ovviamente numerosi ma, senza pretesa di
completezza, si cercherà di analizzare quelli considerate i cardini su cui impostare i
futuri sviluppi del nostro sistema.
Uno strumento e due obiettivi. Innanzitutto bisogna investire s valutazione, strumento
indispensabile per una «sana» autonomia. obiettivi primari sono poi la valorizzazione
del capitale umano (studenti, ricercatori, docenti e personale) e la progettazione di
nuovi strumenti di governo degli atenei e del sistema coerenti con il nuovo ruolo
l’università e della ricerca pubbliche nella società.
LA VALUTAZIONE In Italia manca la cultura della valutazione, e non solo per il
sistema universitario. Si pensi a quanto avviene nella Scuola e nella pubblica
amministrazione. La valutazione non va invocata come parola magica, ma deve
diventare una «buona pratica» diffusa. Solo valutando strutture, programmi,
persone, risultati e investimenti si possono prendere decisioni responsabili mirate at
miglioramento del sistema. La finanziaria 2007 ha istituito l’ANVUR (Agenzia
nazionale di valutazione del sistema dell’università e della ricerca), che rappresenta
un passo decisivo per allinearci agli altri sistemi europei, nei quali la valutazione a
già pane integrante di procedure e finanziamenti. L:ANVUR avrà però bisogno di
tempi di attuazione lunghi. Ma il sistema non può aspettare, bisogna continuare a
investire nei comitati nazionali (CNVSU e CIVR),-che rappresentano il seme da cui
nascerà l’Agenzia e che garantiscono fin da subito una relazione tra esito delta
valutazione e una quota di finanziamento, non consolidabile, che gli atenei possono
ricevere solo a seguito di esito positivo di processi valutativi, cioè un finanziamento
premiale. Fin da adesso sarebbe inoltre indispensabile promuovere, all’interno delle
università e delle società scientifiche a tutti i livelli, un dibattito concreto e
approfondito sui criteri, sui modi di valutazione e sugli oggetti della valutazione.
Esso non serve solo a rendere partecipe il sistema dell’università e della ricerca di
questo processo, ma anche a stimolare il contributo attivo della comunità scientifica:
affinché la valutazione sia efficace essa deve infatti essere condivisa e trasparente.
VALORIZZAZIONE DEL CAPITALE UMANO: STUDENTI, DOTTORI DI
RICERCA E PERSONALE DOCENTE E RICERCATORE Gli studenti Gli
studenti devono essere parte viva, attiva, propositiva dell’università; non clienti né
meri utenti. La loro partecipazione alla vita universitaria intensa in senso lato deve
essere ampliata e valorizzata.
Gli studenti hanno il diritto di partecipare alla vita sociale e gestionale dell’università,
di poter godere di strutture di didattica e di ricerca adeguate, di una offerta formativa
di qualità o comunque chiara, di poter disporre di spazi per lo studio individuate e
collettivo e di un contesto adeguato di cultura e di attività sociali. In questo quadro e
giusto inserire politiche di diritto allo studio mirate al sostegno degli studenti «capaci
e meritevoli anche se privi di mezzi», come recita il dettato costituzionale, affinché
sia loro garantito il diritto «di raggiungere i gradi più alti degli studi». Oggi la
provenienza sociale pesa ancora troppo per il successo degli studi: mentre il 60% dei
figli di genitori laureati si laurea a sua volta, solo il 40% dei figli di diplomati ottiene
la laurea.
L’aumento del numero degli studenti universitari, favorito dalla riforma
dell’ordinamento nei tre cicli di laurea, ha portato con se l’aumento delle risorse
necessarie al diritto allo studio. Troppo spesso, pero, si e risposto in modo
inadeguato a questa richiesta, decentrando gli atenei mediante un proliferare di
«poli didattici» disseminati sul territorio. Portare l’università sotto casa non a pero
la risposta giusta all’eccessivo costo che la frequenza degli studi universitari nelle
sedi proprie comporta. L’università deve essere un luogo in cui si esercitano
didattica e ricerca, perche e la feconda corrispondenza tra le due che genera
1’ambiente culturale necessario alla formazione universitaria e troppo spesso la
disseminazione di micro atenei non consente questa doppia valenza.
Gli studenti hanno il diritto di scegliere la cede universitaria più consona al percorso
didattico che intendono seguire, coerente alle proprie aspirazioni professionali e non
necessariamente quella più vicina alla propria residenza. Anche in questo senso deve
essere inteso il diritto allo studio.
Oltre all’importanza della mobilità sul territorio nazionale, diventa sempre più
importante favorire la mobilità internazionale degli studenti. Sono ancora troppo
pochi gli studenti italiani che hanno l’opportunità di partecipare a scambi con le
università europee e ancora meno sono gli stranieri che v e n g o n o i n Italia.
Dottori di ricerca Bisogna inoltre investire sui dottori di ricerca in termini
economici, di potenziamento del loro numero, della qualità della loro formazione e
di valorizzazione nel mondo del lavoro. Il dottorato di ricerca è il terzo (e ultimo)
livello della formazione universitaria, ma in Italia non molti lo sanno. II dottorato
forma gli studenti laureati alla ricerca con la ricerca.
I principi di Salisburgo (Bologna seminar, Doctoral Programmes for the European Knowledge Society,
Salisburgo 2005) affermano chiaramente che un dottorando è contemporaneamente uno
studente e un early stage researcher. E’ necessario dare il giusto valore ad
entrambe le valenze, non avvalendosi di una per negare i diritti dell’altra. II
dottorando come studente ha diritto a godere del diritto allo studio, in attuazione
della nostra Costituzione; come early stage researcher ha diritto a non essere relegato
nell’ambito del lavoro precario. Serve una riforma del dottorato mirata al
miglioramento delta qualità dei corsi, ma grande importanza riveste anche la
valorizzazione del dottore di ricerca per il suo inserimento nel mercato del lavoro,
senza porre la limitazione all’ambito universitario. L’innovazione si trasferisce sulle
gambe delle persone e il dottore di ricerca, che si è formato alla ricerca con la
ricerca, può portare con se il seme dell’innovazione in tutti i contesti in cui a
chiamato a lavorare: oltre che nelle università e negli enti di ricerca, anche nelle
imprese e nella pubblica amministrazione. In generale, ogni forma di
riconoscibilità pubblica del titolo di dottore di ricerca aiuta a dare cittadinanza
condivisa e quindi a potenziare questo livello della formazione universitaria:
Personale docente e ricercatore Urge poi riavviare il reclutamento del personale docente
e ricercatore dell’università, ma occorre farlo bene, garantendo che sia il merito
l’imprescindibile parametro di selezione. La valutazione del capitale umano non
può prescindere da un sistema di selezione chiaro e veramente meritocratico. E’
evidente quindi che solo introducendo seri e stringenti criteri di valutazione didattica
e scientifica, il reclutamento del personale docente e ricercatore non sarebbe più
l’oggetto preferito su cui sfogare le «dialettiche» accademiche, ma diventerebbe uno
strumento per ottimizzare il rendimento degli atenei stessi e sarebbe un vero argine
alla fuga dei cervelli.
La Legge finanziaria del 2007 ha previsto che per le procedure di reclutamento dei
ricercatori si dovesse emanare un apposito regolamento che indicasse nuove
modalità di espletamento dei concorsi garantendo procedure «celeri, trasparenti e
allineate agli standard internazionali».
In qualunque procedura concorsuale per il reclutamento di personale docente
all’università esistono e vanno tutelati diversi interessi legittimi: quello dei
candidati, che hanno diritto ad essere valutati secondo criteri chiari, trasparenti e
scientificamente consistenti; quello delle comunità scientifiche nazionali e
internazionali, uniche depositarie dei valori scientifici condivisi di riferimento;
quello delle strutture didattiche e scientifiche dell ’ateneo, che accoglieranno il neo
assunto; e infine, l’interesse, forse il più trascurato fino ad oggi, dell’ateneo che
recluta. E sempre più importante, nella strada verso la piena autonomia responsabile
degli atenei, che 1’ateneo abbia la responsabilità della scelta di reclutamento, in
quanto la sua qualità complessiva in termini di didattica e di ricerca e fortemente
correlata alla qualità del suo personale docente e quindi, anche e soprattutto, alla
qualità del reclutamento. Le procedure concorsuali messe in atto in passato hanno
visto il prevalere di uno o due interessi sugli altri e sono quindi sono risultate carenti
da diversi punti di vista. Oggi e evidente a tutti che a indispensabile tutelare e far
coesistere tutti gli interessi in gioco, rendendo trasparenti le relative responsabilità,
assegnando a ciascuno un ruolo coerente con la propria natura e varando finalmente
una chiara valutazione ex post delle scelte autonome degli atenei.
Va inoltre sfatato un mito: non esiste la procedura di valutazione perfetta, ovvero la
procedura che riesca ad equilibrare perfettamente tutti gli interessi in gioco in
qualunque situazione, ne a possibile che una procedura, locale o nazionale che sia,
possa ovviare ad una eventuale carenza di deontologia nei diversi protagonisti del
sistema. In aggiunta, la procedura di reclutamento deve essere coerente con il
modello di università autonomo che vogliamo, perchè non e l’autonomia la causa dei
difetti delle procedure attuali, ma l’assenza di una chiara responsabilità nell’atto di
reclutamento e di conseguenti ricadute, anche economiche, sul sistema. Questi criteri
dovranno essere alla base di tutte le nuove procedure di reclutamento, perchè
trasparenza, valore del merito e allineamento agli standard internazionali sono
principi insostituibili a prescindere dal ruolo che si vuole reclutare.
NUOVI STRUMENTI DI GOVERNO Il sistema ha urgente bisogno di nuove regole
di governo. Le università dal punto organizzativo appaiono feudi del passato, ancora
gestite gerarchicamente e poco aperte ai necessari processi di osmosi con la società
La legge 168/1989 ha introdotto 1’autonomia degli atenei, ma in questo nuovo
quadro non si sono ancora sviluppate coerenti forme di governo. Non vi può essere
vera autonomia se non in un contesto di responsabilità chiare che evitino ogni opaca
confusione di poteri operando una continua valutazione esterna dei risultati da parte
di tutti i portatori di interesse.
Negli ultimi anni a cambiato anche il ruolo sociale dell’università, sia per il maggior
numero di studenti che affrontano gli studi universitari, sia per il diverso ruolo che
l’università riveste nel suo contesto territoriale socioeconomico. Sono decisamente
aumentate, e lo dovrebbero essere ancora di le relazioni tra il sistema della
formazione e della ricerca e lo sviluppo del territorio su cui agisce. Questa maggiore
complessità, associata all’autonomia dell’ateneo, rende necessario un nuovo sistema
di governo che garantisca una gestione più efficace e più trasparente delle risorse
pubbliche garantita da procedure di valutazione esterna.
Qualche priorità: ricomporre l’unitarietà della dimensione della ricerca e della
didattica nell’ateneo; separare nettamente, come in tutti i sistemi democratici, il
potere di governo e di amministrazione da quelli di regolamentazione, di garanzia e
di controllo; garantire a tutti gli attori del sistema universitario (docenti, personale
tecnico-amministrativo, ricercatori e studenti) una partecipazione piena al livello
decisionale dell’ateneo; limitare la durata del mandato del rettore a cinque o sei anni
senza possibilità di rinnovo, perche il passaggio elettorale intermedio, data la
limitatezza dimensionale del corpo elettorale di ateneo, si svolge necessariamente in
un regime di democrazia «viziata», che e uno rischi insiti nei passaggi decisionali di
tutte le piccole comunità.
I temi trattati sono imprescindibili per riprendere un filo interrotto di riforme del
nostro sistema dell’alta formazione e della ricerca. Il Partito Democratico dovrà
portare questo pesante fardello. Se saremo in molti a sostenerlo, ce la farà.
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