Appunti morali / 10

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Appunti morali / 10
sabato 2 maggio 2015
Droga oggi
di Giona Mattei*
Riflessioni etiche su temi che, all’interno
della nostra società, sollevano
interrogativi morali: ma, in fondo,
cosa è giusto o sbagliato fare?
Oggi, proviamo a osservare tutte
le implicazioni di un dilemma sempre
pendente e sempre energicamente
dibattuto: depenalizzare o meno le droghe?
Fra libertà individuale e interesse
pubblico, un problema politico in cui forse
anche la cultura riveste un ruolo centrale.
Perché non sono libero di farmi una canna
quando, come e dove voglio? Fumare uno spinello che male arreca agli altri e alla società?
Se la mia libertà finisce dove inizia la libertà
degli altri, potrei anche convenire che non è il
caso di fumare in faccia a qualcuno che non
desidera essere affumicato, così come non è
del tutto opportuno mettermi alla guida quando sono un po’ fatto.
Ma al di là dei rischi legati alla pubblica sicurezza e dei disturbi che posso provocare a qualcun
altro, perché lo Stato deve vietare un gesto che a
me provoca piacere, e mi deve dire come dovrei
vivere, imponendomi ciò che crede una “vita
buona e virtuosa”, vietandomi ciò che reputa invece una “vita cattiva e viziosa”? Ma perché non
potrei essere libero talvolta anche di farmi un
tiro di coca o di assaporare ad esempio i piaceri
dell’oppio? Lo farei sporadicamente, facendo
attenzione a non diventarne dipendente, in
ogni caso vorrei essere io a prendermi le responsabilità per la mia vita.
Non tutto ciò che può (anche) far male alle persone viene sempre vietato, così come non tutto
ciò che può (anche) far del bene alle persone è
sempre permesso. Ad esempio, se io mangio
giornalmente cibo spazzatura e pranzo regolarmente nei fast-food, sicuramente a lungo
andare il mio corpo ne risentirà e non starò
mica tanto bene, ma è questa una ragione sufficiente per vietare i cibi malsani? Anche il gioco d’azzardo può fare molto male, ma nonostante ciò le visite ai casinò, invece di venire
vietate, vengono perlopiù promosse, ad esempio tramite la pubblicità. D’altra parte, sono
oramai noti e scientificamente dimostrati gli
effetti benefici della canapa, se consumata in
dosi moderate e con modalità adatte, e quindi
perché non sono libero di farmi ogni tanto una
tisana alla marijuana contro la mia ansia, ma
devo per forza mandar giù una Temesta?
I fautori della sicurezza e della salute pubblica
sosterranno che probabilmente taluni, in caso
di depenalizzazione, potrebbero fare anche un
uso moderato e consapevole di certe sostanze,
ma molti, probabilmente troppi, non sarebbero in grado di controllarsi, troppo alti sarebbero i rischi per la loro salute e per le loro vite, e
per la “salute pubblica” nel suo complesso. Non
tutti sono cittadini autonomi e responsabili, e
per questo lo Stato ci dice cosa (non) fare. Ma
allora perché la canapa, la cocaina e gli oppiacei no, e invece il gioco d’azzardo, l’alcol e le sigarette sì?
Perché non vietare il tabacco? Libertà
individuale e benessere pubblico
Sappiamo tutti che fumare troppe sigarette fa
male, così come abusare dell’alcol non fa sicuramente bene. Secondo i dati ufficiali dell’Ufficio federale della sanità pubblica, in Svizzera il
tabacco è responsabile di circa 9’000 decessi
prematuri l’anno e il suo consumo pesa sull’economia nazionale svizzera con costi pari a
circa 10 miliardi di franchi all’anno. L’alcol è invece responsabile di circa 1’600 decessi all’anno e il suo consumo pesa sull’economia nazionale con costi pari a circa 4,2 miliardi di franchi all’anno. I decessi per consumo di droghe
pesanti sarebbero invece solo poche centinaia
all’anno. Ma allora perché, per il rispetto della
coerenza dei principi e comparando gli effetti
negativi delle varie sostanze, non si vieta del
tutto anche il consumo di alcol e sigarette? O
non si depenalizzano le droghe illegali?
aumentare considerevolmente le tasse statali
sugli acquisti di prodotti alcolici? Non sarebbe
pure auspicabile, come per le sigarette, stigmatizzarne l’abuso, ad esempio di fronte a feste
popolari dove cittadini adulti e normali si concedono pubblicamente al vizio, rendendolo socialmente accettabile?
Probabilmente la ragione sostanziale della forte tolleranza nei confronti dell’alcol è che è
parte integrante della nostra cultura, di usi radicati nel tempo, costumi che non siamo disposti ad intaccare. La ragione non è il piacere,
quindi, che l’alcol può dare. Il piacere lo possono dare anche la sigaretta, la canna o la coca. È
il riconoscimento sociale che rende una determinata droga un vizio pubblico ben tollerato e
accettato, a scapito dei suoi costi umani e sociali.
Ogni cultura accetta determinate droghe mentre ne ripudia altre. Certe società se la prendono con l’alcol, altre invece approvano tranquillamente l’uso di cocaina o di allucinogeni. La
questione essenziale, quindi, non è quella di
giudicare positivamente o negativamente una
determinata droga in se stessa, per i suoi effetti
benefici o malefici sul singolo individuo. Si
tratta invece di giustificare razionalmente le
scelte pubbliche nei confronti delle singole sostanze. Se i nostri principi fondamentali sono
la libertà individuale da un lato e il benessere e
la sicurezza sociale dall’altro, è meglio proibire
o depenalizzare il consumo?
Conseguenze
della depenalizzazione
Il verde proibito
Possiamo immaginare che molti, anche non
fumatori, si opporrebbero al divieto assoluto di
consumare tabacco. Riterrebbero questa norma lesiva della libertà individuale di poter fare
con se stessi ciò che ci pare e piace, un’eccessiva intromissione dello Stato negli affari privati
dei suoi cittadini. Vada per il divieto nei luoghi
pubblici perché si fa del male agli altri, ma nel
privato non c’è la libertà talvolta anche di farsi
del male?
Al di là del fatto che uno è (ancora) libero di diritto di potersi fumare una sigaretta, non si
può però negare che lo Stato e la società le provino tutte per farci passare la voglia del consumo. Il tabacco è sicuramente uno dei vizi oggi
più stigmatizzati dalla società: brutte scritte e
foto oscene sui pacchetti, divieto della pubblicità e costo elevato delle sigarette, fino all’indignazione pubblica di fronte a qualcuno che nonostante tutto osa ancora accendersi una sigaretta. La domanda allora, più psicologica che
etica, sarà perché qualcuno, nonostante tutto,
riesca a continuare in coscienza a fumare.
Per contrastare il consumo di sigarette poco si
potrebbe ancora fare, se non tentare di vietarle
del tutto. Questo divieto non potrebbe infatti
essere giustificato, in nome della salute e del
benessere pubblici, e per via dei costi umani,
sociali ed economici di cui il tabacco è responsabile? Ma non si reputerebbe appunto questa
legge eccessivamente “liberticida”? Inoltre, se
si volesse portare il ragionamento utilitarista
alle sue estreme conseguenze, invece di reprimere del tutto il consumo di tabacco basterebbe fare in modo che le tasse statali prelevate dal
consumo di sigarette coprano i costi che questa
droga causa alla società nel suo complesso,
come (perlomeno in parte) già avviene.
Nelle varie politiche volte alla promozione della salute e della sicurezza vi è spesso, da un
punto di vista etico, un conflitto tra opposti
KEYSTONE
principi: la libertà individuale da un lato e la sicurezza e il benessere collettivo dall’altro. Fino
a che punto siamo disposti a reprimere la libertà individuale in nome della sicurezza e della
salute pubblica, e fino a che punto siamo disposti invece a tollerare la libertà individuale a
scapito del benessere sociale? All’interno di
una società democratica questo conflitto non
può che essere mediato all’interno di un dibattito pubblico.
Si prenda l’esempio delle norme stradali: più
diminuiamo la velocità massima sulle nostre
strade, più riusciamo a diminuire, come oramai è dimostrato, i rischi di incidenti stradali.
Ma saremmo veramente disposti in nome della
sicurezza pubblica a diminuire la velocità a
100 km/h sulle autostrade o a 60 km/h sulle
strade cantonali? D’altra parte, chi vuole aumentare la velocità massima a 140 km/h sulle
nostre autostrade dovrebbe perlomeno assumersi la responsabilità delle conseguenze:
l’aumento dei “danni umani e sociali”, i costi
della libertà individuale. L’obbligo delle cinture
di sicurezza, infine, è un ulteriore esempio di
uno Stato che non si preoccupa e si prende
cura solo dei danni che possiamo fare agli altri,
ma pure a noi stessi, anche perché il male che
arrechiamo a noi stessi ha poi sempre anche
delle conseguenze negative, dirette o indirette,
per gli altri.
Perché non prendersela con l’alcol?
Droghe e culture
Visti i costi in termini di vite umane, ma anche
sociali e economici, causati dall’alcol, perché il
consumo di questa sostanza non viene maggiormente stigmatizzato come avviene per il
tabacco? Non sarebbe opportuno ad esempio
scrivere sulle bottiglie di vino e birra che l’alcol
può far male, vietarne del tutto la pubblicità e
Ammesso e non concesso che non siamo disposti a proibire del tutto l’alcol e il tabacco, si
pone infine la questione del perché le altre droghe debbano rimanere illegali. Se ragioniamo
unicamente a partire dal principio della libertà
e della responsabilità individuale, se rifiutiamo l’idea di uno “Stato etico” che ci vuole imporre cosa (non) fare, e la nostra massima ultima rimane “la mia libertà finisce dove inizia la
libertà degli altri”, allora diventa molto difficile
giustificare razionalmente il divieto di tutte le
droghe oggi illegali.
D’altra parte, saremmo veramente disposti da
subito a depenalizzare tutte le sostanze il cui
uso oggi è reato? Cosa succederebbe se da domani potessimo consumare liberamente canapa, cocaina e oppiacei vari? La prima risposta
razionale dovrebbe essere, al di là del timore irrazionale di questo “salto nel vuoto”, che non lo
sappiamo con certezza. Ma anche se non lo
sappiamo, non possiamo non provare a immaginare e calcolare le conseguenze positive e negative, in termini di piacere e dispiacere, di benessere collettivo e di sicurezza pubblica, i costi e i benefici umani, sociali ed economici della depenalizzazione.
Per le droghe pesanti le conseguenze sono probabilmente più difficili da calcolare. Per la canapa, invece, è più facile, perché è oramai diventata parte integrante della nostra cultura e,
nonostante il proibizionismo, il suo consumo
continua ad aumentare. Oramai sappiamo che
anche la canapa può far male, il suo utilizzo regolare che trasforma l’uso in abuso può ripercuotersi negativamente sullo sviluppo psichico, fisico e sociale, in particolare nei giovani,
ma non solo. D’altra parte, anche gli “abusi legali” di certe sostanze e di certe pratiche possono fare molto male. Inoltre, nei Paesi dove è
stata depenalizzata non si è assistito ad un aumento del consumo.
Infine, la depenalizzazione permetterebbe: di
controllarne maggiormente la qualità, l’uso e il
consumo, di contrastare il business della criminalità organizzata, di allontanare i consumatori dagli spacciatori, di imporre una tassa
statale sull’acquisto, di lanciare delle campagne di prevenzione dei problemi di salute legati all’abuso. Ciò che proibito rischia spesso di
fare più male, proprio perché è illegale. Che un
giorno anche sui pacchetti di marijuana ci sarà
scritto che il suo consumo può far male?
* Insegnante di etica e filosofia
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